Ci può dire qualcosa sulla storia dell'ipertesto?
Com'è nata l'idea in origine? "La nozione di ipertesto ha
origini antiche o medievali, nel senso che se si legge il Talmud o
certi tipi di manoscritti che contengono commenti sui commenti, vi
si intravede la possibilità di avere testi aperti, che rifiutano di
essere chiusi; si può prendere il manoscritto e scrivere qualcosa a
margine e, poi, qualcun altro può scrivere un altro commento
accanto. In un certo senso è la stampa che sembra aver delimitato la
nozione di testo nel senso divenuto oggi comune, e a cui si
riferiscono i teorici dell'ipertesto. Dell'ipertesto parlò,
senza usare il termine in sé, Vannevar Bush, uno scienziato che
lavorava alla fabbricazione della bomba atomica e che diventò
consigliere di un Presidente degli Usa. L'idea di costruire uno
strumento in grado di gestire collegamenti gli venne nel 1930, anche
se non la pubblicò fino alla fine della seconda guerra mondiale,
nell'Atlantic Monthly Magazine. L'idea era che si potesse avere uno
schermo - lui pensava ai lettori di microfilm - dove si sarebbe
letto qualcosa, e ci sarebbe stato un collegamento che si sarebbe
potuto seguire e ci sarebbe stato un altro schermo, e un altro
microfilm. Bush immaginò anche che si sarebbe potuto pubblicare un
libro che non contenesse altro che collegamenti tra testi scritti in
precedenza ed altri. L'idea c'era. Certo, sarebbe stato molto
scomodo farlo nel modo suggerito da Bush, ma col computer è molto
più facile. La parola 'ipertesto', in sé, è stata coniata da Ted
Nelson come parte di un grande progetto che prevedeva di mettere
tutte le conoscenze in relazione tra loro; Nelson sta ancora
perseguendo questo progetto in Giappone. Penso che ci sia, in
realtà, una differenza tra alcune cose di cui parla Nelson ed altre
concezioni dell'ipertesto, perché la sua nozione di ipertesto non
richiede che i nodi del testo siano necessariamente separati gli uni
dagli altri, vi si può far riferimento in vari modi".
Come
definirebbe l'ipertesto? "La maggior parte delle definizioni
di ipertesto mi pare che comincino col parlare del contrasto tra il
testo lineare, che procede in un ordine unico, e il testo che può
essere letto in molti modi perché consiste in parti, o nodi, o
blocchi di testo che sono stati collegati in una maniera non
lineare. Si può definire, quindi, l'ipertesto come un insieme di
porzioni di testo che hanno un modello di collegamento non
sequenziale e, quindi, molti percorsi di lettura
possibili".
Pensa che ci sia un genere di letteratura
particolarmente adatto ad essere scritto mediante
l'ipertesto? "Se si dovessero studiare tutti gli ipertesti
che esistono attualmente nel mondo, probabilmente, si vedrebbe che
la maggior parte di essi riguarda sistemi di informazione che sono
stati riordinati ipertestualmente e resi disponibili attraverso un
computer. Tuttavia, la nozione di ipertesto e le possibilità di
scrittura ipertestuale possono andare ben al di là di questo. Mi
sembra che ci siano almeno altri due modi in cui l'ipertesto
potrebbe essere usato; va ricordato che quando fu inventata la
stampa, o quando fu inventata la carta, nessuno avrebbe potuto
prevedere tutti i diversi modi in cui sarebbe stata usata. I due
modi a cui penso sono: un genere di scrittura letteraria
sperimentale, d'avanguardia, e l'uso dell'ipertesto come modo di
argomentazione, di ricerca e dialogo, come uno strumento che
coinvolgerebbe, probabilmente, più autori e implicherebbe
l'elaborazione di mezzi per tenere aggiornate le varie porzioni di
testo".
Cosa pensa si possa fare con l'ipertesto in campo
letterario: pensa che la letteratura sia legata a un percorso
narrativo lineare, o è veramente possibile creare della buona
letteratura usando ipertesti? "Penso sia possibile fare buona
letteratura usando l'ipertesto; non penso, tuttavia, che per ora
sappiamo ancora come realizzarla. È come inventare un nuovo
strumento musicale: per un po' di tempo la gente esplora le
possibilità dello strumento, il pianoforte, per esempio, e poi
arriva qualcuno che è capace di sfruttare queste possibilità per
fare grande musica. Penso che ora siamo nella fase di esplorazione
dell'ipertesto letterario, la sperimentazione sulla forma. E molti
di questi esperimenti ripetono, nell'ipertesto, esperimenti che
erano già stati fatti nella narrativa o in poesia, tentativi di
rottura dell'unità di un poema, tentativi di scrivere racconti che
neghino un finale unico, che neghino un percorso unico; Italo
Calvino è stato un esempio di tale ricerca, e ce ne sono altri in
America. Non è un caso che Robert Coover, che insegna alla Brown
University, e che non pubblica ipertesti lui stesso ma pubblica
racconti frammentari molto sperimentali, sia stato uno dei primi a
cercare di far creare ipertesti letterari ai suoi studenti. Penso
che, adesso, ci sia sicuramente una possibilità, ma non l'abbiamo
ancora vista realizzata".
Tra gli ipertesti letterari che
Lei ha letto, ce n'è qualcuno che considera particolarmente
interessante? "Penso che il lavoro di Michael Joyce meriti
particolare attenzione; è stato l'autore di un programma chiamato
Storyspace, che gli ha permesso - ed è questo il motivo per
cui ha realizzato il programma - di creare, come ha detto lui
stesso, un romanzo che si possa leggere ogni volta in modo diverso.
E' anche l'autore di un racconto, intitolato Afternoon, che è
stato il primo ipertesto letterario ed ha ottenuto un tale successo
che poco tempo fa l'ho visto in vendita in una libreria ad un prezzo
molto basso; ciò deve far indignare gli editori. Da allora ne ha
scritto uno più lungo intitolato Twilight che esce in Cd-Rom,
e ne ha scritti altri che appaiono sul web o su dischetti in piccole
riviste letterarie. È stato un autore avventuriero. Ha anche un
talento nello scrivere belle frasi in inglese, cosicché la sua prosa
è potente anche quando è frammentata alla maniera
dell'ipertesto".
Pensa che ci siano particolarità nella
realizzazione di ipertesti per la Rete? "Penso che ce ne
siano, dato lo stato attuale della tecnologia della Rete. Sulla
Rete, i link che collegano una pagina all'altra sono molto visibili,
e quindi c'è la tentazione di sorvolare la pagina per leggere solo i
link, si tende a scorrere. Una ricerca svolta sulla Rete ha mostrato
che i lettori raramente leggono tutta una pagina, e questo sarebbe
molto frustrante per un autore che cerca di coinvolgere il lettore
in un testo. Ci sono delle strategie per affrontare questo problema,
una è di rendere i link invisibili; è quello che fa Michael Joyce.
Una seconda strategia è di rendere le singole pagine molto brevi,
cosicché l'attenzione del lettore è catturata solo da tre o quattro
righe di testo; questo metodo funziona. Tuttavia c'è il pericolo di
una sorta di rapido scorrimento di queste pagine, e allora si ha il
problema che il lettore non può tenere in mente la struttura, ed è
come guardare diapositive o cambiare canali alla TV. Alla fine, si
arriva ad una situazione in cui il lettore viene stimolato da una
specie di show di forme e idee che scorrono, ma che non si integrano
in qualcosa di unitario. Questi sono due aspetti legati alla
Rete, a differenza che nel Cd-Rom in cui l'autore ha molto più
controllo. Un altro aspetto della Rete, naturalmente - e questo è un
aspetto di cui si rallegrano i teorici dell'ipertesto, anche se per
un altro verso dà problemi - è che il lettore può tornare indietro
in ogni momento, seguire un link per un sito distante, del tutto
diverso. Il lettore può agire semplicemente in modo tale che
l'esperienza che l'autore ha ideato per lui diventi solo un
passaggio momentaneo verso qualcos'altro. Ora, la perdita di
controllo autoriale su quello che il lettore sperimenta è un aspetto
del quale i teorici dell'ipertesto sono contenti, perché apre il
testo a creazioni di significato inconsuete, apre il testo a nuovi
modi di lettura che giustappongono passaggi insoliti. C'è un
equilibrio molto sottile, tuttavia, tra l'aprire il testo e il
permettere al testo di appiattirsi, perché ora tutto può essere
seguito da tutto. Quindi, l'autore cede una certa dose di controllo
- e va di moda dire che l'ipertesto, in qualche modo, la fa finita
con l'autore - ma, in realtà, rimane una figura centrale. L'autore
deve avere un certo controllo sul testo così che esso possa
mantenere un interesse ed una struttura. Dobbiamo scoprire come
creare i nuovi tipi di struttura, e questo sarà un
problema".
Passando dall'ipertesto agli ipermedia, il
fatto che si possa inserire nel testo anche l'immagine o piccoli
pezzi di video o suono cambia qualcosa nel modo di
scrivere? "Penso di sì. Se si ripensa alla fotografia, che è
stata inventata nella metà del XIX secolo, le prime fotografie che
vennero sviluppate non si potevano stampare; lo si è potuto fare
solo alla fine del secolo. Infatti, John Ruskin, per fare il suo
libro su Venezia usò i dagherrotipi, un tipo primitivo di
fotografia, e poi faceva incisioni basate sui dagherrotipi. Più
tardi, naturalmente, siamo stati in grado di stampare le fotografie.
Questo significa che le illustrazioni in un libro acquistano un
nuovo tipo di immediatezza. Ora possiamo avere filmati o suoni su
una singola pagina, e possiamo avere immagini che sono, a loro
volta, link per altre immagini. Certo, questo significherà che per
l'autore si scopre tutto un nuovo livello di complessità e di
possibili collegamenti; sì, penso che questo avrà un impatto
profondo sul modo di scrivere".
C'è una sorta di ipertesto
che sembra molto diffuso, che è quello dell'autobiografia o della
scrittura di pagine web personali. Pensa che la scrittura
dell'ipertesto autobiografico abbia qualche aspetto degno di nota?
Pensa che, in qualche maniera, modifichi il nostro modo di scrivere
su noi stessi? "Credo che non sia tanto l'ipertesto a
modificare il modo di scrivere su noi stessi, quanto il fatto che
ognuno possa pubblicare sulla Rete, che ognuno abbia un torchio
tipografico, e che quindi possa rendere la propria vita disponibile.
Quello che l'ipertesto dà in più è la possibilità di aggiungere
immagini, scrivere velocemente, e cambiare velocemente, se è il
caso, e produrre effetti visivi piuttosto buoni senza troppi sforzi;
anche se, devo dire, non tutte le pagine web con autobiografia
personale hanno effetti così buoni. C'è anche un altro aspetto:
se si guardano gli ipertesti letterari, anche quelli pubblicati su
Cd-Rom o su dischetto e che quindi sono piuttosto incompleti di per
sé, spesso, l'autobiografia viene fuori; non che necessariamente la
storia o i personaggi siano autobiografici, ma piuttosto perché
l'autore inserisce tratti autobiografici a cui si può accedere. In
una storia in ipertesto di Michael Joyce intitolata Whoa ci
si ritrova, all'improvviso, a leggere qualcosa come: "Beh, sto
scrivendo questo alle due del pomeriggio su un computer Macintosh. È
una giornata molto fredda e sto scrivendo dalle nove di mattina".
Quindi, all'improvviso, ecco l'autore, reale o no, che ci dà un
elemento autobiografico; è una grande tentazione. Io stesso, mentre
scrivevo un ipertesto, mi sono ritrovato ad inserire un paio di
riflessioni personali sulla forma da dare a quello che stavo
scrivendo; è un passo che sembra molto naturale, questo, perché ci
si può sempre scollegare in qualsiasi direzione. L'altra attrattiva
della Rete -e l'ho visto quando i miei studenti scrivevano cose
autobiografiche -, è la sensazione che quello che fai sia
improvvisamente a disposizione di un pubblico molto ampio; può darsi
che non lo veda molta gente, ma sta lì a disposizione. Non è come un
diario personale che tieni per te, o qualcosa che fai per mostrarlo
a tuoi o ai compagni di scuola. È semplicemente aperto, e questo
assume un tono di solennità o di divertimento, a seconda di come la
si prende, il che può essere piuttosto
stimolante".
Venendo al secondo aspetto dell'ipertesto che
Lei ha menzionato, ossia, l'uso dell'ipertesto per la
discussione? "Anche questa è una cosa che non è stata
studiata, ma, a mio avviso, è molto interessante. Mi sembra che
l'ipertesto offra la possibilità di presentare strutture di
argomentazione molto complesse in modi che, potenzialmente, possono
essere più chiari che in un libro lineare, perché si possono
istituire delle relazioni tra le diverse parti dell'argomento
attraverso connessioni dirette di vario tipo, e non si è costretti a
presentare l'argomento tratto per tratto sperando che il lettore si
ricordi a pagina 50 della cosa importante che si è detta a pagina
25. Si può, infatti, collegare la pagina 25 alla pagina 50 e il
lettore può andare avanti e indietro direttamente. E' possibile,
dunque, che strutture discorsive formali complesse possano essere
espresse in maniera più adeguata in un ipertesto. E' anche possibile
che commenti e domande e aggiunte a queste forme di discorso possano
essere direttamente annesse, nel qual caso si comincerebbe a
instaurare un dialogo che non avrebbe la forma del "io dico questo,
tu dici quello, io dico questo, tu dici quello"; piuttosto, i tuoi
commenti sarebbero annessi a parti di quello che io ho detto, e così
potremmo avere vari filoni di dialogo che emergono dal discorso, e a
poco a poco si svilupperebbe un intero sistema che potrebbe essere
difficile da seguire perché avrebbe molti percorsi; tuttavia, questo
sistema conterrebbe un intero dibattito con complessi argomenti e
controargomenti, e presumibilmente includerebbe anche uno schema che
spiegherebbe cosa succedeva via via nella struttura dell'insieme dei
discorsi".
Lei ha scritto un ipertesto, Socrates
in the labyrinth, in cui discute il problema dell'uso
dell'ipertesto in filosofia, nella argomentazione, e, naturalmente,
questo ipertesto contiene delle discussioni. Qual è la sua
esperienza nell'uso dell'ipertesto quanto alla presentazione e
all'organizzazione di una argomentazione? "In realtà, ho
provato a farlo in tanti modi diversi mentre scrivevo il testo, in
parte perché ho imparato a mano a mano che procedevo, in parte
perché ho voluto fare esperimenti, e ho anche incluso, accanto ai
testi più grossi, altri più piccoli che presentano diverse forme. La
mia esperienza mi ha insegnato che è bene suddividere le
argomentazioni affinché non venga tutto presentato in un unico
segmento, ma, allo stesso modo, non è bene suddividerle troppo. Se
si provava ad illustrare ogni singolo passo di una argomentazione in
un breve segmento di testo, al lettore risultava troppo difficile
tenere tutto a mente. Quindi, quello che credo sia la cosa migliore
è dare un troncone dell'argomentazione, magari mezza pagina o vari
paragrafi che andrebbero letti tutti insieme, e poi collegarlo ad
argomentazioni precedenti e posteriori. E' necessario, quindi,
valutare quale sia il modo migliore di presentare il
testo".
A volte, quando questo problema dell'uso
dell'ipertesto in filosofia viene dibattuto, c'è la tendenza a
pensare che esso sia utile quando si ha a che fare con argomenti che
presuppongono una sorta di decostruzione della forma lineare. Qual è
la sua opinione sul rapporto tra ipertesto e
decostruzione? "È una questione complessa, che si potrebbe
riassumere in questo modo: per molti versi l'ipertesto mostra che
quello che i teorici letterari e i filosofi della decostruzione
hanno detto sui testi, era vero. Mostra che i testi sono aperti, che
non possono essere completamente chiusi, che non possono essere
completamente dominati dall'autore, che il significato ha una certa
maniera contingente di emergere, cosicché non è totalmente sotto il
controllo di nessuno, lettore o autore. Ma è anche vero che
l'ipertesto, in un certo senso, si situa all'opposto di alcune cose
che dicono gli scrittori decostruzionisti perché, di fatto,
l'ipertesto è una rete, un insieme finito di relazioni, è qualcosa
di costruito, è un artefatto. Penso che molti degli autori che
inneggiano, in qualche modo, all'ipertesto come al "linguaggio
naturale della decostruzione", facciano confusione. Dimenticano che
non esiste il testo puro, che ogni genere di presentazione, ogni
genere di scrittura, riduce quella specie di testualità generale di
cui parlano, ad una modalità concreta di presentazione. In
fondo, si sogna la libertà totale, si sogna una situazione di
avanguardia permanente per la scrittura, e credo che la bandiera
dell'ipertesto appaia come qualcosa che ci può portare in direzione
di quel sogno. Ma soltanto in direzione del sogno, e il sogno è
possibile di per sé".
Lei pensa che ci sia qualche uso
possibile dell'idea di ipertesto, dell'idea di fare collegamenti e
mettere in relazione diversi pezzi di informazione sparsi, al di
fuori dei modelli tradizionali di scrittura? In definitiva, pensa
che l'ipertesto possa essere visto come modello o metafora in altri
campi? "Sebbene si possa sempre costruire un ipertesto che
sia gerarchico o uno che sia puramente lineare - ma il problema è
che non lo si può sempre mantenere così: acquisterà altri
collegamenti, si espanderà -, se si pensa a quest'immagine di
collegamenti non-lineari, non-gerarchici, e a forme che possono
essere create ma che non possono dominare il campo della scrittura
perché altre forme possono essere create a partire dalle stesse
parti del testo, quest'idea può essere traslata. Ecco un esempio:
molti si lamentano, specialmente in America, ma credo sempre di più
anche in Europa, della periferia urbana e dell'abbandono delle
periferie. Tendiamo a pensare che ciò che succede è che abbiamo un
nucleo urbano storico molto concentrato, circondato da una zona
periferica con case e fabbriche e centri commerciali come
sparpagliati senza ordine. E questa mancanza di ordine viene
sentita, in qualche modo, scomoda. Penso che si potrebbe provare
a leggere la periferia come un ipertesto, si potrebbe dire: non
provate ad imporre alle periferie il vecchio tipo di ordine
gerarchico, cercate i collegamenti, vedete i collegamenti economici
che ci sono fra le parti delle periferie, vedete come le persone
vivono, specialmente in America, guidando, usando le loro auto per
fare collegamenti tra un'attività e un'altra. Guardate come si forma
una comunità che non è una comunità di persone che vivono nello
stesso quartiere, ma una comunità di persone che sono collegate
dalle automobili, dal telefono, dalla posta elettronica, una
comunità sconnessa, discontinua, ma, ciononostante, una comunità.
Quest'idea del collegamento senza gerarchia che ha molte forme
possibili allo stesso tempo, può essere un modo utile di pensare a
quel tipo di civiltà che tende ad espandersi in maniera disordinata,
invece che pensare alla città gerarchica
concentrata".
Come professore universitario, lei ha
esperienza di insegnamento attraverso l'uso dei nuovi
media? "Nei miei corsi ho usato diversi tipi di media. Il mio
è un corso di filosofia, e cerco di incoraggiare la discussione e
l'interazione, e non ho un'enorme mole di informazione da
presentare; non devo parlare dell'intera civiltà greca, ma voglio
che gli studenti si concentrino su certi testi di Platone; faccio
cercare, allora, le informazioni sul world wide web. Ho usato la
posta elettronica -molti professori al mio college lo fanno-;
creiamo gruppi di discussione, chiediamo agli studenti di inviare
messaggi a tutti gli altri della classe una o due volte alla
settimana, con commenti sul lavoro di tutti gli altri. Si possono
anche usare newsgroup, gruppi di discussione per gli utenti della
rete che danno modo agli studenti di fare commenti sugli altri in un
modo gerarchico, ben strutturato. Ho anche fatto esperimenti con
l'ipertesto vero e proprio, in due modi; abbiamo usato il programma
"Storyspace" che permette di fare commenti in varie direzioni e di
avere uno schema di quello che succede. Funziona molto bene se
gli studenti sanno usare il programma; ma il programma non è affatto
facile da usare, specialmente per gli studenti che non sono abituati
alle nuove tecnologie. L'ho usato per Filosofia Greca, soprattutto
per far sì che gli studenti facessero commenti su altri testi e sui
commenti di altri studenti ai testi. Penso a un modo per farlo sul
web usando moduli, ma ci sto ancora lavorando. Ho anche
semplicemente dato agli studenti la possibilità di scrivere
ipertesti invece di scrivere le normali tesine di fine trimestre. Ed
infine, ho anche dato corsi specifici sull'ipertesto: gli studenti
scrivono ipertesti di vario tipo. La mia esperienza, per ora, è dare
agli studenti la possibilità di scrivere una tesina sotto forma di
ipertesto in un corso su qualcos'altro, come filosofia greca o
filosofia dell'arte; per lo più non coglieranno l'opportunità: sanno
già come scrivere tesine, hanno molto da fare e non vogliono il
lavoro extra di imparare a fare un ipertesto. Sarebbero disposti ad
usare la posta elettronica perché ci sono abbastanza abituati, e ad
usare la rete, ma scrivere in rete è un po' più difficile. Nella
lezione sull'ipertesto gli studenti sono entusiasti, hanno molta
voglia di applicarsi, specialmente in uno stile piuttosto
letterario. In questo caso si ha parecchia partecipazione e
inventiva, e siccome si impara tutti insieme e non ci sono regole
fisse, io non sono propriamente l'insegnante e questo è molto
vivificante".
Che consigli o suggerimenti darebbe ai
professori che volessero usare i nuovi media nelle loro lezioni, non
solo all'università ma anche alle superiori? "Sono necessarie
almeno due qualità; in primo luogo una tecnologia affidabile, e
bisogna sempre aspettarsi che non funzioni, purtroppo. E' necessario
un software che non sia troppo difficile da imparare. E, d'altra
parte, qualcosa che possa stimolare la creatività degli studenti; in
questo senso il web va bene. Una volta che hanno imparato le basi di
come fare una pagina web, possono cominciare a scoprire da soli
nuovi modi di farlo e poi uscire nella rete e trovare materiale da
integrare con le loro pagine; ciò incoraggia la creatività.
Cercherei, quindi, l'affidabilità, la facilità e l'apertura in modo
da permettere agli studenti di far emergere la loro creatività. Il
peggiore tipo di media è quello che si usa per delle semplici
esercitazioni: in cui si usa il computer semplicemente per far
ripetere le cose agli studenti fino all'esasperazione. Si è provato
molto bene che questo non funziona, che il computer deve essere
usato come uno strumento per ottenere uno stile più aperto e
creativo".
Con l'uso dei nuovi media nell'educazione
emerge il problema degli insegnanti: siamo in una situazione in cui,
spesso, gli studenti ne sanno di più sui media dei loro insegnanti.
Com'è la situazione negli Usa, e cosa pensa si possa fare per
incoraggiare gli insegnanti ad usare i nuovi media per
l'educazione? "È un problema difficile anche negli Usa. Penso
che sia vero che ora molti degli studenti più giovani ne sappiano
molto di più dei professori; specialmente gli studenti che ora hanno
12-13 anni, quindi non ancora universitari, sembra che siano
cresciuti con i computer in un modo diverso anche da gente di tre o
quattro anni più grande. La mia esperienza è che - e penso sia un
fatto generale- molti insegnanti usano il trattamento di testi e la
posta elettronica e, magari, navigano in rete, ma non hanno ben
chiaro come usare tutto questo in classe, perché sono per lo più
attività ricettive o versioni di cose che si facevano già, prima, in
modo diverso. Quello che si è visto è che il modo migliore per
incoraggiare gli insegnanti a fare esperimenti è fornire esempi e
mostrare cosa fanno gli altri nella stessa scuola o in un'altra
università. Non copieranno necessariamente gli esempi, ma
cominceranno a pensare: "Sembra possibile, magari potrei trovare un
modo per fare qualcosa di simile". Naturalmente, la difficoltà al
livello universitario è che i professori hanno materie diverse e in
alcune non sempre si possono trovare esempi. Ce ne sono di più per
le scienze, per esempio, meno per la letteratura, e molto pochi per
la filosofia. Penso che dobbiamo darci da fare fornendo esempi e
una migliore circolazione degli stessi da altri campi. Quanto alle
motivazioni, penso che si debba affrontare la questione di cosa ci
guadagna l'insegnante. Un insegnante che ha lavorato molto
sull'ipertesto a lezione ha detto: "usare i media a lezione non
rende più facile il compito dell'insegnante ma lo rende molto più
divertente, molto più animato e dà molte più soddisfazioni". E penso
sia questo il genere di motivazioni su cui si debba lavorare; non
credo che si alleggerisca il lavoro dell'insegnante, ma si daranno
ispirazione e incoraggiamento all'insegnante mostrandogli di più la
vivacità e il divertimento in quello che sta facendo".
Nel
nostro programma abbiamo delle navigazioni in Rete. Ha siti web che
pensa di poterci suggerire come siti interessanti da visitare? E,
forse, può dirci qualcosa sul sito web in cui lavora con i suoi
studenti? "Se si parla di ipertesti, i due siti web che mi
vengono in mente sono, in realtà, due homepage personali: quella di
Stuart Moulthrop che insegna all'Università di Baltimora e quella di
Michael Joyce al Vassar College. Entrambe sono interessanti perché
hanno collegamenti con loro saggi e testi; sia Moulthrop che Joyce
sono teorici acuti e scrittori, ed hanno moltissimi collegamenti da
quelle pagine a altri siti web sull'ipertesto. Credo che questi due
siti sarebbero due buoni punti di partenza. Per quanto riguarda
quello che ho fatto con gli studenti, ho creato sulla rete una
piccola cosa che si chiama il "Bates Hypertext Archive", che è
semplicemente un posto dove mettere i lavori di qualche studente e
qualcuno dei miei che mi sembrava ne valesse la pena. La maggior
parte del materiale, di lì è stato trasferito dal programma
"Storyspace", che permette di costruire collegamenti più
complessi. Quindi, ci sono un po' di stranezze nella produzione
delle pagine in rete, ma nel complesso è a posto. Ci si trovano tre
o quattro racconti scritti dagli studenti e anche un collegamento a
un sito in cui avevo studenti di filosofia dell'arte, e avevo
chiesto agli studenti di girare per la rete e cercare siti sull'arte
(pittura, scultura, architettura) e scrivere recensioni su questi
siti. Così ho diverse centinaia di recensioni, di solito di un
paragrafo circa, scritte da questi studenti, e c'è un link con il
sito per ogni recensione. Alcune recensioni sono molto buone, altre
no. Ma è stato un tentativo di permettere agli studenti di
esprimersi e di avere un modo piuttosto semplice di costruire
qualcosa, perché siamo stati in grado di mettere le recensioni senza
troppe difficoltà, e gli studenti non sono stati impegnati in prima
persona nella composizione di una pagina web. Poiché c'è sempre
qualche studente che sa qualcosa sulla costruzione web, uno dei modi
migliori per coinvolgere gli studenti è quella di avere un progetto
comune - permette loro di imparare gli uni dagli altri- per far
creare loro un sito web, o una parte di sito relativa al materiale
della lezione o a qualche progetto sul quale stanno lavorando. Lo si
può anche far definire a loro, in qualche misura. La primavera
scorsa gli studenti si sono divisi in gruppi di tre o quattro per
decidere un progetto web e crearlo. Quindi, un gruppo ha lavorato su
un progetto sulle cose peggiori che si trovano in rete, un altro
gruppo ha fatto una guida ai college, cose che l'amministrazione non
vuole che si sappiano, e così via. Bisogna far sì che le persone
creino, e non è necessario che siano grandi progetti".
Si
ha l'idea che la realtà virtuale sia usata, per ora, solo come
divertimento. Lei pensa che possa essere usata, viceversa, per
comunicare? "Penso di sì. È come scrivere pagine web
personali. Si immagini che in futuro io abbia ogni sorta di
strumenti di informatica, e un'ampiezza di banda sufficientemente
estesa. Potrei creare non una pagina di testo, ma una specie di
mini-mondo, come una stanza in cui poter entrare e dove si
troverebbero simboli e immagini che io considero rappresentino me o
la mia visione di una certa cosa. E potrei inviarlo a Lei e Lei ci
potrebbe entrare. E si potrebbe commentarlo, questo mini-mondo,
facendo cambiamenti o magari collegandoci altre cose, creando una
seconda stanza. Quindi, potrebbe essere possibile avere una modalità
di comunicazione che, in un certo senso, consisterebbe nella
creazione di piccoli ambienti simulati, e una modalità di critica
che consisterebbe nell'alterazione di quegli
ambienti. Probabilmente, come per un ipertesto, si vorrebbe avere
sia la versione originale sia la copia alterata, per poter collegare
le informazioni senza cancellare niente. Si può sostituire qualcosa,
ma l'originale rimane sempre collegato lì. Si può pensare, quindi,
di usare la realtà virtuale come mezzo di espressione e di
comunicazione, magari non direttamente come metodo di discussione ma
come metodo di presentazione. Penso che sia importante superare la
visione della realtà virtuale come prodotto commerciale, qualcosa
che si assorbe semplicemente -vai in una realtà virtuale tipo Disney
o Hard Rock Café e sei completamente dominato da quello che ti
vogliono vendere- e pensare, piuttosto, alla realtà virtuale come
alla possibilità di avere mondi personalizzati che non sono però vie
di fuga ma mezzi di comunicazione".
Cosa pensa della
discussione sull'uso di questa realtà virtuale, sulle nuove
strutture di nuovi mondi costruiti non solo di parole ma anche di
immagini? Crede che sia possibile parlare di una nuova forma
d'arte? "Penso che per ora ci sia difficile immaginare nuove
forme d'arte perché i nuovi strumenti aprono talmente tante
possibilità che non è ancora chiaro quali siano i modi migliori o i
molti modi possibili di usarli. Immagino che sia come per la carta e
la stampa, non esiste una unica estetica della stampa, non c'è un
solo modo di usarla, non c'è un'unica forma d'arte che sia la forma
d'arte della stampa: c'è la poesia, la narrativa, i diari. Anche la
realtà virtuale finirà per generare diverse forme d'arte con diverse
estetiche. Ma, da come la si vede adesso, penso che creerà i
problemi più interessanti il tipo di forma d'arte in cui si hanno
improvvise giustapposizioni di immagini e spazi. Si può pensare,
per esempio, ad una stanza di realtà virtuale simile alla biblioteca
in cui siamo ora, e io esco dalla porta e mi ritrovo alle terme di
Caracalla, poi esco da un'altra porta e sono a casa mia in America.
E questa giustapposizione, questa transizione improvvisa, può essere
usata per scopi artistici. La difficoltà sta nel non renderla
noiosa. Il problema della noia viene quando il lettore o il fruitore
sente che "quando esco dalla prossima porta può succedere qualsiasi
cosa". Questo è entusiasmante, ma non si gioca con le aspettative,
non c'è nessuna abilità nel sorprendere perché ci si aspettava
qualcos'altro; e, quindi, i propri mezzi artistici diventano
stranamente limitati per il fatto che ora si è permesso che
succedesse qualsiasi cosa".
(26 gennaio 1998) |
L'intervista della settimana
David Kolb
La biografia
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