DELLA SEPARAZIONE CONSENSUALE
(Versione aggiornata al 10 ottobre 2015)
Sommario: 1. La prospettiva storica. – 2. Il possibile interesse dei coniugi a simulare una
separazione personale. – 3. Simulazione della e
simulazione nella crisi coniugale. Fatto e diritto nella prima pronunzia
della Cassazione sul tema (Cass., 5 marzo 2001, n. 3149). – 4.
Le intese coeve agli accordi di separazione omologati: un revirement implicito? – 5. La simulazione della separazione consensuale nella
seconda decisione di legittimità sul tema (Cass., 20 novembre 2003, n. 17607)
e le relative critiche. – 6. La simulazione della
separazione consensuale in un obiter
di legittimità del 2008, in una pronunzia di estinzione del 2012 ed in un successivo
ritorno alla tesi negativa con una decisione del 2014. – 7.
La natura negoziale degli accordi di separazione consensuale e di divorzio su
domanda congiunta. I contratti della crisi coniugale. – 8.
Simulazione, vizi del consenso e capacità delle parti nel negozio di
separazione consensuale: le tesi della dottrina e della giurisprudenza. – 9. Sull’applicabilità ai negozi (e ai contratti) della
crisi coniugale delle disposizioni dettate in materia d’esistenza e
d’integrità del consenso contrattuale. – 10. Primo
corollario: i rapporti con l’azione revocatoria. – 11.
Secondo corollario: i rapporti con il decreto di omologazione della
separazione consensuale (e con la sentenza di divorzio su domanda congiunta).
– 12. Terzo corollario: gli effetti verso i terzi
dell’accertamento della simulazione (o della pronunzia di annullamento o di
revoca). |
«Vir mulieri divortio facto quaedam idcirco dederat, ut
ad se reverteretur: mulier reversa erat, deinde divortium fecerat. (Labeo:)
Trebatius inter Terentiam et Decenatem respondit si verum divortium fuisset,
ratam esse donationem, si simulatum, contra». Questo passo del Digesto [1] mostra in maniera assai eloquente come il problema
della simulazione della (e nella) crisi coniugale non sia solo cosa (solo) di
questi tempi. Le ipotesi prese in considerazione da svariati passi della
compilazione giustinianea erano caratterizzate dalla messinscena d’un divorzio
fittizio, vuoi per eludere il divieto di donazioni tra coniugi [2], vuoi per aggirare le regole in tema di restituzione
della dote [3], vuoi per frodare i creditori [4], secondo quanto chiaramente illustrato oltre quattro
secoli or sono, commentando le fonti in oggetto, da Cuiacio [5] e da Baudoza [6].
Ma non è certo il caso di scomodare i sacri testi per
andare alla caccia di esempi di crisi coniugali simulate o comunque volte a
realizzare scopi fraudolenti: si pensi (si
licet parva componere magnis) all’episodio
di (mal)costume narrato da un film italiano del 1994, in cui un trafelato e non
troppo scrupoloso professionista milanese costringe la moglie ad inscenare una
finta separazione a scopi d’elusione fiscale [7]. All’espediente cinematografico sembra corrispondere
più d’un risvolto reale, se si deve prestar fede a certe notizie provenienti
dall’estero [8], così come all’insistenza di certe nostre
disposizioni fiscali, che espressamente richiamano la figura del coniuge
«legalmente ed effettivamente separato» [9], o anche solo alla casistica (che sembra infittirsi
in questi ultimi tempi) in materia di trasferimenti immobiliari tra coniugi in
frode ai creditori [10], sebbene un’analisi pacata del problema, e la sua
collocazione in una prospettiva un po’ più ampia dimostrino come, in questo
campo, siano sempre stati piuttosto i timori, che non la realtà, ad accendere
la fantasia dei giuristi.
A ben vedere, la storia del diritto (e… del fatto) di
famiglia conosce ben più d’una soluzione dettata o, quanto meno, influenzata
dall’assillo di evitare che l’armamentario legislativo in materia di crisi
coniugale (separazione de corps o de biens, divorzio, annullamento del
matrimonio) potesse venire in qualche modo utilizzato a scopi fraudolenti.
Così, sarà curioso notare, che, a svariati secoli di distanza dai passi del
Digesto or ora citati, fu ancora la paura che i coniugi simulassero la crisi
coniugale al fine di aggirare disposizioni imperative ad indurre Cambacérès, in
sede di lavori preparatori del Code
Napoléon, ad esprimere perplessità sull’opportunità dell’istituto del
divorzio per mutuo consenso. Nella specie, i timori che agitavano il console,
così come altri membri del Conseil d’Etat,
concernevano il possibile impiego di tale strumento in funzione elusiva del
divieto di modifica delle convenzioni matrimoniali. L’illustre giurista faceva
rilevare al riguardo che, «si l’on admettait le divorce par consentement
mutuel, il serait nécessaire de déclarer les époux qui en auraient usé,
incapables de contracter ensemble un mariage nouveau ; autrement, l’on
abuserait de ce moyen pour opérer un divorce fictif, dont l’objet réel serait
de changer les conventions matrimoniales» [11].
Tali e tante obiezioni [12] non riuscirono però a distruggere il principio della
dissolubilità del vincolo, né, tanto meno, quello della dissolubilità per via consensuale:
l’unica limitazione, invero, ad essere introdotta fu quella del divieto per i
divorziati di «se réunir» (cfr. art. 295 del Code nella sua versione originale), con previsione valevole – si
badi – per ogni causa di divorzio, proprio per via del fatto che «cette
considération ne devoit pas être un obstacle au consentement mutuel» [13]. E proprio l’impossibilità di prevedere una consimile
limitazione per l’ipotesi della séparation
de corps (posto che vietare la riconciliazione avrebbe significato contraddire
la stessa ragion d’essere della separazione) indusse i codificatori francesi ad
escludere la possibilità di una separazione consensuale [14], tanto più che quest’ultima comportava (allora come
oggi) la separazione dei beni: «Cette séparation abusive seroit en outre un
moyen de fraude : comme la séparation de corps entraîne de droit la séparation
de biens, deux époux de mauvaise foi trouveroient dans leur consentement mutuel
un moyen infaillible de ruiner tous leurs créanciers» [15].
Il timore che gli accordi di separazione (de corps e/o de biens) potessero in qualche modo risultare simulati [16] era stato per secoli una delle ragioni alla base
dello sfavore – già evidenziato in altre occasioni da chi scrive [17] – manifestato dalla dottrina e dalla giurisprudenza
dell’Ancien Régime in Francia (così
come, del resto, in Italia e in Germania) verso le séparations à l’amiable.
I poderosi in
folio degli arrêtistes traboccano
letteralmente di casi che documentano i tentativi disperatamente posti in atto
da coppie in crisi (si trattava per lo più, ovviamente, di famiglie nobili o
comunque agiate) di separarsi «civilmente» (è il caso di dirlo: in tutti i
sensi…) sulla base di transazioni private, che in qualche caso eccezionale
riuscirono anche a superare il severo vaglio dei giudici, sulle cui decisioni
dovevano certamente influire circostanze quali la considerazione dei soggetti
che agivano contro quelle intese (a seconda che si trattasse dei coniugi stessi
successivamente ricredutisi, degli eredi o dei terzi creditori), o la durata
del periodo nel corso del quale quei patti avevano ricevuto, di fatto,
applicazione [18].
Fatta eccezione per alcune ipotesi piuttosto rare, l’atteggiamento
rimaneva però per lo più negativo. Così, mentre la giurisprudenza dei parlamenti
presentava casi di veri e propri arrêts
de règlement diretti (non solo a riprovare per il passato, ma anche) a
vietare per il futuro ai giudici [19] o ai notai [20] di ricevere atti di séparations volontaires o amiables
[21], la dottrina non esitava ad affermare che i creditori
avrebbero potuto far dichiarare giudizialmente la nullità della separazione [22], qualora questa, una volta ottenuta per sentenza, non
fosse stata réellement exécutée [23]. A ciò s’aggiungeva e si ribadiva a più riprese, sulla
scorta dell’autorevole parere del Molineo, «que la separation d’entre mary et
femme n’est valable, si elle n’est faite par Sentence de Iuge, et partage
executé sans fraude»; si raccomandava così ai giudici di «bien prendre garde
que les parties ne s’accordent cauteleusement et en fraude de leurs creanciers
à se separer, qui est une des choses la plus à considerer en matière de ces
procez de separation» [24].
D’altro
canto, non va neppure trascurato il peso che aveva all’epoca il divieto di
modifica delle convenzioni matrimoniali, così come della modifica constante matrimonio del regime della communauté [25], istituti entrambi uniti (in una singolare concordia
tra paesi di diritto scritto e di diritto consuetudinario) al tradizionale
divieto di donazioni tra coniugi, nell’intento di costituire un solido presidio
al principio di trasmissione patrilineare indivisibile dei patrimoni [26]. Ne conseguiva la messa al bando di ogni contratto
diretto ad ottenere uno scioglimento pattizio della comunione, sussistendo
sempre il timore che simili atti potessero, da un lato, aggirare il divieto di
donazioni tra coniugi [27], e, dall’altro, portare pregiudizio ai creditori [28].
L’insegnamento
che si ricava da questo forzatamente breve excursus
storico risiede nella constatazione secondo cui i timori di simulazioni e frodi
in danno tanto della sacralità dell’unione matrimoniale, così come dei principi
d’ordine pubblico e delle legittime pretese dei creditori, hanno potuto solo in
parte arginare il dispiegarsi dell’autonomia dei coniugi in occasione (o anche
solo in vista [29]) della crisi coniugale e l’ostacolo è comunque venuto
meno del tutto, una volta ammessi l’allentamento e lo scioglimento del vincolo
per mutuo consenso [30]. Autonomia, questa, che si manifesta – ora come un
tempo – attraverso una variegata costellazione di accordi nei quali,
normalmente (e fatte le debite eccezioni), le parti a tutto pensano, tranne che
a mentire sulla loro situazione di crisi o anche solo su una delle intese
destinate a disciplinare la futura vita da separati o divorziati. Peraltro,
proprio su queste situazioni «patologiche» occorrerà ora concentrare l’attenzione,
al fine di poter adeguatamente commentare, secondo i canoni del diritto
positivo, il precedente in esame.
Prima
ancora, però, una precisazione s’impone, anche in considerazione dello stretto
legame che la simulazione da sempre presenta con la frode. Simulazione e frode
sono, come noto, concetti distinti ed autonomi, al punto che già la dottrina
antica fondava la distinzione assumendo come discrimen la condizione, rispettivamente, di assenza o di presenza
del consenso delle parti sulla produzione degli effetti del contratto [31]. Ma proprio la materia in esame evidenzia la
possibile coesistenza e le interrelazioni tra le due situazioni: all’attento
lettore non sarà certo sfuggito che, tanto per citare un esempio illustre, l’espressione
«simulare divortium in fraudem…» compariva già per ben due volte nel breve
passo di Cuiacio già citato.
Sul
punto appaiono – come sempre – quanto mai illuminanti le riflessioni del Betti [32], che vale la pena riportare per intero: «La
simulazione può servire a coprire una illiceità ed esser adibita a scopo di
frode: sia frode alla legge, sia frode a danno di altri privati, quali i
creditori di chi compie il negozio, o altri che avrebbero eventualmente diritto
verso di lui. Ma, a prescindere dal rilievo che vi può essere simulazione senza
frode e, viceversa, frode senza simulazione, basterà qui osservare che si
tratta di due qualifiche eterogenee, dipendenti da due profili diversi, sotto i
quali il negozio può esser considerato. La frode, e in genere, la illiceità,
esprime una qualifica dell’interesse che determina in concreto la conclusione
del negozio, valutato in connessione con la causa tipica. La simulazione, per
contro, esprime semplicemente una divergenza o una ripugnanza fra quell’interesse
e la causa» [33].
2.
Il possibile interesse dei coniugi a simulare una separazione personale.
Già si
sono poste in evidenza, nel § precedente, alcune fattispecie idonee a dar luogo
ad un interesse in capo ai coniugi a porre in essere una simulazione dell’accordo
di separazione. Sarà opportuno ora soffermarsi su questo profilo, rilevando
come, ad esempio, la presenza di una simulazione della crisi coniugale possa
portare vantaggi ai coniugi nei campi più disparati, quale effetto dell’applicazione
(ovviamente «distorta», ma inevitabile) di regole di favore, dettate dall’intento
di soccorrere situazioni che, come quelle delle famiglie dei separati, appaiono
(ed effettivamente sovente sono) bisognose di trattamenti di favore, così come
di particolari forme di «discriminazioni positive».
E’
questo, ad esempio, il caso del diritto ad usufruire di determinati servizi di
pubblico interesse, come, ad esempio, quello degli asili nido, in relazione ai
quali la presenza di una separazione dei genitori attribuisce a questi un
punteggio più elevato in base al regolamento di taluni comuni italiani [34] e lo stesso è a dirsi per le tasse universitarie [35].
Ma il
motivo più rilevante è certamente quello fiscale.
La
separazione simulata è infatti uno strumento per ottenere per via indiretta almeno
una parte delle agevolazioni fiscali che le leggi italiane negano alle famiglie
(anche a quelle fondate sul matrimonio), specie se monoreddito e con prole, a
differenza di quanto avviene in svariati altri Paesi.
E’ noto infatti che negli altri
ordinamenti tributari europei esistono collaudati meccanismi per abbattere le
imposte dirette a carico dei nuclei familiari, specie se numerosi, quali ad
esempio il «quoziente familiare» usato in Francia o lo Splitting dell’esperienza tedesca, che consentono alle famiglie
dove non tutti i componenti lavorano di aggregare e/o suddividere il reddito
imponibile individuale, a seconda del numero di familiari a carico. Nei Paesi
dove non sono adottati questi sistemi, sono comunque previste forti deduzioni o
detrazioni per le famiglie numerose e/o monoreddito. Nel nostro sistema,
invece, un capofamiglia monoreddito è sensibilmente penalizzato rispetto ad un single o ad un coniuge senza figli.
Lo svantaggio è ancora più eclatante se
si opera il raffronto con una famiglia dove entrambi i coniugi lavorino, sia
pure – come accade nella gran parte dei casi – percependo un reddito
individuale inferiore a quello del singolo capofamiglia che mantiene a proprio
carico sia l’altro coniuge che la prole. Infatti, il sistema di rigida
progressività al quale è tuttora informato il nostro sistema può ancora far sì
che i due coniugi a basso reddito possano godere nel complesso di un’aliquota
più bassa rispetto a quella del capofamiglia che da solo percepisce un reddito
quasi pari al loro. Con la decisiva differenza che spesso è proprio la presenza
di figli minori che impone a uno dei coniugi di rimanere a casa per accudirli,
non potendo così contribuire al reddito familiare, senza che questa scelta sia
adeguatamente compensata a livello fiscale.
Simili sperequazioni esistono anche
nell’ambito di altre forme di agevolazione per la famiglia, che prescindono dal
reddito dichiarato: l’esempio più diffuso è quello del cosiddetto ISEE –
indicatore della situazione economica – che molti enti locali hanno adottato
per ripartire i propri contributi per le mense scolastiche, per le assegnazioni
abitative di edilizia popolare, nonché per varie forme di sussidio. L’ISEE
infatti non valorizza molto i familiari a carico, almeno non tanto quanto tende
ad esaltare le situazioni tipiche di chi non è sposato o ha pochi figli. Ad
esempio, esso adotta un sistema di calcolo che tende a considerare di più i
canoni di locazione rispetto alle rate di mutuo per l’acquisto della casa, e
penalizza moltissimo la proprietà di più immobili nell’ambito del medesimo
nucleo familiare, tenendo peraltro in notevole considerazione le dimensioni
degli appartamenti.
Ora, la separazione può consentire i
vantaggi che derivano non tanto dall’abbattimento del reddito complessivo
imponibile, quanto dalla creazione vera e propria di un fittizio nucleo
monogenitoriale a basso reddito, ammesso a godere di tutte le agevolazioni che
invece vengono negate a chi figura con la famiglia a carico.
Il sistema delineato dall’art. 10 del TUIR,
in base al quale è integralmente deducibile l’assegno di mantenimento a favore
del coniuge separato, fa poi sì che l’omologa della separazione consensuale
possa instaurare tra i coniugi un regime sensibilmente più conveniente e,
paradossalmente, «più equo» di quello previsto con le semplici deduzioni per i
familiari a carico. Questo è vero anche da quando le ultime leggi finanziarie
hanno sostituito alle vecchie detrazioni un sistema di deducibilità, secondo il
quale le agevolazioni per il coniuge e la prole a carico non vanno più ad
incidere sulla imposta da pagare, bensì sull’imponibile. Un coniuge separato a
basso reddito, e ancor più uno a reddito zero come di solito è una casalinga,
ora infatti possono anche compensare l’imposta sul reddito che deriva loro dall’assegno
di mantenimento con le deduzioni per i figli a carico, che normalmente vengono
affidati al coniuge più debole economicamente [36]. Tanto per citare un esempio, in un caso riportato da
un quotidiano torinese alla fine del 2012, una coppia coniugata, in cui il
marito era titolare di un reddito da lavoro di ottantamila euro annui e la
moglie nullatenente, con due figli a carico, ha realizzato un risparmio fiscale
considerevole. Da quel momento, infatti, il marito ha potuto detrarre dal suo
reddito l’assegno annuale di mantenimento concordato di ventimila euro, pagando
un’IRPEF (considerando le detrazioni per i figli e le varie addizionali
comunali e regionali) più bassa di oltre cinquemila euro l’anno rispetto a
quanto corrisposto in precedenza [37].
Se poi mediante la separazione si
riesce ad operare una concentrazione del reddito e dei cespiti patrimoniali in
capo al coniuge più forte economicamente, il coniuge coi figli a carico,
fittiziamente separato, può venire a godere di tutti i vantaggi accordati da un
ISEE a basso reddito. Se poi i coniugi dovessero disporre di una seconda casa,
spostare la residenza di uno dei due nell’immobile economicamente più
conveniente, per effetto della separazione, può anche far maturare in capo ad
esso di altri vantaggi tributari.
Il fenomeno è di tale evidenza da
concernere, secondo fonti attendibili, il 7% delle separazioni legali in atto,
vale a dire circa dodicimila persone [38] ed è da presumere che sarà favorito dall’introduzione
della negoziazione assistita: e ciò sia nelle ipotesi previste dall’art. 6, d.l.
12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche in l. 10 novembre 2014, n.
162, di accordi di separazione frutto della (sola) negoziazione assistita tra
avvocati, e segnatamente tra queste ai casi di assenza di figli minori, in cui
il controllo è rimesso o a un semplice «nullaosta» del p.m. deputato a valutare
la mera regolarità formale della procedura, sia in quelle di cui all’art. 12, d.l.
cit., in cui l’accordo di separazione viene formato direttamente dalle parti
avanti all’ufficiale dello stato civile, ma senza che quest’ultimo abbia alcun
potere di sindacato o controllo [39].
D’altro canto la semplice separazione
consensuale, pur sciogliendo la comunione legale (ormai sempre meno
utilizzata), non compromette i diritti ereditari, e nemmeno penalizza le
prospettive pensionistiche.
Un altro profilo di un certo interesse
è quello, per così dire, «protettivo» verso i creditori. L’accordo di
separazione consensuale omologato, consacrato (anche solo per relationem) nel relativo verbale d’udienza, può dar luogo ad iscrizione
di ipoteca giudiziale [40], così creando un legittimo titolo di prelazione
opponibile ai creditori che dovessero successivamente pignorare o ipotecare i
beni già gravati da tale garanzia. D’altro canto è noto che l’accordo di
separazione consensuale costituisce il contesto ideale per l’effettuazione di
atti traslativi di diritti su beni immobili o mobili o crediti, assistiti,
oltre tutto, da condizioni fiscali particolarmente favorevoli [41].
E’ però altrettanto evidente che il
ricorso al meccanismo simulatorio presenta il rischio di consegnare ai terzi
interessati, senza limiti di tempo, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa,
oltre, ovviamente, ai rimedi contro gli atti dispositivi fraudolenti
(ricorrendone i relativi presupposti), nel caso di pregiudizio arrecato alla
garanzia patrimoniale generica offerta ai creditori dall’art. 2740 c.c. sulla
generalità dei beni costituenti il patrimonio del debitore.
Si considerino poi anche le innovazioni
apportate nel 2015 dall’introduzione dell’art. 2929-bis c.c. Qui, se è vero che gli atti traslativi inter coniuges nelle situazioni di crisi
dovrebbero, almeno in linea di massima, sfuggire all’azione esecutiva ivi
delineata, è altrettanto vero che tale conclusione è tutt’altro che pacifica.
Del pari risultano oggi «a rischio» negozi quali quelli costitutivi di vincoli
da fondo patrimoniale, o ex art.
2645-ter c.c., o ancora, da trust [42].
L’ulteriore rischio, attinente, questa
volta ai rapporti inter coniuges, ha
tratto alla successiva evoluzione del rapporto tra le parti. Nel caso in cui,
infatti, una di esse, sulla base della simulata separazione, intendesse
proporre domanda di divorzio, ben potrebbe vedersi opporre dall’altra l’irrilevanza
della separazione ai fini dello scioglimento del rapporto coniugale e dunque l’improponibilità
della domanda di divorzio.
Sotto il profilo probatorio, poi, in
mancanza di una controdichiarazione scritta, il ricorso alla prova per testi
non sarebbe precluso. Invero, pur trovando applicazione le disposizioni ed i
limiti di cui agli artt. 2722, 2724 e 2725 c.c., l’inapplicabilità dell’art.
2725 c.c. alla simulazione assoluta, secondo la giurisprudenza prevalente,
rende operative tutte le eccezioni all’inammissibilità della prova per testi,
contemplate nell’art. 2724 c.c. E’ quindi applicabile l’ipotesi del n. 2 di
tale disposizione, altrimenti preclusa, che allude all’impossibilità morale di
procurarsi una prova scritta. E nel rapporto tra coniugi è certo che sussista
tale particolare condizione psicologica, che spiega la mancata redazione di un
documento scritto. Ne deriva che la parte interessata ad opporsi al divorzio
ben potrà far valere la simulazione e provare per testi il difetto del
presupposto ex art. 3, n. 2, lett.
b), l.div. [43].
Se poi la coppia, al momento della
separazione, si trovava in regime legale, il coniuge che avesse effettuato
acquisti a suo solo nome dopo tale evento (rilevante, naturalmente solo in
quanto effettivamente sussistente e non simulato, ai sensi dell’art. 191 c.c.) si
vedrebbe esposto all’azione di accertamento, da parte dell’altro, o degli
eventuali creditori della comunione, della contitolarità dei beni così
acquisiti. E se appare indiscutibile che, fino alla trascrizione dell’eventuale
domanda giudiziale di accertamento della nullità della separazione, non appare
immaginabile la proposizione, da parte del coniuge pretermesso, di domande ai
sensi dell’art. 184 c.c. contro terzi subacquirenti di immobili o mobili
registrati acquistati medio tempore
da un coniuge e successivamente alienati, rimane il fatto che il coniuge che
tali atti avesse posto in essere senza il consenso dell’altro, si vedrebbe
esposto ad azione di responsabilità nei confronti del consorte (sempre,
ovviamente, a condizione che la simulazione della separazione sia provata).
3.
Simulazione della e simulazione nella crisi coniugale. Fatto e diritto
nella prima pronunzia della Cassazione sul tema (Cass., 5 marzo 2001, n. 3149).
Lasciando
le considerazioni generali ed iniziando ad esaminare il problema con un
approccio attento alla casistica giurisprudenziale, occorre procedere alla disamina
della prima decisione di legittimità sul tema della simulazione della
separazione [44]. Al riguardo notiamo, innanzi tutto, che qui non ci
si trovava di fronte ad una simulazione della
separazione in quanto tale, bensì ad una simulazione di un accordo inserito nel
più ampio contesto delle condizioni concordate ex art. 158 c.c. ed omologate dal tribunale. Da un punto di vista
teorico, però, i due profili – quello, cioè, della simulazione della separazione e quello della
simulazione nella separazione, se mi
si passa il gioco di parole – investono comunque la medesima serie di
questioni, analizzate nel corso dei paragrafi seguenti, tutte imperniate sulla
astratta configurabilità di un procedimento simulatorio [45] in relazione ad atti per il perfezionamento dei quali
è previsto un intervento giurisdizionale.
Per ciò
che attiene ai fatti di causa, va subito detto che le parti, in sede di
separazione consensuale, avevano convenuto, tra l’altro, quanto segue:
-
affidamento alla
moglie del figlio minore,
-
assegnazione
della casa coniugale al marito,
-
erogazione di un
assegno di mantenimento per la moglie ed il figlio a carico del marito.
Successivamente,
la moglie aveva convenuto in giudizio il marito con procedura ex art. 710 c.p.c., facendo valere [46], in maniera, a dire il vero, assai contraddittoria [47], l’invalidità dell’intesa, sia per via di un’asserita
situazione di violenza morale [48], che per effetto di una pretesa simulazione dell’accordo
omologato, per ciò che atteneva il diritto del marito di permanere nella casa
coniugale; tale diritto era stato di fatto concesso alla moglie, in contrasto
con quanto previsto negli accordi omologati, sino «all’ottobre 1993, quando [il
marito] aveva ingiunto [alla moglie] di lasciare la casa coniugale e comunicato
di essersi messo in pensione, cosicché non le avrebbe più corrisposto l’assegno
pattuito». Sulla base di queste premesse la moglie aveva chiesto la modifica
delle condizioni della separazione, ma il tribunale aveva rigettato la domanda,
in quanto in essa non erano stati dedotti mutamenti della situazione dei
coniugi, ma circostanze non deducibili con la procedura attivata, consistenti
nell’allegata esistenza di accordi diversi da quelli sottoscritti in sede di
separazione consensuale.
La
moglie aveva allora proposto reclamo contro il provvedimento di prime cure,
deducendo che il mutamento della situazione doveva essere ravvisato nella
scoperta del «programma espoliativo» posto in essere dal marito, che l’aveva a
tal fine indotta ad accettare le suddette condizioni di separazione,
assicurandole la permanenza nella casa coniugale con il figlio, la vendita di
essa con la divisione del prezzo e il pagamento dell’assegno pattuito, mentre
poi aveva preteso la consegna della casa e aveva smesso di pagare l’assegno. La
corte d’appello aveva però confermato la decisione di primo grado, osservando
che il thema decidendum introdotto
riguardava la simulazione dell’atto di separazione e non la sua modifica,
cosicché la domanda non poteva essere proposta con la procedura adottata, nella
quale non poteva essere accertato neppure un eventuale vizio del consenso.
La
Cassazione, nella sentenza predetta, conferma tale impostazione, riconoscendo,
senza esitazioni, quanto meno in linea di principio, l’ammissibilità nei
confronti dell’accordo di separazione consensuale dei classici rimedi
negoziali, da esperirsi attraverso un’azione ordinaria [49] e non già con il procedimento ex art. 710 c.p.c. Tramite quest’ultima procedura, secondo i Supremi
Giudici, può farsi valere unicamente – giusta il disposto dell’art. 156,
settimo comma, c.c., applicabile analogicamente alla separazione consensuale –
la «sopravvenienza di fatti nuovi, che abbiano alterato la situazione
preesistente, mutando i presupposti in base ai quali il giudice o le parti avevano
stabilito le condizioni della separazione». La decisione in commento conferma
inoltre il giudizio espresso dalla corte d’appello, secondo cui «la
contestualità di diversi accordi verbali, coevi a quelli scritti ed omologati,
non integra modifica di questi ultimi, ma simulazione dell’atto omologato».
Riassumendo
il decisum della pronunzia suddetta,
si potrà affermare che, secondo la decisione emessa dalla Cassazione nel 2001,
a) simulazione e vizi del consenso sono astrattamente
configurabili nei confronti di un accordo di separazione consensuale omologato;
b) essi possono essere fatti valere soltanto tramite un
giudizio ordinario;
c) essi non possono essere fatti valere con il giudizio
camerale ex artt. 710-711 c.p.c.;
d) non è necessario agire sul decreto di omologazione,
chiedendone la modifica o la revoca (posto che nessun riferimento viene fatto,
nella pronunzia in esame, al rimedio ex
art. 742 c.p.c.);
e) per ciò che attiene più specificamente all’ipotesi
della simulazione, il rapporto tra intese a
latere (eventualmente anche solo verbali) coeve all’accordo scritto ed
omologato e quest’ultimo si pone esattamente come si potrebbe porre in
relazione a qualsiasi contratto di cui si alleghi la nullità per simulazione.
4. Le intese
coeve agli accordi di separazione omologati: un revirement implicito?
L’ultimo
punto illustrato in chiusura del § precedente solleva immediatamente il
problema del rapporto tra la decisione di legittimità del 2001 e quella nota
giurisprudenza (sempre di legittimità) secondo cui, per ciò che attiene alle
intese coeve o precedenti alla separazione consensuale omologata, la libertà
negoziale dei coniugi incontrerebbe un limite nel principio di «non
interferenza» con quanto stabilito nell’accordo omologato, a meno che gli
accordi non omologati si trovino «in posizione di conclamata e incontestabile
maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato, come per l’assegno di
mantenimento concordato in misura superiore a quella sottoposta ad
omologazione» [50]. La decisione del 2001 sembra però imporre una decisa
«sterzata» in favore dell’opinione, già espressa dallo scrivente [51], secondo cui tra intese omologate ed intese coeve
«segrete» non può porsi altro rapporto, se non quello normalmente sussistente
tra due negozi conclusi contestualmente sul medesimo oggetto e con pattuizioni
tra di esse divergenti.
In
effetti, dottrina e giurisprudenza, prima degli ultimi interventi della
Cassazione, avevano assai raramente distinto i patti successivi da quelli
anteriori o coevi alla separazione, preferendo invece parlare in generale di
accordi non omologati e manifestando comunque, nella maggior parte dei casi,
perplessità in ordine alla validità dei medesimi [52].
Con
due pronunce del 1993 e del 1994 e con alcuni giudicati successivi [53] la Suprema Corte è venuta invece a porre una
distinzione piuttosto netta tra accordi conclusi posteriormente rispetto alle
intese omologate, validi a prescindere dalla loro omologazione (peraltro non
prevista da alcuna norma), da un lato, e quelli anteriori o coevi, dall’altro.
Questi ultimi sarebbero validi, come si è appena visto, solo se in posizione di
«non interferenza» rispetto all’accordo omologato (perché concernenti un
aspetto non disciplinato nell’accordo formale, oppure perché aventi un
carattere meramente specificativo di disciplina secondaria), ovvero in
posizione «di conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all’interesse
tutelato», come nel caso di assegno di mantenimento concordato in misura
superiore a quella sottoposta ad omologazione.
Le
decisioni di legittimità appena citate sono venute sostanzialmente a riprendere
un indirizzo già maturato in seno alla giurisprudenza di merito [54] e da quest’ultima mantenuto talora anche
successivamente [55]. Per ciò che attiene alla dottrina, poi, va detto che
l’articolata soluzione fornita dalla giurisprudenza al problema qui in esame è
stata approvata da una parte dei commentatori [56], mentre ha sollevato in altri più che fondate
perplessità. Perplessità che si giustificano – ad avviso di chi scrive – non
tanto per ciò che attiene alla distinzione imperniata sul parametro temporale
(che, sia detto per incidens,
rinviene – ancorché in tutt’altra materia – un illustre precedente nello stesso
codice civile: cfr. artt. 2722 s.).
Certo,
è verissimo che, in base al dettato normativo, l’unica distinzione
prospettabile in ordine agli accordi non omologati è quella tra accordi
relativi alla «situazione» dei figli ed accordi che esauriscono la loro portata
nei riguardi dei coniugi, perché è diverso il grado di autonomia privata
riconosciuto alle parti (coniugi) nelle due ipotesi [57]. Ma è altrettanto vero che tutte queste
manifestazioni d’autonomia, che si concretano in accordi non sottoposti al
vaglio dell’omologa, non possono sempre essere trattate allo stesso modo.
Un
esempio lampante è costituito proprio dal fatto che i patti coevi alla
separazione consensuale possono porre, rispetto alle intese omologate, un
problema di simulazione, impensabile con riferimento agli altri. D’altro canto,
un accordo precedente alla separazione ed incompatibile con le clausole di
quest’ultima ben può intendersi (salva, ovviamente, la necessaria opera di
interpretazione ex artt. 1362 ss.
c.c.) come non più operante per sopravvenuta abrogazione.
Appare
dunque condivisibile la scelta di procedere tenendo distinte le tre situazioni
cui si è fatto richiamo, proprio per le peculiarità che ciascuna di esse
presenta, ancorché la conclusione (negativa) sul quesito generale dell’eventuale
carattere ostativo della mancata omologazione debba essere, ad avviso di chi
scrive, uniforme in tutti i casi. Ciò che invece lascia perplessi, con riguardo
alla ricostruzione operata dalla Corte Suprema nelle sentenze appena citate, è
– lo si ripete – che nel caso di accordi precedenti o coevi, l’intesa delle
parti abbia valore a condizione che essa sia «in posizione di conclamata e
incontestabile maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato, come per l’assegno
di mantenimento concordato in misura superiore a quella sottoposta ad
omologazione».
Secondo
taluno [58] la soluzione sarebbe dettata dalla preoccupazione di
non privare l’istituto della omologazione di ogni senso compiuto, ipotesi che
si potrebbe verificare se anche agli accordi anteriori o contestuali fossero sic et simpliciter estese le stesse conclusioni
raggiunte per i patti successivi. Peraltro, si è ampiamente illustrato in altra
sede che le condizioni della separazione – come elemento accessorio del contenuto del negozio di separazione in senso ampio [59] – possono,
ma non debbono necessariamente
risultare dal verbale; lo stesso vale poi per tutte le condizioni di un’eventuale separazione di fatto [60], che per definizione dall’omologa prescinde. L’estensione
anche ai patti precedenti o coevi delle conclusioni della Cassazione in materia
di accordi successivi non viene dunque a privare di significato l’istituto dell’omologazione,
per lo meno più di quanto già non faccia l’attribuzione di rilievo alla
separazione di fatto o la considerazione che i coniugi non sono obbligati ad
inserire nel verbale tutte le condizioni della loro futura vita da separati [61].
Venendo
dunque alla condizione di «conclamata e incontestabile maggior rispondenza
rispetto all’interesse tutelato», va detto che si tratta qui d’un requisito
che, oltre a non trovare un appiglio normativo nell’àmbito della disciplina in
esame, contrasta con quegli stessi principi negoziali in cui la Cassazione ha
(correttamente) sempre voluto – da alcuni decenni ormai a questa parte –
collocare i rapporti tra coniugi in crisi. Principi che vogliono – quanto meno
per ragioni di coerenza – che tra due accordi tra le stesse parti e sul
medesimo oggetto il secondo in ordine temporale revochi il primo, se con esso
incompatibile, mentre, nel caso di contemporaneità (salve, come già detto, le
possibili questioni concernenti l’interpretazione dell’intesa), si possa porre
un problema di simulazione delle condizioni accedenti all’accordo di
separazione sottoposto ad omologa [62].
Non
vi è quindi dubbio, conclusivamente, che l’unica distinzione sempre rilevante
sia quella tra accordi concernenti i rapporti tra i coniugi e accordi
riguardanti la situazione della prole minorenne, secondo quanto sopra
illustrato, mentre la distinzione relativa al tempo di conclusione degli
accordi può assumere rilevanza, a seconda del caso concreto, al fine di
risolvere – alla luce dei principi generali in materia di contratto, ivi
compresi in primo luogo quelli attinenti all’interpretazione della volontà
negoziale (principi estensibili ad eventuali accordi non patrimoniali, attesa
la natura negoziale delle intese in discorso) – i possibili contrasti con le
intese omologate [63].
Le conclusioni di cui sopra, già elaborate
dallo scrivente nei confronti della giurisprudenza antecedente rispetto alla
decisione qui in commento, sembravano dunque confermate dalla decisione del
2001, con quello che si potrebbe definire un vero e proprio (forse neanche
troppo consapevole, ma sicuramente esistente e rispondente alla ratio decidendi) revirement implicito. Gli sviluppi successivi si sarebbero però
incaricati di porre nuovamente in dubbio tale conclusione.
Nel 2003 la Cassazione torna, invero, sul tema della
simulazione della separazione consensuale dei coniugi [64]. Qui la Corte, dopo essersi a lungo soffermata sui
principi-cardine della sua ormai risalente giurisprudenza in materia di
negozialità tra coniugi in crisi, ribadendoli tutti con estrema chiarezza [65], conclude negando nella maniera più recisa la
possibilità per i coniugi di far valere la nullità dell’accordo di separazione
consensuale per simulazione.
Secondo i Supremi Giudici, non sarebbe possibile
invocare, in senso favorevole al riconoscimento della possibilità di impugnare
per simulazione una separazione consensuale, il precedente di cui alla citata
sentenza n. 3149 del 2001. Pur ammettendo che quest’ultima – relativamente ad
un giudizio di revisione delle condizioni della separazione – ha, sì, affermato
che «che ogni questione relativa alla simulazione dell’accordo posto a base
della separazione (…) doveva essere prospettata in apposita sede», la
Cassazione viene ad affermare nel suo secondo arresto sul tema che l’espresso
richiamo operato nel 2001 alla possibilità per la parte di far valere la
simulazione mercé il ricorso ad un procedimento contenzioso ordinario sarebbe
stato effettuato «con espressione certamente non assunta a ratio decidendi»
[66].
Ora, se è vero che, coma già chiarito, la sentenza 5
marzo 2001, n. 3149, riguardava non già la simulazione della separazione in quanto tale, bensì la (asserita) simulazione
di un accordo inserito nel più ampio contesto delle condizioni concordate ex art. 158 c.c. ed omologate dal
tribunale, è però del tutto evidente che i due profili – quello, cioè, della
simulazione della separazione e
quello della simulazione nella
separazione – investono comunque la medesima serie di questioni, tutte
imperniate sul tema della configurabilità, in astratto, di un procedimento
simulatorio in relazione a negozi per il perfezionamento dei quali è previsto
un intervento giurisdizionale.
La
Cassazione, nella sentenza 5 marzo 2001, n. 3149, aveva riconosciuto, come
detto sopra, senza esitazioni, l’ammissibilità nei confronti dell’accordo di
separazione consensuale dei classici rimedi negoziali, ivi compresa l’eventuale
declaratoria di nullità per simulazione, da esperirsi attraverso un’azione
ordinaria e non già con il procedimento ex
art. 710 c.p.c. Nel pervenire a tale conclusione la decisione aveva confermato expressis
verbis il giudizio formulato dalla corte d’appello, secondo cui «la
contestualità di diversi accordi verbali, coevi a quelli scritti ed omologati,
non integra modifica di questi ultimi, ma simulazione dell’atto omologato»,
soggiungendo che «l’allegazione degli eventuali vizi dell’accordo di
separazione, ovvero della sua simulazione» sarebbe rimasta rimessa «al giudizio
ordinario, secondo le regole generali».
E’
evidente, dunque, che il richiamo al concetto di simulazione dell’accordo di
separazione e alla sua astratta configurabilità costituiva, nell’armamentario
argomentativo di quella sentenza, «premessa o passaggio logico necessario per la
soluzione della controversia» e, dunque, ratio
decidendi. A ciò si aggiunga che, secondo quanto è dato testualmente
leggere nella motivazione della pronunzia del 2001, «L’essenza della ratio decidendi della sentenza
[impugnata]» (sentenza – si badi – confermata in toto dalla Corte
Suprema, senza neppure una correzione della motivazione ex art. 384
c.p.c.), «consiste pertanto nell’affermazione che né gli eventuali vizi del
consenso rispetto all’atto di separazione omologato, né la sua eventuale
simulazione sono deducibili con il giudizio camerale attivato ai sensi degli
artt. 710 e 711 c.p.c. e che il fatto nuovo del mutamento della situazione
economica delle parti, deducibile con tale giudizio, non era stato dimostrato».
Sembra chiaro, pertanto, che la ragione per la quale la Corte Suprema confermò
in quel caso la decisione di merito andava ricercata nel rimprovero alla parte
ricorrente di avere proposto una domanda sicuramente ammissibile in astratto
per il tramite di una procedura preordinata a far valere altri tipi di
doglianze. In caso contrario, invero, la Corte avrebbe dovuto indicare come
puramente e semplicemente inammissibile la domanda, anziché espressamente
additare la via del procedimento contenzioso ordinario.
Nella
decisione del 2003 la Cassazione – pur dopo un’amplissima premessa contenente
rimarcabili concessioni al principio di autonomia dei coniugi in sede di crisi
coniugale, nonché una meticolosa serie di corretti preamboli, tutti diretti
alla logica conclusione del riconoscimento dell’applicabilità al negozio di
separazione consensuale degli ordinari rimedi negoziali – viene a negare
(verrebbe da dire: a sorpresa) la configurabilità di una simulazione della
separazione, in piena contraddizione rispetto alla prima parte di questa stessa
sentenza.
Secondo
i Supremi Giudici, «nel momento in cui i coniugi convengono, nello spirito e
nella prospettiva della loro intesa simulatoria, di chiedere al Tribunale l’omologazione
della loro (apparente) separazione esse in realtà concordano nel voler
conseguire il riconoscimento di uno status dal quale la legge fa
derivare effetti irretrattabili tra le parti e nei confronti dei terzi, salve
le ipotesi della riconciliazione e dello scioglimento definitivo del vincolo».
Sul punto andrà subito detto che se veramente fosse l’asserita irretrattabilità
[67] degli effetti della separazione ad escludere la
configurabilità di un procedimento simulatorio del negozio di separazione
consensuale, non si riuscirebbe a comprendere per quali motivi il Legislatore
avrebbe previsto e disciplinato la simulazione del contratto, i cui effetti
(cfr. art. 1372 c.c.) sono «irretrattabili» almeno tanto quanto quelli di un
accordo di separazione. E lo stesso è a dirsi per ciò che concerne i terzi, i
cui diritti sono (o non sono) fatti salvi secondo un complesso sistema di norme
e di principi generali [68], che non si vede per quale ragione non dovrebbe
trovare applicazione anche al caso di specie.
In
realtà, ciò che sembra arrestare la Cassazione nel 2003 sulla strada d’un
percorso logico il cui esito dovrebbe essere scontato, pare essere la presenza
di un intervento del giudice in materia di status: proprio quel medesimo
moloch, quella stessa testa di Medusa che pietrifica ogni possibilità
evolutiva della giurisprudenza di legittimità sulla tortuosa strada del
riconoscimento della validità delle intese preventive di divorzio [69]. La Corte, infatti, dopo aver ricordato taluni degli
effetti personali e patrimoniali della separazione, soggiunge che «Nella
situazione considerata la volontà di conseguire detto status è
effettiva, e non simulata: l’iniziativa processuale diretta ad acquisire la
condizione formale di coniugi separati, con le conseguenti implicazioni
giuridiche, si risolve in una iniziativa nel senso della efficacia della
separazione che vale a superare e neutralizzare il precedente accordo
simulatorio, ponendosi in antitesi con esso. Appare invero logicamente
insostenibile che i coniugi possano disvolere con detto accordo la
condizione di separati ed al tempo stesso volere l’emissione di un
provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici
a detta condizione: l’antinomia tra tali determinazioni non può trovare altra
composizione che nel considerare l’iniziativa processuale come un atto
incompatibile con la volontà di avvalersi della simulazione».
Non
potrebbe darsi contraddizione più stridente: dire – come dice la Corte – che è
«il momento processuale» sullo status a evidenziare la volontà dei
coniugi di produrre gli effetti della separazione, in contrasto con il loro
accordo simulatorio, significa dire che è il decreto del tribunale a costituire
il fulcro della separazione: e ciò in piena antitesi con l’idea, a lungo
(correttamente) motivata nella prima parte della stessa sentenza, secondo l’unico,
vero, elemento essenziale di quel mutamento di status ingenerato dalla
separazione è costituito dal negozio inter coniuges. In altre parole,
delle due l’una: o si riconduce la separazione al provvedimento del giudice, ed
allora se ne deve concludere che la simulazione non è ammissibile, o si riferisce
la separazione alla volontà dei coniugi, e allora si deve ammettere che – se ci
si passa l’espressione – l’accordo simulatorio non può certo arrestarsi di
fronte alle porte del tribunale.
Nell’ottica
della Cassazione, varcare la soglia del palazzo di giustizia produrrebbe un
miracoloso effetto «sanante», analogo a quello di cui beneficiavano sovrani e
nobili d’un tempo cui, magari dopo una notte di gozzoviglie, bastava, per la
salvezza dell’anima, oltrepassare la porta della cappella di palazzo sulla quale
avevano fatto apporre la provvidenziale scritta: «indulgentia plenaria
quotidiana perpetua». La conseguenza è inaccettabile. E’ logico ritenere che se
i coniugi intendono «inscenare» una separazione non voluta, magari per
perseguire intenti fraudolenti, si serviranno del procedimento di omologazione
proprio per ammantare di (apparente) efficacia un accordo produttivo di
(apparenti) effetti che essi, in realtà, non hanno mai voluto, non vogliono e
fortissimamente continuano a non volere. Del resto, nessuno ha mai sostenuto
che l’omologazione di una società di capitali (prevista dalla legge
anteriormente alla riforma di cui all’art. 32, l. 24 novembre 2000, n. 340),
nemmeno se richiesta da tutti i soci, potesse sanare l’eventuale nullità dell’atto
costitutivo per simulazione, così come non è certo il decreto di
autorizzazione, emesso dal giudice competente su istanza del legale
rappresentante di un incapace o di un semi-incapace, ad escludere la
possibilità che il contratto concluso in forza di tale autorizzazione possa
essere un giorno dichiarato simulato [70].
Ma il case law sulla simulazione della
separazione personale non si chiude con la sentenza del 2003. Nel 2008, esaminando
una domanda di modifica del titolo della separazione (da consensuale a
contenziosa), la Cassazione sembra voler compiere un (saggio, ad avviso dello
scrivente) revirement implicito, per
tornare alle posizioni ed alle conclusioni espresse nel 2001 [71]. La S.C. stabilisce infatti che «In tema di
separazione consensuale, la natura negoziale dell’accordo rende applicabili le
norme generali che disciplinano la materia dei vizi della volontà e della
simulazione, i quali, tuttavia, non sono deducibili attraverso il giudizio
camerale ex artt. 710-711 cod. proc.
civ.; infatti, costituisce presupposto del ricorso a detta procedura l’allegazione
dell’esistenza di una valida separazione omologata, equiparabile alla
separazione giudiziale pronunciata con sentenza passata in giudicato, con la
conseguenza che la denuncia degli ipotetici vizi dell’accordo di separazione,
ovvero della sua simulazione, resta rimessa al giudizio ordinario».
Va
notato che, nel caso in questione, la ricorrente, aveva allegato a sostegno
della domanda di mutamento di titolo della separazione fatti ascrivibili ad un
possibile dolo determinante posto in essere, a suo dire, dal marito [72]. Nessun richiamo, diretto o indiretto, alla
simulazione compariva invece negli atti di causa (naturalmente, stando sempre a
quanto emerge dalla lettura della pronunzia di legittimità e dei relativi
motivi di ricorso, così come in quest’ultima riassunti). Prospettazione che,
del resto, per le ragioni già riferite, sembrerebbe comunque logicamente
incompatibile con la prospettazione del dolo.
Ciò
nonostante la Suprema Corte pare voler attribuire al suo decisum un valore più «ecumenico», mercé una statuizione che
abbraccia tanto i vizi del consenso che la simulazione. La Cassazione, infatti,
ribadisce il giudizio di inammissibilità (già espresso in sede di giudizio di
merito) del petitum posto dalla
moglie, in quanto limitato alla richiesta di mutamento di titolo della
separazione, non interpretabile come tale alla stregua di una richiesta di
annullamento (da proporsi, oltre tutto, con il rito ordinario, anziché con
quello separatizio) della separazione stessa. Così facendo, però, la Corte pone
espressamente, anche se incidentalmente, in evidenza il rilievo dell’accordo
nel negozio di separazione consensuale e della «validità del consenso come
effetto del libero incontro della volontà delle parti», accennando agli effetti
di eventuali vizi del consenso e dell’ «eventuale simulazione», da far valere
mercé «giudizio ordinario, secondo le regole generali».
Alla
luce di quanto sopra, avuto dunque riguardo al concreto oggetto del contendere,
sembra opportuno assegnare alle affermazioni sopra virgolettate il valore e la
portata – per quanto attiene al profilo della simulazione – di mero obiter dictum, essendo la ratio decidendi riferibile ai temi del
vizi del consenso [73] e, più esattamente, al dolo, posto che, come più
volte detto, questo e questo solo era il punto concretamente sollevato dalla
ricorrente.
Di un certo interesse è poi anche
un’ordinanza di estinzione emessa dalla Cassazione nel 2012 [74]. Qui ciò che appare interessante è lo svolgimento
della vicenda nei due gradi di merito, posto che il provvedimento emesso dalla
Corte di legittimità non appare di per sé di alcun interesse. Peraltro, dalla
lettura di quest’ultimo (declaratoria di estinzione del giudizio per
intervenuta rinunzia al ricorso) emerge che la figlia nata da una relazione non
matrimoniale di un certo soggetto poi defunto, aveva convenuto dinanzi al
Tribunale di Roma la vedova del de cuius
e la figlia nata dalla relazione matrimoniale tra questi due, «per ottenere la
declaratoria della simulazione assoluta sia della separazione consensuale dei
coniugi, sia del regolamento patrimoniale e, in particolare, dei trasferimenti
immobiliari intercorsi tra loro». Il tribunale adito rigettò però la domanda
attorea, non già perché non fosse ipotizzabile in astratto una simulazione, ma
perché osservò che, «ove fosse stato sostenibile l’ipotizzato intento
simulatorio dei contraenti, con l’apparente trasferimento delle rispettive
quote di proprietà sugli immobili siti in Roma, in San Felice Circeo e in
Foligno, non si sarebbe spiegato perché successivamente il de cuius avesse venduto la propria quota di immobili, vanificando
l’accordo simulatorio ipotizzato dall’attrice». Il tribunale aggiunse che le
circostanze indicate dalla attrice (perdurante coabitazione con il coniuge
separato, cointestazione del conto corrente bancario) non dimostravano
l’accordo simulatorio. In relazione alle domande strettamente connesse e
dipendenti, e cioè quella di petizione ereditaria e di riduzione, il tribunale
ritenne infondata la eccepita maturazione del termine decennale di
prescrizione. Avverso tale sentenza l’attrice propose appello, che fu
dichiarato inammissibile per la genericità dei motivi di gravame, che non
consentiva di individuare le censure mosse alla sentenza impugnata.
L’appellante aveva riformulato le tesi sostenute in primo grado, che si
fondavano su circostanze di incerto significato che non consentivano di
ritenere rigorosamente dimostrata la simulazione degli atti di disposizione
patrimoniale, in relazione ai quali era comunque risolutiva la eccepita
prescrizione decennale, decorrente dalla data del negozio giuridico impugnato e
non anche dalla apertura della successione.
La Corte
Suprema torna sul tema della simulazione della separazione consensuale nel
2014.
Del
tutto immemori del precedente appena citato, i Supremi Giudici riprendono
infatti acriticamente tel quel il decisum del 2003, stabilendo che «L’accordo
di separazione dei coniugi omologato non è impugnabile per simulazione poiché
l’iniziativa processuale diretta ad acquisire l’omologazione, e quindi la
condizione formale di coniugi separati, è volta ad assicurare efficacia alla
separazione, così da superare il precedente accordo simulatorio, rispetto al
quale si pone in antitesi dato che è logicamente insostenibile che i coniugi
possano “disvolere” con detto accordo la condizione di separati ed al tempo
stesso “volere” l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad
attribuire determinati effetti giuridici a tale condizione» [75].
A tale ultimo intervento ben potranno
dunque essere applicati i rilievi critici già espressi con riguardo al
precedente del 2003 [76] e qui riformulati [77].
Né in senso contrario a tali rilievi
(e, dunque, in soccorso del decisum
di tale sentenza di legittimità) potrà dirsi che, pur essendo il fenomeno simulatorio
«della separazione (…) in sé certamente possibile» [78], alle parti sarebbe peraltro inibito far valere
siffatta simulazione, in considerazione, da un lato, del «principio di
autoresponsabilità, nella misura in cui non può essere consentito a un soggetto
di far valere in giudizio un preteso diritto derivante da un fatto illecito che
lo stesso abbia contribuito a porre in essere» [79] e, dall’altro, dell’impossibilità di dar vita a status meramente apparenti [80]. Invero, la disciplina in tema di simulazione del
contratto, delle convenzioni matrimoniali e del matrimonio è lì a dimostrare
tutto il contrario: e cioè che, proprio per il pubblico interesse a che la
realtà emerga, non si copre l’abuso con la sua «legalizzazione», con la
finzione che realtà sia quod simulate
concipitur, bensì con la concessione ad una vasta categoria di soggetti
della legittimazione a far emergere quod
agitur (o, più esattamente: quod
actum sit). L’impossibilità dell’esistenza di status meramente apparenti si combatte da sempre, per l’appunto,
consentendo la prova dello status
reale, come dimostrato dalla pluricentenaria impugnabilità dei matrimoni, così
come dei divorzi, simulati [81].
Tornando
alla questione principale qui discussa, va osservato come il problema della
configurabilità di una simulazione della (e nella) separazione consensuale (e,
più in generale nelle intese dirette a dirimere i problemi sorti nell’ambito
della crisi coniugale, dovendosi senz’altro aggiungere alla separazione gli
accordi posti a base del ricorso per divorzio su domanda congiunta) appaia
strettamente legato a quello della natura del negozio che si pone alla base del
rimedio ex artt. 158 c.c. e 711
c.p.c. (così come dell’accordo che «sorregge» e giustifica il divorzio su
domanda congiunta).
Il
tema è stato da chi scrive ampiamente sviluppato altrove, per cui non rimarrà
che fare rinvio ai lavori sull’argomento [82], riportandone qui di seguito, sinteticamente, le
conclusioni, favorevoli al pieno ed incondizionato riconoscimento del carattere
negoziale delle intese in oggetto, con conseguente affermazione della
applicabilità della normativa contrattuale, a cominciare dal principio-cardine
costituito dall’art. 1322 c.c., tanto al negozio di separazione personale, che
a quello di divorzio su domanda congiunta, che a quelle particolari intese di
carattere patrimoniale concluse in sede, in occasione, o anche solo in vista
della separazione personale, della separazione di fatto, del divorzio o dell’annullamento
del matrimonio, già qualificate dallo scrivente come «contratti della crisi
coniugale».
Del
resto, l’applicabilità del canone citato alla materia degli accordi tra coniugi
in occasione di separazione e divorzio costituisce ormai un dato accettato da
buona parte della dottrina e della giurisprudenza, e non sarà forse inutile
ricordare come, non a caso, proprio in quello scritto, risalente al 1945, che
può considerarsi come l’atto di nascita della (moderna) teoria del negozio
giuridico familiare, Francesco Santoro-Passarelli non esitasse a dichiarare l’applicabilità
– quanto meno in linea di principio – a quest’ultimo, anche nei settori non
patrimoniali, della disciplina dettata dal codice per il contratto in generale [83]. Sempre nel principio dell’autonomia contrattuale
Arturo Carlo Jemolo [84] rinveniva alcuni anni dopo il fondamento d’un accordo
diretto alla predeterminazione delle conseguenze dell’annullamento del
matrimonio, rilevando come in questo caso fosse «palese l’interesse tipico del
regolamento di rapporti, se pure non si abbia una disposizione esplicita del
codice che preveda tale regolamento, essendo quasi impensabile che al termine
della convivenza non ci siano ragioni di dare ed avere, pretese reciproche» [85].
Nella
dottrina più recente, poi, il richiamo alle regole in tema di autonomia privata
si è andato via via infittendo, specie sull’onda dell’autorevole constatazione
per cui, anche nel campo dei rapporti patrimoniali tra i coniugi (in crisi),
«ove tra le parti si convenga l’attribuzione di diritti e l’assunzione di
obblighi di natura patrimoniale, non parrebbe contraddire alla definizione dell’art.
1321 la qualificazione di ‘contratto’» [86].
Così, per esempio, troviamo che un espresso rimando al
principio della libertà contrattuale consacrato dall’art. 1322 c.c. compare per
ben due volte in una nota decisione sulla validità degli accordi preventivi tra
coniugi in materia di conseguenze patrimoniali dell’annullamento del matrimonio
[87], mentre espliciti o impliciti riferimenti all’autonomia
contrattuale punteggiano tutta o quasi la complessa vicenda in tema di
trasferimenti immobiliari e mobiliari in sede di separazione personale tra
coniugi [88], già a cominciare da quel leading case
risalente al 1972 [89], che pure all’epoca aveva suscitato le
(ingiustificatamente) preoccupate reazioni di parte della dottrina [90]; per continuare con il caso in cui i supremi giudici
invocarono proprio il principio in esame, al fine di ammettere la validità dell’impegno
con il quale uno dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale,
aveva promesso di trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile, anche
se tale sistemazione dei rapporti patrimoniali era avvenuta al di fuori di
qualsiasi controllo giudiziale in sede di omologa [91]; per culminare con la decisione con cui la Corte
Suprema, accogliendo la tesi avanzata dallo scrivente, ha ribadito la
legittimità di trasferimenti operati con efficacia reale nello stesso accordo
di separazione, riconoscendo al relativo verbale la natura di atto pubblico
idoneo alla trascrizione sui pubblici registri immobiliari [92].
Per non dire poi dell’evoluzione più recente in
materia di accordi non omologati modificativi di precedenti intese (ovvero
delle condizioni dettate dal giudice), ove la Cassazione riconosce effetto,
ormai da alcuni anni a questa parte, al pieno dispiegarsi della negozialità dei
coniugi, in forza del principio sancito dall’art. 1322 c.c., ritenuto senza
riserve applicabile al caso di specie, addirittura anche per quanto concerne le
pattuizioni concernenti la prole minorenne; conclusione, quest’ultima, che
conferma l’espansione dell’operatività della sfera dell’autonomia privata anche
nel settore di quei negozi del diritto di famiglia non caratterizzati dalla
patrimonialità [93]. Ancora, per quanto attiene, più specificamente, alle
intese costituenti il «contenuto eventuale» [94] dell’accordo di separazione consensuale, non sembra
ormai potervi essere dubbio sulla natura non solo negoziale di questi atti,
bensì addirittura sul relativo carattere contrattuale, allorquando gli stessi
(come per lo più accade) abbiano ad oggetto prestazioni di carattere
patrimoniale [95]. Anche qui l’art. 1322 c.c. ha ricevuto concreta
applicazione in un’innumerevole serie di casi, che hanno portato il «diritto
vivente» a determinare, in nome del principio dell’autonomia contrattuale
(sovente espressamente menzionato nelle motivazioni delle decisioni), una vera
e propria dilatazione dell’usuale contenuto dell’accordo di separazione, ben al
di là di quegli angusti limiti in cui parte della dottrina [96] lo avrebbe voluto inquadrare.
Si è così deciso, per esempio, in relazione ad una
complessa pattuizione transattiva di tutti i rapporti nati dal vincolo
coniugale, che l’accordo dei coniugi sottoposto all’omologazione del tribunale
ben può contenere rapporti patrimoniali anche «non immediatamente riferibili,
né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli
obblighi derivanti dal matrimonio» [97]. Sempre in materia di transazione la Corte ha
stabilito, in epoca ancora più recente, che «Anche nella disciplina dei
rapporti patrimoniali tra i coniugi è ammissibile il ricorso alla transazione
per porre fine o per prevenire l’insorgenza di una lite tra le parti, sia pure
nel rispetto della indisponibilità di talune posizioni soggettive, ed è
configurabile la distinzione tra contratto di transazione novativo e non
novativo, realizzandosi il primo tutte le volte che le parti diano luogo ad un
regolamento d’interessi incompatibile con quello preesistente, in forza di una
previsione contrattuale di fatti o di presupposti di fatto estranei al rapporto
originario (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha
ritenuto novativa e, quindi, non suscettibile di risoluzione per inadempimento,
a norma dell’art. 1976 cod. civ., la transazione con la quale il marito si
obbligava espressamente, in vista della separazione consensuale, a far
conseguire alla moglie la proprietà di un appartamento in costruzione, allo
scopo di eliminare una situazione conflittuale tra le parti)» [98].
L’estensione della disciplina contrattuale ai negozi
familiari ha poi portato la giurisprudenza ad affermare, per esempio, l’applicabilità:
a) dei principi in tema di formazione del consenso
contenuti agli artt. 1326-1328 c.c. all’accordo di riconciliazione [99],
b) dell’art. 1371 c.c. ad una «convenzione accessoria
alla sentenza di divorzio» [100],
c) più in generale, in tema di interpretazione del
contratto ad una pattuizione a latere
rispetto all’accordo di separazione omologato [101],
d) degli artt. 1362 ss. c.c. ad un accordo, ritenuto
perfettamente valido ed efficace, prodromico ad una consensuale non
concretizzata [102],
e) degli artt. 1362 ss. c.c. alle stesse intese di
separazione consensuale [103],
f) delle norme in tema di simulazione, come sopra
illustrato [104], e di vizi del consenso [105] alle intese di separazione personale.
Non stupisce dunque che, da diversi anni a questa
parte, accada sempre più di frequente all’osservatore della giurisprudenza di
legittimità di imbattersi in affermazioni del genere di quella secondo cui «i
rapporti patrimoniali tra i coniugi separati hanno rilevanza solo per le parti,
non essendovi coinvolto alcun pubblico interesse, per cui essi sono pienamente
disponibili e rientrano nella loro autonomia privata» [106]. In altri termini, pur con le dovute cautele, sembra
potersi dire che anche nel diritto patrimoniale della famiglia deve darsi atto
di una progressiva evoluzione «dagli status al contratto». La nota
massima elaborata da Maine oltre un secolo fa, sebbene abusata e sottoposta a
critiche, sembra ancora adatta ad esprimere il lungo e travagliato percorso
compiuto dalla negozialità anche in questo settore del diritto privato [107]. In contraddizione, peraltro, rispetto a simili
aperture nei confronti della negozialità dei coniugi si colloca quel già
ricordato processo involutivo che la giurisprudenza – in particolare quella di
legittimità – ha subito relativamente a due settori ben individuati: ci si
intende riferire alle questioni relative al carattere disponibile del
contributo al mantenimento del coniuge separato o dell’assegno di divorzio,
nonché alla materia degli accordi preventivi in vista di un futuro ed eventuale
divorzio [108].
Peraltro mutamenti assai rilevanti e repentini sono in
atto.
Basti dire che le tesi dello scrivente hanno ricevuto
un poderoso avallo da una importante decisione di legittimità del 2014 [109], che, riprendendo «passo a passo» numerosi rilievi
del sottoscritto, ha proclamato apertis
verbis che «Nella separazione consensuale, così come nel divorzio
congiunto, ma pure in caso di precisazioni comuni che concludano e trasformino
il procedimento contenzioso di separazione e divorzio, si stipula un accordo,
di natura sicuramente negoziale (tra le altre, Cass. n. 17607 del 2003), che,
frequentemente, per i profili patrimoniali si configura come un vero e proprio
contratto. Non rileva che, in sede di divorzio, esso sia recepito, fatto
proprio dalla sentenza: all’evidenza tale sentenza è necessaria per la
pronuncia sul vincolo matrimoniale, ma, quanto all’accordo, si tratta di un
controllo esterno del giudice, analogo a quello di separazione consensuale».
Più oltre, la decisione continua rilevando che «Tradizionalmente gli accordi
“negoziali” in materia familiare, erano ritenuti del tutto estranei alla
materia e alla logica contrattuale, affermandosi che si perseguiva un interesse
della famiglia trascendente quello delle parti, e l’elemento patrimoniale,
ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale.
Oggi, escludendosi in genere che l’interesse della famiglia sia superiore e
trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli
componenti, si ammette sempre più frequentemente un’ampia autonomia negoziale,
e la logica contrattuale, seppur con qualche cautela, là dove essa non
contrasti con l’esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più
deboli, si afferma con maggior convinzione».
Ancora oltre si rimarca che «Come si è detto,
l’accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio (e magari quale
oggetto di precisazioni comuni in un procedimento originariamente contenzioso)
ha natura sicuramente negoziale, e talora da vita ad un vero e proprio
contratto. Ma, anche se esso non si configurasse come contratto, all’accordo
stesso sarebbero sicuramente applicabili alcuni principi generali
dell’ordinamento come quelli attinenti alla nullità dell’atto o alla capacità
delle parti, ma pure alcuni più specifici (ad es. relativi ai vizi di volontà,
del resto richiamati da varie norme codicistiche in materia familiare dalla
celebrazione del matrimonio al riconoscimento dei figli nati fuori di esso) (al
riguardo, ancora, Cass. n. 17607 del 2003). (…). Ove l’accordo (o il contratto)
sia nullo, tale nullità potrebbe essere fatta valere da chiunque vi abbia
interesse, e dunque anche da chi abbia dato causa a tale nullità. Ed esso
potrebbe essere oggetto di annullamento da parte del soggetto incapace o la cui
volontà risulti viziata (ad es. da un errore pure sulla sussistenza
dell’interesse del minore, ma si dovrebbe ricordare che se nell’accordo sia
preminente una causa transattiva, non rileverebbe ai sensi dell’art. 1969 c.c.,
errore di diritto). Ma nullità o annullamento non potrebbero costituire motivo
di impugnazione dei soggetti dell’accordo da cui essi sono vincolati, ma
dovrebbero essere fatti valere in un autonomo giudizio di cognizione (In
termini generali n. 17607 del 2003)».
Altro rilevantissimo endorsement della tesi che si pone alla base della teoria sui
contratti della crisi coniugale è senz’altro venuta, sempre nel corso del
citato anno 2014, dalla riforma che ha introdotto la già ricordata negoziazione
assistita (cfr. gli artt. 6 e 12, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito
con modifiche in l. 10 novembre 2014, n. 162).
Sul versante dottrinale, gli anni più recenti hanno
visto una ripresa d’attenzione da parte degli Autori favorevoli all’espansione
della negozialità, mediante approfondimenti di temi di carattere generale,
quali, per esempio, quello dei rapporti tra autonomia privata e «causa
familiare» [110] o tra autonomia privata e potere di disposizione nei
rapporti familiari in genere [111], oppure sui «contratti della crisi coniugale» [112], ovvero attraverso studi settoriali, quali quelli
sulle convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del
matrimonio [113], sulla disponibilità dell’assegno ex art. 5 l.
div. [114], sui trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione
di separazione e divorzio [115], sulla rilevanza del consenso nella separazione
consensuale ed in quella di fatto [116], su taluni aspetti dei rapporti tra separazione
consensuale e i possibili contratti tra coniugi [117], e così via [118]. Si noti, tanto per portare un altro caso concreto,
che le esigenze di determinazione e predeterminazione della sorte dei rapporti
patrimoniali all’interno delle famiglie giungono a lanciare fremiti d’agitazione
persino in un settore del diritto civile tradizionalmente ritenuto
«tranquillo», quale quello delle successioni per causa di morte, alimentando un
rilevante movimento d’opinione – a livello sia di teoria che di prassi – in
senso favorevole all’abolizione del divieto dei patti successori [119], anche sulla scia delle innovazioni apportate dallo
stesso legislatore mediante l’introduzione del patto di famiglia.
Una
volta ribadita la natura negoziale degli accordi di separazione consensuale e
di divorzio su domanda congiunta, va però constatato che l’applicabilità di
alcuni «classici» rimedi negoziali a siffatte intese – e, più esattamente, la
possibilità di impugnare queste ultime per incapacità naturale, vizi del
consenso, simulazione – trova ancora qualche ostacolo in una parte della
giurisprudenza di merito, così come della dottrina. E’ ora giunto il momento di
occuparsi anche di questo argomento.
In
effetti – a parte la battaglia di retroguardia in cui s’ingaggiano ancora
alcune decisioni (veramente, verrebbe da dire, démodées) che negano in via di principio l’applicabilità ai negozi
giuridici familiari della normativa contrattuale [120], su cui non vale più la pena di spendere nemmeno una
parola [121] – le opinioni contrarie all’ammissibilità dei rimedi
negoziali sembrano poggiare sostanzialmente su di un unico argomento «forte»:
vale a dire la (supposta) inconciliabilità di soluzioni che presuppongono la
non integrità (o addirittura l’inesistenza) del consensus contrahentium, con il fatto che questo sia manifestato
dinanzi al presidente del tribunale, quasi che la «sacralità» del contesto in
cui l’intento negoziale si esprime potesse di per sé fornire un’assoluta
certezza circa l’esistenza d’un consenso genuino ed esente da vizi di sorta.
Per
la similitudine delle argomentazioni rispetto agli argomenti trattati nel
presente scritto citerò prima due pronunzie di merito concernenti il tema della
capacità naturale delle parti, contenenti conclusioni diametralmente opposte,
per passare quindi ai precedenti specifici in materia di simulazione e di vizi
del consenso. Con la prima delle due decisioni il tribunale di Napoli [122] ha negato l’applicabilità dell’annullamento previsto
dall’art. 428 c.c. all’accordo di separazione consensuale, in considerazione
della «attiva partecipazione» del presidente all’accordo dei coniugi sulle
condizioni della separazione. In senso opposto è invece successivamente andata
la Corte d’appello di Milano, che ha affermato, in linea generale, l’applicabilità
all’accordo di separazione consensuale dell’azione di annullamento ex art. 428 c.c. per incapacità naturale
di una delle parti, argomentando dalla natura di negozio familiare della
separazione consensuale, cui «sono applicabili solo quelle norme del contratto
che esprimono principi generali del negozio giuridico, quali, appunto, quelle
in tema di vizi del consenso e di capacità dei soggetti» [123].
Anche
in materia di simulazione e di vizi del consenso non fanno certo difetto
pronunzie di merito che (esattamente come si è visto in materia di incapacità)
considerano d’ostacolo all’applicazione della disciplina contrattuale la
presenza, al momento dello scambio dei consensi, del presidente del tribunale,
enfatizzandone in maniera del tutto ingiustificata il significato e l’incidenza
[124]. A tali decisioni sembra far eco un’altra
giurisprudenza di merito, secondo cui gli accordi sull’assegnazione della casa
familiare, ai fini dell’opponibilità al locatore, ai sensi dell’art. 6, terzo
comma, l. 27 luglio 1978, n. 392, dovrebbero essere sottoposti ad omologa da
parte del tribunale [125], quasi a voler proporre la tesi della natura
«trilaterale» di tale tipo di intese.
Per
fortuna, di fronte a tali dérapages,
la Cassazione ha ammesso (ancorché in astratto, ma comunque con il peso della ratio decidendi) la facoltà per i terzi
(nella specie: conduttore, nei confronti dei quali il locatore, non
assegnatario della casa coniugale intendeva opporre la cessazione della proroga
legale, ex art. 4, n. 1, l. 23 maggio
1950, n. 253) di dimostrare la simulazione «della procedura» di separazione [126]. La stessa Corte, in altra occasione, ha dato per
scontato il principio dell’impugnabilità per violenza della convenzione con la
quale, in sede di separazione consensuale, si era stabilito che il marito
avrebbe ceduto alla moglie taluni beni in cambio della rimessione, da parte di
quest’ultima, di una querela per concubinato [127].
Proprio
quest’ultimo indirizzo viene, sostanzialmente, confermato dalla più volte
citata decisione di legittimità del 2001, in tema di impugnazione per
simulazione della separazione consensuale, che prova come anche in questo campo
la giurisprudenza di legittimità sappia elargire concessioni consistenti e
talora inaspettate verso la negozialità [128] tra coniugi in crisi [129].
Si
noti, però, che sullo stesso versante si colloca da tempo la dottrina più
autorevole, a cominciare, addirittura, dal Cicu [130], da cui, francamente, di tutto si sarebbe potuto
aspettare, tranne che un’apertura di questo genere verso un approccio tanto
vicino alla moderna teorica della negozialità dei rapporti tra coniugi in
crisi, quanto lontano dalla concezione istituzionale della famiglia [131]. L’opinione era quindi stata ripresa da altri studiosi,
tanto del fenomeno simulatorio [132], che della separazione personale dei coniugi [133], per confluire quindi nella meno remota concezione,
ripresa ormai diversi anni or sono a pie’ pari dalla Corte di cassazione, che
individua nella separazione consensuale «uno dei momenti di più significativa emersione
della negozialità nel diritto di famiglia» [134].
Venendo ora a svolgere qualche osservazione conclusiva
sulla tesi di chi nega l’impugnabilità del negozio di separazione per
simulazione, vizi del consenso o incapacità naturale, fondando le proprie
argomentazioni sul ruolo del presidente del tribunale in sede di udienza ex art. 708 c.p.c., andrà ribadito in
questa sede [135] che gli adempimenti svolti da quest’ultimo (o dal
collegio, se si tratta di divorzio su domanda congiunta), non dissimilmente da
quelli prescritti al notaio rogante, non appaiono di per sé in grado di
escludere a priori (esattamente come
avviene per un rogito notarile) che la volontà dei contraenti possa essere in
qualche modo viziata. Si pensi all’ipotesi paradigmatica della violenza morale,
così come a quella della presenza di una situazione di incapacità naturale non
manifesta, oppure a quella della simulazione, ove nessun «segno esteriore» può
ingenerare il sospetto che la volontà dei paciscenti sia, in realtà,
inesistente [136].
Voler
attribuire a tutti i costi al presidente (o al collegio) l’improprio ruolo di
«garante» dell’esistenza e della genuinità del consenso delle parti significa
presupporre una norma che non esiste nel nostro ordinamento [137]: una norma, anzi, che, se esistesse, dovrebbe essere
dichiarata incostituzionale per contrasto con l’art. 24 Cost., per il fatto di
inibire al soggetto altrimenti legittimato il diritto di far valere in giudizio
l’invalidità dell’accordo [138].
Questa
posizione rinviene – proprio con specifico riguardo alla simulazione – dei
precedenti, nella giurisprudenza di legittimità, che, come si è già detto,
aveva ammesso (ancorché in astratto, ma comunque con il peso della ratio decidendi) la facoltà per i terzi
(nella specie: conduttore, nei confronti dei quali il locatore, non
assegnatario della casa coniugale intendeva opporre la cessazione della proroga
legale, ex art. 4, n. 1, l. 23 maggio
1950, n. 253) di dimostrare la simulazione «della procedura» di separazione [139]. Ma, a ben vedere, neppure nella giurisprudenza di
merito fanno difetto voci favorevoli a tale impostazione.
Invero,
a parte alcuni precedenti risalenti già al codice abrogato [140], il tribunale di Genova, ormai diversi anni or sono,
aveva aperto uno spiraglio alla prova, da parte del conduttore, della
simulazione della separazione del locatore, in seguito alla quale quest’ultimo
aveva perso il diritto di abitare nella casa coniugale, così essendo costretto
ad agire in recesso per ottenere la disponibilità dell’appartamento concesso in
locazione [141]. Successivamente, la Corte d’appello di Bologna ha
ammesso la revocabilità del decreto di omologazione della separazione
consensuale nell’ipotesi di simulazione degli accordi stipulati dai coniugi e
da questi espressamente ammessa, applicando a tali intese le disposizioni sui
contratti in generale ed osservando conclusivamente che «l’istituto della
simulazione trova applicazione anche nella materia matrimoniale, tanto è vero
che l’art. 123 cod. civ. prevede espressamente l’impugnazione del matrimonio
per simulazione» [142]. Ora, a parte l’erroneo riferimento alla necessaria
revoca del decreto d’omologazione, in contrasto, come s’è visto, con le citate
decisioni di legittimità del 2001 e del 2008, non vi è dubbio che il
riconoscimento del carattere negoziale dell’intesa di separazione rappresenti l’indice
di un’incipiente ben diversa sensibilità anche da parte dei giudici di merito
verso la considerazione sub specie
negotii degli accordi di cui si discute.
Sarà
poi il caso di aggiungere qui che le osservazioni di cui sopra, sviluppate con riguardo
alla separazione consensuale, appaiono applicabili anche alle intese che si
pongono alla base del divorzio su domanda congiunta, nel quale – secondo quanto
si è in altra sede cercato di dimostrare – gli effetti d’ordine patrimoniale
vanno direttamente ricollegati al contratto di divorzio concluso dai coniugi,
rispetto al quale la pronuncia del tribunale assume il mero carattere di
omologa emessa all’esito di un procedimento di controllo sul rispetto delle
norme inderogabili del vigente ordinamento [143].
10. Primo
corollario: i rapporti con l’azione revocatoria.
Enunciata la conclusione
secondo cui tanto la separazione consensuale, che il divorzio su domanda
congiunta, che le singole condizioni dell’una o dell’altro possono essere
riconosciuti come simulati, cercherò ora di derivarne alcuni corollari.
Il primo attiene ai rapporti
con l’azione pauliana. Sul punto, rammentato quanto già anticipato in generale
sulle relazioni tra frode e simulazione [144], va detto che, alcune interferenze tra le due situazioni
sembrano emergere proprio con riguardo ai contratti della crisi coniugale, per
ciò che attiene al profilo della consapevolezza in capo al terzo (nella specie:
il coniuge del debitore) del pregiudizio arrecato al creditore. In effetti, la
giurisprudenza di merito ha già avuto modo di occuparsi in alcune occasioni del
problema della revocabilità ex art.
2901 c.c. non già del negozio di separazione nel suo complesso, bensì di
accordi ben determinati, conclusi in seno ad una crisi coniugale. Emblematico è
il caso dei trasferimenti immobiliari [145]. Al riguardo, l’astratta ammissibilità del rimedio ex artt. 2901 ss. è stata affermata da
una decisione del tribunale di Milano del 1996, che peraltro ha respinto la
domanda per difetto di prova del consilium
fraudis in capo al soggetto destinatario dell’attribuzione patrimoniale [146]. Accoglimento hanno invece trovato quattro analoghe
domande proposte dinanzi ai tribunali di Bologna [147], di Casale Monferrato [148], di Roma [149] e di Torino [150].
Da un punto di vista
generale, andrà subito detto che indubbiamente, essendo il trasferimento
operato dalla volontà delle parti e non già dal provvedimento d’omologazione,
la particolare sede nella quale il negozio viene posto in essere (udienza
presidenziale di separazione, seguita da decreto di omologazione da parte del
tribunale, o udienza collegiale di divorzio su domanda congiunta, seguita da
sentenza) non dispiega influenza alcuna sull’ammissibilità del rimedio: sul
punto le pronunzie edite non mostrano certo esitazioni [151].
Per ciò che attiene poi, più
specificamente, al consilium fraudis
in capo al debitore, ovverosia la conoscenza, da parte di quest’ultimo, del
pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori dal trasferimento, basterà
ricordare che, come noto, tale elemento non presuppone in alcun modo l’esistenza
di un animus nocendi [152]; così, il tribunale casalese desume la presenza di
tale stato soggettivo dal fatto che il debitore, consapevole di aver contratto
quel certo debito (nella specie: sottoscrivendo una fideiussione) «ben sapeva
di non essere proprietario di altri beni, oltre quelli che conferiva alla
moglie» [153], mentre quello bolognese perviene alle medesime
conclusioni in base al rilievo secondo cui i finanziamenti da cui originava il
debito in questione erano stati «concessi nei mesi immediatamente antecedenti l’atto
di disposizione, ed erano tutti di rilevantissimo importo. [Il marito] non
poteva dunque ignorare di ledere le ragioni dei creditori spogliandosi degli
unici cespiti di sua proprietà» [154].
La presenza di un consilium fraudis anche in capo al
destinatario dell’attribuzione è richiesta, come noto, in relazione ai soli
atti a titolo oneroso (art. 2901, n. 2, c.c.). Sul punto influiscono svariate
considerazioni ampiamente svolte in altre sedi in punto causa dei contratti
della crisi coniugale e delle attribuzioni in discorso [155], cui non rimane che fare rinvio. In base ad esse
andrà affermata la natura essenzialmente onerosa del trasferimento, pur senza
escludere che, in qualche ipotesi del tutto eccezionale, sia invece ravvisabile
la presenza di una donazione [156].
Peraltro, anche qui vale la
regola secondo cui, come più volte ribadito dalla Suprema Corte, ad integrare
tale presupposto «non si richiede l’animus
nocendi, e cioè la prova della collusione tra terzo e debitore, essendo
sufficiente che il terzo (cioè, nella specie, il coniuge del debitore) abbia la
consapevolezza del fatto che il suo dante causa, già vincolato verso creditori,
mediante l’atto di disposizione, diminuisca la sua sostanza patrimoniale, e con
essa la garanzia spettante alle ragioni di credito altrui, arrecando così
pregiudizio» [157]. Il tribunale di Casale Monferrato ha ritenuto [158], per esempio, di poter ravvisare tale elemento in
capo alla moglie, destinataria del trasferimento, atteso che la lettera di
richiesta del pagamento era stata ricevuta dal marito presso il domicilio
coniugale (ove i coniugi ancora convivevano) e pertanto «la moglie non poteva
ignorare l’esistenza del debito del marito, così come non poteva ignorare la
consistenza del patrimonio dello stesso» [159], mentre il tribunale ambrosiano, dopo aver accertato,
a seguito di un’ampia istruttoria sul punto, che la convivenza tra i coniugi
era cessata alcuni anni prima della separazione consensuale, che questi non si
erano più frequentati e che la moglie si era trasferita da tempo in località
«abbastanza lontana da quella in cui il marito viveva ed operava
economicamente», ha ritenuto insufficiente la prova fornita dal creditore,
concludendo nel senso che «Niente (…) poteva indurre, una persona che da tempo
non aveva rapporti di confidenza e convivenza con il debitore a comprendere che
l’attribuzione delle porzioni degli immobili, di cui già deteneva la metà in
forza della comunione dei beni, avrebbe privato di garanzia dei creditori che
in quel momento erano già insoddisfatti» [160].
Ed è proprio qui che
affiorano i rapporti con la questione dell’eventuale simulazione della
separazione, che i coniugi ben potrebbero inscenare al fine di fornire una
(apparentemente) idonea cornice per l’effettuazione dell’attribuzione in
discorso. Come peraltro correttamente posto in luce dalla già citata decisione
bolognese, l’eventuale accertamento del carattere fittizio del negozio di
separazione personale non può ancora indurre, di per sé, a ritenere invalido il
negozio traslativo, laddove risulti che «i coniugi intesero realizzare
effettivamente, mediante le convenzioni stipulate avanti al Presidente del
Tribunale, il trasferimento della proprietà delle porzioni immobiliari in questione»
[161]. La simulazione – come noto – presuppone che le parti
non vogliano conseguire gli effetti del negozio posto in essere, laddove è
chiaro che, nel caso di specie, ciò che non sono volute sono solo le
conseguenze di carattere personale, mentre i coniugi intendono assolutamente
conseguire quell’effetto traslativo che – qui più che mai – appare del tutto
svincolato dalle vicende relative agli «effetti» della separazione. E’ peraltro
chiaro che, come pure posto in luce dalla sentenza da ultimo citata, l’eventuale
accertamento di una simulazione della separazione costituisce la miglior prova
dell’esistenza di un consilium fraudis
(se non addirittura di una dolosa preordinazione, in caso di debiti non ancora
contratti) in capo ad entrambi i coniugi [162].
Gli indirizzi di merito
sopra illustrati trovano poi conferma nella più recente giurisprudenza di
legittimità.
La Cassazione ha, invero, avuto
modo di occuparsi in questi ultimi anni diverse volte della possibilità, da
parte dei creditori o del curatore fallimentare, di esperire azione
revocatoria, rispettivamente, ordinaria e fallimentare nei riguardi di negozi
traslativi di diritti in sede di crisi coniugale.
Il problema principale
trattato da queste decisioni attiene al profilo del carattere solutorio o meno
dell’atto traslativo. Essendo notoriamente sottratto a revocatoria l’atto di
adempimento di un’obbligazione, è evidente che la qualificazione a tale stregua
dei negozi in oggetto fornirebbe un insuperabile usbergo avverso le pretese dei
creditori, in sede di azione individuale, così come concorsuale.
Passando all’esame della
giurisprudenza di legittimità, va detto che sul tema è intervenuta, nel 2004,
una prima sentenza di legittimità in cui si è stabilito che gli accordi di
separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da
parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili,
come già ricordato, «rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio
originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di
“separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità
normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo in
quanto tale da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero
e proprio (…), e dall’altro a quello di un atto di vendita (…), svela, di
norma, una sua “tipicità” propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini
della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c.,
colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della
“gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza o meno nel concreto, dei
connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia e complessiva,
di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari)
aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel
corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale» [163]. Decisione di analogo tenore venne emessa due anni
dopo [164].
In altra occasione [165], l’anno successivo, la Corte Suprema, partendo dalla
constatazione per cui l’art. 2740 c.c. dispone che il debitore risponda con
tutti i suoi beni dell’adempimento delle proprie obbligazioni, a prescindere
dalla loro fonte, e quindi anche se le stesse derivino dalla legge, come
l’obbligo di mantenimento del coniuge e dei figli minori, ne ha tratto la
conseguenza che sono soggetti all’azione revocatoria ordinaria «anche gli atti
aventi un profondo valore etico e morale, come quello con cui il debitore, per
adempiere il proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli e del
coniuge, abbia trasferito a quest’ultimo, a seguito della separazione, la
proprietà di un bene». Ciò tanto più avuto riguardo al fatto che l’art. 2901
c.c. «tutela il creditore, rispetto agli atti di disposizione del proprio
patrimonio posti in essere dal debitore, senza alcun discrimine circa lo scopo
ulteriore avuto di mira dal debitore nel compimento dell’atto dispositivo».
Nel 2006 la stessa Corte [166] ha dovuto affrontare identica questione sotto
l’angolo visuale, però, della revocatoria fallimentare, ai sensi degli artt.
67, comma primo, n. 1, e 69 l. fall. Anche qui, partendo dalla premessa per cui
l’atto traslativo ha carattere negoziale e non processuale e rilevando ulteriormente
che il trasferimento immobiliare o la costituzione di un diritto reale minore,
pur pattuiti «in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del coniuge
economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli»,
vengono in considerazione non già «in sé», ma sotto il profilo delle relative
«concrete modalità di assolvimento» (di siffatti doveri), ha concluso per la
revocabilità ai sensi delle norme citate dell’accordo con il quale il coniuge
poi fallito – assegnatario della casa coniugale alla stregua delle condizioni
della separazione consensuale omologata – a modifica di tali condizioni, aveva
costituito a favore dell’altro coniuge, per tutta la durata della sua vita, il
diritto di abitazione sulla predetta casa coniugale, ottenendo in cambio
l’esonero dal versamento di una somma mensile, precedentemente pattuito a
titolo di contributo alle spese per il reperimento di altro alloggio da parte
del coniuge beneficiario.
Ancora, nel 2008, la Cassazione si è trovata
ad affrontare una questione assai spinosa, complicata dalla circostanza che il
trasferimento, avvenuto nella versione, per così dire, «bifasica», si era
perfezionato mercé un primo impegno assunto in sede di verbale di separazione
consensuale, seguito da un rogito notarile traslativo. Il creditore aveva
quindi impugnato ex art. 2901 c.c.
soltanto il secondo atto, in tal modo esponendosi all’obiezione, puntualmente
(quanto improvvidamente) accolta dalla corte d’appello di Torino, secondo la
quale il secondo atto, in quanto costituente un mero negozio d’adempimento, non
avrebbe potuto formare oggetto di revocatoria, ai sensi del terzo comma del
citato art. 2901 c.c. Ma la Corte di legittimità, ponendo rimedio alla
sostanziale ingiustizia posta in essere dal formalismo manifestato dai giudici
subalpini, ha correttamente dichiarato ammissibile l’azione revocatoria
ordinaria del trasferimento immobiliare, effettuato da un coniuge in favore
dell’altro, in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale
omologata. In tale azione, precisano i giudici di legittimità, la cognizione
del giudice deve riguardare anche il contenuto obbligatorio degli accordi
separativi, anche quando sia stato espressamente impugnato soltanto il
contratto di cessione immobiliare. In altre parole, la domanda giudiziale che
colpisca formalmente il solo rogito traslativo non può non ritenersi riferita
anche al negozio obbligatorio che ne contiene e ne manifesta la causa, «senza
che si prospetti la necessità di una specifica dichiarazione di volere espressamente
impugnare anche la fase preliminare» [167].
Decisione in tutto e per
tutto identica nella ratio decidendi,
ancorché riferita ad un trasferimento in favore della prole, è stata resa dalla
Cassazione nel 2015, stabilendosi che «È ammissibile l’azione revocatoria
ordinaria del trasferimento di immobile, effettuato da un genitore in favore
della prole in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale
omologata, poiché esso trae origine dalla libera determinazione del coniuge e
diviene “dovuto” solo in conseguenza dell’impegno assunto in costanza
dell’esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché
l’accordo separativo costituisce esso stesso parte dell’operazione revocabile e
non fonte di obbligo idoneo a giustificare l’applicazione dell’art. 2901, terzo
comma, cod. civ.» [168].
Di poco successiva è
un’interessante decisione resa in relazione al disposto del più volte ricordato
art. 64, l. fall. In proposito si è infatti stabilito che «Ai fini dell’azione
di inefficacia di cui all’art. 64 legge fall., atti a titolo gratuito non sono
solo quelli posti in essere per spirito di liberalità, che è requisito
necessario della donazione, ma anche gli atti caratterizzati semplicemente da
una prestazione in assenza di corrispettivo. Ne consegue che l’attribuzione
patrimoniale effettuata da un coniuge, poi fallito, a favore dell’altro coniuge
in vista della loro separazione, va qualificata come atto a titolo gratuito ove
non abbia la funzione di integrare o sostituire quanto dovuto per il
mantenimento suo o dei figli» [169].
Qui la Corte, se da un lato
si rifà al suo tradizionale insegnamento, che ravvisa la gratuità di un negozio
nella semplice assenza di corrispettivo [170], dall’altra sembra voler tracciare la linea di
demarcazione tra revocabilità ed irrevocabilità sull’incerto crinale della
funzione solutoria [171]. Certo è che, nel caso di specie, gli accordi di
separazione cui l’atto, espressamente qualificato come «donazione», accedeva,
stabilivano, da un lato, l’autosufficienza economica della moglie donataria e,
dall’altro, la partecipazione del marito donante alle spese per il mantenimento
della prole (destinataria, come si evince dalla motivazione della sentenza,
della nuda proprietà dell’immobile). E’ chiaro, pertanto, che dall’attribuzione
esulava qualunque intento di tipo solutorio, il che, peraltro, ancora non
appare idoneo a consegnare il negozio alla categoria della gratuità, in
presenza del già ricordato intento definitorio di tutte le questioni personali
e patrimoniali, pregresse ed in atto, e ancora «sospese» fino al momento della
definizione dell’accordo risolutivo dei profili patrimoniali della crisi
coniugale.
Inutile ribadire, valutando
complessivamente e sinteticamente l’evoluzione giurisprudenziale qui
presentata, che l’adesione alla tesi del carattere comunque oneroso dei
contratti della crisi coniugale e la loro estraneità, in linea di principio, ad
una funzione solutoria [172], li espone, di regola, all’esperimento dell’azione
revocatoria da parte del creditore del coniuge autore degli atti dispositivi
ivi previsti. Azione che dovrà, peraltro, seguire – salvo quanto si esporrà nel
paragrafo seguente – le regole proprie della revocatoria degli atti a titolo
oneroso, con conseguente esclusione della possibilità di immaginare – salvo, si
ripete, quanto verrà chiarito nel paragrafo successivo – il rimedio di cui
all’art. 2929-bis c.c.
Per ciò che attiene, dunque,
alla revocatoria, andrà ancora precisato che, da un punto di vista generale,
essendo il trasferimento operato dalla volontà delle parti e non già dal
provvedimento giudiziale, la particolare sede nella quale il negozio viene
posto in essere (udienza presidenziale di separazione, seguita da decreto di
omologazione da parte del tribunale, udienza collegiale di divorzio su domanda
congiunta, seguita da sentenza, procedura di negoziazione assistita, seguita da
nullaosta o autorizzazione del procuratore della Repubblica) non dispiega
influenza alcuna sull’ammissibilità della pauliana [173]. Per ciò che attiene poi, più specificamente, al consilium fraudis in capo al debitore,
ovverosia la conoscenza, da parte di quest’ultimo, del pregiudizio arrecato
alle ragioni dei creditori dal trasferimento basterà ricordare che, come noto,
tale elemento non presuppone in alcun modo l’esistenza di un animus nocendi [174].
La presenza di un consilium fraudis anche in capo al
destinatario dell’attribuzione è richiesta, come noto, in relazione ai soli
atti a titolo oneroso (art. 2901, primo comma, n. 2), c.c.). Sul punto è chiaro
che influiscono le considerazioni ampiamente svolte in altra sede in punto
causa delle attribuzioni in discorso, cui non rimane che fare rinvio. In base
ad esse, andrà ribadita la natura essenzialmente onerosa del trasferimento, pur
senza escludere che, in qualche ipotesi del tutto eccezionale, sia invece
ravvisabile la presenza di una donazione [175], come si dirà tra breve.
Peraltro, anche qui vale la
regola secondo cui, come più volte ribadito dalla Suprema Corte, ad integrare
tale presupposto « non si richiede l’animus
nocendi, e cioè la prova della collusione tra terzo e debitore, essendo
sufficiente che il terzo contraente abbia la consapevolezza del fatto che il
suo dante causa, già vincolato verso creditori, mediante l’atto di
disposizione, diminuisca la sua sostanza patrimoniale, e con essa la garanzia
spettante alle ragioni di credito altrui, arrecando così pregiudizio » [176].
Inutile dire, in conclusione
del presente paragrafo, che gli elementi fin qui raccolti serviranno di base
anche per l’esame dei casi e dei limiti in cui può apparire esperibile l’azione
revocatoria direttamente in executivis
secondo lo schema che lo scrivente in altra opera ha battezzato «renziana», ex art. 2929-bis c.c. [177].
Parte
della dottrina [178], seguita da un’improvvida decisione di merito [179], ha voluto contestare l’impugnabilità per via dei
rimedi ordinari dell’accordo di separazione per motivi concernenti l’esistenza
e l’integrità del consenso [180], asserendo che l’intesa, una volta omologata,
finirebbe con il «confondersi» con il relativo provvedimento giudiziale, con la
conseguente ammissibilità dei soli rimedi del reclamo e della revoca, ex art. 742 c.p.c., da indirizzarsi
verso il decreto d’omologa [181].
Non
potrà farsi a meno di ribadire in questa sede [182] che argomentare in questo modo significa confondere
tra di loro provvedimento d’omologazione e intesa omologata, laddove le
disposizioni di tipo processuale dettate per far valere i vizi attinenti al
decreto (e al relativo procedimento) non paiono estensibili all’accordo, a meno
di volersi collocare in una prospettiva di tipo «panprocessualistico», nella
quale, cioè, le manifestazioni di volontà dei coniugi perdono di significato
autonomo per divenire, in buona sostanza, meri atti processuali [183]. La soluzione si porrebbe però in pieno contrasto con
il disposto dell’art. 158 c.c., che fa dipendere la separazione dal «solo consenso»
dei coniugi, attribuendo al giudice un mero potere di controllo nell’àmbito di
una procedura d’omologazione, destinata a concludersi non già con una sentenza
costitutiva dei rapporti tra i coniugi separati, ma con un decreto che si pone
quale semplice condizione di efficacia del consenso manifestato. Tanto per fare
un esempio, nessuno si sognerebbe certo di far valere tramite rimedi quali il
reclamo o la revoca (ex artt. 739 e
742 c.p.c.) l’eventuale annullabilità per dolo del contratto concluso dal tutore,
ritualmente autorizzato [184].
Dottrina
e giurisprudenza hanno del resto già avuto modo di affermare che – tutto al
contrario rispetto alla tesi qui criticata – il carattere non definitivo del
provvedimento che chiude il procedimento di separazione consensuale consente la
proposizione di autonoma azione diretta all’accertamento dell’eventuale nullità
dell’accordo di separazione, così come dell’eventuale nullità del provvedimento
[185]. Il decreto di omologazione, invece, è impugnabile
«per vizio proprio di legittimità» [186], cioè per la violazione di disposizioni attinenti al
procedimento in sé considerato e non già al negozio che il procedimento tende
meramente a «controllare» [187].
Per
tornare alla dottrina, non sarà inutile ricordare che, secondo l’insegnamento
di Fr. Ferrara Sen., allorquando lo Stato «vuole riservarsi un giudizio
preventivo sull’opportunità e legittimità di [un] atto e ne subordina il
compimento alla sua permissione (autorizzazione), oppure si limita a
riconoscere ex post questa legittimità
specialmente perché precedono altre garanzie, e a darne la successiva
approvazione (omologazione) (…) quest’attività rimane estranea al contenuto
intrinseco dell’atto, e quindi non vale a modificarlo o a sanarlo. L’atto che
si autorizza od omologa può esser stato quindi compiuto seriamente o in
apparenza dalle parti e l’intervento dell’autorità non impedisce la possibilità
di simulazione. Inesattamente perciò gli scrittori medievali considerano come
un ostacolo alla simulazione il decretum
principis rigettando ogni impugnativa al riguardo» [188].
D’altro
canto, come è stato pure rimarcato, «può essere simulato (…) l’atto privato
autorizzato da un pubblico ufficiale (partecipe o non partecipe dell’intesa
simulatoria). La soluzione è ben sperimentata a proposito del contratto
concluso dal padre in nome del figlio minore, con autorizzazione del giudice
tutelare» [189].
A quanto
sopra vanno aggiunte le più volte citate decisioni di legittimità sulle
impugnative per vizi del consenso e per simulazione della separazione
consensuale; decisioni che, pur senza affrontare expressis verbis il tema del procedimento ex art. 742 c.p.c., individuano chiaramente nel procedimento
contenzioso ordinario la via da seguire per chiunque sia interessato a far
valere la nullità per simulazione delle intese di separazione consensuale [190].
Non si
dimentichino poi, per concludere sul punto, gli spunti innovativi (innovativi,
ovviamente, per la giurisprudenza e per la parte più passatista degli Autori,
certo non per chi ha enunciato da tempo la dottrina qui nuovamente esposta)
contenuti nella già ricordata decisione di legittimità del 2014, che ha
individuato nell’accordo delle parti il fulcro e l’asse portante (addirittura)
di una sentenza in causa contenziosa di divorzio, emessa a seguito del
raggiungimento di conclusioni congiunte inter
partes [191], così come nella riforma dello stesso anno sulla
negoziazione assistita.
Non
rimarrà a questo punto che occuparsi succintamente dei possibili effetti verso
i terzi dell’eventuale accertamento giudiziale della simulazione, così come
dell’eventuale pronunzia di annullamento o di revoca. Qui il richiamo è d’obbligo
ai principi generali, scolpiti, per ciò che attiene alla simulazione, negli
artt. 1415 s. e 2652, n. 4, c.c., per quanto riguarda i vizi del consenso,
negli artt. 1445 e 2652, n. 6, c.c. e, per quanto attiene alla revocatoria,
negli artt. 2901, ult. cpv., e 2652, n. 5, c.c.
A questo
riguardo potrà citarsi un precedente del tribunale di Bologna [192], il quale ha ritenuto applicabile l’art. 1415 c.c.
alla fattispecie seguente. Durante il periodo di separazione consensuale,
iniziata nel 1977, il marito procede all’acquisto e quindi alla vendita di un
immobile. Al momento del divorzio la moglie agisce verso il terzo acquirente
dell’immobile in questione ex art.
184 c.c., chiedendo l’annullamento dell’atto per essere stato quest’ultimo
posto in essere senza il suo consenso, in relazione ad un bene della comunione
legale, nel frattempo instauratasi [193] per via del carattere meramente «apparente» dello
stato di separazione, frutto, a dire della parte attrice, di un accordo
omologato simulato, in quanto «teso a tenere al riparo la famiglia dell’H. [il
marito] da eventuali azioni di ritorsione politica nei confronti di questi,
cittadino libico».
La
sentenza, come si è appena detto, respinge la domanda della moglie, richiamando
l’art. 1415 c.c. In realtà, nella decisione felsinea, altre motivazioni vengono
ad intrecciarsi e quasi a sovrapporsi a questo rationale. In particolare, rispunta l’argomento dell’asserita
irriferibilità dell’istituto della simulazione all’accordo di separazione
consensuale «per via dell’intervento di un organo giudiziario sovraordinato, il
Presidente del tribunale». La tesi, enunciata al dichiarato scopo di costituire
una sorta di giustificazione «di rincalzo» rispetto alla precedente («Ad abundantiam, poi, il Collegio dà atto
che sussiste un autorevole orientamento giurisprudenziale…»), appare però
subito con questa inconciliabile: il presupposto di applicabilità della regola ex art. 1415 c.c. risiede, per l’appunto,
nella possibilità di ritenere l’atto nullo per simulazione.
Di fronte,
poi, al motivo – «aggiunto» in corso di causa in via subordinata – dell’asserita
intervenuta riconciliazione, il tribunale nega che l’art. 184 c.c. possa
estendersi a colpire la posizione di terzi ignari della sopravvenuta
ricostituzione del regime legale. Lasciando però da parte tale ultimo
argomento, estraneo alla presente analisi, non potrà farsi a meno di rimarcare
come la questione qui discussa venga a toccare il tema, quanto mai delicato,
della pubblicità delle cause di scioglimento della comunione legale tra
coniugi.
In
proposito, fermo restando che, tanto l’accertamento giudiziale della
simulazione (della separazione consensuale, del divorzio su domanda congiunta,
così come delle relative intese), quanto la pronunzia di annullamento o di
revoca, sfuggono alla annotazione a margine dell’atto di matrimonio [194], non rimane che riconoscere alla trascrizione sui
pubblici registri immobiliari e mobiliari delle relative domande giudiziali la
funzione di disciplinare i confitti con i terzi aventi causa in relazione a
diritti relativi a beni immobili o mobili registrati acquistati in base ad atti
soggetti alla trascrizione.
Così,
per esempio, il coniuge interessato a far valere nei confronti dei terzi i
diritti ex art. 184 c.c. sui beni
immobili o mobili registrati acquistati medio
tempore, cioè a dire in costanza di apparente regime di separazione
instauratosi in seguito ad una fittizia (o viziata) causa di scioglimento ex art. 191 c.c., potrebbe procedere
alla trascrizione contro l’altro coniuge della domanda diretta a colpire la
validità e/o gli effetti della separazione consensuale (o del divorzio su
domanda congiunta), nonché alla trascrizione (ex art. 2653, n. 1, c.c.) della domanda (logicamente conseguente,
ma che ben potrebbe essere proposta contestualmente alla prima) di accertamento
della persistenza del regime legale e del carattere comune del bene in
questione. E lo stesso potrebbe valere anche per altre situazioni non
annotabili a margine dell’atto di matrimonio, ma influenti su di una causa di
scioglimento del regime legale: si pensi, per tutte, alle azioni tendenti alla
declaratoria di nullità per un qualsiasi motivo (magari, ancora una volta, per
simulazione), o alla pronunzia di annullamento, di una convenzione di
separazione dei beni.
Ecco
riemergere, dunque, ancora una volta, quella funzione della trascrizione sui
registri immobiliari «integrativa» e «correttiva» rispetto alla annotazione a
margine dell’atto di matrimonio, già prospettata quasi vent’anni fa dallo
scrivente [195] in merito ai tormentati rapporti tra gli artt. 162 e
2647 c.c.: problema – sia consentito aggiungerlo – che non sembra
definitivamente risolto neppure dagli interventi legislativi succedutisi negli
ultimi anni. Basti dire, a tacer d’altro, che il d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396
(Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2,
comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), continua a non prevedere l’annotazione
della sentenza dichiarativa di fallimento, così come del ricorso per
separazione legale e che la lacuna non può certo essere colmata con il rinvio,
pure ipotizzato a suo tempo da parte della dottrina [196], all’art. 23, primo comma, l. 6 marzo 1987, n. 74 [197], posto il carattere sicuramente non processuale della
norma divorzile [198] di cui si propugna l’estensione. A ciò s’aggiunga
comunque – e l’accenno sarà forzatamente telegrafico, ma lo sviluppo della
considerazione ci porterebbe veramente troppo lontano – che sulla permanente
operatività degli artt. 706 ss. c.p.c. (e dunque, implicitamente, sulla
inapplicabilità alla separazione delle disposizioni processuali in materia di
divorzio) è intervenuta una «interpretazione autentica» da parte di un
Legislatore che, passando a pie’ pari sopra un dibattito in corso ormai dal
1987, sembra dare per pacifica l’inapplicabilità della disciplina processuale
del divorzio alla separazione personale: intendo, più esattamente, qui
riferirmi alle disposizioni della legge 4 aprile 2001, n. 154 (Misure contro la violenza nelle relazioni
familiari), le quali (cfr. in particolare l’art. 8) fanno espresso e
ripetuto rinvio agli artt. 706 e seguenti c.p.c.
Fin qui
si è discorso del coniuge interessato ad opporre ai terzi la realtà di una
persistente situazione di comunione legale. Si potrebbe peraltro ipotizzare
anche la possibilità – accogliendo il suggerimento proposto da chi scrive in
merito alla soluzione dei complessi problemi posti dagli aspetti pubblicitari
dei regimi matrimoniali [199] – che terzi eventualmente interessati a dimostrare il
carattere (in realtà) comune dei beni acquistati dopo che si sia verificata la
causa di scioglimento apparente (si pensi ai creditori della comunione), siano
legittimati a far prevalere la realtà sull’apparenza, provando, per l’appunto,
il carattere meramente fittizio della (apparente) causa di scioglimento del
regime legale [200]. Il discorso non potrebbe però valere in questo caso
che per la simulazione, atteso che l’azione diretta ad ottenere la pronunzia di
annullamento per un vizio del consenso è per definizione rimessa nelle mani
della sola parte il cui consenso sia stato dato per errore, estorto con
violenza o carpito con dolo.
[1] D. 24.1.64 (Iavolenus 6 ex post. lab.). Il passo
così prosegue: «Sed verum est, quod Proculus et Caecilius putant, tunc verum
esse divortium et valere donationem divortii causa factam, si aliae nuptiae
insecutae sunt aut tam longo tempore vidua fuisset, ut dubium non foret alterum
esse matrimonium: alias nec donationem ullius esse momenti futuram». Naturalmente, il divorzio sulla cui
simulazione si discute è il primo, come risulta anche dal commento di Viviano
riportato in margine al passo in oggetto in Digestum
vetus, seu pandectarum iuris civilis tomus primus, Venetiis, 1592, c. 2622:
«Ab uxore mea diverti: et postea ei donavi, ut ad me rediret, et redijt: tandem
iterum divertit. An valeat donatio? Et dicitur, quod sic, si verum divortium
fuit illud primum, quod ante sit verum postea exponit. Vivia[nus]».
[2] Per altri passi del medesimo tenore cfr. D.
24.1.35 (Ulpianus 34 ad ed.: «Si non
secundum legitimam observationem divortium factum sit, donationes post tale
divortium factae nullius momenti sunt, cum non videatur solutum matrimonium»),
nonché D. 24.1.27 (Papin. lib. I definit.:
«Si liberis sublatis reversa post jurgium, per dissimulationem mulier, veluti
venali concordia ne dotata sit, conveniat: conventio secundum ordinem rei
gestae, moribus improbanda est»), quanto meno stando all’interpretazione che di
tale ultima fonte dà Pothier, Pandectae justinianeae in novum ordinem
digestae, II, Lugduni, 1782, p. 38, secondo cui nel brano si farebbe
riferimento al caso di una coppia che aveva fatto apparire come un vero
divorzio quella che, in realtà, era solo una separazione temporanea (jurgium), al fine di effettuare una
donazione (nella forma di esclusione della costituzione in dote, nel «nuovo»
matrimonio, dei beni già ripresi per effetto del precedente simulato divorzio),
vietata inter coniuges. Pothier (op. loc. ultt. citt.) ne conclude che «si simulatum fuit divortium,
non valebit donatio interim facta».
[3] C. 5.17.3 (Impp. Diocletia. et Maximia. AA. Tullio):
«Dubium non est, omnia omnino, quae consilio recte geruntur, iure meritoque
effectu, et firmitate niti. Quare si tu dotem pro muliere dedisti, et ex morte
eius repetitionem stipulatus es, circumscribendi autem tui causa ficto repudio
matrimonium brevi tempore rescissum est: res dotales, quas ante nuptias
obtulisti, praeses provinciae recipere te non dubitabit. Certum est enim
daturum operam moderatorem provinciae, ut quae contra fas gesta sunt, fructum
calliditatis obtinere non possint: cum nobis hiusmodi commenta displiceant.
Imaginarios enim nuncios, id est repudia nullius esse momenti, sive nuptiis
fingant se renunciasse, sive sponsalibus etiam veteribus iuris auctoribus
placuit».
[4] C. 5.12.30 (Imp. Iustinianus A. Mennae): «… cum
constante etiam matrimonio posse mulieres contra maritorum parum idoneorum bona
hypothecas suas exercere, iam nostra lege humanitatis intuitu definitum sit:
ficti divortij falsa dissimulatione in huiusmodi causa, quam nostra lex amplexa
est, stirpitus eruenda».
[5] Cuiacio, In libro IV Codicis recitationes solemnes. Ad Tit. XII.
De jure dotium, in Jacobi
Cujacii JC. Tolosatis Opera ad parisiensem fabrotianam editionem diligentissime
exacta auctiora atque emendatiora in tomos x. distributa, 7, Prati, 1864,
c. 884 s.: «Nam possunt conjuges simulare divortium, vel in fraudem
stipulatoris, qui excepit sibi dotem, quam dedit pro muliere in casum mortis,
non in casum divortii, ut in l. 3. inf.
de repud. vel in hoc proposito possent simulare divortium, ut marito nondum
everso facultatibus, ipso mulier quasi facto divortio praecipiat res dotales,
et excludat antiquiores creditores mariti. Denique possunt simulare divortium
in fraudem antiquiorum creditorum mariti, ut reipsa manente matrimonio,
factoque divortio, mulier se ponat res dotales, summotis creditoribus
antiquioribus, et parum aut nihl restet ex residuis bonis mariti».
[6] Cfr. il commento in margine
a C. 5.17.3 in Codicis D.N. Iustiniani
Sacratiss. Principis PP. Aug. Repetitae Praelectionis Libri XII. Diligenter
recogniti (…) opera et studio Petri ab Area Baudoza Cestii I.C., Lugduni,
1593, c. 940: «Pater dedit dotem pro filia, et stipulatus est eam sibi reddi
solu[to] matrimonio morte. Mulier finxit se velle divertere a marito sine culpa
mariti, sed sua: ut sic maritus dotem lucraretur. An talis dolus filiae obsit
patri, quaeritur? Dicitur quod non: quia talis fraus principi displicet: et
ideo firmitatem non habebit: quia tantum ea debent obtinere firmitatem, quae
recte, et cum consilio geruntur. (…) Unde non obstante tali fraude, potest
pater dotem repetere in casu solu[ti] matrimo[nii] morte». V. inoltre sul punto
il parere di Brunnemann, Commentarius in duodecim libros codicis iustinianei,
Lugduni, 1669, p. 291: «Divortium maritus aut uxor facere potest, sed non
simulare in praeiudicum tertij, v[erbi] g[ratia] si filia propterea simulet se
divertere, ut maritus retineat dotem (…) quam pater soluto matrimonio sibi
reddi stipulatus erat. Alius casus divortij simulati et fraudulenti in l. 59. ff. Sol. Matr. [D. 24.3.59] ubi
Uxori aegrae maritus mittit divortium, ut ea mortua dotem eius haeredibus
potius, quam Patri ex stipulatu restitueret» (su quest’ultimo caso cfr. anche Barbosa, De Matrimonio, et pluribus aliis materiebus, II, Lugduni, 1668, p.
194).
[7] Il riferimento è alla
pellicola dal titolo Anche i
commercialisti hanno un’anima, con Renato Pozzetto, Enrico Montesano e
Sabrina Ferilli. Sui timori circa il diffondersi di questa pratica al fine di
evitare il «cumulo dei redditi» un tempo in vigore per le coppie coniugate (e
non separate) cfr. Rodotà, Il cumulo dei redditi. Marito, moglie e
tasse, in Il giorno, 1975
(l’articolo è riassunto in C.E.D. – Corte
di cassazione, Arch. DOTTR, pd. 137500125).
[8] Cfr. per esempio l’interessante quadretto di
costume riferito dallo studioso canadese Dufresne,
La quantophrénie, al sito web seguente:
http://agora.qc.ca/reftext.nsf/Documents/Pauvrete--Les_statistiques_par_Jacques_Dufresne: «La scène se
passe dans une entreprise de transport par camion. Un chauffeur vient demander
à son patron de lui donner l’adresse d’un bon avocat. Pour quelle raison?
demande le patron. ‘Pour un divorce’, répond-il. Et il ajoute, un peu mal à
l’aise: ‘Rassurez-vous, pas pour un vrai divorce...Vous comprenez, ma femme ira
vivre chez sa mère, on croira qu’elle a un appartement à elle... Comme ça nous
aurons droit à des prestations accrues de l’État’. Le patron, comme il me l’a
lui-même avoué, a été tenté de congédier cet employé sur-le-champ (…). Et que
penser des avocats qui se prêtent à de telles combines? Voilà un exemple de ce
qu’un système trop centralisé de lutte contre la pauvreté a fait de notre
société. Je précise que le chauffeur de camion en cause gagne 50.000$ [si
tratta di dollari canadesi, n.d.a.]
par année et vit seul avec sa femme. Et j’ajoute que tous ses collègues
connaissent ses petites combines, ce qui ne doit pas les inciter au zèle dans
le règlement de leurs comptes avec l’État. Si dans le cas d’une aide de ce
genre, le pouvoir décisionnel se trouvait au niveau du quartier ou du village,
jamais notre chauffeur et sa digne épouse n’auraient même songé à leur divorce
fictif».
Per un caso francese di divorzio simulato
destinato a permettere a uno dei coniugi, a seguito di un successivo matrimonio
(simulato), di acquistare una nuova cittadinanza, cfr. App. Lyon, 16 gennaio
1980, in Gaz. Pal., 1980, 2, p. 428; D. 1981, 579; (Cassation) Civ. 1re,
17 novembre 1981, in JCP, 1982, II,
19842.
[9] Cfr. ad es. artt. 12 TUIR; 15, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; 4, d.lg. 29 aprile 1998, n. 124.
[10] Per alcuni approfondimenti al riguardo cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, Milano, 2000, p. 214 ss.; Id., Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Roppo, VI, Interferenze, a cura di Roppo, Milano, 2006, p. 323 ss.; v. inoltre quanto verrà illustrato infra (nel § 10). Sui timori di elusione
fiscale legati ai trasferimenti immobiliari tra coniugi in crisi cfr. inoltre Milone, Le vicende tributarie delle sentenze di separazione personale e di
divorzio, in Vita notarile, 1977,
p. 220 ss. (ma per una critica cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti
tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 257 s.); sui
timori di frodi correlate alle assegnazioni d’immobili di edilizia residenziale
pubblica cfr. Ieva, Trasferimenti mobiliari ed immobiliari in
sede di separazione e di divorzio, in Riv.
notar., 1995, I, p. 473 ss. (sul punto v. anche Oberto, Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 254 ss.).
[11] L. Jouanneau, C. jouanneau e Solon, Discussions du code civil dans le Conseil
d’Etat, I, Paris, 1805, p. 333; cfr. inoltre Locré, Esprit du code
Napoléon, III, Paris, 1806, p. 316.
[12] Per quelle, di analogo genere, espresse da
altri componenti del Consiglio di Stato, cfr. Locré,
op. loc. ultt. citt.
[13] Locré, op. cit., p. 317.
[14] Sul punto, in
termini quanto mai espliciti, v. il resoconto di Locré, op. cit.,
p. 344 ss.: «La séparation de corps par consentement mutuel deviendroit
infiniment plus abusive que le divorce même, parce que dans la pratique, elle
seroit incompatible avec les mêmes restrictions. En effet, tant que les époux
ne feorient que déroger aux clauses principales de leur contrat, sans dissoudre
le contrat lui-même, il seroit déraisonnable d’exiger d’eux ces conditions
d’âge et ce consentement des ascendans, qui ajoutent tant de poids à leur
volonté lorsqu’elle a le divorce pour objet (…). Il seroit sur-tout
déraisonnable d’interdire à ces époux la faculté de se réunir, puisque c’est
cet espoir qui fait encore subister le lien. Ainsi ils pourroient se jouer sans
pudeur de la société qu’ils ont formée, la quitter et la reprendre au gré de
leurs fantaisies, insultant également à la dignité du mariage par le scandale
de leurs divisions (…) ; tandis qu’au contraire le divorce, soumis aux sages
conditions que la loi lui impose, rend une seconde union impossible entre ces
mêmes époux».
[15] Locré, op. cit., p. 346. Per la
dottrina cfr., innanzi tutto, Demolombe, Cours de code Napoléon, IV, Du mariage et de la séparation de corps,
Paris, 1854, p. 506, secondo cui la ragione del divieto della separazione
consensuale andava cercata nella necessità di evitare il rischio che questa
fosse «frauduleuse, parce que la séparation de corps emportant toujours la
séparation de biens, aurait pu offrir ainsi aux époux le moyen facile de
tromper leurs créanciers (articles 311, 1443). Ajoutez enfin que la faculté, et
peut-être même l’espoir de se réunir plus tard, que les époux auraient toujours
conservé, auraient multiplié scandaleusement ces sortes de séparations
volontaires»; nello stesso senso v. inoltre Proudhon,
Cours du droit français, I,
Paris, 1810, p. 334 s.; Duranton, Cours de droit français suivant le code
civil, 2, Paris, 1825, p. 481 ss.; Rogron,
Code civil expliqué, Paris,
1840, p. 154 s.; Toullier, Le droit civil français, suivant l’ordre du
code, Bruxelles, 1845, p. 182 ss.; Valette,
Explication sommaire du livre
premier du code Napoléon et des lois accessoires, Paris, 1859, p. 140; Massol, De la séparation de corps, Paris, 1875, p. 406 s. («il était
surtout prudent d’empêcher dans l’intérêt des tiers que le seul consentement
des époux ne produisit la séparation de corps, qui entraîne toujours celle des
biens. Ce serait le moyen de commettre des fraudes, puisque les créanciers
n’ont pas le droit d’intervenir dans l’instance en séparation de corps»); Laurent, Principes de droit civil, III, Bruxelles, 1878, p. 365 ss., 368. In questa stessa ottica va anche letta la
disposizione di cui all’art. 1443 cpv. del Code
Napoléon, secondo cui «toute séparation [de biens] volontaire est nulle».
[16] Unitamente, va
detto per completezza, al timore di attentare all’indissolubilità del vincolo:
«L’engagement du mariage étant formé par Dieu lui-même, non seulement il est
indissoluble, mais il ne doit pas même être permis aux parties qui l’ont
contracté, de donner la moindre atteinte aux effets qu’il doit produire, sans
de grandes causes, dont le mérite doit être examiné et reconnu par le Juge» (Pothier, Traité du contrat de mariage, in Traités sur différentes matières de droit civil, III,
Paris-Orléans, 1781, p. 378).
[17] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
Milano, 1999, p. 90 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali
della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva
storica, nota a Cass., 20 marzo 1998, n. 2955, in Foro it., 1999, I, c. 1317 ss.
[18] Oltre alle opere citate ed
alle considerazioni sviluppate nei lavori citati supra, alla nota precedente (relativamente, per lo più, alla séparation de corps), si vedano i
numerosi casi riportati dagli autori qui di seguito citati (relativi, sovente,
anche alla séparation de biens): Charondas Le Caron, Responses et décisions du droict françois, Paris, 1612, p. 451; Brodeau, Recueil d’aucuns notables arrests donnez en la cour de parlement de
Paris, pris des mémoires de Mons. Maistre Georges Loüet conseiller du Roy en icelle, II, Anvers, 1666, p. 404 ss.; Jovet,
La bibliothéque des arrests de
tous les parlemens de France, Paris, 1669, p. 239 s.; Bardet, Recueil d’arrests du parlement de Paris, I, Paris, 1690, p. 71,
281, 526; Id., Recueil d’arrests du parlement de Paris,
II, Paris, 1690, p. 308, 600; Despeisses,
Oeuvres, I, Lyon, 1696, p.
175; Brillon, Dictionnaire des arrests, ou jurisprudence universelle des parlemens de
France, et autres tribunaux, III, Paris, 1711, p. 552; Blondeau e Guéret, Journal du
palais, ou recueil des principales décisions de tous les parlemens et cours
souveraines de France, I, Paris, 1737, p. 179; Augeard, Arrests
notables des différens tribunaux du royaume, Paris, 1756, p. 91; Denisart, Collection de décisions nouvelles et de notions relatives à la
jurisprudence actuelle, III, Paris, 1764, p. 65 ss.; Russeaud de la Combe, Recueil de jurisprudence civile du pays de
droit écrit et coutumier, par ordre aphabétique, Paris, 1769, p. 639; Basnage, Commentaires sur la coutume de Normandie, in Oeuvres de maître Henri Basnage, II, Rouen, 1778, p. 90 ss.; Merlin, Recueil alphabétique des questions de droit qui se présentent les plus
fréquemment dans les tribunaux, V, Paris, 1820, p. 627 ss.; Id., Dizionario
universale ossia repertorio ragionato di giurisprudenza e questioni di diritto,
ed. italiana, XIII, Venezia, 1842, p. 18 ss. (secondo cui una separazione di beni non
avrebbe avuto effetto «quando apparisca che la separazione sia stata concertata
per mascherare un vantaggio che uno dei coniugi volesse fare all’altro contro
il divieto della consuetudine»). Sull’origine canonistica del principio in
esame v. per tutti van Espen, Jus ecclesiasticum universum caeteraque
scripta omnia, decem tomis comprehensa, II, Venetiis, 1769, p. 200 s.;
VIII, Venetiis, 1769, p. 128 s.; Cosci, De separatione tori coniugalis, tam nullo
existente seu soluto, quam salvo vinculo matrimonii, ejusque effectibus,
Florentiae, 1856, p. 453 ss.; Esmein, Le mariage en droit canonique, II, 1891,
p. 89 s.
[19] E’ il caso della decisione del Parlamento di
Parigi in data 14 febbraio 1602, riportata da Chenu,
Cent notables et singulières
questions de droict, Paris, 1606, p. 227.
[20] E’ il caso della decisione del Parlamento di
Aix del 19 febbraio 1685, di cui riferisce Merlin,
Dizionario universale ossia
repertorio ragionato di giurisprudenza e questioni di diritto, ed.
italiana, III, Venezia, 1835, p. 766 s.; cfr. inoltre Basnage, op. cit.,
p. 91.
[21] In generale sui
patti di séparation amiable v. anche Richardot, Les pactes de séparation amiable, Paris, 1933, citato da Lefebvre-Teillard, Introduction historique au droit des personnes et de la famille,
Paris, p. 160.
[22] Personale, così come dei beni: i due istituti
erano sovente trattati congiuntamente e talora confusi tra di loro, visto che
il primo determinava automaticamente anche il secondo.
[23] Ferrière, Dictionnaire de droit et de pratique, II, Paris, 1769, p. 593 (cfr. inoltre gli autori citati alla nota
seguente).
[24] Le Prestre, Questions notables de droict,
Paris, 1663, p. 191 s.: «Les Iuges ne doivent pas rendre faciles et indulgens à
la séparation demandée par l’un des deux conioints. Et du Molin écrit en
l’Apostille du 123. article de la Coustume de Mont-fort, que la separation
d’entre mary et femme n’est valable, si elle n’est faite par Sentence de Iuge,
et partage executé sans fraude, et non si par mauvaise teste ou mauvais
gouvernement elle estoit seulement separée de fait, cest à dire que sur une
querelle survenuë, elle se fust absentée et retirée de la maison de son mary,
et que par connivence il negligeast de la reprendre (…). Ioint aussi que le
Iuge doit bien prendre garde que les parties ne s’accordent cauteleusement et
en fraude de leurs creanciers à se separer, qui est une des choses la plus à
considerer en matière de ces procez de separation»; cfr. inoltre d’Argentré, Commentarii in patrias Britonum leges, seu Consuetudines generales
antiquissimi Ducatus Britanniae, Parisiis, 1661, p. 1511: «nobis nulla
separatio ex bona gratia fit, ut olim ex l. si constante. C. de repud.
praeterquam ea, quae ex consensu fit religionis causa: Certe, ni fallor, omnes
in invitos fiunt. Voluntaria saepe est illa bonorum usurpata Cenomanis,
Andibus, Normanis, nobis pene inaudita usu, nec expedit, quia nunquam sit sine
fraude creditorum, cum subinde illi inducunt, iterant rursum: sed raro nisi
fraude»; Brodeau, op. cit., p. 403: «du Molin en ses Annotations,
sur le cent vingt troisiéme article de la Coustume de Montfort, desire que
telle separation se fasse par Sentence du Iuge, causa cognita, et par partage des meubles de la communauté, qui
soit executé ; ce qui est assisté de grande raison, dautant que telle
separation estant de l’honnesteté publique, ne doit dépendre de la nuë volonté
des particuliers : qu’il se presenteroit de grandes fraudes, que la moindre
colere de l’un des deux conioints, emporteroit comme une espece de divorce: que
par la mesme legereté que telles conventions se feroient, elles se deferoient :
ce ne seroient que tromperies». Sempre nello stesso senso v. poi anche Le Maistre, Les plaidoyez et harangues de monsieur Le Maistre, Paris, 1659, p.
211; [Gibert], Tradition ou histoire de l’eglise sur le
sacrement du mariage, Paris, 1725, p. 350 s.; Duperray, Traité des
dispenses de mariage, de leur validité ou invalidité, et de l’état des
personnes, Paris, 1730, p. 499 s.; Bornier,
Conférences des ordonnances de
Louis XIV. Roy de France et de Navarre avec les anciennes ordonnances du
royaume, le droit écrit et les arrests. Enrichies d’annotations et de décisions
importantes, II, Paris, 1744, p. 652 s.; Duplessis,
Traité douzième. De la communauté
de biens entre conjoints, in Traités
de Mr Duplessis, ancien avocat au parlement, sur la coutume de Paris. Avec des
notes de MM. Berroyer et de Laurière, I, Paris, 1754, p. 432 (e note [bbb] e [ccc]); Bourjon, Le droit commun de la France et la coutume
de Paris, Paris, 1770, p. 604 s. (sulla séparation
de biens), 608 ss. (sulla séparation
de corps); Fevret, Traité de l’abus et du vrai sujet des appellations qualifiées du nom d’abus,
II, Lausanne, 1778, p. 101 ss.
[25] Sull’argomento
v. per tutti Le Brun, Traité de la communauté entre mari et femme,
Paris, 1709, p. 279 s.; Renusson, Traité de la communauté de biens, entre
l’homme et la femme conjonts par mariage, I, Paris, 1760, p. 56; Pothier, Traité de la communauté, in Traités
sur différentes matières de droit civil, III, Paris-Orléans, 1781, p. 728
s.; Merlin, op. cit., III, p. 772 ss. Si noti poi che alcune coutumes prevedevano il divieto di
stipula di séparations de biens
conventionnelles: il più celebre esempio era costituito dall’art. 198 della
coutume d’Orléans, di cui riferisce
Pothier, Coutumes des duché, bailliage et
prévôté d’Orléans, et ressort d’iceux, Paris-Orléans, 1776, p. 537 ss.
[26] Su cui cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 82 ss.; Id., Gli
accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello
scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., c. 1314 ss.
[27] Pothier, Traité de la communauté, cit.,
p. 728 s.; Bourjon, op. cit., p. 605 («Les séparations de
biens étant presque toujours des épouventails, dont les débiteurs injustes se
servent pour écarter leurs créanciers et mettre leurs meubles à couvert de la
poursuite de ces deniers, sont regardées comme peu favorables […]. Elles sont
quelquefois employées pour servir à des avantages indirects, et pour appliquer au
profit de la femme tout le bénéfice de la communauté, aquel cas telles
séparations sont, comme le disoit Tertulien, divortium concordiae, et la justice en anéantit l’effet : arrêt du
4 mai 1677, rapporté dans le troisieme volume du journal des audiences, liv.
11, ch. 14 ; c’est dans cet aspect qu’elles sont défavorables ; mais non
lorsqu’il y a une base légitime à cette séparation»); sui rapporti tra
immutabilità delle convenzioni matrimoniali e divieto di donazioni tra coniugi
cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p.
170, nota 30.
[28] Renusson, op. cit., p. 56. L’intento di
evitare frodi ai creditori, che dovevano, evidentemente, essere quanto mai
frequenti, si pone alla base di un curioso reglement
pour les separations emesso il 5 febbraio 1624 (ma, a quanto pare, mai
registrato dal Parlamento di Parigi) dal Lieutenant
Particulier, Civil et Criminel des Bailliage et Siége Présidial d’Orléans,
nel quale, dato atto «de la multitude de separations de biens qui se font ordinairement
entre homme et femme conjoints par mariage, en fraude de leurs Créanciers, et
clandestinement avec prémediation de banqueroutes, faillites, cessions et
abandonnements de biens, ainsi que par l’experience du passé il est assez
notoire», nonché dell’inadeguatezza a contrastare tale fenomeno delle formalità
previste dall’art. 198 della consuetudine locale (che prevedevano la necessità
di pubblicazione, registrazione ed esecuzione delle sentenze di separazione dei
beni) si disponeva, tra l’altro, che «toutes lesdites Sentences de separations
de biens d’entre mary et femme seront publiés aux Prônes des Messes des
Paroisses de la demeure de ceux entre lesquels elles auront été données ;
ensemble és Frous et Carrrefours ordinaires, à son de Trompe ou Tambour et cry
public, és jours de marché des lieux où elles auront esté obtenuës» (cfr. Coutumes des duché, bailliage, et prevosté
d’Orléans, et ressorts d’iceux, avec les notes de Mr Henry Fornier […] et les
notes de M. Charles Dumoulin, sur l’Ancienne Coûtume d’Orléans, Orléans,
1711, p. 126 ss.).
[29] Sul tema cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 494 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali
della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva
storica, c. 1306 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of
divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi
coniugale, in Riv. dir. civ.,
1999, II, p. 171 ss.; Id., Gli accordi preventivi sulla crisi coniugale,
in Familia, 2008, p. 25 ss.
[30] Sugli effetti, al di là
dell’Oceano, dell’introduzione del no
fault divorce e sulla conseguente ammissione della liceità dei prenuptial agreements in contemplation of
divorce si fa rinvio per tutti a Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 493 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of
divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi
coniugale, cit., p. 171 ss.
[31] Cfr. per tutti Mantica, Vaticanae lucubrationes de tacitis et ambiguis conventionibus, in
libros XXVII. dispertitae, II, Genevae, 1723, p. 66: «In primis autem
admonendi sumus, quod inter contractum simulatum, et fraudulentum, magna est
differentia: quia contractus simulatus est imaginarius, qui fingitur, neque eo
modo quo fingitur, neque alio contrahitur (…). Contractus
autem fraudulentus is est, qui cum dolo celebratur, et vere eo animo
contrahitur, ut effectum sortiatur».
[32] Betti, Teoria generale del negozio giuridico,
Torino, 1950, p. 397.
[33] In generale, sui rapporti tra simulazione e
frode – questione certamente troppo ampia per poter essere anche solo sfiorata
in questa sede – cfr. Laurent, Principes de droit civil, XVI,
Bruxelles, 1878, p. 578 ss.; Fr. Ferrara Sen.,
Della simulazione dei negozi giuridici,
Roma, 1922, p. 67 ss.; Planiol, Traité élémentaire de droit civil, II,
Paris, 1923, p. 402; Colin e Capitant, Cours élémentaire de droit civil français, II, Paris, 1931, p. 62
s.; Butera, Della simulazione nei negozi giuridici e degli atti «in fraudem legis»,
Torino, 1936, p. 54 ss.; Carraro, Il negozio in frode alla legge, Padova,
1943, p. 104 ss.; Distaso, Simulazione dei negozi giuridici, in Noviss. dig. it., XVII, Torino, 1970, p.
412 ss. Per ulteriori richiami alle opere in tema di simulazione cfr. per tutti
Distaso, op. cit., p. 359 ss.; Casella, Simulazione (dir. priv.), in Enc.
dir., XLII, Milano, 1990, p. 593 ss.; Perego,
La simulazione nel matrimonio
civile, Milano, 1980; Id., Simulazione del matrimonio (dir. priv.),
in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p.
615 ss.; Gentili, Simulazione dei negozi giuridici, in Digesto quarta edizione, Discipline
privatistiche, Sezione civile, XVIII, Torino, 1998, p. 511 ss.
[34] Cfr. per il Comune di Torino, l’articolo di Martinengo, Divorzio all’italiana per un posto al nido, in La Stampa, 4 maggio 2004, p. 45.
[35] Cfr. l’articolo di delle Foglie, Vuoi pagare meno imposte? Divorzia, dice il fisco, in Avvenire, 18 aprile 2008, p. 6.
[36] Cfr. delle
Foglie, Vuoi pagare meno imposte?
Divorzia, dice il fisco, loc. ult. cit., che riporta l’esempio di una
coppia in cui solo lui lavori e percepisca un reddito attorno ai settantamila
euro. In questo caso l’aliquota fiscale che si applica è quella del 41%. Ora,
se il marito, dopo la separazione, deve versare ventimila euro alla moglie,
detratta questa cifra, l’aliquota scende e il risparmio di imposta (per lui) è
superiore agli ottomila euro. Se è vero che anche la moglie separata deve
pagare le tasse, va subito aggiunto che l’aliquota inferiore (23%), determinerà
un esborso di 4.600 euro di imposte. In definitiva, i falsi separati
risparmieranno complessivamente 3.400 euro.
[37] Cfr. Pianta, 430 euro al mese in più con la finta separazione, in La Stampa, 19 dicembre 2012, p. 13.
[38] La cifra è fornita dall’A.M.I. (Associazione avvocati matrimonialisti italiani), secondo quanto riferito da Pianta, op. loc. ultt. citt.
[39] Anche secondo Danovi, La Cassazione torna a negare rilievo alla simulazione della separazione: ma per quanto ancora?, nota a Cass., 12 settembre 2014, n. 19319, in Fam. e dir., 2015, p. 339 «non si può in effetti negare che, con i nuovi modelli di separazione introdotti dal legislatore, i coniugi (quanto meno nelle ipotesi di assenza di figli minori) siano indubbiamente agevolati nel porre in essere una separazione simulata. E certamente il solo nullaosta di regolarità formale del p.m. non può considerarsi sufficiente per portare avanti ancora l’idea per cui l’iniziativa delle parti di ottenere formalmente la separazione superi e neutralizzi ogni precedente eventuale intesa simulatoria tra le stesse».
[40] Cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, Milano, 1999, p. 1299 ss.. Si noti che la Consulta (cfr. Corte cost., 18 febbraio 1988, n. 186) ha dichiarato illegittimo l’art. 158 c.c. nella parte in cui non prevede che il decreto di omologazione della separazione consensuale costituisca titolo per iscrizione dell’ipoteca giudiziale. Per la giurisprudenza di legittimità v. Cass., 10 settembre 2004, n. 18248.
[41] Per una panoramica al riguardo cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1199 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano,
2000, passim; Id., Contratto e
famiglia, cit., p. 323 ss.
[42] Sul tema, che non può essere approfondito in questa sede, si fa rinvio per tutti a Oberto, La revocatoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929-bis c.c. Dalla pauliana alla « renziana »?, Torino, 2015, p. 106 ss. (per gli atti traslativi nel contesto dei contratti della crisi coniugale), 117 ss. (per gli atti costitutivi di vincoli).
[43] In senso contrario v. peraltro la decisione della Cassazione del 2003, di cui verrà detto ampiamente infra, § 5.
[44] Cass., 5 marzo 2001, n. 3149, in Familia,
2001, p. 769, con nota di Oberto, Simulazioni e frodi nella crisi coniugale
(con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), ivi, p. 774 ss. Si fa rinvio a tale nota
per un commento della decisione in termini analoghi a quelli di cui al presente
§. Per una trattazione dell’argomento v. inoltre Danovi, La separazione
simulata e i suoi rimedi, nota a App. Bologna, 7 maggio 2000, in Riv. dir. proc., 2001, p. 284 ss.; Id., E’
davvero rilevante (e inattaccabile) la simulazione della separazione?, nota
a Cass., 20 novembre 2003, n.
Per la
rilevanza del fenomeno simulatorio nelle intese concernenti la crisi del
matrimonio è anche Barbiera, Il matrimonio, Padova, 2006, p. 333.
[45] Nelle sue forme, beninteso,
tanto assoluta che relativa, con l’unica precisazione che la prima è l’unica
immaginabile per il caso della simulazione della separazione (o del divorzio),
mentre l’alternativa tra le due tradizionali forme di manifestazione del
fenomeno simulatorio si ripresenta per ciò che attiene alle condizioni della
separazione (o del divorzio).
[46] Stando, almeno, al resoconto che dello
«svolgimento del processo» fa la sentenza di legittimità.
[47] La violenza (morale) presuppone infatti
comunque la presenza di un consenso, ancorché viziato (etsi coactus, tamen volui, secondo il noto brocardo); rileva
l’intrinseca contraddittorietà di una domanda fondata, in relazione agli stessi
fatti, sul dolo e sulla simulazione di un accordo di separazione App. Milano,
22 febbraio 1983, in Dir. fam. pers.,
1983, p. 578.
[48] Così, infatti, parrebbe doversi leggere il
richiamo in motivazione al fatto che il marito «aveva minacciato [la moglie] di
impadronirsi della casa coniugale».
[49] Così afferma testualmente la motivazione:
«restando quindi l’allegazione degli eventuali vizi dell’accordo di
separazione, ovvero della sua simulazione, rimessi al giudizio ordinario,
secondo le regole generali».
[50] Cass., 24 febbraio 1993, n.
2270, in Corr. giur., 1993, p. 820,
con nota di Lombardi; in Giust. civ., 1994, I, p. 213, con nota
di Sala; in Giust. civ., 1994, I, p. 912; in Dir. fam. pers., 1994, p. 554, con nota di Doria; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, in Dir. fam. pers., 1994, p. 868; in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 710,
con nota di Ferrari; in Giur. it., 1994, I, 1, c. 1476; in Vita notarile, 1995, I, p. 126, con nota
di Curti; in Foro it., 1995, I, c. 2984 (si noti che le motivazioni delle due
decisioni – redatte dal medesimo estensore – sono pressoché identiche).
Successivamente, Cass., 28 luglio 1997, n. 7029 ha ribadito che «in tema di
separazione consensuale, le modificazioni pattuite dai coniugi antecedentemente
o contemporaneamente all’accordo omologato sono operanti soltanto se si
collocano in posizione di non interferenza rispetto a quest’ultimo o in
posizione di maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato». Il medesimo rationale sembra porsi alla base anche
di Cass., 11 giugno 1998, n. 5829, secondo cui «Le modificazioni degli accordi,
convenuti tra i coniugi, successive all’omologazione della separazione ovvero
alla pronuncia presidenziale di cui all’art. 708 cod. proc. civ., trovando
legittimo fondamento nel disposto dell’art. 1322 cod. civ., devono ritenersi valide
ed efficaci, a prescindere dall’intervento del giudice ex art. 710 cod. proc. civ., qualora non superino il limite di
derogabilità consentito dall’art. 160 cod. civ. e, in particolare, quando non
interferiscano con l’accordo omologato ma ne specifichino il contenuto con
disposizioni maggiormente rispondenti, all’evidenza, con gli interessi ivi
tutelati».
[51] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 363 ss., 368 ss.
[52] Espressamente nel senso della invalidità di
intese precedenti all’omologazione, se non contenute nel verbale di
conciliazione, v. Morace Pinelli, Separazione consensuale e negozi atipici
familiari, nota a Cass., 11 novembre 1992, n. 12110, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 307; in
giurisprudenza v. Cass., 5 gennaio 1984, n. 14, in Dir. fam. pers., 1984, p. 473; in Giust. civ., 1984, I, p. 669; in Vita notarile, 1984, p. 407; in Riv.
notar., 1984, p. 375, 593, con nota di D’Anna;
in Giur. it., 1984, I, 1, c. 1691; in
Foro it., 1984, I, c. 401; Cass., 13
febbraio 1985, n. 1208, in Giust. civ.,
1985, I, p. 1654, con nota di A. Finocchiaro;
in Nuova giur. civ. comm.,
1985, I, p. 658, con nota di Zatti; in
Riv. notar., 1985, p. 1183; in Giur. it., 1986, I, 1, c. 118, con nota
di Di Loreto; in Dir. fam. pers., 1985, p. 510.
[53] Cfr. Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, cit.;
Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, cit.; Cass., 28 luglio 1997, n. 7029, cit.;
Cass., 11 giugno 1998, n. 5829, cit.
[54] App. Brescia, 16 aprile 1987, in Giur. merito, 1987, p. 843; App.
Palermo, 5 novembre 1988, citata in Aa.
Vv., Giurisprudenza del diritto di
famiglia: casi e materiali, a cura di M. Bessone, Milano, 1991, p. 198;
Pret. Cavalese, 21 gennaio 1987, in Giur.
merito, 1987, p. 843.
[55] Cfr. Trib. Marsala, 23 dicembre 1994, in Dir. fam. pers., 1995, p. 246, con nota
di Conte; in Dir. fam. pers., 1995, p. 1489, con nota di Sala.
[56] Cfr. V. Carbone,
Autonomia privata e rapporti
patrimoniali tra coniugi (in crisi), nota a Cass., 22 gennaio 1994, n. 657,
in Fam. e dir., 1994, p. 145 s.; Ferrari, Ancora in tema di accordi fuori dal verbale di separazione, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 717;
Lombardi, La cassazione privilegia l’autonomia negoziale dei coniugi negli
accordi di separazione, nota a Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270 e Cass. 13
gennaio 1993, n. 348, in Corr. giur.,
1993, p. 823 ss.; Sala, Accordi di separazione non omologati: un
importante riconoscimento dell’autonomia negoziale dei coniugi, nota a
Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, in Giust.
civ., I, 1994, p. 220 s.; Caravaglios,
La comunione legale, Milano,
1995, p. 1199 ss.; Conte, Accordi modificativi successivi alla
separazione omologata e controllo giurisdizionale: tra moglie e marito non
metter... l’omologa, nota a Trib. Marsala, 23 dicembre 1994, in Dir. fam. pers., 1995, p. 249; Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino,
1995, p. 18 ss.; Sala, Accordi successivi all’omologazione della
separazione ed autonomia negoziale dei coniugi, in Dir. fam. pers., 1995, p. 1493 s.; Morelli,
Il nuovo regime patrimoniale della
famiglia, Padova, 1996, p. 61 s.
[57] Così Doria,
Autonomia dei coniugi in occasione
della separazione consensuale ed efficacia degli accordi non omologati,
nota a Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, in Dir.
fam. pers., 1994, p. 568; anche Angeloni,
Autonomia privata e potere di
disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, p. 259, rileva
esattamente che il criterio della «non interferenza» non ha alcun fondamento
nel diritto positivo vigente. Per ulteriori considerazioni critiche cfr. Sala, Simulazione dell’accordo di separazione consensuale?, nota a Trib.
Roma, 14 dicembre 1998, in Fam. e dir.,
2000, p. 63.
[58] Ferrari,
op. cit., p. 717; G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, in Giust. civ., 1996, II, p. 392 s.
[59] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 215 ss.
[60] Su cui cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale,
II, cit., p. 1413 ss.
[61] Anche Cavallo,
Autonomia contrattuale e
separazione personale dei coniugi, nota a Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in
Corr. giur., 1991, p. 893 osserva che
«dal riconoscimento della possibilità per i coniugi di inserire, negli accordi
di separazione, pattuizioni non immediatamente riferibili al regime di
separazione, discende l’ulteriore corollario che la mancata omologazione della
separazione non può incidere sulla efficacia delle pattuizioni di natura
meramente patrimoniale»; nel senso che ai patti precedenti la separazione
omologata andrebbe comunque e sempre attribuito rilievo cfr. Dogliotti, op. cit., p. 18 s.
[62] Contra,
in conseguenza dell’asserita inammissibilità di intese non verbalizzate, A. Ceccherini, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento,
Milano, 1996, p. 192 ss.; in senso contrario alla tesi qui esposta sembra
orientato anche Dogliotti, op. cit., p. 18 s., secondo il quale, in
caso di contrasto tra accordi verbalizzati ed accordi coevi non verbalizzati,
dovrebbero essere sempre i primi a prevalere; dello stesso avviso dell’opinione
qui espressa appare invece V. Carbone, op. cit., p. 145.
[63] Cfr. Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 370; v. inoltre, per analoghe
considerazioni, Doria, Autonomia dei coniugi in occasione della
separazione consensuale ed efficacia degli accordi non omologati, cit., p.
568 s.
[64] Cass., 20 novembre 2003, n. 17607, in Corr. giur., 2004, p. 307, con nota di Oberto; in Giust. civ., 2004, I, p. 2982; in Dir. e giust., 2004, p. 36, con nota di Dosi; in Fam. e dir., 2004, p. 473, con nota di Conte; in Vita notar., 2004, I, p. 156, con nota di Alcaro; in Nuova giur. civ. comm., con nota di Busi.
[65] Sul punto, per i necessari richiami v. infra, §§ 8 ss.
[66] Per considerazioni critiche su questo punto cfr. Oberto, Simulazione della separazione consensuale: la Cassazione cambia parere (ma non lo vuole ammettere), nota a Cass., 20 novembre 2003, n. 17607, in Corr. giur., 2004, p. 309 ss. In senso adesivo a tali critiche v. anche Filauro, Gli accordi della crisi coniugale alla luce dell’interesse ad impugnare: una nuova presa di posizione della giurisprudenza di legittimità, nota a Cass., 20 agosto 2014, n. 18066, in Fam. e dir., 2015, p. 357, la quale pure rileva «come, da un lato, disconoscere la volontà simulatoria dei coniugi equivalga a negare la premessa dalla quale la stessa Corte nella pronuncia citata è partita, ovverosia la natura negoziale dell’accordo di separazione, per ritornare alla tesi pubblicistica dell’efficacia costitutiva del decreto di omologazione; dall’altro la tesi in parola si porrebbe in aperto contrasto con la tesi sostenuta dalla prevalente giurisprudenza in merito alla impugnabilità dell’accordo in parola per vizi del consenso con l’azione ex art. 1427 c.c.». Aderisce espressamente alla tesi dello scrivente anche Rizzuti, Della simulazione in sede processuale: osservazioni, in Nuova giur. civ. comm., 2011, p. 449 ss., secondo il quale «la simulazione può benissimo attuarsi anche in sede processuale, senza che i profili pubblicistici che immancabilmente connotano il fenomeno del processo, siano di ostacolo. A maggior ragione, quindi, dovrebbe riconoscersi la possibilità di ravvisare un meccanismo simulatorio in quelle ipotesi in cui l’aspetto pubblicistico processuale sia solo un momento secondario rispetto ad un fenomeno giuridico di carattere essenzialmente negoziale, come è la separazione consensuale. In effetti, alcuni segnali di un possibile ripensamento si intravedono in quella dottrina che ha inserito il tema della simulata separazione nell’ambito del discorso generale sull’abuso del processo, ma anche in quella giurisprudenza che, pur continuando a respingere i tentativi di impugnare per simulazione gli accordi di separazione, lo fa con motivazioni che, a differenza di quelle della criticata pronuncia del 2003, non chiudono totalmente, ma sembrano lasciare aperte delle possibilità». Anche Arceri, Il consenso nella separazione consensuale, tra diritto al ripensamento, impugnazione per vizi della volontà e procedimento di modifica, nota a Cass., 30 aprile 2008, n. 10932 e Cass., 8 maggio 2008, n. 11488, in Fam. e dir., 2008, p. 1117 ss., rileva che «la soluzione eletta dalla giurisprudenza di legittimità (…) non convince chi scrive: non v’è chi non vede, infatti, che la creazione dell’apparenza della separazione consensuale postula, quale necessario e fondamentale passaggio per ottenere l’effetto voluto, ovverosia l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio e la conseguente opponibilità ai terzi del nuovo status e di tutte le conseguenze personali e patrimoniali ad esso connesse, il passaggio attraverso l’udienza presidenziale e la richiesta di omologa delle condizioni che si desidera far apparire all’esterno. Non si scorge dunque alcuna contraddizione tra volontà simulatoria e ricorso all’autorità giudiziaria per ottenere la consacrazione formale delle intese esternate: il tutto, infatti, non esclude che i due coniugi siano fermamente intenzionati a creare un vuoto simulacro di esse, da ostentarsi ai terzi e soprattutto ai creditori, non volendo affatto, nella realtà, cessare i propri rapporti affettivi ed instaurare effettivamente vita da separati». Sempre in senso conforme alla tesi dello scrivente cfr. Casaburi, Separazione consensuale dei coniugi ed accordi patrimoniali atipici tra i coniugi: ammissibilità ed impugnazione, nota a Cass., 22 novembre 2007, n. 24321, in Fam. e dir., 2008, p. 446 ss.; Zucchi, Aspetti giuridici degli accordi a latere nella separazione consensuale dei coniugi, nota a Cass., 10 ottobre 2005, n. 20290, in Fam. pers. succ., 2007, p. 107 ss.; Gorgoni, Accordi a latere della separazione e del divorzio tra regole di validità e di comportamento, in Fam. pers. succ., 2006, p. 1015, nota 4. Ricalca, infine, le proprie tesi su quelle dei lavori (non citati) dello scrivente, pure G. Conte, I limiti dell’autonomia privata nei rapporti coniugali: accordo di separazione, controllo giudiziale e simulazione, nota a Cass., 20 novembre 2003, n. 17607, in Fam. e dir., 2004, p. 473 ss.
[67] Peraltro smentita, come riconosciuto dalla stessa Cassazione, dall’art. 157 c.c.
[68] Cfr. artt. 1415 s., 2652, n. 4, 2690, n. 1, c.c. Sul punto v. infra, § 12.
[69] Cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p.171 ss.; cfr. inoltre Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 303 ss. Tale Autrice addebita impropriamente allo scrivente di voler «considerare risolto il problema dei patti sulle conseguenze del divorzio in base alla semplice constatazione del carattere patrimoniale della prestazione», rimproverandolo altresì di non aver svolto un’analisi sufficientemente attenta dei limiti di liceità e degli aspetti più specificamente familiari delle intese in oggetto e lodando invece chi ha individuato quale limite specifico del potere di disposizione degli interessati l’obbligazione alimentare (cfr. Ead., op. cit., p. 313, nota 37). Così facendo, la predetta, oltre a dimostrare di non aver letto (il che, ovviamente, non è grave; grave, invece, oltre che scorretto, è distribuire censure, senza conoscere il contributo che si critica) le parti del lavoro dello scrivente nelle quali – a ogni piè sospinto – si richiama la necessità del rispetto, nei contratti della crisi coniugale, delle regole d’ordine pubblico e dei principi inderogabili (cfr., a tacer d’altro, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 32, 249 ss.; II, cit., p. 1085 ss.), così come di quelle (inderogabili) proprie del diritto di famiglia e, tra di esse, prima tra tutte, quella relativa all’obbligo alimentare (cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 798 ss., 844 ss.; in tale contesto, si noti che proprio allo specifico tema degli accordi sull’obbligazione alimentare il sottoscritto dedica un’intera sezione: cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., da p. 844 a p. 861), sembra dimenticare (il che è ancora più grave) che, tra divorziati, l’obbligo alimentare non esiste…
[70] Come rilevato da Sacco, «può essere simulato (…) l’atto privato autorizzato da un pubblico ufficiale (partecipe o non partecipe dell’intesa simulatoria). La soluzione è ben sperimentata a proposito del contratto concluso dal padre in nome del figlio minore, con autorizzazione del giudice tutelare» (Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 393; con specifico riguardo all’accordo di separazione consensuale cfr. inoltre Butera, Della simulazione nei negozi giuridici e degli atti «in fraudem legis», Torino, 1936, p. 185).
[71] Cass., 20 marzo 2008, n. 7450.
[72] Cfr. ad esempio l’affermazione della moglie ricorrente secondo cui la stessa «si lasciò indurre a concludere l’accordo separatizio in via consensuale dalle numerose e maliziose assicurazioni del marito – tendenti appunto a carpirle la sottoscrizione per il consenso – di aver cessato i rapporti adulterini (...), ventilandole la possibilità di una (...) riconciliazione»
[73] E in questo senso la decisione si trova sicuramente in buona compagnia: v. le decisioni citate infra, § 7.
[74] Cfr. Cass., 16 novembre 2012, n. 20207.
[75] Cass., 12 settembre 2014, n. 19319, in Fam. e dir., 2015, p. 331, con nota di Danovi. Come ricordato dallo stesso Danovi, in sede di commento, la fattispecie dalla quale trae origine la sentenza è frutto di una duplice con fliggente iniziativa, che ha visto tra loro contrapposte le due (successive) consorti di un medesimo soggetto. La seconda moglie, dopo essersi consensualmente separata dal marito, si rivolge al tribunale per ottenere la divisione di due beni immobili dei quali ha acquisito la quota parte della metà proprio attraverso i patti della separazione e dei quali l’altra metà fa invece capo alla prima moglie, da tempo ovviamente divorziata. E poiché gli immobili sono ormai intestati alle sole due donne la citazione in giudizio è posta in essere unicamente nei confronti dell’altra titolare. La prima moglie (fantasma di hitchcockiana memoria) si oppone allora all’iniziativa, affermando di avere acquistato in sede di divorzio il diritto di abitazione sui due immobili, destinati a casa familiare e che in ogni caso la separazione consensuale del marito dalla seconda moglie sarebbe stata unicamente simulata. Parallelamente, poi, la seconda moglie conviene in giudizio la prima anche per vederla condannare al pagamento di una somma quale corrispettivo della locazione che la convenuta aveva stipulato per uno degli immobili in questione. Da queste premesse discende un intricato processo, nel quale il marito, inizialmente solo «convitato di pietra», viene chiamato in causa per l’integrazione del contradditorio nei suoi confronti; il tribunale riunisce le cause e provvede con tre sentenze differenti (delle quali due non definitive); il marito medio tempore muore; vengono quindi proposti due appelli (poi riuniti) ai quali partecipano anche le tre figlie eredi, e in sede di gravame la Corte d’Appello di Roma conferma le statuizioni del giudice di prime cure, in particolare, per quanto qui interessa, circa il rigetto della domanda riconvenzionale di simulazione della separazione proposta dalla prima moglie.
[76] Cfr. Oberto, Simulazione della separazione consensuale: la Cassazione cambia parere (ma non lo vuole ammettere), cit., p. 309 ss.; Balestra, Autonomia negoziale e crisi coniugale: gli accordi in vista della separazione, in Riv. dir. civ., 2005, II, p. 290 ss.
[77] V. supra, §§ 3-5.
[78] Secondo quanto, in modo sicuramente condivisibile, è dichiarato da Danovi, La Cassazione torna a negare rilievo alla simulazione della separazione: ma per quanto ancora?, cit., p. 335.
[79] Cfr. Danovi, La Cassazione torna a negare rilievo alla simulazione della separazione: ma per quanto ancora?, cit., p. 336.
[80] Cfr. Danovi, La Cassazione torna a negare rilievo alla simulazione della separazione: ma per quanto ancora?, cit., p. 337.
[81] Cfr. su questo ultimo aspetto quanto illustrato supra, § 1.
[82] Cfr., anche per gli
ulteriori rinvii dottrinali e giurisprudenziali, Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 28 ss.; in particolare, sulla natura
contrattuale dell’accordo di separazione consensuale, per ciò che attiene alle
intese d’ordine economico, cfr. Id., La natura dell’accordo di separazione
consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (I), in Fam. e dir., 1999, p. 601 ss.; Id.,
La natura dell’accordo di
separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (II), ivi, 2000, 86 ss.; Id.,
Contratto e famiglia, cit., p. 225
ss.
[83] Cfr. Santoro-Passarelli, L’autonomia
privata nel diritto di famiglia, in
Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 382 s. (lo scritto venne
pubblicato per la prima volta in Dir. e
giur., 1945, p. 3 ss.): «Il codice civile non contiene una disciplina
generale del negozio giuridico, la quale può però ricavarsi dalle sue norme,
essendo evidente che le norme sui contratti, ‘in quanto compatibili’, siano
suscettibili di applicazione non solo agli ‘atti unilaterali tra vivi aventi
contenuto patrimoniale’ (art. 1324), ma al negozio giuridico anche fuori del
diritto patrimoniale. A ciò è da aggiungere che la figura del negozio giuridico
nel diritto familiare è supposta dal
codice (e la sua utilizzazione s’impone perciò all’interprete), poiché in esso
si fa richiamo a nozioni caratteristiche
del negozio, come i vizi della volontà (articoli 122, 265), le modalità,
quali il termine e la condizione (articoli 108, 257), l’irrevocabilità o la
revocabilità dell’atto (articoli 256, 2982), la sua invalidità
(artt. 117 segg., 263 segg.)»; v. inoltre Gangi,
Il matrimonio, Milano, 1969,
p. 28 s.; contra Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario
del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 16 s.; per
l’applicabilità, di volta in volta, ai negozi giuridici familiari dei principi
contrattuali «congrui con l’atto di autonomia familiare posto in essere» cfr. Bianca, Diritto civile, II, Famiglia
e successioni, Milano, 1981, p. 18; per una serie di osservazioni critiche
sulla figura del negozio giuridico familiare v. Donisi,
Limiti all’autoregolamentazione
degli interessi nel diritto di famiglia, in Famiglia e circolazione giuridica, a cura di G. Fuccillo, Milano,
1997, p. 23 ss. (sulla cui posizione cfr. però le osservazioni di Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, p. 129 ss.).
[84] Si noti che si tratta proprio di quella
autorevole voce che solo dieci anni prima aveva definito la famiglia come
«un’isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto»: v. Jemolo, La famiglia e il diritto, 1957, riportato in Aa. Vv., «Verso la terra dei figli», Milano, 1994, p. 69.
[85] Jemolo,
Convenzioni in vista di
annullamento di matrimonio, in Riv.
dir. civ., II, 1967, p. 530: «Farei (...) perno sull’art. 1322 c.c.,
soggiungendo che siamo in un caso in cui è palese l’interesse tipico del
regolamento di rapporti, se pure non si abbia una disposizione esplicita del
codice che preveda tale regolamento, essendo quasi impensabile che al termine
della convivenza non ci siano ragioni di dare ed avere, pretese reciproche: la
funzione economico-sociale del contratto è quindi evidente, anche se non siamo
di fronte ad un tipico negozio causale. Circa il quantum dell’obbligazione e l’addossarla all’uno od all’altro dei
coniugi, è materia in cui l’autonomia delle parti agisce in pieno, dandosi
insindacabilità del giudice nel valutare se ci sia stata o meno generosità di
chi si è obbligato, se avrebbe potuto dare una somma minore».
[86] Rescigno,
Contratto in generale, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988, p.
10; per analoghe considerazioni cfr. Russo,
Negozio giuridico e dichiarazioni
di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di separazione, di divorzio,
di nullità (a proposito del disegno di legge n. 1831/1987 per l’applicazione
dell’Accordo 18 febbraio 1984 tra l’Italia e la S. Sede nella parte concernente
il matrimonio), in Dir. fam. pers.,
1989, p. 1092; Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine
pubblico familiare nella separazione personale dei coniugi, nota a Cass.,
23 dicembre 1988, n. 7044, in Giur. it.,
1990, I, 1, c. 1326; L. Rubino, Gli accordi familiari, in I contratti in generale, diretto da G.
Alpa e M. Bessone, II, 2, in Giurisprudenza
sistematica civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, Torino, 1991, p.
1160 ss.; Busnelli e Giusti, Le sort des biens et la pension alimentaire dans le divorce sans faute,
in Rapports nationaux italiens au XIVe
Congrès International de Droit Comparé, Milano, 1994, p. 93 s.; G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 378 ss.,
406 ss.; Ead., Contratti tra coniugi in vista della
cessazione del ménage, Padova, 1999, p. 89 ss.; Doria, Autonomia
privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione
della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 56 ss., 63
ss.; Sala, La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e
nella separazione di fatto, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1996, p. 1106 ss. Per la dottrina contraria,
pervicacemente aggrappata all’idea (contraria tanto al testo quanto allo
spirito delle norme vigenti) di una sorta di immanenza del ruolo del giudice
nei rapporti patrimoniali tra coniugi in crisi, si fa rinvio agli autori citati
nell’analisi critica svolta in Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 103 ss., 129 ss., 411 ss.
Il dispiegamento dell’autonomia privata nel
campo matrimoniale si estende ormai ad abbracciare un campo che va dalla
celebrazione delle nozze sino allo scioglimento del vincolo. Sotto il primo
aspetto si rileva il rinnovato ruolo, dopo la riforma del diritto di famiglia,
dell’autonomia privata nel matrimonio, «come affermazione della dignità
dell’istituto che deve essere riconosciuto in tutta la sua importanza solo
quando l’atto costitutivo risponda alle caratteristiche di una cosciente
autonomia» (Trabucchi, Matrimonio (diritto civile), in Noviss. dig. it., Appendice, IV, Torino,
1983, p. 1189), rimarcandosi d’altro canto come lo stesso ampliamento del tema
delle azioni di impugnativa matrimoniale confermi il deciso riconoscimento
dell’idea del matrimonio come atto di autonomia privata: cfr. Bianca, Commento all’art. 117 c.c., in Commentario
alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi,
I, 1, Padova, 1977, p. 106; sul punto v. anche Pietrobon,
Note introduttive agli artt. 17 e
18 Nov., in Commentario alla riforma
del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, cit.,
p. 138, il quale osserva come si sia assistito «all’attribuzione di una
maggiore, o più chiara, valutazione del consenso (fatto individuale) rispetto
alla celebrazione (fatto sociale): basti ricordare la più ampia portata
attribuita all’errore, alla rilevanza del timore e alla simulazione» (nello
stesso ordine di idee v. anche Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione
nei rapporti familiari, cit., p. 217, cui si fa rinvio – cfr. 214 ss. –
anche per un puntiglioso catalogo dei dati normativi che depongono nel senso
dell’operatività dell’autonomia privata anche in àmbito familiare).
L’evoluzione della legislazione italiana trova
un corrispondente nello sviluppo di ordinamenti stranieri. Così, per esempio –
a parte le considerazioni svolte in altra sede sull’ammissibilità di contratti
prematrimoniali tesi a disciplinare, addirittura, le conseguenze di un
eventuale futuro divorzio (v. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of
divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi
coniugale, cit.) – potrà rilevarsi che anche nella vicina Francia si è
assistito, nel corso degli ultimi decenni, ad un processo che ha
progressivamente portato all’emergere del consenso e della negozialità nella
famiglia, nel corso di quella che è stata definita come una «révolution
tranquille, qui remet en cause la cohérence antérieure en matière de
gouvernement de la famille», passando attraverso le riforme della tutela
(1964), dei regimi matrimoniali (1965), dell’adozione (1966), degli incapaci
maggiorenni (1968), della potestà dei genitori (1970), della filiazione (1972)
e del divorzio (1975) (Théry, Le démariage. Justice et vie privée,
Paris, 1993, p. 69, che riprende sul punto una definizione di Gérard Cornu),
cui ben può aggiungersi, per i tempi più recenti (1999), la regolamentazione
della convivenza more uxorio e
l’introduzione del «patto civile di solidarietà», nonché (2005) un’ulteriore
riforma del divorzio, che ha semplificato notevolmente l’iter procedurale dello
scioglimento del vincolo nel caso di requête
conjointe. In tempi ulteriormente successivi, poi, la legge n° 2006-728 del
23 giugno 2006, in vigore dal 1° gennaio 2007, è venuta a sconvolgere il
bisecolare assetto «napoleonico» della materia delle successions e delle libéralités,
abrogando o modificando all’incirca duecento articoli del Code Civil. La conclusione è dunque che anche Oltralpe «l’irruption
de la volonté dans le droit de la famille est un fait peu discutable» (Hauser e Huet-Weiller,
La famille. Fondation et vie de la
famille, nel Traité de droit civil,
sous la direction de J. Ghestin, Paris, 1993, p. 30).
[87] Cass., 13 gennaio 1993, n.
[88] Per constatazioni analoghe a quelle di cui al
testo v. anche G. Ceccherini, Separazione
consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 378 s.; Longo, Trasferimenti immobiliari a
scopo di mantenimento del figlio nel verbale di separazione: causa,
qualificazione, problematiche, nota a App. Genova, 27 maggio 1997, in Dir.
fam., 1998, p. 576.
[89] Cass., 25 ottobre 1972, n.
[90] Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione
di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1975, p. 475 ss.
[91] Cfr. Cass., 5 luglio 1984, n.
[92] Cfr. Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e
divorzio, in Fam. e dir., 1995,
cit., p. 155 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 85 ss.
[93] Cfr. Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 236 ss.
[94] Su questo concetto cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, cit., p. 215 ss.
[95] Nello stesso senso cfr. anche Barbiera, Disciplina dei casi di
scioglimento del matrimonio, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca,
Bologna-Roma, 1971, p. 147 s.; A. Finocchiaro,
Sulla pretesa inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il
regime della separazione consensuale, in Giust. civ., 1985,
I, p. 1659 s.; Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in
assenza di omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali
vengono modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione
relative al mantenimento dei figli, cit., p. 505 s.; Metitieri, La funzione notarile nei
trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
in Riv. not., 1995, I, p. 1177; G.
Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi,
cit., p. 407; Figone, Sull’annullamento
del verbale di separazione consensuale per incapacità naturale, nota a App.
Milano, 18 febbraio
[96] Sul punto cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, cit., p. 215 ss.
[97] Cass., 15 marzo 1991, n.
[98] Cass., 12 maggio 1994, n.
[99] Cfr. Cass., 29 aprile 1983,
n.
[100] Cass., 14 luglio 2003, n. 10978.
[101] Cass., 8 novembre 2006, n. 23801, in Foro it., 2007, I, c. 1189.
[102] Cfr. Cass., 6 febbraio 2009, n. 2997. Nella
specie la Corte ha rilevato che lo scopo dell’accordo era quello di regolare i
rapporti economici più importanti della coppia, prima di rivolgersi al giudice
della separazione, eliminando così le controversie su questioni non
strettamente attinenti alla fine dell’unione, ivi compresa la definizione dei
rapporti economici con i figli maggiorenni. La Corte, in breve, ha escluso che
la separazione consensuale costituisse condizione esplicita o implicita della
scrittura privata (il tema sarà approfondito infra, § 13.1).
[103] Cfr. Cass., 1° ottobre 2012, n. 16664, sull’utilizzo dei criteri ex artt. 1362 ss. c.c. per l’interpretazione di una clausola dell’accordo di separazione consensuale. Nella specie, la S.C. ha affermato che debbono ritenersi spese prevedibili e ordinarie, e, quindi, comprese nell’assegno di mantenimento la spesa per l’acquisto libri scolastici e di farmaci «da banco», nonché la spesa per l’acquisto di occhiali (non riconducibile neppure a spesa medica, a fronte della mancata produzione della correlata certificazione specialistica, la sola in grado di rivelarne la natura medica e straordinaria). Per spese straordinarie devono intendersi tutte le spese non ragionevolmente prevedibili e preventivabili. Nel caso di specie il Tribunale di Massa aveva revocato il decreto ingiuntivo con quale era stato ordinato al marito di rimborsare alla moglie separata la somma di € 397,05 quale quota pari al 50% delle spese straordinarie da questa sostenute per la figlia. La domanda di rimborso fatta dalla moglie si basava sulla clausola della separazione consensuale omologata secondo la quale «il padre dovrà contribuire alle spese straordinarie, scolastiche e mediche per la figlia, previa comunicazione da parte della madre, nella misura del 50%». La signora aveva interpretato tale clausola nel senso che il rimborso comprendesse tutte le spese straordinarie, oltre quelle mediche e scolastiche. Di avviso contrario invece, era stato il giudice di merito, il quale aveva qualificato «spese straordinarie» solo quelle di natura medica e scolastica, non includendo anche i vari esborsi che erano di esiguo importo e che non erano dettati da eventi eccezionali, ma che rientravano nell’ordinaria vita della figlia. La Suprema Corte ha confermato la decisione di merito, ritenendo che per spese straordinarie debbano intendersi tutte quelle spese che non rientrano nelle ordinarie esigenze di vita della prole e che non possono considerarsi di importo esiguo in relazione al tenore di vita della famiglia e alle capacità economiche dei genitori. Facendo applicazione dei citati criteri ermeneutici, la Cassazione ha così ritenuto che «l’interpretazione della clausola offerta dal giudice a quo si rivela immune da vizi giuridici o logici e sorretta da motivazione adeguata e coerente con il suo tenore, sicché resiste alla censure mossele dalla ricorrente, la quale inammissibilmente contrappone proprie alternative interpretazioni della medesima clausola, peraltro non altrettanto plausibili. Anche alla luce dell’attuata ed ineccepibile ripartizione in ordinarie e straordinarie delle spese di mantenimento in questione, la conclusione del giudice di merito circa la limitazione dell’apporto paterno al 50% delle sole spese straordinarie d’indole medica e scolastica di pertinenza della figlia, appare, infatti, piana, scevra da forzature, aderente al testo della clausola, non solo privo di aggettivazioni totalizzanti che giustifichino la prospettata estensione dell’obbligo di contribuzione pro quota assunto dal … , a qualsiasi tipologia di spese straordinarie, in aggiunta alle spese ordinarie e straordinarie di natura scolastica e medica, ma anche inidoneo a consentire l’interpretazione, invocata in via alternativa e subordinata dalla medesima …, dell’estensione del medesimo obbligo a tutte le spese mediche e scolastiche, da intendersi, peraltro apoditticamente ed illogicamente, ricondotte dalle stesse parti all’ambito di quelle straordinarie, pure se prive di tale connotato. L’interpretazione doppiamente limitativa seguita dal tribunale si rivela, invece, del tutto plausibile in rapporto alla prevista progressiva integrazione del genere (spese straordinarie) con la specie (spese mediche e scolastiche), confortata dall’apposta punteggiatura e non superflua ma finalizzata a delimitare l’ambito delle spese straordinarie ripartibili, con espunzione delle possibili altre di analogo ambito. L’esposta conclusione assorbe l’esame delle residue censure involte dai medesimi tre motivi di ricorso. Anche il terzo ed il quinto motivo di ricorso devono essere disattesi».
[104] V. supra,
§§ 3-5.
[105] Cass., 4 settembre 2004, n.
[106] Così Cass., 23 luglio 1987, n.
[107] Sui timori di un ritorno «dal contratto allo status» v. anche Oberto, Contratto e
famiglia, cit., p. 265 ss.
[108] Cfr. Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 236
ss.
[109] Cfr. Cass., 20 agosto 2014, n. 18066, in Fam. e dir., 2015, p. 357, con nota di Filauro.
[110] Cfr. Doria,
Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i
coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit.; cfr.
anche Palmeri, Il contenuto atipico dei negozi familiari,
Milano, 2001, passim, p. 30 ss.
[111] Cfr. Angeloni,
Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, cit.
[112] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I e II, Milano, 1999; T. Auletta, Gli accordi sulla crisi
coniugale, in Familia, 2003, p.
43 ss.
[113] Cfr. Comporti,
Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione, di
divorzio e di annullamento del matrimonio, in Foro it., 1995, I, c.
105 ss. (sul tema v. anche gli Autori citati in Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 251
ss.).
[114] Cfr. V. Carbone,
Autonomia privata e rapporti patrimoniali tra coniugi (in crisi),
nota a Cass., 22 gennaio 1994, n.
[115] Cfr. Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e
divorzio, cit., p. 155 ss.; Id.,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit.; Id.,
Gli accordi patrimoniali tra coniugi in
sede di separazione o divorzio tra contratto e giurisdizione: il caso delle
intese traslative, disponibile al seguente indirizzo web: https://www.giacomooberto.com/trasferimenti/taormina2009/relazione_oberto_taormina.htm;
v. inoltre T.V. Russo, I
trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio,
Napoli, 2001.
[116] Cfr. Sala,
La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e
nella separazione di fatto, cit.
[117] Cfr. G.
Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit.
[118] Ovviamente le indicazioni testé effettuate
hanno carattere assolutamente parziale e vanno integrate con i rinvii contenuti
nella monografia più volte citata dello scrivente su I contratti della crisi
coniugale, nonché, per i lavori successivi, con le citazioni relative agli
specifici aspetti trattati nei vari capitoli in cui si articola il presente
lavoro. In questa sede potranno segnalarsi, a livello bibliografico, in vario
senso, sul tema specifico dell’autonomia dei coniugi nella fase della crisi
coniugale, i seguenti contributi (oltre a quelli già citati): per il periodo
anteriore alla riforma del 1975 L. Ferri,
L’autonomia privata, Milano, 1959, p. 285 ss.; Barcellona, Famiglia (dir. civ.),
in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p.
782 ss.; Donisi, Il problema
dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, p. 189 ss.; Liserre,
Autonomia negoziale e obbligazione di mantenimento del coniuge
separato, cit., p. 474 ss.; per il periodo successivo alla riforma cfr. D’Anna, Note in tema di autonomia
negoziale e poteri del giudice in materia di separazione dei coniugi, nota
a Cass., 5 gennaio 1984, n. 14, in Riv.
notar., 1984, II,p. 593 ss.; Paradiso,
La comunità familiare, Milano, 1984, p. 182 ss.; A. Finocchiaro, Sulla pretesa
inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime della
separazione consensuale, in
Giust. civ., 1985, I, p. 1659 ss.; Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p. 487
ss.; Pollice, Autonomia dei
coniugi e controllo giudiziale nella separazione consensuale: il problema degli
accordi di contenuto patrimoniale non omologati, in Dir. giur.,
1988, p. 107 ss.; Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in
assenza di omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali
vengono modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione
relative al mantenimento dei figli, in Aa.
Vv., Questioni di diritto patrimoniale
della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi,
Padova, 1989, p. 505 s., 509 s.; Anelli,
Sull’esplicazione dell’autonomia privata
nel diritto matrimoniale (in margine al dibattito sulla mediazione dei
conflitti coniugali), in Aa. Vv.,
Studi in onore di Rescigno, II,
Milano, 1998, p. 19 ss.; Balestra,
Autonomia negoziale e crisi coniugale:
gli accordi in vista della separazione, in Riv. dir. civ., 2005, II, p. 277 ss.
[118] Trabucchi,
voce Matrimonio (diritto civile), in Noviss.
dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, p. 510 ss.; Marti, Accordi non omologati tra coniugi separati, in
Nuova giur. civ. comm., 1989, II, p. 71; Zoppini,
Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare nella
separazione personale dei coniugi, cit., p. 1319 ss.; L. Giorgianni, Sui patti aggiunti alla
separazione consensuale e sulla famiglia di fatto, nota a Trib. Genova, 2
giugno 1990, in Giur. mer., 1992, p. 60 ss.; Morelli, Autonomia negoziale e limiti legali nel regime
patrimoniale della famiglia, in Fam. e dir., 1994, p. 104 ss.; Id., Il nuovo regime patrimoniale
della famiglia, cit., p. 12 ss.; M. Dogliotti,
Separazione e divorzio, cit., p. 9 ss.; Scardulla, La separazione personale
tra i coniugi e il divorzio, Milano, 1996, p. 363 ss.; Briganti, Crisi della famiglia e
attribuzioni patrimoniali, in Riv. not., 1997, I, p. 1 ss. (anche in
Famiglia e circolazione giuridica, a cura di Fuccillo, cit., p. 33 ss.);
Donisi, Limiti all’autoregolamentazione
degli interessi nel diritto di famiglia, cit., p. 5 ss.; Federico, Accordi di divorzio nel
procedimento a domanda congiunta, in Famiglia e circolazione giuridica,
cit., p. 91 ss.; Quadri, Famiglia
e ordinamento civile, Torino, 1997, p. 83 ss.; Id., Autonomia negoziale e regolamento tipico nei
rapporti patrimoniali tra coniugi, in Giur.
it., 1997, IV, c. 229 ss.
[119] Cfr. Roppo,
Per una riforma del divieto dei patti successori, in Riv. dir.
priv., 1997, p. 5 ss.; per un interessante studio in quest’ottica, nonché
per gli ulteriori richiami, si fa rinvio a Caccavale
e Tassinari, Il divieto
dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma, in Riv.
dir. priv., 1997, p. 74; sul tema v. inoltre Ieva, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione
successoria: patto di famiglia e patto d’impresa. Profili generali di revisione
del divieto dei patti successori, in Riv. not., 1997, p. 1371 ss.; Dogliotti, Rapporti patrimoniali tra
coniugi e patti successori, in Fam. e dir., 1998, p. 293 ss. Giudica
«inevitabile alla luce del quadro europeo» l’abolizione del divieto dei patti
successori anche Patti, Regime
patrimoniale della famiglia e autonomia privata, in Familia, 2002, p. 312.
[120] E’ il caso, per
esempio, di Trib. Roma, 14 dicembre 1998, in Fam. e dir., 2000, p. 60, con nota di Sala, secondo cui «E’ inammissibile la domanda di revoca del
decreto di omologazione della separazione consensuale, avanzata da un coniuge
sulla base dell’asserita simulazione dell’accordo di separazione omologato,
giacché le norme in tema di simulazione dei contratti non sono applicabili ai
negozi giuridici familiari, caratterizzati dalla rilevanza di diritti
indisponibili e dal controllo dell’autorità giudiziaria»; nello stesso la
precedente Trib. Roma, 11 aprile 1996, in Arch.
civ., 1997, p. 410, secondo cui «Nel procedimento di separazione
consensuale dei coniugi, in considerazione delle peculiarità del procedimento
stesso e del concorso dell’accordo-convenzione dei coniugi con elementi propri
del diritto pubblico, deve ritenersi inapplicabile in via analogica l’art. 1414
cod. civ. e inammissibile l’azione di nullità per simulazione».
[121] Per la critica cfr. le
considerazioni svolte supra, nei §§
precedenti; per le critiche più specifiche alla decisione di merito citata alla
nota precedente cfr. altresì le osservazioni di Sala,
Simulazione dell’accordo di
separazione consensuale?, cit., p. 63 s.
[122] Trib. Napoli, 16 ottobre 1996, in Fam. e dir., 1997, p. 355, con nota di Torsello Fabbri. La decisione è stata
confermata da App. Napoli, 27 ottobre 1998, in Gius, 1999, p. 775.
[123] Cfr. App. Milano, 18 febbraio 1997, cit. Si
noti che, nel caso di specie, la domanda d’annullamento è stata ritenuta
inammissibile in quanto limitata ad una clausola dell’accordo medesimo, la cui
natura si è dichiarata inscindibile.
[124] Cfr. App.
Milano, 22 febbraio 1983, cit., in materia di azione di annullamento per dolo,
secondo cui «Non è ammissibile la domanda diretta ad accertare l’invalidità del
consenso, alla separazione consensuale dei coniugi, per simulazione, qualora la
simulazione venga dedotta in via alternativa al dolo che si assume essere stato
posto in essere dall’altro coniuge, e la cui incidenza sulla manifestata
volontà di separarsi non può peraltro ipotizzarsi stante la presenza e
l’intervento, all’udienza ex art. 711
cod. proc. civ., del presidente del tribunale. allorché sia stata pronunciata
la separazione personale, temporanea o definitiva, a seguito di accertata
intollerabilità della convivenza, non è ammissibile dichiararla successivamente
con addebito, valutando sotto altri profili il pregresso comportamento dei
coniugi». Si noti che in motivazione si afferma addirittura che, per
riconoscere l’invalidità dell’intesa «il dolo avrebbe dovuto (…) coinvolgere
anche il giudice, vuoi come attore, vuoi come destinatario dell’azione
fraudolenta». V. inoltre Trib. Genova, 9 febbraio 1981, C.E.D. – Corte di cassazione, Arch. MERITO, pd. 820210 (edita come
Trib. Genova, 13 febbraio 1981, in Dir.
fam. pers., 1981, p. 798), in materia di azione di annullamento per errore
di diritto. Contra, per l’astratta
ammissibilità di un’azione diretta alla pronunzia di annullamento della
separazione consensuale, v. Trib. Roma, 27 gennaio 1986, in C.E.D. – Corte di cassazione, Arch.
MERITO, pd. 860386: «Vicenda: dopo che era stata omologata la separazione
consensuale, il marito conveniva in giudizio la moglie per veder mutato il
titolo della separazione in ‘con addebito’ nei confronti della moglie a causa
del suo comportamento contrario [ai doveri] derivanti dal matrimonio. Il
tribunale ha dichiarato improponibile la domanda. Ragioni della decisione:
anche se nella fattispecie veniva dichiarato il dolo della moglie che aveva
tenuto nascosto sia una relazione extra coniugale che l’intenzione di
trasferirsi con i propri figli nella casa dell’amante, è necessario, se è
esistito un vizio del consenso, rimuovere prima la separazione consensuale
attraverso una sentenza passata in giudicato. Inoltre necessiterebbe non solo
dimostrare l’esistenza dei raggiri, ma anche che senza di essi il marito non
sarebbe addivenuto alla separazione».
[125] Pret. Siracusa, 23 febbraio 1988, in Giur. merito, 1989, p. 564; Pret.
Milano, 30 dicembre 1988, in Foro it.,
1989, I, c. 2048; Archivio locaz. cond.,
1989, p. 120; sul tema cfr. inoltre Oberto,
I contratti della crisi coniugale,
II, cit., p. 935 ss.
[126] «L’assegnazione in sede di
separazione personale ancorché consensuale della casa di abitazione ad uno dei
coniugi integra, a favore dell’altro, lo stato di urgente ed improrogabile
necessità che, ai sensi dell’art. 4 n. 1 della legge n. 253 del 1950, lo
legittima a far cessare la proroga legale del contratto di locazione relativo
ad un proprio alloggio, senza che assuma rilievo – salva la facoltà della controparte
di provare la simulazione della procedura di separazione – la circostanza che
detto coniuge non abbia abbandonato il domicilio coniugale, comportando la
convivenza sotto lo stesso tetto con il coniuge separato un maggior bisogno di
ottenere la disponibilità dell’appartamento locato a terzi» (Cass., 18 dicembre
1986, n. 7681; contra Trib. Milano,
17 dicembre 1998 e Trib. Roma, 14 dicembre 1998, in Gius, 1999, p. 1087).
[127] Cass., 20 marzo 1976, n. 1008; nello stesso
senso cfr. anche F. Finocchiaro, Del matrimonio, II, in Commentario del codice civile
Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1993, p. 465; per
un’analoga interpretazione del rationale
della citata pronunzia di legittimità cfr. Ronco,
nota a App. (erroneamente indicata come Trib.) Bologna, 7 maggio 2000, in Giur. it., 2001, p. 66 (si noti che la
decisione reca invece la data 17 maggio 2000 in Foro it., 2000, I, c. 3616); per una panoramica sulle discordanti
opinioni esistenti nella dottrina e nella giurisprudenza francesi in tema di
impugnabilità per vizi del consenso della convenzione omologata di divorzio sur demande conjointe cfr. H. Mazeaud, L. Mazeaud, J. Mazeaud
e Chabas, Leçons de droit civil, I, 3, La
famille, Paris, 1995, p. 675 s.
[128] Per informazioni su questo concetto cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 38 s.
[129] Per una disamina critica della giurisprudenza
relativa a quei settori in cui invece la Cassazione mostra ancora ermetiche
chiusure verso il pieno dispiegarsi della libertà contrattuale inter coniuges (e, segnatamente, quelli
della disponibilità del contributo per il mantenimento del separato e
dell’assegno per il divorziato, nonché delle intese concluse «in vista» della
separazione e/o del divorzio) cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 388 ss., 493 ss.
[130] Cfr. Cicu, Il diritto di
famiglia. Teoria generale, Roma, 1914, p. 240: «Ciò è più evidente nella
separazione consensuale. Invero per l’adozione si può dubitare che quelle
stesse esigenze che operano imperiosamente nel matrimonio, possano anche
giustificare si tenga fermo il rapporto costituito, perché sia salvo
l’interesse che per la famiglia e lo Stato rappresenta l’obbligo alimentare
costituito, ed in genere il vantaggio che all’adottato derivi dall’adozione.
Per la separazione consensuale invece non v’è alcun interesse famigliare‑statuale
che esiga essa sia tenuta ferma: colla prova dell’accordo preesistente si
potrà sempre impugnare la pronunzia intervenuta, impugnativa che può anche
ritenersi non necessaria, dato che non è necessaria una nuova pronunzia per
eliminare gli effetti della separazione in caso di riconciliazione: si potrà
cioè dimostrare che una separazione non vi è mai stata, salvo vedere se nei
rapporti coi terzi non sia necessario risulti un ripristinamento dei rapporti
coniugali».
[131] Propugnata, come noto, dallo stesso Cicu agli
inizi del secolo; su tale concezione v., anche per gli ulteriori rinvii, Sesta, Il diritto di famiglia tra le due guerre e la dottrina di Antonio Cicu,
in Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Lettura di Michele Sesta, Momenti del pensiero giuridico moderno.
Testi scelti a cura di Pietro Rescigno. Redattore Enrico Marmocchi, Sala
Bolognese, 1978, p. 1 ss., 47 ss.; Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 103 ss.
[132] Cfr. per esempio Butera, op. cit.,
p. 185: «Il processo verbale di separazione consensuale tra coniugi, menzionato
negli art. 15 Cod. civile e 811 c.p.c., non esce fuori dai termini di un puro
rapporto contrattuale e però come è impugnabile con l’azione pauliana, è,
altresì, annullabile con l’azione di simulazione, per quanto ciò, forse, sia
poco pratico. L’omologazione del tribunale non è un elemento costitutivo della
separazione personale, ma una semplice condizione di eseguibilità. Se l’omologazione
del tribunale avesse carattere costitutivo del rapporto, la sua vis attractiva, come dichiarazione, di
volontà pubblica, verrebbe a sovrapporsi alla dichiarazione di volontà privata
e in tal caso ognun vede che non potrebbe discorrersi di azione d’impugnativa
per simulazione».
[133] Cfr. per esempio Azzolina, La separazione personale dei coniugi, Torino, 1951, p. 195: «La
natura convenzionale del negozio di separazione fa sì che a quest’ultimo
riescano applicabili talune norme particolari alla disciplina dei negozi
giuridici di diritto privato, specialmente per quanto riguarda la
manifestazione della volontà. Così, ad es., esattamente secondo noi, è stato
ritenuto (App. Trani, 23 giugno 1899, in Giur.
it., 1899, I, 2, c. 627) che ‘si può ritenere simulato e fatto in frode a
dei creditori anche un istrumento di separazione personale per mutuo consenso’.
Nessun principio, infatti, osta all’impugnazione da parte dei terzi di un atto
che, in quanto volontario, può certamente essere oggetto di simulazione. Così
ancora, è stato ritenuto che la convenzione di separazione non sia sottratta
all’impugnazione per vizio di consenso (App. Milano, 8 novembre 1940, in Riv. dir. matrim., 1940, p. 390). Ed
anche in tale principio si può consentire, pur avvertendo che date le formalità
e le cautele imposte dalla legge per la conclusione del negozio (la quale
avviene con la cooperazione de presidente del tribunale), la prova del vizio
sarà di necessità ardua, e dovrà esser fornita in modo particolarmente
rigoroso».
[134] Il riferimento è a Zatti, I diritti e i
doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato, diretto da
P. Rescigno, III, Torino, 1982, p.
125, 126, da cui l’estensore di Cass., 4 febbraio 1993, n. 2270 e Cass., 22
gennaio 1994, n. 657, citt., ha tratto la frase testé riportata; v. inoltre,
per un impiego del termine «negozialità» nel senso qui indicato, Zatti e Mantovani,
La separazione personale dei
coniugi (artt. 150-158 c.c.), Padova,
1983, p. 382; Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p.
491; Alpa e Ferrando, op. cit., p. 506; Mantovani, Separazione personale dei coniugi. I) Disciplina sostanziale, in Enc.
giur. Treccani, Roma, 1992, p. 28; Zatti,
I diritti e i doveri che nascono
dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto
privato, diretto da P. Rescigno,
III, Torino, 1996, p. 135, 137, 138, nota 12.
Per l’impugnabilità per
simulazione e vizi del consenso dell’accordo di separazione consensuale e dei
negozi ad esso collegati, nonché per ulteriori riflessioni e richiami
sull’argomento cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 234 ss.; Id., La natura dell’accordo di separazione
consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (I), cit., p. 601 ss.; Id.,
La natura dell’accordo di
separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (II), cit., p. 86 ss.; successivamente
cfr. anche Sala, Simulazione dell’accordo di separazione
consensuale?, cit., p. 61 ss. Per una panoramica della dottrina e della
giurisprudenza francesi, tendenzialmente contrarie ad ammettere l’impugnativa
per vizi del consenso, la revocatoria, o la rescision
pour lésion, della convention
définitive nell’ambito del divorce
sur requête conjointe, sulla base della teoria che attribuisce
all’intervento giurisdizionale funzione costitutiva, cfr. Bénabent, Droit civil. La famille, Paris, 1994, p. 248. Per una serie di
dettagliate informazioni sui rimedi negoziali (fraud, duress, indue influence, unconscionability, mistake)
nell’esperienza statunitense dei separation
e degli antenuptial agreements cfr. Lindey e Parley,
Lindey on Separation Agreements
and Antenuptial Contracts, New York-Oakland, 1994, I, § 6.01, II, § 25.09,
III, § 90.06; v. inoltre Giaimo, I contratti
paramatrimoniali in Common Law, Palermo, 1997, p. 62 ss.; per la dottrina
più risalente cfr. Pollock, Principles of Contract at Law and in Equity,
New York, 1906, p. 414, 678. Per il sistema inglese cfr. Cretney e Masson, Principles of
Family Law, London, 1997, p. 97, i quali peraltro rilevano che «in
practice, the existence of the statutory power to vary maintenance agrements,
coupled with the statutory rule that an agreement ousting the jurisdiction of
the court is void (…) mean that it is rarely necessary to invoke these
contractual doctrines in order to obtain a review of a private agreement».
[135] Cfr. Oberto, La natura
dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso
applicabili (II), cit., p. 88 ss.
[136] Per analoghe considerazioni cfr. Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione consensuale per incapacità
naturale, cit., p. 442; per l’impugnabilità del negozio di separazione in
caso di vizi del consenso cfr. anche Doria,
«Negozio» di separazione consensuale dei
coniugi e revocabilità del consenso, nota a Trib. Napoli, 13 marzo 1989, in
Dir. fam. pers., 1990, p. 513; Delconte, Il rapporto tra omologazione del giudice e consenso dei coniugi nella
separazione consensuale, in Arch.
civ., 1992, p. 642; Mora, La separazione consensuale, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto
da G. Bonilini e G. Cattaneo, I, Famiglia
e matrimonio, Torino, 1997, p. 531.
[137] Di analogo avviso è Dogliotti, op.
cit., p. 13 s.
[138] Ciò significa che, con
particolare riguardo all’ipotesi dell’annullabilità per incapacità naturale, la
norma cui andrà fatto riferimento è data dal capoverso dell’art. 428 c.c. (in
questo senso v. anche Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione
consensuale per incapacità naturale, cit., p. 443), secondo cui
«L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il
pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere
o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede
dell’altro contraente».
[139] Cfr. Cass., 18 dicembre
1986, n. 7681, cit.
[140] Cfr. le pronunzie citate da Azzolina, La separazione personale dei coniugi, cit., p. 195.
[141] Trib. Genova, 9 marzo 1983, in Arch. locaz. e cond., 1983, p. 104:
«L’assegnazione della casa coniugale alla moglie, anche in sede di separazione
consensuale, legittima il marito ad agire in recesso per ottenere la
disponibilità di un proprio appartamento locato, essendo onere del conduttore
provare semmai in modo adeguato la simulazione della separazione». In
motivazione si legge che «non può escludersi in via teorica l’ipotesi di una
separazione simulata al fine di eludere le disposizioni vincolistiche delle
locazioni poste a tutela dei conduttori», essendo però pur sempre onere della
parte conduttrice «dimostrare (…) la mancanza di genuinità delle dette
pattuizioni».
[142] Cfr. App.
Bologna, 17 maggio 2000, in Foro it.,
2000, I, c. 3616, con nota di Casaburi; in
Giur. it., 2001, p. 66 (la pronunzia
risulta ivi indicata come Trib. Bologna, 7 maggio 2000).
[143] Cfr. per tutti Oberto, I contratti
della crisi coniugale, II, cit., p. 1340 ss.; Id., Prestazioni «una
tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 232 ss.
[144] Cfr. supra,
§ 1, in fine.
[145] Sul tema, anche per gli ulteriori rinvii, si
fa richiamo a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., in particolare p. 214
ss.
[146] Trib. Milano, 29 gennaio
1996, in Fallimento, 1996, p. 781,
con nota di Figone.
[147] Trib. Bologna, 6 febbraio
1995, in Gius, 1995, p. 3881.
[148] Trib. Casale Monferrato, 14
dicembre 1998, in Gius, 1999, p. 7.
[149] Trib. Roma, 5 marzo 1999, in
Nuovo dir., 1999, p. 827.
[150] Trib. Torino, 18 agosto 1999, in Giust. civ., 2000, I, p. 2762.
[151] In questo senso, con
riguardo alle attribuzioni in sede di separazione consensuale, v. anche Trib.
Milano, 29 gennaio 1996, cit.; Figone, Separazione consensuale, trasferimento di
beni ed azione revocatoria, nota a Trib. Milano, 29 gennaio 1996, in Fallimento, 1996, p. 784; quanto mai
chiara in questo senso è Trib. Torino, 18 agosto 1999, cit.: «Occorre
considerare che il provvedimento di omologa si limita a giudicare sulla
astratta idoneità di quanto deciso dai coniugi a rispondere al modello di
separazione previsto dall’ordinamento, ed a decidere sulla sua carenza di
potenziale lesività di norme imperative o di ordine pubblico. Il giudizio
intrinseco sulla omologazione non è un giudizio di valore sulla non lesività
comunque e per tutti i soggetti direttamente od indirettamente coinvolti
nell’evento che determina la cessazione, legalmente sanzionata, dell’obbligo di
convivere tra coniugi».
[152] Cfr. per tutti De Ruggiero e Maroi, Istituzioni di diritto civile, II,
Milano-Messina, 1965, p. 561; Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato
italiano, II, Torino, 1955, p. 106.
[153] Soggiungendo che
«quand’anche ciò non bastasse è sufficiente pensare che fra la richiesta di
pagamento inviatagli dal creditore in data 21 ottobre 1992, e il deposito, da
parte sua, del ricorso per separazione, in data 27 ottobre 1992, trascorsero
solo 6 giorni, di tal che più che di consapevolezza, ben può parlarsi, nel caso
di specie, di dolosa preordinazione»: cfr. Trib. Casale Monferrato, 14 dicembre
1998, cit. Peraltro il riferimento alla «dolosa preordinazione» non appare qui
corretto, dal momento che tale elemento si riferisce, ex art. 2901, n. 1 e 2, c.c. al caso in cui l’atto dispositivo
preceda la nascita del credito.
[154] Trib. Bologna, 6 febbraio
1995, cit.
[155] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 634 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 91 ss.
[156] Per la negazione (non
motivata) del carattere oneroso di un trasferimento immobiliare in sede di separazione
cfr. invece Trib. Casale Monferrato, 14 dicembre 1998, cit.
[157] Cass., 8 novembre 1985, n. 5451.
[158] Ancorché a livello di mero obiter, avendo lo stesso giudice escluso
la natura onerosa dell’atto.
[159] Trib. Casale Monferrato, 14
dicembre 1998, cit.
[160] Trib. Milano, 29 gennaio
1996, cit.
[161] Per un accenno alla
questione trattata nel testo cfr. anche Figone,
Separazione consensuale,
trasferimento di beni ed azione revocatoria, cit., p. 784.
[162] La questione che rimane
ancora da affrontare – relativamente al tema specifico della revocabilità ex artt. 2901 ss. c.c. delle intese in
discorso – concerne la possibile obiezione circa la natura di atto di
adempimento (dell’obbligo di contribuzione al mantenimento o di corresponsione
dell’assegno di divorzio) proprio del negozio traslativo. Per una trattazione
di essa si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, p. 217 ss., cui si rinvia
anche per la disamina dei profili attinenti alla revocatoria fallimentare delle
attribuzioni in discorso.
[163] Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5741, in Arch. civ., 2004, p. 1026.
[164] Cfr. Cass., 14 marzo 2006, n. 5473.
[165] Cfr. Cass., 26 luglio 2005, n. 15603.
[166] Cfr. Cass., 12 aprile 2006, n. 8516.
[167] Cfr. Cass., 13 maggio 2008, n. 11914. Da
notare che in questa pronunzia viene riproposto il parallelismo tra la sequenza
« verbale di separazione – rogito notarile » e quella « contratto preliminare –
contratto definitivo », che, per le ragioni in altra sede esposte (cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1364 ss.) non può
essere accolta; ma la conclusione non dispiega influenza sulla correttezza
della soluzione proposta dalla Corte di cassazione in merito al tema della
revocatoria.
[168] Cass., 22 gennaio 2015, n. 1144.
[169] Cass., 24 giugno 2015, n. 13087.
[170] Cass., 12 marzo 2008, n. 6739, in Riv. dir. civ., 2009, II, p. 201, con nota di L. Bozzi: « In tema di revocatoria fallimentare di atti a titolo gratuito, ai sensi dell’art. 64 legge fall., la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa, e non già ai motivi dello stesso, dovendosi escludere che nella nozione rientrino solo quelli posti in essere per spirito di liberalità, essendo tale requisito richiesto per la donazione ex art. 769 cod. civ., mentre non è indispensabile negli altri contratti a titolo gratuito, cioè quelli in cui una sola parte riceve e l’altra sopporta un sacrificio, unica essendo l’attribuzione patrimoniale. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto incensurabile la sentenza di merito che, accogliendo la domanda di revoca, aveva qualificato come gratuito il pagamento, da parte di quattro società poi fallite, di debiti assunti dai suoi soci verso l’accipiens) ».
[171] Per una critica al riguardo cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 659 ss.
[172] Sul punto, che non è possibile approfondire
nella presente sede, si fa rinvio a Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 657 ss.
[173] In questo senso, con riguardo alle
attribuzioni in sede di separazione consensuale, v. anche Trib. Milano, 29
gennaio 1996, in Fallimento, 1996, p.
781, con nota di Figone. In
dottrina cfr. Figone, Separazione consensuale, trasferimento di
beni ed azione revocatoria, nota a Trib. Milano, 29 gennaio 1996, in Fallimento, 1996, p. 784.
[174] Cfr. per tutti De Ruggiero e Maroi, Istituzioni di diritto civile, II, Milano-Messina, 1965, p. 561; Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino,
1955, p. 106.
[175] Cfr. Oberto,
Prestazioni « una tantum » e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 96 ss., 214 ss. Aderisce all’impostazione
dello scrivente Ferrari, op. cit., p. 346 s., il quale, sulle
orme di chi scrive, rileva che le attribuzioni in discorso tendono a regolare
non solo il mantenimento, bensì una serie di situazioni patrimoniali e
personali derivanti dalla crisi familiare, che si fondono in una causa autonoma
sicuramente onerosa, soggiungendo che è la definizione della crisi familiare
che porta in sé l’onerosità in quanto rappresenta al tempo stesso un sacrificio
ed un vantaggio per entrambi i coniugi; la crisi coniugale è infatti il momento
in cui chiedono riconoscimento i contributi dati alla conduzione domestica, all’esercizio
dell’impresa, della professione, il sostegno offerto nelle relazioni sociali,
le rinunzie effettuate nell’interesse comune; è in questo momento che si vuole
ottenere la restituzione dei beni o di altre risorse economiche erogate a
vantaggio dell’altro, o il risarcimento dei danni subiti nel corso della vita
comune.
[176] Cass., 8 novembre 1985, n. 5451. Nella
giurisprudenza di merito, il tribunale di Casale Monferrato ha ritenuto, per
esempio, di poter ravvisare tale elemento in capo alla moglie, destinataria del
trasferimento, atteso che la lettera di richiesta del pagamento era stata
ricevuta dal marito presso il domicilio coniugale (ove i coniugi ancora
convivevano) e pertanto «la moglie non poteva ignorare l’esistenza del debito
del marito, così come non poteva ignorare la consistenza del patrimonio dello
stesso» (Trib. Casale Monferrato, 14 dicembre 1998, in Gius, 1999, p. 7), mentre il tribunale ambrosiano, dopo aver
accertato, a seguito di un’ampia istruttoria sul punto, che la convivenza tra i
coniugi era cessata alcuni anni prima della separazione consensuale, che questi
non si erano più frequentati e che la moglie si era trasferita da tempo in
località « abbastanza lontana da quella in cui il marito viveva ed operava
economicamente », ha ritenuto insufficiente la prova fornita dal creditore,
concludendo nel senso che «Niente (…) poteva indurre, una persona che da tempo
non aveva rapporti di confidenza e convivenza con il debitore a comprendere che
l’attribuzione delle porzioni degli immobili, di cui già deteneva la metà in
forza della comunione dei beni, avrebbe privato di garanzia dei creditori che
in quel momento erano già insoddisfatti» (Tribunale Milano, 29 gennaio 1996,
cit.). Del tutto irrilevante ai fini in discorso appare invece quanto stabilito
da Cass., 17 maggio 2010, n. 12045, secondo cui «In tema di azione revocatoria
ordinaria, una volta che in sede di separazione personale sia stato attribuito
ad uno dei coniugi, tenendo conto dell’interesse dei figli, il diritto
personale di godimento sulla casa familiare, la successiva costituzione per
donazione, in favore dello stesso coniuge affidatario, del diritto di usufrutto
vita natural durante sul medesimo immobile, compiuta dall’altro coniuge,
costituisce atto avente funzione dispositiva e contenuto patrimoniale, soggetto
ad azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c.». Nella specie, infatti,
come osservato dalla decisione citata, «la costituzione dell’usufrutto non ha
il connotato della doverosità proprio dell’adempimento (ed. atto dovuto o atto
giuridico in senso stretto) – che giustificherebbe l’esclusione della
revocatoria, ai sensi del terzo comma dell’articolo citato – ma si fonda sulla
libera determinazione del coniuge debitore, il quale, attraverso la concessione
di siffatto diritto reale, per la durata della vita del beneficiario, su un
bene di sua proprietà in precedenza gravato da un diritto personale di
godimento in favore del medesimo cessionario, da luogo alla modifica del suo
patrimonio, con rischio di riduzione della garanzia generale spettante ai
creditori».
[177] Cfr. Oberto, La revocatoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929-bis c.c. Dalla pauliana alla « renziana »?, locc. ultt. citt.
[178] De
Paola, Il diritto patrimoniale
della famiglia coniugale, I, Milano, 1991, p. 242. L’autore richiama in
nota, quale precedente, Cass., 25 settembre 1978, n. 4277, in Foro it. 1979, I, c. 718; in Giust. civ., 1979, I, p. 83, che ha
negato l’applicabilità agli accordi di separazione dei principi del contratto a
favore di terzo. Peraltro tale infelice arresto (per una critica del quale cfr.
Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 199 ss., 210 ss.) è
stato ampiamente superato dalla successiva giurisprudenza di legittimità (cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 210 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 77, 153 ss.).
[179] App. Bologna, 17 maggio
2000, cit., secondo cui «Il decreto di omologazione della separazione
consensuale dei coniugi può essere revocato, nell’ipotesi di simulazione degli
accordi stipulati dai coniugi e da questi espressamente ammessa, applicando a
tali accordi le disposizioni sui contratti in generale». Condivide il decisum Ronco,
op. cit., p. 66 s., che perviene
a tale conclusione sulla base della premessa, non condivisibile, secondo cui
l’unica alternativa alla revoca sarebbe costituita dal «punire la leggerezza
dei coniugi menzogneri e tenerli ‘incastrati’ per sempre a quella loro fittizia
volontà di separarsi».
[180] Nulla di simile è invece, a quanto pare,
accaduto sino ad ora per quanto attiene al profilo della revoca degli atti
fraudolenti.
[181] Sul problema in generale della revocabilità
del decreto di omologazione ex art.
742 c.p.c. cfr. Cass., 24 agosto 1990, n. 8712, in Giust. civ., 1990, I, p. 2826, in senso favorevole. Contra F. Finocchiaro, Del
matrimonio, cit., p. 475; De Filippis
e Casaburi, Separazione e divorzio, Padova, 1998, p. 109 s., secondo cui,
mentre per la modifica soccorrono in modo espresso gli art. 710 e 711 ult.
cpv., c.p.c. (e 155, ult. comma, c.c.), per la revoca l’istituto della
riconciliazione dovrebbe rendere inutile – o meglio, priva di interesse –
l’azione volta a far cadere l’omologa, in ragione del pieno ristabilirsi tra i coniugi
della comunione di vita spirituale e materiale. Del resto, secondo quanto
dispone l’art. 157 c.c., gli effetti della separazione cessano «senza che sia
necessario l’intervento del giudice», qualora i coniugi, con dichiarazione
espressa o con comportamenti inequivoci, rivelino una voluntas contraria rispetto a quella manifestata all’atto della
separazione.
[182] Cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti
tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 144 s. ;
approva la soluzione Sala, Simulazione dell’accordo di separazione
consensuale?, cit., p. 62 s.
[183] V. sul punto l’isolata, per quanto
autorevole, opinione di Mandrioli
e Carnacini, Il procedimento di separazione personale dei coniugi, in aa. Vv., La separazione personale dei coniugi, Milano, 1965, p. 40.
[184] Nel senso dell’impugnabilità dell’accordo di
separazione per vizi del consenso a mezzo di apposito giudizio ordinario di
cognizione cfr. Doria, «Negozio» di separazione consensuale dei
coniugi e revocabilità del consenso, cit., p. 513; Dogliotti, op.
cit., p. 13 s.; Mora, op. loc. ultt. citt.; nel senso che «l’esistenza di un controllo
preventivo non sembra escludere quello successivo volto a rilevare possibili
ragioni di invalidità dell’accordo così raggiunto» v. anche Alpa e Ferrando,
op. cit., p. 510.
[185] Cfr. Degni,
Il diritto di famiglia nel nuovo
codice civile italiano, Padova, 1943, p. 253; Cass., 13 luglio 1979, n.
4079, in Foro it., 1979, I, c. 2611;
in Giust. civ., 1980, I, p. 1391; in Dir. fam. pers., 1980, p. 66.
[186] Così testualmente Cass., 24 agosto 1990, n.
8712, in Giust. civ., 1990, I, p.
2826.
[187] Sulla funzione di controllo propria del
procedimento di omologazione cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 246 ss.
[188] Fr.
Ferrara Sen., op. cit., p. 93.
Si noti peraltro che l’idea secondo cui «Simulatio excluditur, si actus
publice, et palam ac auctoritate judicis expletus fuerit» non fu certo solo
prerogativa della dottrina medievale: cfr. per esempio la decisione della Rota
Romana, 9 giugno 1684, in Sacrae Rotae
Romanae Decisiones, et Summorum Pontificum Constitutiones Recentissimae,
Theatrum Veritatis et Justitiae Cardinalis de Luca (…) Amplectentes, confirmantes, et laudantes (c.d. Mantissa al Theatrum Veritatis et Justitiae del Card. de Luca), I, Venetiis,
1706, p. 3 s.
[189] Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 393. Con
specifico riguardo all’accordo di separazione consensuale cfr. inoltre Butera, op. loc. ultt. citt.
[190] In questo senso parrebbe orientato anche un
precedente di merito, relativamente all’ipotesi dell’annullamento per dolo
(cfr. Trib. Roma, 27 gennaio 1986, cit.).
Potrà chiedersi a questo punto quale soluzione
sia configurabile per il problema della simulazione delle intese poste a base
di un’intesa di divorzio su domanda congiunta. Facendo ancora una volta
richiamo alle conclusioni sviluppate in altra sede sul tema dei rapporti tra
accordo delle parti e pronuncia del tribunale, andrà ripetuto che la veste di
«sentenza» prevista dall’art. 4, tredicesimo comma, l.div. per il provvedimento
conclusivo della procedura nulla toglie alla possibilità per le parti (così
come per i terzi, quando legittimati) di far valere l’invalidità sia
dell’intesa di divorziare, sia degli accordi ad essa collegati e conseguenti:
cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1338 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
p. 232 ss.
[191] V. supra, § 7.
[192] Trib. Bologna, 28 gennaio 1998, in Dir. fam. pers., 1998, p. 1047, con nota
di Conte.
[193] La separazione risaliva ad epoca anteriore
alla entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia del 1975.
[194] Cui vanno soggette ora anche la pronunzia di
separazione giudiziale, l’omologazione di quella consensuale, così come «le
dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestano la loro
riconciliazione» (cfr. art. 69, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396).
[195] Cfr. Oberto,
Annotazione e trascrizione delle
convenzioni matrimoniali: una difficile coesistenza, in Riv. dir. ipotecario, 1982, p. 127 ss., 148 ss.; v. inoltre Id., Comunione
legale, regimi convenzionali e pubblicità immobiliare, in Riv. dir. civ., 1988, II, p. 187 ss.,
206 ss.; Id., Pubblicità dei regimi matrimoniali, in Riv. dir. civ., 1990, II, p. 236 ss.; Id., La pubblicità dei
regimi patrimoniali della famiglia (1991-1995), ivi, 1996, II, p. 229 ss.; cfr. inoltre, per ulteriori
approfondimenti, Barchiesi, Il sistema della pubblicità nel regime
patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, p. 25 ss.; per la giurisprudenza
successiva v. Cass., 28 novembre 1998, n. 12098, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, p. 636 ss., con sommaria
annotazione di Mosca; in Riv. notar., 1999, II, p. 375, con nota
di Gammone; la pronunzia
(risalente peraltro ad epoca anteriore all’entrata in vigore della riforma
dell’ordinamento dello stato civile, di cui si dà conto nel testo) ha accolto
la tesi proposta dallo scrivente nelle opere appena citate circa la sufficienza
della trascrizione ai fini dell’opponibilità ai terzi dello scioglimento del
regime legale operato dalla separazione personale, anche in difetto di
annotazione a margine dell’atto di matrimonio.
[196] Per i richiami cfr. Oberto, La pubblicità
dei regimi patrimoniali della famiglia (1991-1995), cit., p. 250 ss.
[197] Ai sensi del quale «Fino all’entrata in
vigore del nuovo testo del codice di procedura civile, ai giudizi di
separazione personale dei coniugi si applicano, in quanto compatibili, le
regole di cui all’articolo 4 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come
sostituito dall’articolo 8 della presente legge».
[198] Cioè il comma terzo dell’art. 4 l. div., in
forza del quale il cancelliere deve dare comunicazione all’ufficiale di stato
civile del luogo ove il matrimonio fu trascritto, per l’annotazione in calce
all’atto di matrimonio.
[199] Cfr. Oberto,
Comunione legale, regimi convenzionali e
pubblicità immobiliare, cit., p. 190 ss.
[200] Si badi che
nemmeno qui vi sarebbe comunque alcunché di nuovo sotto il sole; invero, stando
a quel che riporta Bourjon (op. cit., p. 607), già la giurisprudenza
francese sotto l’Ancien Régime era
orientata proprio in questo senso: «si le motif de la séparation de biens se
trouvoit faux, et que le mari fit infirmer la sentence de séparation, cela
rétablit la communauté et détruit la séparation dans sa source ; mais en ce
cas, c’est la vérité et la justice qui produisent ce retour et non la
convention. J’ai vu plusieurs arrêts en ce cas, infirmatifs de sentence de
séparation ; ces arrêts fondent la proposition. (…) Il en est de même si la
femme ou ses héritiers avoient obtenu arrêt infirmatif, par exemple, s’ils
prouvoient que la communauté étoit bonne et que la séparation n’étoit qu’une
voie indirecte dont le mari s’étoit servi pour s’approprier toute la masse de
la communauté ; en effet, le droit de l’un et de l’autre des conjoints doit
être sur ce égal ; et dans l’un et dans l’autre cas la disposition de la loi
est conservée dans sa pureté. C’est ce qui résulte de ce qui dit Duplessis, de
la communauté, pag. 435, au commencement [cfr. Duplessis,
op. cit., p. 435, secondo cui
«si la séparation est frauduleuse, et pour avantage indirect seulement, après
la dissolution du mariage, le survivant ou les heritiers du prédécédé la
pourront faire casser»: n.d.a.] ; et
c’est l’opinion commune au châtelet. (…) Dans l’un comme dans l’autre cas, les
acquêts faits dans le tems intermédiaire entre la sentence de séparation et
l’arrêt infirmatif, sont communs, puisque par cette voie, la sentence de
séparation est mise au néant, et que le droit de communauté reprend la force
qu’il avoit lors de la célébration du mariage ; c’est le juste effet de
l’anéantissement du faux motif de la séparation. J’ai vu ainsi décider au
châtelet, dans plusieurs comptes de communauté et ce sur le fondement que la
séparation se trouvoit juridiquement détruite, et jusques dans sa source ; que
cette séparation ne tendoit qu’à une contravention à la loi, c’est-à-dire, à un
avantage indirect et prohibé, et par conséquent à rejetter totalement; sauf la
limitation qui suit sur les actes antérieurs et légitimes. L’arrêt du 4 février
1601, ci-dessus rapporté [la sentenza risulta citata da Tronçon, Le droit
français, et coutume de la Prévoté et Vicomté de Paris, Paris, 1626,
sull’art. 224 della coutume di
Parigi: n.d.a.] l’a décidé de la même
maniere, à l’égard des acquêts même et de ceux échus et acquis pendant la
séparation. (…) Cependant les actes que la femme a fait pendant ce même tems
intermédiaire comme femme séparée, subsistent, parce que la séparation
substitoit alors ; la bonne foi de ceux qui ont contracté avec elle pendant ce
tems, soutient ces actes ; ainsi la séparation en ce cas ne produit effet que
relativement à des tiers, mais non à l’égard des conjoints. On le juge ainsi au
châtelet, tant par l’équité que par le principe qui veut que les conventions
légitimes aient leur exécution».