ACCORDI PREVENTIVI SULLA CRISI CONIUGALE
Diversi anni sono trascorsi da quando lo scrivente,
nel contesto dello studio monografico sui contratti della crisi coniugale,
lanciava l’idea di consentire e praticare anche in Italia la predeterminazione della
sorte delle prestazioni postmatrimoniali, mercé il ricorso ad accordi
prematrimoniali in vista della crisi coniugale, sostenendone la piena
ammissibilità, già de iure condito,
nel nostro sistema [1]. Il dibattito che ne è seguito ha visto la dottrina almeno
in parte contrapporsi ad una giurisprudenza di legittimità arroccata su
posizioni fortemente negazioniste, che sono però andate man mano stemperandosi
nell’enumerazione di talune ipotesi eccezionali, divenute via via sempre più
frequenti, in relazione alle quali si è di fatto riconosciuta la validità di
singole intese preventive in vista dell’annullamento del matrimonio, del
divorzio o della separazione [2].
Potrà sembrare curioso che chi ha speso tanti anni
della propria attività per dimostrare la validità di un determinato tipo di
negozi giuridici si faccia alfiere della disciplina de iure condendo degli stessi. In realtà, questo non equivale, in
modo alcuno, ad ammettere che la persistente assenza di una normativa ad hoc impedisca il ricorso, già oggi,
al generale principio di libertà contrattuale. Semmai, non vi è dubbio sul
fatto che la presenza di tale positiva disciplina servirebbe, da un lato, a
sgombrare definitivamente il campo dalle (ingiustificate) resistenze che molti
ancora oggi oppongono e, dall’altro, a fornire di adeguata e ragionevolmente
certa risposta tutta una serie di interrogativi che si pongono sulla tutela di
posizioni quali, ad esempio, quella della parte eventualmente «debole», o
sull’esatta delimitazione delle «sfere di competenza» del notaio, dell’avvocato
e del giudice.
La presente non è certo la prima proposta di legge in
materia. Contenuti e punti salienti di quelle presentate negli ultimissimi anni
hanno già formato oggetto di un particolare studio dello scrivente, cui si fa
qui, per brevità, mero rinvio [3]. Il «difetto» di tali esercizi, se mi si passa
l’espressione, è quello di recare evidenti le stigmate delle rispettive
categorie professionali di provenienza. Con il presente lavoro si tenta invece
di fornire una visione super partes,
tenendo chiaramente distinti, ancorché possibilmente convergenti, i ruoli del
notaio, dell’avvocato e del giudice. Soprattutto, per ciò che attiene alle
prime due categorie, si è cercato di trasfondere in proposte di norme concrete
la fondamentale distinzione di contenuti che il contratto prematrimoniale può
avere: dall’accordo sulle conseguenze della crisi coniugale in tema di assegni
postmatrimoniali (in tutte le loro possibili forme), all’intesa circa le
conseguenze che il fallimento dell’unione può produrre sull’assetto del regime
matrimoniale prescelto, al pacte de
famille sulla conservazione e sulla trasmissione post mortem del patrimonio familiare. In queste due ultime
situazioni è evidente che solo un intervento riformatore potrebbe aiutare, da
un lato, a restituire al regime legale la souplesse
necessaria ad evitarne il rifiuto da parte della stragrande maggioranza delle
nuove coppie [4], e, dall’altro, ad arginare, per lo meno in questo
limitato settore – conformemente del resto ad una tradizione secolare,
inopportunamente eliminata dal radicalismo giacobino della legislazione
rivoluzionaria – la straripante invadenza del divieto dei patti sulle
successioni future.
Alcune brevissime notazioni introduttive varranno a
dar conto delle scelte operate.
Iniziando dal profilo terminologico, si è preferito
abbandonare la dizione (proposta da quasi tutti i progetti di legge ad oggi in
vario modo pubblicati) di «accordi prematrimoniali». L’attributo «prematrimoniale»
– a parte l’impropria evocazione, in un ambiente ancora fortemente marcato
dalla tradizione cattolica, degli esecrati rapporti sessuali ugualmente
aggettivati – finisce con l’essere fortemente limitativo. L’esperienza dimostra,
infatti, che molte delle intese qui in discorso sono stipulate non già prima
del matrimonio, bensì in costanza di esso, laddove ciò che caratterizza questi
accordi non è tanto il momento in cui gli stessi sono conclusi rispetto al
giorno del fatidico «sì», bensì la loro natura in contemplation of divorce. Per giunta, alcune delle proposte di
questi ultimi anni discriminano tra accordi prematrimoniali ed accordi
successivi alla celebrazione delle nozze, vuoi rendendo (chissà mai perché)
possibili solo i primi, vuoi imponendo (anche qui non si comprende bene per
quale ragione) il rispetto di forme diverse [5]. Quanto sopra spiega dunque l’opzione per la formula
«accordi preventivi sulla crisi coniugale», laddove l’aggettivo «preventivi»
chiaramente si riferisce al momento della crisi dell’unione e non
necessariamente a quello della costituzione del rapporto di coniugio.
Quanto poi al richiamo alla «crisi coniugale», anziché
al divorzio, si è voluto qui rendere omaggio a quell’espressione («contratti
della crisi coniugale») che – da chi scrive inventata in una piovosa giornata
nizzarda dell’inverno 1998, quale titolo del lavoro che sarebbe stato
pubblicato all’inizio dell’anno successivo – ha ormai preso piede in questi
ultimi anni (anche nelle diligenti copiature di taluni Autori: ma pure questo
fenomeno è, in fondo, indice di successo!). E del resto è evidente che, almeno fino
a quando la separazione legale conserverà, nella stragrande maggioranza dei
casi, la sua caratteristica di condicio
sine qua non per il divorzio, la maggior parte dei nodi che formano
potenziale oggetto di un’intesa del genere di quelle in discorso continueranno
a venire al pettine già in sede di separazione [6]. D’altro canto ho voluto caratterizzare questa mia
proposta rispetto alle altre, proprio perché, piaccia o meno, dogmaticamente
corretto o scorretto che sia, anche l’annullamento del matrimonio è uno dei
modi con i quali si celebra e si risolve la crisi coniugale; inoltre, proprio in
relazione all’annullamento, la Cassazione ha, come noto, già affermato la piena
validità di possibili intese preventive [7].
Si è dunque tentato di fornire (cfr. art. 162-bis c.c.) una definizione degli accordi
in discorso caratterizzandoli, appunto, per la contemplation della crisi coniugale, nelle sue varie forme, ma anche
ancorandone l’oggetto alla predeterminazione, da un lato, delle «condizioni»
della separazione, del divorzio e dell’annullamento del matrimonio e,
dall’altro, dei «rapporti patrimoniali» da tali pronunzie dipendenti. In tal
modo si è voluto attribuire rilievo, in primis,
alle pattuizioni su profili di carattere eventualmente anche non patrimoniale
(dalla decisione sulla conservazione del cognome del marito, alle intese
sull’esercizio della responsabilità genitoriale, tanto per citare due esempi) [8], secondo il significato usualmente attribuito al
termine «condizioni della separazione» o «condizioni del divorzio» [9]. Ciò spiega perché si è evitato nella specie
l’utilizzo del termine «contratto», sebbene il richiamo alle norme codicistiche
della parte generale di siffatto istituto giuridico si imponga, sia per le
pattuizioni su prestazioni di carattere patrimoniale (che al genus contrattuale sicuramente
appartengono), sia per quelle non aventi natura patrimoniale, in base alla nota
teoria sul negozio giuridico familiare [10].
Ineludibile appariva poi la necessità di trattare, in
un’ottica postconiugale, il tema delle intese attinenti al regime patrimoniale.
Per questa ragione il riferimento ai «rapporti
patrimoniali dipendenti dall’eventuale separazione personale, così come
dall’eventuale annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del
matrimonio» (già presente, per ciò che attiene alla separazione ed al divorzio,
nella proposta avanzata nel 2011 dal notariato) è parso il più idoneo a consentire
alla voluntas contrahentium di
eventualmente modellare il regime patrimoniale in modo da conformarlo alla
necessità di soddisfare istanze solidaristiche per la sola ipotesi di
cessazione dello stesso in situazioni diverse dalla crisi (morte, fallimento, convenzione
matrimoniale, ecc.). Non vi è dubbio che una formulazione del genere (unita
alla regola in tema di forma, di cui verrà detto tra poco) dovrebbe consentire,
ad esempio, alle parti (all’uopo opportunamente informate dal notaio) di optare
per una comunione, vuoi legale, vuoi convenzionale («allargata» o «ristretta»,
a seconda dei casi e dei desideri dei coniugi) munita di una clause alsacienne, in forza della quale
il regime comunitario è destinato a venir meno, con efficacia retroattiva, in caso
di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio [11], persistendo, invece, per le altre ipotesi previste
dall’art. 191 c.c.
Alle parti sarà altresì consentito – conformemente a
quanto avviene in praticamente tutti i sistemi nei quali la comunione, nelle
sue varie epifanie, costituisce il regime legale [12] – optare per una comunione a quote diverse da quelle
necessariamente fifty-fifty, oggi
imposte dagli artt. 194 e 210 c.c., in modo tale da poter dar rilievo ad
un’eventuale differenza tra gli apporti dell’una e dell’altra parte per gli
acquisti operati dal ménage
coniugale.
Proprio tali aspetti evidenziano la possibile «concorrenzialità»,
nella predisposizione dei relativi patti, tra la funzione dell’avvocato e
quella del notaio.
Se è vero, infatti, che il profilo degli accordi sulle
«condizioni» della separazione, del divorzio o dell’annullamento del matrimonio
apparirebbe, almeno di primo acchito, ricadere naturaliter nella sfera di competenza dell’avvocato, è altrettanto
innegabile che a ciò si potrebbe subito obiettare che la prospettiva
antiprocessuale [13] propria degli accordi preventivi potrebbe non sempre
adattarsi ad essere pienamente recepita da una categoria professionale
eminentemente impegnata sul profilo contenzioso (ovvero su quello consensuale,
in un momento che si pone, però, sempre «a valle» rispetto al matrimonio ed
alla crisi coniugale). D’altro canto, la stesura di accordi che implichino la
modifica del regime patrimoniale (ancorché nell’ottica della crisi coniugale)
viene a dar vita a vere e proprie convenzioni matrimoniali, per la redazione
delle quali è competente, come noto, il solo notaio.
Per queste ragioni, e per evitare il blocco di un
processo evolutivo positivo, derivante da possibili veti incrociati delle due
categorie professionali, sembra opportuno definire con precisione i limiti
delle rispettive sfere di competenza, indicando nel notaio l’unico
professionista legittimato a rogare accordi in vista della crisi coniugale
contenenti modifiche alle norme in tema di regimi patrimoniali della famiglia,
così come eventuali patti successori endofamiliari (cfr. art. 162-bis, undicesimo comma, c.c.). Gli altri
accordi preventivi potranno invece essere, indifferentemente, vuoi rogati da
notaio, vuoi stipulati con mera scrittura privata, autenticata però da un
avvocato cassazionista, previa sottoposizione a quella ulteriore forma di garanzia
che nel mondo anglosassone viene designata come independent legal counsel [14].
Si è ritenuto invece di escludere l’applicabilità
delle citate regole in materia di forma nel caso di accordi conclusi in sede di
separazione personale in vista del divorzio. La ragione di ciò risiede nel
fatto che siffatte intese sono oggetto di omologazione, nel caso di separazione
consensuale, o comunque vengono recepite dalla sentenza pronunziata su
conclusioni conformi in caso di separazione «consensualizzata»: la peculiare
situazione in cui questi accordi maturano appare dunque tale da sconsigliare il
ricorso a forme più rigorose e ciò anche nel caso in cui le parti si fossero
avvalse della (ad avviso di chi scrive, peraltro, criticabile) possibilità
concessa da molti tribunali di presentare e discutere il ricorso per
separazione consensuale senza l’assistenza di un difensore.
Qual è, invece, il ruolo del giudice?
A differenza di taluni progetti di legge, che
investono l’autorità giurisdizionale di una funzione arcaicamente
paternalistica, facendole carico di operare, praticamente, un’imprescindibile
revisione dei pacta, per adattarli a
criteri di supposta equità, oppure invocando una (impropria) «ratifica» delle
intese, si è qui inteso scongiurare il risultato di fomentare la litigiosità
delle parti, pervenendo a risultati diametralmente opposti rispetto a quelli
che la negozialità endofamiliare dovrebbe perseguire. Tutto al contrario, si è
qui scelta la via di attribuire al giudice la veste che gli è più pertinente,
vale a dire quella del garante del principio secondo cui pacta sunt servanda. Il tribunale interverrà pertanto solo in
assenza di accordi, laddove, in presenza di questi, la sua funzione sarà quella
di dare atto della volontà delle parti, attribuendo all’intesa efficacia di
titolo esecutivo. Sarà il caso di precisare che, sebbene in qualche situazione
tale effetto potrebbe già appartenere all’atto (cfr. art. 474, nn. 2) e 3),
c.p.c.), ciò potrebbe non valere per ogni tipo di accordo (si pensi ad
un’intesa redatta per scrittura privata autenticata da avvocato, che preveda
un’obbligazione diversa da quella descritta dall’art. 474, n. 2), c.p.c.), mentre
potrebbero sorgere controversie sul verificarsi della condizione da cui la
prestazione dipende.
La funzione di garanzia del giudice si esplica appieno
nelle intese relative alla prole minorenne, in relazione alle quali si è
prevista una procedura analoga a quella della omologazione di cui all’art. 158
cpv. c.c. o 4, sedicesimo comma, l.div. [15]. La prescritta autorizzazione va richiesta peraltro
solo dopo la celebrazione delle nozze, nel caso vi siano già figli, oppure a
partire dalla nascita del primo figlio e va comunque nuovamente richiesta ad
ogni eventuale successiva nascita di altri figli, atteso che l’evidente
mutamento delle circostanze può diversamente modulare il giudizio di conformità
delle intese all’interesse della prole.
Quanto ai modi con i quali si può concretamente
modellare l’assetto degli eventuali rapporti postmatrimoniali, viene lasciato
il più ampio spazio all’autonomia negoziale.
La norma di cui al comma sesto dell’art. 162-bis c.c. potrebbe anche ritenersi
superflua, se autorevole dottrina non avesse addirittura prospettato
l’inapplicabilità dell’art. 2645-ter
c.c. alla famiglia fondata sul matrimonio, in seno alla quale potrebbe darsi
vita solo ad un fondo patrimoniale [16]. In ogni caso non va trascurata la funzione
«didattica», «premiale» e «incentivante» che l’adozione di una normativa ad hoc può assumere, nello stimolo agli
operatori ad utilizzare strumenti che l’ordinamento già pone a disposizione dei
soggetti in linea generale. Lo stesso rilievo vale per quello che si avvia a
diventare un «classico» della crisi coniugale, vale a dire il rilievo che
l’eventuale instaurazione di una convivenza more
uxorio – da parte dell’uno o dell’altro dei contraenti – può dispiegare sull’efficacia
dell’assetto postmatrimoniale. Anche in questo caso è opportuno che le parti
s’accordino, espressamente, attribuendo o negando rilievo a tale eventualità [17].
L’ottavo comma dell’art. 162-bis c.c. configura un vero e proprio trust all’italiana a tutela di uno dei
(rari) casi in cui l’importazione dell’istituto anglosassone ha veramente un
senso ed una sua causa meritevole di protezione da parte dell’ordinamento
giuridico, vale a dire la cura o il sostegno di figli portatori di handicap.
La materia dei trasferimenti e della
costituzione di diritti è trattata sia dal citato comma ottavo (trasferimento
in favore di un fiduciario ed eventuale ritrasferimento in capo al conferente o
in capo a terzi beneficiari finali, quali gli stessi figli), sia dal comma
quinto dello stesso art. 162-bis c.c.,
che contempla la possibilità per le parti di regolare i rapporti
postmatrimoniali reciproci (nonché quelli relativi alla prole: ma pure in
questo caso è evidente la necessità di una autorizzazione diretta a riscontrare
nella specie la rispondenza agli interessi dei figli minori) anche a mezzo dei
citati atti traslativi. Come è oggi già consentito in sede di contratti della
crisi coniugale, il trasferimento o la costituzione potranno avere nel
contratto preventivo la struttura del mero impegno a trasferire (o a costituire),
così come la struttura della traslazione o costituzione con efficacia reale,
sottoposta alla condizione sospensiva della crisi coniugale. Si è ritenuto di
dover precisare che, nel primo caso, gli impegni ad operare il trasferimento
della proprietà o la costituzione di diritti reali sono assistiti, in caso di
inadempimento, dal rimedio di cui all’art. 2932 c.c.
L’eventuale funzione traslativa delle
intese in discorso doveva poi trovare un riscontro nelle disposizioni in tema
di pubblicità. Così, mentre si chiarisce, a scanso di equivoci, che anche la
scrittura privata autenticata da avvocato, ex
art. 162-bis c.c., è titolo idoneo
alla trascrizione ai sensi dell’art. 2657 c.c., il nuovo art. 2647-bis c.c. si occupa di fornire di
adeguata pubblicità dichiarativa tali accordi, mentre all’art. 2653 c.c. viene
aggiunto un n. 6), che consente la trascrizione delle domande giudiziali dirette
all’adempimento delle obbligazioni assunte ai sensi dei commi quinto, sesto,
settimo e ottavo dell’articolo 162-bis,
qualora abbiano ad oggetto l’impegno ad effettuare il trasferimento della
proprietà o la costituzione di un diritto reale per effetto delle citate
convenzioni. La pubblicità delle domande di mero accertamento di effetti reali
legati al verificarsi di eventi della crisi coniugale pare invece già «coperta»
dal n. 1) del citato articolo.
La pubblicità per annotazione sull’atto
di matrimonio sarà poi richiesta per le convenzioni che operano la modifica del
regime patrimoniale, come disposto dal secondo comma dell’art. 162-bis c.c.
Il problema dell’adeguamento dei patti al
mutamento delle circostanze è stato risolto in senso favorevole al mantenimento
di un notevole grado di «certezza» dei rapporti, mercé l’espressa esclusione
dell’operatività della clausola rebus sic
stantibus (che la volontà delle parti potrà invece sicuramente introdurre,
dandosi peraltro carico di specificare con sufficiente precisione quali
circostanze determineranno il mutamento, e in quale misura, degli impegni
assunti). Viene invece espressamente richiamato dal dodicesimo comma dell’art.
162-bis c.c. il generale rimedio
della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. D’altro canto si è
anche chiarito che le parti, al fine di attribuire all’intesa il massimo
livello di certezza ipotizzabile, potranno escludere anche la possibilità di
fare ricorso al citato rimedio, avvalendosi della facoltà in linea generale
concessa dall’art. 1469 c.c.
Completa la proposta di legge l’idea di
estendere ai patti in discorso il contenuto dell’art. 19 della legge n.
74/1987, disposizione che si però si trova, nel momento in cui si vergano le
presenti note, in articulo mortis [18]. E’ peraltro universalmente riconosciuto il
contributo che la disposizione in esame ha dato alla consensualizzazione delle
crisi coniugali e, in definitiva, alla positiva soluzione di almeno una parte
del folto ed intricato contenzioso familiare, ciò che depone in senso
favorevole al suo mantenimento.
* * *
Modifiche al codice civile, alla legge
1º dicembre 1970, n. 898 ed alla legge 6 marzo 1987, n. 74,
in materia accordi preventivi sulla
crisi coniugale [19]
Art. 129 c.c. – Diritti dei
coniugi in buona fede.
1.
Quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue
i coniugi, il giudice può disporre a carico di uno di essi e per un periodo non
superiore a tre anni l’obbligo di corrispondere somme periodiche di denaro, in
proporzione alle sue sostanze, a favore dell’altro, ove questi non abbia
adeguati redditi propri e non sia passato a nuove nozze.
2.
Per i provvedimenti che il giudice adotta riguardo ai figli, si applica
l’articolo 155.
3. L’applicazione delle disposizioni del
presente articolo è esclusa nel caso le parti abbiano stipulato una convenzione
ai sensi dell’articolo 162-bis per il
caso di annullamento del matrimonio. In tale caso il giudice attribuisce alla
convenzione efficacia di titolo esecutivo.
Art. 129-bis c.c. – Responsabilità del coniuge in mala fede e
del terzo.
1.
Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio , è tenuto a
corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia
annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno
sofferto. L’indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al
mantenimento per tre anni. E’ tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge
in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati.
2.
Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a
corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato,
l’indennità prevista nel comma precedente.
3.
In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la
nullità del matrimonio è solidalmente responsabile con lo stesso per il
pagamento dell’indennità.
4. L’applicazione delle disposizioni del
presente articolo è esclusa nel caso le parti abbiano stipulato una convenzione
ai sensi dell’articolo 162-bis per il
caso di annullamento del matrimonio. In tale caso il giudice attribuisce alla
convenzione efficacia di titolo esecutivo.
Art.
156 c.c. – Effetti della separazione sui rapporti
patrimoniali tra i coniugi.
1. In difetto di apposito accordo preventivo
sulla crisi coniugale, stipulato ai sensi dell’articolo 162-bis, il giudice, pronunziando la
separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la
separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al
suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.
2.
L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e
ai redditi dell’obbligato.
3.
Resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e
seguenti.
4. Il giudice dà atto dell’esistenza di
un accordo preventivo sulla crisi coniugale, stipulato ai sensi dell’articolo
162-bis, dichiarandolo titolo
esecutivo. Tale dichiarazione può essere emessa in qualunque stato e grado del
processo, compresa la fase presidenziale.
5. Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di
prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa
sottrarsi all’adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e
dall’articolo 155.
6. La sentenza costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca
giudiziale ai sensi dell’articolo 2818.
7. In caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice
può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai
terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro
all’obbligato, che una parte di essa venga versata direttamente agli aventi
diritto.
8. Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di
parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi
precedenti.
Art. 162-bis c.c. – Accordi preventivi
sulla crisi coniugale.
1. I futuri coniugi, prima della
celebrazione delle nozze, ed i coniugi, sino alla presentazione del ricorso di
separazione personale, possono stipulare, con la stessa forma prevista
nell’articolo 162, convenzioni volte a disciplinare le condizioni ed i rapporti
patrimoniali dipendenti dall’eventuale separazione personale, così come
dall’eventuale annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del
matrimonio.
2. I predetti accordi possono anche
essere conclusi mediante scrittura privata autenticata da avvocato iscritto
all’albo speciale di cui all’art. 33, r.d. 27 novembre 1933, n. 1578. In tal
caso l’atto deve altresì contenere, a pena di nullità dell’accordo, le distinte
dichiarazioni di due avvocati iscritti all’albo speciale di cui all’art. 33,
r.d. 27 novembre 1933, n. 1578, con le quali si attesta che ciascuna delle due
parti è stata informata sulle conseguenze degli accordi in oggetto. L’autentica
così rilasciata attribuisce alle convenzioni la natura di atti idonei alla
trascrizione, ai sensi dell’art. 2657. I patti comportanti modifica delle
regole in tema di scioglimento di uno dei regimi patrimoniali disciplinati
dagli articoli da 159 a 230-bis
debbono essere stipulati comunque con il rispetto della forma prescritta
dall’articolo 162 c.c. e sono soggetti alla pubblicità prevista da tale
disposizione. Le regole in materia di forma di cui al presente articolo non si
applicano agli accordi conclusi in sede di separazione personale in vista del
divorzio.
3. Le convenzioni riguardanti i figli
minori nati o nascituri devono essere autorizzate dal tribunale ordinario in
camera di consiglio. Il relativo ricorso va presentato dalle parti dinanzi al
tribunale del luogo di residenza della famiglia. Il procedimento è disciplinato
dagli artt. 737 ss. c.p.c.
4. Nel caso la convenzione sia stata
stipulata prima della celebrazione del matrimonio o prima della nascita di
figli, il ricorso può essere presentato solo una volta celebrato il matrimonio,
se la coppia ha già almeno un figlio, oppure, in caso contrario, alla nascita
del primo figlio; esso va successivamente ripresentato, eventualmente operate
le opportune modifiche alla convenzione, dopo la nascita di ciascun altro
figlio della coppia. Quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento
e al mantenimento dei figli è in contrasto con l’interesse di questi il giudice
rifiuta allo stato l’autorizzazione.
5. Con gli accordi in oggetto un coniuge
può prevedere l’attribuzione all’altro, così come alla prole, al verificarsi di
uno degli eventi sopra descritti, di una somma di denaro periodica, o una somma
di denaro una tantum, ovvero un
diritto reale su uno o più beni mobili o immobili.
6. Le parti possono anche costituire su
uno o più immobili o mobili iscritti in pubblici registri un vincolo di
destinazione ai sensi dell’articolo 2645-ter,
in favore dei coniugi stessi, o di uno solo di essi, così come dei figli, sia
per la durata del rapporto matrimoniale, che dopo l’eventuale verificarsi della
separazione personale, dell’annullamento o dello scioglimento o della
cessazione degli effetti civili del matrimonio.
7. Le parti possono predeterminare,
oltre all’ammontare e all’oggetto delle eventuali prestazioni da corrispondere
a seguito della separazione personale o dell’annullamento, scioglimento o
cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche le condizioni delle
predette prestazioni, ivi compresa l’eventuale cessazione di quelle periodiche
o, al contrario, la persistente debenza delle stesse a seguito
dell’instaurazione di una convivenza more
uxorio da parte dell’uno o dell’altro dei contraenti. Esse possono anche
contenere la rinunzia, totale o parziale, di una delle parti al mantenimento da
parte dell’altra, così come alle prestazioni patrimoniali previste dagli
articoli 129 e 129-bis o all’assegno previsto
dalle disposizioni in tema di scioglimento o cessazione degli effetti civili
del matrimonio, salvo il diritto dei coniugi agli alimenti ai sensi degli
articoli 433 e seguenti.
8. Un coniuge può anche trasferire, o
impegnarsi a trasferire, all’altro coniuge o ad un terzo beni o diritti
destinati al mantenimento, alla cura o al sostegno di figli portatori di handicap per la durata della loro vita o
fino a quando permane lo stato di bisogno, la menomazione o la disabilità a
causa dell’handicap.
9. Gli impegni ad operare il
trasferimento della proprietà o la costituzione di diritti reali ai sensi dei
commi quinto e ottavo del presente articolo sono assistiti, in caso di
inadempimento, dal rimedio di cui all’articolo 2932.
10. Le parti possono stabilire un
criterio di adeguamento automatico del valore delle attribuzioni patrimoniali
predisposte con la convenzione.
11. In tali convenzioni, in deroga al
divieto dei patti successori e alle norme in tema di riserva del coniuge
legittimario, possono essere previste anche norme per la successione di uno o
di entrambi i coniugi, salvi i diritti degli altri legittimari. Questi patti
debbono essere stipulati comunque con il rispetto della forma prescritta
dall’articolo 162 c.c.
12. Salvo patto contrario, le convenzioni
di cui al presente articolo non sono passibili di modificazione o revisione ai
sensi degli articoli 710 c.p.c. e 9, legge 1° dicembre 1970, n. 898 e
successive modifiche. Alle convenzioni di cui al presente articolo trova
applicazione l’articolo 1467 c.c. Resta ferma la possibilità di attribuire alla
convenzione la natura di contratto aleatorio ai sensi dell’articolo 1469 c.c.
13. Alla modificazione delle convenzioni
di cui ai commi precedenti si procede con la stessa forma prevista al primo ed
al secondo comma.
Art. 191 c.c. – Scioglimento
della comunione.
1.
La comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di
uno dei coniugi, per l’annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione
degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la
separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime
patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi.
2. Nel caso di separazione personale
consensuale la comunione si scioglie per effetto del decreto di omologazione
dell’accordo di separazione. Nel caso di separazione personale giudiziale, la
comunione si scioglie al momento dell’emanazione del provvedimento con cui il
presidente autorizza i coniugi a vivere separati.
3. L’eventuale riconciliazione ai sensi
dell’articolo 154 determina l’automatica ricostituzione del regime legale con
efficacia retroattiva.
4.
Nel caso di azienda di cui alla lettera d) dell’articolo 177, lo scioglimento
della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma
prevista dall’articolo 162.
Art. 194 c.c. – Divisione dei
beni della comunione.
1.
La divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti
eguali l’attivo e il passivo, salva
diversa disposizione contenuta nella convenzione stipulata ai sensi degli
articoli 162 o 162-bis. In tale
ultimo caso la convenzione necessita del rispetto della forma prescritta
dall’articolo 162.
2.
Il giudice, in relazione alle necessità della prole e all’affidamento di essa,
può costituire a favore di uno dei coniugi l’usufrutto su una parte dei beni
spettanti all’altro coniuge.
Art. 210 c.c. – Modifiche
convenzionali alla comunione legale dei beni.
1.
I coniugi possono, mediante convenzione stipulata a norma dell’articolo 162, o a norma dell’articolo 162-bis, in quest’ultimo caso stipulata con
il rispetto della forma prescritta dall’articolo 162, modificare il regime
della comunione legale dei beni purché i patti non siano in contrasto con le
disposizioni dell’articolo 161.
3.
I beni indicati alle lettere c), d) ed e) dell’articolo 179 non possono essere
compresi nella comunione convenzionale.
3. [Terzo comma abrogato]
Art. 2647-bis – Trascrizione degli
accordi preventivi sulla crisi coniugale.
Gli accordi preventivi sulla crisi
coniugale stipulati ai sensi dei commi quinto, sesto, settimo e ottavo
dell’articolo 162-bis devono essere
trascritti, se hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà o la
costituzione di diritti reali su beni immobili o beni mobili iscritti in
pubblici registri.
Gli atti enunciati nel comma precedente
non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato
diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente
alla trascrizione degli atti medesimi.
Art.
2653 – Altre domande e atti soggetti a
trascrizione a diversi effetti.
Devono
parimenti essere trascritti:
1)
le domande dirette a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di
godimento su beni immobili e le domande dirette all’accertamento dei diritti
stessi.
La
sentenza pronunciata contro il convenuto indicato nella trascrizione della
domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato diritti dal
medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda;
2)
la domanda di devoluzione del fondo enfiteutico.
La
pronunzia di devoluzione ha effetto anche nei confronti di coloro che hanno
acquistato diritti dall’enfiteuta in base a un atto trascritto posteriormente
alla trascrizione della domanda;
3)
le domande e le dichiarazioni di riscatto nella vendita di beni immobili.
Se
la trascrizione di tali domande o dichiarazioni è eseguita dopo sessanta giorni
dalla scadenza del termine per l’esercizio del riscatto, restano salvi i
diritti acquistati dai terzi dopo la scadenza del termine medesimo in base a un
atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda o
della dichiarazione;
4)
le domande di separazione degli immobili dotali e quelle di scioglimento della
comunione tra coniugi avente per oggetto beni immobili.
La
sentenza che pronunzia la separazione o lo scioglimento non ha effetto a danno
dei terzi che, anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno validamente
acquistato dal marito diritti relativi a beni dotali o a beni della comunione;
5)
gli atti e le domande che interrompono il corso dell’usucapione di beni
immobili.
L’interruzione
non ha effetto riguardo ai terzi che hanno acquistato diritti dal possessore in
base a un atto trascritto o iscritto, se non dalla data della trascrizione
dell’atto o della domanda.
Alla
domanda giudiziale è equiparato l’atto notificato con il quale la parte, in
presenza di compromesso o di clausola compromissoria, dichiara all’altra la
propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda
e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.
6) le domande giudiziali dirette
all’adempimento delle obbligazioni assunte ai sensi dei commi quinto, sesto,
settimo e ottavo dell’articolo 162-bis,
qualora abbiano ad oggetto l’impegno ad effettuare il trasferimento della
proprietà o la costituzione di un diritto reale per effetto delle citate
convenzioni. La sentenza pronunciata contro il convenuto indicato nella
trascrizione della domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato
diritti dal medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della
domanda.
Legge n. 898/1970
Art. 5, comma 6
6.
Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti
civili del matrimonio, in difetto di
apposito accordo preventivo sulla crisi coniugale, stipulato ai sensi
dell’articolo 162-bis, il
tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della
decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla
conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello
comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in
rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di
somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo
non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Il giudice dà atto dell’esistenza di un
accordo preventivo sulla crisi coniugale, stipulato ai sensi dell’articolo 162-bis, dichiarandolo titolo esecutivo.
Tale dichiarazione può essere emessa in qualunque stato e grado del processo,
compresa la fase presidenziale.
Legge n. 74/1987
Art. 19
1.
Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti, ivi comprese le convenzioni di cui all’articolo 162-bis c.c., relativi al procedimento
di separazione personale dei coniugi, ovvero di annullamento, di scioglimento o
di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche
esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione
degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché a quelli di cui agli articoli 155 e
156 c.c. sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra
tassa.
[1] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
Milano, 1999, p. 485 ss.
[2] Per i richiami si rinvia a Oberto, Contratti
prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale, in Fam. dir., 2012, p. 69 ss., 80 ss.; per
un successivo caso cfr. Id., Gli accordi prematrimoniali in Cassazione,
ovvero quando il distinguishing
finisce nella Haarspaltemaschine, nota a Cass., 21 dicembre 2012, n. 23713,
in Fam. dir., 2013, p. 321 ss. Per
una decisione ulteriormente successiva v. Cass., 21 agosto 2013, n. 19304, con
il quale si è deciso che è valida la clausola inserita in un contratto di mutuo
stipulato tra i coniugi durante il matrimonio con la quale si prevede, in caso
di separazione, la restituzione della somma prestata. Di contro alla tesi del
coniuge debitore, che allegava la nullità dell’impegno per contrarietà
«all’ordine pubblico e al buon costume, perché equivale a porre delle
limitazioni alle altrui fondamentali libertà», soggiungendo che «il diritto a
separarsi del coniuge è diritto “personalissimo” che non tollera alcuna forma
di limitazione» e sottolineando l’ «impossibilità di “negoziare” i diritti e i
doveri che scaturiscono dal matrimonio», la Cassazione ha chiarito che nessuna
norma imperativa impedisce ai coniugi, in costanza di matrimonio, di
riconoscere l’esistenza di un debito verso l’altro e di subordinare la restituzione
al verificarsi di un evento futuro ed incerto qual è la separazione coniugale.
La Corte ha così stabilito che il richiamo agli artt. 143 e 160 c.c. nella
specie era improprio, «perché l’inderogabilità dei diritti e dei doveri che
scaturiscono dal matrimonio non viene meno per il fatto che uno dei coniugi,
avendo ricevuto un prestito dall’altro, si impegni a restituirlo per il caso
della separazione. Che poi l’esistenza di un simile accordo si possa tradurre
in una pressione psicologica sul coniuge debitore al fine di scoraggiarne la
libertà di scelta per la separazione è questione che nel caso specifico non ha
trovato alcun riscontro probatorio; e che comunque, ove pure sussistesse, non
si tradurrebbe di per sé nella nullità di un contratto come quello in esame».
[3] Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi
preventivi sulla crisi coniugale, cit., p. 92 ss.
[4] L’argomento è sviluppato in Oberto, La comunione
legale tra coniugi, nel Trattato di
diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni,
continuato da Schlesinger, I,
Milano, 2010, p. 372 ss.
[5] Cfr., rispettivamente, il d.d.l. S/2629 (XVI)
d’iniziativa dei senatori Filippi, Garavaglia e Mazzatorta, comunicato alla
Presidenza del Senato il 18 marzo 2011 recante il titolo «Modifiche al codice
civile e alla l. 1º dicembre 1970, n. 898, in materia di patti prematrimoniali»
e la proposta dell’A.M.I., su cui cfr. Oberto,
Contratti prematrimoniali e accordi
preventivi sulla crisi coniugale, cit., p. 93 ss., 96 ss.
[6] Proprio per questa ragione lo scrivente è riuscito a
far inserire il riferimento all’espressione e al concetto di crise du mariage/marriage crisis, anziché a quello di divorce, in seno ai lavori del gruppo SATURN della CEPEJ del
Consiglio d’Europa, al fine di rendere comparabili tra di loro i dati
sull’efficienza della giustizia in tale settore nei Paesi membri del Consiglio
d’Europa: cfr. ad es. il meeting report di cui alla pagina web seguente: https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=1944035&Site=COE,
nonché il questionario disponibile alla pagina web seguente: http://www.coe.int/t/dghl/cooperation/cepej/meetings/2012/13_2012_Saturn_questinnaire_fr.asp.
[7] Cass., 13 gennaio 1993, n.
[8] Su questi temi si fa rinvio a Oberto, Del «Galateo postmatrimoniale»: ovvero gli
accordi sui comportamenti e sul cognome maritale tra separati e divorziati,
in Riv. notar., 1999, p. 337 ss.
[9] Oberto, I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 700 ss.
[10] I fondamenti della nota teoria di Francesco
Santoro-Passarelli sono rinvenibili in Santoro-Passarelli,
L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Dir. giur., 1945,
p. 3 ss. e in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 381 ss., su
cui cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 103 ss., 116 ss. Sul tema v. inoltre Zoppini,
L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv.
dir. civ., 2001, p. 213 ss.; Bocchini,
Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, in Riv. dir. civ.,
2001, p. 446 ss. (lo scritto è anche pubblicato in Aa.Vv., Autonomia
negoziale tra libertà e controlli, a cura di Fuccillo, Napoli, 2002, p. 93
ss.); Autorino Stanzione, Autonomia
negoziale e rapporti coniugali, in Rass. dir. civ., 2004, p. 3 ss.; Costanza, Rapporti patrimoniali e
autonomia privata, in Aa.Vv., Il nuovo diritto di famiglia,
Trattato diretto da Ferrando, II, Rapporti personali e patrimoniali,
Bologna, 2008, p. 256 ss.; S. Patti,
I rapporti patrimoniali tra coniugi. Modelli europei a confronto, ibidem, p. 235 ss.; Criaco, Liberalità e rapporti
patrimoniali tra coniugi, Milano, 2008, p. 12 ss.
[11] Tramite tale clause
alsacienne, invero, le coppie che optano in Francia per il regime di
comunione universale possono stabilire che, in caso di scioglimento per
divorzio, ognuno dei coniugi riprenderà gli apporti alla comunione (cfr. Malaurie e Aynès, Les régimes matrimoniaux, Paris, 2007, p. 89,
p. 325 s.). Il risultato perseguito è sicuramente commendevole. Come rilevato dalla
dottrina transalpina (Brun-Wauthier,
Régimes matrimoniaux et régimes
patrimoniaux des couples non mariés, Orléans, 2009, p. 267), «En période de
divortialité galopante, on peut comprendre la préoccupation des époux de faire
en sorte que le bénéfice susceptible d’être tiré du régime matrimonial soit
minimal en cas de divorce et maximal en cas de décès. La clause de liquidation
alternative répond à cette attente (également dénommée clause alsacienne en
raison de son développement par les praticiens alsaciens en réponse à la fréquence
de la communauté universelle dans cette région, pour des raisons historiques).
Elle consiste, dans le cas d’une communauté universelle, à liquider celle-ci
différemment selon la cause de dissolution. En cas de dissolution par décès,
les règles de la communauté universelle s’appliquent. Au contraire, en cas de
dissolution par divorce, la liquidation est réalisée comme s’il s’agissait
d’une communauté réduite aux acquêts, par la possibilité offerte à chacun des
époux de reprendre ses “apports”, c’est-à dire les biens qui auraient été
propres en régime légal ou les biens non constitutifs d’acquêts» (in generale sulla
clause alsacienne v. anche i
riferimenti in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 386, nota 171; II, Milano, 2010, p. 1671, nota 198). La clausola viene
da tempo ritenuta, dalla giurisprudenza, conforme al sistema del Code civil: nel senso che «Ne porte pas
atteinte au principe de l’immutabilité des conventions matrimoniales la clause
par laquelle, dans le cadre d’un régime de communauté universelle, chaque époux
reprendrait, en cas de dissolution de la communauté par divorce, les biens
tombés dans la communauté de son chef» v. App. Colmar, 16 maggio 1990, in Rép. Defrénois, 1990, p. 1361, con nota di Champenois; in JCP, 1991, éd. N., II, p. 17, con nota
di Simler. Ancora vent’anni dopo
la validità della clausola è stata ribadita da Cass.1ère civ., 17
novembre 2010, n° 09-68292, la quale ha affermato che la stessa «ne confère
aucun avantage matrimonial», confermando l’avviso della dottrina, secondo cui
«loin de conférer un avantage, son effet est de faire obstacle à ce qu’un
avantage matrimonial se réalise» (Simler,
La validité de la clause de liquidation
alternative de la communauté universelle menacée par le nouvel article 265 du
Code civil, in JCP, N 2005,
1265). Anche
per Cass.1ère civ., 17 janvier 2006, la clausola è valida,
costituendo «un aménagement des règles du partage (le bien repris est commun),
qui ne porte pas atteinte à
l’immutabilité ou à l’unicité du régime matrimonial». Essa ha infine ricevuto un ulteriore avallo dalla
riforma francese del 23 giugno 2006 (sulle successioni e liberalità), in vigore
dal 1° gennaio 2007, che ha introdotto un terzo comma all’art. 265 del Code, a mente del quale «si le contrat
de mariage le prévoit, les époux pourront toujours reprendre les biens qu’ ils
auront apportés à la communauté». Il successo che siffatto tipo di intesa ha ottenuto,
unitamente all’introduzione della disposizione normativa testé citata, aprono
il varco a nuove audacie applicative, sempre nel segno di un’ampliata libertà
negoziale: «Dans l’hypothèse dans laquelle les époux auraient prévu une
communauté universelle avec attribution intégrale au survivant, ils pourraient
prévoir une double clause : une clause de reprise des apports en cas de divorce
et une clause d’exclusion de reprise des apports en cas de décès. On pourrait,
également, songer à la clause qui exclurait, dans le contrat de mariage portant
adoption du régime de participation aux acquêts, le calcul de la créance de
participation en cas de dissolution du mariage par divorce. Les époux
préféreront organiser par anticipation une telle modulation, plutôt que
d’opérer un changement de régime, plus onéreux, durant leur mariage» (Brun-Wauthier, op. loc. ultt. citt).
[12] Cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 172 ss., 380 ss.; II, cit., p. 1652 ss., 2020, nota 40.
[13] Che, come noto, il Carnelutti ricollegava al proprium della funzione notarile: cfr. Carnelutti, La figura giuridica del notaio, in Riv. notar., 1951, p. 8.
[14] Su cui v., anche per i richiami alla dottrina dei
sistemi di common law, Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale,
cit., p. 73, 88, 94. Tanto per portare un ulteriore esempio, questa volta
tratto dall’esperienza di civil law,
anche l’art. 231-20 del Codi Civil de
Catalunya stabilisce, al comma secondo, che il notaio, prima di rogare il
patto prematrimoniale, «ha d’informar per separat
cadascun dels atorgants sobre l’abast dels canvis que es pretenen introduir amb els pactes respecte al règim legal supletori i els ha
d’advertir de llur deure recíproc de proporcionar-se la informació a què
fa referència l’apartat 4» (vale a dire l’informazione reciproca sui redditi e
patrimoni dei contraenti).
[15] Sulla natura sostanzialmente omologatoria della
«sentenza» di cui alla citata disposizione cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale,
II, Milano, 1999, p. 1338 ss.
[16] Il dubbio è sollevato da G. Gabrielli, Vincoli di
destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri
immobiliari, in Riv. dir. civ.,
2007, p. 321 ss. Contra Oberto, Le destinazioni patrimoniali nell’intreccio dei rapporti familiari,
in Aa. Vv.,
Le destinazioni patrimoniali, a cura
di R. Calvo e A. Ciatti, nel Trattato
dei contratti, a cura di E. Gabrielli e P. Rescigno, in corso di stampa.
[17] Ovviamente le clausole dovranno tenere conto del
necessario rispetto dei principi d’ordine pubblico: così, ad esempio, non
sarebbe valido l’impegno a non iniziare una convivenza more uxorio: il tema è sviluppato in Oberto, Del «Galateo postmatrimoniale»: ovvero gli
accordi sui comportamenti e sul cognome maritale tra separati e divorziati,
cit., p. 337 ss.
[18] Cfr. art. 10, comma quarto, d.lgs. 14 marzo 2011, n.
23, così come modificato dal d.lgs. 12 settembre 2013, n. 104, in vigore (salvo
sorprese dell’ultima ora) dal 1° gennaio 2014, il quale prevede che, con
l’entrata in vigore delle nuove modalità di tassazione dei trasferimenti
immobiliari, siano «soppresse tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie,
anche se previste in leggi speciali».
[19] Per una più agevole comprensione si è preferito
presentare un testo già coordinato. Le modifiche proposte sono evidenziate in
grassetto.