CARRERA, Disposizioni di trust in sede di separazione o divorzio per mantenere un figlio agli studi, relazione presentata al «Laboratorio di trust» organizzato dal «Gruppo torinese del trust», tenutosi a Torino il 21 novembre 2003 (il testo, cortesemente messo a disposizione dello scrivente in forma elettronica dall’Autrice, viene qui riportato in versione integrale):

 

«DISPOSIZIONI DI TRUST IN SEDE DI SEPARAZIONE O DIVORZIO PER MANTENERE UN FIGLIO AGLI STUDI

 

La  fattispecie della quale mi occupo si inquadra nel contesto della patologia di una coppia ritualmente unita in matrimonio ed in fase di separazione o divorzio giudiziale.

L’antecedente dal quale prende spunto l’idea della costituzione di un atto di trust, è la già avvenuta adozione dei provvedimenti provvisori da parte del Presidente del Tribunale investito del giudizio di separazione o divorzio e la prosecuzione della causa avanti il Giudice Istruttore a fronte delle pretese della moglie di veder riconosciuto per sé e per la figlia un assegno di mantenimento più consistente.

Va premesso che l’unica figlia della coppia, convivente con la madre, è già maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente in quanto studentessa liceale prossima all’iscrizione ad un corso universitario.

Il marito resiste in giudizio alle pretese della moglie, che ritiene eccessive, pur manifestando ampia disponibilità rispetto ad un maggior contributo di mantenimento per la figlia.

Nel corso del giudizio, caratterizzato come l’esperienza insegna, da forte conflittualità, il marito, che vorrebbe addivenire ad un accordo con la moglie per porre fine al giudizio, manifesta la propria disponibilità a mettere a disposizione della figlia le somme dal medesimo percepite a titolo di trattamento di fine rapporto, allo scopo di finanziare la carriera universitaria della ragazza.

Il livore non ancora sopito fra i coniugi, non dispone però favorevolmente il marito a lasciare la gestione della somma, peraltro consistente, direttamente alla moglie, e nel contempo, la giovane età della figlia e l’inesperienza della stessa suscitano nel genitore legittime riserve in ordine alla donazione delle somme direttamente alla ragazza che potrebbe amministrarle non responsabilmente ed oculatamente.

D’altra parte, la moglie non può ritenersi assicurata dalla mera promessa del marito e nutre la legittima preoccupazione che la somma possa essere nel corso del tempo necessario alla figlia a completare il ciclo di studi, erosa dal marito a fini diversi da quelli enunciati.

L’esame delle rispettive posizioni delle parti induce i difensori a proporre l’istituzione di un trust, forti della convinzione che costituisca lo strumento più duttile e maggiormente garante degli interessi e dello scopo che le parti si prefiggono di realizzare.

E’ a tutti noto e solo per maggior precisione si ricorda che il trust, tipico istituto giuridico dei paesi di diritto anglosassone o di common law, ha trovato riconoscimento del nostro Paese con la legge 16 ottobre 1989 n. 364, entrata in vigore il 1 gennaio 1992 che ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985. L’Italia fu, con premura abbastanza sorprendente, il secondo Stato a depositare il proprio strumento di ratifica della Convenzione, subito dopo la Gran Bretagna.

Orbene, per tornare al caso oggetto di questo laboratorio, si è consigliato alle parti l’istituzione di un trust autodichiarato che prevede, cioè, l’identità soggettiva fra disponente e trustee e manca dunque del trasferimento ancorché non dell’effetto segregativo che è il collante del trust o, se si vuole, l’effetto naturale di qualsiasi trust e che impedisce la confusione fra beni personali del trustee e  beni del trust e della inaggredibilità del trust found sia da parte dei creditori del trustee che da parte dei creditori del beneficiario. 

Il marito riveste dunque, nel nostro caso, non esce di scena come normalmente accade per i trust non autodichiarati ed assume la duplice veste di disponente (o settlor), trattandosi del soggetto dal quale proviene la volontà di istituire il trust, e di trustee, ovvero del soggetto che con l’assunzione dell’ufficio si obbliga ad amministrare e gestire con la diligenza del bonus pater familias (art. 1176 Cc) le somme conferite in trust, in funzione della realizzazione dello scopo del trust e nell’interesse del beneficiario (la figlia).  Il trustee deve garantire le ragioni del beneficiario adempiendo alle obbligazioni imposte nell’atto istitutivo.

In caso di premorienza o perdita della capacità naturale o legale in capo al trustee, potrebbe prevedersi già nell’atto istitutivo la sua sostituzione, magari individuandosi l’eventuale sostituto nella persona del trustee professionista, ovvero del legale fiduciario che lo assiste nella causa di separazione o divorzio.

Il beneficiario (o beneficiary), che è nel nostro caso identificato fin dal momento dell’istituzione del trust è il destinatario immediato delle utilità e dei valori prodotte dal trust found, ovvero delle somme segregate in trust, ed è beneficiario nei limiti prefissati nell’atto istitutivo. È titolare di un diritto che ha natura personale e che gli consentirà di agire nel caso in cui il trustee non ottemperi alle prescrizioni contenute nell’atto istitutivo, potrà anche richiedere all’autorità giudiziaria la revoca del trustee inadempiente.

Appare superfluo nel nostro caso, visto anche lo stretto rapporto parentale che lega i soggetti del trust, la designazione della figura, comunque accessoria ed eventuale, del guardiano (o protector) del trust, che avrebbe la funzione di indirizzare l’attività del trustee, di controllare e vigilare sul suo operato a tutela del beneficiario.

Nel nostro caso, si sarebbe potuto configurare un trust dove il marito-disponente designava la moglie trustee, fermo il beneficiario che è sempre la figlia. In tale situazione il disponente avrebbe potuto vigilare sull’operato del trustee sia designando se stesso guardiano del trust e sia in virtù dell’obbligo di account o di rendiconto cui è tenuto il trustee nei confronti del disponente.

Chiaramente però si è escluso questo schema per le ovvie ragioni di estrema debolezza della fiducia che lega, nella fattispecie, disponente e trustee, non potendosi certo ravvedere chissà quale fiducia fra una moglie ed un marito che litigano ferocemente.

Così identificati i soggetti del trust occorrerà individuare il termine  di durata, lo scopo del trust, la legge regolatrice applicabile (che sarà l’unico elemento esterno) e le eventuali clausole da inserire nell’atto istitutivo che costituisce -lo ricordiamo- l’atto a contenuto programmatico del trust, lo statuto del trust, ovvero l’insieme delle disposizioni che regoleranno il trust nel suo aspetto dinamico.

Il termine di durata sarà un termine consono alla durata del corso di studi universitari già prescelto dalla figlia, con la possibile estensione ad uno o due anni di più per andare incontro alle eventuali difficoltà o ritardi che la ragazza dovesse accusare.

Chiaramente, allo spirare del termine o al raggiungimento dello scopo (conseguimento della laurea) il trust troverà la sua fine fisiologica, fatta salva la possibilità di inserire nell’atto istitutivo una clausola che preveda la ultrattività del trust dopo il conseguimento dello scopo e nel limite del patrimonio conferito, per soddisfare le esigenze di frequentazione di scuole di specializzazione, di corsi avanzati, master o quant’altro.

Poiché si è precisato in premessa che il trust viene istituito nelle more fra il conseguimento del diploma di scuola superiore e l’iscrizione ad un corso universitario, sarà bene sottoporre il trust a condizione sospensiva, tale per cui qualora la figlia dovesse mutare orientamento e non iscriversi all’università il trust non esplicherebbe alcuna efficacia.

Parimenti, non essendo certo a priori il conseguimento dello scopo, sarà opportuno inserire una clausola risolutiva per le seguenti evenienze:

·       la  figlia interrompe il ciclo di studi;

·       la figlia consegue anzitempo al completamento degli studi l’indipendenza economica (ad ex. si sposa);

·       la moglie o ex moglie, trascina il marito in giudizio per ottenere la modifica delle condizioni della separazione o del divorzio ovvero, maturato il termine per la proposizione della domanda di divorzio, avanza nuove pretese che costringono all’apertura di un nuovo contenzioso.

Accanto al beneficiario diretto delle somme segregate in trust (la figlia), potrà esserci la figura di un beneficiario finale che, nel nostro caso, potrebbe essere ancora la figlia, nel caso in cui il padre desideri premiarla e lasciarle defitivamente l’eventuale patrimonio residuato al conseguimento dello scopo del trust; o, invero, potrebbe essere il disponente stesso, che in tal modo rientrerebbe nella piena disponibilità del proprio patrimonio.

La legge regolatrice del nostro trust interno sarà quella di Jersey che appare compatibile con la struttura del trust e della quale esiste una buona traduzione italiana e giurisprudenza facilmente consultabile nella rivista “Trust e attività fiduciarie” redatta da IPSOA.

Si segnala, per chi desiderasse approfondire l’argomento, un precedete giurisprudenziale di merito deciso dal Tribunale di Bologna con decreto collegiale 18 aprile 2000, che si è pronunciato con riferimento ad un trust interno di diritto famigliare del tutto analogo a quello qui esposto.

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Bene, a conclusione di questo mio intervento e pur senza sconfinare nell’area critica che verrà brillantemente trattata dal collega avv. Luongo e dalla dott.sa Christillin, mi sia consentito esprimere un giudizio personale sulla straordinarietà del “fenomeno trust” sotto il profilo del contemperamento delle molteplici esigenze che mi pare riesca a soddisfare.

Il trust che abbiamo illustrato consente, infatti, da una parte, di perseguire finalità di rassicurazione del coniuge più debole, la moglie, la quale pur continuando a beneficiare di un assegno periodico per le esigenze di mantenimento della figlia, viene sollevata integralmente dall’obbligo di contribuzione alle spese di istruzione della figlia cui per legge sarebbe tenuta in virtù del combinato disposto degli art. 147 e 148 Cc.

Dall’altra, trova tutela anche l’esigenza del marito di protezione del proprio patrimonio da richieste economiche future da parte della moglie, e tutto ciò nel pieno rispetto del principio di indisponibilità dei diritti in questione e con la certezza di avere senza dubbio agito nella legalità ed in maniera trasparente a tutela ad un interesse assolutamente meritevole di protezione nell’ordinamento interno che è quello di garantire il soddisfacimento delle esigenze di mantenimento, educazione ed istruzione della figlia».

 

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