NELLA
SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO
(nota a Cass. 20 ottobre 2005, n. 20290)
Sommario: 1. La fattispecie oggetto della sentenza in commento. – 2. Gli accordi a latere rispetto alle intese di separazione omologate. Generalità. – 3. L’evoluzione giurisprudenziale a partire dagli anni Quaranta (dello scorso secolo). Il revirement di cui alle pronunzie del 1993 e del 1994 e la giurisprudenza successiva. – 4. Valutazioni sulla posizione della dottrina e della giurisprudenza in tema di accordi modificativi delle intese patrimoniali relative ai coniugi. – 5. Peculiarità in tema di accordi modificativi concernenti la prole minorenne. – 6. Accordi precedenti o coevi alle intese di separazione omologate: considerazioni critiche. – 7. Gli accordi a latere nel divorzio. – 8. Questioni e problemi pratici connessi al riconoscimento dell’ammissibilità delle intese a latere. In particolare gli accordi sulla casa familiare e la loro opponibilità nei confronti dei terzi aventi causa. – 9. Segue. Gli accordi a latere sulla casa familiare detenuta in conduzione e la loro opponibilità nei confronti dei locatore. – 10. Segue. Gli accordi a latere sui trasferimenti immobiliari. – 11. Segue. Cenni al trattamento fiscale degli accordi a latere. |
1. La fattispecie oggetto della sentenza in
commento.
La
sentenza in commento ha ad oggetto la seguente vicenda. Due coniugi in crisi sottoscrivono,
pochissimi giorni prima dell’omologazione della separazione consensuale, una
scrittura privata non sottoposta ad omologazione, nella quale si prevede che,
se la moglie libererà la casa coniugale entro e non oltre una certa data
(individuata a circa due anni e mezzo dalla scrittura), il marito, esclusivo
proprietario dell’immobile, venderà quest’ultimo «al meglio e, comunque, per
una cifra non inferiore a lire 200.000.000», promettendo altresì che «dividerà
il ricavo netto per metà con la moglie» [1].
Purtroppo la motivazione non consente di comprendere quale sia l’esatto momento
nel quale si colloca tale pattuizione rispetto alla data in cui i medesimi
coniugi sottoscrivono l’accordo di separazione consensuale e lo confermano
dinanzi al presidente del tribunale. Peraltro risulta che la sottoscrizione
della scrittura non omologata interviene (solo) una settimana prima della data
di emanazione del decreto di omologazione, dal che appare lecito desumere, che,
con ogni probabilità, siffatta intesa è successiva all’udienza presidenziale e
dunque al momento in cui le parti stipularono l’accordo poi omologato.
Una
settimana, dunque, dopo la firma di tale accordo, interviene l’omologazione dell’intesa
di separazione, nella quale le parti (senza menzionare l’impegno di cui alla
citata scrittura privata) avevano previsto l’assegnazione della casa coniugale
alla moglie, affidataria della figlia minore. Decorsa la data fissata per il
rilascio, il marito vende l’immobile, che è stato nel frattempo abbandonato
dalla moglie, incamerandone per l’intero il corrispettivo. A questo punto la
moglie conviene in giudizio il marito per chiederne la condanna al pagamento
della metà del valore del bene stesso. La domanda, respinta in primo grado,
viene accolta dalla Corte d’appello, che condanna il marito a pagare la somma
di lire 100.000.000, sulla base della cennata scrittura.
Ribadito
il consolidato orientamento, secondo cui le pattuizioni precedenti o coeve
all’accordo di separazione omologato «sono operanti soltanto se si collocano,
rispetto a quest’ultimo, in posizione di non interferenza (perché riguardano un
aspetto che non è disciplinato nell’accordo formale e che è sicuramente
compatibile con esso in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi
equilibri, ovvero perché hanno un carattere meramente specificativo, di
disciplina “secondaria”) o in posizione di conclamata e incontestabile maggiore
(o uguale) rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo di cui
all’art. 158 c.c.»,
Sul
punto va sottolineato che il ricorrente marito, nel tentativo di dimostrare la
nullità dell’intesa a latere, aveva
sostenuto l’illiceità di una stipulazione «la quale baratti l’assegnazione
della casa familiare con una somma di denaro che avvantaggia esclusivamente il
coniuge proprietario» (e non la prole minorenne). Inoltre, sempre secondo il
marito, l’accordo non omologato sarebbe stato sicuramente incompatibile con
quello trasfuso nel verbale di separazione, atteso che non sarebbe stata
logicamente conciliabile la volontà di alienare (a terzi) l’alloggio, con la
predisposizione di un diritto di abitazione a favore della moglie.
Sul
punto
Con
particolare riguardo alla valutazione sulla maggiore o minore convenienza per
la moglie (e la figlia) dell’accordo che assegnava alla moglie la somma di lire
100.000.000, rispetto al diritto di abitazione sulla casa coniugale,
2.
Gli accordi a latere rispetto alle
intese di separazione omologate. Generalità.
Questi
primi rilievi non sono però d’ostacolo a che eventuali accordi non omologati
possano avere efficacia, siccome rivolti a regolare un eventuale stato di
separazione di fatto, ovvero anche una separazione legale, anche relativamente
ad aspetti non sottoposti al vaglio del tribunale.
Al
riguardo, per chiarezza, andranno distinte le seguenti situazioni:
(a) accordi
diretti a modificare le condizioni omologate di una separazione consensuale
(ovvero imposte dal giudice, nell’àmbito di una separazione giudiziale);
(b) accordi
diretti a integrare le condizioni di una separazione legale consensuale;
(c) accordi
diretti a disciplinare in tutto o in parte le condizioni di una separazione
legale in cui vengano simulatamente pattuite condizioni diverse.
Mentre
gli accordi sub a) sono necessariamente successivi e quelli sub
c) usualmente coevi alla separazione legale, le intese sub b) possono a
loro volta essere:
(b’)
precedenti alla separazione legale: quando cioè le parti si limitano a preparare
il terreno per una imminente separazione, iniziando a risolvere alcuni dei
problemi che in tale sede si porranno (per esempio regolando questioni relative
alle proprietà comuni, operando trasferimenti immobiliari, ecc.);
(b’’)
coeve alla separazione legale: si tratta per lo più di determinazioni relative
all’ammontare dell’assegno, ma anche di negozi di carattere transattivo che,
per esempio, per ragioni di carattere fiscale, le parti ritengono di non dover
pubblicizzare;
(b’’’)
successive alla separazione legale: si tratta, per lo più, vuoi della
definizione di questioni di dettaglio non definite dal verbale presidenziale,
vuoi invece della risoluzione di problemi sorti in fase di esecuzione degli
accordi di separazione.
E’
chiaro che la distinzione, in concreto, tra tutte queste situazioni, può solo
basarsi su di un’attenta indagine degli elementi di fatto che caratterizzano
ogni singolo caso, alla luce dei criteri ermeneutici che presiedono
all’interpretazione del contratto (e, per analogia, dei negozi giuridici
familiari, per quanto attiene agli aspetti non patrimoniali) ex artt.
1362 ss. c.c., similmente a quanto del resto già stabilito da una pronunzia di
legittimità che, in relazione ad una convenzione accessoria alla sentenza di
divorzio, ha ritenuto che il giudice del merito possa fare applicazione proprio
delle norme testé citate [6].
Sarà
poi opportuno chiarire (e la fattispecie assume, come si è visto, un certo
rilievo pratico anche in relazione al caso oggetto della sentenza qui in esame)
che il termine temporale di riferimento per stabilire il carattere anteriore,
coevo o posteriore del patto non omologato è costituito non già dalla data di
omologazione dell’accordo di separazione, ma da quella di sottoscrizione della
relativa intesa; momento, questo, che potrebbe essere (ed anzi normalmente è)
addirittura anteriore alla data di presentazione delle parti dinanzi al
presidente del tribunale per l’udienza ex
art. 708 c.p.c. La considerazione deriva dalla semplice constatazione secondo
cui, come dimostrato in altra sede [7]
e come apertamente riconosciuto anche in tempi recenti dalla Corte di
legittimità [8],
l’omologazione non costituisce se non una condizione d’efficacia del negozio di
separazione consensuale, laddove gli effetti di quest’ultima trovano il loro
elemento generatore nella sola sovrana volontà delle parti, che della
fattispecie della separazione consensuale costituisce dunque l’unico elemento
costitutivo.
3.
L’evoluzione giurisprudenziale a partire dagli anni Quaranta (dello scorso
secolo). Il revirement di cui alle pronunzie del 1993 e del 1994 e la
giurisprudenza successiva.
Volendo
brevemente riassumere l’evoluzione giurisprudenziale in tema di accordi non
omologati intercorsi tra coniugi separati legalmente, potrà osservarsi che già
negli anni Quaranta dello scorso secolo la giurisprudenza di legittimità
appariva divisa sul tema della necessità dell’omologazione di accordi di
modifica delle condizioni della separazione, ritenendosi in qualche caso
necessaria la procedura ex art. 711 c.p.c. e in qualche altro superflua
l’omologa. Con l’avvento degli anni Cinquanta
Una
situazione di assai maggiore incertezza si venne a creare a partire dalla metà
degli anni Ottanta, allorquando
L’indirizzo
in senso restrittivo ricevette conferma – in relazione alla peculiare questione
degli accordi concernenti la prole minorenne – l’anno seguente, in una
decisione con cui
L’indirizzo
testé illustrato è stato però successivamente abbandonato nell’àmbito di un revirement
di più ampio respiro intrapreso dalla Cassazione con due pronunce dei primi
anni Novanta, in cui si è affermata la piena autonomia privata dei coniugi in
ordine ai patti successivi alla separazione. Con riguardo, invece, a quelli
coevi o precedenti alla separazione consensuale omologata, la libertà
negoziale dei coniugi incontra, secondo il Supremo Collegio, un limite nel
principio di «non interferenza» con quanto stabilito nell’accordo omologato, a
meno che gli accordi non omologati si trovino «in posizione di conclamata e
incontestabile maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato, come per
l’assegno di mantenimento concordato in misura superiore a quella sottoposta ad
omologazione» [17].
In
seguito, la stessa Corte è nuovamente tornata sui patti successivi, ribadendo
che «Le modificazioni degli accordi, convenuti tra i coniugi, successive
all’omologazione della separazione ovvero alla pronuncia presidenziale di cui
all’art. 708 cod. proc. civ., trovando legittimo fondamento nel disposto
dell’art. 1322 cod. civ., devono ritenersi valide ed efficaci, a prescindere
dall’intervento del giudice ex art.
710 cod. proc. civ., qualora non superino il limite di derogabilità consentito
dall’art. 160 cod. civ. e, in particolare, quando non interferiscano con
l’accordo omologato ma ne specifichino il contenuto con disposizioni
maggiormente rispondenti, all’evidenza, con gli interessi ivi tutelati» [18].
Per
quanto attiene invece ai patti precedenti o coevi
4.
Valutazioni sulla posizione della dottrina e della giurisprudenza in tema di
accordi modificativi delle intese patrimoniali relative ai coniugi.
Può
dunque dirsi assodato che, per quanto attiene ai patti successivi,
Al
riguardo potrà rimarcarsi che, prima delle citate sentenze del 1993 e del 1994
della Corte di legittimità, la dottrina aveva variamente risolto il quesito
concernente la necessità di un controllo giudiziale degli accordi con i quali i
coniugi separati decidano di modificare il regime previsto nell’accordo
omologato (così come, eventualmente, nella sentenza emessa a seguito del
giudizio di separazione contenziosa).
L’indirizzo
prevalente – da qualche Autore ribadito anche dopo il riferito revirement
giurisprudenziale – era quello di ritenere come necessaria un’omologazione
delle intese raggiunte, sulla base per lo più del ragionamento secondo cui non
avrebbe senso la previsione dell’art. 158 c.c. se ai coniugi dovesse
riconoscersi il potere di porre nel nulla le intese omologate, sostituendole
con accordi non sottoposti al vaglio del tribunale [20].
Proprio il rilievo da ultimo riferito (quello, cioè, concernente l’asserita
«inutilità» della previsione di cui all’art. 158 c.c.) aveva sicuramente dispiegato
la sua influenza, oltre che su una parte dei giudici di merito [21],
anche sulla giurisprudenza di legittimità di cui si è dato conto [22].
Non infrequenti erano pure i richiami al rinvio operato dall’art. 711, ult.
cpv., c.p.c. agli artt. 710 c.p.c. e 158 cpv. c.c., disposizioni «che
richiedono l’intervento del giudice» [23],
così come alla considerazione per cui l’omologazione della modifica si
renderebbe necessaria avuto riguardo al fatto che questa costituirebbe un minus
rispetto all’accordo determinativo delle condizioni della separazione [24].
Ciò
che si tendeva ad escludere era invece la necessità dell’instaurazione di un
apposito giudizio ordinario o camerale (rispettivamente, prima o dopo la
riforma di cui alla l. 29 luglio 1988, n. 331) ex art. 710 c.p.c.,
ritenendosi invece sufficiente la mera presentazione dell’intesa
all’omologazione da parte del tribunale [25].
La
conclusione va sicuramente condivisa. Come si è appena visto, sono gli stessi
sostenitori della necessità di un controllo giudiziale a negare che tale
controllo debba svolgersi ai sensi del procedimento ex art. 710 c.p.c.:
sintomo, questo, evidente del fatto che l’argomento tratto da tale disposizione
prova, come si suol dire, troppo. Si noti poi che il procedimento in discorso,
ancorché svolgentesi oggi nelle forme del rito camerale, ha sicuramente
conservato la sua natura intimamente contenziosa [27],
per cui mal s’adatta, anche da un punto di vista strutturale, a fornire una
cornice processuale all’accordo dei coniugi.
Neppure
la via dell’omologazione pare praticabile. In primo luogo si è esattamente
osservato che sul punto il legislatore tace e di fronte a tale silenzio pare
arbitrario ricavare limiti all’autonomia privata dei coniugi. D’altra parte non
va neppure dimenticato che è nel potere di costoro porre in ogni momento fine
allo stato di separazione, senza necessità di alcun controllo (cfr. art. 157,
1° co., c.c.): a maggior ragione deve quindi ritenersi consentito modificare –
sempre di comune accordo – alcuni degli effetti della separazione consensuale o
giudiziale [28].
In
definitiva, la posizione espressa da chi postula la necessità di un intervento
giudiziale in ordine agli accordi in questione sembra anch’essa affetta da quel
«vizio d’origine» rappresentato dalle in altra sede segnalate [29]
suggestioni provenienti dal dibattito che si svolse prima della riforma del
diritto di famiglia, circa il ruolo «tutorio» dell’intervento giurisdizionale
sugli accordi dei coniugi, in stridente contrasto con l’attuale struttura
giuridico-organizzativa del nucleo familiare, fondata sul principio del
consenso.
Sulla
base di quanto sino ad ora chiarito sarà apparso evidente come anche l’accordo
di modifica delle condizioni della separazione (consensuale o giudiziale che
sia) abbia natura negoziale ed anzi addirittura contrattuale allorquando (come
per lo più accade) esso abbia ad oggetto prestazioni di carattere patrimoniale.
La validità di tale intesa andrà dunque valutata alla luce dei principi
generali vigenti in materia contrattuale, secondo quanto in altra sede
illustrato relativamente al negozio ed al contratto di separazione consensuale [30].
Nel
caso di accertata invalidità, per un qualche motivo, dell’accordo modificativo,
dovrebbe riprendere vigore l’intesa omologata (ovvero la statuizione
giudiziale), attesa l’inoperatività dell’effetto (in tutto o in parte)
abrogante proprio del negozio di modifica. Unica eccezione rispetto a questo
principio potrebbe essere rappresentata dall’eventuale invalidità di un’intesa
concernente la prole minorenne, ove sembra arduo affermare la reviviscenza
delle condizioni originariamente convenute. Qui, attesa l’esistenza di un
interesse preminente, il giudice non potrà limitarsi a riaffermare che operano
le condizioni omologate, ma dovrà accertare se le stesse siano ancora adeguate
alla nuova situazione creata e, ove formuli un siffatto giudizio, in realtà
finirà per decidere nuovamente sull’affidamento in quanto lo stesso sarà pur
sempre stabilito in funzione della nuova situazione di fatto [31].
Per
quanto attiene, poi, all’efficacia del contratto modificativo è senz’altro da
escludere che esso abbia valore di titolo esecutivo [32],
a meno che esso non abbia la forma dell’atto pubblico (o, a partire dal 1°
marzo 2006, della scrittura privata autenticata) e contenga un’obbligazione
pecuniaria, a norma dell’art. 474 c.p.c. Ne consegue che il notaio, in
quest’ultimo caso, può rilasciare copia in forma esecutiva dell’atto contenente
l’accordo modificativo. Competerà, a questo punto, al debitore opporsi
dimostrando l’eventuale nullità dell’accordo [33].
5.
Peculiarità in tema di accordi modificativi concernenti la prole minorenne.
Uno
dei punti di maggiore interesse del segnalato indirizzo giurisprudenziale
tracciato dalla Cassazione negli anni Novanta è costituito dal superamento
della necessità di un intervento giudiziale in merito alle modifiche
consensuali degli accordi (anche) in materia di rapporti relativi alla prole
minorenne.
Al
riguardo, parte della dottrina precedente aveva posto una speciale enfasi sul
carattere imprescindibile dell’intervento dell’autorità giudiziaria [34],
in ciò seguita dalla Corte di legittimità [35].
Quest’ultima aveva in almeno un caso lasciato aperto uno spiraglio con riguardo
agli accordi sui rapporti tra i coniugi [36],
escludendo invece la validità di ogni tipo d’accordo modificativo in punto
statuizioni concernenti la prole minorenne, anche se in concreto migliorativo,
avuto riguardo all’interesse protetto, spingendosi addirittura ad affermare che
tale intesa avrebbe la sua «sede necessaria nel processo». Con le citate
decisioni del 1993 e del 1994
L’indirizzo
appena riferito riflette l’avviso della più attenta dottrina, giustamente
critica nei riguardi dell’apodittica affermazione secondo cui l’accordo di
modifica dovrebbe avere «sede necessaria nel processo», specie di fronte alla
considerazione che l’interesse della prole minorenne, lungi dal porsi come
esigenza tipica del momento della separazione, costituisce un limite sempre
presente all’esercizio dei poteri dei genitori [38].
Al
riguardo si è infatti rilevato che, se è vero che l’art. 158 c.c. demanda al
giudice il compito di valutare se gli accordi relativi all’affidamento e al
mantenimento siano o no conformi al loro interesse, non gli attribuisce però il
potere di sostituirsi ai genitori nelle relative scelte. Egli non può
modificare o integrare i patti, ma solo sollecitare un loro riesame da parte
dei genitori ed eventualmente sospendere l’omologazione. Sotto questo aspetto
l’art. 158 non contraddice il principio di autonomia familiare, ma anzi ne
costituisce una coerente applicazione [39].
Al
di là delle considerazioni testuali e sistematiche testé svolte, va poi ancora
aggiunto che una soluzione che affermasse tout court la nullità di ogni
accordo riguardante i figli minorenni, per il solo fatto di non essere stato
sottoposto all’omologa del tribunale, sebbene motivata, in astratto, sulla base
della necessità di salvaguardare gli interessi della prole [40],
rischierebbe di sortire, in concreto, conseguenze ingiustamente (e talora
gravemente) «punitive» nei confronti dei figli stessi [41].
Le
conclusioni ora esposte sono parzialmente condivise da una parte della
dottrina, che sostiene peraltro la necessità di distinguere tra accordi di
carattere patrimoniale, validi anche a prescindere dall’omologa, e accordi di
tipo personale, da sottoporre ad omologa [42].
Ma le osservazioni di carattere testuale e sistematico sopra svolte non
consentono, ad avviso di chi scrive, di introdurre alcuna forma di distinzione
tra intese personali e intese patrimoniali. Potrà dunque concludersi sul punto
rilevando come il limite all’esplicazione della negozialità rappresentato
dall’interesse della prole minorenne potrà essere fatto valere in ogni momento
in base ai principi ordinari (artt. 316, 330, 333 c.c.), ovviamente anche
durante lo stato di separazione, eventualmente mediante richiesta (unilaterale)
di modifica delle condizioni ex art. 710 c.p.c. In quest’ultimo caso il
giudice sarà chiamato ad effettuare una valutazione di merito circa la rispondenza delle intese
dei coniugi all’interesse dei figli [43].
6.
Accordi precedenti o coevi alle intese di separazione omologate: considerazioni
critiche.
Prima
degli interventi della Cassazione negli anni 1993 e 1994 la giurisprudenza
aveva assai raramente distinto i patti successivi da quelli anteriori o coevi
alla separazione, preferendo invece parlare in generale di accordi non
omologati, e manifestando comunque, nella maggior parte dei casi, perplessità
in ordine alla validità dei medesimi [44].
A
partire dalle pronunce citate,
L’articolata
soluzione fornita dalla giurisprudenza al problema qui in esame, sebbene
approvata da una parte dei commentatori [47],
solleva però una serie di perplessità, alla luce non tanto dalla distinzione
imperniata sul parametro temporale (che, sia detto per incidens,
rinviene – ancorché in tutt’altra materia – un illustre precedente nello stesso
codice civile: cfr. artt. 2722 s. c.c.), bensì del carattere tutto sommato
arbitrario del criterio secondo cui, nel caso di accordi precedenti o coevi,
l’intesa delle parti avrebbe valore solo a condizione che essa sia «in
posizione di conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto
all’interesse tutelato, come per l’assegno di mantenimento concordato in misura
superiore a quella sottoposta ad omologazione».
Secondo
taluno [48]
la soluzione sarebbe dettata dalla preoccupazione di non privare l’istituto
della omologazione di ogni senso compiuto, ipotesi che si potrebbe verificare
se anche agli accordi anteriori o contestuali fossero sic et simpliciter estese
le stesse conclusioni raggiunte per i patti successivi. Peraltro, è chiaro che
le condizioni della separazione – come elemento accessorio del contenuto
del negozio di separazione in senso ampio [49]
– possono, ma non debbono necessariamente risultare dal verbale;
lo stesso vale poi per tutte le condizioni di un’eventuale separazione
di fatto, che, per definizione, dall’omologa prescinde. L’estensione anche ai
patti precedenti o coevi delle conclusioni della Cassazione in materia di
accordi successivi non viene dunque a privare di significato l’istituto
dell’omologazione, per lo meno più di quanto già non faccia l’attribuzione di
rilievo alla separazione di fatto o la considerazione che i coniugi non sono
obbligati ad inserire nel verbale tutte le condizioni della loro futura vita da
separati.
Venendo
dunque alla condizione di «conclamata e incontestabile maggior rispondenza
rispetto all’interesse tutelato», va detto che si tratta qui d’un requisito
che, oltre a non trovare un appiglio normativo nell’àmbito della disciplina in
esame, contrasta con quegli stessi principi negoziali in cui
Potrà
ancora aggiungersi che il rilievo degli accordi a latere, anche se precedenti o coevi, non può essere in alcun modo
svalutato, neppure ricorrendo al concetto di «contenuto necessario dell’accordo
di separazione», come pure stabilito da una non remota pronunzia di merito.
Nella specie venne, infatti, respinta la richiesta di emanazione di decreto
ingiuntivo per una somma oggetto di una «scrittura integrativa del ricorso per
separazione consensuale», redatta dalle parti dopo la presentazione del ricorso
congiunto, cui non aveva fatto seguito l’udienza presidenziale, poiché il
marito, per contrasti insorti nelle more, aveva dichiarato di non voler più
addivenire alla separazione consensuale, sicché i coniugi non si erano presentati
alla predetta udienza. Rinviando ad apposita sede la trattazione della materia
della distinzione tra contenuto necessario e contenuto eventuale dell’accordo
di separazione consensuale [51],
potrà qui solo dirsi che le intese d’ordine patrimoniale inter coniuges costituiscono, per consolidata giurisprudenza di
legittimità, oggetto del contenuto meramente eventuale (o accessorio)
dell’intesa posta a base del ricorso per separazione consensuale, nel senso che
il tribunale non potrà certo rifiutare l’omologazione sol perché esse fanno
difetto [52].
Ne consegue che, per converso, la validità di siffatte intese non potrà essere
disconosciuta, sol perché le medesime non sono state omologate dal tribunale.
Non
vi è quindi dubbio, conclusivamente, che l’unica distinzione sempre rilevante
sia quella tra accordi concernenti i rapporti tra i coniugi e accordi
riguardanti la situazione della prole minorenne [53],
non già – sia chiaro – nel senso di una diversa valutazione astratta in termini
di ammissibilità o di convenienza, ma esclusivamente avuto riguardo al fatto
che i secondi dovranno sempre superare il vaglio, sul piano della legittimità,
della conformità con l’interesse dei minori. La distinzione relativa al tempo
di conclusione degli accordi potrà invece assumere rilevanza, a seconda del
caso concreto, al fine di risolvere – alla luce dei principi generali in
materia di contratto (estensibili ad eventuali accordi non patrimoniali, attesa
la natura negoziale delle intese in discorso) – i possibili contrasti con le
intese omologate [54].
7. Gli
accordi a latere nel divorzio.
Considerazioni
identiche a quelle sopra svolte per gli accordi non omologati di separazione
valgono, mutatis mutandis, con riguardo ad eventuali accordi a latere
rispetto alla pronunzia di divorzio, nonché a quelli contenenti eventuali
modifiche delle condizioni di cui a quest’ultima.
Per
quanto attiene ai primi (accordi, cioè, precedenti o coevi alla pronunzia di
divorzio) sembra possibile ancora una volta fare richiamo alla libertà
contrattuale delle parti nel prevedere, per esempio, che parallelamente al
regolamento trasfuso nella pronunzia di scioglimento o di cessazione degli
effetti civili del matrimonio (ovvero, all’assenza di un qualsivoglia
regolamento degli effetti del divorzio) e ad integrazione di quest’ultimo, i
coniugi o ex tali disciplinino uno o più aspetti della futura vita da
divorziati. Un riconoscimento implicito di quanto ora detto è desumibile da una
pronunzia della Consulta, cui era stata presentata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 9 cpv. l.div., nella parte in cui condiziona il
diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato alla titolarità
di un assegno divorzile attribuito giudizialmente. Nel caso di specie, infatti,
Nella
giurisprudenza di merito, del resto, non è impossibile rinvenire precedenti
che, di fronte al tentativo dell’ex coniuge obbligato di far prevalere
sull’accordo (non recepito nel dispositivo della decisione) il «silenzio» della
sentenza, hanno invece riconosciuto piena efficacia all’intesa negoziale [59].
Per
quanto attiene, poi, al profilo della validità di accordi diretti a modificare
il contenuto della pronunzia di scioglimento o di cessazione degli effetti
civili, va dato atto, innanzi tutto, dell’assenza di specifiche disposizioni al
riguardo, posto che l’art.
Già
questa prima constatazione sembra deporre a favore dell’ammissibilità di
siffatti accordi. A ciò s’aggiunga la rilevanza dell’autonomia privata nella
regolamentazione della crisi del matrimonio e il favore dell’ordinamento per
le soluzioni concordate dai protagonisti di tale crisi [60].
Gli effetti di accordi di questo tipo sono assimilabili a quelli degli accordi
non omologati modificativi delle condizioni della separazione [61],
fermo restando che l’effetto modificativo dello status non potrà essere
rimosso dalle parti [62],
se non, ovviamente, tramite la ... celebrazione di nuove nozze.
8. Questioni e problemi pratici connessi
al riconoscimento dell’ammissibilità delle intese a latere. In particolare gli accordi sulla casa familiare e la loro
opponibilità nei confronti dei terzi aventi causa.
Il
riconoscimento dell’ammissibilità delle intese a latere comporta una serie di questioni relative ai possibili
contenuti di questi tipi di accordi. Fermo restando che, in linea di principio,
le materie trattate da siffatte pattuizioni possono essere le più disparate –
dall’assegno, alla casa coniugale, ai rapporti con la prole, ecc. – dovrà affermarsi
una tendenziale trasponibilità in questa sede di tutti i rilievi valevoli in
linea generale per il contenuto dei contratti della crisi coniugale [63].
Con
particolare riguardo al caso degli accordi relativi al diritto di abitazione
sulla casa coniugale, andrà però tenuto presente che, proprio per via del
difetto di omologazione, la scrittura privata contenente la pattuizione a latere potrebbe non essere dotata del
requisito della data certa (art. 2704 c.c.) che, secondo quanto disposto
dall’art. 1599 c.c. (richiamato dall’art. 6, 6° co., l.div., articolo a sua
volta «esteso» dalla Corte costituzionale alla materia della separazione),
determina l’opponibilità dell’assegnazione (contro il terzo avente causa dal
proprietario dell’immobile) entro il novennio [64].
D’altro canto, la scrittura privata integrativa dell’accordo di separazione non
è come tale dotata di efficacia di titolo esecutivo (potrebbe esserlo, se
autenticata, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., nella versione in vigore dal 1°
marzo 2006), né costituisce titolo idoneo alla trascrizione (anche qui, però,
l’autentica notarile potrebbe soccorrere), con la conseguenza che non
potrebbero essere trascritti (e quindi opposti a terzi che vantino diritti in
base ad atti soggetti a pubblicità immobiliare) eventuali diritti reali inter coniuges costituiti (si pensi ad
un diritto reale di abitazione ex
art. 1022 c.c. [65])
o trasferiti (si pensi all’ipotesi, ormai classica per la crisi coniugale,
della traslazione del diritto dominicale su di un immobile [66]).
Va
peraltro ribadito con forza che, anche in relazione agli accordi a latere, la trascrizione è comunque
«caldamente raccomandabile», non solo per i possibili rischi connessi alle
oscillazioni giurisprudenziali in materia, ma anche in considerazione del fatto
che, secondo una sentenza di legittimità del 2004 [67],
la regola che governa l’opponibilità dell’assegnazione (non già al terzo
acquirente, ma) al creditore procedente in
executivis contro l’altro coniuge proprietario è data dal solo art. 2914,
n. 1, c.c. Ne consegue che l’unico elemento rilevante ai fini dell’opponibilità
al creditore pignorante di un’assegnazione convenzionale in sede di separazione
consensuale è dato proprio dalla trascrizione. Trascrizione che, sebbene
nell’ottica della citata decisione dovrebbe avere ad oggetto il decreto di
omologazione, va, in realtà, riferita all’intesa dei coniugi, svolgendo il
decreto ex art. 158 c.c. la mera
funzione di elemento integrativo d’efficacia (e non già di elemento
costitutivo). Anche se
Non
è peraltro neppure da escludere la pubblicità di una domanda ex art.
2652, n. 3 c.c. (accertamento giudiziale della sottoscrizione di scrittura privata
non autenticata), mentre non è ammissibile la trascrizione di un atto di
citazione diretto all’accertamento dell’esistenza di un’intesa meramente
verbale, non rientrando tale ipotesi nell’elenco di cui agli artt. 2643 ss.
c.c. Un argomento in tal senso sembra del resto ricavabile dallo stesso art.
1599 c.c. (richiamato dall’art. 6, 6° co., l.div.), che si riferisce ad un
contratto, quale la locazione ultranovennale, richiedente ad substantiam
la forma scritta: cfr. art. 1350, n. 8 c.c.
9. Segue. Gli accordi a latere sulla casa familiare detenuta in conduzione e la loro
opponibilità nei confronti dei locatore.
Per
quanto attiene, invece, all’opponibilità
dell’assegnazione consensuale, sulla base di un’intesa a latere, della casa familiare nei confronti
del locatore [68],
occorrerà tenere conto dell’impatto della sentenza 7 aprile 1988, n. 404 della
Corte costituzionale [69],
la quale, come noto, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 6, 3° co., l. 27
luglio 1978, n. 392, «nella parte in cui non prevede la successione nella
locazione relativa alla casa coniugale nell’ipotesi di separazione di fatto, se
tra il conduttore ed il suo coniuge si sia così convenuto» [70].
A
dire il vero, una ormai risalente pronunzia di merito aveva negato che
l’accordo a latere con il quale i
coniugi si erano accordati sull’assegnazione alla moglie della casa familiare,
condotta in locazione dal solo marito, intervenuta in sede di separazione
consensuale, ma non inserita nel verbale omologato, fosse opponibile al
locatore [71].
Ora, questo ostacolo frapposto al pieno dispiegarsi degli effetti della volontà
negoziale in materia familiare non sembrava giustificato già alla luce della
situazione normativa vigente in epoca anteriore al citato intervento della
Consulta. Innanzi tutto l’art. 6, 3° co., l. 27 luglio 1978, n. 392 si limitava
(e si limita) a presupporre una «convenzione» in proposito, senza ulteriori
specificazioni. Secondariamente, come si è visto, dall’art. 158 c.c. non può
certo desumersi una causa di nullità degli accordi non omologati per il solo
fatto che questi non sono stati sottoposti al vaglio del tribunale. Ancora, non
sembra che al locatore possa riconoscersi – come invece voluto da quella
decisione – un diritto «al controllo obiettivo e incontestabile della certezza,
dell’effettività e dei termini dell’accordo». Un simile controllo è infatti
rimesso, in caso di contestazione, alla sola autorità giudiziaria. L’unica
condizione richiesta dalla legge è, lo si ripete, l’esistenza di una
convenzione tra i coniugi (magari anche non coeva alla separazione), la cui
esternazione al locatore potrà semmai solo rilevare sull’individuazione del
momento della decorrenza per quest’ultimo degli effetti dell’accordo.
In
ogni caso, l’interpretazione proposta dalla citata pronunzia di merito non
sembra più in alcun modo accettabile dopo che la già menzionata sentenza Corte
cost. 7 aprile 1988, n.
E’
interessante notare al riguardo che, nella motivazione della sentenza n.
404/88,
A
tutto ciò si aggiunga che lo stesso art. 6, 3° co., cit., prevede espressamente
l’opponibilità al locatore della convenzione sulla abitazione nella casa
familiare stipulata tra due soggetti che hanno ottenuto la declaratoria di
invalidità del loro matrimonio, vale a dire di un accordo che non è destinato
ad essere recepito in alcun provvedimento giudiziale. La conclusione sul punto
è pertanto che il mero difetto di omologazione di un accordo in sede di
separazione tra coniugi avente ad oggetto l’assegnazione della casa «in
affitto» al coniuge non conduttore non è d’ostacolo all’opponibilità
dell’intesa nei confronti del locatore. Lo stesso è a dirsi per quell’accordo
in fase di divorzio che non sia però stato recepito nella relativa sentenza [72].
La
tesi testé illustrata riceve conforto anche dalla giurisprudenza della Corte di
Cassazione, secondo cui «La prova dell’accordo che, ai sensi dell’art. 6 comma
ultimo della legge sull’equo canone, comporta la successione del coniuge
separato consensualmente (o di fatto) nel rapporto locativo della casa
coniugale, può anche essere fornita per
facta concludentia (implicanti l’inequivoco riconoscimento, da parte del
coniuge originario conduttore, del trasferimento all’altro del diritto di
fruire dell’abitazione), quale la permanenza nell’alloggio, dopo la separazione,
del coniuge che non ne era originario locatario, purché tale permanenza non sia
successivamente venuta meno al momento in cui venga fatto valere il diritto al
subingresso, rivelandosi il frutto di un precario accordo destinato ad esaurire
la sua efficacia nei rapporti interni ed inidoneo, quindi, a riflettersi nel
rapporto con il locatore al quale l’accordo non sia stato reso noto» [73].
Nella
parte rilevante ai presenti fini il S.C. afferma a chiare lettere, nella
motivazione di tale precedente, l’opponibilità al locatore dell’accordo tra
coniugi separati in merito all’assegnazione della casa coniugale «in affitto» –
purché, ovviamente, l’esistenza di tale intesa sia specificamente dimostrata –
argomentando al riguardo dalla citata pronuncia della Consulta (n. 404 del
1988), che ha sancito la successione nel contratto di locazione del coniuge
separato di fatto. Dopo tale premessa,
10. Segue. Gli accordi a latere sui trasferimenti immobiliari.
Il
riconoscimento dell’ammissibilità delle intese a latere dispiega effetti anche in relazione al tema dei
trasferimenti immobiliari nell’ambito della crisi coniugale. Ferma restando la
piena validità della previsione di questi negozi nelle due possibili forme
(rispettivamente: reale ed obbligatoria), dallo scrivente descritte in altre
sedi [74],
si potrà notare che la stessa Corte di legittimità, oltre ad affermare
l’ammissibilità di un’intesa di siffatto genere nell’ambito di una separazione
di fatto [75],
ha almeno in un caso espressamente considerato l’ipotesi in cui la moglie, con
scrittura privata regolante a latere
le condizioni della separazione consensuale, aveva assunto l’impegno di
«trasferire gratuitamente al marito la piena proprietà di un appartamento da
edificare (…) con l’impegno da parte dell’attore di trasmetterlo in proprietà
ad uno dei figli quando lo avesse ritenuto opportuno»; nel predetto accordo si
era peraltro convenuto che, ove la moglie non avesse ottemperato all’obbligo
assunto nel termine di tre anni, ella avrebbe dovuto trasferire al marito nei
successivi due mesi la proprietà di un altro appartamento, a lei intestato [76].
E’
quindi pacifico che i trasferimenti di diritti su beni di proprietà dei coniugi
possono intervenire (o essere promessi), nel corso della crisi coniugale, tanto
in sede giudiziale che stragiudiziale e dunque anche in seno ad un’intesa a latere, come tale non sottoposta al
vaglio dell’omologazione. Possono, si
è detto: sarà infatti opportuno ribadire, a scanso d’equivoci, che i contratti
traslativi, in quanto poggianti sulla causa
di definizione della crisi coniugale, ampiamente illustrata nelle debite
sedi [77],
non debbono necessariamente inserirsi
in un àmbito processuale. Per nulla condivisibile appare dunque la tesi di chi
vorrebbe ravvisare nella giurisprudenza della Cassazione coralmente favorevole
ai negozi in questione, anche quando inseriti nel verbale di separazione
consensuale o di divorzio su domanda congiunta [78],
una costrizione dell’autonomia negoziale, nel senso che tale autonomia andrebbe
necessariamente «spesa in ambito giudiziale» [79].
Niente di più lontano dalla realtà: le parti, invero, proprio in considerazione
di quella negozialità che caratterizza i rapporti tra i coniugi in crisi, sono
assolutamente libere di scegliere, di fronte all’alternativa tra la «via
giudiziale» e la «via stragiudiziale», la soluzione che loro maggiormente
aggrada, tenuto conto delle esigenze da soddisfare e dei rischi che la prima
delle due strade indicate comporta [80].
Venendo
alle concrete modalità attuative, dovrà precisarsi che l’intesa traslativa a latere andrà rivestita, come ovvio,
della forma richiesta dall’art. 1350 c.c. Nella sua versione ad efficacia
reale, inoltre, la stessa, ai fini della trascrizione, andrà rivestita della
forma richiesta dall’art. 2657 c.c. e dovrà essere comunque rispettosa dei
requisiti di forma e sostanza variamente richiesti dalle normative speciali in
tema di traslazione di diritti reali su immobili (si pensi, ad esempio, alle
dichiarazioni imposte dalla disciplina urbanistica), come ampiamente illustrato
in altre sedi, cui si fa qui rinvio [81].
11. Segue. Cenni al trattamento fiscale
degli accordi a latere.
Sul
piano fiscale, infine, potranno qui richiamarsi le conclusioni altrove
illustrate circa la disciplina degli atti notarili di trasferimento «relativi»
alla separazione e al divorzio, ai sensi dell’art.
Dello
stesso avviso appare anche la dottrina, che mette in evidenza come l’esenzione
riguardi, testualmente, «tutti gli atti relativi al procedimento» (da
sottolineare «relativi al
procedimento» e non «del procedimento»).
Il che significa che tutti gli accordi di qualsiasi forma e contenuto attinenti
al divorzio (e alla separazione) godono delle agevolazioni tributarie, ivi
compreso l’atto ricevuto dal notaio, purché dall’atto stesso risulti la
connessione con il procedimento [84].
Tale connessione – si aggiunge – può sussistere in ogni specie di atto, non
rilevando se lo scioglimento del matrimonio ne sia la causa o il motivo o
l’occasione, consigliandosi altresì, per eliminare ogni dubbio sulla attinenza
del contratto al procedimento, di subordinarne gli effetti al passaggio in
giudicato della sentenza di divorzio [85]
o all’emanazione del decreto di omologa della separazione consensuale [86].
A
conclusioni parzialmente difformi perviene invece una circolare del Ministero
delle Finanze n. 49/E del 16 marzo 2000 [87],
la quale sul punto afferma, testualmente, quanto segue: «Va da sé che lo stesso
trattamento di favore (esenzione) deve essere applicato anche agli atti posti
in essere in esecuzione degli accordi assunti in sede di separazione, purché
tali accordi risultino formalizzati nel provvedimento di separazione e ad esso
connessi». Quanto sopra mostra con una certa chiarezza quale sia il «terreno di
scontro» in merito all’art.
Assai
più corretta appare quindi la soluzione prospettata dal Consiglio Nazionale del
Notariato che, in un parere della Commissione Studi [88],
afferma di ritenere che la norma in esame intenda privilegiare, tra l’altro, «Gli
atti dichiarativi, i trasferimenti e la costituzione e la rinuncia di diritti
reali, su beni mobili o immobili, siano essi contenuti nel verbale
presidenziale che in sentenze che in atti autenticati o redatti da notaio, che
in scritture private, anche costituenti attuazioni di obbligazioni derivanti
dai detti procedimenti; stipulati fra i coniugi o fra questi e terzi, a condizione che la loro causa
giuridica sia connessa alla separazione ed al divorzio ancorché i relativi
procedimenti non siano ancora processualmente radicati o siano già conclusi» [89].
La
conclusione s’avvicina del resto alla tesi già da tempo propugnata dallo
scrivente: il termine «relativi», di cui all’art.
Quanto
detto spiega perché i negozi dotati di una loro causa autonoma non possano
essere inseriti in verbale e, corrispondentemente, non possano godere delle
agevolazioni in discorso, neppure se stipulati con atto notarile, allorquando
siano privi della caratteristica in esame. Così, per esempio, una «normale»
compravendita non potrà essere dedotta in seno agli accordi di separazione (né
sarà sottoponibile al regime fiscale ex
art.
Quanto sopra mostra infine l’inaccettabilità di una recente
risoluzione dell’Agenzia delle Entrate [91],
che – «sovvertendo» i risultati cui era pervenuta una di poco precedente
decisione di legittimità [92] – ha escluso dal beneficio di cui
all’art. 19 cit. la cessione di una quota di un immobile al figlio della coppia
all’interno di un procedimento di divorzio, perché tale cessione «non sembra
trovare causa giuridica nella sistemazione dei rapporti patrimoniali fra i
coniugi al momento dello scioglimento del matrimonio, bensì in un intento di
liberalità nei confronti di un soggetto terzo (nella fattispecie uno dei
figli), circostanza che non appare strettamente e funzionalmente collegata con
lo scioglimento del matrimonio e che, peraltro, avrebbe potuto essere
realizzata in qualunque momento». Alla conclusione diametralmente opposta deve
invece condurre il rilievo per cui il contenuto eventuale degli accordi di
separazione e divorzio può essere costituito non solo da contratti
caratterizzati dalla causa postmatrimoniale tipica, ma anche – come nel caso di
specie – da un semplice «motivo postmatrimoniale» [93].
E’ pertanto incontestabile che anche siffatti tipi di negozi vadano qualificati
alla stregua di «atti relativi ai procedimenti» di separazione o di divorzio.
[1] La pratica delle intese (vuoi inserite nel contesto
dell’accordo omologato, vuoi ad esso estranee) aventi ad oggetto l’obbligo per
il proprietario dell’immobile, già adibito a residenza familiare, di alienare
quest’ultimo e di dividerne il ricavato con il coniuge sembra piuttosto
diffusa: per un paio di esempi cfr. Cass., 1 dicembre 2000, n.
[2] Di un certo interesse, ancorché esuli dalla questione
degli accordi a latere, appare il
motivo relativo all’asserita nullità dell’intesa in esame per effetto del
disposto dell’art. 1355 c.c. Sul punto (e sui rapporti tra condizione meramente
potestativa e condizione potestativa ordinaria), che non è possibile
approfondire in questa sede, cfr., oltre alla giurisprudenza richiamata dalla
motivazione della decisione qui in esame, Cass., 24 novembre 2003, n.
[3] Sul distinto tema della separazione di fatto, che non può essere trattato in questa sede, v. per tutti Azzolina, La separazione personale dei coniugi, Torino, 1966, 243 ss.; Franceschelli, La separazione di fatto, Milano, 1979; Grassetti, Dello scioglimento del matrimonio e della separazione personale dei coniugi, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, II, Padova, 1992, 677 ss.; Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, Milano, 1999, 1407 ss.; Fortino, La separazione personale tra coniugi, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, Milano, 2002, 940 ss.; Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2005, 302 ss.
[4] Cfr. Azzolina,
op. cit., 198.
[5] Sul punto cfr. App. Lecce, 9 luglio
[6] Cfr. Cass., 14 luglio 2003, n. 10978: nel caso di
specie,
[7] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
Milano, 1999, 179 ss., 246 ss.
[8] Cfr. Cass., 20 novembre 2003, n.
[9] Per una rassegna dei casi relativi ai periodi qui
presi in considerazione si fa rinvio a Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., 325 ss.
[10] Cass., 22 aprile 1982, n. 2481.
[11] Sull’evoluzione dottrinale in argomento cfr. Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, cit., 344 ss.; v. inoltre gli Autori citati infra, § 4.
[12] Cass., 5 gennaio 1984, n.
[13] Cass., 5 luglio 1984, n.
[14] Cass., 13 febbraio 1985, n.
[15] Cfr. per esempio App. Milano, 6 maggio
[16] Con circolare 25 maggio 1984, n.
[17] Cass., 24 febbraio 1993, n.
[18] Cfr. Cass., 11 giugno 1998, n. 5829. Per la
giurisprudenza di merito più recente v., in questo stesso senso, in
motivazione, Trib. Piacenza, 6 febbraio 2003, n.
[19] Cass., 28 luglio 1997, n. 7029; cfr. anche Cass., 30
agosto 2004, n.
[20] Cfr. Falzea,
La separazione personale, Milano, 1943, 209 ss.; Mandrioli, Il procedimento di separazione consensuale,
Torino, 1962, 242 ss.; Azzolina, op. cit., 263 s.; Briguglio, Separazione personale dei
coniugi (diritto civile), in Noviss. dig. it., XVII, Torino, 1970,
25; Pajardi, La separazione personale dei coniugi nella giurisprudenza, Padova,
1979, 510 s.; Santosuosso, Delle persone e della famiglia. Il
matrimonio, in Commentario del codice
civile, redatto a cura di magistrati e docenti, Torino, s.d. ma 1982, 1094
s.; Zatti, I diritti e i doveri che
nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto
privato, diretto da P. Rescigno, III, Torino, 1982, 129 s.; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, 694 s.; D’Anna, Ancora in tema di presunta «autonomia negoziale» dei coniugi separati:
osservazioni critiche, nota a Cass.,
13 febbraio 1985, n.
[21] Cfr. ad es. Trib. Napoli, 3 aprile
[22] Cfr. in particolare le pronunzie della Cassazione
risalenti agli anni Ottanta dello scorso secolo, citate supra, § 3.
[23] Così Jannuzzi,
op. cit., 879 s.; cfr. anche Pajardi, op. cit., 510 s.
[24] Cfr. per esempio A. e M. Finocchiaro, Diritto di
famiglia, I, cit., 695.
[25] Cfr. Falzea,
op. cit., 209 ss.; Mandrioli, op. cit., 242 ss.; Azzolina,
op. cit., 263; ss.; Santosuosso, op. cit., 1094 s.; Zatti,
op. cit., 1982, 129 s.; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, cit., 694 s.; D’Anna, op. cit.,
1187 s.; Jannuzzi, op. cit., 879 s.; Grassetti, op. cit., 721; Tommaseo,
op. cit., 596 s.; Sala, Accordi di separazione non omologati: un importante riconoscimento
dell’autonomia negoziale dei coniugi, nota a Cass., 24 febbraio 1993, n.
[26] In questo senso in dottrina cfr. A. Finocchiaro, Sulla pretesa
inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime della
separazione consensuale, in Giust. civ., 1985, I, 1657 ss.; per
un’analoga interpretazione del rinvio ex art. 711, ult. cpv., c.p.c.
cfr. Zatti, op. cit., 1982, 129 s.; Angeloni,
op. cit., 253 ss.
[27] Sul punto v. per tutti Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art.
737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, 1990, 438 ss.; Tommaseo, op. cit., 596 s.; Metitieri, La funzione notarile nei trasferimenti
di beni tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, in Riv.
notar., 1995, 1177; Sala, La rilevanza del consenso dei coniugi nella
separazione consensuale e nella separazione di fatto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, 1064; in
giurisprudenza v. Cass., 24 febbraio 1993, n.
[28]
Cfr. A. Finocchiaro, Sulla
pretesa inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime
della separazione consensuale, cit., 1658 ss.; Alpa e Ferrando,
Quaestio, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia discusse da vari
giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi, Padova, 512 ss.; Russo, Negozio giuridico e
dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di separazione,
di divorzio, di nullità (a proposito del disegno di legge n. 1831/1987 per
l’applicazione dell’Accordo 18.2.1984 tra l’Italia e
[29] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., 246 ss.
[30] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., 222 ss.; Id., La natura dell’accordo di
separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Fam.
dir., 1999, 601 ss. (parte I), 2000, 86 ss. (parte II).
[31] A. Finocchiaro,
Sulla pretesa inefficacia di accordi non omologati diretti a
modificare il regime della separazione consensuale, cit., 1660.
[32] Pollice,
Autonomia dei coniugi e controllo giudiziale nella separazione consensuale:
il problema degli accordi di contenuto patrimoniale non omologati, in Dir.
giur., 116 s.; Doria, Autonomia
dei coniugi in occasione della separazione consensuale ed efficacia degli
accordi non omologati, nota a Cass. 24 febbraio 1993, n.
[33] cfr. Metitieri, op. cit., 1177 s.
[34] Cfr. per esempio Azzolina,
op. cit., 264 ss.; Vitalone,
op. cit., 426 s.; L. Rubino,
op. cit., 1175 s.; Mantovani,
voce Separazione personale dei coniugi. I) Disciplina sostanziale, in Enc.
giur. Treccani, XXVIII, Roma, 30; Tommaseo,
op. cit., 597.
[35] Cfr. Cass., 5 gennaio 1984, n. 14, cit.; Cass., 13
febbraio 1985, n.
[36] Cass., 13 febbraio 1985, n. 1208, cit.
[37] «In realtà il controllo del tribunale in sede di omologazione, pur trovando il suo momento più specifico esteso anche alla possibilità di indicazioni correttive nell’area dell’affidamento e del mantenimento dei figli, nondimeno involge anche le altre parti dell’accordo di separazione, come verifica del non travalicamento del canone di inderogabilità posto dall’art. 160 c.c. D’altro canto, l’accordo di separazione non si scinde in una duplice tipologia di clausole strutturalmente differenziate (‘processuali’ o ‘extraprocessuali’, secondo la terminologia della sentenza citata), ma è atto unitario ed essenzialmente negoziale, soggetto a controllo ma innanzitutto espressione della capacità dei coniugi di responsabilmente autodeterminarsi (artt. 2 e 29 Cost.), tanto che in dottrina si è indicata la separazione consensuale come uno dei momenti di più significativa emersione della negozialità nel diritto di famiglia e in tale prospettiva si è collocata anche la giurisprudenza di questa Corte con alcune recenti sentenze, come la n. 2788-1991, la quale ha dato notevole rilievo all’autonomia dei coniugi, affermando il diritto di ciascuno di essi di ‘condizionare il proprio consenso alla separazione personale ad un soddisfacente assetto generale dei propri interessi economici, sempreché con tale composizione non si realizzi una lesione di interessi inderogabili’ (v. anche, in precedenza, la sentenza n. 3940 del 1984). In altri termini, è vero che il controllo del tribunale, in sede di omologazione ex art. 158 c.c., si appunta particolarmente sulla materia dell’affidamento e del mantenimento della prole, ma tale constatazione non può rovesciarsi nella proposizione reciproca secondo cui quella materia, in quanto tale, richiederebbe in ogni caso un momento di controllo giudiziario preventivo, anche quando il relativo negozio intervenga dopo l’omologazione. Tale ipotesi, fra l’altro, implicherebbe uno strumento processuale ad hoc, che invece non esiste, prevedendo la legge il procedimento di omologazione della separazione (art. 158 c.c.) ma non procedimenti omologativi di eventuali pattuizioni successive di modifica» (Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, cit.; nei medesimi termini cfr. anche la precedente Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, cit.).
[38] Alpa e Ferrando, op. cit., 516 s.; Doria, op. cit., 569; Sala, Accordi successivi
all’omologazione della separazione ed autonomia negoziale dei coniugi,
cit., 1493, 1495 s.
[39] Così Alpa
e Ferrando, op. cit., 516
s.
[40] Cfr. Conte,
Accordi modificativi successivi alla separazione omologata e controllo
giurisdizionale: tra moglie e marito non metter... l’omologa, nota a Trib.
Marsala 23 dicembre
[41] Alpa e Ferrando, op. cit., 516 s.: «Si consideri qualche esempio. I genitori separati decidono che il figlio debba seguire un corso di istruzione all’estero. In deroga ai criteri di ripartizione delle spese di mantenimento prescelti in sede di omologazione, uno dei due si assume l’intero onere economico dell’iniziativa. Mentre in deroga ai criteri di affidamento si stabilisce che il figlio venga accompagnato dal genitore con cui di solito non convive. A quale delle due categorie assegnare questa ‘decisione’? Ed è ragionevole ritenere (…) che uno dei due genitori possa sottrarsi agli impegni assunti sostenendo (non che l’iniziativa contrasta con l’interesse del figlio; o che le condizioni di fatto sono mutate e non consentono più di realizzarla, ma) che manca l’omologazione del tribunale? Gli stessi interrogativi nascono in ordine ad altre decisioni. Si pensi a quella di finanziare una vacanza, un hobby costoso, un corso di studi, di provvedere all’assistenza medica o ad una bambinaia secondo criteri di ripartizione di spese diversi da quelli a suo tempo omologati e dai coniugi ritenuti più adeguati alle reali necessità. Si pensi anche alle stesse decisioni in ordine all’affidamento temporaneo determinate da esigenze di lavoro, di studi, di salute o altro ancora dei genitori o del figlio. La necessità di un controllo giudiziale preventivo attuato nella forma dell’omologazione si risolverebbe in un inutile impaccio e in una ingiustificata sottoposizione della famiglia a forme di ‘tutela’ esterne. Mentre un controllo successivo sulla legittimità della decisione è tale da far salvi ad un tempo l’autonomia della famiglia e lo stesso interesse del figlio».
[42] Cfr. Dogliotti,
Separazione e divorzio, Torino, 1995, 19: «Se dunque il
contrasto permane (soprattutto in ordine al contenuto necessario), la risposta
tradizionale circa la nullità o almeno l’inefficacia dell’accordo appare inaccettabile.
Perché infatti escludere la validità di un accordo se fosse migliorativo per i
figli o il coniuge beneficiario? Si tratterebbe di una tutela maggiore del
diritto al mantenimento, sicuramente indisponibile e che costituisce oggetto
della valutazione del giudice: sarebbe estremamente contraddittorio ritenere
invalido l’accordo più vantaggioso solo perché non è stato sottoposto al
controllo giudiziale! Certo, almeno per quanto attiene ai figli, il
miglioramento dovrebbe apparire immediato e palese; riguarderebbe gli aspetti
patrimoniali (assegno di mantenimento, eventuale assegnazione della casa
familiare; anche il trasferimento di un immobile in capo al figlio, che
potrebbe, ad esempio, dare frutti maggiori rispetto all’assegno periodico potrebbe
ritenersi migliorativo, posto che, del resto, il genitore non sarebbe del tutto
liberato dall’obbligazione di mantenimento, come si è detto, eminentemente di
risultato) e non quelli esclusivamente personali (ad es. affidamento dei figli)
che dovrebbero essere sempre e comunque sottoposti al controllo del giudice».
[43] Sul punto v. anche Doria, op. cit., 569.
[44] Espressamente nel senso della invalidità di intese
precedenti all’omologazione, se non contenute nel verbale di conciliazione, v. Morace Pinelli, op. cit., 307;
in giurisprudenza v. Cass., 5 gennaio 1984, n. 14, cit.; Cass., 13 febbraio
1985, n. 1208, cit.
[45] App. Brescia, 16 aprile
[46] Cfr. Trib. Marsala, 23 dicembre 1994, cit.
[47] Citati in Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., 368 s.
[48] M. Ferrari, Ancora
in tema di accordi fuori dal verbale di separazione, cit., 717; G. Ceccherini, Separazione consensuale
e contratti tra coniugi, cit., 392 s.
[49] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., 215 ss.
[50] Sul tema della simulazione della e nella separazione
consensuale cfr. Oberto, Simulazioni
e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti
europei), nota a Cass., 5 marzo 2001, n.
[51] Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., 215 ss.; v. anche De Marzo,
Separazione consensuale non omologata e
accordi patrimoniali già eseguiti, Nota a Trib. Lucca, 11 maggio
[52]
Cfr. Cass., 25 settembre 1978, n. 4277: «[L’accordo in sede di separazione
consensuale] ha un contenuto essenziale (consenso reciproco a vivere separati)
ed un contenuto eventuale, di cui fanno parte tute le pattuizioni che, a
seconda dei casi, si rendono necessarie al fine della instaurazione del nuovo
stato di vita separata (assegno di mantenimento a favore di uno dei coniugi;
affidamento e mantenimento della prole; rapporti con i figli da parte del
genitore non affidatario, ecc.)»; Cass., 15 maggio 1997, n. 4306: «Come questa
Corte ha già rilevato (Cass., 25 settembre 1978, n. 4277), detto accordo ha un
contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati – ed un
contenuto eventuale, costituito dalle pattuizioni necessarie ed opportune, in
relazione all’instaurazione di un regime di vita separata, a seconda della
situazione familiare (affidamento dei figli; assegni di mantenimento;
statuizioni economiche connesse)». Sul tema v. anche App. Milano, 18 febbraio
[53] Secondo quanto illustrato in Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., 363 ss.
[54] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., 368 ss., A tali conclusioni aderiscono Balestra,
Autonomia negoziale e crisi coniugale:
gli accordi in vista della separazione, cit., 290 ss.; Barbiera, Il matrimonio, Padova, 2006, 332; contra Palmeri, Il contenuto atipico dei negozi familiari,
2001, 98 s.
[55] App. Torino, 25 febbraio
[56] Corte cost., 17 marzo 1995, n.
[57] Sul tema specifico degli accordi circa il diritto
alla pensione di reversibilità, nonché sulle sentenze della Corte di Cassazione
che hanno ripreso il contenuto della decisione della Consulta testé riportata
cfr. Oberto, I contratti della
crisi coniugale, II, cit., 1063 ss.
[58] Cfr. Cass., 14 luglio 2003, n. 10978, cit., con cui
[59]
Cfr. per esempio Trib. Milano, 24 settembre
[60] Così Sala,
La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella
separazione di fatto, cit., 1098 s.; sull’argomento cfr. anche Russo, op. cit., 1103 s.
[61] Così anche Sala,
La rilevanza del consenso dei coniugi
nella separazione consensuale e nella separazione di fatto, cit., 1098 s.; Angeloni, op. cit., 439 s.
[62] Russo, op.
cit., 1103 s.; Angeloni, op. cit., 440.
[63] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, II, cit., 733 ss. Singolare
l’argomentazione di una non remota pronunzia di merito, che, in assoluto
contrasto con l’evoluzione giurisprudenziale che si è dinanzi delineata,
afferma (del tutto apoditticamente) il principio secondo cui l’assegnazione
della casa coniugale «è istituto che postula l’intervento giudiziale, sia pure
eventualmente sub specie di omologa
della separazione consensuale»: cfr. Trib. Lucca, 26 marzo
[64]
Sulla complessa questione evocata nel testo v. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., 881 ss.; Id., L’assegnazione consensuale
della casa familiare nella crisi coniugale, in Fam. dir., 1998, 465
ss. V. inoltre Gazzoni, La trascrizione immobiliare, I, Artt. 2643-2645-bis, in Commentario Schlesinger, Milano, 1998,
337 ss.; Padovini, Sull’inopponibilità ai terzi di assegnazioni
non trascritte della casa familiare, Nota a Cass., 6 maggio 1999, n.
[65] Su cui v. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, II, cit., 1007 ss.
[66] Su cui cfr. per tutti Oberto, I trasferimenti
mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, in Fam.
dir., 1995, 155 ss.; Id., I contratti della crisi coniugale, I,
cit., 699 ss., II, cit., 1255 ss.; Id.,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, Milano, 2000; Id.,
I trasferimenti patrimoniali in occasione
della separazione e del divorzio, in corso di pubblicazione in Familia,
2006; cfr. inoltre T.V. Russo, I
trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio,
Bari, 2001.
[67] Cass., 14 ottobre 2004, n. 20292.
[68] Qui, sia chiaro, «opponibilità» significa
semplicemente subingresso nella posizione dell’originario conduttore e dunque
in un rapporto che potrebbe anche concludersi – ed anzi normalmente si conclude
(salvo rinnovo) – ben prima del novennio.
[69] Corte cost., 7 aprile 1988, n.
[70] Cfr. anche Cass., 1 giugno 1991, n. 6163: «A seguito
della sentenza n. 404 del 1988 con cui
[71]
Pret. Siracusa, 23 febbraio
[72] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, II, cit., 935 ss.
[73] Cass., 14 febbraio 1992, n.
[74] Per i richiami v. Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari
in occasione di separazione e divorzio, cit., 155 ss.; Id., I contratti della crisi coniugale, I, cit., 699 ss., II, cit., 1255
ss.; Id., Prestazioni «una
tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit.; Id., I trasferimenti tra coniugi in occasione della separazione e del
divorzio, cit.
[75] Cass., 11 novembre 1992, n.
[76] Cfr. Cass., 15 marzo 1991, n.
[77] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., 627 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., 91 ss.
[78] Sul tema v. per tutti Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., 69 ss.
[79] Così Caravaglios,
I trasferimenti immobiliari nella
separazione consensuale tra coniugi, nota a Cass., 15 maggio 1997, n. 4306
e Trib. Napoli, 16 aprile
[80] Cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., 265
ss.
[81] Cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., 174 ss., 195 ss.
[82] Corte cost., 10 maggio 1999, n.
[83] Cfr. la risoluzione 14 dicembre
[84]
Metitieri, op. cit., 1181; nello stesso senso cfr. anche Vaglio, I verbali di separazione e divorzio sono inidonei per trasferimenti
immobiliari fra coniugi, in Fam. dir., 1994, 690; per un accenno
alla questione cfr. anche Caravaglios,
[85] Metitieri, op. cit., 1181.
[86]
Dal canto suo,
[87] Riportata in Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., 470 ss.
[88] Cfr. Commissione
Studi Del Consiglio Nazionale Del Notariato, Trattamento fiscale degli atti relativi ai procedimenti di separazione
e divorzio alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale,
parere approvato dal Consiglio Nazionale il 23 luglio
[89] Chi scrive ha già avuto modo di esprimersi nel senso
di cui al testo (cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II,
cit., 1396): rimane così definitivamente smentita la tesi secondo cui
l’opinione già propugnata e qui riproposta «priverebbe le mediazioni notarili
connesse alle sistemazioni patologiche delle previste agevolazioni fiscali»
(cfr. Caravaglios, I trasferimenti immobiliari nella
separazione consensuale tra coniugi, cit., 425, che peraltro non ritiene di
dover motivare tale affermazione).
[90] Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., 700 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., 119 ss.
[91] Cfr.
[92] Cfr. Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, secondo cui
«Nella ipotesi di trasferimento di immobili in adempimento di obbligazioni
assunte in sede di separazione personale dei coniugi, l’art. 19 della legge 6
marzo 1987, n. 74 (norma speciale rispetto a quella di cui all’art. 26 del
d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131), alla luce delle sentenze della Corte
costituzionale 10 maggio 1999, n. 154 e 15 aprile 1992, n. 176, deve essere
interpretato nel senso che l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da
ogni altra tassa” di “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi
al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti
civili del matrimonio” si estende “a tutti gli atti, i documenti ed i
provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi”,
in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati
hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche
con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli».
[93] Cfr. Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari
in occasione di separazione e divorzio, cit., 161; Id., I contratti della
crisi coniugale, I, cit., 699 ss., II, cit., 1255 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., 167
ss.