Giacomo Oberto

 

LA MODIFICA DEL REGIME PATRIMONIALE SCELTO

NEL CONTRATTO DI CONVIVENZA

 

 

Sommario: 1. La possibilità di operare una modifica del regime patrimoniale ed i suoi effetti sul sistema della comunione tra conviventi di fatto. Generalità sulla scelta tra «regime» e «non regime». – 2. Segue. Peculiarità della comunione tra conviventi costituita a seguito di stipula o di modifica del contratto di convivenza. In particolare, il problema della pubblicità del regime patrimoniale e delle relative modifiche introdotte ai sensi del comma 54. – 3. Il comma 54 quale regola per la determinazione della concreta estensione del principio di libertà contrattuale tra conviventi di fatto. Generalità e applicazioni in tema di fondo patrimoniale, vincolo di destinazione e impresa familiare. – 4. La possibilità di operare una modifica del regime patrimoniale quale ulteriore prova dell’apertura del sistema verso regimi convenzionali di comunione ordinaria tra conviventi di fatto. – 5. Segue. Peculiarità in tema di comunione ordinaria di fonte negoziale tra conviventi di fatto. – 6. La possibilità di operare una modifica del regime patrimoniale quale ulteriore prova dell’ammissibilità di un regime di comunione a quote non uguali, oppure «ampliata» o «ristretta» rispetto a quella ex artt. 177 e segg. cod. civ. tra conviventi di fatto. – 7. Individuazione del dies a quo di operatività della modifica del regime originariamente prescelto dai conviventi di fatto. – 8. Individuazione del dies ad quem di operatività della modifica del regime originariamente prescelto dai conviventi di fatto.

 

 

1. La possibilità di operare una modifica del regime patrimoniale ed i suoi effetti sul sistema della comunione tra conviventi di fatto. Generalità sulla scelta tra «regime» e «non regime».

 

Prescrive il comma 54, art. 1, legge 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. «Legge Cirinnà») che «Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza  può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalità di cui al comma 51». Siffatta disposizione possiede solo in apparenza carattere marginale nel sistema di autonomia negoziale introdotto dalla novella [1]. A ben vedere, infatti, essa costituisce una vera e propria «chiave di volta» nell’esegesi di un’architettura normativa che troppi vorrebbero leggere, inaccettabilmente, come diretta a contenere nei soli, angusti, limiti letterali del comma 53 l’oggetto di un possibile accordo patrimoniale tra conviventi [2].

Il comma 54 va visto, come appare evidente, in stretta correlazione con il precedente, di cui approfondisce il richiamo al «regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza» e, dunque, in primis, al regime comunitario. Richiamo che risulta, come noto, concepito nei testuali termini seguenti: «53 (…) Il contratto può contenere: (…) c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile (…)».

Da quanto sopra può desumersi, innanzi tutto, che ai conviventi che avessero originariamente optato per la comunione è consentito tornare a quella situazione di «assenza di regime» che caratterizza quei faux ménages che, anche eventualmente in presenza di un contratto di convivenza, non avessero però previsto la comunione (oppure, naturalmente, non avessero stipulato alcun contratto di convivenza). Siffatta situazione, si badi, non è perfettamente coincidente con quella dei coniugi (o dei civilmente uniti) in regime di separazione dei beni [3]. Per questi ultimi, invero, vige comunque un (vero e proprio) regime, che comporta l’applicazione di regole speciali (si pensi ad es. a quanto stabilito dagli artt. 217, 218 e 219 cod. civ.), non riferibili (per lo meno, in assenza di apposita convenzione, come si dirà tra un attimo) alla situazione delle coppie conviventi di soggetti che non siano uniti tra di loro in matrimonio (o in rapporto di unione civile) [4].

Altra ovvia considerazione che deriva dalla lettura del comma 54 è quella per cui alle coppie conviventi che, in sede di stipula di un precedente contratto di convivenza, non avessero previsto l’instaurazione del regime comunitario, è senz’altro consentito, in ogni tempo, operare quest’ultima scelta, mercé una modifica attuabile secondo quanto stabilito dal comma predetto. I relativi problemi sono pertanto analoghi a quelli concernenti il regime di comunione originariamente stipulato nel contratto di convivenza, ai sensi del comma 53.

La questione dell’applicabilità alle coppie conviventi more uxorio del regime di comunione legale è antica quanto il regime stesso [5] e uno studio approfondito di questo profilo porterebbe lontano dalle specifiche peculiarità del comma 54 qui in esame, per cui non resterà che fare rinvio alle più opportune sedi [6]. Ciò che si può dire nel presente contesto è che, oltre a sollevare l’interrogativo – su cui si rimanda a quanto verrà detto tra breve [7] – circa la possibilità per i conviventi di dar vita a regimi e comunque a sistemazioni patrimoniali diversi dalla comunione di cui agli artt. 177 e segg. cod. civ., la riforma del 2016 pone svariati dubbi sulla sua concreta portata ed applicabilità.

Al riguardo è sfuggito al frettoloso riformatore che la comunione legale tra coniugi (così come, ora, tra i soggetti dell’unione civile) è un regime che, come si suole dire, «va per legge» ed opera non solo quando un acquirente dichiara di esservi sottoposto, ma anche quando un qualsiasi acquisto rilevante ex art. 177, lett. a), cod. civ., sia effettuato, pure «separatamente», da uno dei due soggetti a tale regime sottoposti.

Inoltre, il regime coniugale legale, richiamato sic et simpliciter dai commi 53 e 54, si colloca, come noto, all’interno di un (peraltro singolare e criticatissimo) sistema di pubblicità «in negativo», risultante dal raffronto (talora si parla di «lettura incrociata») tra i registri di stato civile (non quelli anagrafici, che costituiscono invece lo strumento attraverso i quali la riforma del 2016 tenta di fornire pubblicità ai regimi convenzionali tra conviventi) e i pubblici registri immobiliari; da ciò deriva che, allorquando un qualsiasi soggetto aliena o acquista beni immobili o mobili registrati, i terzi potenziali aventi causa dovrebbero essere in grado di sapere se quel trasferimento ha inciso su di una situazione di comunione legale, vuoi ex latere venditoris, vuoi ex latere emptoris. Lo stesso è a dirsi, naturalmente, per i creditori, che sono trattati in modo assai differenziato, in relazione alla «categoria» cui appartengono (se, cioè creditori «della comunione» o creditori «personali»), a seconda che essi tentino di agire in executivis contro beni comuni o, viceversa, personali dei coniugi: cfr. artt. 186, 187, 188, 189 e 190 cod. civ. [8].

Nulla di tutto ciò appare immaginabile in relazione alla comunione di cui qui si discute, che è à la fois «legale», per effetto del rinvio espresso, operato dal comma 53, «alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile», ma anche (e soprattutto!) «convenzionale», perché nasce pur sempre da un accordo. A parte il gioco di parole, e l’apparente antinomia logica, sarà però opportuno ricordare, per evitare ogni equivoco, che comunque il «regime legale» (nel senso di «normale» e «automatico») dei conviventi, ancorché legati da apposito contratto di convivenza, è e resta pur sempre la più totale assenza di qualsiasi regime. Il regime di comunione, che è legale (sempre nel senso di «normale» e «automatico») per coniugi e partners dell’unione libera, entrerà in funzione per i conviventi solo a condizione che ciò sia stato espressamente pattuito nel contratto di convivenza (o nella relativa modifica) redatto nei modi e nelle forme descritti (si fa per dire) dalla novella del 2016 (commi 50 e segg.).

 

 

2. Segue. Peculiarità della comunione tra conviventi costituita a seguito di stipula o di modifica del contratto di convivenza. In particolare, il problema della pubblicità del regime patrimoniale e delle relative modifiche introdotte ai sensi del comma 54.

 

Il profilo che più colpisce l’interprete che si accosta all’istituto della comunione disciplinata dai commi 53 e 54 della novella del 2016 non è dato tanto dalla circostanza che un regime legale possa scaturire da una manifestazione negoziale: chi scrive ha già trattato dell’argomento in altra sede, con riguardo proprio ai casi di comunione (legale) tra coniugi (e ora anche tra soggetti civilmente uniti) nascente non ex lege, ma da apposita convenzione [9]. Ciò che lascia perplessi, invece, è che non si siano minimamente affrontate, neppure a livello di mero abbozzo, le conseguenze dell’introduzione di un regime come quello di cui agli artt. 177 e segg. cod. civ. nel campo delle relazioni tra conviventi.

Regime che, come appare evidente, può costituirsi non solo per effetto dell’originaria scelta, nel contratto di convivenza, ai sensi del comma 53, lett. a), ma che può venire in essere anche a seguito di mutamento di regime, ai sensi proprio del comma 54 cit.; ciò che comporta l’ulteriore problema della necessità di un’adeguata pubblicità della convenzione che determina il mutamento di regime: convenzione, questa, la cui (inadeguata) «pubblicità» non può essere (in assenza di norme ad hoc) se non la stessa prevista per l’ «originario» contratto di convivenza, come del resto confermato dall’espresso richiamo del comma 54 al precedente comma 51. 

Qui, tanto per fermarsi alle lacune più vistose, va subito detto che, se non verrà istituito un adeguato sistema pubblicitario, il terzo non si troverà mai in condizione di sapere se il bene rispetto al quale intende porsi quale avente causa o creditore agente in executivis sia di proprietà esclusiva del suo dante causa/debitore, ovvero in contitolarità con il (la) convivente [10]. Inutile dire che, per le ragioni illustrate in altra sede [11], non può certo ritenersi idonea la prescrizione secondo cui il professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto «deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223» (comma 52).

Sul punto è intervenuta, come noto, la circolare 1° giugno 2016, n. 7/2016 del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione Centrale per i Servizi Demografici, prescrivendo la «registrazione» nelle schede individuali di residenza ed in quella di famiglia «della data e degli estremi della comunicazione da parte del professionista» [12]. Ora, come già chiarito altrove [13], queste semplici(stiche) formalità non appaiono idonee, di per sé, a fornire adeguata pubblicità ai terzi circa l’eventuale esistenza di un regime di comunione inter partes, per non dire poi dell’assoluta inidoneità a consentire ai terzi, di comprendere quale sia l’esatta condizione del bene immobile o mobile registrato rispetto al quale essi si pongono (o intendono porsi) quali aventi causa o creditori (personali o, eventualmente, comuni) pignoranti.

La situazione appare qui ancor più grave di quella ampiamente descritta in altre sedi [14] relativamente alla pubblicità dei regimi patrimoniali inter coniuges (estensibili oggi anche alle coppie civilmente unite), posto che, nella presente fattispecie, il regime di cui agli artt. 177 e segg. cod. civ. non discende ex lege dalla mera convivenza (certificata o meno che sia), né tanto meno dalla semplice stipula di un contratto (registrato o meno che sia), ma deriva dal fatto che il contratto (così come la relativa, eventuale, modifica) abbia per suo specifico oggetto (esclusivo o meno) la costituzione del regime comunitario.

Da ciò discende altresì il dubbio, più che legittimo, sull’applicabilità, ad es., dell’art. 184, primo e secondo comma, cod. civ., al caso dell’alienazione, senza il consenso del partner, di un bene immobile o mobile registrato in precedenza acquistato dall’altro convivente senza menzione del regime comunitario. In assenza di (istituende) idonee formalità pubblicitarie presso gli uffici di anagrafe (o presso altri uffici), in grado di rendere edotti i terzi dell’eventuale esistenza (non solo e non tanto di un contratto di convivenza tra due conviventi, bensì) di un regime di comunione analogo a quello disciplinato dagli artt. 177 ss. c.c., l’unico caso ad oggi astrattamente immaginabile di sicura opponibilità di tale situazione è infatti quello in cui il convivente eventualmente pretermesso all’atto dell’acquisto immobiliare o mobiliare (con riguardo ad un bene mobile registrato) abbia avuto l’accortezza di proporre domanda d’accertamento della ricaduta in comunione di tale acquisto e l’abbia tempestivamente trascritta sui pubblici registri immobiliari contro il proprio convivente [15].

In ogni caso, tuzioristicamente, sembra indispensabile raccomandare ai notai l’accertamento della situazione personale delle parti che in atti risultino non coniugate (o non legate da unione civile), presso i registri anagrafici, al fine di verificare nella provenienza del bene che il dante causa non sia per caso legato a terzi da contratto di convivenza che preveda la comunione dei beni. Pertanto il notaio dovrà comunque far risultare sulla nota il regime patrimoniale delle parti, secondo quanto disposto dall’art. 2659 cod. civ., a dispetto del fatto che la norma contenga l’inciso «se coniugate» (oggi riferibile anche alle parti dell’unione civile, secondo quanto disposto dal comma 19, legge 20 maggio 2016, n. 76, che la citata disposizione espressamente richiama), posto che il citato articolo del cod. civ. non può non ritenersi implicitamente richiamato per le convivenze di fatto dal rinvio operato dal c. 53, lett. c) all’istituto della comunione legale tra coniugi [16].

Risulta dunque confermata la tesi della sostanziale inapplicabilità (per lo meno, in assenza di appropriati interventi sugli strumenti che concretamente disciplinano il funzionamento della registrazione anagrafica) ai conviventi, pur nel caso di previsione negoziale del regime ex artt. 177 e segg. cod. civ., del sistema di opponibilità ex lege proprio di quest’ultimo, valevole nei rapporti inter coniuges (e tra civilmente uniti).

D’altro canto, l’opponibilità ai terzi della comproprietà sui beni acquistati nel corso della convivenza non potrebbe essere riprodotta nemmeno mediante il ricorso al meccanismo della trascrizione del contratto di convivenza. Tale contratto, invero, se diretto alla costituzione di un regime di contitolarità dei futuri acquisti, non potrebbe certo operare all’atto della sua conclusione il trasferimento di alcun diritto reale immobiliare, ma si configurerebbe come una sorta di mero «accordo programmatico».

Conseguentemente, non soltanto si esulerebbe dalle ipotesi per le quali l’istituto della trascrizione è (tassativamente) previsto, ma verrebbe anche a mancare quella specifica indicazione dei singoli beni oggetto dell’atto, che, sola, può rendere tecnicamente sottoponibile il negozio a pubblicità (cfr. artt. 2659, n. 4, cod. civ., 2665 cod. civ.) [17]. L’unico rimedio di natura reale competente al partner «pretermesso» sarebbe allora, come detto, quello della proposizione contro l’altro di un’azione di rivendica (nel caso di effetto reale differito, nel contesto di un regime comunitario modellato sulla falsariga di quello descritto dagli artt. 177 ss. c.c.), ovvero di una domanda ex art. 2932 cod. civ. (nel caso di semplice obbligo a trasferire, come pure convenzionalmente prevedibile, secondo quanto verrà illustrato in seguito), con immediata trascrizione dell’atto di citazione, ai sensi e per gli effetti, rispettivamente, degli artt. 2653, n. 1 cod. civ. o 2652, n. 2, cod. civ. [18].

 

 

3. Il comma 54 quale regola per la determinazione della concreta estensione del principio di libertà contrattuale tra conviventi di fatto. Generalità e applicazioni in tema di fondo patrimoniale, vincolo di destinazione e impresa familiare.

 

A questo punto diviene però indispensabile tentare di comprendere se l’espressione «può essere modificato», di cui al comma 54 cit., si limiti all’alternativa tra regime comunitario (ex comma 53) e «non regime», secondo quanto esposto nei paragrafi precedenti, ovvero, in alternativa, sottenda la possibilità di introdurre modifiche convenzionali alle due situazioni antagonistiche così individuate, sì da immaginare, da un lato, la creazione di un sistema di comunione ordinaria (magari integrato, come si dirà, da opportuni adattamenti) o, dall’altro, di una comunione convenzionale del genere di quella descritta dagli artt. 210 e 211 cod. civ., o, ancora, tutto all’opposto, di un regime di separazione dei beni, in cui le regole di cui agli artt. 217, 218 e 219 cod. civ. vengano introdotte per via pattizia.

Prima di addentrarsi nei dettagli di ciascuna di queste tre possibili soluzioni alternative, sarà il caso di sottolineare che, in omaggio al generale principio di libertà contrattuale, cui il legislatore non sembra certo aver inteso qui derogare, le «modifiche» di cui al comma 54 ben possono estendersi a ricomprendere tutte quelle previsioni che norme imperative, ordine pubblico, o buon costume non vietino [19]. Sarebbe, invero, quanto meno singolare che il principio di libertà contrattuale, riconosciuto con estrema larghezza, sin dal diritto romano, dall’usus modernus pandectarum nell’Europa del diritto comune e dal droit coutumier d’oltralpe (da cui derivano le basi del nostro moderno sistema giusfamiliare nel settore patrimoniale) alle convenzioni matrimoniali tra coniugi (ed ora anche alle «convenzioni patrimoniali» tra civilmente uniti) [20] dovesse essere negato, o anche solo circoscritto alle ipotesi espressamente indicate dalla novella, con riguardo ai rapporti patrimoniali tra conviventi di fatto, che fanno dichiaratamente perno proprio sull’istituto disciplinato dagli artt. 1321 e segg. cod. civ.

Sarebbe inoltre veramente assurdo che la libera stipulabilità di convenzioni matrimoniali atipiche, universalmente proclamata in tema di rapporti inter coniuges (ed ora anche tra soggetti civilmente uniti) [21], dovesse essere negata ai conviventi di fatto [22].

Ciò peraltro significa che, a maggior ragione rispetto a quanto si è chiarito in relazione al regime «convenzionale/legale» della comunione tra conviventi, proprio in applicazione di quel principio della privity of contract che del contratto costituisce cardine irrinunziabile, gli effetti delle pattuizioni tra i membri della famiglia di fatto saranno opponibili ai terzi solo nel pieno rispetto delle regole generali di sistema a tal fine preposte.

Ne deriva, ad esempio, che l’eventuale comunione convenzionale che dovesse abbracciare anche immobili di cui ciascuno dei conviventi era titolare prima dell’inizio del rapporto more uxorio sarà opponibile solo a condizione di risultare da un atto assoggettato a trascrizione sui pubblici registri immobiliari, e così via [23].

Al di là dei poteri appena descritti, poi, non vi è dubbio che, nonostante il silenzio della riforma, i contratti di convivenza – proprio in forza del richiamato principio scolpito nell’art.1322 cod. civ. e della conseguente lettura estensiva del contenuto del comma 53, alla luce del successivo comma 54 (e del fatto che lo stesso comma 53 utilizza l’espressione «può contenere…» e non «può esclusivamente contenere…») – ben potranno disporre ulteriori provvidenze di tipo patrimoniale rispetto a quelle sopra (e infra) descritte.

Si pensi, tanto per riportare un paio di esempi, alla libera costituibilità di vincoli di destinazione nell’interesse della famiglia, ex art. 2645-ter cod. civ. [24], o alla istituzione di trusts familiari, eventualmente «interni» [25].

Per quanto attiene, invece, al fondo patrimoniale, a prescindere dalle corali considerazioni della dottrina sulla scarsa utilità dell’istituto, che ha trovato concreta e rigogliosa applicazione praticamente al solo fine di frodare i creditori [26], ferma restando l’inestensibilità per via analogica dell’istituto alla famiglia di fatto [27], va detto che uno degli aspetti più qualificanti dello stesso, cioè il vincolo di inalienabilità e di inespropriabilità sui beni che ne formano oggetto, non potrebbe in ogni caso essere riprodotto, neppure per via indiretta, in quanto effetto di norme (cfr. artt. 169 e 170 cod. civ.) dirette a regolare I rapporti verso i terzi e dunque non riproducibili a mezzo di uno strumento, quale quello contrattuale, destinato a generare effetti esclusivamente inter partes (cfr. art. 1372 cpv. cod. civ.). Per non dire poi della tassatività (desumibile dall’art. 2740 cod. civ.) delle ipotesi normative dirette alla costituzione di un effetto segregativo sul patrimonio di un soggetto, o su porzioni di esso.

 È chiaro, del resto, che una diretta applicazione degli artt. 167 e segg. cod. civ. sarebbe comunque esclusa dal fatto che l’istituto in oggetto non può prescindere dalla presenza di una famiglia fondata sul matrimonio (o, oggi, sull’unione civile) [28].

Appare altrettanto evidente, peraltro, che risultati analoghi (e, per molti versi ancora più pregnanti) potranno essere ottenuti mercé la costituzione di vincoli di destinazione, secondo quanto sopra accennato. Rapporti, questi, che potranno addirittura estendersi a contemplare l’ipotesi di una successiva formalizzazione del rapporto inter partes, con la clausola, ad esempio, in forza della quale il vincolo di destinazione si trasformerà in fondo patrimoniale in caso di celebrazione delle nozze, o, a seconda delle ipotesi, di costituzione di unione civile (naturalmente, a condizione che le regole formali richieste per le convenzioni matrimoniali siano rispettate) tra le parti del contratto di convivenza. Attesa la già ricordata applicabilità dei principi generali in tema di libertà contrattuale dovrà qui ribadirsi, dunque, la possibilità di prevedere tale possibile (e condizionata) trasformazione nello stesso contratto di convivenza, ovviamente sempre a condizione che non si stabiliscano effetti in contrasto con regole inderogabili.

Così non sarà certo immaginabile la previsione di una continuation de communauté tra i soggetti di una coppia di fatto, per il caso di celebrazione di matrimonio o costituzione di unione civile, per una comunione inizialmente (cioè fin tanto che dura la convivenza) prevista per quote diverse [29]. Lo stesso è a dirsi per eventuali accordi su modalità e quantità dell’adempimento del dovere di contribuzione fissato tra conviventi in modo non conforme alla regola scolpita nell’art. 143 cod. civ. Disciplina negoziale, questa, ammissibile inter concubinarios [30], ma invalida se pattuita inter coniuges o tra soggetti legati da unione civile.

Per ciò che attiene invece all’impresa familiare dovrà senz’altro negarsi l’ammissibilità della pattuizione di un «regime» tale da produrre effetti analoghi a quelli dell’impresa familiare. Le conclusioni di cui sopra, già presentate prima della novella del 2016 [31], continuano a valere pur dopo l’introduzione dell’art. 230-ter cod. civ. [32]: disposizione, questa, che, come quella che immediatamente la precede nel codice, attiene ad una fattispecie di tipo quasi-contrattuale e non contrattuale, prescrivendo l’applicazione di una serie di rimedi che scaturiscono non già dall’incontro di manifestazioni di volontà negoziali, bensì dall’esistenza di determinati presupposti di mero fatto.

Invero, l’assunzione per via contrattuale dell’impegno a prestare la propria collaborazione continuativa in cambio dei diritti previsti vuoi dall’art. 230-bis cod. civ. vuoi dall’art. 230-ter cod. civ. non sembra sfuggire agli schemi (variamente applicabili, a seconda della concreta strutturazione dell’accordo) del lavoro subordinato, dell’associazione in partecipazione o della società. D’altro canto, non può negarsi che, se tra le parti esiste una volontà diretta a formalizzare in qualche modo la partecipazione del convivente «debole» all’impresa gestita dall’altro, sia più logica la costituzione di una società, nella quale la posizione del primo potrebbe essere meglio tutelata mediante la fissazione di una quota certa di partecipazione. Ciò che il contratto di convivenza potrebbe, semmai, contenere, è un negozio di tipo meramente ricognitivo, in cui le parti danno atto dell’esistenza, nel caso concreto, degli estremi di cui all’art. 230-bis cod. civ. e dei conseguenti diritti in capo al convivente collaboratore, magari procedendo ad una concreta quantificazione degli stessi.

 

 

4. La possibilità di operare una modifica del regime patrimoniale quale ulteriore prova dell’apertura del sistema verso regimi convenzionali di comunione ordinaria tra conviventi di fatto.

 

Chiarito quanto sopra in linea generale, sarà ora il caso di approfondire la prima delle tre vie alternative sopra tracciate, vale a dire quella della stipula, vuoi in sede di modifica ai sensi del comma 54, vuoi sin ab initio, di regimi di contitolarità ordinaria dei beni, sulla falsariga di quelle preconizzate già diversi anni or sono [33], tenendo presente che, ora, quella soluzione sembra proprio favorita (ed anzi, incoraggiata) proprio dalla previsione di cui al comma 54 qui in esame.

Si potrà ricordare al riguardo che, pur non sussistendo in linea di principio nel nostro ordinamento ragioni per ritenere vietata, ancora prima della novella del 2016, una riproduzione per via negoziale di quello che nella famiglia legittima è il regime legale [34], l’effetto non avrebbe comunque potuto mai essere quello di un’applicazione dell’istituto della comunione coniugale nella sua interezza. Invero, è evidente che, per il già ricordato principio della privity of contract (art. 1372 cod. civ.), non avrebbero comunque potuto mai essere esattamente riprodotte quelle «ricadute esterne» tipiche della comunione inter coniuges, che, pure, di tale regime costituiscono uno dei punti più qualificanti. Si pensi, in particolare, all’opponibilità ex lege della proprietà comune ex art. 177, lett. a), cod. civ. anche in difetto di trascrizione dell’acquisto in favore di entrambi [35], con il connesso rimedio dell’annullabilità degli atti di disposizione relativi ai beni immobili o mobili registrati compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro, ai sensi dell’art. 184, primo e secondo comma, cod. civ. [36].

Gioverà dunque ribadire che ciò che si poteva prevedere, prima delle disposizioni in esame era, invece, un regime di comunione (ordinaria) in relazione a tutti (o eventualmente ad alcuni) i beni da acquistarsi durante la convivenza, anche da parte di uno solo dei conviventi. Orbene, è da ritenersi che proprio la lettura suggerita del nuovo sistema, alla luce del principio sancito ora dal comma 54, possa condurre ad analoghe conclusioni. Se, infatti, alle parti è concesso modificare in ogni tempo il regime comunitario modellato sulla falsariga di quello vigente per le coppie coniugate e civilmente unite, optando, ad esempio, per il regime «antagonista» di separazione dei beni, deve senz’altro reputarsi possibile, a maggior ragione, in ogni tempo optare per regimi patrimoniali, quali quello qui divisato, di tipo comunitario, sebbene (più o meno leggermente) diverso da quello di cui agli artt. 177 e segg. cod. civ.

L’effetto potrebbe essere conseguito mediante la pattuizione di una versione contrattuale dell’«acquisto (o co-acquisto) automatico» di cui all’art. 177, lett. a), cod. civ. e, dunque, di un effetto reale di trasferimento di una quota ideale dei diritti acquisiti [37], che si dovrebbe verificare automaticamente all’atto stesso del perfezionamento di ogni negozio acquisitivo da parte di uno dei partners. Un’altra possibilità sarebbe costituita da un impegno di natura meramente obbligatoria a trasferire la titolarità di una quota del diritto acquistato, con un meccanismo analogo a quello di cui all’art. 1706 cod. civ. [38].

Nessuna obiezione sembra sollevabile circa la determinabilità dell’oggetto di un simile contratto. È infatti noto che tale requisito può ritenersi soddisfatto anche quando, una volta individuati nel titolo gli elementi necessari e sufficienti per compiere la determinazione, quest’ultima avvenga sulla base di eventi esteriori, quali comportamenti o dichiarazioni delle stesse parti o di terzi: basti pensare alla nota teoria giurisprudenziale della «determinabilità ex post» .[39]. L’impostazione sembra del resto ricevere un conforto legislativo dalla disciplina normativa della cessione dei crediti d’impresa, che ammette, per l’appunto, tale cessione «anche prima che siano stipulati i contratti dai quali [i crediti stessi] sorgeranno» (cfr. art. 3, l. 21 febbraio 1991, n. 52 «Disciplina della cessione dei crediti di impresa»).

Alla luce delle precisazioni di cui sopra, già fornite da tempo da parte di chi scrive [40], non appaiono condivisibili le critiche di chi [41], in relazione all’ipotesi del ritrasferimento automatico, ritiene di dover richiamare l’argomento dell’intrascrivibilità del mandato: rilievo, questo, del tutto ininfluente nella specie, proprio perché, come a suo tempo ampiamente ricordato, il «regime» tra conviventi è comunque una situazione puramente «interna». A prescindere, poi, dal fatto che non sembra metodologicamente corretto far derivare dalla disciplina pubblicitaria (che rappresenta, semmai, un posterius) conseguenze sul piano dell’esistenza degli istituti giuridici «sostanziali».

Quanto all’asserita indeterminatezza dell’oggetto [42], si è anche qui illustrato, da tempo, che non di (asserita) determinatezza si tratta, bensì di (comprovata) determinabilità ex post, esattamente come è avvenuto per decenni in base alla giurisprudenza di legittimità per la fideiussione omnibus, secondo una ratio decidendi condivisa poi, come si è dimostrato, dallo stesso legislatore.

 

 

5. Segue. Peculiarità in tema di comunione ordinaria di fonte negoziale tra conviventi di fatto.

 

Quanto sopra, dunque, va ribadito in relazione al caso in cui i conviventi, per un qualche motivo, decidano di non avvalersi della possibilità concessa loro dal comma 53 della novella di effettuare un puro e semplice richiamo alla normativa in tema di comunione legale tra coniugi (e partners dell’unione civile), ma intendano creare tra gli stessi un regime comunitario «sfruttando» il generale principio di libertà contrattuale che pure ad essi l’art. 1322 cod. civ. certamente concede.

Se poi, per via negoziale, si intendesse ottenere effetti analoghi ad alcuni di quelli prodotti dal regime patrimoniale legale dei coniugi e dei civilmente uniti, si potrebbero inserire nel contratto di convivenza apposite clausole.

Così, quel fenomeno tipico del regime comunitario tra coniugi rappresentato dall’indisponibilità della quota, se non con il consenso di entrambi [43], potrebbe essere conseguito mediante un vincolo pattizio di inalienabilità sulle rispettive porzioni dei beni acquistati, vincolo la cui previsione, in considerazione dei particolari rapporti esistenti tra le parti, potrebbe ritenersi determinata da un interesse «apprezzabile» ex art. 1379 cod. civ. Proprio per via di questa norma, però, esso andrebbe contenuto entro convenienti limiti di tempo, né potrebbe venire opposto ai terzi, nemmeno mediante il meccanismo della trascrizione [44]. L’unico rimedio prevedibile in sede di stipula del contratto di convivenza sembra dunque costituito da una penale a vantaggio del convivente «pretermesso», che sarebbe così liberato dall’onere di fornire la dimostrazione (per il vero tutt’altro che agevole) di aver subito un danno per effetto della alienazione della sola quota di comproprietà del partner [45].

Per quanto concerne l’amministrazione dei beni in comunione l’art. 1100 cod. civ. lascia alle parti la massima discrezionalità, espressamente enunciando il carattere dispositivo delle norme di cui al capo I del titolo VII: potranno quindi fissarsi a piacimento regole sull’amministrazione straordinaria, ovvero ordinaria, prevedendo la congiuntività o disgiuntività delle stesse, così come enucleando singoli atti in relazione ai quali venga imposto l’agire congiunto piuttosto che disgiunto [46]. Sarà appena il caso di aggiungere che un eventuale patto di indivisione sarà soggetto alle disposizioni di cui all’art. 1111 cpv. cod. civ., mentre i rimedi da applicarsi in caso di «blocco» nell’amministrazione o di decisioni pregiudizievoli per le cose comuni saranno quelli ex artt. 1105 cod. civ. e 1109 cod. civ. e non già quelli di cui agli artt. 181, 182 e 183 cod. civ.

Relativamente allo scioglimento della comunione ordinaria di fonte convenzionale tra conviventi occorrerà fare richiamo innanzitutto alla necessità – già illustrata in altra sede [47] – di legare il dies ad quem a un evento ben preciso, quale, per esempio, l’invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La relativa clausola potrebbe ritenersi anche superflua, in relazione a quanto disposto dal comma 60, in materia di risoluzione del contratto di convivenza. L’inserimento di questo peculiare tipo di intesa varrebbe, però, a denotare l’intento delle parti di ritenere che, per le stesse, la cessazione del regime è cosa diversa dallo scioglimento del complessivo rapporto negoziale creato con la stipula del contratto di convivenza ex comma 53 (o di una sua modifica, ai sensi del comma 54).

Si potrà poi ricordare che è stata suggerita da tempo la redazione di una lista dei beni mobili apportati da ciascuno dei conviventi, sottoscritta da entrambi, che avrebbe carattere di negozio ricognitivo e servirebbe, in caso di rottura, a risolvere possibili conflitti relativi alla rivendica di singoli beni [48], in tal modo supplendo alla mancanza tra conviventi di una regola analoga a quella di cui all’art. 219 cod. civ.

Peraltro l’utilità della redazione di tale checklist appare assai dubbia, essendo controversa, come noto, l’estensibilità dell’effetto di cui all’art. 1988 cod. civ. (astrazione processuale) ai rapporti di carattere reale [49]. Si potrebbe allora consigliare di specificare accanto a ognuno dei singoli beni il rispettivo titolo d’acquisto: la sottoscrizione apposta dal partner assumerebbe così valore confessorio non solo in ordine alla proprietà (ed è noto che sotto questo profilo la dichiarazione sarebbe irrilevante, risolvendosi in un giudizio), ma anche sulle vicende (e dunque su meri fatti) che giustificano l’acquisto singolarmente in capo a ciascuno dei conviventi. In ogni caso potrebbe anche essere utile convenire una presunzione (iuris tantum) di comproprietà di determinati beni [50] (per esempio, tutti i mobili che si troveranno nell’immobile destinato a residenza comune al momento della cessazione del rapporto), che non sembra, almeno come tale, porsi in contrasto con l’art. 2698 cod. civ.

 

 

6. La possibilità di operare una modifica del regime patrimoniale quale ulteriore prova dell’ammissibilità di un regime di comunione a quote non uguali, oppure «ampliata» o «ristretta» rispetto a quella ex artt. 177 e segg. cod. civ. tra conviventi di fatto.

 

Venendo ora al profilo della determinazione dell’entità delle quote, viene a porsi un problema in relazione alla possibilità di stabilire una forma di comunione convenzionale che veda i conviventi coacquistare in misura diversa dal 50% per ciascuno di essi [51].

Prima della riforma del 2016 lo scrivente aveva più volte preso posizione sul punto in senso affermativo, non sussistendo alcuna disposizione contraria e discendendo la soluzione positiva dalla considerazione del principio di piena libertà contrattuale. Oggi qualche dubbio potrebbe nascere dal fatto che il comma 53 cit. opera un richiamo «in blocco» a quella «sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile» in cui è contenuto l’art. 194 cod. civ. Norma, quest’ultima, che contiene proprio uno dei due principi da cui si desume la regola della parità delle quote inter coniuges.

Ma, ancora una volta, viene in soccorso dell’interprete il comma 54 cit., a rendere chiaro che la facoltà di prevedere convenzionalmente una sistemazione patrimoniale diversa da quella comunitaria – nel contesto, si badi, di un regime comunque convenzionale e dunque ispirato ai criteri di cui agli artt. 1321 e segg. cod. civ. e non a principi più o meno suppostamente inderogabili – non può non ricomprendere l’ipotesi che la comunione venga concepita per quote non uguali.

Sarà, poi, il caso di aggiungere che, a ben vedere, la «vera» disposizione che sancisce l’inderogabilità del principio di parità delle quote è quella di cui all’art. 210 cod. civ. [52]: norma, questa, che la riforma qui in esame comunque non richiama [53]. Va poi aggiunto che il contesto è pur sempre quello della negozialità, in relazione al quale non può non operare, come già più volte ricordato, il principio generale consacrato dall’art. 1322 cod. civ. Inutile dire che il richiamo a tale principio non deriva [54] da un supposto «carattere ricognitivo ed integrativo» della novella del 2016, bensì dal semplice fatto che l’espresso richiamo normativo alla figura del contratto non può non dirigere l’interprete verso l’applicazione di quella «parte generale» che a tale istituto il codice civile, per l’appunto, assegna.

E, del resto, se proprio questa era la via maestra additata da Santoro-Passarelli [55], ormai tanti decenni or sono in relazione al negozio giuridico familiare, pur in assenza di specifici ed espressi richiami normativi [56], quale altra potrebbe mai essere, oggi, la conclusione di fronte all’uso, da parte del legislatore, dell’espressione «contratto» di convivenza?

 A maggior ragione ciò varrà se i conviventi dovessero disegnare i contorni di una comunione ordinaria di fonte convenzionale, come qui indicato. Peraltro, proprio per le ragioni appena addotte, la stessa conclusione va con forza ribadita anche nell’ipotesi in cui gli stessi volessero richiamare in tutto e per tutto le disposizioni di cui alla «sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile», come previsto dal comma 53, lett. c), cit., divergendo solo sul punto parità delle quote da quanto disposto dall’art. 194 cod. civ.

Le considerazioni di cui sopra rendono evidente, ad avviso di chi scrive, la non condivisibilità della tesi che vorrebbe estendere la regola desumibile dall’art. 210 cod. civ. anche ai contratti di convivenza [57], sulla base dell’assunto secondo il quale «non sembra revocabile in dubbio che ove il contratto di convivenza contenga altresì la scelta del regime patrimoniale, lo stesso abbia anche la natura (con le riserve già espresse) di convenzione matrimoniale» [58]. Ma il concetto di «convenzione matrimoniale», per la sua stessa natura (oltre che per la storia millenaria dell’istituto) non può riferirsi se non al rapporto tra persone coniugate (ed ora anche, per espressa estensione normativa, ai civilmente uniti), laddove, tutto al contrario, nella specie il legislatore ha operato una chiara scelta per il generale istituto del contratto (di cui le convenzioni matrimoniali, tra l’altro, costituiscono speciali e settoriali sottospecie); e ciò mentre il già più volte ricordato chiaro tenore del comma 54 cit. (con il relativo rinvio in tema di forma, si badi, al comma 51, anziché all’art. 162 cod. civ.) dovrebbe aiutare l’interprete a comprendere come il contratto di convivenza non sia in alcun modo riconducibile al genus degli istituti negoziali regolati agli artt. 159 ss. cod. civ. (i quali, a loro volta, sono riconducibili, semmai, alla più ampia famiglia dei contratti) [59].

Fatte salve le peculiari considerazioni appena esposte, derivanti dal mancato rinvio all’art. 210, terzo comma, cod. civ., potranno per il resto richiamarsi qui, per le coppie che scelgano di optare per il regime di comunione senza le varianti di cui si è discusso, tutti i rilievi svolti in altra sede a commento dei principi che, in relazione alla coppia coniugale in regime di comunione, contribuiscono a comprendere estensioni e limiti dell’autonomia negoziale [60].

Le conclusioni di cui sopra non sembrano ricevere convincente smentita da uno studio ufficiale, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato nel 2018 [61]. Il documento in questione, vero e proprio atto di sfiducia verso la «forza del contratto» nel campo dei rapporti tra i conviventi, emesso (ed è ciò che appare più sorprendente) dalla rappresentanza ufficiale di una categoria professionale che, tutto al contrario, del contratto e dell’autonomia negoziale endofamiliare dovrebbe fare i propri cavalli di battaglia, pare incentrato sull’idea secondo cui la «comunione eleggibile dai conviventi» sarebbe «soltanto quella legale, non potendosi adottare un regime di comunione “convenzionale”».

Ma, a ben vedere, e a tacer d’altro, appare veramente difficile negare la piena operatività del principio di libertà contrattuale in relazione ad un istituto che, non per nulla, viene chiamato dal legislatore «contratto di convivenza», con conseguente, inevitabile, applicazione dell’art. 1322 cod. civ. Conclusione, questa rafforzata, in primo luogo, dall’argomento specialmente desumibile dal fatto che il comma 53 della l. n. 76/2016 utilizza il verbo «potere» in relazione ai descritti contenuti del contratto di convivenza, chiaramente lasciando ad intendere che l’elenco ivi contenuto ha carattere meramente esemplificativo e, in secondo luogo, dalla constatazione per cui, se (come più volte ricordato) il successivo comma 54 riconosce ai conviventi  la possibilità di mutare il regime, esso implica inevitabilmente la possibilità di optare sin ab initio per regimi di tipo diverso da quello ex artt. 177 e segg. cod. civ. e dunque anche per una comunione «ridotta» o «accresciuta» rispetto a quest’ultima.

Per non dire, poi, del fatto che lo stesso studio dichiara la comunione inter concubinarios, testualmente, «accessibile solo a quelle coppie “di fatto” (ma in realtà “di diritto”) che, sulla base dei requisiti legali, abbiano registrato la loro convivenza, assoggettandola alla legge speciale; abbiano stipulato un contratto di convivenza ai sensi della legge stessa; abbiano in esso optato espressamente per la comunione dei beni; abbiano realizzato la pubblicità dichiarativa prevista dalla legge», così legando l’insorgenza del regime predetto alla (erroneamente ritenuta necessaria) realizzazione di una pubblicità che, pur se (giustamente) definita come «dichiarativa», finirebbe però, nella prospettiva qui criticata, con il divenire costitutiva, in quanto (non condivisibilmente) indicata come elemento imprescindibile perché la coppia possa, per l’appunto, «accedere» al regime comunitario.

 

 

7. Individuazione del dies a quo di operatività della modifica del regime originariamente prescelto dai conviventi di fatto.

 

Con riguardo alla modifica del regime prevista dal comma 54 viene a porsi il problema della determinazione della decorrenza degli effetti di siffatta alterazione del regime, in modo del tutto analogo a quanto vale per il regime originariamente prescelto dai conviventi. Dubbi di una certa serietà investono, invero, l’identificazione dei due momenti più rilevanti per la comunione, allorquando si trovi ad operare nel contesto di un contratto di convivenza: vale a dire quelli che ne marcano, rispettivamente, l’insorgere e la cessazione.

Quando inizia il regime e, nella specie, quando inizia il regime prescelto al momento dell’eventuale modifica del contratto di convivenza?

Nel campo matrimoniale la risposta a questa domanda appare relativamente semplice, atteso che il dies a quo di operatività della comunione legale è identificabile, in assenza di opzione per un regime diverso, con quello di celebrazione delle nozze; nel caso di scelta del regime di separazione, la comunione entra in gioco a decorrere dal successivo momento dell’eventuale stipula della relativa convenzione. E lo stesso è a dirsi allorquando, in un eventuale momento successivo, i coniugi vogliano ripristinare il regime legame mercé la stipula di apposita convenzione matrimoniale per atto notarile.

Il vero problema è, semmai, legato al fatto che tra conviventi, a differenza di ciò che accade nel caso della coppia coniugata, fa difetto un negozio personale formale, solenne e provvisto di data certa quale il matrimonio (o, per le coppie omosessuali, la stipula dell’unione civile), la convivenza di fatto essendo definita dalla stessa legge n. 76/2016 (cfr. il comma 36) alla stregua della situazione di «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile».

Ora, l’unico elemento che sia qui fornito di una data certa è costituito, per l’appunto, dal contratto di convivenza (o dalla sua «modifica», necessitante delle stesse forme). Del resto, come già detto, la novella è chiara nel legare la comunione al contratto di convivenza e non alla convivenza. Dovrà quindi concludersi che il regime eventualmente «previsto» sarà operativo a decorrere dalla stipula del contratto di convivenza, o, nel caso previsto dal comma 54, dalla stipula della relativa modifica nelle forme previste dal comma 51.

L’interrogativo che sorge spontaneo, però, a questo punto, è se la concorde volontà dei paciscenti possa determinare un dies a quo diverso, legato o ad un termine iniziale, o ad una condizione sospensiva, in relazione tanto al «primo» contratto, quanto alle sue possibili modifiche. Qui, da un lato, l’ampia facoltà di modifica «in qualunque momento nel corso della convivenza», prevista dal testo del comma 54, e, dall’altro, l’evidente irriferibilità della condicio iuris di cui alla regola si nuptiae sequantur, sembrerebbero convincere dell’ammissibilità di un accordo di tal genere. Non si dimentichi, del resto, che l’opinione prevalente, storicamente fondata ed assolutamente preferibile (oltre che evidentemente armoniosa rispetto alla concezione contrattuale) in materia di convenzioni matrimoniali, consente l’apposizione di termini e condizioni a queste ultime [62]. Non si comprenderebbe, pertanto, perché mai analoga regola non dovrebbe valere per i contratti di convivenza.

L’unico dubbio sembrerebbe però suggerito dall’improvvida disposizione di cui al comma 56, a mente della quale «Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti». Si sono peraltro già esposte, in altra sede, le ragioni [63] che consigliano di limitare l’operatività della regola ai soli elementi accidentali eventualmente apposti al contratto nel suo complesso e non già a singole clausole di esso. Sembra dunque doversi affermare la possibilità di far decorrere il regime di comunione, così come di qualunque altro regime contrattualmente scelto dai conviventi, a partire da un termine iniziale o dall’avverarsi di una condizione sospensiva eventualmente previsti nel contratto di convivenza o, per quanto di competenza del presente lavoro, nel contratto che opera la modifica del regime, ai sensi del comma 54.

 

 

8. Individuazione del dies ad quem di operatività della modifica del regime originariamente prescelto dai conviventi di fatto.

 

Anche per quanto attiene all’accertamento del dies ad quem di operatività di un’eventuale modifica del regime originariamente prescelto dai conviventi valgono molte delle osservazioni, già espresse in altra sede, circa l’individuazione del momento di cessazione di efficacia del regime [64].

Sul punto va ricordato che, pure con riguardo a questo delicato profilo, la novella del 2016 tace del tutto. Inutile ricordare la capitale importanza dell’accertamento di questo momento, a decorrere dal quale l’effetto coacquisitivo scolpito nell’art. 177, lett. a), cod. civ., per gli acquisti operati dopo tale data, viene meno, nel caso proprio questo fosse il regime deciso in sede di modifica ai sensi del comma 54.

Neppure soccorre più di tanto, in questa sede, il richiamo alle norme in tema di comunione legale tra coniugi.

L’art. 191 cod. civ. individua [65], come noto, inter coniuges, gli eventi idonei a determinare lo scioglimento del regime legale, alcuni dei quali possono considerarsi riferibili anche ai conviventi: dichiarazione di assenza o di morte presunta, separazione giudiziale dei beni, mutamento convenzionale di regime, fallimento, scioglimento convenzionale di azienda ai sensi dell’ult. cpv. dell’art. 191 cod. civ.

Peraltro, l’evento più rilevante dal punto di vista statistico, vale a dire la crisi del rapporto di convivenza, non viene preso in considerazione nei suoi effetti sul regime, laddove ben difficilmente sembra prospettabile un’estensione analogica delle disposizioni di cui al citato art. 191 cod. civ. in materia di crisi coniugale. Queste ultime, infatti, appaiono strettamente legate ad una «ritualizzazione» (annullamento del matrimonio, separazione e divorzio, nelle rispettive variegate forme di manifestazione procedurale: giurisdizionali o meno che siano), cui la crisi della famiglia di fatto rimane, per effetto della novella del 2016, del tutto estranea.

Le uniche norme della l. n. 76/2016 latamente riferibili al caso in esame sembrano essere costituite da quelle di cui ai commi 59, 60 e 61 [66], sicuramente applicabili anche al caso in cui il regime comunitario sia entrato in vigore per quella coppia quale effetto di una modifica dell’originario contratto di convivenza, stipulata ai sensi del comma 54.

Poiché, peraltro, le disposizioni in questione appaiono carenti in ordine alla cessazione del regime di comunione, non rimarrà che concludere nel senso che il dies ad quem del regime di comunione tra conviventi va identificato nei momenti seguenti.

(a)               In caso di scioglimento del contratto di convivenza concordato o unilaterale: nel momento in cui «la risoluzione viene redatta nelle forme di cui al comma 51». Inutile soggiungere che, con riguardo allo specifico problema dell’eventuale riconciliazione, per la coppia (dapprima non più e poi di nuovo) convivente non varrà il principio dottrinale e giurisprudenziale di automatica ricostituzione del regime legale [67], essendo il dato normativo piuttosto chiaro nel collegare la nascita (e dunque, pure l’eventuale rinascita) della comunione tra conviventi alla (necessaria) stipula di un contratto.

(b)              In caso di matrimonio o unione civile tra i conviventi stessi o tra un convivente ed altra persona: nel momento in cui tali eventi hanno luogo. Qui potrà aggiungersi che quanto disposto dai commi 62 e 63 [68] non sembra rilevare ai fini dello scioglimento del regime, trattandosi di attività meramente complementare e successiva.

(c)               Per le altre cause descritte dall’art. 191 cod. civ. varranno le regole elaborate con riguardo ad ogni singola causa di scioglimento della comunione legale; così, ad es., in caso di morte di uno dei contraenti, l’effetto estintivo si produrrà dal momento in cui tale evento ha luogo, e così via [69].

(d)              Per effetto dei già ricordati principi in materia di autonomia contrattuale, applicabili senza limitazioni alla coppia convivente, sarà possibile introdurre condizioni risolutive e termini finali anche in relazione all’operatività di un regime comunitario (così come, naturalmente, di qualunque altro tipo di regime) eventualmente prescelto vuoi all’atto della stipula del contratto di convivenza, vuoi al momento della sua modifica, ai sensi del comma 54. Di particolare utilità sarà la previsione di clausole idonee a legare la cessazione del regime alla crisi del rapporto di coppia, stabilendo opportune provvidenze al riguardo [70].

Appare quasi superfluo aggiungere che la parte aggiunta al comma 60 dal «maxiemendamento» presentato al Senato il 25 febbraio 2016 non risulta di alcuna utilità.

Stabilire, infatti, che «Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile» significa esprimere un’ovvietà addirittura deprimente (è come dire che «se si verifica una causa di scioglimento del regime legale, si applicano le norme in tema di scioglimento del regime legale»).

Stabilire, poi, che «Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza» significa stabilire una cosa gravemente errata, posto che nel nostro ordinamento risulta ancora vigente l’art. 1350 cod. civ., che non impone – purtroppo, come più volte spiegato dallo scrivente [71] – l’atto notarile per la validità di un trasferimento immobiliare [72]. Se, invece, l’intento è solo quello di chiarire che quella dell’atto pubblico continua ad essere (unitamente alla scrittura privata autenticata o verificata) l’unica forma idonea alla trascrizione di un titolo negoziale sui pubblici registri immobiliari ex art. 2657 cod. civ., si afferma allora un principio risaputo.

Il tutto, naturalmente, a meno che il legislatore non abbia voluto stabilire che i trasferimenti immobiliari derivanti da un contratto di convivenza possono effettuarsi solo a mezzo rogito notarile [73]: ciò che, però, non appare desumibile dal sistema, posto che la norma, da un lato, non contiene l’avverbio «esclusivamente» e, dall’altro, risulta altrettanto inspiegabilmente monca in relazione a fenomeni (pur rilevanti ai fini in esame, ma) diversi dal trasferimento (quali, ad es., la costituzione o l’estinzione dei detti diritti), nonché con riguardo ai diritti reali su beni mobili registrati. Quanto sopra, si badi, nel contesto di un sistema in cui il comma 50 pone assolutamente sullo stesso piano l’atto pubblico notarile, da un lato, e la scrittura priva autenticata da notaio o da avvocato, dall’altro.

 

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[1] Nella dottrina italiana, i primi spunti in senso favorevole alla soluzione negoziale dei problemi legati alla famiglia di fatto si trovano già in Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, pag. 150 e segg., 156 e segg.; Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, pag. 151 e segg.; Id., Proposta di legge sul tema: disposizioni in materia di accordi di convivenza, 2001, http://giacomooberto.com/convivenza/proposta.htm, anche in Id., Famiglia e rapporti patrimoniali. Questioni d’attualità, Milano, 2002, pag. 1057 e segg.; Id., I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, in Contratto e impresa/Europa, 2004, pag. 17 e segg.; Id., Famiglia di fatto e convivenze: tutela dei soggetti interessati e regolamentazione dei rapporti patrimoniali in vista della successione, in Fam. e dir., 2006, pag. 661 e segg.; Id., I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, Padova, 2012, pag. 81 e segg.; Id., I contratti di convivenza nei progetti di legge (ovvero sull’imprescindibilità di un raffronto tra contratti di convivenza e contratti prematrimoniali), in Fam. e dir., 2015, pag. 165 e segg. Dopo lo sviluppo di questa prospettiva nelle analisi sopra citate, v., per una valutazione in senso positivo di quest’ottica, M. Bernardini, La convivenza fuori del matrimonio tra contratto e relazione sentimentale, Padova, 1992, pag. 204 e segg.; Dogliotti, Famiglia di fatto, in Digesto disc. priv., Sez. civile, VIII, Torino, 1992, pag. 195 e seg.; Busnelli e Santilli, La famiglia di fatto, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, VI, Padova, 1992, pag. 779 e segg.; Franzoni, I contratti tra conviventi «more uxorio», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, pag. 752 e segg.; E. Quadri, Rilevanza attuale della famiglia di fatto ed esigenze di autoregolamentazione, in Dir. fam. pers., 1994, pag. 301 e segg.; Id., Problemi giuridici attuali della famiglia di fatto, in Fam. e dir., 1999, pag. 503 e segg.; D’Angeli, La tutela delle convivenze senza matrimonio, Torino, 1995, pag. 86; Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, pag. 509 e segg.; V. Franceschelli, Rapporto di fatto, in Digesto disc. priv., Sez. civile, XVI, Torino, 1997, pag. 283; A. Fuccillo, Accordi di convivenza: alcuni aspetti problematici, in Famiglia e circolazione giuridica, a cura di G. Fuccillo, Milano, 1997, pag. 68 e segg., 79 e segg.; Ferrando, Convivere senza matrimonio: rapporti personali e patrimoniali nella famiglia di fatto, in Fam. e dir., 1998, pag. 183 e segg.; Ead., Le contribuzioni tra conviventi fra obbligazione naturale e contratto, nota a Trib. Savona, 29 giugno 2002, in Fam. e dir., 2003, pag. 598 e segg.; Ead., Contratto di convivenza, contribuzione e mantenimento, in Fam. e dir., 2015, pag. 722 e segg.; Tommasini, La famiglia di fatto, in Aa. Vv., Il diritto di famiglia, I, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, IV, Torino, 1999, pag. 499 e segg.; Aa. Vv., Matrimonio, Matrimonii, a cura di Brunetta d’Usseaux e D’Angelo, Milano, 2000, passim; Ieva, I contratti di convivenza. Dalle legge francese alle proposte italiane, in Riv. notar., 2001, pag. 37 e segg.; Palmeri, Il contenuto atipico dei negozi familiari, Milano, 2001, pag. 57 e segg.; Spadafora, Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano, 2001, pag. 59 e segg.; Id., L’obbligazione naturale tra conviventi ed il problema della sua trasformazione in obbligazione civile attraverso lo strumento negoziale, in Aa. Vv., I contratti di convivenza, a cura di Moscati e Zoppini, Torino, 2002, pag. 157 e segg.; Vitucci, Dal dì che nozze… Contratto e diritto della famiglia nel pacte civil de solidarité, in Familia, 2001, pag. 713 e segg.; Aa. Vv., Convivenza e situazioni di fatto, in Trattato di diritto di famiglia diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, Milano, 2002, pag. 803 e segg.; del Prato, Patti di convivenza, in Familia, 2002, pag. 982 e segg.; Marella, Il diritto di famiglia fra status e contratto: il caso delle convivenze non fondate sul matrimonio, in Aa. Vv., I contratti di convivenza, a cura di Moscati e Zoppini, Torino, 2002, pag. 71 e segg.; Zoppini, Tentativo d’inventario per il «nuovo» diritto di famiglia: il contratto di convivenza, in Aa. Vv., I contratti di convivenza, a cura di Moscati e Zoppini, cit., pag. 26 e segg.; Asprea, La famiglia di fatto in Italia e in Europa, Milano, 2003, pag. 143 e segg.; Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2003, pag. 347 e segg.; Balestra, La famiglia di fatto, Padova, 2004, pag. 220 e segg.; Id., Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale, in Giust. civ., 2014, pag. 133 e segg.; Id., Rapporti di convivenza, in Aa. Vv., Codice della famiglia, a cura di Sesta, 3a ed., Milano, 2015, pag. 2639 e segg.; Consiglio Nazionale del Notariato, Guida operativa in tema di convivenza. Vademecum sulla tutela patrimoniale del convivente more uxorio in sede di esplicazione dell’autonomia negoziale. Contratti di convivenza open day, 30 novembre 2013, Roma, 2013 (testo disponibile anche al seguente sito web: http://www.notaicomolecco.it/wwwnotaileccocomoit/Downloads/Guida%20operativa_Contratti%20di%20convivenza.pdf); Las Casas, Accordi prematrimoniali, status dei conviventi e contratti di convivenza in una prospettiva comparatistica, in Contratti, 2013, pag. 913 e segg.; Senigaglia, Convivenza more uxorio e contratto, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, pag. 671 e segg.; Venuti, I rapporti patrimoniali tra i conviventi, in Aa. Vv., Le relazioni affettive non matrimoniali, a cura di Romeo, Torino, 2014, pag. 287 e segg.; Auletta, Modelli familiari, disciplina applicabile e prospettive di riforma, in Nuove leggi civ. comm., 2015, pag. 615 e segg.; Delle Monache, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale (Alle soglie della regolamentazione normativa delle unioni di fatto), in Riv. dir. civ., 2015, pag. 946 e segg.; Romeo e Venuti, Relazioni affettive non matrimoniali: riflessioni a margine del d.d.l. in materia di regolamentazione delle unioni civili e disciplina delle convivenze, in Nuove leggi civ. comm., 2015, pag. 991 e segg. Contr. Trabucchi, Pas par cette voie s’il vous plaît!, in Riv. dir. civ., 1981, I, pag. 349 e segg.; Prosperi, A proposito di una recente monografia in tema di «famiglia di fatto», in Rass. dir. civ., 1984, pag. 203 e segg.

Sui contratti di convivenza e sulle modifiche convenzionali del regime patrimoniale prescelto, ai sensi dei commi 53 e 54 della novella del 2016, cfr. Auletta, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia? (l. 20 maggio 2016, n. 76), in Nuove leggi civ. comm., 2016, pag. 367 e segg.; Balestra, Unioni civili e convivenze di fatto: brevi osservazioni in ordine sparso, www.giustiziacivile.com, 2016, pag. 1 e segg.; Id., Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it., 2016, pag. 1779 e segg.; Bona, La disciplina delle convivenze nella l. 20 maggio 2016 n. 76, Nota a Cass., 7 marzo 2016, n. 4386, in Foro it., 2016, I, c. 2094 e segg.; De Filippis, Unioni civili e contratti di convivenza, Padova, 2016, pag. 272 e segg.; Di Rosa, I contratti di convivenza (art. 1, commi 50° ss., l. 20 maggio 2016, n. 76), in Nuove leggi civ. comm., 2016, pag. 694 e segg.; Figone, Lo scioglimento delle unioni civili e la risoluzione dei contratti di convivenza, in Blasi, Campione, Figone, Mecenate e Oberto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze – Legge 20 maggio 2016, n. 76, Torino, 2016, pag. 259 e segg.; M. Finocchiaro, Su richiesta le parti possono sottoscrivere un “contratto”, in Guida dir., n. 25/11 giugno 2016, pag. 84 e segg.; Id., Con l’iscrizione nei registri anagrafici l’atto è opponibile, in Guida dir., n. 25/11 giugno 2016, pag. 88 e segg. Id., Quando scattano nullità, sospensione e risoluzione, in Guida dir., n. 25/11 giugno 2016, pag. 90 e segg.; Id., Contratto stipulabile con atti pubblici o scritture autenticate, in Guida dir.., n. 26/18 giugno 2016, pag. 26 e segg.; Fusaro, I contratti di convivenza, in Nuova giur. ligure, 2016, Sez. civile, Doc. 40, pag. 1 e segg. (estratto gentilmente fornito dall’Autore); Id., Profili di diritto comparato sui regimi patrimoniali, in Giur. it., 2016, pag. 1789 e segg.; Id., Commento al comma 54, in Aa. Vv., Le unioni civili e le convivenze, a cura di C.M. Bianca, Torino, 2017, pag. 659 e segg.; Id., I contratti di convivenza, in Pol. dir., 2017, pag. 122 e segg.; Greco, Il contratto di convivenza, in Aa. Vv., Unioni civili e convivenze di fatto. L. 20 maggio 2016, n. 76, a cura di Gorgoni, Santarcangelo di Romagna, 2016, pag. 263 e segg.; Lenti, La nuova disciplina della convivenza di fatto: osservazioni a prima lettura, http://www.juscivile.it/contributi/2016/08_Lenti.pdf, 2016, pag. 92 e segg.; Luiso, La convivenza di fatto dopo la L. 2016/76, http://www.judicium.it/wp-content/uploads/2016/11/F.P.-Luiso.pdf, 2016, pag. 6 e segg.; Macario, Nuove norme sui contratti di convivenza: una disciplina parziale e deludente, www.giustiziacivile.com, 2016, pag. 1 e segg.; Id., I contratti di convivenza tra forma e sostanza, in Contratti, 2017, pag. 7 e segg.; Manildo, I contratti di convivenza, in Aa. Vv., Unioni civili e convivenze, a cura di Lupoi, Cecchella, Cianciolo e Mazzotta, Rimini, 2016, pag. 271 e segg.; Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, in Blasi, Campione, Figone, Mecenate e Oberto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze – Legge 20 maggio 2016, n. 76, Torino, 2016, pag. 30 e segg.; Id., Atto di destinazione e rapporti di famiglia, in Giur. it., 2016, pag. 239 e segg.; Id., La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, in Fam. e dir., 2016, pag. 943 e segg.; Id., I contratti di convivenza, Commento all’art. 1, commi 50-63, Legge 20 maggio 2016, n. 76, in Aa. Vv., Codice dell’unione civile e delle convivenze, a cura di Sesta, Milano, 2017, pag. 1334 e segg.; Pacia, Unioni civili e convivenze, www.juscivile.it, 2016, pag. 195 e segg.; S. Patti, Le convivenze ‘‘di fatto’’ tra normativa di tutela e regime opzionale, in Familia, 2016, pag. 11 e segg.; Perfetti, Autonomia privata e famiglia di fatto. Il nuovo contratto di convivenza, in Nuova giur. civ. comm., 2016, pag. 1749 e segg.; E. Quadri,  “Unioni civili tra persone dello stesso sesso” e “convivenze”: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete, in Giust. civ., 2016, pag. 893 e segg.; Rizzuti, Prospettive di una disciplina delle convivenze: tra fatto e diritto, www.giustiziacivile.com, 2016, pag. 5 e segg.; Romeo, Note sui contratti di convivenza, in Familia, 2016, pag. 353 e segg.; Sesta, Unione civile e convivenze: dall’unicità alla pluralità dei legami di coppia, in Giur. it., 2016, pag. 1792 e segg.; Spadafora, I rapporti paraconiugali dinanzi alla legge, in Giur. it., 2016, pag. 1808 e segg.; Id., Lo status coniugale e gli status paraconiugali tra legge e autonomia privata, in Dir. fam. pers., 2017, pag. 1092 e segg.; Tassinari, Il contratto di convivenza nella l. 20.5.2015, n. 76, in Nuova giur. civ. comm., 2016, II, pag. 1737 e segg.; Villa, Il contratto di convivenza nella legge sulle unioni civili, in Riv. dir. civ., 2016, pag. 1319 e segg.; Achille, Il contenuto dei contratti di convivenza tra tipico ed atipico, in Nuova giur. civ. comm., 2017, II, pag. 1570 e segg.; Benedetti, Il controllo sull’autonomia: la forma dei contratti di convivenza nella legge n. 76/2016, in Familia, 2017, pag. 17 e segg.; Buffone, Gattuso e Winkler, Unione civile e convivenza, Milano 2017, pag. 498 e segg.; Gatt, Commento al comma 50, in Aa. Vv., Le unioni civili e le convivenze, a cura di C.M. Bianca, Torino, 2017, pag. 622 e segg.; Sirena, L’invalidità del contratto di convivenza, in Nuova giur. civ. comm., 2017, pag. 1071 e segg.; Amagliani, I contratti di convivenza nella L. 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. Legge Cirinnà), in Contratti, 2018, pag. 317 e segg.; Mazzariol, Dal concubinato alle nuove convivenze di fatto: analisi di una parabola sociale e normativa, in Atti e memorie dell’ateneo di Treviso, n. 34, a.a. 2016/2017, Treviso, 2018, pag. 501 e segg.; Id., Convivenze di fatto e autonomia privata: il contratto di convivenza, Napoli, 2018, pag. 127 e segg.; Musolino, Il contratto di convivenza. Aspetti formali e relative nullità, in Riv. notar., 2018, pag. 725 e segg.

[2] Cfr. ad es. Tassinari, Il contratto di convivenza nella l. 20.5.2015, n. 76, pag. 1742, ad avviso del quale, con riguardo al comma 53 della novella, «i tre requisiti di cui alle lettere a), b) e c) rappresentano il perimetro massimo attribuito, in questa sede, all’autonomia privata dei conviventi». Nello stesso senso si esprime anche Luiso, La convivenza di fatto dopo la L. 2016/76, cit., pag. 6. V. inoltre, sempre a titolo esemplificativo, Di Rosa, I contratti di convivenza (art. 1, commi 50° ss., l. 20 maggio 2016, n. 76), pag. 706, ad avviso del quale, in ordine al richiamato regime di comunione legale, «va predicata l’esclusività del riferimento (rispetto ai modelli legali)», atteso altresì che il contenuto del comma 54 della novella potrebbe «al più, indirizzarsi verso un’ordinaria situazione di appartenenza individuale dei beni». Sembra voler restringere il contenuto dei contratti di convivenza alle sole ipotesi espressamente menzionate dal comma 53 anche Balestra, Unioni civili e convivenze di fatto: brevi osservazioni in ordine sparso, cit., pag. 5.

[3] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 95 e segg.; in senso conforme v. anche Fusaro, Commento al comma 54, cit., pag. 659.

[4] Sulle differenze tra regime di separazione dei beni tra coniugi e situazione di «non regime» cfr. Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi. Artt. 215-219, in Il codice civile. Commentario fondato e già diretto da Schlesinger, continuato da Busnelli, Milano, 2005, pag. 25 e segg.

[5] Cfr. per i richiami storici Oberto, La comunione legale tra coniugi, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, I, Milano, 2010, pag. 79, 299 e segg. Da segnalare in particolare i riferimenti al pensiero di Lopez de Palacios Rubios (1450-1524), uno degli autori delle Leyes de Toro, che, nella sua opera dedicata alle donazioni tra coniugi, diede amplissimo spazio alla materia della communio o communicatio dei bona acquisita constante matrimonio, riferendo di una ricchissima serie di questioni, talune delle quali anche di sorprendente modernità, come, per l’appunto, l’applicazione dell’istituto ai concubinarii. Per una recente negazione, da parte della nostra giurisprudenza di legittimità, dell’applicabilità della comunione legale ai conviventi cfr. Cass., 23 febbraio 2017, n. 4685.

[6] Cfr. per tutti Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 92 e segg.

[7] V. infra, sub §§ 3 e segg.

[8] Sul tema cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., pag. 1381 e segg.

[9] Oberto, La comunione legale di fonte negoziale: riflessioni circa i rapporti tra legge e contratto nel momento genetico del regime patrimoniale tra coniugi, in Dir. fam. pers., 2011, pag. 835 e segg.

[10] Tale conclusione, già espressa in Oberto, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, in Fam. e dir., 2016, pag. 954, viene criticata da uno studio ufficiale, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato (cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Comunione legale, contratto di convivenza e circolazione dei beni dopo la legge Cirinnà, Studio Civilistico n. 196-2017/C, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 24 gennaio 2018, in http://www.upel.va.it/wp-content/uploads/2018_StudioCNN196_Conv.pdf), alla luce di una proposta «lettura armonizzante» del sistema (su cui v. anche Mecenate, Unioni civili e convivenze. Successioni, forma e pubblicità, diritto internazionale privato, in Blasi, Campione, Figone, Mecenate e Oberto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, pag. 138 e segg.), in forza della quale la «scienza legale» di un atto è realizzata (e con essa la pubblicità stessa e l’opponibilità ai terzi) solo se lo stesso (e, nella specie, il contratto di convivenza indicato dal certificato anagrafico) «sia concretamente rintracciabile da chiunque secondo i meccanismi propri dell’ordinamento. Cosa che accade se esso è stipulato per atto di notaio e conservato a raccolta». Orbene, a parte il fatto che, come ammesso dallo stesso autore della critica, «in tutti gli altri casi (atto rilasciato, atto redatto dall’avvocato) la conoscibilità non è realizzata», rimane la constatazione per cui la conservazione a raccolta degli atti notarili non è obbligatoria. Ma, ciò che convince ancor di più della radicale infondatezza di siffatta critica è il fatto che, piaccia o meno, la novella non lega la pubblicità alla circostanza che il notaio, o chiunque altro, conservi materialmente l’atto, ma al semplice compimento della registrazione anagrafica, ciò che, come ampiamente dimostrato e da tutti ammesso, puramente e semplicemente non può funzionare (per lo meno rebus sic stantibus). La considerazione non fa dunque che rafforzare le conclusioni di cui al testo. Aderisce all’impostazione dello scrivente anche Musolino, Il contratto di convivenza. Aspetti formali e relative nullità, cit., pag. 745 e seg. Perplessità sul sistema pubblicitario in discorso vengono inoltre formulate a vario titolo da Bona, La disciplina delle convivenze, in Aa. Vv., Unioni civili e convivenze, a cura di Casaburi e Grimaldi, Pisa, 2016, pag. 175; E. Quadri,  “Unioni civili tra persone dello stesso sesso” e “convivenze”: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete, cit., pag. 902; Tassinari, Il contratto di convivenza nella l. 20.5.2016, n. 76, cit., pag. 1746; S. Patti, Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale, in Foro it., 2017, I, c. 301; Rizzi, La convivenza di fatto ed il contratto di convivenza, in Notariato, 2017, pag. 23.

[11] Cfr. Oberto, I contratti di convivenza, Commento all’art. 1, commi 50-63, Legge 20 maggio 2016, n. 76, in Aa. Vv., Codice dell’unione civile e delle convivenze, a cura di Sesta, Milano, 2017, pag. 1389 e segg., 1398 e segg.

[12] Sulla circolare 1° giugno 2016, n. 7/2016 del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione Centrale per i Servizi Demografici, cfr. Oberto, I contratti di convivenza, cit. alla nota prec., pag. 1398 e segg.

[13] Oberto, I contratti di convivenza, cit. alla penultima nota, pag. 1398 e segg.

[14] Cfr. ad es. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., pag. 2169 e segg.

[15] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 95.

[16] Da ciò, tra l’altro, sembra derivare l’inevitabilità della menzione, nell’atto stipulato da un celibe o da una nubile, del fatto che egli/ella non ha stipulato un contratto di convivenza che preveda un qualche regime patrimoniale di tipo comunitario.

[17] Per non dire poi del fatto che, in assenza della specificazione dei beni oggetto dei negozi da trascrivere, non sarebbe neppure indivi­duabile la conservatoria (ora ufficio del territorio) territorialmente competente.

[18] Su questi temi v. già Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., pag. 268 e seg.

[19] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 96.

[20] Cfr. Oberto, I precedenti storici del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni matrimoniali, in Dir. fam. pers., 2003, pag. 535 e segg.

[21] Cfr. Oberto, Del regime patrimoniale della famiglia. Disposizioni generali, Commento agli artt. 159, 160 e 161, in Aa. Vv., Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli. Della Famiglia, a cura di Balestra, artt. 74-176, Torino, 2010, pag. 963 e segg.

[22] In senso favorevole ad intendere i contenuti descritti dai commi 50 e 53 della novella come un’elencazione esemplificativa e non tassativa v. anche Achille, Il contenuto dei contratti di convivenza tra tipico ed atipico, pag. 1576 e segg., ad avviso del quale «si deve altresì considerare che l’attribuire valore vincolante ai contenuti del contratto come previsti dal legislatore ai commi 50º e 53º, sembra porsi in contrasto con la stessa natura e funzione del contratto di convivenza e, in ultima istanza, con la stessa intenzione del legislatore, il quale ha in tal modo positivizzato ed esplicitato la meritevolezza dei contratti con causa familiare o, se si preferisce, parafamiliare»; v. inoltre Amadio, La crisi della convivenza, in Nuova giur. civ. comm., 2016, II, pag. 1765; Benedetti, Il controllo sull’autonomia: la forma dei contratti di convivenza nella legge n. 76/2016, pag. 20 e segg., ove l’Autore espressamente condivide l’opinione dello scrivente circa la riconducibilità al tipo negoziale descritto dai commi 50 e segg. della novella del 2016 anche di tutte quelle pattuizioni, pur astrattamente riferibili a tipi negoziali diversi (es.: comodato, vendita, donazione, mandato, etc.), la cui causa sia tuttavia riconducibile a quella del contratto di convivenza; anche E. Quadri, “Unioni civili tra persone dello stesso sesso” e “convivenze”: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete, cit., pag. 901, considera non tassativa l’elencazione dei possibili contenuti del contratto prevista nel comma 53; così pure si esprime Pacia, Unioni civili e convivenze, cit., pag. 210, mentre Macario, Nuove norme sui contratti di convivenza, cit., pag. 9, ritiene ammissibili clausole sulla cessazione della convivenza e sugli assetti post mortem. Sul carattere non tassativo dell’elencazione di cui al comma 53; cfr. inoltre, sempre nello stesso senso, Simeone, Le convivenze di fatto ex lege 76 del 2016, relazione presentata al corso «Le novità in tema di diritto di famiglia (Corso P17007)», organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura – SSM, 2017, pag. 25 e segg. (testo gentilmente inviato dalla SSM). Anche per Mazzariol, Dal concubinato alle nuove convivenze di fatto: analisi di una parabola sociale e normativa, cit., pag. 502, «La soluzione preferibile consiste nel lasciare il più possibile spazio all’autonomia privata attraverso lo strumento tipico attraverso cui essa si esprime: il contratto». Il medesimo Autore, tra l’altro, condivisibilmente rileva che le stesse convenzioni matrimoniali «non attribuiscono ai coniugi gli ampi spazi di libertà che sono, invece, concessi ai conviventi» (Id., Convivenze di fatto e autonomia privata: il contratto di convivenza, cit., pag. 143), tanto più che l’elencazione compresa nel comma 53 della novella ha carattere esemplificativo (Id., Convivenze di fatto e autonomia privata: il contratto di convivenza, cit., pag. 176), così aprendo la via ad ogni forma di regolamentazione patrimoniale che non sia vietata da una specifica disposizione (Id., Convivenze di fatto e autonomia privata: il contratto di convivenza, cit., pag. 185 e segg.), come, ad esempio, la creazione di un vincolo di destinazione o di un regime di comunione convenzionale (Id., Convivenze di fatto e autonomia privata: il contratto di convivenza, cit., pag. 202 e seg.).

[23] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 96; sul tema specifico della pubblicità del regime di comunione convenzionale tra coniugi (e, ora, tra civilmente uniti) cfr. Id., Il regime patrimoniale dell’unione civile, Commento all’art. 1, comma 13, Legge 20 maggio 2016, n. 76, in Aa. Vv., Codice dell’unione civile e delle convivenze, a cura di Sesta, Milano, 2017, pag. 397 e seg.; per il caso specifico di un’eventuale comunione convenzionale inter concubinarios si tenga presente che il contratto di convivenza va considerato come atto idoneo alla trascrizione sui pubblici registri immobiliari per i trasferimenti con esso attuati di beni di cui i partners siano già titolari, dal momento che lo stesso «produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’articolo 2643» (cioè, nella specie, il trasferimento della proprietà – rectius: di una quota di comproprietà – ex art. 2643, n. 1, cod. civ.), come stabilito dall’art. 2645 cod. civ. Quanto alla forma deve ritenersi che anche i contratti di convivenza stipulati per scrittura privata autenticata da avvocato soddisfino (oltre, ovviamente a quelli stipulati per atto pubblico notarile o per scrittura privata autenticata da notaio) al requisito imposto dall’art. 2657 cod. civ., atteso che il comma 51 non pone limiti agli effetti della «autenticazione» della sottoscrizione ivi prevista. Sul tema della forma del contratto di convivenza idonea ad una sua eventuale trascrizione sui pubblici registri immobiliari v. anche infra, sub § 8, in fine.

[24] Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 96; in senso conforme v. anche Bona, La disciplina delle convivenze nella l. 20 maggio 2016 n. 76, Nota a Cass., 7 marzo 2016, n. 4386, in Foro it., 2016, I, c. 2101; De Filippis, Unioni civili e contratti di convivenza, cit., pag. 274; Pacia, Unioni civili e convivenze, cit., pag. 211; Achille, Il contenuto dei contratti di convivenza tra tipico ed atipico, cit., pag. 1575; Morace Pinelli, Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche, nel Commentario del codice civile, fondato da Scialoja e Branca, proseguito da Galgano, attualmente curato da De Nova, Bologna, 2017, pag. 341 e segg.; Fusaro, L’atto di destinazione nella concorrenza tra strumenti giuridici, in Contratto e impresa, 2018, pag. 1018 e segg.

[25] Naturalmente, solo per chi ritenga, come i più, ammissibile la costituzione di trusts «tricolori» in base alla Convenzione dell’Aja (per alcuni recenti pregevoli studi sul tema cfr. Petrelli, Trust interno, art. 2645-ter cod. civ. e “trust italiano”, in Riv. dir. civ., 2016, pag. 167 e segg.; Reali, I trusts, gli atti di assegnazione di beni in trust e la convenzione dell’Aja. Parte prima: i princìpi generali, in Riv. dir. civ., 2017, pag. 398 e segg.; Id., I trusts, gli atti di assegnazione di beni in trust e la convenzione dell’Aja. Parte seconda: le regole giuridiche operative, ibidem, pag. 608 e segg. Per una recente pronuncia di legittimità in tema di trust cfr. Cass., 27 gennaio 2017, n. 2043, in Corr. giur., 2017, pag. 781, con nota di Lupoi; per un’ampia rassegna di giurisprudenza sul tema cfr. Fanticini, Relazione generale sullo sviluppo della giurisprudenza civile italiana, in Trusts att. fid., 2015, pag. 455 e segg., 546 e segg.), che, peraltro, è norma di diritto internazionale privato e non di diritto materiale uniforme (sul tema, che non può certo essere sviluppato nella presente sede, si fa rinvio a Oberto, Del regime patrimoniale della famiglia. Disposizioni generali, Commento agli artt. 159, 160 e 161, cit., pag. 969 e segg.).

[26] Sul tema cfr. per tutti Oberto, Famiglia e rapporti patrimoniali. Questioni d’attualità, Milano, 2002, pag. 271 e segg.

[27] Sul tema v. per tutti Fusaro, Del fondo patrimoniale, in Aa. Vv., Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Della Famiglia, a cura di Balestra, Torino, 2010, pag. 1048. Per un’apertura v. invece Galasso, Del regime patrimoniale della famiglia, I, Art. 159-230, nel Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2003, pag. 128.

[28] In senso contrario all’applicabilità dell’istituto in esame alla famiglia di fatto v. anche Romeo, Note sui contratti di convivenza, cit., pag. 369, nota 59.

[29] Sulla sua ammissibilità inter concubinarios, a differenza che inter coniuges, v. infra, sub § 6.

[30] Sulla possibilità per i conviventi di prevedere forme e proporzioni di contribuzione non rispettose del criterio ex art. 143 cod. civ., cfr. per tutti Oberto, I contratti di convivenza, cit., pag. 1387 e seg.

[31] Cfr., Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., pag. 126.

[32] Su tale ultima disposizione v. per tutti Guerrieri, Convivenza di fatto e impresa familiare, in Nuove leggi civ. comm., 2018, pag. 1006 e segg.; Romeo, Impresa familiare e rapporti di convivenza: art. 230-bis cod. civ. versus art. 230-ter cod. civ., in Studium iuris, 2018, pag. 289 e segg.

[33] Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., pag. 260 e segg.

[34] Con l’ovvia precisazione che «riproduzione» non significa meccanica trasposizione degli istituti del diritto matrimoniale, bensì creazione, per mezzo di un contratto e per quanto possibile, di effetti analoghi. In quest’ottica v. già Funaioli, Sui rapporti patrimoniali della convivenza «more uxorio», in Riv. dir. comm., 1941, II, pag. 213 e seg.; contr. Tedeschi, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1963, pag. 442, secondo cui le particolarità proprie dei regimi matrimoniali non potrebbero essere in alcun modo riprodotte nell’ambito di una convivenza more uxorio.

[35] Su cui v. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., pag. 2169 e segg.; v. anche F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, I, Milano, 1979, pag. 72.

[36] Quanto sopra era già stato chiaramente espresso, in termini identici, dall’autore di questo lavoro diversi anni or sono (Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., pag. 262 e segg., 268 e segg.): non condivisibili appaiono dunque le asserzioni di chi rimprovera allo scrivente l’intento di perseguire la «possibilità di fruire degli effetti cc.dd. esterni della comunione legale, quale l’automatica opponibilità del coacquisto, anche se trascritto in favore di un solo coniuge» (cfr. de Scrilli, I patti di convivenza. Considerazioni generali, in Aa. Vv., Convivenza e situazioni di fatto, in Aa. Vv., Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, 1, Milano, 2002, pag. 863.).

[37] Le gravi incertezze interpretative cui ha dato luogo la norma citata circa l’individuazione dell’oggetto della comunione legale sconsigliano in ogni caso il riferimento ad un concetto generico come quello di «acquisto». Sarà invece opportuno indicare quali siano i diritti destinati a cadere in comunione, specificandone la natura (se cioè reale o obbligatoria) e distinguendo a seconda del modo d’acquisto (se cioè a titolo originario, derivativo, mortis causa, ecc.). È comunque consigliabile elencare con esattezza anche quelle categorie di rapporti che, in considerazione della loro natura personale, è opportuno restino esclusi dalla comunione.

[38] «Meccanismo analogo a quello di cui all’art. 1706 cod. civ.» (cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., pag. 265 e segg.) non significa, ovviamente, che il negozio di cui si discute abbia natura di mandato senza rappresentanza, secondo l’equivoco su cui si basano i rilievi di del Prato, Patti di convivenza, in Familia, 2002, pag. 985, ad avviso del quale lo schema di riferimento sarebbe quello del contratto preliminare. Sul punto sarà appena il caso di rilevare come un contratto preliminare, per effetto della disposizione di cui all’art. 1351 cod. civ., non possa concepirsi se non in relazione ad un definitivo che sia predeterminato per ciò che attiene non solo ai soggetti, ma anche all’oggetto; si tratta, dunque, di una situazione non riscontrabile nel caso di specie. Sulla possibilità di dar vita a situazioni di comunione ordinaria tra conviventi anche dopo la novella qui in commento cfr. pure Rizzuti, Prospettive di una disciplina delle convivenze: tra fatto e diritto, cit., pag. 5.

[39] Elaborata, come noto, dalla giurisprudenza di legittimità in tema di fideiussione omnibus (su cui v. ex multis Cass., 20 luglio 1989, n. 3386, in Foro it., 1989, I, c. 3100).

[40] Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., pag. 260 e segg.; Id., Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Roppo, VI, Interferenze, a cura di Roppo, Milano, 2006, pag. 105, pag. 377 e segg. Aderiscono a siffatta impostazione Franzoni, I contratti tra conviventi «more uxorio», cit., pag. 755; Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2005, pag. 415; Falletti, La famiglia di fatto: la disciplina dei rapporti patrimoniali tra i conviventi, in Aa. Vv., Gli aspetti patrimoniali della famiglia. I rapporti patrimoniali tra coniugi e conviventi nella fase fisiologica ed in quella patologica, a cura di Oberto, Padova, 2011, pag. 81 e seg.; Riccio, La famiglia di fatto, Padova, 2007, pag. 459; Arcani, I negozi patrimoniali nella convivenza, in Aa. Vv., Il regime patrimoniale della famiglia, a cura di Arceri e Bernardini, Santarcangelo di Romagna, 2009, pag. 912 e seg.; Gremigni Francini, Autonomia privata e famiglia di fatto, in Aa. Vv., La famiglia e il diritto fra diversità nazionali ed iniziative dell’Unione Europea, a cura di Amram e D’Angelo, Padova, 2011, pag. 348 e seg.

[41] Monteverde, La convivenza more uxorio, in Aa. Vv., Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio, 2, Torino, 2007, pag. 952.

[42] Cfr. sempre Monteverde, cit. alla nota prec., pag. 952.

[43] Sul problema dell’alienabilità della quota di pertinenza di ciascun coniuge in regime di comunione legale v. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., pag. 315 e segg.; cfr. inoltre Busnelli, La «comunione legale» nel diritto di famiglia riformato, in Riv. notar., 1976, I, pag. 42; Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, pag. 365 e seg.

[44] Alla trascrivibilità del patto previsto dall’art. 1379 cod. civ. si oppongono non soltanto il carattere speciale di questa disposizione, ma anche la tassatività delle ipotesi in cui la pubblicità ex artt. 2643 e segg. cod. civ. è consentita (su quest’ultimo argomento cfr. Cass., 18 febbraio 1963, n. 392, in Giust. civ., 1963, I, pag. 249 e in Riv. notar., 1963, II, pag. 340, nonché Cass., 13 maggio 1982, n. 3001, in Giust. civ., 1982, I, pag. 2697 e in Giur. it., 1982, I, 1, c. 1132, sulla non trascrivibilità del patto di prelazione).

[45] Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 105.

[46] Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 106. Per alcuni esempi concreti risalenti ormai a diversi anni or sono v. la formula della Direction de la recherche et de linformation de la Chambre des notaires du Québec (in Aa. Vv., Couple et modernité, 84ème congrès des notaires de France, La Baule, 29 mai - 1er juin 1988, Malesherbes, 1988, pag. 516 e segg.); cfr. inoltre Weitzman, Legal Regulation of Marriage: Tradition and Change, in California Law Review, 62, 1974, pag. 1251.

[47] Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., pag. 270 e seg.

[48] Cfr. la formula della Direction de la recherche et de linformation de la Chambre des notaires du Québec (in Aa. Vv., Couple et modernité, 84ème congrès des notaires de France, cit., pag. 514), nonché il cosiddetto «modello di Leida», redatto, negli anni Ottanta dello scorso secolo, sotto la direzione del prof. Van Mourik da un gruppo di studenti dell’Università di quella città (ivi, pag. 524).

[49] Per la negativa v. Cass., 18 gennaio 1968, n. 128, in Rep. Foro it., 1968, voce «Servitù», n. 64; Cass., 31 marzo 1971, n. 936, in Giust. civ. 1971, I, pag. 1063; Cass., 6 aprile 1971, n. 1017, in Giur. it., 1972, I, 1, c. 381. Per la dottrina cfr. Scognamiglio, Riconoscimento di proprietà contenuto in un testamento, in Giur. compl. Cass. civ., 1951, pag. 31 e segg.

[50] Secondo quanto suggerito dalla formula della Direction de la recherche et de linformation de la Chambre des notaires du Québec (in Aa. Vv., Couple et modernité, 84ème congrès des notaires de France, cit., pag. 519) e dal «modello di Leida» (cfr. art. 6, primo comma, ivi, pag. 523).

[51] In senso favorevole all’ammissibilità della stipula di una comunione convenzionale tra conviventi dopo la riforma del 2016 cfr. Oberto, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, cit., pag. 954; aderiscono a tale impostazione Romeo, Note sui contratti di convivenza, cit., pag. 369. Contr. Romano, Unioni civili e convivenze di fatto. Una prima lettura del testo normativo, in Notariato, 2016, pag. 348, il quale ritiene che la modifica del regime patrimoniale cui fa riferimento il comma 54 sia da circoscrivere alla possibilità di scelta della separazione dei beni acquistati durante la convivenza.

[52] Sul punto v. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., pag. 386 e segg., 397 e segg., 859 e segg., II, cit., pag. 2010 e segg.

[53] Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 104.

[54] Secondo quanto sostenuto invece da Bona, op. loc. ultt. citt.

[55] Cfr. Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, pag. 381 e segg.; già in Dir. giur., 1945, pag. 3 e segg.; per un’illustrazione del pensiero di tale Autore cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, pag. 113 e segg.; per una successiva riscoperta dello scritto di Santoro-Passarelli cfr. anche Zoppini, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2001, I, pag. 213 e segg.

[56] «Il codice civile non contiene una disciplina generale del negozio giuridico, la quale può però ricavarsi dalle sue norme, essendo evidente che le norme sui contratti, ‘in quanto compatibili’, siano suscettibili di applicazione non solo agli ‘atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale’ (art. 1324), ma al negozio giuridico anche fuori del diritto patrimoniale. A ciò è da aggiungere che la figura del negozio giuridico nel diritto familiare è supposta dal codice (e la sua utilizzazione s’impone perciò all’interprete), poiché in esso si fa richiamo a nozioni caratteristiche del negozio, come i vizi della volontà (articoli 122, 265), le modalità, quali il termine e la condizione (articoli 108, 257), l’irrevocabilità o la revocabilità dell’atto (articoli 256, 2982), la sua invalidità (artt. 117 segg., 263 segg.)» (cfr. Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, cit., pag. 382 e seg.; nello stesso senso v. inoltre Gangi, Il matrimonio, Torino, 1969, pag. 28 e seg.; contra Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile a cura di  Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, pag. 16 e seg.; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d., pag. 182; per l’applicabilità, di volta in volta, ai negozi giuridici familiari dei principi contrattuali «congrui con l’atto di autonomia familiare posto in essere» v. C.M. Bianca, Diritto civile, II, Famiglia e successioni, Milano, 1981, pag. 18.

[57] Cfr. Romeo, Note sui contratti di convivenza, cit., pag. 370 e seg., secondo cui «L’opzione interpretativa da preferire è quella secondo la quale il legislatore minus dixit quam voluit, con la conseguenza che, nonostante il mancato richiamo, per il caso in cui i conviventi adottino un regime di comunione convenzionale, siano applicabili le relative norme di diritto comune». Norme che, però, sono dettate con riguardo ai rapporti patrimoniali tra coniugi (e civilmente uniti), non tra conviventi di fatto.

[58] Cfr. Romeo, op. locc. ultt. citt. In dottrina tendono ad avvicinare (se non ad assimilare) il contratto di convivenza alla convenzione matrimoniale anche Tassinari, Il contratto di convivenza nella l. 20.5.2015, n. 76, pag. 1742 e segg. (secondo cui «il contratto di convivenza guarda più al libro primo del codice civile, piuttosto che al libro quarto») e Di Rosa, I contratti di convivenza (art. 1, commi 50° ss., l. 20 maggio 2016, n. 76), pag. 709 e seg. (a detta del quale va assunta «una direttrice indirizzata a spostare il baricentro della complessiva valutazione dell’atto in termini prettamente simil-matrimoniali e, correlativamente, più consapevolmente rivolta verso una configurazione sostanzialmente non contrattuale dell’accordo tra i conviventi, evidenziandone piuttosto il carattere di negozio parafamiliare»). Sul punto sarà appena il caso di osservare come tutta la storia della negozialità endofamiliare (da Santoro-Passarelli in poi) dimostri la perfetta riconducibilità dei negozi familiari e parafamiliari, tipici o atipici che siano, disciplinati nel libro primo, nel libro quarto o in leggi speciali, alla comune ed ampia figura del negozio giuridico in generale: un’assimilazione che parte, dunque, dal libro primo per giungere al libro quarto e non viceversa (cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., pag. 103 e segg., 136 e segg.; Id., Contratto e famiglia, cit., pag. 107 e segg.).

[59] Anche Mazzariol, Convivenze di fatto e autonomia privata: il contratto di convivenza, cit., pag. 174, condivisibilmente esclude la riconducibilità del contratto di convivenza allo schema della convenzione matrimoniale, correttamente negando la possibilità di integrare le (gravi) lacune della normativa concernente il primo, con le regole codicistiche dettate per la seconda (anziché, si potrebbe aggiungere, mercé il richiamo agli artt. 1321 ss. cod. civ.: operazione, si badi, più che legittima anche sul versante dei negozi inter coniuges, al fine di integrare le lacune degli artt. 159 ss. cod. civ.: cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., pag. 103 e segg., 136 e segg.; Id., Contratto e famiglia, cit., pag. 107 e segg.).

[60] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., pag. 2105 e segg.

[61] Cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Comunione legale, contratto di convivenza e circolazione dei beni dopo la legge Cirinnà, Studio Civilistico n. 196-2017/C, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 24 gennaio 2018, cit.

[62] Cfr. Oberto, Del regime patrimoniale della famiglia. Disposizioni generali, Commento agli artt. 159, 160 e 161, cit., pag. 954 e segg.

[63] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 90 e segg.

[64] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 97 e segg.

[65] Non senza problemi: cfr. per tutti Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., pag. 1681 e segg.

[66] Vale la pena di riportare per esteso il contenuto di siffatte disposizioni:

«59. Il contratto di convivenza si risolve per: a) accordo delle parti; b) recesso unilaterale; c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona; d) morte di uno dei contraenti.

60. La risoluzione per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza.

61. Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l’atto è tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma 52, a notificarne copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione».

[67] Per questi temi v., in relazione alla situazione anteriore alla novella di cui alla legge 6 maggio 2015, n. 55, Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., pag. 1818 e segg.; e, per la situazione successiva, Id., «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi, in Fam. e dir., 2015, pag. 615 e segg.

[68] «62. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 59, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro contraente, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile.

63. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 59, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l’estratto dell’atto di morte 11 affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza».

[69] Cfr. sul tema Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., pag. 1709 e segg., 1718 e segg., 1745 e segg., 1777 e segg., 1868 e segg.

[70] L’argomento dell’ammissibilità (ed anzi, della consigliabilità) di clausole sull’eventuale rottura del rapporto di convivenza è prospettato in Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 87 e segg. e sviluppato ora in Id., Per un intervento normativo in tema di accordi preventivi sulla crisi della famiglia, in Aa. Vv., Accordi in vista della crisi dei rapporti familiari, a cura di Landini e Palazzo, Biblioteca della Fondazione Italiana del Notariato, n. 1-2018, Milano, 2018, pag. 57 e segg. Pur non essendo possibile approfondire siffatto tema in questa sede, sarà opportuno tenere presente che il principio di libertà contrattuale che informa il sistema della regolamentazione patrimoniale convenzionale dei rapporti tra conviventi induce a ritenere che questo tipo di clausole non possano essere messe nel nulla da un eventuale recesso operato ai sensi del comma 59, atteso che anche la regolamentazione dei profili patrimoniali post-convivenza rientra pienamente nel concetto di «rapporti patrimoniali relativi alla (…) vita in comune», ai sensi del comma 50. Una parte degli Autori sembra seguire le indicazioni dello scrivente: cfr. ad es. Macario, Nuove norme sui contratti di convivenza: una disciplina parziale e deludente, cit., pag. 10 e segg.; Id., I contratti di convivenza tra forma e sostanza, cit., pag. 9 (ove vengono svolti anche interessanti rilievi sul problema del discrimen tra provvidenze per la cessazione del legame e penale per rottura dell’unione); Achille, Il contenuto dei contratti di convivenza tra tipico ed atipico, pag. 1579 e segg.; Amagliani, I contratti di convivenza nella L. 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. Legge Cirinnà), pag. 328 e segg.; Fusaro, Commento al comma 54, cit., pag. 660 e seg., il quale, più che condivisibilmente, rimarca che «Nonostante la risoluzione del contratto di convivenza, eventuali pattuizioni su prestazioni (rimborsi, assegni, trasferimenti, altre provvidenze) da effettuarsi dopo la fine delle vita comune sembrerebbero conservare valore, anche considerando che qui non dovrebbero valere le riserve avanzate nei confronti degli accordi prematrimoniali, non giocando il favor matrimonii».

 Altra parte della dottrina sembra invece orientata in senso contrario: cfr. ad es. Luiso, op. loc. ultt. citt., che afferma l’ «impossibilità di disciplinare con il contratto gli effetti derivanti dalla cessazione della convivenza». V. inoltre Pacia, Unioni civili e convivenze, cit., pag. 212, ad avviso della quale il contratto di convivenza sarebbe, addirittura, «privo di vincolatività, perché può cessare per recesso unilaterale (comma 59, lett. b), e quindi è incapace di sopravvivere alla crisi del rapporto». Ma l’idea stessa di un «contratto privo di vincolatività» pare costituire un vero e proprio ossimoro (cfr. art. 1372 cod. civ.). Tutto al contrario, dovrà consentirsi alla sovrana autonomia delle parti stabilire che la regola generale (certamente valevole ogni qual volta nulla i contraenti abbiano previsto in proposito), secondo cui il contratto cesserà di produrre effetti per recesso, conoscerà restrizioni (quelle volute dalle parti, beninteso e non altre), in caso di cessazione del legame affettivo, malgrado e nonostante l’eventuale esercizio di un recesso unilaterale o bilaterale. Pure Mazzariol, Convivenze di fatto e autonomia privata: il contratto di convivenza, cit., pag. 193, condivisibilmente, rileva che, anche a voler attribuire alla disposizione in tema di recesso un significato aderente a quanto dispone l’art. 1373 cod. civ., va comunque osservato «che la natura pienamente disponibile dei diritti patrimoniali», di cui al citato comma 59, lett. b), «consente ai conviventi di derogarvi, prevedendo che l’esercizio del recesso non faccia venir meno l’efficacia della clausola temporale eventualmente inserita». A complemento di siffatte osservazioni può aggiungersi che, per lo meno ad avviso dello scrivente, il fatto stesso che le parti inseriscano nel contratto di convivenza una clausola, la cui operatività sia legata ad un termine o ad una condizione (sulla validità della quale, a dispetto di quanto previsto dal comma 56, si rinvia ad Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., pag. 90 e segg.), evidenzia – già di per sé e per fatti concludenti – la voluntas contrahentium di derogare al disposto del comma 59 cit.

[71] Cfr. ad es. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Collana «Biblioteca del Diritto di Famiglia», Milano, 2000, pag. 259 e segg.

[72] Sul punto v. da ultimo, ad es., Cass., Sez. Un., 1° febbraio 2016, n. 2951, secondo cui «Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta al titolare del diritto di proprietà al momento dell’evento dannoso, quale risulta anche da scrittura privata, salva cessione del credito».

[73] Ciò che sembra ritenere Cimmino, Questioni in tema di forma del contratto di convivenza, in Familia, 2017, pag. 603 e segg.