TRIBUNALE DI TORINO

Sezione Terza Civile

Il Giudice

dott. Giacomo Oberto

 

Torino, 17 aprile 2008

 

Al Presidente del Tribunale di Torino

Dott. Mario Barbuto

 

 

Oggetto: Parere sulla pratica CSM Num. 67/IR/2007 sulle convenzioni da stipularsi tra Uffici giudiziari e Università.

 

 

 

Caro Presidente,  

 

rispondo come segue al quesito postomi con lettera in data 14 aprile 2008, relativamente alla pratica CSM Num. 67/IR/2007 sulle convenzioni da stipularsi tra Uffici giudiziari e Università.

 

Il documento su cui sono chiamato a rendere un parere rappresenta, a sommesso avviso dello scrivente, l’ennesimo esempio di un approccio profondamente errato nel modo con cui la Magistratura intende rapportarsi al mondo accademico.

 

Quale succinta premessa – e perché il mio modestissimo contributo non sia ritenuto come pregiudizialmente contrario ad ogni iniziativa consiliare in questo settore – andrà detto, in primo luogo, che appare indispensabile e addirittura (e da molto tempo!) indilazionabile non solo un avvicinamento tra queste due realtà, ma un pieno superamento del «muro» di indifferenza e di reciproca freddezza, se non addirittura di ostilità, che ha caratterizzato per anni le relative relazioni. Ogni Giudice conosce fin troppo bene gli incommensurabili disastri che l’abborracciata preparazione universitaria della maggior parte dei professionisti legali produce sull’attività quotidiana. Anche perché, paradossalmente, di questi disastri ­– per una catena di circostanze, sovente dovute anche a «noi», ma che in questa sede sarebbe troppo lungo evocare – purtroppo assai spesso è proprio il «sistema giustizia», e, in definitiva, la Magistratura ad essere ritenuta esclusiva responsabile.

 

Ma la soluzione del problema costituito dalla necessità di coinvolgere la Magistratura e, nel complesso, l’attività giurisdizionale, nella formazione universitaria e post-universitaria, in quella delicatissima fase che potremmo definire come di formazione preliminare del giurista, non si può certo affrontare e risolvere nel modo indicato dalla pratica consiliare in oggetto.

 

Il primo, fondamentale, punto che andrebbe radicalmente modificato (il condizionale è d’obbligo, posto che è passata, e da tempo, l’epoca in cui nutrivo illusioni!) è costituito dall’atteggiamento del Consiglio nei confronti dell’attività didattica dei Magistrati. E’ invero, paradossalmente, contraddittorio promuovere, da un lato, l’accesso dei giovani alla frequentazione delle aule di giustizia (pur con gli opprimenti limiti e le vistose contraddizioni che verranno di seguito evidenziate), e ostinarsi, dall’altro, a tenere un atteggiamento di vera e propria ostilità nella regolamentazione delle attività didattiche degli appartenenti all’Ordine Giudiziario. Attività, mi permetto di aggiungere sulla base di un’esperienza che si avvicina ormai al quarto di secolo, che non solo costituisce un diritto, ma andrebbe vista come oggetto di un preciso dovere, quanto meno sul piano etico del Magistrato, nel quadro della necessaria cooperazione di ogni Giudice e Pubblico Ministero alla creazione di quelle premesse volte a far sì che l’attività giurisdizionale nel suo complesso migliori in tutti i suoi aspetti. Che senso ha, mi chiedo, continuare a profferire «al vento» geremiadi e lamentazioni sull’impreparazione e sullo scarso senso di etica professionale degli avvocati (colpe che, mi permetto di ripetere, non pagano gli avvocati, ma pagano per lo più gli sventurati clienti e sovente paghiamo anche noi!), se poi non siamo in grado di pesare neppure un’oncia in quelli che sono i momenti più rilevanti della formazione dei futuri (e attuali) professionisti legali?

 

E’ inutile evocare in questa sede le restrizioni, le complicazioni, i bizantinismi e le vere e proprie umiliazioni e vessazioni cui viene sottoposto un Magistrato che abbia l’ardire di esprimere il desiderio di contribuire alla formazione preliminare, iniziale o continua del giurista. L’atteggiamento punitivo che caratterizza il profilo degli incarichi di insegnamento nel quadro dell’ultima circolare del C.S.M. sugli incarichi extragiudiziari è noto a tutti e non ha bisogno di particolari commenti. Ciò che desta particolare stupore è, poi, che tale atteggiamento caratterizzi anche incarichi come quelli presso le S.S.P.L.

 

Anni fa, nell’occasione di un incontro destinato ai Magistrati membri dei direttivi delle S.S.P.L. feci pervenire una comunicazione scritta nella quale osavo lanciare l’idea di ritenere non già «extragiudiziario» l’incarico di insegnamento in quelle strutture, bensì «giudiziario», vista la strettissima inerenza dell’attività svolta in quella sede all’attività giurisdizionale. Per tutta risposta il C.S.M. ha ulteriormente inasprito le condizioni di richiesta e rilascio delle relative autorizzazioni, ponendo altresì assurdi e onerosi limiti ai membri dei comitati direttivi, così «puniti» per il fatto di svolgere (gratuitamente!) funzioni tanto delicate nell’ambito dell’organo propulsore delle attività delle S.S.P.L.

 

In definitiva, e per concludere brevemente sul punto, ciò che appare assolutamente imprescindibile, prima di iniziare ogni possibile discorso su possibili convenzioni con le Università, è un radicale mutamento di prospettiva da parte del Consiglio, che passi attraverso i seguenti momenti:

a)      completa estromissione della materia degli incarichi di insegnamento universitari e post-universitari nelle materie giuridiche dall’ambito disciplinato dalla circolare sugli incarichi extragiudiziari;

b)     emanazione di una apposita disciplina consiliare, che si ispiri al principio della tendenziale libertà di insegnamento universitario e post-universitario, nonché di contribuzione alla formazione preliminare, iniziale e continua del giurista di ogni settore (accademico, forense, notarile, d’impresa, della P.A.);

c)      predisposizione di procedure snelle per le relative autorizzazioni (ad es.: sola autorizzazione da parte del Titolare dell’Ufficio giudiziario di appartenenza);

d)     attribuzione di rilievo dello svolgimento di tali attività nelle valutazioni di professionalità dei Magistrati.

 

Posto quanto sopra, mi preme svolgere ora alcune brevi riflessioni sui temi direttamente trattati dalla citata pratica consiliare.

 

In primo luogo occorre rendersi conto del fatto che l’attività ivi descritta non può in alcun modo essere vista come una sorta di impropria «anticipazione» dell’introduzione dell’Ufficio del Giudice. Le persone che in tal modo verrebbero a contatto della giurisdizione non sono certo soggetti su cui si possa contare per l’aiuto nelle ricerche giuridiche, nello studio delle questioni di fatto delle controversie, nell’organizzazione del lavoro quotidiano dell’Ufficio, etc. Esse saranno (e mi scuso per la crudezza del termine) un «peso», che sottrarrà tempo prezioso al Giudice, il quale, come tale, continuerà a vivere (rectius: sopravvivere) nella sua situazione di disperata e disperante solitudine, che in Italia ha sempre costituito e continuerà, temo, a costituire per molto e molto tempo ancora una componente essenziale del suo «DNA».

 

Il discorso potrebbe essere parzialmente diverso per il tirocinio dei neolaureati. E’ noto che, ad esempio, negli U.S.A., i migliori neolaureati fanno a gara per accaparrarsi i posti di Court’s clerk presso i Giudici; posti che sono retribuiti «male», rispetto agli studi legali, ma che sono ambiti perché i giovani sanno che lì impareranno di più e meglio che in qualsiasi Law Firm. Il discorso è, però, che il livello di preparazione dei neolaureati italiani ben poco ha a che fare (specie per ciò che attiene ai profili e ai risvolti pratici) con quello dei loro colleghi d’oltre Oceano. Dubbi sorgono poi rispetto al potere che avrebbe (o meno) il Giudice di scegliere il suo tirocinante e, soprattutto, sulla possibilità di quest’ultimo di entrare effettivamente in contatto con l’attività giurisdizionale.

 

Dunque, una cooperazione in questo settore potrebbe avere un significato ed un’utilità per tutte le parti coinvolte solo alle condizioni seguenti:

a)     previsione di attività di stage per i soli neolaureati;

b)    previsione di uno stage presso un determinato Giudice o Pubblico Ministero per una durata di almeno due anni;

c)     tale attività andrebbe a tutti gli effetti equiparata alla pratica forense;

d)    al Giudice (o al P.M.) andrebbe rimessa la scelta sulla persona del neolaureato;

e)     al praticante andrebbe concessa (ovviamente, per legge) la possibilità di accedere senza limitazioni agli atti e ai documenti dei fascicoli assegnati al Magistrato di riferimento e di coadiuvarlo in ogni sua attività; naturalmente anche tali tirocinanti sarebbero tenuti al segreto d’ufficio ed esposti alle relative sanzioni.

 

Sul punto vorrei aggiungere ancora qualche rilievo. La soluzione proposta dalla pratica consiliare in oggetto sul tema del segreto d’ufficio appare insoddisfacente e contraddittoria. Non penso, ad esempio, che il semplice consenso delle parti nelle cause civili sia in grado di scriminare la violazione del segreto d’ufficio, posto che, se è vero che le materie civili sono per lo più rimesse alla disponibilità dei contendenti, ciò non vale per le regole del processo e per il principio della segretezza, che sono  d’ordine pubblico.

 

Secondariamente il suggerimento di «simulazioni» o di consegna di dossiers relativi a processi definiti (ma per quale motivo, mi chiedo, il segreto e le ragioni della privacy dovrebbero finire sol perché il processo è archiviato?) muove al sorriso. Non mi sembra, invero, opportuno che con i problemi attuali della lentezza dei processi, dell’intasamento dei nostri tribunali e delle sempre più incombenti «condanne-Pinto» e «condanne-Strasburgo», l’Organo di autogoverno inviti i Giudici italiani a passare il proprio tempo con i neolaureati inventandosi processi simulati… Per non dire poi del fatto che il processo simulato è tutto fuorché elemento dello stage. Tirocinio è, per definizione, partecipazione alla vita vera, reale, all’attività così come essa è, non come fingiamo, discendi causa, che sia!

 

         Aggiungo ancora che, sulla base dell’esperienza maturata nell’ambito dell’attività di preparazione dei tirocini degli allievi della S.S.P.L. di Torino, sarà veramente arduo trovare colleghi disponibili allo svolgimento delle attività di cui alla citata pratica consiliare. E ciò a fronte di una richiesta che, da parte universitaria, sono certo sarà in proporzioni a dir poco «travolgenti». Queste attività sono e saranno, sempre di più, viste dai docenti come un modo per assolvere almeno in parte ai loro (oggi di per sé già quasi irrilevanti) oneri didattici, con conseguente assegnazione di punti e crediti ai partecipanti alle attività in oggetto. Ne deriverà che gli studenti (ma, ritengo, anche i neolaureati) «faranno la fila» per iscriversi al tirocinio. Se si pensa al ciclopico lavoro di gestione e organizzazione di queste richieste, di imprescindibile collegamento con le strutture universitarie, con i relativi docenti, con le figure dei tutors, cui la citata pratica fa un (troppo vago) riferimento, appare facile comprendere come le fragili strutture del nostro Ufficio rischieranno di essere letteralmente travolte. Né ci si può illudere di poter governare il sistema con il ricorso a procedure di selezione, pure indicate nella pratica in oggetto. Anzi, proprio la predisposizione di meccanismi di selezione rischierebbe di rendere ancora più gravoso per il Tribunale organizzare una struttura in grado di gestire un’operazione del genere. Non è difficile immaginare quali conseguenze quanto sopra descritto comporterà dal punto di vista dell’aggravio di lavoro organizzativo nelle strutture del Tribunale, già assolutamente sottodimensionate (ad ogni livello!) per affrontare l’ordinario lavoro giudiziario.

 

In definitiva, in assenza delle condizioni tutte, sopra analiticamente descritte, ma, soprattutto, in assenza di un radicale mutamento di considerazione, da parte del nostro Organo di autogoverno, del ruolo del Giudice nella formazione universitaria e post-universitaria del giurista, appare opportuno consigliare di astenersi dall’intraprendere iniziative del genere di quelle preconizzate dalla pratica consiliare in oggetto.

 

Cordiali saluti.

 

 

(Giacomo Oberto)