TRIBUNALE DI TORINO |
Sezione
Terza Civile |
Il Giudice |
Dott. Giacomo Oberto |
Torino, 25 agosto 2010
Al Presidente del Tribunale
di Torino
Dott. Luciano Panzani
Oggetto: Lettera del 12 agosto
2010 in merito al Regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento Europeo e del
Consiglio dell’11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le
controversie di modesta entità. |
Caro Presidente,
rispondo come segue al quesito postomi con lettera in
data 12 agosto 2010, relativamente al Regolamento (CE) n. 861/2007 del
Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 luglio 2007, che istituisce un
procedimento europeo per le controversie di modesta entità.
I) Considerazioni generali
Mi è stato richiesto di valutare l’incidenza del
regolamento in oggetto sulle controversie di competenza del nostro Tribunale,
anche al fine dell’emanazione di apposite istruzioni alle Cancellerie e ai
magistrati interessati dalla nuova normativa.
Va subito precisato che il Regolamento, applicabile
ormai già dal 1° gennaio 2009, si propone di semplificare e accelerare il
contenzioso relativo alle controversie di modesta entità, e a ridurne i costi,
istituendo un procedimento europeo relativo alle controversie di modesta
entità, di cui le parti possono avvalersi in alternativa alle procedure
previste nella legislazione degli Stati membri, che rimangono invariate.
Inoltre, il nuovo strumento elimina le disposizioni intermedie ancora
necessarie al fine di ottenere il riconoscimento e l’esecuzione di una
sentenza. Una sentenza pronunciata nell’ambito del procedimento europeo
relativo alle controversie di modesta entità deve essere riconosciuta ed
eseguita in un altro Stato membro, senza che sia necessaria una dichiarazione
di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento.
Informazioni al riguardo sono reperibili ai siti
seguenti:
http://europa.eu/legislation_summaries/consumers/protection_of_consumers/l16028_it.htm
http://ec.europa.eu/civiljustice/simplif_accelerat_procedures/simplif_accelerat_procedures_ec_en.htm
Il testo del Regolamento è reperibile al sito
seguente:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32007R0861:IT:HTML
La modulistica d’accompagnamento al Regolamento è
reperibile al sito seguente:
http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html/sc_information_it.htm.
Ciò chiarito, va subito aggiunto che tre appaiono i
requisiti fondamentali, rilevanti ai fini della risposta al quesito che mi è
stato posto:
a) la controversia deve avere carattere transfrontaliero;
b) la controversia non deve rientrare nel novero di
quelle espressamente escluse dal Regolamento;
c) la controversia deve avere un valore non eccedente la
somma di € 2.000,00.
II) Carattere transfrontaliero della controversia
Sul primo dei tre requisiti sopra menzionati va tenuto
presente che, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento, «1. (…) si definisce
transfrontaliera una controversia in cui almeno una delle parti ha domicilio o
residenza abituale in uno Stato membro diverso da quello dell’organo
giurisdizionale adito. 2. Il domicilio è determinato conformemente agli
articoli 59 e 60 del regolamento (CE) n. 44/2001. 3. La data di riferimento per
stabilire se esiste una controversia transfrontaliera è la data in cui l’organo
giurisdizionale competente riceve il modulo di domanda».
E’ dunque evidente che lo strumento in oggetto non
potrà essere utilizzato se non in un numero assai limitato (sebbene crescente,
come dimostra l’esperienza delle procedure d’ingiunzione europea di pagamento)
di casi. Comunque, è assolutamente da escludersi che di esso ci si possa
avvalere per una controversia meramente «interna», allorquando, cioè, nessuna
delle parti abbia domicilio o residenza abituale in uno Stato membro diverso dall’Italia.
Sarà il caso di aggiungere che il chiaro ed esplicito
riferimento del Regolamento ad uno «Stato membro» impedisce la riferibilità
dello strumento a situazioni in cui l’elemento di estraneità sia dato dalla
presenza di una parte che abbia domicilio o residenza abituale in uno Stato
diverso dall’Italia, ma non membro dell’U.E. (ovvero in Danimarca, Paese nei
confronti del quale il Regolamento non trova applicazione). L’interrogativo è
di rigore, specie dopo che si è affermato, sia nella giurisprudenza della Corte
CEE, che nella giurisprudenza (per il momento di merito) italiana, il principio
dell’ «universalità» delle norme comunitarie sulla competenza giurisdizionale
(si pensi al caso del divorzio tra cittadini indiani residenti in Italia, cui
il Tribunale di Belluno ha recentemente applicato le disposizioni del
Regolamento Bruxelles II bis). Il
tutto, ovviamente, in difetto di disposizioni specifiche che impongano di
ritenere gli strumenti comunitari riferibili solo ed esclusivamente a situazioni
di internazionalità «endocomunitaria», proprio come nel caso di specie, ove il
richiamo allo «Stato membro» è reso in forma esplicita.
III) Materie escluse
L’elenco delle
materie escluse dal Regolamento (v. supra,
sub b)) è piuttosto ampio. Si tratta,
più esattamente, delle situazioni seguenti (cfr. art. 2):
«1. (…) la materia fiscale, doganale o amministrativa
o la responsabilità dello Stato per atti e omissioni nell’esercizio dei
pubblici poteri (acta iure imperii)».
Sono inoltre escluse dal campo di applicazione del Regolamento
le controversie riguardanti le seguenti materie:
«a) stato o capacità giuridica delle persone fisiche;
b) regime patrimoniale fra coniugi, testamenti e
successioni e obbligazioni alimentari;
c) fallimenti, procedimenti relativi alla liquidazione
di imprese o di altre persone giuridiche insolventi, accordi giudiziari,
concordati e procedure affini;
d) sicurezza sociale;
e) arbitrato;
f) diritto del lavoro;
g) affitto di immobili, escluse le controversie aventi
ad oggetto somme di denaro;
h) violazione della vita privata e dei diritti della
personalità, inclusa la diffamazione».
Non vi è dubbio che alcune di queste categorie
potranno dar luogo a serie questioni ermeneutiche.
Si pensi, ad es., alla lett. h): posto che tra i
diritti della personalità rientra anche il diritto all’integrità fisica, si può
ritenere che le controversie di risarcimento del danno – patrimoniale, morale,
biologico, ecc. – alla persona (per es. da incidente automobilistico) ricadano all’interno
di tale esclusione. Per citare un altro possibile problema si potrà pensare
alla difficoltà di immaginare controversie su una materia come l’ «affitto», che
non implichino controversie su somme di denaro, non fosse che per pretese di
carattere risarcitorio. Per non parlare poi dei dubbi legati all’uso del
termine «affitto», da intendersi qui, ritengo, come comprensivo anche della
«locazione» di immobile non aziendale (e che dire dell’affitto d’azienda
composta di mobili ed immobili…?).
Un punto certo è invece che, poiché i concetti in
esame vanno interpretati in modo autonomo (e dunque secondo una nozione «europea»),
il riferimento alle «obbligazioni alimentari» va inteso in senso ampio, come
comprensivo (lo ha detto anche recentissimamente la Cassazione, con riguardo al
Regolamento n. 44/2001) di ogni prestazione di mantenimento inter coniuges o tra soggetti già
coniugati e non solo nel senso ristretto di cui agli artt. 433 ss. c.c. Neppure
a queste controversie legate alla crisi coniugale, dunque, il Regolamento sarà
applicabile.
IV) Il limite della somma di € 2.000,00
Il punto sopra indicato sub c) costituisce l’elemento che pone maggiormente in dubbio la
possibilità che le questioni cui si riferisce questo Regolamento vengano, in
pratica ed in buona sostanza, ad interessare (o a interessare più di tanto) il
nostro Ufficio Giudiziario. Ai sensi dell’art. 2, Paragrafo 1, infatti, il
Regolamento «si applica, nelle controversie transfrontaliere, in materia civile
e commerciale, indipendentemente dalla natura dell’organo giurisdizionale, nei casi
in cui il valore di una controversia, esclusi gli interessi, i diritti e le
spese, non ecceda 2000 EUR alla data in cui l’organo giurisdizionale competente
riceve il modulo di domanda».
Il problema è dunque, per noi, quello di individuare
cause in materia civile e commerciale rientranti nel limite di valore indicato,
di competenza del Tribunale.
Mi sembra sia subito da escludere la possibilità che
una causa transfrontaliera, per la quale sussista competenza giurisdizionale
del Giudice italiano, secondo il Regolamento n. 44/2001, possa essere proposta dinanzi
ad un Tribunale italiano, se per valore sarebbe di competenza del Giudice di
Pace.
Purtroppo il Regolamento si guarda bene dall’affrontare
espressamente questo punto. Più di un elemento mi induce però a ritenere che
non possa prescindersi dal rispetto delle norme «interne» sul riparto di
competenza tra Giudice di Pace e Tribunale. Sia nei consideranda, che nel testo del Regolamento, si trovano svariati
testuali riferimenti al concetto di «organo giurisdizionale competente» e tale espressione,
sebbene (probabilmente) riferita nell’intenzione dei conditores (intesi come persone fisiche) al solo profilo della
competenza giurisdizionale transfrontaliera, non può non applicarsi anche alle
regole di riparto della competenza interna.
Risolutiva è poi la considerazione seguente.
Ai sensi dell’art. 25 del più volte citato Regolamento,
«Entro il 1° gennaio 2008 gli Stati membri comunicano alla Commissione:
a) gli organi giurisdizionali competenti ad emettere
sentenza nell’ambito del procedimento europeo per le controversie di modesta
entità;
b) i mezzi di comunicazione accettati ai fini del
procedimento europeo per le controversie di modesta entità e di cui gli organi
giurisdizionali dispongono a norma dell’articolo 4, paragrafo 1;
c) la possibilità di impugnazione in base al proprio
diritto processuale a norma dell’articolo 17 e l’organo giurisdizionale innanzi
al quale può essere presentata (…)».
Orbene, sulla base di tali comunicazioni, effettuate
nel termine predetto dagli Sati membri, l’Atlante Europeo online (http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html/sc_courtsJurisd_it_it.htm)
individua come segue le situazioni di riparto «interno» di competenza:
«Gli organi giurisdizionali competenti con riferimento
al procedimento europeo per le controversie di modesta entità sono: il giudice
di pace oppure, nei casi di competenza esclusiva per materia previsti dalla
legislazione italiana, il tribunale ordinario civile o la corte di appello in
funzione di giudice in unico grado.
In particolare, nei limiti di valore del regolamento e
nelle materie non escluse dall’articolo 2 del testo, è competente il tribunale
ordinario civile nel caso di:
· domande di pagamento di somme di denaro in materia di
locazioni di immobili e di affitto di azienda (art. 2, par. 2, lett. g, del
regolamento n. 861 del 2007, e art. 447-bis del codice di procedura civile
italiano);
· domande nelle materie dei contratti agrari (in questo
caso sono competenti le sezioni specializzate agrarie del tribunale ordinario,
ai sensi dell’articolo 9 della legge 14.2.1990 n. 29);
· domande in materia societaria, bancaria e di
intermediazione mobiliare, di crediti per opere pubbliche, ai sensi dell’articolo
1 del decreto legislativo 17.1.2003 n. 5;
· domande in materia di brevetti e marchi (in questo
caso sono competenti le sezioni specializzate in materia di proprietà
industriale e intellettuale del tribunale ordinario, ai sensi degli articoli 1
e seguenti del decreto legislativo 27.6.2003, n. 168);
· le domande in materia di diritto della navigazione, in
particolare per i danni dipendenti da urto di navi; i danni cagionati da navi
nell’esecuzione delle operazioni di ancoraggio e di ormeggio e di qualsiasi
altra manovra nei porti o in altri luoghi di sosta; i danni cagionati dall’uso
di meccanismi di carico e scarico e dal maneggio delle merci in porto; i danni
cagionati da navi alle reti e agli attrezzi da pesca; le indennità e i compensi
per assistenza, salvataggio e ricupero; il rimborso di spese e i premi per
ritrovamento di relitti, ai sensi dell’articolo 589 del codice della
navigazione».
Per quanto attiene all’impugnazione, il medesimo
Atlante chiarisce che, per l’Italia, «Le impugnazioni previste dall’ordinamento
italiano, per le decisioni del giudice di pace, del tribunale e della corte di
appello, sono rispettivamente l’appello al tribunale e alla corte di appello,
nel termine di trenta giorni, e il ricorso per cassazione alla suprema corte di
cassazione nel termine di sessanta giorni (articolo 325 del codice di procedura
civile)». Nessuna menzione viene fatta del c.d. «termine lungo», ex art. 327 c.p.c., né tanto meno si
specifica che il «termine breve» decorre solo in caso di notifica della
decisione (art. 326 c.p.c.).
Ho verificato anche la comunicazione ufficiale effettuata
dall’Italia ai sensi del citato art. 25 (comunicazione disponibile online al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html/pdf/vers_consolide_it_861.pdf).
Ebbene, essa non dice nulla di più di quanto sopra riferito e ricavato dal
citato Atlante, per quanto sconcertante ciò possa apparire, per l’evidente
omissione circa la distinzione tra termine lungo e termine breve, nonché per il
mancato riferimento alle sentenze inappellabili del Giudice di Pace ex art. 339 c.p.c. A tale ultimo
proposito è da ritenere, a mio avviso, che il Giudice di Pace debba comunque decidere
secondo equità le cause ex art. 113
cpv. c.p.c. (anche quelle rientranti nel novero di quelle cui si riferisce il
Regolamento), atteso il rinvio alle norme procedurali italiane operate dall’art.
19 del Regolamento, con conseguente inappellabilità delle decisioni stesse, se
non per i casi menzionati dal citato art. 339 c.p.c.
Su questa linea di interpretazione sembra essersi
posto, ad esempio, anche il Tribunale di Fermo che pur avendo, nel proprio
sito, pubblicato una guida sul Regolamento in questione, ha ritenuto di
indicare come (sempre) competente… il
Giudice di Pace (cfr. http://tribunale.fermo.net/pdf/guida_861_07.pdf).
Ciò che mi preme chiarire qui è che il giudizio d’appello
non sembra comunque (a mio giudizio, dovendo esprimere tali conclusioni con l’inevitabile
beneficio d’inventario) soggetto alle norme del Regolamento. Infatti mentre l’art.
18 parla di un «riesame» che sembra vada eventualmente sottoposto al giudice
che ha emesso la sentenza (per circoscritte ipotesi di casi-limite di evidente
violazione del contraddittorio), l’art. 19 si limita a rinviare genericamente
al «diritto processuale dello Stato membro in cui si svolge il procedimento»
per tutti i profili non disciplinati dalle «disposizioni di cui al presente
regolamento». Ne deriva che l’appello avverso la sentenza resa dal Giudice di
Pace secondo le norme del Regolamento andrà proposto e trattato in Tribunale secondo
il rito dell’appello del nostro c.p.c. (ovviamente, solo a condizione che esso
sia ammissibile ai sensi del citato art. 339 c.p.c.).
Mi rendo conto che la norma sul «riesame» (art. 18)
potrebbe anche essere letta in modo diverso ed essere posta in relazione a
quella sull’impugnazione (art. 17), per desumerne che si tratta della medesima
cosa. Peraltro una conferma dell’idea secondo cui, invece, si ha qui a che fare
con due istituti differenti e che pertanto l’appello dinanzi a organo
giurisdizionale italiano è disciplinato dalle norme del c.p.c. italiano, viene
dalla lettura delle «istruzioni» ufficiali contenute nel sito della Commissione
Europea (all’indirizzo web seguente: http://europa.eu/legislation_summaries/consumers/protection_of_consumers/l16028_it.htm),
ove è dato leggere, testualmente, quanto segue: «L’impugnazione di una sentenza
resa nell’ambito del procedimento europeo per le controversie di modesta entità
avviene secondo il diritto processuale degli Stati membri. Entro il 1°
gennaio 2008, questi ultimi devono comunicare alla Commissione la possibilità
di impugnazione in base al proprio diritto processuale e l’organo
giurisdizionale innanzi al quale può essere presentata. La Commissione rende
tali informazioni accessibili a tutti mediante pubblicazione nella Gazzetta
ufficiale dell’Unione europea e con ogni altro mezzo appropriato.
Il convenuto è legittimato a richiedere un riesame
della sentenza dinanzi all’organo giurisdizionale che l’ha resa, quando:
· il modulo di domanda o la citazione a comparire sono
stati notificati con un metodo che non fornisce la prova che gli atti sono
stati ricevuti da lui personalmente;
· la notificazione e/o comunicazione non è stata
effettuata in tempo utile a consentirgli di presentare la propria replica, per
ragioni a lui non imputabili;
· il convenuto non ha avuto la possibilità di contestare
la domanda a causa di situazioni di forza maggiore o di circostanze eccezionali,
per ragioni a lui non imputabili;
· purché in tutti i casi agisca tempestivamente. Se il
riesame è fondato, la sentenza emessa è nulla».
Ho sottolineato qui sopra le parti
rilevanti dell’informazione tratta dal sito dell’U.E., la quale conferma,
dunque, che impugnazione e riesame sono rimedi distinti, che quest’ultimo ha
luogo dinanzi allo stesso giudice, mentre l’impugnazione si svolge davanti al
giudice designato da ogni Stato membro e con le regole processuali dello Stato
in questione. In ogni caso, va ulteriormente precisato che, se si dovesse
accedere all’opposta tesi, secondo cui riesame ed impugnazione sarebbero la
medesima cosa, e se si dovesse opinare nel senso che il riesame si svolge
dinanzi al giudice dell’impugnazione (cioè, per le decisioni rese dal Giudice
di Pace, dinanzi al Tribunale), i casi nei quali tale riesame viene previsto e
concesso dal Regolamento sono talmente rari da indurre a considerare la
situazione statisticamente al limite dell’irrilevanza.
Concludendo sul punto, poiché le
controversie rientranti per valore (oltre che per materia) tra quelle di cui al
Regolamento nella competenza del Tribunale sono, nella stragrande maggioranza
dei casi (per non dire per la quasi totalità), cause in grado d’appello e
poiché per queste trova applicazione (secondo la tesi che ho cercato di
prospettare e di argomentare) il rito previsto dal nostro c.p.c., le ipotesi in
cui controversie di cui al citato
Regolamento potranno essere proposte al Tribunale secondo il rito del
Regolamento stesso saranno veramente rare e l’impatto del Regolamento di cui
qui si discute sulle strutture del nostro Ufficio Giudiziario sarà comunque
minimo.
A ciò s’aggiunga che, sulla base dell’esperienza della
Sezione Terza Civile, cui tabellarmente compete la trattazione delle cause
d’appello, il «grosso» delle controversie il cui valore si situa al di sotto
della somma di € 2.000,00 è rappresentato da materie quali le opposizioni
avverso sanzioni amministrative. Da questioni, dunque, che sembrerebbero
comunque rientrare (a parte quanto sopra rilevato sui giudizi d’appello come
sottratti all’applicazione delle norme del Regolamento) in quella serie di
eccezioni, già ricordata, che comprende «la materia fiscale, doganale o
amministrativa».
V) Gli artt. 4 e 11 del Regolamento
Le disposizioni che hanno dato luogo alla lettera 24
giugno 2010 del Ministero della Giustizia – Dipartimento per gli Affari di
Giustizia – Direzione Generale della Giustizia Civile sono:
a) Art. 4, Paragrafo 5: «Gli Stati membri garantiscono
che il modulo di domanda sia disponibile presso tutti gli organi
giurisdizionali dinanzi ai quali il procedimento europeo per le controversie di
modesta entità può essere avviato».
b) Articolo 11: «Assistenza alle parti. Gli Stati
membri assicurano che le parti dispongano di un’assistenza pratica ai fini
della compilazione dei moduli».
Per quanto attiene al punto sub a) non sembrano esistere soverchie difficoltà. Il modulo di
domanda è scaricabile dal sito Internet del più volte citato Atlante, più esattamente
dall’indirizzo web seguente: http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html/sc_form1_it.jsp?countrySession=5&txtPageBack=sc_filling_it_it.htm
e sul punto possono essere senza difficoltà impartite istruzioni alla
Cancelleria che verrà individuata dalla Presidenza.
Per ciò che riguarda invece il profilo dell’assistenza
alle parti, vorrei sottolineare (a parte la posizione piuttosto, mi sia
consentito dire, «defilata» sul punto della lettera del Ministero, che, a mio
avviso, è invece proprio il soggetto chiamato in causa «in prima battuta»
dall’art. 11, anche letto alla luce dell’art. 110 Cost.) che non appare
possibile individuare – per ciò che attiene ai soggetti eventualmente
incaricati di fornire «assistenza pratica ai fini della compilazione dei moduli»
– personale appartenente alla Magistratura, per il quale si verrebbe a porre
immediatamente un problema di applicabilità dell’art. 51, n. 4), c.p.c.
Qualora, pertanto, il Ministero non volesse attivarsi
ulteriormente nel senso indicato dagli artt. 4 e 11 (la cui concreta
attuazione, ripeto, a mio sommesso avviso ricade direttamente sotto la
competenza del citato Organo), non rimarrebbe al Presidente del Tribunale che
designare uno o più appartenenti al personale di Cancelleria (il cui compito
concreto peraltro sarà, nella stragrande maggioranza dei casi, quello di
invitare i cittadini interessati a rivolgersi agli uffici del Giudice di Pace).
Sperando di aver esaurientemente risposto al quesito
postomi, rimango a disposizione per ogni eventuale chiarimento ed invio i miei più
cari e cordiali saluti.
(Giacomo Oberto)