IL «PROGRAMMA
STRASBURGO»
DEL TRIBUNALE DI
TORINO
E LE DIRETTIVE DEL GROUPE DE PILOTAGE «SATURN» DELLA CEPEJ:
BREVE RAFFRONTO (*)
[ENGLISH]
SOMMARIO: 1. Breve descrizione del «Programma Strasburgo» e
del «Decalogo» per la trattazione delle cause civili del Tribunale di Torino. –
2. Alcune regole del «Decalogo» poste a raffronto con le
«Direttive SATURN per la gestione dei tempi della giustizia»: il
problema della gestione attiva dei processi. – 3. Alcune
regole del «Decalogo» poste a raffronto con le «Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia»: come adattare la gestione dei tempi
della giustizia ad obiettivi generali e speciali. – 4. Alcune
regole del «Decalogo» poste a raffronto con le «Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia»: il problema degli accordi sulla
tempistica del processo con le parti e con gli avvocati. – 5.
Alcune regole del «Decalogo» poste a raffronto con le «Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia»: il problema della cooperazione con
(e del controllo di) altri attori del processo (consulenti, testimoni, ecc.). –
6. Alcune regole del «Decalogo» poste a raffronto con le
«Direttive SATURN per la gestione dei tempi della giustizia»: il
problema della repressione degli abusi processuali. – 7. La motivazione delle sentenze.
1. Breve descrizione del «Programma
Strasburgo» e del «Decalogo» per la trattazione delle cause civili del
Tribunale di Torino.
Il «Programma Strasburgo» è il
primo esperimento in Italia di case
management, mirante ad ottenere una
significativa riduzione dell’arretrato giudiziario e l’accelerazione del
trattamento delle cause civili. L’iniziativa è stata posta in opera a partire
dall’anno 2001 sulla base di un’idea dell’allora Presidente del Tribunale di
Torino, Mario Barbuto (attualmente Presidente della locale Corte d’Appello) ed
è continuata durante questi ultimi dieci anni, sotto la direzione dapprima
dello stesso Presidente Barbuto e, quindi, dalla fine del 2009, del nuovo
Presidente, Luciano Panzani.
Il programma ha avuto inizio con
l’effettuazione, in primo luogo, di un censimento di tutto l’arretrato delle
cause civili. Il Presidente ha quindi proceduto ad emanare una circolare
contenente una serie di raccomandazioni e consigli per i giudici (il cosiddetto
«Decalogo»), nell’ottica di perseguire una riduzione della durata dei processi.
Partendo, dunque, dall’idea per
cui le procedure di durata ultratriennale si sarebbero dovute considerare come
in violazione del canone del délai
raisonnable di cui all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo, alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei
diritti dell’uomo, la Presidenza del Tribunale di Torino ha attivato dal 2001
un periodico censimento – rinnovato ogni sei mesi – di tutti i processi civili
pendenti dinanzi al medesimo ufficio giudiziario. A seguito di questa indagine,
tutti i processi sono stati classificati secondo il periodo di durata (cause
pendenti per più di un anno, per più di due anni, per più di tre anni, e così
via).
Secondo quel primo censimento, le
cause ordinarie pendenti per un periodo superiore ai tre anni in tutte le
sezioni civili della sede centrale del Tribunale di Torino ammontavano a 2.354
alla data del 30 aprile 2001 (52 di queste risalivano ad una data anteriore al
1990). Allo stesso tempo il Presidente annunciò la distribuzione di un serie di
prescrizioni e consigli (il c.d. «Decalogo») per lo smaltimento rapido e mirato
delle cause «vecchie». A partire da tale periodo i fascicoli delle cause
ultratriennali sono stati contraddistinti da una speciale serie di contrassegni
sulle relative copertine, al fine di permettere ai giudici di reperirli
agevolmente.
Al fine di dare un’idea circa il
successo dell’iniziativa sarà sufficiente citare i risultati dell’ultima sua
edizione (la diciassettesima di questo genere), sulla base del rapporto,
predisposto dal Presidente nel quadro del «Programma Strasburgo» nel corso del
mese di dicembre del 2010. Secondo quest’ultima indagine, su 22.268 cause
pendenti dinanzi alla sede centrale del Tribunale di Torino, 21.418 erano pendenti
da meno di tre anni (15.325 da un anno, 4.264 da due anni, 1.829 da tre anni),
mentre soltanto 850 da più di tre anni.
Il c.d. «Decalogo», in forma di
circolare contenente svariate raccomandazioni indirizzate a tutti i giudici
civili (per esempio la proibizione di rinvii delle udienze se non per motivi
specificamente giustificati o consentiti dalla legge) sarà descritto più
dettagliatamente infra. Il relativo
scopo è quello di provare a stabilire una pratica uniforme in tutte le sezioni
civili del Tribunale, senza infrangere, per altro verso, il principio
dell’autonomia e dell’indipendenza di ogni singolo giudice. Questo documento
inoltre è stato trasmesso al locale Consiglio dell’Ordine, da un lato, per
ottenere l’approvazione di un organo istituzionale sicuramente interessato al
buon funzionamento della giustizia civile, ma dall’altro anche allo scopo di
scongiurare che le parti dei procedimenti coinvolti potessero ritenere che il
nuovo corso seguito dai giudici nella trattazione delle controversie fosse
diretto contro di loro, ovvero lo potessero intendere come un’iniziativa
inattesa ed episodica di alcuni giudici soltanto.
Vale la pena di rimarcare che il
«Decalogo», anche se concepito alcuni anni prima delle «Direttive per la
gestione dei tempi della giustizia» approvate dal Groupe de Pilotage «SATURN» della CEPEJ del Consiglio d’Europa, tratta in molte sue parti questioni
che sono affrontate proprio da tale ultimo documento (ci si riferisce in
particolare alla «Parte V – Direttive per i giudici»). Inoltre, lo stesso
«spirito» del «Decalogo», così come molte delle soluzioni dallo stesso
proposte, sembra porsi in piena armonia con gli obiettivi, gli scopi ed i
metodi delle «Direttive per la gestione dei tempi della giustizia» approvate
dal Groupe de Pilotage «SATURN», al
punto da consentire di definire il testo torinese come una sorta di «Direttive
della CEPEJ» ante litteram. Il risultato costituisce del resto l’effetto
dell’attività di raccordo sviluppata dallo scrivente quale membro del citato Groupe de Pilotage, nella redazione
delle «Direttive per la gestione dei tempi della giustizia».
Come già illustrato in un
precedente rapporto, per quanto attiene alla prevedibilità della durata delle
procedure, l’iniziativa del Presidente di disporre una periodica distribuzione
dei dati statistici generali e di altri elementi sulla durata dei processi,
sezione per sezione, può rivelarsi di grande aiuto. Anche la diffusione di
risultanze statistiche che segnalino il tasso di «produttività» di ogni singolo
giudice promuove una sorta di effetto emulativo che contribuisce a evitare gli
accumuli di arretrato, nella misura che si è dovuta registrare in passato.
È vero che, secondo quanto
stabilito al punto B. 3. delle «Direttive SATURN», la «gestione della durata
delle procedure giudiziarie, se non è determinata dal comportamento degli
utenti stessi, dovrebbe essere effettuata in modo imparziale ed obiettivo,
evitando significative disparità nella trattazione di casi similari». Il
problema è che, quanto meno in Italia, un ruolo significativo nella gestione
degli affari civili è svolto dagli avvocati. Di conseguenza è importante
coinvolgere i consigli dell’Ordine nel processo di riduzione della durata dei
tempi giudiziari.
Effettivamente può accadere che
controversie molto simili abbiano durate assai differenti, semplicemente perché
gli avvocati hanno cercato di utilizzare in alcuni casi delle tattiche e dei
«trucchi» procedurali che possono provocare perdite di tempo. Naturalmente
spetta anche al giudice essere vigilante e scoraggiare tali malvezzi. Per
esempio, può accadere che rinvii vengano richiesti dagli avvocati, i quali
assicurano che stanno per definire la lite e che hanno bisogno di tempo per
raggiungere un’intesa. Qui spetta al giudice non essere troppo «generoso» e
controllare molto attentamente la serietà di questa prospettata intesa, così
come l’onestà e la veridicità delle intenzioni degli avvocati e delle parti che
sono coinvolte nel caso.
Ciò chiarito, presenterò qui
alcune tabelle comparative, riportando nella colonna di sinistra alcune delle
previsioni del «Decalogo» di Torino (o almeno il loro significato, o un breve
riassunto delle stesse) e, nella colonna di destra, gli articoli ed i paragrafi
corrispondenti delle «Direttive SATURN». I capitoli di questo rapporto saranno
organizzati seguendo i vari articoli della «Parte V – Direttive per i giudici»
delle «Direttive SATURN». Dopo ogni disposizione inserirò i miei commenti.
Voglio precisare che la versione del «Decalogo» qui presa in esame è l’ultima disponibile,
approvata dal Presidente con la sua circolare del 30 dicembre 2008, N. 9. Il
relativo titolo è «Prescrizioni e consigli per la trattazione delle cause
civili»; il documento si compone attualmente
di venti distinti articoli. Nel maggio 2011 esso è stato esteso con
circolare del Presidente della Corte d’Appello di Torino a tutti i Tribunali
del Distretto.
2. Alcune regole del «Decalogo»
poste a raffronto con le «Direttive SATURN
per la gestione dei tempi della
giustizia»: il problema della gestione attiva dei processi.
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i
giudici» |
Art. 4) Il giudice farà un uso costante dei poteri di direzione
del procedimento ex art. 175 c.p.c.
(“Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e
leale svolgimento del procedimento”), tenendo conto di quanto prescrive
l’art. 127 c.p.c. (“L’udienza è diretta dal giudice singolo o dal presidente
del collegio. Il giudice che la dirige può fare o prescrivere quanto occorre
affinché la trattazione delle cause avvenga in modo ordinato e proficuo,
regola la discussione, determina i punti sui quali essa deve svolgersi e la
dichiara chiusa quando la ritiene sufficiente”). All’udienza di prima comparizione delle parti il
giudice si adopererà, di regola, per convincere i difensori a non presentare
richiesta di concessione dei termini (ciò che rallenta il corso regolare
della procedura: sfortunatamente gli avvocati non rinunziano pressoché
mai a tale diritto, accordato loro
dall’art. 183 c.p.c.). Il giudice eviterà le lunghe verbalizzazioni attinenti
alle “motivazioni” delle richieste, che dovranno svolgersi solo oralmente.
Nella fase di precisazione delle conclusioni il giudice dovrà scoraggiare la
frase “si precisa come in atti”, pretendendo che il difensore indichi e
mostri l’atto richiamato e le conclusioni ancora attuali (se sparse in più
atti, si pretenderà la indicazione della data e della pagina degli atti
richiamati). Di regola, le udienze saranno scaglionate nel corso
della mattinata ad ore diverse, dalle ore 9 alle ore 13. Art. 16) Il giudice userà con rigore il potere ex art. 210 c.p.c., pretendendo
l’osservanza dell’art. 94 disp. att. c.p.c. (specifica indicazione del
documento o della cosa da esibire e, eventualmente, l’offerta della prova che
la parte o il terzo ne sia in possesso). Se l’esibizione riguarda la parte costituita, prima di
provvedere il giudice interpellerà il difensore interessato circa la
possibilità di una esibizione spontanea e la ragione del rifiuto. Nella relativa ordinanza il giudice applicherà con
rigore le prescrizioni dell’art. 210, comma secondo c.p.c. adottando formule
chiare e scadenze precise (per esempio: “ordina l’esibizione dei seguenti
documenti, denominati …, mediante deposito in cancelleria degli originali
entro il …, con possibilità per la controparte di estrarne copia entro i 15
giorni successivi; con restituzione all’interessato entro il …; dispone che
la cancelleria certifichi tutti gli adempimenti”). In caso di richiesta generica (per es: “esibizione dei
libri contabili di controparte”), il giudice pretenderà l’indicazione precisa
dei tipi di documenti richiesti e degli anni di riferimento (per esempio:
“registro delle fatture ex art 23 DPR 633/72, relativo all’anno …, …, …”). Nel caso di libri e scritture contabili, il giudice
farà uso dell’art. 212 c.p.c. Art. 20) “personalizzazione” del rapporto contenzioso fra
privati, il potere discrezionale di disporre la comparizione personale delle
parti (pretendendo una giustificazione in caso di assenza), sia per il
tentativo di conciliazione ex art.
117 c.p.c., sia per la verbalizzazione sintetica delle rispettive proposte
transattive (con la seguente tecnica, per i casi più semplici: “L’attore
dichiara: definirei la causa se mi venisse pagata subito la somma di 1000, a
spese compensate”. “Il convenuto dichiara: definirei la causa se mi si
consentisse di pagare la somma di 300, a spese compensate”; e così di
seguito, per la somma rispettivamente di 800 e 400) e, eventualmente, del
loro rifiuto o della loro accettazione con riserva. Al di fuori delle cause relative a diritti disponibili
fra privati, il giudice eviterà l’utilizzazione generalizzata del potere ex art. 117 c.p.c.; l’ utilizzerà con
prudenza nelle cause in cui siano coinvolti gli enti pubblici. Altre disposizioni rilevanti in questo campo sono
quelle degli artt. 10 e 11 (v. infra,
§. 6). |
A. Gestione
attiva dei processi 1. Il giudice dovrebbe essere dotato di poteri
sufficienti per gestire attivamente i processi. |
Fuor di dubbio appare che «Il
giudice debba essere dotato di poteri sufficienti per gestire attivamente i
processi». Tuttavia, le prescrizioni e i consigli diramati dal Presidente del
Tribunale di Torino hanno svolto un importante ruolo d’aiuto ai giudici per
consentire loro di «trovare la forza» di assumere un ruolo attivo nella
gestione del processo, malgrado l’attuale impressionante livello di
aggressività degli avvocati italiani. Naturalmente ciò deve accadere sempre
nell’ambito del contesto delle regole processuali, che in Italia, purtroppo,
non lasciano certo ampi margini ai poteri discrezionali del giudice.
In questa situazione vi è da
precisare ulteriormente che il giudice ha ben limitati, per non dire
inesistenti, poteri per determinare una «partenza rapida» del processo,
considerando le regole del codice di procedura civile italiano. In effetti,
secondo quanto stabilito dall’art. 163-bis,
tra il giorno in cui l’atto di citazione è stato notificato al convenuto ed il
giorno della prima udienza debbono trascorrere almeno novanta giorni (nel caso l’atto di citazione sia notificato
all’estero il termine è addirittura di centocinquanta giorni). Se si pensa poi
al fatto che, alla prima udienza, le parti hanno il diritto di ottenere un
altro termine complessivo di almeno ottanta giorni per l’ «aggiustamento» delle
loro domande e la deduzione delle prove (ed è sufficiente che una di esse
avanzi tale richiesta, perché il giudice debba concedere ad esse tale rinvio),
appare evidente che, dopo che la notifica della citazione è avvenuta in un
certo giorno (un giorno che, tra l’altro, segna concretamente e proceduralmente
l’inizio e l’inizio ufficiali della causa), nell’ipotesi «più rapida» il
giudice potrà praticamente cominciare ad occuparsi della causa non prima di sei
mesi dall’inizio della stessa. Ciò significa che il giudice può cominciare a
svolgere un ruolo attivo solo dopo che (almeno!) una buona metà del primo dei
due (o tre, secondo il nostro «Programma Strasburgo») anni di délai raisonnable è già inesorabilmente
trascorsa.
3. Alcune regole del «Decalogo»
poste a raffronto con le «Direttive SATURN
per la gestione dei tempi della
giustizia»: come adattare la gestione dei tempi della giustizia ad obiettivi
generali e speciali.
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i
giudici» |
Art. 1) Tutti i processi pendenti da oltre tre anni davanti
alle Sezioni civili della sede principale e delle 4 Sezioni distaccate
dovranno essere contraddistinti da un apposito “bollino” (o copertina) avente colore diverso per i
seguenti scaglioni: a) cause di durata superiore ai sei anni; b) cause iscritte a ruolo tra sei anni e due anni e
mezzo; c) cause iscritte a ruolo negli ultimi due anni e
mezzo. A cura della cancelleria e con l’aiuto del giudice
istruttore o del Presidente di sezione sarà operata la revisione sistematica
delle annotazioni di copertina, aggiornando il nome e il numero delle parti
processuali, il nome e cognome dei rispettivi difensori, le date delle
udienze. Le copertine logore o con annotazioni incomprensibili dovranno
essere sostituite conservando all’interno quelle originali. La trattazione di tali cause dovrà essere privilegiata
rispetto alle altre, eventualmente con fissazione di udienze appositamente
riservate. Art. 2) Dovrà essere assicurata la definizione delle cause di
cui al punto precedente secondo il seguente programma: - per le cause del gruppo a) del punto 1), entro sei
mesi; - per le cause del gruppo b), c) del punto 1) entro un
anno. Tutte le altre cause dovranno essere definite entro il
triennio successivo. |
A. Gestione
attiva del contenzioso (…) 2. In conformità con le regole generali, il giudice
dovrebbe avere il potere di fissare termini appropriati e di adattare il suo
potere di gestione del contenzioso agli obiettivi generali e specifici, così
come alle particolarità di ogni caso concreto. |
Per quanto attiene a questo
punto, va sottolineato di nuovo che le regole dettate dal dirigente
dell’ufficio giudiziario dovrebbero, come nel caso di Torino, stabilire le
priorità di trattazione tra le cause, come ad esempio: ridurre la durata
massima a non più di tre anni; dare priorità alle cause che si protraggono
oltre quel termine o che si avvicinano pericolosamente ad esso, ecc. Se è
innegabile che le «Direttive SATURN» sono riferite a disposizioni imposte dal
giudice alle parti (piuttosto che dal dirigente dell’ufficio ai giudici), è
altrettanto vero che il codice di procedura civile italiano lascia poco spazio
alla discrezionalità del magistrato. Va ancora sottolineato che, per esempio, i
rinvii in base all’art. 183 c.p.c. non possono essere evitati, se almeno una
delle parti li richiede, persino nei casi in cui è assolutamente chiaro che
sono inutili e che gli avvocati ne hanno solo bisogno per «aggiungere» tali
voci (così come gli atti che gli stessi redigono per ciascuno di tali rinvii)
sulla loro nota spese al termine della procedura. Tuttavia, le regole fissate
dal presidente del tribunale circa i rinvii nell’ambito di un documento quale
il «Programma Strasburgo» possono anche aiutare il giudice a provare a
convincere le parti ad evitare richieste inutili, così tentando di «adattare il
passo» alle necessità di un processo più rapido.
4. Alcune regole del «Decalogo»
poste a raffronto con le «Direttive SATURN
per la gestione dei tempi della
giustizia»: il problema degli accordi sulla tempistica del processo con le
parti e con gli avvocati.
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i
giudici» |
Art. 6) Il
rinvio dovrà essere concesso in limiti molto contenuti (pur senza adottare la
vetusta disposizione dell’art. 81 disp. att. c.p.c. relativa ai 15 giorni, di
difficile applicazione nell’attuale contesto storico); di regola, non dovrà
superare il limite dei 40/50 giorni. Il
giudice deve assicurare per ciascuna causa una media “tendenziale” di
sei/otto udienze
all’anno [per le cause del gruppo a), b), c), del punto 1) una udienza al
mese]. |
B. Accordi sulla
tempistica del processo con le parti e gli avvocati 1. Nella gestione della tempistica del processo si
dovrà prestare la debita attenzione agli interessi degli utenti. Costoro
hanno il diritto di essere coinvolti sin dall’inizio nella predeterminazione
delle fasi del processo. 2. Ove possibile, il giudice dovrebbe tentare di
raggiungere un accordo con tutte le parti del processo in merito al
calendario della procedura. All’uopo egli dovrebbe essere anche adeguatamente
assistito dal personale giudiziario, così come da strumenti informatici. 3. Gli scostamenti dal calendario così concordato
dovrebbero essere di minima entità e limitati a casi motivati. In linea di
principio, l’estensione dei termini prefissati dovrebbe essere possibile
soltanto con l’accordo di tutte le parti, ovvero allorquando ciò è richiesto
dagli interessi della giustizia. |
La questione degli accordi sulla
gestione dei tempi del processo con parti ed avvocati è ora affrontata a
livello generale da un articolo speciale del nostro codice di rito (81-bis disp. att. c.p.c.). In effetti, una recente riforma (l. 18 giugno
2009, n. 69) ha imposto la necessità, per ogni giudice, all’inizio della fase
istruttoria, di predisporre un calendario del processo, in cui il giudice,
sentiti gli avvocati, «prevede» e
«predice» quando ciascuno degli incombenti procedurali avrà luogo. Inoltre, secondo
le direttive emanate dal presidente, ogni giudice deve provare a aiutare le
parti a trovare una soluzione transattiva della lite. Durante tali udienze il
giudice prospetta ai contendenti i vantaggi legati ad una possibile
transazione, facendo anche presente quale potrebbe essere l’iter procedurale da seguire in quel caso
(naturalmente nessun suggerimento può essere dato sul merito della
controversia, ma il giudice può senz’altro dire, per esempio, che, nel caso il
processo dovesse proseguire, egli dovrebbe nominare un consulente tecnico per
rispondere a questo o a quel quesito tecnico, ecc.).
Alcuni mesi fa, quando per la
prima volta abbiamo provato concretamente ad applicare le disposizioni sul
calendario del processo, abbiamo scoperto che tale attività non era così
agevole, come sarebbe potuto apparire a tutta prima. È quasi impossibile
prevedere con uno o due anni d’anticipo quale sarà l’iter del processo e fissare un giorno determinato per lo
svolgimento di ogni possibile evento procedurale. Di conseguenza ho suggerito
una soluzione, concretamente adottata poi da molti colleghi, consistente nella
fissazione non già di giorni predeterminati, bensì di scadenze predeterminate,
come per esempio: a) termine per l’esperimento delle udienze per l’escussione
dei testi: non oltre il …; b) termine per l’esperimento di una c.t.u. (nel caso
tale incombente si rivelasse
necessario): non oltre il …; c) termine per l’udienza di precisazione
delle conclusioni: non oltre il ….
Per ciò che attiene al punto n. 2
delle «Direttive SATURN», ovviamente concordo in toto con il principio per cui il giudice dovrebbe anche essere
assistito da idoneo personale giudiziario e dagli strumenti informatici.
Purtroppo nel mio tribunale (così come in quasi qualsiasi ufficio giudiziario
d’Italia) soltanto la seconda parte di quella frase è vera. Il personale è
assolutamente insufficiente e troppo spesso l’informatica giudiziaria è
utilizzata come un modo per costringere i giudici a svolgere (oltre alle loro
funzioni ordinarie) le mansioni di cancellieri e segretari.
Vorrei aggiungere su questo punto
che in questi mesi ultimi, grazie all’iniziativa del presidente del nostro
tribunale, Luciano Panzani, sta per essere firmata una convenzione con la
locale Facoltà di giurisprudenza. Secondo questo accordo un determinato numero,
selezionato e qualificato, di studenti di legge e di giovani laureati in
giurisprudenza saranno ammessi come stagisti nel nostro tribunale per periodi
di alcuni mesi. Approfitteremo di questa iniziativa formativa, in primo luogo,
per addestrare giovani meglio preparati ad affrontare il difficile concorso per
l’ingresso in magistratura (naturalmente, a condizione che lo desiderino;
altrimenti si indirizzeranno verso la professione legale, comunque con un grado
di consapevolezza assai più elevato circa il funzionamento della «macchina
della giustizia» e dei bisogni reali di una sistema più rapido ed efficiente).
D’altro canto, queste persone forniranno un aiuto al lavoro giornaliero dei
giudici e degli addetti alle cancellerie, aiutando i giudici nella stesura dei
verbali d’udienza, ad effettuare attività di ricerca giuridica, a riordinare i
documenti, gli atti e le richieste (si tratta, molto spesso, di centinaia di
pagine!) all’interno dei fascicoli, a individuare particolari questioni e
difficoltà che dovessero profilarsi nelle singole controversie, ad avvalersi
degli strumenti dell’informatica giuridica e dell’informatica giudiziaria per
la gestione delle procedure, a controllare che gli ordini dati dal giudice al
personale di cancelleria siano correttamente attuati, che gli avvocati e/o le
parti e/o i consulenti siano effettivamente avvisati della loro convocazione
per una determinata udienza, ecc.
5. Alcune regole del «Decalogo»
poste a raffronto con le «Direttive SATURN
per la gestione dei tempi della
giustizia»: il problema della cooperazione con (e del controllo di) altri
attori del processo (consulenti, testimoni, ecc.).
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i
giudici» |
Art. 14) Il giudice farà un controllo sistematico di tutte le
consulenze tecniche d’ufficio in corso il cui termine risulti già scaduto. A tal fine: a) inviterà il CTU, anche con provvedimento
fuori udienza, a depositare la relazione scritta entro 40/50 giorni, ovvero, in caso
di impossibilità o difficoltà nel redigerla, a restituire i fascicoli di parte entro
brevissimo tempo; b) provvederà a sostituire subito il CTU inadempiente e a
segnalare il caso alla Presidenza. Il giudice eviterà il più possibile la concessione al
CTU della proroga del termine per il deposito della relazione (salvo casi
eccezionali); pretenderà in ogni caso che la richiesta sia motivata in modo
specifico e comunicherà al CTU fin dall’inizio tale prassi restrittiva. In ogni caso il giudice segnalerà alla Presidenza i
nomi del CTU che abbiano depositato l’elaborato scritto con un ritardo
superiore a 30 giorni. Il giudice dovrà prevenire le richieste dei difensori
di rinvio “per esame perizia”, fissando l’udienza di trattazione in epoca
successiva alla data prevista per il deposito della relazione, consentendo ai
difensori il deposito intermedio di memorie critiche. Il giudice eviterà, per quanto possibile, i
“supplementi di perizia”, privilegiando la comparizione personale del CTU in
contraddittorio con i consulenti di parte. In sede di formulazione del quesito il giudice inserirà
in modo esplicito il seguente incarico: “Il CTU dovrà dare conto nella sua
relazione delle osservazioni dei consulenti di parte, commentando brevemente
le memorie tecniche tempestivamente depositate davanti a lui; allegherà alla
relazione il verbale di tutte le operazioni effettuate”. Il giudice inviterà il CTU ad esperire il tentativo per
una soluzione concordata delle questioni di natura tecnica. Nella scelta dei consulenti d’ufficio il giudice
prediligerà quelli che hanno mostrato una più spiccata capacità di
persuasione delle parti ad addivenire al superamento delle divergenze sulle
questioni tecniche. Il giudice avrà cura, di regola, di formulare il
quesito in anticipo rispetto all’udienza di giuramento, preoccupandosi di
apportarvi successive modifiche, su richiesta delle parti o dello stesso
consulente d’ufficio; egli potrà anche assegnare alle parti, prima
dell’udienza di conferimento, termini intermedi perché le stesse depositino
memorie contenenti proposte di quesito. Il giudice si preoccuperà di prendere contatti con il
CTU in anticipo (anche tramite cancelleria) per assicurarsi della sua
presenza all’udienza, della sua disponibilità ad accettare l’incarico e
dell’assenza delle condizioni indicate dall’art. 51 c.p.c. (cause di
astensione obbligatoria o facoltativa o di ricusazione). |
C. Cooperazione
con (e controllo di) altri attori del processo (consulenti, testimoni, ecc.) 1. Tutti coloro che partecipano al processo hanno il dovere di collaborare con
l’ufficio giudiziario per il conseguimento dei risultati ed il rispetto dei
termini prestabiliti. 2. Nel corso della procedura il giudice ha il diritto
di controllare che i termini stabiliti siano rispettati da parte di tutti gli
attori del processo, con particolare riguardo a quei soggetti invitati o
officiati dal tribunale, quali testimoni o consulenti. 3. Rimedi adeguati ed efficaci debbono essere messi a
disposizione nei confronti di quegli attori del processo che non prestano
adeguatamente la loro cooperazione per il conseguimento dei risultati ed il
rispetto dei termini prestabiliti. Tali rimedi possono includere la riduzione
degli onorari, la radiazione dall’albo dei consulenti, sanzioni pecuniarie o
d’altro genere. |
Le direttive diramate dal
Presidente del Tribunale di Torino dedicano molta attenzione alla necessità per
i giudici di monitorare il rispetto dei termini da parte dei consulenti. Accade
assai spesso che i consulenti, a volte perché ricevono troppi incarichi (senza
essere abituati ai carichi ed agli orari di lavoro dei giudici…), tendono a
richiedere il rinvio della scadenza originariamente fissata dal giudice per il
deposito della consulenza. I giudici dovrebbero vegliare a che tali rinvii
siano concessi soltanto ove rigorosamente necessari (per esempio, perché le
parti stanno trattando, sotto il controllo e con l’assistenza del consulente,
per addivenire ad una conciliazione della causa). Per ciò che attiene ai
testimoni ed alle parti, i giudici dovrebbero avere a loro disposizione poteri
assai più efficaci per obbligare tali soggetti a presentarsi all’udienza.
Peraltro, ancora una volta, spetta al legislatore cambiare le vigenti disposizioni
normative.
In effetti, un modesto
miglioramento è stato determinato da una riforma recente, secondo cui il
consulente nominato dal giudice, prima del deposito della sua relazione, deve
consegnare quest’ultima alle parti, che, entro un termine prestabilito, debbono
fargli pervenire i loro rilievi. Infine il consulente deve presentare al
giudice la sua relazione, insieme alle osservazioni delle parti ed alle sue
osservazioni conclusive sui rilievi mossi dalle parti. Secondo questa
procedura, agli avvocati non sarà più consentito chiedere ulteriori rinvii per
disamina della consulenza. Non si renderà più necessaria la fissazione di una
ulteriore udienza, a meno che il giudice stimi che uno o più punti della
relazione peritale debbano essere più compiutamente illustrati. Ne consegue
che, una volta che la relazione di perizia e le relative osservazioni sono
state incluse nel fascicolo d’ufficio, il giudice è messo in condizione di
pronunciare la sentenza.
6. Alcune regole del «Decalogo»
poste a raffronto con le «Direttive SATURN
per la gestione dei tempi della
giustizia»: il problema della repressione degli abusi processuali.
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i giudici» |
Art. 4) V. supra, § 2. Art. 5) Non sono consentiti i rinvii “a vuoto”. Ogni richiesta di rinvio deve essere motivata da parte
del richiedente. La motivazione dovrà essere brevemente verbalizzata dal giudice e accompagnata
dalla “presa di posizione” del difensore avversario, nominativamente
indicato (ad esempio: “L’Avv. X si oppone”, “ … aderisce”, “ … nulla
osserva”, “ … si rimette”). Una verbalizzazione analitica dovrà essere fatta per la
richiesta di “rinvio per prosecuzione prova testi” (e formule simili). Il
giudice inserirà nel verbale gli estremi della intimazione del teste non
comparso e le ragioni dell’assenza, anche ai fini delle eventuali sanzioni (si eviterà però di sanzionare il teste che in
precedenza sia già comparso e non sia stato escusso). Art. 8) La richiesta di rinvio “per trattative in corso” deve
essere corredata dalla specificazione su “ragioni e stato” delle trattative
stesse. Se accolta, la richiesta comporterà la fissazione di una
udienza a breve scadenza riservata alla comparizione personale delle parti, al
fine di verificare l’esito (o lo stato) delle trattative. Art. 10) Il giudice raccomanderà ai difensori l’osservanza
rigorosa dell’art. 244 c.p.c.: a) deduzione della prova mediante capitoli
separati (possibilmente brevi, concisi e numerati), con esclusione di
espressioni valutative e giudizi; b) indicazione contestuale dei nominativi dei testi
informati sui singoli fatti; c) possibilità di redigere (o integrare) la lista dei
testi entro un termine successivo intermedio, comunque sempre nel rispetto
delle preclusioni ex art. 183
c.p.c. Il giudice utilizzerà il potere di riduzione delle
liste sovrabbondanti ai sensi dell’art. 245, comma 1, c.p.c. In caso di prove delegate, il giudice vigilerà sulla
osservanza del termine di adempimento; curerà che nelle more si svolgano
davanti a lui altre attività istruttorie (esame di testi residenti in sede,
interrogatorio formale, informazioni alla P.A.). Nel caso di prove testimoniali richieste per la
conferma di fatture, parcelle, scontrini, relazioni, rapporti di pubblici
ufficiali, preventivi, certificati, il giudice, prima di provvedere all’ammissione, inviterà la controparte a
prendere posizione esplicita sulla questione della “autenticità” o
“provenienza” del documento, evitando la prova testimoniale in caso di non
contestazione delle suddette caratteristiche (utilizzando la formula: “l’Avv.
X non contesta la provenienza e l’autenticità del documento”); se già
ammesse, il giudice inviterà le parti a rinunciarvi. Art. 11) Prima dell’ammissione della “prova per interpello” il
giudice chiederà ai difensori interessati se la ritengano veramente indispensabile o
utile ai fini della soluzione della controversia. Nell’espletamento dell’interrogatorio formale il
giudice farà presente alle parti che tale mezzo di prova mira essenzialmente
a provocare la confessione su fatti sfavorevoli al soggetto interrogato;
eviterà la verbalizzazione di circostanze superflue (per esempio di quelle
favorevoli al soggetto interrogato, se negate o contestate dalla
controparte). Le risposte ai singoli capitoli, tutti numerati, devono
contenere esplicitamente l’espressione: “la circostanza è vera” (oppure “…
non è vera”). Deve essere evitata la verbalizzazione di risposte articolate
in cui la parte interrogata, dopo la frase “la circostanza non è vera” tenti
di spiegare tesi o argomentazioni già emergenti dagli scritti del difensore. |
D. Repressione
degli abusi processuali 1. Ogni tentativo volontario o consapevole di
determinare un ritardo nella procedura dovrebbe essere scoraggiato. 2. Sanzioni processuali dovrebbero essere apprestate
per chi causi ritardi e tenga comportamenti ostruzionistici. Tali sanzioni
dovrebbero essere applicate alle parti o ai loro rappresentanti. 3. L’eventuale compimento di gravi abusi in danno del
processo da parte di un appartenente ad una professione legale, così come la
causazione di ritardi rilevanti nello svolgimento della procedura dovrebbero
essere denunciati all’organizzazione professionale d’appartenenza per
l’applicazione delle sanzioni del caso.
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Venendo all’interrogatorio
formale delle parti, va detto che la legge italiana non estende alle parti lo
statuto del testimone. Ciò significa che queste hanno il diritto di non dire la
verità. L’interrogatorio formale delle parti potrebbe teoricamente rivelarsi
utile nell’unico caso in cui costoro ammettessero fatti contrari al loro
interesse, ciò che non accade, in realtà, quasi mai. Queste regole risalenti
avevano un senso nei periodi in cui i cittadini, generalmente incolti ed
analfabeti, portati di fronte ad un giudice, potevano essere facilmente indotti
ad ammettere la verità. Al giorno d’oggi (considerando particolarmente l’infimo
livello di rispetto nei confronti della magistratura, determinatosi in
conseguenza di anni ed anni di attacchi e denigrazioni in danno del potere
giudiziario) nessuno prova più imbarazzato a mentire di fronte ad un giudice,
specialmente allorquando i suoi interessi personali sono in gioco.
Ciò spiega perché io sono solito
chiamare questo istituto processuale «la prova più inutile al mondo».
Purtroppo, l’interesse degli avvocati è oggi quello di imbottire i
fascicoli con ogni sorta possibile di
atti, di documenti, di domande e di attività processuali, perché (come ho già
spiegato) per ciascuna di tali «voci» è possibile ottenere la liquidazione di
diritti ed onorari.
Ciò spiega perché una riforma
seria della procedura civile italiana richiederebbe inevitabilmente un radicale
cambiamento nel modo in cui le spese legali sono calcolate. Da molto tempo
ormai sostengo la necessità di un sistema in cui (come in quello tedesco, per
esempio) le spettanze degli avvocati non sono collegate al numero di atti che
scrivono, né al numero di udienze cui essi assistono. Questo sarebbe un
notevole passo in avanti, che, però, ancora una volta, non può essere compiuto
dai giudici. I critici di questa mia proposta (avvocati, naturalmente) l’hanno
fraintesa, leggendovi il tentativo di ridurre l’ammontare delle loro
competenze. Tutto al contrario, sono personalmente convinto che le spese legali
dovrebbero essere di gran lunga più ingenti rispetto a quelle odierne. Il
problema non è «quanto» gli avvocati vengono pagati, ma «a che fine» e «per
quale tipo d’attività» guadagnano quel che guadagnano. Così, se gli avvocati
lavorassero in modo competente ed efficace, con il risultato finale di portare
davanti al giudice soltanto i casi che meritano tale sorte, essi dovrebbero
ricevere per la loro attività assai di più di quanto oggi essi ricevono.
Come già più volte detto, anche
in questo campo si dovrebbero invocare per il giudice poteri assai più ampi,
dovendo sul punto intervenire i competenti legislatori. Posso testimoniare
personalmente che la grande maggioranza delle cause pendenti di fronte a me ben
potrebbe essere agevolmente risolta senza necessità di adire il tribunale, sol che le parti
possedessero un livello di disponibilità (e di buon senso) lievemente superiore
ed i relativi avvocati un livello di preparazione più elevato. La questione
viene così a toccare il delicato profilo della formazione di tutti gli attori
del processo e, in primo luogo, degli avvocati. Un avvocato ben formato può
capire quanto rischioso o inutile possa essere portare una causa (o una difesa)
infondata di fronte al tribunale. Una volta che il processo è cominciato,
diventa molto difficile per il giudice convincere le parti a trovare una
soluzione amichevole, perché esse già hanno effettuato delle spese e gli
avvocati sanno che più a lungo il procedimento durerà, maggiori saranno i loro
guadagni.
I giudici, da parte loro,
dovrebbero prestare maggiore attenzione alla necessità di trovare il modo di
«punire» comportamenti scorretti delle parti e degli avvocati. Attualmente le
nostre regole procedurali conferiscono ai giudici taluni poteri in questo
senso. In primo luogo l’art. 117 c.p.c. consente al giudice di considerare il
comportamento delle parti nella determinazione finale della controversia.
Vorrei portare un esempio al riguardo. Accade talora che una parte (o il suo
avvocato) non cooperi con il consulente nominato dal giudice, rifiutandosi di
fornire le informazioni che il consulente ha richiesto; oppure può capitare che
la parte o l’avvocato invitino il consulente a fissare una o più date per
l’ispezione di una costruzione, o di una macchina, ecc., omettendo poi di
presenziare a tali incombenti. In queste circostanze il giudice può considerare
tali fatti, unitamente ad altri elementi, al fine di decidere la causa contro
la parte che non ha cooperato.
Una nuova versione dell’articolo
96 c.p.c. prevede ora che, anche in assenza di una richiesta specifica sul
punto, il giudice possa d’ufficio condannare la parte soccombente a pagare una
somma di denaro (da determinarsi da parte del giudice) all’altra parte, quando
le domande o le difese risultano manifestamente infondate. I giudici più
anziani sono legati alle prassi assai più «condiscendenti» e lassiste del
passato, ma ho molta fiducia nelle nuove generazioni di magistrati, assai più
pronti ad applicare sanzioni contro parti ed avvocati sleali. Ancora una volta,
la presenza di specifiche direttive del capo dell’ufficio giudiziario su questo
tema potrebbero rivelarsi utile a persuadere i giudici più anziani della
necessità di tenere in debito conto il comportamento di parti ed avvocati,
allorquando la causa arriva a decisione.
In proposito andrà tenuto
presente che l’estensione del Programma Strasburgo operata nel 2011 dal
Presidente della Corte d’Appello di Torino a tutti i Tribunali del Distretto
del Piemonte prevede proprio che il Giudice liquidi le spese di lite, in linea
di massima, nella misura richiesta dalla parte vittoriosa, applicando la nuova
formulazione dell’art. 96 cit. ogni qualvolta la lite appaia a suo giudizio
temeraria, anche a prescindere dalla prova del pregiudizio subito dalla parte
vittoriosa, atteso che l’abuso del processo va contrastato, in quanto causa di
danno indiretto all’erario per l’allungamento del tempo generale nella
trattazione dei processi, oltre che un danno diretto per il litigante per il
ritardo nell’accertamento della verità.
7.
La motivazione delle sentenze.
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
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giudici» |
Art. 3) La sentenza andrà stilata in forma concisa, come
prescritto dal codice di rito (art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.; art. 118,
comma 2, disp. att. c.p.c.), senza prendere in considerazione questioni
irrilevanti al fine del decidere. Il giudice terrà a mente il principio che la sentenza è
essenzialmente una decisione e non uno sfoggio di erudizione. Il giudice farà il possibile, nel corso della trattazione,
per convincere i legali a contenere al massimo la lunghezza dei relativi
scritti difensivi, concentrandosi sui soli temi pertinenti. Nelle cause contumaciali o di agevole soluzione il
giudice adotterà la tecnica della decisione ex art. 281-sexies
c.p.c. Negli altri casi il deposito della sentenza (in
originale, completa di intestazione e conclusioni) deve avvenire nei termini
di legge; la sua comunicazione nei 5 giorni successivi dal deposito del
documento cartaceo da parte del giudice (art. 133, comma 2, c.p.c.), Nei casi (da ritenersi eccezionali) di
deposito della minuta ex art. 119
disp. att. c.p.c. le operazioni successive non dovranno protrarsi oltre i 30
giorni successivi, riservati per due terzi alla “scritturazione” (a cura della cancelleria)
e per un terzo alla “collazione” e alla firma (a cura del giudice). Per
“minuta” si intende anche la sentenza priva di epigrafe o di conclusioni. Per le operazioni di scritturazione delle “conclusioni”
la cancelleria potrà farà uso dei floppy-disk
e dei CD-ROM (se forniti da difensori), ovvero di scanner. |
- - - |
La tradizione legale italiana
conosce un sistema di motivazione delle sentenze che appare più adatto allo
stile di ponderosi e complessi «trattati». Il vantaggio di questo sistema è che
gli avvocati possono trovare nella motivazione risposte ai problemi ed alle
questioni legali (il più delle volte, irrilevanti) che essi hanno sollevato
durante il processo, così come motivi e ragioni per presentare appello. Lo
svantaggio è che giudici, «intimiditi» dalla necessità di spiegare in lungo e
in largo le ragioni delle loro decisioni, possono essere tentati di differire
il momento del giudizio, così sperando di persuadere le parti ad abbandonare la
causa e trovare una soluzione transattiva, ciò che, purtroppo, assai raramente
accade.
Ne deriva che uno dei «colli di
bottiglia» della giustizia civile
italiana è il tempo che intercorre tra il momento in cui una causa è stata
completamente istruita con l’esperimento dell’attività istruttoria ed il momento
in cui viene emanata la decisione. Ciò prova che una delle possibili cause dei
ritardi della giustizia è costituita proprio dalla complessità dell’attività di
motivazione delle sentenze.
Fortunatamente una riforma
recente, che ha interessato le due disposizioni del codice di rito relative
alla motivazione della sentenza civile (artt. 132, cpv., n. 4, c.p.c. – 118
disp. att. c.p.c.), obbliga oggi i giudici ad essere più concisi di un tempo.
Ma il peso di una tradizione secolare è ancora molto forte. Di conseguenza una
raccomandazione come quella contenuta nel citato art. 3) del «Decalogo» torinese appare più che benvenuta.
Anche un’attività di formazione
sul modo di redigere le sentenze potrebbe produrre qualche effetto positivo. Un
ricorso incrementato alla citazione dei precedenti giurisprudenziali,
disponibili in versione elettronica, potrebbe inoltre rivelarsi di una qualche
utilità, nella riproduzione dei passaggi rilevanti di precedenti motivazioni,
che il giudice potrebbe considerare riferibili al caso in esame. Gli avvocati
potrebbero essere invitati a fornire una versione elettronica dei loro atti, di
modo che i passaggi relativi e rilevanti delle loro osservazioni potrebbero
essere utilizzati per la motivazione del giudice, quando costui ritenga che ciò
possa essere utile. Lo stesso vale per il verbale delle udienze in cui si sono
raccolti elementi di prova (deposizioni dei testimoni, considerazioni dei
consulenti, ecc.).
In questo contesto, una menzione
andrebbe anche fatta del tentativo di conseguire una sorta di «standardizzazione» dei generi più comuni di
ordinanze e decreti istruttori, interinali e cautelari. Su questo tema un il
gruppo di lavoro opera nel mio ufficio giudiziario e si è impegnato a riferire
in merito durante l’assemblea generale degli Osservatori sul processo civile,
che avrà luogo a Torino il 28 maggio 2011. Vorrei solo aggiungere che una
«uniformizzazione» ed una «standardizzazione» (quanto meno) di alcuni tipi di
provvedimenti, anche se di minor rilievo, combacia con l’esempio che ci viene
dalla legislazione europea. Ed in effetti, tutta una serie di atti e
provvedimenti in campi quali l’assunzione della prova all’estero, l’ingiunzione
europea di pagamento, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni
giudiziarie, ecc., sono (ed anzi non possono che essere!) emessi utilizzando i
formulari allegati ai vari regolamenti UE, disponibili in Internet.
Una menzione di questo genere
potrebbe pure essere inserita nelle
«Direttive SATURN», le quali non sembrano contenere disposizioni di
questo genere.
Giacomo Oberto
Giudice del Tribunale di Torino
Componente del Groupe
de Pilotage «SATURN», costituito presso la Commission Européenne pour l’Efficacité de la Justice del Consiglio
d’Europa
Febbraio 2011
(*) Versione italiana del testo predisposto in lingua
inglese per la Nona Riunione (Strasburgo, 19-20 maggio 2011) del Groupe de Pilotage «SATURN» costituito
presso la Commission Européenne pour
l’efficacité de la justice (CEPEJ)
del Consiglio d’Europa (per informazioni al riguardo cfr. la pagina web seguente: http://giacomooberto.com/cepej_per_sito.htm).