I «BENI
PREMATRIMONIALI»
EX ART. 179, LETT. A), C.C.
SOMMARIO 4. Gli acquisti di immobili costruiti in regime di edilizia
residenziale pubblica. 5. La vendita con patto di riscatto. |
1. Generalità.
Ai sensi dell’art. 179, lett. a), c.c., non entrano a
far parte della comunione legale – e sono dunque sottratti sia alla comunione
immediata che a quella de residuo –
«i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai
quali era titolare di un diritto reale di godimento» [1].
Nonostante il tenore letterale della norma, essa va riferita non tanto al momento
dell’instaurazione del vincolo matrimoniale, quanto a quello di inizio del
regime di comunione legale. Se, infatti, gli sposi dovessero optare
inizialmente per il regime di separazione e solo in un secondo momento adottare
quello comunitario, non vi sarebbero dubbi sul fatto che i beni acquistati
durante la prima fase – anteriormente, dunque, alla stipula della convenzione
costitutiva del regime ex artt. 177
ss. c.c. – continuerebbero a configurarsi come personali [2].
Problemi particolari si pongono in caso di
trascrizione tardiva del matrimonio canonico, cui l’art. 8, commi 5° e 6°, l.
25 marzo 1985, n. 121 attribuisce efficacia retroattiva, che si estende sino al
momento della celebrazione delle nozze, purché ciò non pregiudichi i terzi che
legittimamente abbiano acquisito dei diritti. Secondo l’orientamento che appare
preferibile, gli acquisti compiuti medio tempore dai coniugi,
anche separatamente, ricadono in comunione, ma gli atti di disposizione sui
beni così acquistati, posti in essere dall’intestatario (che abbia agito senza
l’intervento del coniuge), non potranno essere annullati con l’azione prevista
dall’art. 184 c.c., né essere in altro modo pregiudicati [3].
La lettera della norma in esame, con il suo richiamo
ai beni di cui, prima del matrimonio,
«il coniuge era proprietario», potrebbe indurre a ritenere dubbia l’esclusione
dalla caduta in comunione legale di quei beni di cui entrambi i coniugi erano
comproprietari (in situazione, ovviamente, di comunione ordinaria). Sarà
peraltro sufficiente riferire la disposizione alla proprietà della quota per
risolvere il problema, scartando la soluzione della caduta in comunione legale.
In questo senso, d’altro canto, può invocarsi un precedente di legittimità,
secondo cui la comunione convenzionale, sussistente tra i coniugi al
riguardo di un bene e costituitasi prima dell’entrata in vigore del regime
legale «non si trasforma in comunione legale, ma continua ad essere
disciplinata dagli artt. 1100 e ss. cod. civ.», ove non venga posta in essere
la convenzione prevista dall’art. 228 della legge di riforma del 1975 [4].
Un altro eventuale limite al dettato normativo in
esame potrebbe ricavarsi dal riferimento testuale ai soli beni appartenenti ai
coniugi a titolo di proprietà, o di altro diritto reale di godimento. Peraltro,
dottrina [5] e giurisprudenza [6]
hanno offerto un’interpretazione estensiva di tale principio, al fine di
ampliarne l’operatività all’intero patrimonio (comprensivo, dunque, tanto di
diritti reali che di diritti di credito) di cui ciascun coniuge fosse titolare
prima delle nozze. Va peraltro notato che, anche se il legislatore della
riforma non avesse inserito nell’art. 179 c.c. la previsione della lettera a),
il chiaro e preciso riferimento effettuato dall’art. 177 c.c. ai soli acquisti
compiuti manente communione avrebbe
ugualmente condotto alla conclusione per cui ogni consistenza patrimoniale
appartenente ai coniugi in forza di una vicenda acquisitiva maturata
precedentemente sarebbe in ogni caso rimasta esclusa dalla massa comune [7]. Posto quanto sopra, è evidente che
anche il denaro «prematrimoniale», alla stregua degli altri diritti acquistati
prima delle nozze, è da considerarsi escluso dalla comunione [8].
2. Il problema della prova.
La
dottrina ha esattamente rilevato che talune incertezze, a distanza di tempo,
possono discendere dalla difficoltà di individuazione dei beni (mobili) già
facenti parte del patrimonio personale prima delle nozze. Al riguardo, va
notato che la nuova disciplina non ha ripetuto la prescrizione contenuta nell’abrogato
art. 228, il quale imponeva di procedere ad una «descrizione autentica» dei
beni mobili posseduti prima del matrimonio [9].
In caso di dubbio dovrebbe soccorrere la presunzione di comunione di cui
all’art. 195 c.c. Peraltro si è osservato che, ai sensi degli artt. 179 e 195
c.c., la semplice prova dell’acquisto di un bene in data anteriore alla
celebrazione delle nozze, pur essendo sufficiente ad escludere la sua caduta in
comunione legale, non basterebbe ancora, di per se stessa, a dimostrare la proprietà
esclusiva in capo al rivendicante: ciò accadrebbe, in particolare, tutte le
volte in cui questi riuscisse a provare soltanto l’anteriorità della data
dell’acquisto rispetto alla celebrazione delle nozze (o al passaggio della
coppia dal regime separatista a quello comunitario), senza riuscire invece a
dimostrare di essere l’autore dell’acquisto. In questi casi, dunque, sarebbe
esclusa la presunzione di cui all’art. 195 c.c., mentre scatterebbe quella di
cui al capoverso dell’art. 219 c.c. [10],
norma dettata, come noto, in relazione al regime di separazione dei beni.
A
tale impostazione si è obiettato [11]
che la disposizione in tema di divisione dei beni già comuni – perché facenti
oggetto del regime legale – non sembra presentare lacune bisognevoli di essere
colmate con il richiamo all’art. 219 c.c. L’art. 195 c.c. non stabilisce
infatti che la presunzione di appartenenza alla comunione (legale) cessi di
fronte alla prova dell’effettuazione dell’acquisto in data anteriore alla
comunione. Esso, al contrario, prevede che la prova verta sul fatto che i beni
mobili «appartenevano ai coniugi stessi» (cioè, evidentemente, a chi di essi
rivendica il bene) «prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante
la medesima per successione o donazione». Ora, il fatto che un coniuge riesca a
fornire solo la dimostrazione che la data dell’acquisto precede quella delle
nozze, ma non a provare che fu proprio lui e non l’altro ad acquistare il bene
(si pensi alla produzione in giudizio del relativo scontrino fiscale, cui la
controparte obietti che il documento le sarebbe stato sottratto durante la
convivenza), non soddisfa ancora, ovviamente, il requisito di cui alla prima
parte dell’art. 195 c.c. Ne consegue che, in questo caso, il bene si presumerà
comune già in forza di quanto disposto dall’art. cit., senza necessità di
ricorrere ad altre disposizioni.
Si
noti che affermare l’operatività della presunzione di cui all’art. 195 c.c. in
luogo di quella ex art. 219 c.c. non
è poi così irrilevante, come di primo acchito si potrebbe pensare. E’ pur vero
che la prima delle disposizioni citate, collocandosi nella fase della divisione
successiva allo scioglimento, viene, in buona sostanza, a rendere operativa
un’attribuzione presuntiva a quella situazione di comunione ordinaria che
subentra al momento della cessazione del regime legale [12].
E’ però altrettanto pacifico che l’art. 195 c.c. trova applicazione anche
durante la vigenza del regime predetto [13]:
ciò vuole dire che – in questo caso – il mancato superamento della presunzione
determinerà la piena applicazione (a differenza, ovviamente, di ciò che accade
per l’art. 219 c.c.) di tutte le disposizioni in tema di amministrazione,
responsabilità patrimoniale e scioglimento di cui agli artt. 180 ss. c.c.
Inoltre, nulla esclude che anche dopo lo scioglimento del regime legale possa
avere un qualche costrutto disputare tra coniugi sul carattere già comune (ex art. 177 c.c.) di uno o più beni: si
pensi, per esempio, ad una domanda proposta ai sensi dell’art. 184 ult. cpv.
c.c. in relazione ad atti di disposizione compiuti da un coniuge su determinati
beni mobili che l’altro coniuge affermi aver formato oggetto della comunione
legale [14].
3. Gli acquisti nelle fattispecie a formazione
progressiva: le vendite ad effetti reali differiti. La vendita con riserva
della proprietà.
Notevole rilievo pratico rivestono le problematiche
relative alle modalità di applicazione dell’art. 179, lett. a), c.c. alle
fattispecie di acquisto a formazione progressiva, quando, per l’appunto,
l’effetto traslativo finale si configura come la risultante di un procedimento
complesso. In proposito, di fronte alla possibile divaricazione temporale tra:
(1) il momento in cui la fattispecie negoziale risulta completa di tutti i suoi
elementi, (2) quello in cui il coniuge affronta la spesa per l’acquisto e (3)
quello in cui la vicenda acquisitiva si perfeziona, parte della dottrina ha
ritenuto di dover indicare, quale momento determinante per l’accertamento della
caduta o meno in comunione, quello – sopra indicato sub (2) – in cui «è stato sostenuto l’onere economico
giustificativo dell’acquisto» [15]. Siffatta soluzione risulta peraltro
contraria allo spirito così come alla lettera della Riforma del 1975, tesa a
fornire alla comunione legale la massima capacità espansiva, a prescindere dal
concreto contributo prestato da ciascuno dei coniugi non solo al ménage familiare [16],
bensì anche ad ogni acquisto in sé considerato [17].
Per le medesime ragioni risulta inaccettabile pure il
criterio – sopra indicato sub (1) –
sostenuto invece dalla dottrina maggioritaria [18],
la quale, fa leva unicamente sul momento di perfezionamento della fattispecie
negoziale. Sembra infatti a chi scrive che il concetto di «acquisto», cui l’art.
177 c.c. effettua espresso richiamo, non possa riferirsi se non al pieno
completamento della vicenda acquisitiva, con il trasferimento del diritto in
capo all’acquirente. In altre parole, non appaiono convincenti tanto la tesi
che fa richiamo alla «sostanza del
tempo della formazione della ricchezza» [19],
quanto l’idea che fa perno sul momento dello scambio dei consensi, di fronte ad
un dato normativo indiscutibilmente legato alla nozione di «acquisto», che
della vicenda acquisitiva costituisce non già la premessa, ma l’effetto.
Venendo all’applicazione pratica di tali principi
andranno prese in esame le cosiddette vendite obbligatorie (rectius: ad effetti reali differiti).
Qui, partendo dalla considerazione secondo cui, a seguito della stipulazione di
un contratto di compravendita di cosa futura (art. 1472), di cosa altrui (art.
1478 s. c.c.), di cosa generica, o di cosa alternativa l’acquirente otterrebbe
istantaneamente una situazione di titolarità del diritto reale, ancorché
differita nel tempo, la dottrina maggioritaria opta per la personalità
dell’acquisto, nel caso di conclusione di uno di tali negozi prima della
celebrazione delle nozze [20]. In realtà, se è vero come è vero che
la vicenda acquisitiva si perfeziona solo al momento in cui la cosa viene in
essere o il venditore procura l’acquisto al compratore, o interviene la
specificazione o la scelta, saranno solo ed esclusivamente questi ultimi
momenti a rilevare per la produzione degli effetti ex art. 177 c.c.
Per quanto attiene, poi,
alla vendita con riserva della proprietà,
un primo orientamento – conformemente alle premesse da cui prende le mosse la
dottrina maggioritaria – ritiene rilevante il momento della stipula del
contratto [21]. Peraltro, se si individua (come pare
più corretto), quale momento rilevante, quello del trapasso della proprietà,
posto che quest’ultimo nel caso di specie si opera (ex art. 1523 c.c.) con il pagamento dell’ultima rata del prezzo,
l’effetto del coacquisto automatico in capo al coniuge si produrrà se all’atto
di tale pagamento l’acquirente si troverà sottoposto al regime legale. Ciò, si
badi, indipendentemente dal fatto che l’altro coniuge abbia o meno preso parte
al negozio acquisitivo [22]. Proprio in una fattispecie del genere
La giurisprudenza di merito ha anche avuto occasione
di occuparsi del distinto problema concernente l’individuazione della posizione
del compratore con patto di riservato dominio prima dell’integrale pagamento
del prezzo. Con riferimento alla vendita a rate di un fondo rustico il
Tribunale di Ferrara [24]
ha riconosciuto in capo all’acquirente un mero diritto di credito sui generis, strettamente legato alla
sussistenza di particolari requisiti soggettivi (nella specie si trattava di
quelli imposti dalla normativa in tema di formazione della piccola proprietà
contadina ai sensi del d. lgs. 24 febbraio 1948, n. 114). Si è così negata la
caduta in comune legale di tale situazione soggettiva [25]. Ora, a prescindere dal caso
particolare, in cui la circolazione del fondo acquistato era per legge
vincolata al possesso di determinati requisiti personali, non vi è dubbio che,
se si ammette (come appare preferibile) il presupposto della operatività del
meccanismo dell’acquisto automatico in regime di comunione legale anche in
relazione ai diritti di credito – i quali (non va dimenticato) sono di regola liberamente
cedibili (cfr. artt. 1260, 1298, 2559 c.c.) – sembra difficile negare la caduta
in comunione anche di tale posizione.
A ben vedere, però, è contestabile addirittura la
premessa, e cioè che la posizione del compratore sia costituita da un diritto di
credito. Dal momento che, infatti, la vendita in oggetto determina un effetto
reale differito e non un’obbligazione di trasferire, ciò che il compratore
acquista non è un credito, ma una situazione complessa, composta da
un’aspettativa sul futuro acquisto e dalla detenzione del bene. Andrà quindi
rilevato come l’aspettativa reale competente al compratore, in quanto
liberamente cedibile a terzi, ben possa costituire «acquisto» ai sensi
dell’art. 177, lett. a), c.c. Ove dunque l’acquirente con patto di riservato
dominio si trovi ad essere, all’atto dell’acquisto, coniugato in regime di
comunione, dovrà munirsi del necessario consenso del coniuge ex art. 180 c.c. se vorrà disporre della
conseguente aspettativa prima dell’integrale pagamento del prezzo [26].
4. Gli acquisti di immobili costruiti in
regime di edilizia residenziale pubblica.
L’impostazione proposta nel paragrafo che precede pare
suffragata dalla giurisprudenza di legittimità in materia di acquisti di
immobili costruiti in regime di edilizia residenziale pubblica. Al riguardo può
constatarsi come, operata una distinzione tra la fase attributiva del diritto
personale di godimento e quella in cui avviene il trasferimento del diritto
dominicale,
Così, si è affermato che «L’assegnazione in locazione
di un alloggio dell’edilizia residenziale pubblica, ancorché con patto di
riscatto, e pure quando venga disposta in relazione alla consistenza del nucleo
familiare dell’assegnatario (nella specie, a norma degli artt. 29 della l. 14
febbraio 1963, n. 60 e 70 del d.p.r. 11 ottobre 1963, n. 1471), attribuisce un
diritto personale, non reale, del quale è esclusivo titolare l’assegnatario
medesimo. Pertanto, nel caso di sopravvenienza della separazione dei coniugi,
prima del trasferimento in proprietà dell’immobile, deve escludersi che il
coniuge non assegnatario possa pretendere una quota del bene, invocando il
pregresso regime di comunione legale di cui all’art. 177 cod. civ., poiché
questo riguarda solo gli acquisti della proprietà od altro diritto reale» [27].
E’ da notare che in questo caso si discuteva solo del diritto di godimento del
bene, ottenuto mediante assegnazione in godimento con patto di futura vendita,
e non già della proprietà. La situazione appare così analoga ad un’altra,
decisa dalla Corte, diversi anni dopo, nel modo seguente: «Non costituisce
oggetto della comunione legale l’alloggio di cooperativa edilizia assegnato in
godimento, ma non ancora trasferito, ad uno dei coniugi che sia socio della
cooperativa, o il credito vantato verso la cooperativa da parte del socio
coniugato che validamente abbia rinunciato all’assegnazione, in mancanza del
trasferimento del diritto dominicale in base al contratto privatistico che
richiede l’integrale pagamento del prezzo. Ne consegue che, non facendo parte
della comunione legale l’assegnazione provvisoria prima del trasferimento, non
sussiste altresì alcun diritto del coniuge non socio ad ottenere la metà del
credito spettante all’altro coniuge nei confronti della cooperativa a seguito
dell’effettuata rinuncia» [28].
Una decisione del 1990 [29]
si è pronunciata invece su una situazione in cui era già intervenuta
l’assegnazione in proprietà, a seguito del pagamento di tutte le rate previste
al momento dell’assegnazione in godimento: «Qualora un coniuge si renda
assegnatario e cessionario, con pagamento rateizzato del prezzo e conseguente
riserva di proprietà in favore dell’ente cedente, di alloggio dell’edilizia
residenziale pubblica, la data dell’acquisto di tale immobile, anche al fine di
stabilire se esso ricada nella comunione legale dei beni con l’altro coniuge
(art. 177 primo comma lett. a cod. civ.), va individuata in base al contratto
privatistico di trasferimento del diritto dominicale, stipulato dopo
l’integrale versamento di quel prezzo». Sulla stessa linea si colloca una
sentenza pronunziata tre anni dopo, secondo cui «La comunione legale fra
coniugi, ai sensi dell’art. 177 primo comma lett. a) cod. civ., riguarda gli
‘acquisti’ compiuti durante il matrimonio, indipendentemente dalla provenienza
delle risorse che li abbiano consentiti (con le sole eccezioni elencate
dall’art. 179 cod. civ.), e, pertanto, si estende ad alloggio dell’edilizia
residenziale pubblica, che sia stato oggetto di assegnazione con promessa di
futura vendita prima della data di celebrazione del matrimonio, quando il
contratto di cessione, traslativo del diritto dominicale, sia stato stipulato
dopo tale data» [30].
Ancora, secondo una pronunzia del 1998 [31],
«Con il pagamento dell’ultima rata di prezzo si verifica la condizione
sospensiva a cui è sottoposta la vendita con riserva di proprietà di un
alloggio di edilizia popolare e pertanto, per il trasferimento di esso a favore
degli eredi dell’assegnatario, con il quale è stato stipulato il contratto di
cessione in proprietà, non occorre nessuna ulteriore manifestazione di volontà
da parte di costoro».
A seconda del tipo di accordi presi all’atto
dell’assegnazione in godimento può poi capitare che il trasferimento del
diritto dominicale sia legato alla stipula di contratto di mutuo individuale.
Ciò che rileva, comunque, è ancora una volta il momento al quale la volontà
delle parti ha ancorato il trasferimento del diritto di proprietà: «Nel caso di
alloggio di cooperativa edilizia a contributo statale, il momento rilevante, al
fine di stabilire l’acquisto della titolarità dell’immobile e, quindi, di
verificare se esso ricada nella comunione legale, va individuato in quello
della stipulazione, da parte del socio, del contratto di mutuo individuale,
poiché soltanto con la stipulazione di detto contratto il socio acquista
irrevocabilmente la proprietà dell’alloggio, assumendo la veste di mutuatario
dell’ente erogatore del mutuo» [32].
«In tema di assegnazione di alloggi di cooperative edilizie a contributo
statale, il momento determinativo dell’acquisto della titolarità dell’immobile
da parte del singolo socio, onde stabilire se il bene ricada, o meno, nella
comunione legale tra coniugi, è quello della stipula del contratto di
trasferimento del diritto dominicale (contestuale alla convenzione di mutuo
individuale), poiché solo con la conclusione di tale negozio il socio acquista,
irrevocabilmente, la proprietà dell’alloggio (assumendo, nel contempo, la veste
di mutuatario dell’ente erogatore), mentre la semplice qualità di socio, e la
correlata ‘prenotazione’, in tale veste, dell’alloggio, si pongono come vicende
riconducibili soltanto a diritti di credito nei confronti della cooperativa
(inidonei, come tali, a formare oggetto della communio incidens familiare). Anche nell’ipotesi in cui l’acquisto
del diritto alla quota in seno alla cooperativa da parte del socio risulti
effetto di trasmissione iure haereditario
da parte di altro socio defunto (nella specie, il padre), tale vicenda assume
rilievo esclusivamente sotto il profilo della legittimazione soggettiva nei
confronti dell’ente, senza spiegare alcuna influenza ai fini della esatta
individuazione, quoad tempus,
dell’effetto traslativo relativo all’immobile» [33].
I criteri appena esposti sono stati utilizzati dalla
Cassazione anche al fine di risolvere le problematiche relative all’acquisto di
proprietà di fondi rustici assegnati a coltivatori diretti nel rispetto delle
leggi speciali sulla riforma agraria: in particolare, se il trasferimento della
proprietà (effettuato come previsto dalla legge dopo il pagamento delle
annualità di prezzo) avviene nel momento in cui i coniugi sono in comunione, il
terreno diviene comune ex art. 177,
lett. a), ovvero più frequentemente ex
art. 177, lett. d), salvo il caso in cui il fondo sia destinato all’esercizio
dell’impresa agricola condotta individualmente dal destinatario, dal momento
che, in questo caso, il bene cadrà in comunione de residuo ai sensi dell’art. 178 c.c. [34].
Per concludere sul punto potrà rimarcarsi che anche
una rilevante parte della dottrina ha aderito ai criteri introdotti in materia
dalla Cassazione [35], pur non mancando opinioni difformi:
così, mentre per taluni occorrerebbe attribuire rilievo al momento in cui si
affronta la parte più rilevante dell’esborso economico [36],
per altri, l’atto determinante andrebbe identificato in quello
dell’assegnazione provvisoria [37].
5. La vendita con patto di riscatto.
Secondo la dottrina prevalente il bene sarebbe da
considerarsi personale anche in caso di esercizio da parte del coniuge di un
diritto di riscatto apposto ad una vendita antecedente al matrimonio, essendo
la relativa clausola equiparata ad una condizione risolutiva [38]. Peraltro, un orientamento minoritario
afferma che elemento determinante risulterebbe invece la provenienza del denaro
usato per esercitare il riscatto [39].
Ora, trattando in altra sede del problema della
«retroattività» del riscatto [40]
si è avuto modo di illustrare come gli effetti dell’esercizio di tale diritto
potestativo non siano coincidenti con quelli che determinano la retroattività
della condizione ex art. 1360 c.c. e
come, anzi, la legge si preoccupi soltanto di salvaguardare la posizione del
venditore-riscattante nei riguardi dei diritti costituiti medio tempore dal compratore. Come si ricava dagli artt. 1504 s.
c.c., tutto ciò che il legislatore vuole evitare è che l’esercizio del riscatto
sia di fatto impedito dalla presenza di diritti concessi a terzi dal
compratore. Ma ciò non significa, naturalmente, che la fattispecie sia
insensibile alle vicende che abbiano coinvolto nel frattempo la persona del
venditore [41].
Se è dunque vero che il riacquisto da parte del venditore non ha efficacia
retroattiva (per lo meno nel senso di cui all’art. 1360 c.c.), bensì soltanto ex nunc, occorre allora concluderne che
esso non si sottrae alla regola sancita dall’art. 177 c.c. e che pertanto
(anche se il riscatto viene posto in essere disgiuntamente dal solo alienante)
il diritto così riacquistato è sottoposto al regime comunitario [42].
La soluzione del problema di cui sopra, concernente la
caduta in comunione del diritto di riscatto acquistato dal coniuge all’atto
dell’effettuazione della vendita manente
communione, condiziona anche la risposta all’interrogativo circa le
conseguenze dell’alienazione con patto di riscatto di un bene personale. Non
sembra qui accoglibile la tesi [43]
secondo cui si tratterebbe di una «deductio
della facoltà dispositiva del bene», con conseguente riacquisto alla massa
personale del bene alienato, nel caso di esercizio del diritto di riscatto. Per
le stesse ragioni sopra illustrate, infatti, l’innegabile verificarsi di una
vicenda (ri)traslativa dal terzo acquirente al coniuge alienante non può non
determinare quell’acquisto che è presupposto dall’art. 177, lett. a), c.c.,
salva, naturalmente, la facoltà in capo al coniuge interessato di porre in
essere gli accorgimenti previsti dall’art. 179 c.c. al fine di conservare il
carattere personale di siffatto (ri)acquisto [44].
6. Ulteriori fattispecie controverse; il
problema del preliminare (e del definitivo per scrittura privata).
Tra le ulteriori ipotesi prese in considerazione dalla
dottrina rinveniamo quella della divisione di un bene relativamente al quale
uno dei coniugi sia titolare di una quota di comproprietà avente natura
personale. Tra gli autori vi è assoluta concordia nell’escludere dalla massa
comune il cespite assegnato in proprietà individuale al coniuge e ciò in
considerazione della natura meramente dichiarativa della divisione stessa, come
previsto dall’art. 757 c.c. [45]. La soluzione prospettata è sicuramente
condivisibile, anche nel caso in cui il coniuge assegnatario è tenuto al
pagamento di conguagli, per i quali si configurerà solo una questione di
rimborsabilità ex art. 192, comma 1°,
c.c. qualora per il pagamento siano utilizzati denaro o altre risorse della
comunione [46].
Un altro caso in cui la dottrina si è espressa contro
la caduta in comunione è quello in cui, successivamente all’instaurazione del
regime legale, si sia accertata la nullità, ovvero siano stati pronunziati
l’annullamento, la risoluzione o la rescissione di un contratto di acquisto
concluso da uno dei coniugi in epoca precedente a tale evento [47], attesa la retroattività degli effetti
di quell’accertamento o di quelle pronunce.
Venendo al contratto preliminare concluso prima
dell’instaurazione del regime legale, seguito dal definitivo sotto la vigenza
della comunione, va riscontrata un’ampia convergenza dottrinale sulla soluzione
che assegna alla comunione l’acquisto del diritto oggetto del contratto
definitivo; la conclusione è condivisa anche dai sostenitori della tesi che
afferma come rilevante il momento di perfezionamento della fattispecie
negoziale, posto che qui la vicenda negoziale relativa al contratto definitivo
è percepita come distinta da quella racchiusa nella stipula del preliminare [48]. Quanto sopra vale, salvo, ovviamente,
che non si ricada in una delle previsioni delle lett. b)-f) dell’art. 179 c.c.
Diverso è il caso in cui le parti concludano in forma
scritta, ma inidonea alla trascrizione (si pensi ad una mera scrittura privata
non autenticata), un contratto definitivo di compravendita provvedendo poi in
un secondo momento, seguente alla celebrazione del matrimonio, alla ripetizione
del negozio dinanzi al notaio. Qui appare pacifico che l’effetto traslativo si
è verificato prima dell’instaurazione della comunione (ed è chiaro che la
soluzione non cambierebbe neppure a voler abbracciare la tesi che fa perno sul
«perfezionamento della fattispecie negoziale»). Peraltro, secondo parte della
dottrina, nei rapporti con i terzi l’acquisto ricadrebbe in comunione [49].
Sul punto potrà rimarcarsi che, a ben vedere, il diritto di proprietà, per sua
natura, non può dirsi «solitario» per taluni e «in comunione» per altri.
L’unica regola in grado di determinare la sorte delle vicende relative al
diritto dominicale – valevole, come tale, erga
omnes – è racchiusa nell’art. 177 c.c. E tale regola conduce a ritenere che
il bene sia, nel caso di specie, personale.
Questo risultato andrà peraltro coordinato con le
disposizioni in materia di effetti dichiarativi della trascrizione immobiliare,
effetti che riprendono vigore nel caso di specie, in cui la situazione di
comunione non è opponibile ex lege,
risultando da un dato non manifesto ai terzi, neppure a seguito di lettura
incrociata dei registri matrimoniali e di quelli immobiliari. Ne consegue che i
terzi, i quali vantino diritti sulla base di atti soggetti a trascrizione od
iscrizione e che abbiano operato tali formalità, saranno autorizzati a ritenere
comune il bene, a meno che le parti abbiano avuto l’accortezza di specificare
nel secondo negozio il carattere confermativo di un acquisto precedente, o
comunque che la proprietà personale del bene non risulti opponibile ai terzi
che abbiano acquistato diritti sulla base della situazione pubblicizzata [50].
7. L’acquisto per usucapione.
Per quanto riguarda infine il fenomeno dell’usucapione
maturata come conseguenza del compimento di un periodo di possesso ad usucapionem iniziato prima della
celebrazione delle nozze (o comunque in regime di separazione) e terminato
successivamente all’instaurazione della comunione, la dottrina prevalente è nel
senso di attribuire rilievo decisivo al momento conclusivo di tale periodo. In
proposito, una volta dimostrato che non sussistono ragioni d’ordine
pregiudiziale tali da imporre un trattamento differenziato degli acquisti a
titolo originario rispetto a quelli a titolo derivativo in relazione all’art.
177 c.c. [51],
andrà detto che, secondo taluno, carattere impediente alla caduta in comunione
potrebbe assumere il rilievo per cui l’effetto acquisitivo, conformemente alla
logica dell’usucapione, dovrebbe per forza «adeguarsi alla realtà propria della
situazione possessoria, quale situazione meramente fattuale», a prescindere,
quindi, «dai particolari regimi in cui di volta in volta s’inquadri (...) la
posizione dello stesso possessore in quanto coniuge» [52]. All’obiezione non sembra peraltro
possa attribuirsi un peso eccessivo, se si pone mente al fatto che la regola
fissata dall’art. 177, lett. a), c.c. non influisce in alcun modo sulle vicende
acquisitive dei diritti, in sé considerate, ma si limita ad aggiungervi un
effetto ulteriore e distinto, che entra in gioco in un «istante» immediatamente
successivo [53].
Momento determinante è quello in cui si sono
verificati tutti gli elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva
descritta dal legislatore, a nulla rilevando l’eventuale anteriorità del
possesso rispetto alla data d’inizio del regime legale. Poste queste premesse,
appare ovvio che – esattamente come per gli acquisti a titolo derivativo – non
rileverà in alcun modo la circostanza che uno dei due coniugi non abbia mai
esercitato alcun potere di fatto sulla cosa, o comunque lo abbia fatto per un
periodo inferiore rispetto a quello richiesto ad usucapionem. In base alla stessa regola sarà indifferente lo
stato di buona o mala fede del coniuge non (o per un periodo non sufficiente)
possessore, così come la sua partecipazione o meno al titolo (astrattamente)
idoneo al trasferimento della proprietà, per i casi di usucapione abbreviata o
di acquisti in base all’art. 1153 c.c.
Per quanto attiene agli effetti, non bisogna
dimenticare che l’operatività dell’art. 177, lett. a), c.c. può essere, per
così dire, inibita, in considerazione di particolari tipi di destinazione del
bene: così, il bene (mobile o immobile) posseduto da parte del coniuge
imprenditore e inserito nell’ambito di un’azienda da quest’ultimo gestita sarà
comune solo de residuo (art. 178
c.c.); se si tratterà di un bene (mobile) di uso strettamente personale o
destinato all’attività professionale del coniuge l’acquisto sarà invece
personale, ex art. 179 lett. c) e d) [54].
[1] Sull’art. 179 c.c. in generale cfr. Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario
Carraro-Oppo-Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, 393 ss.; Corsi, Il
regime patrimoniale della famiglia,
I, Milano, 1979, 95 ss.; Santosuosso,
Delle persone e della famiglia. Il regime
patrimoniale della famiglia, in Commentario
del codice civile, I, 1, III, Torino, 1983, 204 ss.; Barbiera, La comunione legale, Bari, 1982, 421 ss.; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, 987 ss.; Majello, voce Comunione di beni tra coniugi, I)
Profili sostanziali, in Enc. giur.
Treccani, Roma, 1988, VII, 5 ss.; Bianca
(a cura di), La comunione legale,
I, Milano, 1989, 411 ss.; Schlesinger,
Della comunione legale, in
Commentario Cian-Oppo-Trabucchi, III,
Padova, 1992, 148 ss.; Caravaglios,
La comunione legale, I, Milano, 1995,
665 ss.; De Paola, Il diritto
patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano 1995, 473 ss.; Barbiera, La comunione legale, in Trattato
Rescigno, II, Torino, 1996, 510 ss.; Radice,
La comunione legale tra coniugi. I beni personali, in Trattato Bonilini-Cattaneo, II, Torino,
1997, 125 ss.; Gabrielli e Cubeddu, Il regime patrimoniale dei
coniugi, Milano, 1997, 24 ss.; Auletta, La comunione
legale, in Trattato Bessone, IV, 2, Torino, 1999, 173 ss.; Russo, L’oggetto della comunione legale e i beni personali. Artt. 177-179, Commentario Schlesinger-Busnelli, Milano, 1999, 133 ss.; a Beccara, [La comunione legale]. I beni personali, in Trattato Zatti, III, Milano, 2002, 149 ss.
[2] Per una più ampia disamina delle altre possibili
ipotesi relative all’instaurazione del regime di comunione legale in un momento
successivo alla celebrazione del matrimonio v. Ubaldi, I beni
posseduti dal coniuge anteriormente al matrimonio, in Bianca (a cura di), La comunione legale, I, cit., 412 ss.;
cfr. inoltre Oberto, L’autonomia
negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia,
2003, 646 ss.
[3] Cfr. a Beccara,
op. cit., p. 150; v. inoltre Barbiera, La comunione legale, in Trattato
Rescigno, cit., 512 s.
[4] Nella specie è stata esclusa, ai fini della
proposizione della domanda di divisione di una comunione convenzionale
instaurata prima del 15 gennaio 1978, la necessità di una previa sentenza
definitiva di separazione (Cass., 1 marzo 1991, n.
[5] Cfr, ex multis, Schlesinger, op. cit.
(1977), 394; Corsi, op. cit., 97; Dogliotti, L’oggetto della comunione tra i coniugi: beni
in comunione de residuo e beni personali, in Fam. dir., 1996, 387.
[6] In questo senso Trib. Parma, 28 marzo
[7] In tal senso a
Beccara, op. cit., 150; v.
anche Gabrielli e Cubeddu, op. cit., 25, che reputano la disposizione
dell’art. 179 lett. a) c.c. ripetitiva poiché già la norma dell’art. 177 lett.
a) stabilisce che cadono in comunione gli acquisti compiuti dai coniugi
«durante il matrimonio»; Russo, op.
cit., 138.
[8] Cfr. per tutti Auletta,
op. cit., 174, cui si
rinvia anche per la questione (da risolversi negativamente) relativa
all’esistenza o meno di un diritto di godimento, in capo a ciascun coniuge, dei
beni personali dell’altro, similmente a ciò che era previsto dall’abrogato art.
217 c.c.
[9] Corsi, op.
cit., 97.
[10] Attardi,
Aspetti processuali del nuovo diritto di
famiglia, in Commentario Carraro-Oppo-Trabucchi,
I, 2, Padova, 1977, 965, 971.
[11] Oberto,
Il regime di separazione dei beni tra
coniugi. Artt. 215-
[12] Sul tema si fa rinvio per tutti a Lo Moro Biglia, Lo scioglimento della comunione legale tra i coniugi, Padova, 2000,
281 ss.
[13] Cfr. Corsi,
op. cit., 196; Cass., 18
agosto 1994, n.
[14] La tesi dell’inapplicabilità dell’art. 219
c.c. al regime di comunione ricava ulteriore forza dalla considerazione della
diversità di ratio rispetto a quella
dell’art. 195 c.c.: mentre la prima disposizione tende principalmente a far
chiarezza sulle posizioni delle parti e ad evitare che risulti favorito il
coniuge più pronto ad appropriarsi di cose che si trovino nella disponibilità
di entrambi, la seconda trae invece ispirazione da un evidente favor communionis, che non appare certo
possibile invocare laddove i coniugi abbiano manifestato la volontà di optare
per il regime separatista (cfr. Oberto,
Il regime di separazione dei beni tra
coniugi, cit., 318 ss., cui si fa rinvio per ulteriori considerazioni in
merito al problema qui dibattuto).
[15] Schlesinger, op. cit. (1992), 149; in senso analogo Russo, op. cit., 161 ss., che propone un criterio di ripartizione
attinente «alla sostanza del tempo della formazione della ricchezza» in virtù
del quale «se la parte economicamente più importante del «bene» è antecedente
al matrimonio, il bene non cade in comunione»; anche ancora Barbiera, La comunione legale, in Trattato
Rescigno, cit., 475, parla di «componente più rilevante».
[16] Cfr. Schlesinger,
op. cit. (1992), 70 ss.; v. inoltre Carraro, Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1979, 54 s.; Corsi, op. cit., 54; Cataudella,
Ratio dell’istituto e ratio della norma nella comunione legale
tra coniugi, in Aa. Vv., Scritti in onore di Nicolò. Diritto di famiglia, Milano, 1982, 302; Santosuosso, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., 24 ss.; A. e M.
Finocchiaro, op. cit., 710 s.
[17] In altri termini, risulta del tutto indifferente che
il coniuge coacquirente ex lege ex art. 177 c.c. abbia o meno versato
parte del prezzo corrisposto per l’acquisto. Il dato può dirsi pacifico tanto
in dottrina (sul tema v. per tutti Schlesinger,
op. cit. (1992), 93 s.) che in
giurisprudenza (cfr. ad es. Cass., 16 dicembre 1993, n. 12439, secondo cui «La
comunione legale fra coniugi, ai sensi dell’art. 177 primo comma lett. a) cod.
civ., riguarda gli ‘acquisti’ compiuti durante il matrimonio, indipendentemente
dalla provenienza delle risorse che li abbiano consentiti»; v. inoltre Cass.,
18 giugno 1992, n.
[18] Cfr. a Beccara,
op. cit., 155; nello stesso senso v. Ubaldi, op. cit., 435 ss.; Gabrielli e Cubeddu, op. cit., 26 cfr. inoltre Lemmi, Comunione legale e vendita
obbligatoria (sul concetto di «acquisti» ex art. 177, lett. a),
c.c.), in Giur. it., 1989, IV, 430 ss.;
De Paola, op. cit., 26;
Auletta, op. cit., 177.
Secondo Rimini, Acquisto immediato
e differito nella comunione legale fra coniugi, Padova, 2001, 242 ss.,
occorre far riferimento al momento in cui si perfezionano gli elementi
costitutivi della fattispecie acquisitiva del diritto, ma nell’eventualità in
cui l’acquisto si completi dopo il matrimonio, mentre il relativo onere
economico venga affrontato prima, il principio è regolato dalla regola in base
alla quale l’acquirente potrà esercitare al momento dello scioglimento della
comunione il diritto alla restituzione ai sensi dell’art. 192 comma 3°, c.c.
[19] Così invece Russo,
op. cit., 160 ss., 163.
[20] Cfr. a Beccara,
op. cit., 156; si vedano altresì Lemmi, op. cit., 430 ss.; Ubaldi, op. cit., 444; De Paola, op. cit., 390 s.; Radice, op. cit., 128; Auletta,
op. cit., 179 s. In senso contrario, in materia di vendita di cosa
futura, v. A. e M. Finocchiaro,
op. cit., 895 s.
[21] In questo senso Ubaldi,
op. cit., 444 s.; De Paola, op. cit., 409; Auletta, op. cit., 180 s.
[22] Sul punto v. per tutti Oberto, La vendita con riserva di proprietà, in Bin (a cura di), La vendita,
III, 2, Padova, 1995, 953 ss.
[23] Cfr. App. Genova, 4 gennaio
[24] Cfr. Trib. Ferrara, 21 maggio
[25] Nella specie, il marito aveva ceduto la propria posizione
al padre e al fratello e di tale atto la moglie aveva chiesto l’annullamento ex art. 184 c.c.; il tribunale ha però
respinto la relativa domanda, non essendo a suo avviso quel rapporto giuridico
entrato a far parte del patrimonio in comunione. Secondo il giudice, infatti,
«La vendita a rate con patto di riservato dominio attribuisce al compratore,
prima del pagamento dell’ultima rata di prezzo, un mero diritto di credito. Non
rientra nell’ambito di operatività dell’art. 177, lett. a) l’acquisto da parte
di uno dei coniugi di un diritto di credito, quando la situazione creditoria
sia strettamente connessa con la sussistenza di particolari requisiti
soggettivi propri dell’acquirente».
[26] sul tema, anche per i necessari rinvii v. Oberto, La vendita con riserva di
proprietà, loc. cit.
[27] Cass., 23 luglio 1987, n.
[28] Cfr. Cass., 1 febbraio 1996, n. 875.
[29] Cfr. Cass., 29 gennaio 1990, n. 560.
[30] Cfr. Cass., 16 dicembre 1993, n. 12439 (nello stesso senso
v. anche Cass., 17 dicembre 1993, n. 12523).
[31] Cfr. Cass., 13 luglio 1998, n. 6813.
[32] Cass., 23 agosto 1996, n. 7807.
[33] Cass., 12 maggio 1998, n. 4757.
[34] Sull’argomento si vedano Cass., 4 settembre 1998, n.
[35] Per tutti v. A. e M. Finocchiaro, op. cit.,
896 ss.; De Paola, op. cit., 425; Auletta, op. cit.,
183.
[36] Cfr. in particolare Russo,
op. cit., 172 s.
[37] Così Santini,
Comunione legale tra coniugi e procedimento di vendita di alloggi di
edilizia economica e popolare, in Dir. fam. pers., 1995, 331 s.
[38] Così Ubaldi,
op. cit., 445; De Paola, op.
cit., 410 s.; Auletta, op.
cit., 181.
[39] Cosi Russo,
op. cit., 167. La soluzione sarebbe
invece diversa in caso di patto di rivendita, laddove occorre avere la
manifestazione di volontà delle parti a cui l’acquirente è obbligatoriamente
tenuto per effetto della clausola contrattuale di rivendita (cfr. Ubaldi, op. cit., 445).
[40] Cfr. per tutti Oberto,
La vendita con patto di riscatto, in Bin
(a cura di), La vendita, III, 2, Padova, 1995, 1034 ss.
[41] A conferma di quanto sopra si ponga mente, per
esempio, all’ipotesi in cui l’alienante abbia, prima del riscatto, venduto a
terzi il bene: sembra evidente che in questo caso l’esercizio del riscatto
determinerebbe senz’altro ed automaticamente l’effetto previsto dall’art. 1478
cpv. c.c.
[42] Oberto,
La vendita con patto di riscatto, cit., 1090 ss., cui si rinvia anche per
ulteriori approfondimenti, in merito, tra l’altro, alla possibilità che il
coniuge si avvalga della facoltà concessa dall’art. 179 lett. f) c.c., quando
intenda conservare il carattere personale del bene venduto prima del matrimonio
e riscattato successivamente, nonché alla situazione che si determina in caso
di vendita con patto di riscatto di un bene comune effettuata durante la
vigenza del regime legale; sul tema v. inoltre Tordo, Brevi note sul
riscatto convenzionale e sulle implicazioni correlate al regime patrimoniale
della famiglia, in Vita notar.,
1993, 594 s.
[43] Tordo, op. cit., 597 s.
[44] Si noti, infine, che l’eventuale intervento dello
scioglimento del regime legale nel periodo intercorrente tra la vendita e
l’esercizio del diritto di riscatto farà «degradare» al rango di contitolarità
ordinaria la comunione del diritto di riscatto stesso, con la conseguenza
dell’applicabilità del disposto dell’art. 1507 c.c. e la relativa facoltà per
ciascuno dei coniugi (o ex tali, o dei loro eredi) di esercitare disgiuntamente
il riscatto.
[45] Per tutti v. A. e M. Finocchiaro, op. cit., 877.
[46] a Beccara,
op. cit., 159 s. Per un diverso
approccio v. Russo, op. cit.,
155 ss., che, contestata la natura dichiarativa della divisione, propone
l’applicazione di un criterio sistematico, con la conseguenza che, ad esempio,
la divisione che segua ad una ragione ereditaria anteriore al matrimonio non
potrebbe essere trattata in modo diverso da una ragione ereditaria maturata
dopo il matrimonio; per le altre ipotesi opererebbe l’efficacia retroattiva
disposta dall’art. 757 c.c., in forza del rinvio operato dall’art. 1116 c.c.
alle norme sulla divisione dell’eredità.
[47] Cfr. a Beccara,
op. cit., 160; nello stesso senso v.
anche Auletta, op. cit.,
184; Russo, op. cit., 158
s.
[48] Cfr. a Beccara,
op. cit., 155; v. anche Finocchiaro, op. cit., 991, nota
56; Ubaldi, op. cit., 437;
De Paola, op. cit., 392; Auletta, op. cit.,
[49] Corsi, op.
cit., 98; A. e M. Finocchiaro,
op. cit., 900 s.
[50] Così a Beccara, op. cit., 156. Per
approfondimenti sul tema della pubblicità delle vicende attinenti ai rapporti
patrimoniali tra coniugi, non legate a situazioni pubblicizzabili a mezzo
trascrizione nei pubblici registri immobiliari ovvero annotazione a margine
dell’atto di matrimonio si fa rinvio a Oberto,
Il regime di separazione dei beni tra
coniugi, cit., 113 ss. (e ivi ulteriori rinvii).
[51] Oberto, Acquisti a titolo originario e
comunione legale, in Fam. dir.,
1994, Allegato, passim (sugli
acquisti per usucapione v. in particolare 13 ss.). Per la caduta in comunione
del bene acquistato sulla base di un possesso iniziato prima del matrimonio v.
anche Cian, Usucapione e comunione legale dei beni, in Riv. dir. civ., 1989, II, 236; De
Paola, op. cit., 382, Auletta, op. cit., 136. Contra Russo, op. cit., 173 s., che pone l’accento sul momento di inizio del
possesso.
[52] Così Tondo, Sugli acquisti originari nel regime di
comunione legale, in Foro it.,
1981, V, 166.
[53] Si noti che anche in materia contrattuale il
legislatore impone quale regola una rigida coincidenza tra i protagonisti della
vicenda acquisitiva (i contraenti, appunto) e i soggetti nei cui confronti
questa dispiega i suoi effetti (cfr. art. 1372 c.c.): eppure nessuno si
sognerebbe di derivarne un argomento in grado di annullare la portata
dell’avverbio «separatamente» (art. 177, lett. a), c.c.) che consacra il
principio dell’acquisto automatico tra coniugi.
[54] Su tali argomenti
cfr., anche per ulteriori approfondimenti, nonché per i necessari riferimenti
dottrinali, Oberto, Acquisti a titolo originario e
comunione legale, cit., 13 ss. La
tesi della caduta in comunione degli acquisti per usucapione ha ricevuto
l’avallo della giurisprudenza: cfr. Cass., 20 marzo 1991, n. 2983; Cass., 3
novembre 2000, n. 14347. Per quanto attiene ai giudici di merito v., nello
stesso senso, Trib. Roma, 7 aprile