21. Le deroghe agli artt. 155, 4° co., c.c. e 6, 6° co., l.div. Assegnazione convenzionale dell’abitazione in assenza di affidamento della prole. Premessa.
Una volta esaminato il trattamento che la normativa specifica riserva agli accordi circa l’assegnazione dell’abitazione nella casa familiare occorre volgere l’attenzione ad una serie di questioni non espressamente prese in esame dal legislatore – e assai raramente affrontate dagli interpreti – in merito all’individuazione dell’estensione dell’autonomia delle parti. Il primo profilo investe i rapporti tra l’assegnazione della casa familiare e la presenza di prole minorenne.
Capita sempre più sovente (non foss’altro che per effetto del crescente numero dei matrimoni "sterili") che la coppia in crisi proceda all’assegnazione della casa familiare al coniuge non proprietario pur in assenza di prole minorenne. E neppure può dirsi raro il caso in cui, in presenza di quest’ultima, i genitori operino convenzionalmente un’assegnazione della casa familiare in palese deroga al principio, fissato dagli artt. 155, 4° co., c.c. e 6, 6° co., l.div., della (almeno tendenziale) coincidenza tra assegnazione della casa e affidamento della prole. Con riguardo a questo ultimo caso potrà rimarcarsi, sul piano della psicologia e della sociologia familiare, come talora una siffatta operazione sia proprio quella che risponde al best interest della prole.
Al genitore affidatario viene assegnata di solito anche la casa coniugale, al fine di assicurare continuità ai bambini. Mi è capitato in più di un’occasione, in casi in cui si profilava la maggior opportunità di affidare i bambini al padre perché c’era una sofferenza psichica della mamma, di proporre che la casa restasse a quest’ultima. I bambini avrebbero dovuto affrontare il cambiamento di un trasloco, ma avrebbero avuto maggiori possibilità di mantenere ragionevolmente integro il rapporto con la mamma che altrimenti – parlo di donne fragili e sofferenti – perdendo anche il sostegno e il fattore di continuità rappresentato dalla casa, avrebbe potuto ulteriormente scompensarsi e quindi andar perduta. Quasi sempre l’avvocato del padre affidatario "non molla" sulla casa: dal suo punto di vista il diritto alla casa coniugale per i bambini e per il genitore affidatario è irrinunciabile.
(I. Bernardini 1995, 155 s.).
Si tratta quindi di vedere se e a quali condizioni un siffatto accordo possa ritenersi consentito.
L’interrogativo sembrerebbe prima facie collegato alla vexata quaestio circa l’esistenza di un analogo potere (quello, appunto, di disporre un’assegnazione svincolata dall’affidamento) in capo al giudice del contenzioso, vuoi in sede separazione, vuoi di divorzio. Sul punto non potrà che ricordarsi, in estrema sintesi, come la giurisprudenza di legittimità, argomentando dal carattere eccezionale degli istituti in esame (sul tema cfr. supra, § 13, in questo cap.), continui a rispondere per lo più negativamente, tanto con riferimento all’art. 155, 4° co., c.c., che con riguardo all’art. 6, 6° co., l.div.
In particolare, per quanto riguarda l’assegnazione in sede di separazione, v. Cass. Sez. U. 23.4.1982, n. 2494, DFP, 1982, 1204; cfr. inoltre Cass. 13.7.1983, n. 4768; Cass. 14.1.1987, n. 179; Cass. 9.2.1990, n. 901; Cass. 5.6.1990, n. 5384, GC, 1990, I, 2900, con nota di Sotgiu; NGCC, 1991, I, 92, con nota di Di Nardo; Cass. 13.2.1991, n. 1501, GC, 1991, I, 1467; Cass. 29.1.1996, n. 652; Cass. 16.3.1996, n. 2235, FD, 1996, 322; GC, 1996, I, 2283, con nota di Azzaro; Cass. 17.7.1997, n. 6557; Cass. 11.5.1998, n. 4727; contra (nel senso, cioè della possibilità di assegnare la casa familiare al coniuge non affidatario della prole minorenne) Cass. 24.8.1990, n. 8699; Cass. 17.3.1994, n. 2574; Cass. 26.9.1994, n. 7865; Cass. 30.8.1995, n. 9163, GI, 1996, I, 4, con nota di Frezza; Cass. 7.7.1997, n. 6106, FD, 1998, 161, con nota di Cortesi; Cass. 20.8.1997, n. 7770; Cass. 28.1.1998, n. 822, FD, 1998, 125, con nota di De Marzo; Trib. Catania 27.10.1992, GM, 1993, 320, con nota di Trerotola; Trib. Milano 25.3.1993 e 15.3.1993, NGCC, 1994, I, 239, con nota di Rimini; Trib. Catania 27.4.1993, G, 1994, 143, con nota di Magni.
Per quanto concerne l’assegnazione in sede di divorzio v., in senso contrario possibilità di operare quest’ultima in assenza di prole minorenne o di prole maggiorenne convivente, Cass. 11.12.1990, n. 11788, AC, 1991, 417; GI, 1991, I, 1, 156; GI, 1992, I, 1, 156, con nota di Cecconi; Cass. 26.4.1991, n. 4620, FI, 1991, I, 2043; DFP, 1991, 944; Cass. 20.11.1991, n. 12428, RFI, 1991, Matrimonio, n. 194; Cass. Sez. U. 28.10.1995, n. 11297, GC, 1996, I, 45, con nota di Marinelli; GC, 1996, I, 725, con nota di Frezza; Cass. 11.12.1995, n. 12643; Cass. 8.11.1997, n. 11030; Cass. 8.5.1998, n. 4679; contra (nel senso, cioè, della possibilità di assegnare la casa familiare al coniuge non affidatario della prole o con il quale i figli maggiorenni non convivono) Cass. 26.9.1994, n. 7865; Cass. 30.8.1995, n. 9163, GI, 1996, I, 4, con nota di Frezza.
L’indirizzo prevalente or ora ricordato ha formato oggetto di vivaci critiche, sia in dottrina che tra i giudici di merito (per tutti si fa rinvio a Bin 1986, 194 ss.; Bin 1989, 332 s.; Quadri 1987, 71; Quadri 1992, 237 ss.; L. Rubino 1989, 930 s.; Quadri 1997, 267 ss., 283 ss.; De Filippis, Casaburi 1998, 301 ss.; contra, nel senso che è solo la considerazione della prevalenza degli interessi dei figli e della necessità di porgere loro adeguata tutela che giustifica l’introduzione dell’art. 155, 4° co., c.c., cfr. Giusti 1986, 781). In particolare, si è rilevato che la ratio tradizionalmente individuata a sostegno della regola in esame, cioè impedire che i figli minorenni "oltre al trauma della separazione dei genitori, abbiano a subire anche quello dell’allontanamento dall’ambiente in cui vivono", non può certo essere ripetuta in relazione a quei figli adulti (anche se non ancora economicamente indipendenti) la cui presenza può costituire oggi uno dei presupposti sufficienti per l’assegnazione ex art. 6, 6° co., cit., con conseguente abbandono – ad avviso della dottrina qui ricordata – della tesi del carattere eccezionale dell’istituto in oggetto e affermazione della possibilità di un utilizzo del medesimo a tutela della (sola) posizione del coniuge più debole (cfr. Quadri 1992, 239 s.; v. anche supra, § 13.1, in questo cap.).
D’altro canto, nella stessa giurisprudenza prevalente non sono mancati tentativi di fornire soluzioni, per così dire, di compromesso, valorizzando per esempio l’inciso "ove possibile" di cui all’art. 155, 4° co., c.c.: così Cass. 24.8.1990, n. 8705 (NGCC, 1991, I, 92) ha ammesso l’assegnazione della casa familiare, in sede di separazione contenziosa, in favore del coniuge non affidatario della prole quando il vantaggio della permanenza della prole minorenne in detta casa alla luce delle peculiarità del caso concreto, non sia proporzionato alla gravosità della soluzione per il coniuge non affidatario.
22. L’ammissibilità dell’assegnazione convenzionale dell’abitazione in assenza di affidamento della prole.
L’accoglimento della tesi prevalente nella giurisprudenza di legittimità sembrerebbe dunque porre un ostacolo all’inserimento di una clausola del genere di quella in esame, soprattutto se si volesse riconoscere alla regola della necessaria coincidenza tra assegnazione e affidamento il carattere di principio d’ordine pubblico (in questo senso sembrerebbe orientato Gabrielli 1996b, 696, che peraltro giustifica la soluzione sulla base del carattere – indiscutibilmente – inderogabile del canone dell’interesse della prole, cui l’assegnazione a vantaggio dell’affidatario non risponde però sempre inevitabilmente).
Ora, proprio su quest’ultimo aspetto (cioè sulla natura inderogabile degli artt. 155, 4° co., c.c. e 6, 6° co., l.div.) la Cassazione ha già avuto modo di esprimersi, argomentando la soluzione positiva dalla configurazione del diritto di abitazione alla stregua di una modalità di attuazione dell’obbligo di mantenimento della prole. Nella stessa pronuncia il S.C. ha però anche esplicitamente affermato la possibilità di un soddisfacimento del suddetto dovere per altra via (essenzialmente, mediante il periodico versamento di somme di denaro: cfr. Cass. 31.1.1986, n. 624). L’indirizzo giurisprudenziale che nega al giudice il potere di procedere all’assegnazione della casa coniugale in assenza di prole minorenne non sembra dunque dispiegare effetti negativi sull’eventualità che le parti di comune accordo pervengano a tale risultato (ammette la possibilità per le parti di procedere all’assegnazione consensuale della casa familiare anche in assenza di figli minori A. Ceccherini 1996, 526; dello stesso avviso paiono anche, sebbene con posizione più sfumata, inoltre De Filippis, Casaburi 1998, 333), ovvero addirittura procedano all’assegnazione al genitore non affidatario dei figli, purché in tal modo l’assegnatario della casa non venga a sottrarsi al dovere di contribuire al mantenimento della prole e sempre, ovviamente, che nel caso concreto la clausola non debba comunque ritenersi in contrasto con l’interesse dei figli minori (sulla possibilità per il giudice delle esecuzioni sospendere un’esecuzione per il rilascio, promossa sulla base di un verbale di separazione consensuale omologato e relativa all’appartamento abitato da uno dei coniugi e dai figli, quando tale rilascio risulta dannoso per lo sviluppo fisico e spirituale di questi ultimi v. Pret. Milano 14.1.1991, C.E.D. – Corte di cassazione, Arch. MERITO, pd. pd 920200).
Una conferma al riguardo sembra venire da un’altra pronunzia della Corte Suprema, con cui è stata ritenuta ammissibile la modifica ex art. 710 s. c.p.c. – sulla base di circostanze di fatto sopravvenute – dell’originaria attribuzione in sede consensuale dell’abitazione della casa coniugale al genitore non affidatario, così dando implicitamente per scontata la sua legittimità (cfr. Cass. 6.7.1978, n. 3344, DFP, 1978, 1202).
Sarà ancora il caso di dire, sul punto, che, se si accetta il punto di vista a suo tempo ampiamente illustrato circa la validità delle intese di carattere preventivo circa le conseguenze del divorzio (cfr. supra, cap. V), i coniugi in sede di separazione ben potranno stabilire che l’assegnazione da essi operata avrà valore anche per il tempo successivo all’eventuale scioglimento del matrimonio (contra Cass. 5.12.1981, n. 6461; Cass. 20.9.1991, n. 9840, GI, 1992, I, 1, 1078, con nota di E. Carosone; DFP 1992, 562; A. Ceccherini 1996, 526 nota 5; in dottrina, sempre in senso contrario rispetto all’opinione qui prospettata, v. Gabrielli 1997, 1283 s.).
23. L’opponibilità dell’assegnazione dell’abitazione in assenza di affidamento della prole nella separazione convenzionale, così come in quella di fatto.
Una volta affermata la validità di una pattuizione del genere di quella qui in esame si pone il problema della sua opponibilità nei confronti dei terzi e, in primo luogo, nei riguardi degli aventi causa dal coniuge proprietario dell’immobile.
Se si parte infatti dal presupposto che gli artt. 155, 4° co. e 6, 6° co., l.div. disciplinano un istituto concepibile soltanto in presenza di prole minorenne, se ne deve necessariamente concludere che, in assenza di questo requisito, la pattuizione diretta ad instaurare un’analoga situazione, ancorché valida inter partes, non gode di quell’opponibilità che, originariamente prevista dalla seconda delle norme citate, è stata estesa alla separazione dalla nota pronunzia 27.7.1989, n. 454 della Corte costituzionale. Questa è proprio la conclusione cui è pervenuto un provvedimento di merito (Trib. Verona 14.3.1990, FP, 1991, I, 386).
Visto il ricorso, depositato in cancelleria in data 25 gennaio 1990, con il quale Baccaglioni Daria ha proposto reclamo avverso il provvedimento del Conservatore dei Registri Immobiliari di Verona che trascriveva "con riserva" il verbale di separazione consensuale dei coniugi Gola Giuseppe e Baccaglioni Daria omologata dal Tribunale di Verona in data 2 ottobre 1989 con il quale i coniugi medesimi hanno convenuto l’assegnazione della abitazione della casa coniugale, sita in Verona, Via Oberdan n. 20, alla ricorrente "che la usufruirà gratuitamente unitamente ai mobili tutti che ne costituiscono l’arredamento", diritto sottoposto alla condizione risolutiva del passaggio "a nuove nozze o a stabile effettiva convivenza more uxorio" da parte dell’assegnataria;
Ritenuto: – che il richiamo operato dalla ricorrente alla sentenza n. 454 del 19 luglio 1989 della Corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 155, comma 4° cod. civ., nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione della casa coniugale al coniuge affidatario della prole, ai fini della opponibilità ai cui all’art. 155, comma 4° cod. civ. (come risulta modificata dalla predetta sentenza) che quella di cui all’art. 6 comma 6° legge n. 74/87 hanno carattere eccezionale e sono dettate nell’esclusivo interesse della prole minorenne, sicché esse non sono applicabili, neppure in via di interpretazione estensiva, al coniuge non affidatario;
- che è da ritenere pacifico che al giudice non è data la facoltà di attribuire l’assegnazione della abitazione della casa coniugale quando non sussista un problema di tutela della prole, ma solo di protezione del coniuge economicamente più debole;
- che, per la medesima ratio, dal divieto imposto al giudice discende necessariamente il corollario della inopponibilità ai terzi della assegnazione della abitazione della casa coniugale in favore del coniuge non affidatario effettuata con atto giudiziale recepito nel verbale di separazione consensuale omologato, non sussistendo anche in tale ipotesi la necessità primaria della tutela della prole minorenne;
– che, infine, non sussistendo tale necessità di tutela, è inopponibile ai terzi anche l’accordo delle parti recepito in un atto pubblico, sempre che l’assegnazione della abitazione della casa coniugale sia concessa al coniuge non affidatario e configuri, come nel caso di specie, un atipico diritto personale di godimento (non venendo in discussione la facoltà delle parti di costituire in sede di separazione consensuale ovvero con atto pubblico o scrittura privata un diritto reale tipico a favore di uno dei coniugi, anche non affidatario, ovviamente tutelabile nei confronti dei terzi);
- che pertanto, il reclamo in parola appare infondato;
P.Q.M.
Rigetta il reclamo come sopra proposto da Baccaglioni Daria.
(Trib. Verona 14.3.1990).
A commento di questa presa di posizione va detto che, come si è già avuto modo di vedere (cfr. supra, § 11, in questo cap.), gli effetti della sentenza 27.7.1989, n. 454 della Corte costituzionale non possono ritenersi limitati al campo della separazione contenziosa, ma vanno estesi anche alla separazione consensuale e a quella di fatto.
Non possiamo d’altro canto nasconderci che la ratio decidendi seguita dalla Consulta per estendere il regime dell’art. 6, 6° co., l.div. alla materia della separazione fa espresso richiamo alla sola necessità di tutela della prole minorenne: "La violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione si concreta non nel deteriore trattamento del coniuge separato rispetto al divorziato, essendo l’uno e l’altro portatori di status personali differenziati, ma nella diversità di trattamento di una situazione assolutamente identica, quale è quella della prole affidata ad un genitore separato o ad un genitore non più legato dal vincolo matrimoniale". Per giunta, tale principio si riflette in un dispositivo che rende opponibile nei confronti dei terzi (e alle condizioni già illustrate) il "provvedimento giudiziale di assegnazione dell’abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole".
Peraltro, ancora una volta, un’interpretazione strettamente letterale potrebbe condurre a risultati palesemente iniqui e a nuove questioni di legittimità costituzionale, specie se si tiene conto del fatto che l’art. 6, 6° co., u.p. l.div., non limita certo l’opponibilità dell’assegnazione al caso (anche se previsto come normale) in cui la stessa sia avvenuta in favore dell’ex coniuge affidatario dei figli o con il quale questi convivano oltre la maggiore età. Ne consegue che, volendo seguire la tesi più restrittiva, l’assegnazione in favore dell’affidatario della prole sarebbe opponibile nei confronti dei terzi tanto se disposta in sede di separazione che di divorzio, mentre rispunterebbe una disparità di trattamento a favore del divorziato assegnatario, ma non affidatario, posto che il suo "omologo" separato non potrebbe opporre agli aventi causa dal proprietario il suo diritto di abitazione "disgiunto" dall’affidamento.
La Corte costituzionale sembra voler parare questo colpo affermando che separati e divorziati sono "portatori di status personali differenziati", e dunque vanno trattati in maniera differenziata. E fin qui si potrebbe anche essere d’accordo: a patto però che il trattamento differenziato si ispiri alla considerazione che, se i separati sono ancora coniugi, altrettanto non può dirsi per i divorziati. Al contrario, il risultato cui si perviene nell’esempio testé riportato evidenzia una maggiore "forza" (= opponibilità nei confronti di terzi) di un rapporto tra soggetti non più uniti in matrimonio rispetto all’identica situazione di due persone che, bene o male, marito e moglie lo sono pur sempre. Questo privilegio del non-più-coniuge rispetto al coniuge attuale (ancorché separato) sembra urtare contro la regola della ragionevolezza consacrata dall’art. 3 Cost., secondo l’interpretazione pluriennale della Corte costituzionale (v., ancora una volta, la sentenza 7.4.1988, n. 404).
A parte i prospettati dubbi di legittimità costituzionale, la soluzione di molti dei problemi sin qui illustrati sembra rinvenibile nel riconoscimento del carattere di principio generale alla regola dell’opponibilità dell’assegnazione della casa familiare, con conseguente possibilità di estensione analogica delle illustrate fattispecie normative. Con questo non si vuole naturalmente contraddire quanto sopra affermato circa la natura eccezionale (anzi, "doppiamente" eccezionale) della regola contenuta nell’art. 6, l. n. 392/78 (cfr. § 13, in questo cap.). L’analogia non può infatti condurre ad un ampliamento del catalogo dei tipi di posizioni giuridiche dei terzi coinvolti: così, all’acquirente e al locatore non potranno aggiungersi, per esempio, il comodante (cfr. supra, §§ 19 ss., in questo cap.) o il comproprietario dell’immobile (cfr. supra, § 20, in questo cap.). Ciò che appare consentito compiere è invece la concessione del "beneficio" dell’opponibilità (nell’ovvio rispetto delle condizioni previste in relazione alle varie categorie di terzi) ad ogni forma di assegnazione della casa familiare operata in seno ad un conflitto coniugale.
Proprio questa è infatti la direzione in cui muovono – tanto nei rapporti con gli aventi causa dal coniuge non assegnatario che in quelli con il locatore – l’art. 6, 6° co., l.div., con la sua estensione operata da Corte cost. 27.7.1989, n. 454 alla separazione legale, nonché l’art. 6, 3° co., l. n. 392/78 con la sua estensione alla separazione di fatto operata da Corte cost. 7.4.1988, n. 404. Ne consegue che, vuoi per applicazione diretta delle norme citate, vuoi per effetto delle riportate pronunzie della Corte costituzionale, vuoi infine per effetto di estensione analogica, non potrà più ritenersi consentita, in linea di principio, alcuna forma di distinzione a seconda che l’assegnazione sia stata operata dal giudice, ovvero dalla volontà delle parti (in seno ad una separazione consensuale così come di fatto), in presenza o meno di figli, al coniuge affidatario, come a quello non affidatario della prole.
Se l’interpretazione prospettata non dovesse invece ricevere accoglimento e se si volesse pertanto continuare a discriminare l’assegnazione convenzionale in favore del coniuge non affidatario, negando l’applicazione dell’art. 6, 6° co., l.div. e la conseguente opponibilità nei confronti dei terzi aventi causa dal proprietario (così come l’applicazione dell’art. 6, 3° co., l. n. 392/78), non resterebbe allora che suggerire ai pratici il ricorso ad una figura nominata diversa da quella ex artt. 155 c.c. e 6 cit., come per esempio il diritto reale di abitazione o la locazione (eventualmente... nummo uno), per i quali esistono collaudate regole di opponibilità nei confronti dei terzi acquirenti dell’immobile.