REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

IL TRIBUNALE DI TORINO

Nelle persone dei Magistrati:

 

Dott. Pier Carlo Premoselli                                     Presidente

Dott.ssa Vittoria Nosengo                                      Giudice

Dott. Giacomo Oberto                                            Giudice Rel.

 

Ha pronunziato la seguente

 

S E N T E N Z A

 

Nella causa civile iscritta al n. 5275/04/R.G./A

 

Avente ad oggetto (come dichiarato da parte attrice): «Impugnazione delibera assembleare – d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 8,9,10,11,12».

 

Promossa da:

 

G. e B., con gli avv.ti Paolo Montalenti, Oreste Cagnasso e Marco D’Arrigo.

- attori -

 

CONTRO

 

S.r.l. A., con gli avv.ti Monica Beltramo e Elena Palange

- convenuta -

 

 

CONCLUSIONI DELLE PARTI

 

Per le parti attrici:

«Voglia il Tribunale,

respinta ogni contraria istanza ed eccezione;

in via principale, accertare e dichiarare l’invalidità e/o l’inesistenza e/o la nullità e/o l’annullabilità della delibera datata 10 dicembre 2003, con ogni conseguenza di legge e, in particolare, accertare e dichiarare che il dott. G. è amministratore della A. s.r.l.; con vittoria di spese».

 

Per parte convenuta:

«In via preliminare, declinare la competenza sulle domande in merito sottoposte alla cognizione di codesto Tribunale in favore del Collegio arbitrale, ai sensi dell’art. 14 dello Statuto della società convenuta; sempre in via preliminare, ma in via gradata, dichiarare nullo l’atto di citazione per carente identificazione del petitum, dichiarando altresì inammissibile per carenza di interesse ad agire la proposta impugnazione nella parte relativa al rinvio dell’assemblea per lamentata violazione dell’art. 2374 cod. civ.; in via ancor più gradata, nel merito, senza inversione dell’onere probatorio, che grava interamente sulle controparti, previa ammissione di prova per interrogatorio formale e testimoni sui capitoli di narrativa dal n. 5 al n. 7, nonché previa ammissione di prova per interrogatorio formale e testimoni sui capitali di prova eventualmente indotti, dedotti e articolati dalle controparti, rigettare le domande tutte proposte perché infondate in fatto ed in diritto; in ognuna delle ipotesi precedenti, condannare le controparti alle spese tutte del giudizio, con esposti, diritti di procuratore, onorari di avvocato e contributo ex art. 15 T.F., con IVA e CNAPA sulle somme imponibili».


 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 10 febbraio 2004 G. e B. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino la s.r.l. A., in persona del legale rapp.tante pro tempore, proponendo le conclusioni di cui in epigrafe, sostenute dai motivi in fatto e in diritto di cui all’atto di citazione predetto, ripresi e riproposti negli atti successivi ed in particolare nella comparsa conclusionale 24 luglio 2004: atti, questi, cui si fa espresso rinvio nella presente motivazione abbreviata, secondo quanto disposto dall’art. 16 d.lgs. n. 5/2003.

Si costituiva la parte convenuta, proponendo le conclusioni riportate in epigrafe, sorrette dalle argomentazioni in fatto e in diritto di cui alla comparsa di risposta in data 1 aprile 2004, cui pure si fa espresso rinvio nella presente motivazione abbreviata, secondo quanto disposto dall’art. 16 d.lgs. n. 5/2003.

A seguito di deposito di istanza di fissazione d’udienza il Relatore, nominato con decreto presidenziale in data 28 giugno 2004, respinte le istanze istruttorie, provvedeva con decreto in data 5 luglio 2004 a fissare udienza collegiale per il giorno 17 settembre 2004, convocando le parti dinanzi a sé per la discussione dell’istanza nel frattempo presentata ex art. 2378 c.c. Questa istanza cautelare veniva dichiarata improponibile con ordinanza in data 16 luglio 2004.

Nel corso dell’udienza collegiale del 17 settembre 2004 la causa veniva discussa oralmente dai legali delle parti e il Collegio pronunziava sentenza al termine della discussione, ex artt. 16 d.lgs. 5/2003 e 281-sexies c.p.c., dando il Presidente lettura del dispositivo in udienza. Il Collegio disponeva altresì che la sentenza venisse depositata entro 30 giorni.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Sulla questione preliminare sollevata dalla parte convenuta osserva il Collegio che, ai sensi dell’art. 14 dello Statuto Sociale, «Tutte le controversie che dovessero insorgere tra i soci e la società, o tra gli stessi soci, in dipendenza del presente contratto sociale, qualora non siano inderogabilmente demandate alla competenza dell’Autorità Giudiziaria, saranno devolute ad un collegio Arbitrale composto da tre membri, nominati, i primi due da ciascuna delle parti interessate, uno per ognuna, ed il terzo dai primi due, o in difetto di accordo, su istanza della parte più diligente, dal Presidente dell’Ordine dei Ragionieri Commercialisti della Città di Torino in carica all’epoca, il quale provvederà anche alla nomina degli Arbitri eventualmente non designati dalle parti. Il Collegio Arbitrale giudicherà ‘pro bono et aequo’ inappellabilmente e senza formalità di procedura. I costi inerenti saranno a carico della parte soccombente».

Le parti attrici, nello stesso atto di citazione e, successivamente, negli altri scritti difensivi nonché, in particolare, nella comparsa conclusionale, affrontano il tema della validità di tale clausola, prospettandone la nullità.

Sul punto va osservato che, sotto il profilo della compromettibilità in arbitri della materia di cui si discute nell’odierna controversia, e, più in generale, sulla deferibilità agli arbitri delle impugnazioni delle delibere assembleari, sussiste una situazione di contrasto nella giurisprudenza di merito (la Corte di cassazione – v. Cass., 2 settembre 1998, n. 8699, – si è pronunziata invece sulla diversa questione della compromettibilità in arbitri dell’azione di responsabilità, optando per la soluzione affermativa): cfr., nel senso della validità della relativa clausola compromissoria, anche con riguardo alle azioni di impugnativa delle delibere assembleari, Trib. Milano, 18 maggio 1995, in Società, 1995, p. 1609; Trib. Milano, 29 gennaio 1998, in Giur. it., 1998, p. 1196; Trib. Milano, 10 gennaio 2000, in Giur. it., 2000, p. 1239; contra, Trib. Napoli, 2 maggio 2003, in Giur. merito, 2004, I, p. 249.

Il Collegio reputa più convincente la tesi favorevole alla compromettibilità in arbitri (anche) della controversia relativa all’impugnazione delle delibere per vizi attinenti al mancato raggiungimento del quorum deliberativo, dal momento che, come insegnato dalla giurisprudenza di legittimità, «Le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi» (Cass., 30 marzo 1998, n. 3322) e che, nel caso di specie, non vengono in considerazione né l’interesse collettivo dei soci, né tanto meno interessi di terzi (si noti che, nel caso risolto dalla decisione testé citata, che concluse nel senso della non compromettibilità in arbitri, si trattava di fattispecie in cui, a differenza di quella in esame, un socio chiedeva l’annullamento di una delibera di approvazione del bilancio sul presupposto che essa risultava inficiata da una irregolare destinazione a riserva oltre il limite minimo stabilito dalla legge con conseguente mancata distribuzione degli utili, e quella in cui un socio chiedeva l’annullamento della delibera con la quale, ai soci di maggioranza aventi la veste di amministratori venivano attribuiti compensi sproporzionati e non coerenti con la situazione economica della società).

Per ciò che attiene più specificamente alla (asserita) violazione del quorum deliberativo previsto dalla legge o dallo statuto (questione di cui si controverte nel merito del caso di specie), va osservato che la giurisprudenza appare orientata a ritenere siffatto vizio sanzionato dall’annullamento e non dalla nullità (cfr. App. Milano, 21 luglio 1992, in Società, 1993, p. 342; App. Napoli, 8 luglio 1982, ivi, 1984, p. 179; Trib. Napoli, 28 settembre 1988, in Giur. comm., 1991, II, p. 327). Ne consegue che le disposizioni attinenti alla regolare formazione della volontà sociale non appaiono ispirate e giustificate da esigenze di tutela di un principio di ordine pubblico, tanto più che la legge (cfr. art. 2377 c.c.) prevede non già un obbligo di impugnazione, ma una mera facoltà per i soggetti legittimati (e non per chiunque vi abbia interesse), stabilendo che la mancata impugnazione nel termine di novanta giorni renda definitivamente inattaccabile la deliberazione stessa.

Sempre secondo l’impostazione delle parti attrici, la clausola sopra riportata sarebbe nulla perché in contrasto con quanto disposto dall’art. 34, cpv., d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, a mente del quale «La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale».

Replica la convenuta che nella specie dovrebbe trovare applicazione l’art. 223-bis disp. att. c.c., con la conseguenza che, non essendo ancora scaduto il termine per l’adeguamento della clausola alle nuove disposizioni, la medesima andrebbe ritenuta valida. Ribattono le parti attrici sul punto asserendo che la citata disposizione di attuazione sarebbe riferibile solo alle norme sostanziali contenute nel d.lgs. n. 6/2003 e non già a quelle processuali, oggetto del d.lgs. n. 5/2003.

Il Collegio reputa che, comunque si voglia risolvere il problema dell’applicabilità al caso di specie dell’art. 223-bis c.c., l’art. 34, cpv. cit. non possa trovare applicazione nel caso di specie.

Invero, non vi è dubbio che, partendo dal presupposto dell’applicabilità dell’art. 223-bis c.c., non potrebbe certamente affermarsi oggi la nullità di una clausola non rispondente al nuovo dettato normativo, non essendo ancora decorso il termine per l’adeguamento previsto dalla norma citata. D’altro canto va però osservato che la norma transitoria in discussione, contenuta nel solo d.lgs. n. 6/2003, per la sua natura eccezionale (derivante dal fatto che la disposizione è posta in deroga al principio generale che vuole operanti solo per il futuro le modifiche normative: cfr. art. 11 disp. prel. c.c.), potrebbe essere ritenuta insuscettibile di estensione analogica alle fattispecie di nullità previste dal d.lgs. n. 5/2003. Per converso, sembrerebbe deporre nel senso dell’applicabilità dell’art. 223-bis c.c. al caso di specie il fatto che l’art. 41, comma secondo, d.lgs. n. 5/2003 disponga testualmente che «Alle modifiche deliberate a norma degli articoli 223-bis e 223-duodecies delle disposizioni di attuazione del codice civile, per adeguare le clausole compromissorie preesistenti alle disposizioni inderogabili del presente decreto legislativo non si applica l’articolo 34, comma 6». Tale disposizione, invero, non avrebbe senso se non partisse dal presupposto proprio dell’applicabilità dell’art. 223-bis c.c. anche alle fattispecie di nullità novellamente introdotte dall’art. 34 d.lgs. n. 5/2003 (si noti che la norma parla di adeguamento «alle disposizioni inderogabili del presente decreto legislativo»: cioè, appunto, del d.lgs. n. 5/2003).

La soluzione del caso in esame comunque non muta neppure partendo dal diverso presupposto secondo il quale i problemi di diritto transitorio relativi alla questione qui agitata dalle parti dovrebbero risolversi a prescindere dall’art. 223-bis c.c. e dunque alla sola stregua del principio generale stabilito dall’art. 11 disp. prel. c.c.

Vero è che l’art. 41, comma primo, d.lgs. n. 5/2003 stabilisce che «Ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto si applicano le disposizioni anteriormente vigenti» e che su tale disposizione sembra fondarsi l’unico precedente ad oggi edito in termini (cfr. Trib. Trento, 8 aprile 2004, in Società, 2004, p. 996). Ma è altrettanto vero che la disposizione, proprio perché espressamente riferita ai (soli) «giudizi» e perché inserita in un complesso di norme dal contenuto squisitamente processuale, appare riferibile alle sole regole che disciplinano il compimento dei vari atti procedimentali che caratterizzano i processi da celebrarsi secondo il c.d. «nuovo rito societario».

Ben diverse considerazioni vanno invece svolte con riguardo al tema delle norme (sostanziali) che disciplinano l’invalidità degli atti e dei negozi giuridici: argomento, questo, che deve necessariamente venire qui in considerazione, avuto riguardo al fatto che la clausola compromissoria costituisce, per l’appunto, clausola contrattuale, conferente alle parti il diritto di vedere determinati tipi di controversie decise da arbitri e non già da giudici.

Orbene, proprio in materia di diritto transitorio concernente lo specifico aspetto dell’introduzione, da parte dello jus superveniens di nuove ipotesi di invalidità di negozi giuridici o di particolari clausole di un contratto, la giurisprudenza di legittimità appare costantemente orientata nel senso che i requisiti di validità vadano sempre riscontrati con riguardo alla legge del tempo della stipulazione, in quanto la norma sopravvenuta può modificare gli effetti od il regime di esercizio dei diritti scaturenti dal contratto stesso, ma non può provocarne retroattivamente la caducazione, invalidandone l’atto costitutivo, salvo specifica statuizione in tale senso (cfr. Cass., 14 maggio 1977, n. 1952; Cass., 5 novembre 1979, n. 5711; nello stesso senso cfr. anche Cass., 12 ottobre 1972, n. 3018): statuizione che, nel caso di specie, fa difetto.

Deve pertanto ritenersi che in quest’ottica vada interpretato il disposto delle speciali norme transitorie contenute negli artt. 223-bis disp. att. c.c. e 41, d.lgs. n. 5/2003: nel senso, cioè, che le stesse non valgano ad inibire alle parti di valersi di clausole compromissorie eventualmente non rispondenti ai requisiti novellamente imposti dalla recente riforma del diritto societario, con riguardo a rapporti giuridici sorti in data anteriore al 30 settembre 2004 e non ancora esauriti a tale data.

In conclusione, e ad abundantiam, potrà ancora aggiungersi che, se anche si dovesse accedere alla tesi dell’applicabilità al caso di specie del disposto dell’art. 34 cit., andrebbe comunque fatta applicazione dell’art. 1419 c.c., atteso che, in ogni caso, la citata disposizione negoziale contenuta nella clausola compromissoria in esame manifesta nella maniera più chiara ed inequivocabile la volontà delle parti (liberamente espressa, a quanto pare) di sottrarre alla cognizione dell’Autorità Giurisdizionale Ordinaria ogni e qualsiasi tipo di controversia tra i soci e la società, con conseguente (nella peraltro qui in via principale comunque denegata ipotesi di applicabilità dell’art. 34 cit.) operatività della disposizione negoziale che rimette al «Presidente dell’Ordine dei Ragionieri Commercialisti della Città di Torino in carica all’epoca» (soggetto indubbiamente «estraneo alla società», per usare le parole del citato art. 34), la nomina degli Arbitri non nominati dalle parti (e dunque, sempre secondo la qui ipoteticamente – e solo subordinatamente – prospettata soluzione, di tutti gli arbitri).

Non rimarrà pertanto che procedere alla declaratoria di improponibilità delle domande delle parti attrici.

La novità e la complessità delle questioni trattate consigliano la declaratoria di compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Visti gli artt. 16, commi 3 e 4, d.lgs. n. 5/2003 e 281-sexies c.p.c.;

DICHIARA improponibili le domande proposte dalle parti attrici nel corso del presente procedimento;

DICHIARA integralmente compensate tra le parti le spese del procedimento;

Così deciso nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile del Tribunale di Torino il giorno 17 settembre 2004.

                                                                                              IL PRESIDENTE

IL GIUDICE ESTENSORE