PROMESSA DI VENDITA IMMOBILIARE
E TUTELA DEL CONIUGE PRETERMESSO
IN COMUNIONE LEGALE:
TRA INEFFICACIA ED ANNULLABILITÀ
Abstract: La Cassazione ribadisce,
a distanza di diciassette anni dal suo precedente del 1995, che l’azione di
annullamento ex art. 184, primo e
secondo comma, c.c. trova applicazione in qualsiasi ipotesi di atto di
straordinaria amministrazione compiuto da un coniuge su beni della comunione in
assenza del necessario consenso dell’altro. Viene così ulteriormente smentita
la tesi, proposta da una parte della dottrina, che voleva ricondurre al
generale rimedio della radicale inefficacia gli atti dispositivi (e, più in
generale, di straordinaria amministrazione) nel caso il disponente non
risultasse intestatario del bene sui pubblici registri immobiliari, o vi
risultasse intestatario con il coniuge in comunione, laddove la speciale
fattispecie di annullamento di cui alla norma in materia di comunione avrebbe
trovato applicazione nella sola ipotesi di esclusiva intestazione del bene in
favore del disponente stesso. La decisione si pronuncia però anche
sull’applicabilità dell’art. 184 cit. al preliminare di vendita, mentre non
affronta una serie di questioni di un certo interesse, che pure la fattispecie
in esame pone all’attenzione dell’interprete.
Sommario: 1. Introduzione. Le molteplici
peculiarità del caso di specie. – 2. I rimedi contro la
violazione della regola dell’agire congiunto nell’esperienza europea: tra
inefficacia, responsabilità e invalidità. – 3. L’azione di
annullamento ex art. 184, primo e
secondo comma, c.c. nel pensiero della Corte costituzionale. – 4.
L’azione di annullamento non riguarda il solo atto dispositivo compiuto dal
coniuge unico intestatario del bene. – 5. Il preliminare
di vendita immobiliare di fronte all’art. 184, primo e secondo comma, c.c. – 6. Le questioni sfuggite all’attenzione delle parti nel caso
in esame: in particolare l’esperimento dell’azione di annullamento ex art. 184 c.c. in via d’eccezione. – 7. Segue.
L’inefficacia legata alla condizione risolutiva.
1.
Introduzione. Le molteplici peculiarità del caso di specie.
Le peculiarità del caso sottoposto all’esame della
Cassazione nella fattispecie in esame sono di un numero e di una complessità
tale da rendere quest’ultima un vero e proprio «caso di scuola», da cui
commissioni d’esame e di concorso non dovrebbero mancare di trarre ispirazione.
Semmai, spiace che solo alcuni di tali molteplici e multiformi profili siano
stati colti dai legali delle parti e che, conseguentemente, la pronunzia qui in
commento si concentri su di un numero assai più limitato di questioni.
Procedendo con ordine, vediamo di illustrare in primo
luogo i dati di fatto, concentrando poi l’attenzione sui punti decisi dalla
Corte Suprema. In chiusura faremo un rapido cenno alle questioni che le parti
si sono lasciate sfuggire (e la cui trattazione nel giudizio di rinvio risulta,
ovviamente, irrimediabilmente preclusa).
Dunque, in una ridente cittadina della provincia cuneese
(tanto carica di ricordi – sia consentito aggiungerlo – per l’autore di questa
nota), un uomo promette di vendere un fabbricato ed annesso terreno, di cui
egli è comproprietario con la moglie in regime di comunione dei beni. Il
contratto viene sottoposto alla condizione risolutiva del rigetto del ricorso
proposto dal promittente venditore, volto ad ottenere l’esclusione della moglie
dall’amministrazione dei beni comuni, ex
art. 183 c.c. Poco tempo dopo, il promittente venditore rinuncia agli atti della
suddetta procedura e quindi muore. Decede quindi anche la moglie, dopo che la
domanda ex art 183 c.c. era stata
«riproposta» dai figli, a seguito del decesso del padre (circostanza, questa,
che emerge testualmente dalla motivazione della decisione qui in commento, ma
che appare piuttosto stupefacente, visto che la morte del marito aveva
determinato ipso iure lo scioglimento
del regime legale, per cui un problema di esclusione della moglie superstite
dall’amministrazione di una comunione legale ormai cessata non avrebbe avuto
alcun senso e l’azione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, ove
novellamente proposta, o improseguibile, ove proseguita dagli eredi). A questo
punto il promissario acquirente stipula il definitivo con due dei figli della coppia,
mentre il terzo si rifiuta di alienare la propria quota. Il compratore propone
così azione ex art. 2932 c.c. contro
il figlio «renitente» del promittente venditore, ma si vede respingere la
domanda dal tribunale di Saluzzo, con decisione confermata dalla corte
d’appello di Torino. La decisione della corte di merito si fonda sul rilievo
per cui dal rogito notarile prodotto risultava che intestataria formale degli
immobili era solo la moglie del promittente venditore; ne deriverebbe che,
avendo stipulato il suddetto preliminare soltanto il marito, non intestatario
del bene, non si potrebbe applicare l’art. 184 c.c. ipotizzando la possibilità
di una azione di annullamento dell’atto da parte dell’altro coniuge, ma si
dovrebbe ritenere l’atto stesso inefficace, perché la parte interessata non era
in grado di conoscerlo e, quindi, di attivarsi nel termine di un anno previsto
dall’art. 184 c.c.
La Cassazione rovescia quest’impostazione, richiamando
l’unico suo precedente in termini del 1995 sull’applicabilità «a tutto tondo»
dell’art. 184 c.c., a prescindere dalle risultanze dei pubblici registri
immobiliari.
Dalla lettura della decisione di legittimità sembra
che si siano perse per strada (ovvero, non siano mai state sollevate) questioni
pur rilevanti per la soluzione del caso e, segnatamente: a) l’inefficacia della
promessa, sottoposta espressamente a condizione legata alla sorte della domanda
proposta dal promittente venditore ex
art. 183 c.c.; b) l’intervenuta prescrizione dell’azione ex art. 184 c.c. per non essere stata la stessa proposta nell’anno
dal decesso del marito, causa di scioglimento del regime, ex art. 191 c.c.; c) l’applicabilità all’azione predetta, pur se
prescritta, della regola secondo cui quae
temporalia ad agendum, perpetua ad
excipiendum; d) la rilevanza nella specie del fatto che in causa non vi era
il promittente venditore, bensì il figlio ed erede di costui, che era però nel
contempo figlio ed erede anche del coniuge pretermesso. A questi profili si
farà breve cenno in chiusura della presente nota. Ora è giunto però il momento
di trattare le questioni affrontate e (condivisibilmente) risolte dalla Corte
Suprema.
Al fine di contemperare gli opposti interessi di
tutela del coniuge pretermesso, da un lato, e della sicurezza del traffico
giuridico, dall’altro, l’art. 184, primo e secondo comma, c.c. prevede che,
qualora gli atti di straordinaria amministrazione riguardino beni immobili o
beni mobili registrati, il coniuge che non ha prestato il suo consenso – salva
la possibilità di convalidarli – possa domandare l’annullamento degli atti
medesimi «entro un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’atto e in
ogni caso entro un anno dalla data di trascrizione. Se l’atto non sia stato
trascritto e quando il coniuge non ne abbia avuto conoscenza prima dello
scioglimento della comunione l’azione non può essere proposta oltre l’anno dallo
scioglimento stesso» [1].
Non vi è dubbio che, tra le norme in tema di
amministrazione della comunione, la disposizione appena citata sia quella che
riveste maggiore interesse, sia sul piano applicativo, che sotto il profilo del
coordinamento con i principi in tema di circolazione dei beni, posto che essa
individua il punto di innesto della disciplina della comunione sul generale
regime della circolazione giuridica [2],
ossia il momento in cui la comunione legale cessa di essere soltanto regola
«interna» di ridistribuzione della ricchezza all’interno della coppia e viene
ad incidere direttamente sulla legittimazione di ciascun coniuge a compiere
atti sui beni comuni [3].
La storia del regime comunistico conosce da molto
tempo diversi tipi di reazione al compimento, da parte di un coniuge, di atti
di straordinaria amministrazione su beni della comunione contro l’interesse
dell’altro. Se è vero, infatti, che il potere pressoché illimitato di gestione
dei beni comuni attribuito al marito dal droit
coutumier francese [4] e,
successivamente, per molti anni, dal Code
Napoléon [5] relegava
a situazioni del tutto eccezionali per la loro gravità le possibilità di
reazione della moglie rispetto agli atti dispositivi del patrimonio posti in
essere dal marito, è altresì vero che gli strumenti apprestati al riguardo
potevano spingersi ad intaccare l’efficacia dell’atto verso il terzo. Così,
come si è avuto modo di vedere in altra sede [6],
gli atti posti in essere in frode ai diritti della moglie venivano usualmente
ritenuti inefficaci nell’antico diritto francese, quanto meno per la quota di
spettanza di quest’ultima, ed era, anzi, questo uno degli indizi a favore della
tesi per cui la donna si sarebbe dovuta considerare vere domina della sua quota, già manente communione.
Non fanno difetto, in altri antichi ordinamenti
giuridici, ipotesi di impugnabilità degli atti di disposizione sul patrimonio
comune da parte del solo marito, come dimostrato dalla stessa esperienza della
comunione statutaria siciliana, nella quale si ammetteva, pur se a determinate
condizioni, l’impugnabilità degli atti dispositivi posti in essere dal marito
sui beni della comunione in fraudem
uxoris, vel filiorum [7].
Talora ciò accadeva persino in sistemi ispirati alla regola della Gemeinschaft zur gesammten Hand, con
l’effetto di determinare un’invalidazione del rapporto anche verso il terzo,
sulla base del solo fatto che il negozio fosse stato posto in essere senza il
consenso della moglie, a prescindere pertanto dalla prova della frode in danno
di quest’ultima [8].
Nella Francia coutumière,
invece, il principio dell’impugnabilità degli atti di disposizione per effetto
della frode perpetrata dal marito, sebbene non espressamente recepito dalla
codificazione napoleonica, fu sempre ritenuto immanente nel sistema [9],
per venire poi espressamente consacrato nell’art. 1421 c.c. fr., a partire dalla riforma del 1965, e, successivamente, per
così dire, «integrato» dalla previsione dell’art. 1427, nella versione
riformata nel 1985, della nullità di determinati atti (posti in essere,
ovviamente, dall’uno o dall’altro dei coniugi, ormai posti su di un piano di
assoluta parità).
Tale ultima riforma, invero, portando a pieno
compimento l’evoluzione normativa sul principio di perfetta uguaglianza
coniugale, è venuta a stabilire [10] che
«Si l’un des époux a outrepassé ses pouvoirs sur les biens communs, l’autre, à
moins qu’il n’ait ratifié l’acte, peut en demander l’annulation» (cfr. art.
1427, primo comma, cit.). L’azione «est ouverte au conjoint pendant deux années à
partir du jour où il a eu connaissance de l’acte, sans pouvoir jamais être
intentée plus de deux ans après la dissolution de la communauté» (cfr. art.
1427, secondo comma, cit.) [11]. Le osservazioni svolte dalla dottrina d’Oltralpe
chiariscono che l’introduzione della regola dell’invalidità per violazione del
principio dell’agire congiunto ha determinato, da un lato, un obiettivo
ridimensionamento del ruolo del persistente principio in tema di frode [12] e,
dall’altro, una diversa considerazione degli effetti della stessa fraude, che da causa di semplice
inefficacia relativa al coniuge vittima della manovra fraudolenta, costituisce ora
(secondo l’opinione prevalente) motivo d’invalidità dei negozi tramite i quali
tale manovra si sia esplicata, anche nei casi non rientranti nelle ipotesi di
nullità previste dall’art. 1427 cit. [13].
Il sistema sanzionatorio francese è poi completato, da
un lato, dalla clausola generale di responsabilità, prevista dall’art. 1421,
primo comma, prima parte, c.c. fr.,
secondo cui «Chacun des époux a le pouvoir d’administrer seul les biens communs
et d’en disposer, sauf à répondre des fautes qu’il aurait commises dans sa
gestion» e, dall’altro, da un ulteriore e peculiare tipo di «punizione» per il
coniuge agente, costituita dalla espressa previsione del carattere non
liberatorio dei pagamenti effettuati dagli aventi causa dal singolo coniuge a
quest’ultimo (cfr. art. 1424, u.p., c.c.
fr.), con la conseguenza che i terzi si vedranno così esposti all’azione
del coniuge pretermesso, nel caso costui preferisse la manutenzione del
contratto [14].
Un sistema simile a quello francese, imperniato, come
si è appena visto, sul «concorso» tra rimedi sul piano della validità, rimedi
risarcitori e rimedi fondati sull’inefficacia relativa degli atti fraudolenti,
caratterizza la gestione della sociedad
de gananciales spagnola. Qui, infatti, la nullità viene prevista, come in
Francia, per il caso di atti effettuati da un solo coniuge a titolo gratuito
(ad eccezione delle liberalità d’uso) su beni della comunione (cfr. art. 1378
del código civil), mentre, in linea
generale, l’art. 1322, primo comma, codice spagnolo (con norma dettata
nell’ambito del capitolo delle disposizioni generali sul regime economico
matrimoniale) prevede che «Cuando la ley requiera para un acto de
administración o disposición que uno de los cónyuges actúe con el
consentimiento del otro, los realizados sin él y que no hayan sido expresa o
tácitamente confirmados podrán ser anulados a instancia del cónyuge cuyo
consentimiento se haya omitido o de sus herederos». Tra questi atti ricadono in
primo luogo quelli di disposizione dei beni comuni, per il compimento dei quali
l’art. 1375 del Código richiede
l’agire congiunto. Peraltro, vengono espressamente dichiarati validi (cfr. art.
1384 del código civil) «los actos de
administración de bienes y los de disposición de dinero o títulos valores
realizados por el cónyuge a cuyo nombre figuren o en cuyo poder se encuentren»:
al di là, dunque, dei casi di invalidità, la tutela del coniuge pretermesso
viene così affidata al principio che punisce la frode, coinvolgendo il terzo
solo se in mala fede, salva la responsabilità del coniuge agente [15].
Su di un sistema di invalidità degli atti appare
invece pressoché integralmente fondata la disciplina portoghese. Ai sensi
dell’art. 1687 del relativo Código,
infatti, si prevede che la violazione della regola dell’agire congiunto – richiesta
per atti quali l’alienazione e la costituzione di diritti reali o di
particolari diritti di godimento relativamente a beni immobili, mobili
registrati e per determinate categorie di mobili non registrati – comporterà
che siffatti negozi «são anuláveis a requerimento do cônjuge que não deu o
consentimento ou dos seus herdeiros». Peraltro tale direito de anulação può essere esercitato solo entro sei mesi dalla
data in cui il coniuge pretermesso ha avuto conoscenza dell’atto, e in ogni
caso non oltre tre anni dal compimento dell’atto medesimo. Lo stesso articolo
soggiunge poi che, in caso di alienazione o di concessione di diritti reali
minori relativamente a beni mobili non registrati, l’annullamento non può
essere opposto all’acquirente in buona fede.
Analogamente, il codice civile belga, dopo avere
concesso ad ogni coniuge la possibilità di rivolgersi, in via preventiva, al juge de paix perché questi vieti «à son
conjoint d’accomplir tout acte de gestion pouvant lui causer préjudice ou nuire
aux intérêts de la famille» (cfr. art. 1421 del codice civile belga, a mente
del quale il giudice di pace può «autoriser l’acte ou soumettre son
autorisation à des conditions déterminées»), prevede che il coniuge pretermesso
possa adire il tribunale per fare «annuler l’acte accompli par l’autre époux»,
allorquando si tratti di uno di quei negozi per il compimento dei quali è
richiesto il consenso di entrambi (cfr. art. 1422: da notare la disposizione
per cui l’annullamento di una serie di atti di minore importanza, per cui
comunque è chiesto il consenso di entrambi, presuppone la prova dell’esistenza
di un pregiudizio), ovvero se il negozio è stato compiuto «en fraude des droits
du demandeur». Singolare la previsione in punto buona fede: l’art. 1422,
secondo comma, del codice civile belga prevede infatti che «La preuve de sa
bonne foi incombe au tiers contractant». Il successivo art. 1423, poi, stabilisce che
«L’action en nullité doit être introduite à peine de forclusion dans l’année du
jour où l’époux demandeur a eu connaissance de l’acte accompli par son conjoint
et au plus tard avant la liquidation définitive du régime. Si l’époux décède
avant que la forclusion soit atteinte, ses héritiers disposent à dater du décès
d’un nouveau délai d’un an» [16].
Anche in un sistema che, come quello tedesco, mediante
il ricorso alla comunione differita, ha mostrato di preferire la scelta di
conservare l’autonomia
di gestione propria dei sistemi «separatisti», così evitando gli «impacci» cui
la comunione può dar luogo, non fanno difetto penetranti strumenti a tutela
della posizione dei singoli coniugi. Già si è detto, in altra sede, delle
garanzie offerte sul piano dell’esatta determinazione dei beni che formeranno
oggetto dell’Ausgleich finale [17], nonché dei rimedi
diretti ad impedire operazioni fraudolente a detrimento del coniuge più debole [18]
e, ancora, della previsione secondo cui l’Ausgleich finale incontra, una
volta determinatosi lo scioglimento del regime, un preciso limite per
cui a tale operazione non si fa luogo ove la medesima appaia «profondamente iniqua» (grob unbillig) [19].
Qui si potrà ancora aggiungere che i §§ da 1365 a 1369 BGB prevedono che alcuni atti di particolare rilievo non possano
essere compiuti senza il consenso dell’altro coniuge (o, in alternativa,
l’autorizzazione giudiziale), anche se relativi al proprio patrimonio. Così il
coniuge non può disporre del proprio patrimonio nel suo complesso (§ 1365), né
può disporre di beni relativi all’abitazione coniugale (§ 1369), pena
l’inefficacia (Unwirksamkeit), che l’altro
coniuge può far valere giudizialmente anche nei riguardi del terzo (§ 1368),
pur contro l’eventuale buona fede di quest’ultimo [20].
Come si è avuto modo di illustrare in altra sede [21],
la Corte costituzionale è stata investita diversi anni or sono del giudizio di
legittimità dell’art. 184 c.c., sotto il profilo della irragionevolezza della
disciplina da esso prevista con riguardo al diverso trattamento della comunione
legale rispetto alla comunione ordinaria, alla deroga del principio nemo plus iuris ad alium transferre potest
quam ipse habet e alla conseguente deteriore tutela del coniuge
pretermesso; ciò anche sotto il profilo del breve termine di prescrizione entro
il quale l’azione volta ad ottenere l’annullamento dell’atto è esercitabile.
Le questioni sono state dichiarate infondate da una
decisione del 1988, che ha (ri)presentato sulla scena l’idea – cara ad una
(piccola) parte della dottrina francese ed italiana dei primi anni del
Novecento – della comunione legale come comproprietà solidale [22].
In particolare la Consulta, dopo aver osservato che «Dalla disciplina della
comunione legale risulta una struttura normativa difficilmente riconducibile
alla comunione ordinaria», ne ha concluso che, mentre «Questa é una comunione
per quote, quella é una comunione senza quote; nell’una le quote sono oggetto
di un diritto individuale dei singoli partecipanti (arg. ex art. 2825 cod. civ.) e delimitano il potere di disposizione di
ciascuno sulla cosa comune (art. 1103); nell’altra i coniugi non sono
individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari,
in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione (arg. ex art. 189, secondo comma)». La
decisione soggiunge poi che «Nella comunione legale la quota non é un elemento
strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni
della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189),
la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri
beni personali verso i creditori della comunione (art. 190), e infine la
proporzione in cui, sciolta la comunione, l’attivo e il passivo saranno
ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194)».
Poste tali premesse, la Corte rileva che
«nei rapporti coi terzi, ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni
della comunione. Il consenso dell’altro, richiesto dal modulo
dell’amministrazione congiuntiva adottato dall’art. 180, secondo comma, per gli
atti di straordinaria amministrazione, non è un negozio (unilaterale)
autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel
senso di atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere. Esso è un
requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di
disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile
registrato, si traduce in un vizio del negozio». Assodato quindi che, secondo
il Giudice delle leggi, «l’art. 184, primo comma, non é tecnicamente un caso di
acquisto da un alienante non legittimato, bensì un caso di acquisto a domino in base a un titolo viziato»,
se ne è derivato che «il principio di inefficacia delle alienazioni a non domino non può fornire il tertium comparationis rispetto al quale
possa prospettarsi una violazione dell’art. 3 Cost. in danno del coniuge
pretermesso».
Anzi, se si pone mente che nel diritto privato i vizi
del procedimento di formazione di un atto negoziale sono rilevanti come causa
di invalidità solo nei casi espressamente previsti dalla legge, non per regola
generale, la norma in esame appare – sempre, ovviamente, secondo la Consulta –
«disposta a maggiore tutela dell’altro coniuge, non già in eccessivo favore dei
terzi», posto che «senza di essa il coniuge pretermesso dovrebbe, come nel caso
regolato nel terzo comma dell’art. 184, accontentarsi del diritto obbligatorio
alla riparazione del danno».
Non è questa la sede per affrontare la critica a
questa insostenibile, ancorché autorevole, idea, su cui l’autore di questo
commento ha speso diverse pagine [23].
Qui potrà solo rilevarsi che, come la tesi della
comproprietà solidale ha pesantemente (e, ad avviso dello scrivente, in modo
negativo) influenzato la giurisprudenza di legittimità su questioni per lo più
legate alla determinazione dell’oggetto della comunione legale, così la stessa
decisione ha condizionato talune prese di posizione dottrinali, come quella,
altrove ricordata, circa l’asserita non necessità del rispetto della forma scritta
in merito all’atto di manifestazione del consenso idoneo ad escludere
l’applicabilità dell’art. 184 c.c. [24].
Ma, come si è cercato di dimostrare nelle sedi appropriate, la chiave di
lettura proposta dalla Consulta non appare in grado di fornire di per sé
strumenti più idonei, rispetto a quelli fondati sui tradizionali canoni
ermeneutici, per la soluzione dei molteplici problemi che affaticano la
comunione legale. E ciò anche perché, qualunque sia la tesi che si voglia
seguire sulla natura della comunione legale, non può negarsi che, nella
fattispecie descritta dall’art. 184 c.c., vi è «una situazione di carenza di
legittimazione del singolo coniuge rispetto agli interessi regolati col
negozio» [25],
sebbene a tale carenza di legittimazione il legislatore abbia inteso reagire
comminando una sanzione diversa da quella «usuale» dell’inefficacia.
Quello stesso disagio che rinveniamo alla base della
sentenza della Consulta di cui si è riferito, derivante dal rifiuto concettuale
di concepire che un’azione di annullamento possa concernere un’alienazione a non domino, senza tenere peraltro
adeguatamente conto del fatto che il legislatore dispone del sovrano potere di
alterare (anche inconsapevolmente!) i principi che secoli di dottrina giuridica
hanno elaborato, quello stesso disagio – dicevamo – si era espresso nei primi
interpreti della riforma del 1975, mediante una lettura fortemente riduttiva dei
presupposti di applicabilità dell’art. 184 c.c.
Ed invero, proprio partendo dall’idea di integrare il
disposto dell’art. 184 c.c. con i principi generali in materia di alienazione
di cosa altrui e di legittimazione formale (cfr. in particolare gli artt. 1372,
1478 e 2643 ss. c.c., concernenti, rispettivamente, gli effetti del contratto,
la vendita di cosa altrui e la pubblicità immobiliare e mobiliare), una parte
della dottrina aveva proposto una lettura riduttiva delle disposizioni appena
citate, nel senso che esse dovrebbero trovare applicazione in relazione ai soli
atti compiuti dal coniuge unico intestatario (sulla base delle risultanze dei
pubblici registri immobiliari) del bene oggetto di disposizione, posto che
costui, pur non essendo legittimato all’atto sul piano del regime speciale,
ossia sul piano della proprietà sostanziale, appare invece legittimato sul
piano formale.
In altre parole, mentre l’azione di annullamento in questione
disciplinerebbe il solo caso dell’atto dispositivo posto in essere dal coniuge
risultante sui pubblici registri immobiliari come unico titolare del bene,
l’alienazione posta in essere dal coniuge non intestatario (o non esclusivo
intestatario) sarebbe colpita dalla generale sanzione dell’inefficacia. Il
risultato, si osservava, risponderebbe anche a criteri di ragionevolezza, posto
che, in queste due ultime fattispecie, il terzo è posto in grado di
comprendere, già dalla lettura dei registri immobiliari, che il dante causa non
è legittimato. Nell’altro caso, invece, siffatto risultato è acquisibile solo
tramite la più elaborata indagine «incrociata» tra i registri immobiliari e gli
atti di stato civile. Sarebbe quindi più logico limitare la sanabilità
dell’atto offerta dal mancato (tempestivo) esperimento dell’azione di
annullamento alla situazione dell’alienazione realizzata dal coniuge che si
presenti esternamente come unico titolare del bene, senza estenderla invece a
quelle fattispecie in cui egli appaia già, per così dire, ictu oculi, sprovvisto di ogni legittimazione. In quest’ultima
situazione, invero, il trattamento di favore (rispetto ai principi generali)
concesso al terzo per via della più agevole possibilità di pervenire alla
sanatoria dell’atto sembrerebbe assai più difficilmente spiegabile, ben potendo
il terzo, come si è detto, già sulla base di una semplice indagine sui registri
immobiliari, comprendere che il coniuge non poteva da solo disporre del bene [26].
Contro questa impostazione si è però
esattamente osservato che il testo normativo non consente distinzioni di sorta [27].
Già la Corte costituzionale, nella nota pronuncia del 1988 sulla comproprietà
solidale [28],
non aveva ritenuto di introdurre differenziazioni di alcun genere in relazione
alla sfera di applicabilità dell’art. 184, primo e secondo comma, c.c. [29].
Più chiaramente ancora, una successiva decisione di
legittimità ha stabilito che tutti gli atti di disposizione di beni immobili o
beni mobili registrati (e, quindi, di un diritto reale frazionario su bene
immobile) appartenenti alla comunione coniugale, compiuti da uno solo dei
coniugi, senza il necessario consenso dell’altro, ovverosia in violazione della
regola dell’amministrazione congiunta, sono sottoposti alla sola sanzione
dell’annullamento ai sensi dell’art. 184 c.c., in forza dell’azione proponibile
dal coniuge il cui consenso era necessario entro i termini previsti dalla
stessa norma. Nella specie la Corte, in applicazione del principio enunciato,
ha cassato la sentenza del giudice di merito, il quale aveva ritenuto,
conformemente alla citata opinione dottrinale, che l’annullabilità prevista
dall’art. 184 c.c. riguarderebbe la sola ipotesi in cui l’atto di disposizione
sia compiuto dal coniuge che risulti unico intestatario del bene, mentre nella
specie l’atto di disposizione compiuto dal marito aveva ad oggetto un bene
appartenente alla comunione coniugale ed intestato ad entrambi i coniugi,
cosicché esso doveva considerarsi, nell’opinione del giudice di merito, del tutto
inefficace [30].
Come esattamente rilevato in dottrina,
l’idea di ammettere l’inefficacia dell’atto dispositivo nell’ipotesi di bene
intestato ad entrambi i coniugi o al solo coniuge non partecipe dell’atto ed
invece di accogliere il criterio legale dell’annullabilità solo in presenza di
intestazione a favore del solo coniuge agente poteva comprendersi negli anni
immediatamente successivi alla riforma, quando appariva estranea al sistema una
pubblicità di rapporti patrimoniali nei registri di stato civile
istituzionalmente destinati a procurare la conoscenza delle vicende delle
persone fisiche, ma non si giustifica più oggi, dopo una più consapevole
maturazione del sistema pubblicitario introdotto dal legislatore del 1975. Con
la novella si è, in realtà, affermato un diverso principio di interazione della
condizione coniugale con la posizione patrimoniale dei coniugi: il mutamento
del regime patrimoniale familiare implica un mutamento dello stesso contenuto
(derogabile) del rapporto coniugale. E’ peraltro un punto ormai acquisito alla
giurisprudenza di legittimità di prescindere dalle modalità di intestazione dei
bene ai fini della invalidità degli atti di amministrazione straordinaria privi
del consenso di entrambi i coniugi [31] e
la decisione qui in commento si colloca proprio in questa linea ermeneutica.
5. Il preliminare di vendita immobiliare di fronte
all’art. 184, primo e secondo comma, c.c.
Nell’ambito della ricca casistica giurisprudenziale e
dottrinale sull’art. 184 c.c. [32] la
stipula di un preliminare di vendita di beni immobili è sempre stata
considerata atto di straordinaria amministrazione, sia dalla giurisprudenza [33],
che dalla dottrina.
Quest’ultima, in particolare, perviene alla soluzione
argomentando usualmente dalle norme in materia di società o di comunione
ordinaria [34].
Comunque si voglia ragionare, è innegabile che il contratto preliminare rientri
tra gli atti di straordinaria amministrazione, in quanto potenzialmente
pregiudizievole per l’altro coniuge e per la comunione; inoltre non è possibile
affermare l’estraneità del contratto preliminare alla sfera di applicazione
degli artt. 180 e 184 c.c. adducendo il fatto che da esso derivano solo effetti
obbligatori e che l’applicazione delle norme in questione è ristretta ai soli
atti dispositivi con effetto reale. Il preliminare di compravendita, invero, si
pone come «momento originario di una serie obbligatoria consequenziale e
successiva, il cui esito conclusivo necessitato è il trasferimento della
proprietà del bene» [35];
e proprio in virtù dell’effetto conclusivo del trasferimento della proprietà di
un bene immobile, anche esso deve essere considerato atto di straordinaria
amministrazione soggetto alle regole di cui all’art. 184 c.c.
Con riguardo a quest’ultima disposizione, poi, è stato
esattamente posto in luce che la stessa lettera della norma sembra decisamente
deporre nel senso dell’annullabilità del preliminare di vendita di un immobile
comune, laddove, lungi dal parlare specificamente di atti di alienazione, si
riferisce invece a quegli atti che «riguardano» beni immobili (o mobili
registrati): espressione, questa, volutamente generica idonea a ricomprendere
non solo gli atti direttamente distrattivi dalla comunione in conseguenza di un
effetto reale immediato, ma anche altri atti che, come il preliminare di
vendita, comunque abbiano un’incidenza potenzialmente pregiudizievole sulla
comunione con attinenza a beni immobili, ancorché l’effetto reale non sia
immediato, ma conseguenza legittimamente necessitata e giuridicamente tutelata
fino alla costituzione degli effetti del contratto definitivo, in mancanza di
volontà dell’obbligato [36].
L’introduzione, poi, della trascrizione del
preliminare ad opera dell’art. 2645-bis c.c. è venuta ad eliminare ogni
possibile obiezione fondata sul rilievo per cui, avendo il legislatore ancorato
la decorrenza del termine prescrizionale per l’azione d’annullamento alla data
di trascrizione del contratto, quest’ultimo, ove non previsto come
trascrivibile, non avrebbe potuto formare oggetto di domanda di annullamento [37].
A ben vedere, peraltro, per controbattere tale fallace argomentazione sarebbe
stato sufficiente prendere in considerazione il fatto che il dies a quo in oggetto non è affatto ancorato
in via esclusiva all’esecuzione della predetta formalità, ma coincide, in linea
generale, con il momento in cui il coniuge pretermesso ha avuto conoscenza
della conclusione del negozio (e non dalla data di stipula del contratto, come
appare del resto ragionevole, avuto riguardo al fatto che il legittimato attivo
all’azione non è parte del contratto: cfr. art. 184 cpv. c.c.) [38].
Da notare che le stesse Sezioni Unite della
Cassazione, risolvendo il contrasto sul tema del litisconsorzio necessario tra i
coniugi, in caso di proposizione, da parte del terzo promissario acquirente,
della domanda ex art. 2932 c.c. [39],
hanno testualmente riconosciuto che «Anche il contratto preliminare può avere
(…) una rilevanza pregiudizievole sulla consistenza patrimoniale della
comunione e sulle condizioni di vita della famiglia, in considerazione
dell’obbligazione assunta dal disponente, che pur vincola unicamente costui, e
della responsabilità dello stesso per l’inadempimento; onde il contratto
preliminare di vendita di bene immobile in regime di comunione legale
costituisce negozio eccedente l’ordinaria amministrazione e, per il richiamato
espresso disposto del secondo comma dell’art. 180 c.c., le azioni che da esso
traggono origine richiedono la presenza in giudizio d’entrambi i coniugi».
Ciò detto sarà poi il caso di aggiungere che,
contrariamente a quanto affermato in dottrina [40],
l’eventuale inutile decorso del termine prescrizionale per l’esercizio
dell’azione di annullamento del contratto preliminare non sembra dispiegare
effetti di sorta sul diritto del coniuge pretermesso di eventualmente impugnare
il contratto definitivo che, sulla base del preliminare «consolidatosi» per
mancata tempestiva impugnativa, il partner
abbia successivamente posto in essere. La stipulazione di un contratto
preliminare di per sé non determina l’uscita del bene dal patrimonio comune,
con la conseguenza che di esso il coniuge pretermesso è ancora titolare. La
conclusione del contratto definitivo – sebbene «atto dovuto» per il coniuge
promittente venditore nei rapporti con il promissario acquirente – rientra
sicuramente nel disposto dell’art. 180 cpv. c.c., con le conseguenze previste
dall’art. 184 c.c. in caso di pretermissione del coniuge contitolare del
diritto alienato.
Come si diceva in apertura del presente scritto [41],
la lettura della decisione di legittimità evidenzia la presenza, nella specie,
di questioni pur rilevanti per la soluzione del caso, che non risultano essere
state trattate dalle parti e, segnatamente: a) l’inefficacia della promessa,
sottoposta espressamente a condizione legata alla sorte della domanda proposta
dal promittente venditore ex art. 183
c.c.; b) l’intervenuta prescrizione dell’azione ex art. 184 c.c. per non essere stata la stessa proposta nell’anno
dal decesso del marito, causa di scioglimento del regime, ex art. 191 c.c.; c) l’applicabilità all’azione predetta, pur se
prescritta, della regola secondo cui quae
temporalia ad agendum, perpetua ad
excipiendum; d) la rilevanza nella specie del fatto che in causa non vi era
il promittente venditore, bensì il figlio ed erede di costui, che era però nel
contempo figlio ed erede anche del coniuge pretermesso.
Sarà d’uopo intrattenersi qui brevemente, innanzi
tutto, sui profili evidenziati sub b)
e c).
Nella decisione qui commentata la Cassazione insiste
nell’errore concettuale di qualificare espressamente come «valido» il contratto
annullabile, laddove è chiaro (o, per lo meno, dovrebbe esserlo), che il
negozio annullabile valido non è. Si è detto «insiste», perché non è certo la
prima volta che la Corte afferma la «validità» del negozio in violazione dell’art.
180 c.c., anche se al fine di predicarne l’efficacia, o comunque di rafforzare
l’affermazione dell’assenza di inefficacia, sino al vittorioso esperimento
dell’azione di annullamento [42].
In ogni caso, è chiaro che il contratto annullabile, in difetto di tempestivo
esperimento dell’azione d’annullamento, è in grado di produrre (rectius: di continuare a produrre)
definitivamente i suoi effetti. Il problema, semmai, deriva dal fatto che
l’azione di annullamento è sottoposta ad un termine particolarmente breve. Nel
caso in esame, poi, al momento dell’esperimento dell’azione ex art. 2932 c.c. da parte del
promissario acquirente, l’anno dal decesso del marito (coniuge defunto per
primo) era ampiamente trascorso.
La questione diviene dunque quella di vedere se la
domanda avrebbe potuto essere proposta nel corso del giudizio intentato dal
promissario acquirente. Sul punto viene in considerazione l’art. 1442, quarto
comma, c.c., secondo cui «L’annullabilità può essere opposta dalla parte
convenuta per l’esecuzione del contratto, anche se è prescritta l’azione per
farla valere», regola che trova espressione nel noto brocardo latino per cui quae temporalia ad agendum, perpetua ad
excipiendum (cfr. anche artt. 1495, ult. cpv., c.c. e 1667 cpv. c.c.; in
senso contrario v. invece art. 1449 cpv. c.c.). La questione diviene dunque
quella di sapere se siffatto principio trova applicazione all’annullamento di
cui all’art. 184 c.c. [43].
Al riguardo potrà dirsi che il carattere, in altra
sede enucleato come per molti versi «speciale» della prescrizione delineata
dalla citata norma giusfamiliare [44],
potrebbe, quanto meno in astratto, indurre a rispondere negativamente.
Una prima pronuncia – con riferimento ad una ipotesi
in cui il contratto era già stato eseguito – ha affermato la possibilità di opporre in via di eccezione l’annullabilità dell’atto,
sostenendo che «l’eccezione di annullamento del contratto è proponibile anche
dopo il termine di prescrizione dell’azione di annullamento». Peraltro, dopo
aver rimarcato che l’eccezione è sollevabile «solo dalla parte convenuta per
l’esecuzione del contratto», se ne è concluso che essa non può essere utilmente
opposta «dopo che il contratto ha avuto esecuzione, al fine di resistere alla
domanda di accertamento della sua esistenza e della sua efficacia»; ciò
«neppure se, trattandosi del contratto di compravendita di un immobile
stipulato con scrittura privata non autenticata, tale domanda sia strumentale a
quella di trascrizione o di condanna alla stipulazione del contratto
riproduttivo in forma pubblica». La Corte, dunque, partendo dalla constatazione
per cui il termine annuale previsto dall’art. 184 c.c. è di prescrizione, e non
di decadenza, «al pari del termine previsto dall’art. 1442 cod. civ. per la
generale azione di annullamento dei contratti, dal quale si distingue solo per
la diversa durata», ne ha dedotto – in astratto – l’applicabilità della regola
dettata dal quarto comma dell’art. 1442 c.c., peraltro escludendone
l’operatività nel caso oggetto di lite. In esso, infatti, il marito aveva
venduto, senza il consenso dell’altro coniuge, mediante semplice scrittura
privata, un immobile ad un terzo. L’acquirente aveva citato in giudizio
entrambi i coniugi per la verificazione della scrittura privata e la moglie
aveva eccepito l’annullamento. La Corte ha respinto tale eccezione rilevando
che il processo in cui quest’ultima si era venuta a collocare non era diretto
all’adempimento del contratto (come invece richiesto dall’art. 1442, quarto
comma, c.c.), ma alla verificazione di una scrittura privata [45].
In una successiva decisione la Cassazione ha invece
escluso, anche in astratto, l’applicabilità della regola di cui al quarto comma
dell’art. 1442 c.c. Muovendo, infatti, dal carattere speciale dalla
disposizione contenuta nell’art. 184 c.c., si è ritenuto che per questa
particolare ipotesi di annullabilità non
valga la regola generale della imprescrittibilità dell’eccezione di
annullabilità dalla disciplina generale in tema di annullamento del
contratto [46].
La dottrina, al contrario, rilevando come la
disciplina dell’azione di annullamento non si discosti – quanto alla natura ed
al senso dei limiti temporali imposti all’esercizio del diritto – da quella
generale dettata dall’art. 1442 c.c. e ponendo in evidenza il carattere
generale proprio della normativa racchiusa nella norma testé citata [47],
conclude per la tendenziale applicabilità del quarto comma dell’art. 1442 c.c.
all’azione di annullamento ex art.
184, primo e secondo comma, c.c. [48].
Questa soluzione appare sicuramente preferibile [49].
Invero, qualsiasi dubbio in proposito, derivante dal
fatto che il coniuge pretermesso, in quanto non parte del negozio dispositivo,
non potrebbe essere convenuto in giudizio per l’adempimento, laddove l’art.
1442, quarto comma, c.c. si riferisce proprio alla «parte convenuta per
l’esecuzione del contratto», è superabile sulla base del rilievo per cui,
innanzi tutto, è a tale coniuge (e solo a tale coniuge) che la legge conferisce
il potere di chiedere l’annullamento. In secondo luogo, è innegabile che questo
coniuge, benché non sia «parte» nel senso di «persona che acquista i diritti ed
assume gli obblighi nascenti dal contratto», è tuttavia «parte» nel senso di
«persona nei cui confronti gli effetti del contratto devono essere fatti
valere», come del resto confermato da quella giurisprudenza [50] che
non mostra esitazioni nell’affermare che il coniuge pretermesso ha comunque la
veste di litisconsorte necessario nel giudizio volto all’accertamento o
all’esecuzione del contratto concluso singolarmente partner: e ciò perché egli è comunque destinatario della pretesa
avanzata dal terzo contraente. Del resto, l’azione proposta da parte del terzo
acquirente per l’adempimento (si pensi alla richiesta di condanna alla consegna
del bene) nei confronti del coniuge alienante assume sicuramente la valenza, se
proposta anche nei riguardi del coniuge pretermesso, di accertamento della
proprietà e di rivendica nei suoi confronti, con conseguente configurabilità di
una situazione di litisconsorzio necessario [51].
Dunque, allorquando l’art. 1442, ultimo comma, c.c. si
riferisce alla «parte convenuta per l’esecuzione del contratto», esso indica
proprio quale sia la condizione necessaria e sufficiente per identificare tale
«parte»: l’essere, cioè, destinatario della pretesa del terzo rivolta a veder
attuato il programma contrattuale, ancorché ciò significhi, per il coniuge non
agente, essere parte di un’azione di rivendica. Lo stesso è a dirsi allorquando
l’azione abbia carattere non già di accertamento e/o di condanna, bensì possegga
natura costitutiva, come accade nel caso previsto dall’art. 2932 c.c. Ecco
perché, nel caso in cui il contratto concluso sia ad effetti obbligatori ed il
terzo agisca per l’esecuzione [52],
il coniuge che non aveva prestato il proprio consenso ha piena legittimazione
ad opporre in via di eccezione l’annullabilità del contratto, anche quando la
relativa azione sia prescritta, in applicazione della regola dettata dall’art.
1442, quarto comma, c.c. [53].
In fondo, a ben vedere, la soluzione prospettata si limita a presupporre una
semplice interpretazione estensiva dell’art. 1442, quarto comma, c.c., nella
misura in cui l’espressione: «parte convenuta per l’esecuzione del contratto»
viene letta nel modo seguente: «parte convenuta nell’ambito di un giudizio per
l’esecuzione del contratto» (nel contesto del quale si aggiunge, contro il
coniuge non agente, una domanda d’accertamento, ovvero di condanna, ovvero
costitutiva sul bene oggetto di comunione legale) [54].
La conclusione raggiunta con riferimento all’art.
1442, quarto comma, c.c., non appare in contrasto con quella altrove illustrata
relativamente ai rapporti con l’art. 2941, n. 1, c.c. [55]:
nel caso qui citato per secondo, infatti, si riscontra una vera e propria
incompatibilità della struttura normativa finalizzata alla determinazione del
calcolo del periodo prescrizionale ex
art. 184 cpv. c.c. rispetto alla regola generale, tale da rendere certamente
speciale la prescrizione giusfamiliare rispetto ai principi generali. Tutto al
contrario, le peculiarità dell’art. 184 c.c. non sono tali da porlo in
contrasto con la regola generale dettata dall’art. 1442, quarto comma, c.c. La
soluzione proposta si inserisce del resto nel filone interpretativo teso a valorizzare
il richiamo del terzo comma dell’art. 1442 cit. a «tutti gli altri casi», così
attribuendo a tale articolo una valenza di norma generale, come ad esempio
dimostrato dalla giurisprudenza che estende la regola qui in esame anche alla
domanda di annullamento del contratto concluso dal rappresentante in conflitto
di interessi col rappresentato, ex
art. 1394 c.c. [56].
Concludendo sul punto dell’azione ex art. 184, primo e secondo comma, c.c., va notato come nel caso
risolto dalla decisione qui in commento, non essendo comunque stata proposta
(per lo meno, sulla base di quanto è dato capire dalla lettura della
motivazione della decisione di legittimità) eccezione d’annullamento, tale
profilo non potrà certo più essere sollevato (tanto meno, per evidenti motivi
processuali, in fase di rinvio), con conseguente consolidazione degli effetti
del contratto annullabile.
7. Segue.
L’inefficacia legata alla condizione risolutiva.
Un ulteriore profilo la cui trattazione
appare nella specie preclusa è dato dal tema, già ricordato, dell’eventuale
inefficacia del preliminare, risolutivamente condizionato alla reiezione della
domanda già proposta dal promittente venditore ex art. 183 c.c. nei riguardi della moglie. Ora, la peculiarità
della specie è che (sempre, ovviamente, a quanto consta dalla lettura della
motivazione della decisione di legittimità) la domanda citata venne abbandonata
dal marito stesso in corso di causa. Tale autonomo profilo di inefficacia,
almeno apparentemente, non avrebbe così potuto essere fatto valere nel giudizio
ex art. 2932 c.c., atteso che la
domanda diretta all’esclusione della moglie dal potere di amministrare i beni
della comunione non poteva dirsi «rigettata».
Sarà il caso però di porre in luce che, nella
peculiare situazione in oggetto, la parte interessata a difendersi dalla
domanda ex art. 2932 c.c., vale a
dire l’erede del promittente venditore (nella sua veste, questa volta, di erede
della moglie pretermessa…), avrebbe potuto appellarsi alla regola scolpita
nell’art. 1359 c.c., secondo cui «La condizione si considera avverata qualora
sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario
all’avveramento di essa».
Anche quest’eccezione è ormai (tanto più
nel giudizio di rinvio) irrimediabilmente preclusa: ove, però, tempestivamente
sollevata dal convenuto nel giudizio di adempimento in forma specifica, essa
avrebbe forse potuto portare ad un rigetto della domanda proposta dal
promissario acquirente, posto che l’inefficacia derivante dall’avveramento di
una condizione risolutiva sfugge alla «tagliola» temporale di cui all’art. 184
cpv. c.c. Diciamo «forse», perché il convenuto si trovava nella particolare
posizione di erede, al contempo, del coniuge pretermesso, ma anche di quello
pretermittente, sebbene il fatto di portare, come direbbero i francesi, tale double casquette non sembri, quanto meno
di primo acchito, pregiudicare, in una situazione del genere, i diritti
derivanti ex utroque latere.
[1]
Sull’art. 184 c.c. cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu,
Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, II, Milano, 2010, p. 1297 ss. V.
anche (oltre agli AA. che verranno citati in prosieguo, in relazione a singoli
profili), Cendon, Comunione fra coniugi ed alienazioni
mobiliari, Padova, 1979, passim; Cospite, La validità degli atti compiuti da uno solo dei coniugi sui beni mobili
in comunione, in Riv. dir. civ.,
1979, II, p. 110 ss.; Segni, Gli atti di straordinaria amministrazione
del singolo coniuge sui beni immobili della comunione, in Riv. dir. civ., 1980, p. 600 ss.; A. Giusti, L’amministrazione dei beni della comunione legale, Milano, 1989, p.
205 ss.; Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2005, p.
206; Di Martino e Rovera, L’amministrazione dei beni, in Aa.
Vv. Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo,
continuato da Bonilini, II, Il regime
patrimoniale della famiglia, Torino, 2007, p. 224 ss.; Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione, in Il nuovo diritto di
famiglia, Trattato diretto da Ferrando, II, Rapporti personali e
patrimoniali, Bologna, 2008, p. 499 ss.; Paladini,
Della comunione legale, Aa. Vv.,
Commentario del codice civile,
diretto da Gabrielli. Della Famiglia,
a cura di Luigi Balestra, artt. 177-342 ter,
Torino, 2010, p. 107 ss.; L. Salomone
(fu Nicola), L’amministrazione dei beni
della comunione legale, in Aa.
Vv., Gli aspetti patrimoniali della famiglia. I rapporti patrimoniali tra
coniugi e conviventi nella fase fisiologica ed in quella patologica, a cura
di Oberto, Padova, 2011, p. 600 ss.
[2]
Cfr. Anelli, L’amministrazione
della comunione legale, in Trattato di
diritto di famiglia diretto da Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2002, p. 255.
[3]
Cfr. Anelli, L’amministrazione
della comunione legale, cit., p. 255.
[4]
Cfr. Oberto, La comunione
legale tra coniugi, nel Trattato di
diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni,
continuato da Schlesinger, I, Milano, 2010, p. 33 ss., 225 ss.
[5]
Cfr. Oberto, La comunione
legale tra coniugi, I, cit., p. 111 ss.
[6]
Cfr. Oberto, La comunione
legale tra coniugi, I, cit., p. 240 ss.
[7]
Cfr. Muta, Commentaria Marii
Muta U.I.D. Panhormitani in antiquissimas felicis S.P.Q.P. Consuetudines,
Panhormi, 1644, p. 430 s., nel caso di alienazione «in fraudem uxoris vel
filiorum, ut puta si [maritus] alienat, & convertat in pecuniam eamque
filijs alterius matrimonij tradat vel quid simile faciat, & infert quod si
pro modico pretio tales res vendidit praesumitur simulata venditio (…) &
poterit repetere uxor vel eius haeredes».
[8]
«Excipiendo konnte selbst der Mann, der die Verfügung vorgenommen
hatte, sich auf die fehlende Zustimmung seiner Frau berufen, eine
Anfechtungsklage aber konnte nur der verletzte Ehegatte, in der Regel also nur
die Frau, anstellen, und (…) fand die Anfechtung wol regelmässig erst nach dem
Tode des Mannes statt, vorausgesetzt dass die Frau, um keine rechte Gewere
enstehen zu lassen, binnen Jahr und Tag nach Kenntinissnahme von der Verfügung
ihren Widerspruch zu erkennen gegeben hatte»: cfr. Schroeder, Das fränkische
eheliche Güterrecht im Mittelalter,
Stettin, Danzig, Elbing, 1871, p. 29, con riferimento all’antico diritto
della Franconia. Nel senso che l’alienazione dell’intero patrimonio comune (Veräuβerung des gemeinschaftlichen
Vermögens) potesse essere dichiarata invalida a seguito di azione intentata
dalla moglie, per effetto del suo mancato assenso, cfr. Lange, Die
Rechts-Lehre von der Gemeinschaft der Güther unter denen teutschen Eheleuten,
zu Latein Communio Bonorum Conjugalis
genannt, aus ihren ächten Quellen und nach unverwerflichen Grundsätzen
erläutert, Beyreuth, 1766, p. 172; contra
Neuß, Theorie der Lehre von der ehelichen Gütergemeinschaft sowohl im
Allgemeinen als nach den besonderen Gewohnheiten im Herzogthume Berg,
Düsseldorf, 1808, p. 92 s., ad avviso del quale l’unico rimedio in caso di mala gestio da parte del marito era la
richiesta di attribuzione per via giudiziale del potere di amministrare la
comunione alla moglie, ciò che poteva essere fatto «wenn sie dazu tauglich
ist»; l’azione zur Rescission contro
il terzo sarebbe stata ammissibile solo in caso la moglie fosse stata in grado
di provare che il marito aveva agito fraudolentemente in suo danno (e, nel caso
di atti a titolo oneroso, in presenza della consapevolezza da parte del terzo
della frode). Sulla c.d. reclamatio
uxoria, che – ai sensi delle disposizioni del codice civile prussiano (cfr.
ALR, II, 1, §§ 387 ss.) – conferiva
«der Frau das Recht bezüglich beabsichtigter Verfügungen ihres Mannes gegenüber
Dritten, mit welchen sie vollzogen werden sollten, ihren Widerspruch zu
erklären, wodurch dieselbe unwirksam wurde» cfr. Dernburg, Deutsches
Familienrecht, in Das bürgerliche
Recht des Deutschen Reiches und Preuβens, Halle, 1903, nt. 2, p. 184
s., che cita al riguardo anche le disposizioni di diversi altri Partikularrechte. Con riguardo poi alla Errungenschaftsgemeinschaft del BGB (cioè ad una forma di comunione
immediata degli acquisti, prevista dalla legislazione germanica del 1900 quale
regime convenzionale: cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 142 ss.) va tenuto presente che, ai sensi dei §§ 1444 ss., dettati per
la Gütermeinschaft (comunione
universale convenzionale) e richiamati per la comunione degli acquisti dal §
1519 (ci si riferisce qui, ovviamente, alla versione del BGB in vigore sino al 1° luglio 1958), determinati atti dispositivi
sul Gesammtgut compiuti dal marito
senza il consenso della moglie erano senz’altro inefficaci: v. per tutti Schefold, Die Errungenschaftsgemeinschaft des Bürgerlichen Gesetzbuchs,
Stuttgart, 1899, p. 26 ss. Analogamente dispongono oggi i §§ 1427 e 1428 BGB in relazione a determinati atti
dispositivi compiuti da un coniuge senza il consenso dell’altro sul Gesamtgut oggetto del regime di
comunione convenzionale (Gütermeinschaft),
con richiamo alle disposizioni previste per i più gravi atti di disposizione
posti in essere da un coniuge senza il consenso dell’altro nel regime legale
(cfr. §§ 1366 ss. BGB, su cui v. per
un accenno Oberto, La comunione legale tra coniugi, II,
cit., p. 1304).
[9]
V. sul punto i richiami alla
giurisprudenza dell’Ottocento e del Novecento in Cornu, Les régimes
matrimoniaux, Paris, 1995, p. 460 s.
[10]
In relazione agli atti elencati
dagli artt. 1422, 1424 e 1425 c.c. fr.,
vale a dire le donazioni e le costituzioni di garanzie reali, le alienazioni di
(o le costituzioni di diritti reali su) beni immobili, aziende, beni mobili
registrati o diritti indisponibili derivanti da partecipazione a società, così
come la concessione di affitto di fondi rustici o locazione d’immobili ad uso
commerciale, industriale o artigianale. Per ciò che attiene agli altri beni
mobili, va precisato che la sicurezza dei terzi è garantita dalle présomptions de pouvoir previste dagli
artt. 221 e 222, secondo comma, del Code:
cfr. Terré e Simler, Droit
civil. Les régimes matrimoniaux, Paris,
1994, p. 378.
[11]
La dottrina unanime chiarisce sul
punto che trattasi di nullità relativa «car protectrice d’un intérêt
particulier: celui de l’époux qui n’a pas donné son accord», con la conseguenza
che l’invalidità non può essere fatta valere se non dal coniuge pretermesso e
neppure dal terzo acquirente (cfr. per tutti Flour
e Champenois, Les régimes matrimoniaux, Paris, 1995, p. 329; v. inoltre Terré e Simler,
op. cit., p. 379), caratterizzata dal
fatto di essere concessa non già ad una delle parti, ma ad un terzo (il coniuge
pretermesso, appunto): cfr. Terré
e Simler, op. cit., p. 380. Peraltro, la sua estensione è tale da
determinarne l’applicazione anche in caso di eccesso di potere rappresentativo rispetto
alla procura effettivamente conferita da un coniuge all’altro (cfr. Flour e Champenois,
op. loc. ultt. citt.). Sul carattere
relativo della nullità in discorso cfr. anche Savatier,
La communauté conjugale nouvelle en droit
français, Paris, 1970, p. 106 ss. Sulla distinzione tra nullità relativa e
assoluta nel diritto francese v. per tutti Ghestin,
Le contrat, in Ghestin (sous la direction de), Traité de droit civil. Les obligations,
Paris, 1980, p. 619 ss., 636 ss., 667 ss. Sulla (non) distinzione tra nullité e annulation del contratto in diritto francese, sui rapporti con il
concetto di nullità ipso iure e di
inesistenza, nonché sulle differenze del sistema di invalidità negoziale
d’Oltralpe rispetto a quello italiano cfr., anche per gli ulteriori richiami, Pagni, Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela
costitutiva, Milano, 1998, p. 71 ss., 88 ss.
[12]
Cfr. Flour e Champenois,
op.cit., p. 308 s., 310. Anche Colomer,
Droit civil. Régimes matrimoniaux, Paris, 1992, p. 242 osserva che l’introduzione
della nullità ha fatto sì che «le domaine de la fraude s’est substantiellement
retreci». Sul carattere sussidiario dell’azione fondata sulla frode v. inoltre Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés,
Orléans, 2009, p. 175 ss., 177.
[13]
Cfr. Flour e Champenois,
op. cit., p. 332 ss.; Cornu, Les régimes matrimoniaux, cit., p. 463.
Alcuni Autori pongono peraltro in rilievo che, in caso di frode non rientrante
tra le ipotesi di cui all’art. 1427 del Code,
la nullità dell’atto conseguirebbe solo al caso in cui il terzo «a connu la
fraude commise par l’époux» (cfr. Ponsard,
in Aubry e Rau, Droit civil
français, VIII, Paris, 1973, p. 375). Va inoltre notato che il ruolo della frode
ha assunto carattere ulteriormente residuale anche rispetto all’azione di
responsabilità, prevista dall’art. 1421, primo comma, prima parte, c.c. fr. (menzionata immediatamente di
seguito nel testo): cfr. Cornu, Les régimes matrimoniaux, cit., p. 461.
[14]
Per questa lettura della norma
citata, già presente nella versione dell’art. 1424 anteriore alla riforma del
1985 (perché introdotta da quella del 1965), cfr. Savatier, La
communauté conjugale nouvelle en droit français, cit., p. 107. Una sanzione
del genere potrebbe forse essere utilmente introdotta anche nel nostro
ordinamento, anche se, per evitare palesi ingiustizie a danno del terzo, essa
andrebbe probabilmente contemperata con i criteri in tema di pagamento al
creditore apparente.
[15]
«Artículo 1390. Si como
consecuencia de un acto de administración o de disposición llevado a cabo por
uno solo de los cónyuges hubiere éste obtenido un beneficio o lucro exclusivo
para él u ocasionado dolosamente un daño a la sociedad, será deudor a la misma
por su importe, aunque el otro cónyuge no impugne cuando proceda la eficacia
del acto». «Artículo 1391. Cuando el cónyuge hubiere realizado un acto en
fraude de los derechos de su consorte será, en todo caso, de aplicación lo
dispuesto en el artículo anterior y, además, si el adquirente hubiere procedido
de mala fe, el acto será rescindible». Sul tema cfr. per tutti Aviles Garcia, Libertad e igualdad en la nueva sociedad de gananciales, Madrid,
1992, p. 87 ss., 118 ss.; A.M. López,
Montés e Roca, Derecho de familia, Madrid, 1992, p. 242
s.; Lacruz Berdejo e Sancho Rebullida, Derecho de familia, Barcelona, 1982, p. 459 ss., 475 ss.
[16]
Sul punto v. per tutti de Page, Le régime matrimonial, Bruxelles, 2008, p. 156 ss.
[17]
Sul punto cfr. infatti quanto disposto dal § 1379 BGB,
che prevede un preciso dovere di informazione sulla consistenza patrimoniale
dei coniugi, non solo al momento dello scioglimento del regime, ma anche in
caso di richiesta anticipata di Ausgleich da parte di uno di essi.
[18]
Ed infatti cfr. quanto stabilito dai commi secondo
e terzo del § 1375 BGB, a mente dei quali si imputano al patrimonio
finale dei coniugi anche, in linea di massima, le attribuzioni patrimoniali
effettuate a titolo gratuito, così come gli atti di dispersione del patrimonio,
ovvero ancora gli atti fraudolentemente posti in essere al fine di danneggiare
l’altro coniuge, ad eccezione di quelli cui quest’ultimo abbia espressamente
consentito.
[19]
Cfr. il § 1381 BGB. Ciò avviene, per esempio, nel caso in cui il coniuge che la pretende
abbia colpevolmente omesso, per un lungo periodo, di adempiere ai suoi doveri
patrimoniali.
[20]
Cfr. ad es. Börger e Engelsing,
Eheliches Güterrecht, Baden-Baden,
2005, p. 79 ss., i quali rimarcano anche che, secondo la c.d. Einzeltheorie, l’opinione prevalente in
dottrina e in giurisprudenza estende la regola di cui al § 1365 BGB, testualmente riferita alla sola
ipotesi di alienazione dell’intero patrimonio, al caso di alienazioni di
singoli beni o quote che, per la loro rilevanza, possa dirsi rappresentino «im
Wesentlichen das ganze Vermögen». Tale situazione viene usualmente ritenuta
esistente quando il valore del bene o della quota alienati supera il 70% del
valore (al netto dei debiti) dell’intero patrimonio del coniuge disponente. Si
precisa poi anche che, nella predetta valutazione, l’esistenza e l’entità della
controprestazione non svolgono alcun ruolo. Più alienazioni separate possono
rilevare a tal fine, se appaiono preordinate a raggiungere una sicura «unità di
scopo» (Zweckeinheit) e se si
compiono in una situazione di contestualità fattuale e temporale. Ulteriori
approfondimenti (oltre che rinvii alla casistica giurisprudenziale) in Reiners, Die Errungenschaftsgemeinschaft des gemeinspanischen Código Civil und die
Zugewinngemeinschaft des BGB – Eine rechtsvergleichende Darstellung, Bonn,
2001, p. 110 ss.; Thiele e Rehme, J. von Staudingers Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch mit
Einführungsgesetz und Nebengesetzen, Viertes Buch, Familienrecht, §§ 1363-1563,
Berlin, 2000, p. 41 ss.
[21]
Cfr. Oberto, La comunione
legale tra coniugi, I, cit., p. 261 ss.
[22]
Corte cost., 10 marzo 1988, n.
311, in Giur. cost., 1988, I, p. 1299; in Giust. civ., 1988, I,
p. 1388, con nota di Natucci; in Nuova
giur. civ. comm., 1988, I, p. 561, con nota di Marti; in Dir. fam., 1988, p. 715; in Riv. not.,
1988, II, p. 1306; in Foro it., 1990, I, c. 2146; in Vita notar.,
1988, p. 640. Sulla decisione v. amplius
Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 261 ss., II, p. 1202
ss.
[23]
Cfr. Oberto, La comunione
legale tra coniugi, I, cit., Cap. II, §§ 3 ss.
[24]
Oberto, La comunione
legale tra coniugi, I, cit., p. 261 ss.
[25]
Così Bocchini, L’amministrazione
dei beni in comunione legale, in Dir.
priv., 2000, p. 61, il quale soggiunge che «Anche in materia di
rappresentanza senza potere, secondo comune affermazione, il. contratto è
inefficace in attesa della ratifica dell’interessato, anche se la legge parla
di invalidità (artt. 1398 e 1399)».
[26]
Cfr. F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, in Trattato
di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, continuato da
Mengoni, Milano, 1979, p. 141 ss., 146 ss. Cfr. inoltre Sacco, Regime patrimoniale e convenzioni, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro,
Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 335 s., per cui l’art. 184, con la
(lieve) sanzione dell’annullabilità in luogo di quella (dura) dell’inefficacia
degli atti dispositivi di cose altrui, si applicherebbe solo ai casi in cui la
proprietà del coniuge pretermesso non sia «esplicitata nel titolo», o non sia
«protetta dalla trascrizione del titolo stesso»; Mazzola e Re, Proposta di un diverso modo d’intendere la
comunione dei beni tra coniugi, in Riv.
notar., 1978, p. 756 ss.; Santosuosso,
Delle persone e della famiglia. Il regime
patrimoniale della famiglia, in Commentario
del codice civile, redatto a cura di magistrati e docenti, I, 1, III,
Torino, 1983, cit., p. 265. Anche secondo Barbiera, La comunione
legale, in Trattato di diritto privato,
diretto da Rescigno, 3, II, Torino, 1996, p. 547, l’applicabilità delle
disposizioni contenute nell’art. 184 c.c. è circoscritta agli atti del coniuge
titolare del diritto sul bene; se invece l’atto trasgressivo della norma di cui
all’art. 180, secondo comma, c.c. è compiuto dal coniuge non titolare, esso è
inefficace.
[27]
Considerano più corretto attenersi
al dato normativo A. e M. Finocchiaro,
Diritto di famiglia, I, Milano, 1984,
p. 1080 ss.; Natucci, Gli atti di amministrazione straordinaria
del coniuge in regime di comunione legale, Nota
a Corte cost., 10 marzo 1988, n. 311, in Giust. civ., 1988, I, p.
117 ss., 140 ss.; A. Giusti, L’amministrazione dei beni della comunione
legale, cit., p. 205 ss.; Gionfrida
Daino, In tema di comunione coniugale e atti di disposizione da parte del
singolo coniuge (a proposito di una sentenza delle Corte costituzionale),
in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990,
p. 259 ss. Anche Regine, Regime degli atti dispositivi di beni
immobili in comunione legale compiuti da uno solo dei coniugi, Nota a
Cass., 2 febbraio 1995, n. 1252, in Nuova
giur. civ. comm., 1995, I, p. 1055, osserva che la comunione prescinde
rigorosamente dal dato formale, mentre «l’intestazione in capo ad uno solo dei
coniugi costituisce un dato non risolutivo nell’ottica dell’accertamento in
ordine alla titolarità sostanziale, tenuto conto che esso passa attraverso
l’interazione fra l’esame dei Registri Immobiliari e quello dello Stato
civile».
[28]
Cfr. Corte cost. 17 marzo 1988, n.
311, cit.
[29]
Da notare che, nella specie, il
coniuge alienante aveva acquistato l’immobile dichiarando falsamente nel rogito
di essere separato dalla moglie, e cosi riuscendo a procurarsi un titolo che
gli aveva consentito di trascrivere l’acquisto soltanto a suo nome.
[30]
Cass., 2 febbraio 1995, n. 1252,
cit. Da notare sul punto la posizione di A. Ceccherini,
Trasferimento di bene immobile in
comunione legale senza il consenso dell’altro coniuge, Nota a Cass., 2
febbraio 1995, n. 1252, in Corr. giur.,
1995, p. 719 ss., il quale critica la valutazione compiuta da tale decisione,
secondo cui l’art. 184 c.c. «disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge
pretermesso in modo più favorevole al primo, con il regime degli effetti
tendente alla conservazione del negozio». Ad avviso di tale Autore, infatti,
«lungi dal derogarsi ai princìpi sulla comunione in danno del coniuge
pretermesso, si è notevolmente rafforzata la posizione di quest’ultimo,
attribuendogli un’azione di annullamento. E tale azione (…) non ha la sua
premessa nell’atto di disposizione di un diritto altrui (in relazione al quale
il coniuge pretermesso è privo di interesse, giacché il disponente, anche in
tal caso, non ha trasferito efficacemente se non il suo diritto di comunione),
che non varrebbe a giustificarla, ma invece nella violazione di una norma
diversa, sull’amministrazione (sembra inevitabile il richiamo alle ipotesi
previste dall’art. 322 c.c., in relazione agli artt. 316 e 320, comma 2 c.c.,
che prevede l’annullabilità degli atti concernenti beni dei figli minori
compiuti da uno dei genitori senza il consenso dell’altro o autorizzazione, e
agli artt. 377, 396 e 424 c.c. per gli atti del tutore e del curatore)».
Dunque, se si è ben compreso, l’azione di annullamento, secondo il citato
Autore, dovrebbe «convivere» con la tradizionale tutela costituita dalla
declaratoria di inefficacia della alienazione della quota del coniuge
pretermesso (visto che, bene o male, l’altro coniuge tutto il bene ha inteso
vendere, e non certo la sola sua quota). Ma allora non si comprende quale
interesse avrebbe il coniuge pretermesso ad azionare una tutela assai più
«debole», quale quella rimessa ad un’azione prescrivibile in un breve lasso di
tempo e paralizzabile mediante un’eventuale eccezione che facesse leva su di
una supposta convalida.
[31]
Cfr. Bocchini, L’amministrazione
dei beni in comunione legale, cit., p. 63.
[32]
Su cui v. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1169 ss.
[33]
Cfr. Cass., 18 giugno 1992, n.
7524, in Dir. fam. pers., 1993, p. 75; ivi, 1995, p. 55, con nota
di Quaranta, che ha concesso alla
moglie l’azione d’annullamento, ex
art. 184 c.c., del preliminare di vendita stipulato dal marito in relazione ad
un fondo edificato, acquistato in costanza di regime legale dal solo marito e
sul quale le costruzioni erano state realizzate in epoca successiva
all’acquisto, manente communione;
Cass., 17 dicembre 1994, n. 10872, in Giust. civ., 1995, I, 358, con
nota di Triola; in Nuova giur.
civ. comm., 1995, I, p. 889, con nota di Regine
(secondo cui «Il contratto preliminare di vendita di un bene immobile
rientrante nella comunione legale dei coniugi, stipulato da uno di essi senza
la partecipazione o il consenso dell’altro, non è assolutamente inefficace nei
confronti della comunione, ma soggetto all’annullamento da parte del coniuge
non consenziente, ai sensi dell’art. 184 cod. civ. Il termine per la
prescrizione dell’azione di annullamento, fuori dell’ipotesi di conoscenza
effettiva dell’atto, decorre dalla trascrizione della domanda ex art. 2932 cod. civ.»); Cass., 21
dicembre 2001, n. 16177, in Nuova giur.
civ. comm., 2003, I, p. 55, con nota di Valignani;
in Familia, 2002,
p. 890 ss., con nota di Gnani; in Riv.
not., 2002, p. 976, con nota di Vocaturo,
che ha stabilito che il preliminare di vendita di un bene immobile della
comunione stipulato da un solo coniuge «non è (…) inefficace nei confronti
della comunione, ma solamente esposto all’azione di annullamento da parte del
coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è
ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva
dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento
della comunione; ne consegue che, finché l’azione di annullamento non venga
proposta, l’atto è produttivo di effetti nei confronti dei terzi». Per
l’annullabilità del preliminare si pronuncia anche (in motivazione) Cass., 28
ottobre 1983, n. 6386, in Giust. civ., 1984,
I, p. 404; Riv. giur. edil., 1984, I, p. 50 (su cui cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 725, II, cit., p.
1359). La già ricordata Cass., 8 gennaio 2007, n. 88, cit., ha poi sancito
l’ammissibilità di un trasferimento iussu
iudicis ex art. 2932 c.c., nella sua interezza, di un immobile della
comunione promesso in vendita dal solo marito, aggiungendo che «la mancata
partecipazione di un coniuge ad un atto dispositivo di beni della comunione ex art. 177 c.c. non esclude che dei
correlativi effetti anch’egli risenta ove non abbia tempestivamente esercitato
l’azione di annullamento di quell’atto. Pervenendosi, altrimenti, all’assurdo
di ritenere che, nella specie, da un pur valido (perché non invalidato dal
coniuge pretermesso) preliminare di vendita derivi una obbligazione di stipula
del definitivo non validamente eseguibile, perché facente carico (in tesi) ad
uno soltanto dei coniugi, mentre occorre il consenso di entrambi per la stipula
dell’atto pubblico di trasferimento di beni facenti parte di quella particolare
comunione (c.d. “senza quote”) che è la comunione legale di cui al citato art.
177 c.c.» (sul tema della comunione «senza quote» cfr. peraltro quanto
illustrato in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 225 ss., 261 ss.; per considerazioni critiche sulla condanna del
coniuge non agente, in solido con il coniuge promittente venditore, al
risarcimento dei danni in favore del promissario acquirente v. ibidem, p. 728 ss.).
Per la giurisprudenza
di merito v. App. Napoli, 15 maggio 1981, in Giur. merito, 1984, p. 98, sull’annullabilità di una promessa di
vendita di un immobile di edilizia economica e popolare. Secondo Trib. Catania,
29 luglio 1986, in Dir. fam., 1987, I, p. 243, «Qualora un bene immobile
ricada nella comunione legale tra coniugi, il contratto preliminare di vendita
stipulato da uno solo di essi, senza il consenso dell’altro, deve considerarsi
inefficace; ne consegue che il promittente acquirente non può ottenere
l’esecuzione in forma specifica del preliminare, neppure al limitato fine di conseguire
l’acquisto della quota del coniuge che il contratto preliminare ha
sottoscritto, dal momento che tale quota è indisponibile: può il terzo agire
soltanto per il risarcimento del danno, allorché il promittente venditore abbia
agito in qualità di procuratore dell’altro coniuge, senza essere munito del
potere di rappresentarlo». Cfr. poi anche App. Firenze, 13 gennaio 1993, in Giur. merito, 1994, p. 462, con riguardo
però ad un caso di comunione ordinaria tra coniugi in regime di separazione sul
bene promesso in vendita.
[34]
Cfr. Busnelli, La «comunione legale» nel diritto di famiglia
riformato, in Riv. notar., 1976, p. 48; Ricca,
Gli atti di amministrazione nel regime patrimoniale della famiglia, in
AA.VV., Studi sulla riforma del diritto di famiglia, Ricerca a cura
dell’istituto di diritto privato dell’Università di Messina, diretto da E.
Russo, Milano, 1973, p. 478. Per l’applicabilità dell’art. 184 c.c. al
contratto preliminare v. anche Mastropaolo,
Commento agli artt. 184-185 c.c., in Commentario al diritto italiano della famiglia,
a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 1992, p. 201; C.M. Bianca, Gli atti di straordinaria amministrazione, cit in Aa.Vv., La comunione legale, a cura
di C.M. Bianca, I, Milano, 1989, p. 604, 615 s.; Bruscuglia, L’amministrazione
dei beni della comunione legale, in Trattato
di diritto privato diretto da Bessone, IV, Il diritto di famiglia,
II, Torino, 1999, p. 302 s.; Bocchini,
L’amministrazione dei beni in comunione
legale, cit., p. 57; Anelli, L’amministrazione della comunione legale,
cit., p. 272 s.; Gnani, In tema di preliminare di vendita stipulato
da uno dei coniugi in regime di comunione legale, Nota a Cass., 21 dicembre
2001, n. 16177, in Familia, 2002, p.
896 s.; Valignani, L’amministrazione dei beni in comunione,
cit., p. 508. Quest’ultima Autrice rileva che la soluzione «si impone, secondo
il ragionamento della Suprema Corte, in quanto il preliminare, pur essendo di
per sé inidoneo a determinare l’immediata fuoriuscita del cespite d comunione,
integra il momento originario di una serie obbligatoria sequenziale e
successiva, il cui esito conclusivo necessitato è il trasferimento del bene,
per effetto della conclusione del definitivo o in forza della sentenza di cui
all’art. 2932 c.c.: in virtù dell’effetto conclusivo della sequenza, quindi, lo
stesso preliminare, che alla serie obbligatoria dà inizio, diviene atto
eccedente l’ordinaria amministrazione. (…) Anche la stessa lettera dell’art.
184 c.c. sembra decisamente deporre nel senso dell’annullabilità del preliminare
di vendita di un immobile comune: la norma infatti non parla specificamente di
atti di alienazione ma, con espressione ampia, idonea a ricomprendere anche il
preliminare, si riferisce a quegli atti che «riguardano» beni immobili (o
mobili registrati)»; v. inoltre Ead.,
Preliminare di vendita di immobile
facente parte della comunione legale, esecuzione forzata in forma specifica e
litisconsorzio necessario, Nota a Cass., Sez.
Un., 24 agosto 2007, n. 17952, in Corr. giur., 2008, p. 513 ss.; Carta, Il preliminare di vendita immobiliare e la speciale azione di
annullamento degli atti “abusivi” ex
art. 184 c.c., Nota a Cass., 8 gennaio 2007, n. 88, in Obbl. e contr., 2007, p. 907 ss. Sulla responsabilità del notaio
che roghi un atto pubblico (o che autentichi una scrittura privata) contenente
un preliminare di vendita di un bene in comunione da parte di un solo coniuge
cfr. Andrini, L’autonomia privata dei coniugi tra status e contratto. Le convenzioni
coniugali, Torino, 2006, p. 85 ss.
[35]
Cass., 21 dicembre 2001, n. 16177,
in Riv. notar., 2002, II, p. 971, con nota di Vocaturo; in Giust. civ., 2002, I, p. 2820; in Vita
notar., 2002, I, p. 335.
[36]
Così Valignani, Preliminare
di vendita di immobile facente parte della comunione legale, esecuzione forzata
in forma specifica e litisconsorzio necessario, cit., p. 515.
[37]
Sul tema cfr. Agnino, La sorte del contratto preliminare stipulato da un solo coniuge in
regime di comunione legale, Nota a Cass., 8 gennaio 2007, n. 88, in Corr. giur., 2007, p. 510; Carta, Il preliminare di vendita immobiliare e la speciale azione di
annullamento degli atti “abusivi” ex
art. 184 c.c., loc. ult. cit.; Di
Cristo, Contratto preliminare e comunione legale, Nota a Cass., 8 gennaio 2007, n. 88, in Fam. pers. succ., 2008, p. 405 ss.
[38]
V. inoltre quanto rimarcato Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 1341 ss.,
sull’applicabilità della sospensione ex
art. 2941, n. 8, c.c. all’azione di annullamento inter coniuges.
[39]
Cfr. Cass., Sez. Un., 24 agosto 2007,
n. 17952, cit.; il tema è stato affrontato in
Oberto, La comunione legale tra
coniugi, I, cit., p. 768 ss.
[40]
Cfr. Gnani, In tema di
preliminare di vendita stipulato da uno dei coniugi in regime di comunione
legale, cit., p. 898, ad avviso del quale «prescrittasi l’azione di
annullamento (del preliminare), è venuto meno il limite al potere del coniuge
di disporre validamente dell’intero cespite comune: la sua legittimazione ad
assumere un obbligo produttivo di effetti verso la comunione è ormai divenuta
piena, senza che più occorra l’intervento dell’altro comproprietario». Una
indicazione in questo senso sembrerebbe venire anche da Cass., 17 dicembre
1994, n. 10872, cit., ove si afferma che «l’efficacia del preliminare è
integrata dalla validità del vincolo obbligatorio alla stipulazione del
contratto definitivo ovvero ad ottenere una pronuncia ex art. 2932 c.c.
che, in quanto esecutiva di un obbligo valido nei confronti del coniuge
dissenziente, è essa stessa opponibile a detto coniuge. Se il preliminare è
opponibile al coniuge non più legittimato all’azione di annullamento per
intervenuta prescrizione del relativo diritto, al coniuge stesso diviene
opponibile l’intera sequenza obbligatoria che causalmente deriva
dall’opponibilità e dall’efficacia del preliminare. Il contratto definitivo, o
la sentenza che ad esso si sostituisca con effetto costitutivo, in quanto
esecuzione di un obbligo valido ed efficace nei confronti del coniuge
dissenziente, non può essere autonomamente annullabile per la stessa causa che
ha colpito il preliminare, ed in relazione alla quale l’azione di annullamento
è caduta per prescrizione. Quand’anche nella doppia causa del definitivo si
privilegi quella tipica della vendita immobiliare, l’autonomia negoziale
assumerebbe rilievo per vizi autonomamente ascrivibili al negozio definitivo,
non per vizi, e correlativi diritti già risalenti al preliminare e dei quali
sia stata persa la titolarità e la disponibilità per prescrizione. La certezza
dei rapporti giuridici, che alla previsione di un termine prescrizionale si
connette, verrebbe violata qualora lo stesso diritto fosse reiteratamente
esercitabile sia con riferimento al contratto preliminare, sia con riferimento
alla situazione definitiva, una volta che con riferimento al primo negozio la
prescrizione si fosse verificata». Su queste basi, la S.C. ha rigettato
l’opposizione esercitata ex art. 404, comma primo, c.p.c. dal coniuge
pretermesso contro la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 2932 c.c. in un
giudizio dove non era stato convenuto insieme al coniuge promittente, rilevando
che l’azione di annullamento del preliminare si era ormai prescritta (il
decorso del termine annuale, nel caso di specie, è stato fatto decorrere, dalla
data di trascrizione della domanda giudiziale). Quest’ultimo peculiare caso è
però, obiettivamente, ben diverso da quello discusso nel testo. Nell’ipotesi,
invero, di sequenza preliminare-definitivo si hanno due distinti contratti,
ciascuno dei quali rappresenta un atto di straordinaria amministrazione su beni
della comunione: entrambi questi momenti possono pertanto formare,
indipendentemente l’uno dall’altro, oggetto di impugnativa ex art. 184 c.c. Nel caso, invece, della sequenza
preliminare-sentenza costitutiva, il secondo termine del binomio non può qualificarsi
alla stregua di un «atto di amministrazione» dei beni della comunione, posto
che l’effetto lesivo per il patrimonio comune non deriva qui più da un negozio
giuridico, ma da una decisione del giudice.
[41]
V. supra, § 1, in fine.
[42]
Cfr. Cass., 24 novembre 2000, n.
15177, in Fam. dir., 2001, p. 385,
con nota di Frascaroli Santi; in Giust. civ., 2001, I, p. 2173; in Riv. not., II, p. 725, secondo la quale
«In regime di comunione legale tra coniugi gli atti di disposizione di beni
immobili compiuti da uno solo dei coniugi, senza il necessario consenso
dell’altro, sono validi ed efficaci e sottoposti alla sola sanzione
dell’annullamento; il coniuge che non ha prestato il consenso, né ha esperito
l’azione di annullamento, a norma dell’art. 184 c.c., assume, attraverso
l’implicita convalida, la posizione di contraente occulto; intervenuto il
fallimento del coniuge comunista che non ha partecipato all’atto è ammissibile
l’azione revocatoria fallimentare per la declaratoria di inefficacia dell’atto
in relazione alla quota dell’immobile spettante al fallito». Nel medesimo
ordine d’idee si colloca anche la successiva Cass., 29 ottobre 2008, n. 25984,
secondo cui «In tema di comunione legale tra coniugi, tutti gli atti di
disposizione di beni immobili ad essa appartenenti, compiuti da uno solo dei
coniugi, senza il necessario consenso dell’altro ovverosia in violazione della
regola dell’amministrazione congiunta, sono validi ed efficaci e sottoposti
alla sola sanzione dell’annullamento ai sensi dell’art. 184 cod. civ., in forza
dell’azione proponibile dal coniuge entro i termini previsti dalla stessa
norma; tale principio vale, a maggior ragione, nell’ipotesi in cui il
trasferimento del bene,come nella specie, è già avvenuto per atto pubblico
sottoscritto da tutte le parti e la scrittura privata, sottoscritta solo da un
coniuge, si sia limitata a prevedere un diverso e maggiore prezzo ed una
diversa modalità di pagamento, ciò escludendo la sua natura di atto di
disposizione o di straordinaria amministrazione ed invero ricorrendo
l’applicabilità della regola dell’amministrazione disgiunta ai sensi dell’art.
180, primo comma, cod. civ.». Naturalmente, l’espressione «sono validi ed
efficaci» – certamente impropria, tenuto conto del fatto che l’annullabilità è
tradizionalmente riconducibile ad una delle fattispecie paradigmatiche
dell’invalidità negoziale – va intesa nel senso che, in difetto di convalida o
di tempestivo esperimento dell’azione d’annullamento, il contratto è in grado
di produrre definitivamente i suoi effetti. Consapevole della differenza tra
validità ed efficacia si mostra invece, ad es., Cass., 14 dicembre 1978, n.
5975, in Riv. not., 1979, II, p. 554:
«La rinuncia ad una prestazione contrattuale, espressa da persona inabilitata,
quale beneficiaria di un contratto a favore di terzo, costituisce atto di
straordinaria amministrazione, che, se compiuto senza l’osservanza delle
prescritte formalità e senza l’assistenza del curatore, è annullabile ai sensi
dell’art 427, secondo comma, cod. civ. L’annullamento può essere pronunciato
solo su istanza dell’inabilitato, o dei suoi eredi o aventi causa, con la
conseguenza che, in difetto di tale istanza, la rinunzia, ancorché invalida,
rimane efficace».
[43]
Il richiamo all’art. 1442 c.c.
sarebbe sicuramente precluso qualora si intendesse ricondurre il capoverso
dell’art. 184 c.c. all’istituto della decadenza, anziché a quello della
prescrizione. Nel senso che «All’istituto della decadenza non è applicabile la
regola quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum, non potendo rivivere
sotto forma di eccezione il diritto ormai estinto, perché non fatto valere nel
termine perentorio» cfr. Cass., 27 giugno 1969, n. 2324, in Previd. soc., 1969, p. 1593. Sulla
regola di cui all’art. 1442 c.c. e per un’approfondita dimostrazione storica
del relativo carattere generale cfr. G. Gabrielli,
Temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum, in Riv. dir. civ., 2008, p. 713 ss.
[44]
Cfr. Oberto, La comunione
legale tra coniugi, II, cit., p. 1350 ss.
[45]
Cfr. Cass., 19 febbraio 1996, n.
1279, in Vita not., 1996, I, p. 873;
in Giur. it., 1997, p. 962, con nota
di Guttman.
[46]
Cass., 27 ottobre 2003, n. 16099,
in Giust. civ., 2004, I, p. 53; in Vita not., 2004, I, p. 275; in Contratti, 2005, p. 68, con nota di Gelli; la Cassazione ha stabilito che «l’azione
di annullamento degli atti di disposizione di beni immobili o mobili registrati
posti in essere da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro è
soggetta alla prescrizione annuale prevista dall’art. 184 c.c. e rispetto ad
essa non trova applicazione, neppure in via analogica, la regola posta
dall’ultimo co. dell’art. 1442 c.c. in tema di azione generale di annullamento
dei contratti, secondo cui l’annullabilità può essere opposta dalla parte
convenuta per l’esecuzione del contratto, anche se è prescritta l’azione per
farla valere». In motivazione leggesi che «una interpretazione estensiva della
(...) regola dell’art. 1442 c.c., fino a ritenervi implicitamente contenute le
(...) ipotesi di annullabilità degli atti, compiuti da un coniuge senza il
necessario consenso dell’altro, di cui all’art. 184 c.c., trova ostacolo non
superabile nella esposta singolarità della comunione legale tra coniugi e nella
specialità del regime di circolazione dei beni, che ne sono oggetto, di cui
ciascun coniuge ha il potere di disporre, solo esaustivamente riconoscendosi al
coniuge pretermesso nell’atto dispositivo, quando afferente a beni immobili o
mobili registrati, una prescrittibile azione di annullamento e non anche una
imprescrittibile eccezione di annullamento, contrastante – quest’ultima – con
la sopraindicata salvaguardia degli opposti interessi in campo». Alle medesime
conclusioni perviene – ancorché meramente in obiter – anche la successiva Cass., 8 gennaio 2007, n. 88, in Obbl. e contr., 2007, p. 907, con nota di Carta; in Corr. giur., 2007, p.
506, con nota di Agnino; in
Fam. pers. succ., 2008, p. 405, con nota di Di Cristo.
[47]
Come attestato dal fatto che lo
stesso art. 1442 c.c., dopo aver preso in considerazione (ai fini della
disciplina della decorrenza del termine prescrizionale) le ipotesi di
annullabilità contemplate nel Capo XII del codice, si preoccupa, al terzo
comma, di indicare quale sia il criterio generale di individuazione del dies
a quo «negli altri casi»: cfr. Castagnaro,
Annullabilità degli atti compiuti senza
il necessario consenso del coniuge in regime di comunione legale e disciplina
della prescrizione, in Familia,
2004, p. 256.
[48]
Cfr. Castagnaro, Annullabilità
degli atti compiuti senza il necessario consenso del coniuge in regime di
comunione legale e disciplina della prescrizione, cit., p. 256 ss.; v.
inoltre Gionfrida Daino, In tema di comunione coniugale e atti di disposizione da parte del
singolo coniuge (a proposito di una sentenza delle Corte costituzionale),
cit., p. 286 ss., 290; Paladini, La comunione legale come “proprietà
solidale”: le conseguenze sistematiche e applicative, Nota a Cass., 24 agosto 2007, n. 17952, in Fam. dir.,
2008, p. 693 s.; Id., Della comunione legale, cit., p. 115; Gelli, Perpetuità dell’eccezione di annullamento e regime degli atti compiuti
da un coniuge senza il necessario consenso del’altro coniuge, Nota a Cass.,
27 ottobre 2003, n. 16099, in Nuova giur.
civ. comm., 2005, p. 72 ss. Anche Dossetti,
Preliminare di vendita di un bene comune
e posizione del coniuge non stipulante, in Contratti, 2008, p. 346, perviene alle medesime conclusioni,
ponendo in luce, in primo luogo, che l’azione di annullamento di cui all’art.
184 c.c. è unanimemente considerata una vera e propria azione di annullamento,
e il termine annuale un termine di prescrizione e non di decadenza. L’Autrice
rileva inoltre che «uno degli gli aspetti peculiari dell’azione di annullamento
di cui all’art. 184 comma 1 c.c., è costituito dal fatto che titolare ne è un
soggetto rimasto estraneo al contratto; questa “anomalia”, però, dipende dalla
scelta del legislatore di evitare la più grave sanzione dell’inefficacia per
l’atto di disposizione compiuto da un coniuge senza averne il potere – che
sarebbe invocabile da chiunque e imprescrittibile –, e di degradare la
violazione a mancanza di un requisito di regolarità dell’atto. La ragione di
questa scelta sta, come è noto, in una esigenza di tutela del terzo estraneo
alla coppia, e la stessa funzione è svolta dalla brevità del termine di
prescrizione, rispetto a quello generale di cinque anni. Non bisogna però
confondere la ratio di alcune
caratteristiche “speciali” della disciplina dell’azione con la sua funzione
propria e principale, che è quella di tutelare il coniuge pretermesso: dunque,
tutto quanto può costituire limite alla tutela del coniuge deve essere
espressamente previsto, o almeno giustificato in modo convincente». Rimarca Carta, Il preliminare di vendita immobiliare e la speciale azione di
annullamento degli atti “abusivi” ex
art. 184 c.c., Nota a Cass., 8 gennaio 2007, n. 88, in Obbl. e contr.,
2007, p. 907 ss., che «la specialità della comunione dei beni non implica
necessariamente l’esaustività dell’insieme di disposizioni che la regolano (…).
Il riconoscimento della specialità dell’istituto in questione sembra potersi
ravvisare piuttosto in un certo atteggiamento dell’interprete che, dinanzi alla
divergenza tra taluni profili di disciplina della comunione legale e i principi
del nostro ordinamento giuridico, segua una ricostruzione coerente con la ratio interna della comunione. Non v’è
dubbio, allora, che la specialità dell’istituto della comunione dei beni non
precluda qualunque forma di eterointegrazione della relativa disciplina».
[49]
In questo senso appaiono unanimemente
orientate anche la dottrina e la giurisprudenza francesi, in relazione al
termine di cui al secondo comma dell’art. 1427 c.c. fr.: cfr. per tutti Flour
e Champenois, op. cit., p. 330; Terré
e Simler, op. cit., p. 380.
[50]
Oberto, La comunione
legale tra coniugi, I, cit., p. 768 ss.
[51]
Oberto, La comunione
legale tra coniugi, I, cit., p. 750 ss., 756 ss.
[52]
Sulla presenza di un
litisconsorzio necessario in tale ipotesi cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 768 ss.
[53]
Così Castagnaro, Annullabilità
degli atti compiuti senza il necessario consenso del coniuge in regime di
comunione legale e disciplina della prescrizione, cit., p. 260.
Analogamente Gionfrida Daino, In tema di comunione coniugale e atti di disposizione da parte del singolo
coniuge (a proposito di una sentenza delle Corte costituzionale), cit., p.
286 ss.; Barbiera, La comunione legale, cit., p. 552; Galasso, Del regime patrimoniale
della famiglia, I, Art. 159-230, in Commentario
del Codice Civile Scialoja-Branca a cura di Galgano,
Bologna-Roma, 2003, p. 372.
[54]
Contra Valignani, L’amministrazione
dei beni in comunione, cit., p. 517 s., secondo cui «un’interpretazione
estensiva della regola di cui all’art. 1442 c.c., fino a ritenervi
implicitamente contenuta anche l’ipotesi di annullabilità disciplinata
dall’art. 184 c.c.», troverebbe «un ostacolo insuperabile nella particolare
natura della comunione legale e nella specialità del regime di circolazione dei
beni che ne fanno parte, dei quali ciascun coniuge ha il potere di disporre,
essendo unicamente accordata al coniuge pretermesso una “prescrittibile” azione
di annullamento e non anche una “imprescrittibile” eccezione di annullamento,
che contrasterebbe con la salvaguardia dei contrapposti interessi in campo».
[55]
Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit.,
p. 1346 ss.
[56]
Cfr. Cass., 28 luglio 1987, n.
6542, in Giust. civ., 1988, I, p.
454; in Riv. not., 1988, II, p. 971;
Cass., 5 maggio 2003, n. 6755.