COMUNIONE LEGALE, IMMOBILI DI COOPERATIVE A CONTRIBUTO
PUBBLICO
E RIMBORSI EX ART. 192, PRIMO COMMA, C.C.
[Nota a Cass., 11 settembre 2008, n.
23391: motivazione – massime]
1. Le questioni trattate dalla sentenza in commento.
2. Sulla caduta in comunione legale degli immobili di edilizia residenziale pubblica.
3. Peculiarità dell’acquisto in comunione legale degli immobili delle cooperative a contributo pubblico.
4. La presunzione ex art. 195 c.c. e la sua applicabilità all’accertamento della contitolarità di un immobile di edilizia residenziale pubblica.
5. I rimborsi di cui al primo comma dell’art. 192 c.c. e il problema dei rapporti con l’art. 184, terzo comma, c.c.
6. Sul
carattere di valuta del debito ai sensi dell’art. 192, primo comma, c.c. e, più
in generale, sulla natura di valuta o di valore dei debiti per rimborsi e
restituzioni.
Sull’altro punto in discussione,
relativo alla natura del debito a titolo di rimborso conseguente allo
scioglimento del regime legale, la nota, pur approvando la tesi, seguita dalla
Cassazione, di ritenere di valuta il debito ex art. 192, primo comma, c.c.,
rileva che la soluzione più appropriata della controversia in oggetto sarebbe
stata quella di ricorrere all’applicazione dell’art. 184, terzo comma, c.c. La
decisione offre quindi lo spunto per una rivisitazione dei rapporti tra tali
ultime due fattispecie normative.
1. Le
questioni trattate dalla sentenza in commento.
La controversia oggetto della sentenza qui in commento
s’incentra – in estrema sintesi – sulle seguenti due questioni: (a) da un lato,
la richiesta del marito di accertamento della contitolarità in comunione legale
(rectius: in comunione ordinaria, per
aver formato oggetto di comunione legale successivamente disciolta per effetto
della separazione legale) di un appartamento acquistato dalla moglie per rogito
notarile dalla stessa stipulato (senza il concorso del marito), manente communione, con una cooperativa
edilizia a contributo pubblico; (b) dall’altro, la contrapposta domanda della
moglie di corresponsione della metà del valore di un’autovettura acquistata a
proprio nome dal solo marito, sempre in costanza di regime ex artt. 177 ss. c.c., e da questi rivenduta a terzi.
Mentre il tribunale accoglie la richiesta del marito,
rigettando quella della moglie, la corte d’appello conferma la sentenza di
primo grado in punto accertamento della contitolarità dell’appartamento (più
esattamente, del relativo diritto di superficie, trasferito dalla cooperativa
alla moglie), ma riforma la pronuncia impugnata nella parte relativa
all’autovettura, di cui viene riconosciuta la proprietà comune, con condanna
del marito a rimborsare alle moglie la metà del prezzo di vendita del veicolo,
dal marito interamente incassato.
Per affermare la caduta in comunione dell’alloggio la
corte territoriale dichiara di seguire il principio, più volte ribadito dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo il quale l’acquisto della proprietà
degli alloggi costruiti da società cooperativa edilizia a contributo erariale
si verifica al momento della stipula del contratto di mutuo individuale da
parte del socio; ciò premesso, riconosce che l’acquisto nella specie si era
perfezionato il 26 febbraio 1981 (manente
communione) per effetto dell’atto pubblico di assegnazione dalla
cooperativa alla moglie del relativo diritto di superficie per novantanove
anni, per un corrispettivo di £. 26.333.377. Per quanto attiene
all’autovettura, la corte d’appello, come già detto, ne accerta la
comproprietà, riconoscendo alla moglie la metà del prezzo ricavato dal marito
dalla vendita del veicolo a terzi, con il pagamento degli interessi dalla
domanda al saldo.
Su ricorso della moglie, che contesta, in primo luogo,
il carattere comune dell’alloggio,
Sul punto rileva
Il Giudice di legittimità accoglie dunque, con rinvio,
il primo motivo di ricorso (per questa ragione deve ritenersi frutto di mero
errore materiale l’incipit del punto
n. 2 della motivazione, vale a dire: «Il ricorso non merita accoglimento»,
posto che quest’ultimo viene, invece, parzialmente – nella parte, oltre tutto,
più «sostanziosa» – accolto).
Peraltro, in mancanza di enunciazione del principio di
diritto, non è chiaro quale valutazione il giudice di rinvio sarà chiamata a
compiere. Se, infatti, ex actis, non
risultava (come pare non risultasse) la data della stipula del mutuo, in
mancanza di un riferimento temporale certo che consentisse di collocare la stipula
del mutuo stesso in data successiva al 16 gennaio 1978,
A ben vedere, però, altri scenari si sarebbero potuti
profilare.
In primo luogo
Quanto all’autoveicolo va detto che il motivo proposto
al riguardo dalla moglie concerneva il fatto che la corte d’appello,
condannando il marito a rimborsare metà del prezzo ricavato dalla relativa
vendita, ne avesse escluso la rivalutazione monetaria, concedendo gli interessi
solo dalla domanda, mentre era stata chiesta la condanna alla «restituzione
della metà del valore dell’auto», con conseguente necessaria liquidazione,
secondo la ricorrente, non solo della rivalutazione monetaria, ma anche degli
interessi «dal momento in cui la somma via via si rivalutava».
Sul punto
I temi su cui occorre concentrare l’attenzione in
questa sede sono, pertanto, costituiti dall’individuazione del momento
d’acquisto alla comunione legale degli immobili delle cooperative a contributo
pubblico, da un lato, e quello della natura dei crediti da rimborso, ex art. 192, primo comma, c.c., dall’altro.
2. Sulla
caduta in comunione legale degli immobili di edilizia residenziale pubblica.
La giurisprudenza ha avuto modo di pronunziarsi più
volte sul tema della sorte, tra coniugi in comunione, di diritti relativi ad
immobili di edilizia residenziale pubblica e di cooperative a contributo
pubblico. Al riguardo, può constatarsi come, operata una distinzione tra la
fase attributiva del diritto personale di godimento e quella in cui avviene il
trasferimento del diritto dominicale, le decisioni abbiano comunque sempre
focalizzato l’attenzione su tale secondo momento, quale quello rilevante ex art. 177 c.c.
Iniziando dal campo, in generale, degli immobili di
edilizia residenziale pubblica, si è stabilito che l’assegnazione in locazione
di un alloggio dell’edilizia residenziale pubblica, ancorché con la previsione
della possibilità di «riscattarne» la proprietà, e pure quando venga disposta
in relazione alla consistenza del nucleo familiare dell’assegnatario – nella
specie, a norma degli artt.
La stessa Corte di legittimità ha ritenuto
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
177, lett. a), c.c., nella parte in cui non prevede che l’assegnazione in
godimento di alloggio di cooperativa in favore di uno dei coniugi prima del
passaggio di proprietà ricada in comunione, con riferimento agli articoli 2, 3
e 29 Cost. Al riguardo i Supremi Giudici hanno ritenuto che, da un lato,
l’omessa previsione non incide su diritti fondamentali o sulla libertà e
l’uguaglianza dei coniugi mentre, dall’altro, rientra nella discrezionalità del
legislatore disciplinare i contenuti della comunione legale tra coniugi in
relazione alle ritenute esigenze sociali [7].
Nessun dubbio ha avuto invece la giurisprudenza
assolutamente prevalente nell’attribuire alla comunione il diritto dominicale a
seguito di intervenuta assegnazione del bene in proprietà, una volta
corrisposte tutte le rate previste al momento dell’assegnazione in godimento, a
prescindere dal momento e dalle circostanze dell’assegnazione in godimento.
Così si è stabilito che, «Qualora un coniuge si renda assegnatario e
cessionario, con pagamento rateizzato del prezzo e conseguente riserva di
proprietà in favore dell’ente cedente, di alloggio dell’edilizia residenziale
pubblica, la data dell’acquisto di tale immobile, anche al fine di stabilire se
esso ricada nella comunione legale dei beni con l’altro coniuge (art. 177 primo
comma lett. a cod. civ.), va individuata in base al contratto privatistico di
trasferimento del diritto dominicale, stipulato dopo l’integrale versamento di
quel prezzo» [8].
Talora la giurisprudenza ha anche mostrato di voler
fare applicazione della regola stabilita dall’art. 1523 c.c., per ricollegare
al pagamento dell’ultima rata del prezzo pattuito il momento rilevante ai fini
della caduta in comunione del bene [9].
Per quanto attiene, in particolare, alle specifiche
questioni poste dagli acquisti dalle cooperative a contributo pubblico, cui
risulta applicabile il r.d. 28 aprile 1938, n. 1165 («Approvazione del testo unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed
economica»), va subito rilevato che, per effetto di queste disposizioni,
l’acquisto della proprietà degli alloggi sociali si realizza per mezzo di un
procedimento comprendente una pluralità di fasi, attraverso le quali la
posizione del socio si evolve assumendo poteri sempre più intensi, fino a consolidarsi
nell’acquisto del diritto di proprietà dell’alloggio. I momenti più
significativi di tale procedimento sono quelli dall’assegnazione e del
perfezionamento del mutuo individuale. L’assegnazione iniziale attribuisce al
socio assegnatario solo il diritto al godimento e non già la proprietà
dell’alloggio; da essa decorre, peraltro, il termine iniziale
dell’obbligazione, gravante sull’assegnatario, di pagare le quote di
ammortamento del mutuo, per la parte relativa all’alloggio assegnatogli. Solo successivamente,
con la stipulazione del contratto di mutuo individuale, la proprietà
dell’alloggio si trasferisce all’assegnatario, ai sensi dell’art. 229 del
citato r.d. Tale effetto è, dunque, il risultato di un complesso e articolato
procedimento che, perseguendo finalità pubblicistiche e riducendo notevolmente
i margini di autonomia spettanti alla società ed ai soci, mal si adatta a
essere modellato secondo schemi tipicamente civilistici e, comunque, fa
derivare i rispettivi diritti e obblighi delle parti non dal contratto ma
direttamente dalla legge [10].
Da quanto sopra deriva che rilevante, ai sensi e per
gli effetti dell’art. 177, lett. a), c.c., è la stipula del contratto di mutuo
individuale [11]. Ciò, del resto, ancora una volta, in applicazione
del principio per il quale il momento determinante, ai fini dell’applicazione
della citata norma giusfamiliare, è quello in cui interviene il trasferimento
del diritto di proprietà.
Anche in relazione a siffatto tipo di acquisto appare,
inoltre, irrilevante la provenienza degli esborsi effettuati per l’acquisto [12], potendosi al riguardo osservare che, mentre il
versamento di denaro personale per un acquisto comune non sembra idoneo a dare
luogo all’applicazione dell’art. 192, terzo comma, c.c. [13], l’impiego di denaro comune per un acquisto,
viceversa, personale potrà determinare, a seconda dei casi, l’applicazione
dell’art. 184 o dell’art. 192, primo comma, c.c., come si vedrà più avanti.
Sempre in relazione alla
partecipazione alle cooperative edilizie a responsabilità limitata, qualora si
dovesse ritenere, secondo l’opinione certamente preferibile, che i diritti di
credito e, tra questi, le quote di s.r.l., ricadono in comunione [14], non vi è motivo di
dubitare che anche le quote di una cooperativa edilizia a r.l. soggiacciano al
meccanismo ex art. 177, lett. a), c.c. [15]. Il che, naturalmente, non
significa che il coniuge possa rivendicare la comproprietà del bene, se il
trasferimento della proprietà è intervenuto in favore del solo coniuge intestatario
della quota in epoca successiva allo scioglimento del regime legale.
Rivendicare un bene significa allegare e dimostrare di esserne proprietario e
la proprietà dell’unità immobiliare, nel caso in esame, non si trasferisce in
capo al coniuge all’atto dell’acquisto della quota della cooperativa, come
sopra chiarito.
Ulteriormente diverso è il
caso in cui, in epoca anteriore all’intervenuto trasferimento della proprietà
dell’immobile dalla cooperativa ai soci, il coniuge non intestatario della quota
(il cui acquisto sia però avvenuto manente communione) intenda fare
valere il proprio diritto nei confronti della società.
Qui può concordarsi con
l’opinione [16] secondo cui la
legittimazione del coniuge a far valere i propri diritti nei confronti della società
presuppone l’annotazione della contitolarità della partecipazione nel libro dei
soci. In caso di rifiuto l’interessato potrà ottenere quest’ultima in seguito
ad accertamento giudiziale del fatto che la quota o le azioni sono cadute in
comunione, sempre che il coniuge sia in possesso dei requisiti soggettivi
necessari per acquistare lo status di socio. Nel caso in cui la
cooperativa assegni l’immobile, in costanza di regime legale, al coniuge
intestatario della partecipazione prima che la contitolarità sia annotata nel
libro dei soci – ed in ogni altro caso in cui tale annotazione non sia
possibile per il difetto da parte dell’altro coniuge dei requisiti soggettivi
richiesti – l’assegnatario matura un debito nei confronti della comunione pari
al valore dell’immobile al momento dell’assegnazione in proprietà: siffatta
assegnazione al solo coniuge formalmente intestatario della quota si risolve,
infatti, nell’impiego di un bene comune (la quota) per ottenere un vantaggio
che non giova alla comunione, con conseguente applicazione estensiva dell’art.
192, primo comma, c.c. [17].
Si
è fatto cenno, trattando in generale delle questioni affrontate dalla
Cassazione nella sentenza qui in commento, al fatto che la vicenda avrebbe
potuto avere esito diverso, se si fosse ritenuta applicabile alla specie una
regola fondamentale in materia di comunione legale, vale a dire quella dettata
dall’art. 195 c.c. L’ultimo periodo di tale disposizione disciplina, infatti
(unitamente all’art. 197 c.c., per ciò che attiene ai rapporti con i terzi), il
regime probatorio della titolarità esclusiva dei beni, stabilendo una
presunzione iuris tantum di
appartenenza alla comunione, in mancanza di prova contraria.
La presunzione di cui all’art. 195 c.c. è stata
ritenuta di grande importanza sia sistematica sia pratica: sistematica, perché
riflette il favor communionis che
caratterizza l’intero regime legale [18] ed inoltre, integrando le norme degli artt. 177, 178
e 179 c.c., definisce in concreto la dimensione dell’attivo della comunione [19]; pratica, poiché individua un chiaro criterio in
grado di dirimere le controversie tra coniugi in merito alla titolarità: un
criterio ripreso, come noto, anche dall’art. 219 c.c. per il regime di
separazione dei beni e che possiede una valenza generale. Valenza generale che
la giurisprudenza non ha mancato di sottolineare, evidenziando come esso «sia
applicabile in ogni caso in cui (…) debba giudicarsi se determinati beni siano
di proprietà esclusiva di uno dei coniugi o siano in comunione» [20].
Il previgente art. 228 c.c. e, sulle sue orme, il
progetto approvato dalla Camera, condizionavano tale presunzione alla mancata
descrizione, mediante atto pubblico, dei beni mobili di proprietà personale al
momento delle nozze o di quelli ereditati o ricevuti per donazione [21]. Giustamente questa eccezione fu fatta cadere dal
Senato, dal momento che simili descrizioni, quando vi siano, potranno
costituire nient’altro che uno tra i vari modi per dare quella prova contraria
alla presunzione di appartenenza alla comunione, che può sempre essere offerta
e senza limiti [22].
Per quanto riguarda il concreto ambito applicativo
della presunzione, va rilevato che la lettera dell’art. 195 c.c. fa riferimento
esclusivamente ai beni «che appartenevano ai coniugi stessi prima della
comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione»,
con richiamo, quindi, alle sole lettere a) e b) dell’art. 179 c.c. La dottrina
maggioritaria, peraltro, tende a ritenerla applicabile a tutti i beni personali
[23]. In contrario si è osservato che la prova da fornire per i beni di cui
alle lettere c), d) ed e) dell’art. 179 c.c. risiede in una qualità oggettiva,
mentre la personalità di cui alla lettera f) deve risultare dall’atto di
acquisto, ciò che giustificherebbe la non riferibilità della presunzione a
tutte queste ipotesi [24]. Ma l’opinione è rimasta minoritaria. E in effetti, a
ben vedere, anche le ragioni per le quali un bene ha carattere personale ai
sensi delle lett. a) e b) dell’art. 179 c.c. sono, se non intrinsecamente
oggettive, quanto meno oggettivamente dimostrabili sulla base della prova della
data dell’acquisto o del titolo ereditario. Non si riesce pertanto a
comprendere per quale ragione solo in questi casi si dovrebbe agevolare il
coniuge rivendicante, lasciando invece interamente a suo carico l’onus probandi
nelle altre fattispecie.
Dottrina [25] e giurisprudenza [26] concordano poi nel ritenere che la presunzione di
comproprietà sia applicabile ad ogni contestazione sull’appartenenza di beni
mobili, anche prima del verificarsi dello scioglimento della comunione,
costituendo espressione del principio generale secondo cui il proprietario,
esclusivo, dei beni personali li può comunque prelevare prima della divisione
dei beni comuni [27]. Come esattamente rilevato [28], la norma appare, ad un attento esame, come qualcosa
di più di un semplice criterio regolatore delle operazioni divisionali, ma
assume invece, su un piano generale, le caratteristiche di un principio
regolatore di potenziali conflitti che possono egualmente insorgere sia prima
che dopo lo scioglimento della comunione legale, e persino posteriormente alla
divisione.
La questione più interessante, però, attiene proprio
al caso risolto dalla sentenza qui in commento, sebbene non risulta che le
parti o i giudici abbiano ritenuto di sollevarla. Essa investe, infatti, il
tema dell’applicabilità della presunzione ex
art. 195 c.c. alla materia immobiliare.
Sul punto va detto che, se è vero che la norma fa
espresso e specifico richiamo ai soli beni mobili e che la dottrina tende ad
escluderne la riferibilità non solo agli immobili, ma anche ai mobili
registrati [29], è anche innegabile che la ratio che presiede alla regola qui in discorso non giustifica una
limitazione di questo genere. Certo, potrebbe essere agevole riprodurre qui il
ragionamento che molti, Cassazione in testa, adducono per confinare ai mobili
la portata della disposizione «gemella» in materia di regime di separazione dei
beni, la quale, tra l’altro, non contiene espressamente alcuna limitazione
quanto al campo d’applicazione. In proposito è noto che l’art. 219 c.c. viene
costantemente riferito ai soli mobili, atteso che la prova della proprietà
degli immobili risulta di solito da un titolo non equivoco, mentre l’art. 219
c.c. – volto principalmente a derogare, attraverso la presunzione posta nel
secondo comma, alla regola generale sull’onere della prova in tema di
rivendicazione – non contiene alcuna deviazione rispetto alla normale
disciplina della prova dei contratti formali, in particolare degli acquisti
immobiliari [30].
In realtà, come si è cercato di dimostrare in altra
sede, l’art. 219 c.c. trova un’applicazione assolutamente generale; ciò che
occorre evitare è di cadere nell’errore di considerare il documento richiesto
dall’art. 1350 c.c. come una «prova» della proprietà, laddove esso costituisce
invece elemento essenziale del negozio traslativo. E’ certo che chi chiede di
provare per testi la dazione del danaro con il quale il coniuge in regime di
separazione ha proceduto ad un acquisto immobiliare a quest’ultimo «intestato»
non può invocare l’art. 219 c.c. Ma questa conclusione si giustifica non già in
base al fatto che tale disposizione non si applichi agli immobili, bensì,
puramente e semplicemente, perché quel soggetto – in realtà – non sta chiedendo
di provare la proprietà (o la comproprietà) del bene, bensì un contratto formale.
E ciò perchè la corresponsione dei mezzi finanziari per l’acquisto di una cosa
non costituisce mai, di per sé, nel nostro ordinamento, un modo d’acquisto del
diritto medesimo [31].
Ne deriva
dunque che, ogni qualvolta la qualità comune o personale di un bene dipende da
elementi per i quali le norme sul contratto non richiedono la forma scritta ad substantiam non si vede per quale
ragione, posto che la relativa prova è libera, la presunzione di contitolarità,
quale espressione del generale principio del favor communionis, non dovrebbe operare.
Si pensi, ad esempio, ad una controversia sul
carattere comune de residuo ai sensi
dell’art. 178 c.c., ovvero comune tout
court, di un acquisto immobiliare operato in costanza di regime legale ed
in relazione al quale sussistano incertezze probatorie sull’effettiva
destinazione del bene a far parte del complesso aziendale dell’impresa gestita
dal solo coniuge acquirente. Lo stesso argomento ben potrebbe ripetersi in
relazione ad acquisti per i quali si discuta sulla ricorrenza dei presupposti ex art. 179, lett. c) o d), c.c.,
ovviamente qualora si volesse – come proposto da chi scrive [32] – accedere alla tesi che lega alla sola obiettiva
presenza dei presupposti descritti dalle citate lettere la sorte dell’acquisto,
a prescindere dalla partecipazione dell’altro coniuge all’atto. Ma gli esempi
potrebbero moltiplicarsi con riguardo alla sussistenza di incertezze a livello
probatorio su elementi quali la sussistenza, in relazione ad un acquisto
immobiliare da parte di un coniuge in regime di comunione, degli estremi della
donazione indiretta (pagamento del prezzo da parte di un terzo, ovvero presenza
di un animus donandi
nell’effettuazione di tale pagamento), ovvero dell’acquisto a titolo
originario, ma in forza di un possesso che il coniuge possessore allega come
idoneo a determinare la ricaduta del diritto nel suo patrimonio personale o in
comunione de residuo: si pensi,
ancora una volta, alle fattispecie descritte dagli artt. 179, lett. c) e d),
ovvero 178 c.c. [33]. Ancora, può pensarsi alla situazione di incertezza
derivante dalla presenza di un acquisto immobiliare effettuato per atto
pubblico manente communione,
allorquando un coniuge alleghi il carattere meramente riproduttivo di tale atto
in relazione ad un precedente acquisto effettuato da lui solo per scrittura
privata di cui non riesca a provare l’anteriorità rispetto alle nozze [34].
In tutte queste ipotesi, dunque, la presunzione qui in
esame varrà a superare ogni possibile situazione di impasse determinata dalla «insufficienza di prove» in ordine ad uno
dei sopraelencati elementi, facendo prevalere il carattere (immediatamente)
comune su quello comune (solo) de residuo,
ovvero personale del bene di cui si discute.
Ecco perché la controversia sul carattere comune o
personale dell’alloggio oggetto della pronunzia qui commentata – di fronte alla
situazione di incertezza fattuale, costituita dal mancato accertamento della
data di stipula del mutuo individuale e, oltre tutto, in presenza un atto traslativo
dalla cooperativa compiuto manente
communione – si sarebbe dovuta risolvere con applicazione del principio
testé illustrato e dunque con l’affermazione del carattere comune del diritto
in contestazione sull’immobile.
La sentenza in commento, come si diceva, si pronunzia
anche sulla natura (di valore o di valuta) del credito da rimborso ai sensi
dell’art. 192, primo comma, c.c.
La sentenza impugnata aveva riconosciuto alla moglie
il diritto alla metà del prezzo dell’autoveicolo già in comunione legale,
successivamente venduto dal marito a terzi, trattando tale fattispecie come un
credito di valuta e non già di valore e la soluzione viene (correttamente, come
si vedrà, se ci si pone in quest’ottica) confermata dalla Corte Suprema. A
quanto consta dalla lettura della motivazione della Cassazione, la questione è
però sempre stata affrontata, nel corso dell’iter processuale, sotto l’angolo visuale dell’art. 192, primo
comma, c.c., mentre non risulta che sia mai stato sollevato il problema
dell’eventuale riferimento all’art. 183, terzo comma, c.c., ciò che avrebbe
senza problemi attratto l’obbligazione in discorso nella sfera di quelle di valore.
Il tema del rapporto tra le due fattispecie merita dunque qualche cenno.
Ai sensi del primo comma dell’art. 192 c.c. «Ciascuno
dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal
patrimonio comune per fini diversi dall’adempimento delle obbligazioni previste
dall’articolo 186». Al riguardo, va detto innanzi tutto che, poiché tra le
obbligazioni ex art. 186 c.c. sono
inserite anche quelle contratte nell’interesse della famiglia (art. 186, lett.
c), c.c.), i «fini diversi» cui l’art. 192, comma primo, c.c. fa riferimento
sono evidentemente fini personali del singolo coniuge. Ciascun coniuge sarà
quindi tenuto al rimborso delle somme che abbia prelevato per scopi
esclusivamente personali. Notiamo poi che tale obbligo sorge solo in relazione
alla comunione immediata, dal momento che i beni facenti parte della comunione de residuo, entrando nel patrimonio
comune solo alla cessazione della comunione legale, non sono soggetti ad alcuna
valutazione in merito all’utilizzo che manente
communione il coniuge titolare ne compie [35].
Il principale dei problemi ermeneutici relativi alla
norma in oggetto attiene al tema dell’actio
finium regundorum rispetto all’art.
184, terzo comma, c.c.
In proposito, due strade appaiono
astrattamente percorribili. La prima postula l’esistenza di un rapporto di
specialità della disposizione dettata in tema di scioglimento (rispetto a
quella in materia di amministrazione), in quanto avente ad oggetto solo un
particolare tipo di bene mobile (il denaro). Ma le conseguenze sarebbero
sconcertanti: il prelievo unilaterale di somme comuni dovrebbe ritenersi sempre
consentito, salvo un obbligo di rimborso, che maturerebbe (di regola) solo al
momento dello scioglimento della comunione (cfr. art. 192, quarto comma, c.c.) [36]. L’altra soluzione, che appare preferibile, assegna
invece alle norme due diversi campi d’azione anche in relazione agli atti
dispositivi di somme di denaro: l’elemento differenziatore è qui dato dal fatto
che l’art. 184, ult. cpv., c.c. prende pur sempre le mosse dal presupposto che
il coniuge agente abbia posto in essere un atto senza l’accordo richiesto
dall’art. 180 c.c. Ne consegue che la sfera d’azione dell’art. 192, primo
comma, c.c. si riduce ai prelievi consentiti
dall’altro coniuge [37]. Come esattamente rimarcato dalla maggior parte degli
Autori, l’obbligo del rimborso non può giustificare l’idea che ognuno dei
coniugi abbia un’indiscriminata disponibilità del denaro comune, salva
reintegrazione al momento dello scioglimento della comunione. Questa considerazione
conduce a restringere l’ambito applicativo della disposizione ai prelievi che
siano stati effettuati con il consenso, anche tacito, dell’altro coniuge;
mentre a fronte di un prelevamento del tutto abusivo, potrà pretendersene
l’immediata restituzione senza che sorga la necessità di attendere la
cessazione della comunione, ovvero l’autorizzazione giudiziale alla
anticipazione del rimborso [38].
Diversa soluzione è invece prospettata
da quella dottrina minoritaria [39] secondo cui l’art. 184 c.c. non troverebbe
applicazione in relazione ai prelievi di denaro in comunione operati senza il
consenso dell’altro coniuge, posto che la possibilità di ricostituzione della
comunione legale mediante risarcimento per equivalente, concessa dal terzo
comma dell’art. cit., non configurabile, evidentemente, per il denaro,
escluderebbe la riferibilità della disposizione ai casi appena prospettati. Ma
è lo stesso art. 184, terzo comma, c.c., a rendere evidente che il risarcimento
per equivalente viene concesso dal legislatore in via (non già alternativa, ma)
meramente subordinata all’obbligo di «ricostituire la comunione nello stato in
cui era prima del compimento dell’atto», «qualora ciò non sia possibile»:
situazione, questa, che per definizione per il denaro, bene fungibile per
eccellenza, non può proprio darsi. Ogni sottrazione di denaro comune senza il
consenso del coniuge rappresenta sempre e senza eccezioni un atto risarcibile
in forma specifica, mediante la pura e semplice ricostituzione della provvista
indebitamente sottratta. Nessun ostacolo di carattere tecnico si frappone
dunque rispetto alla riferibilità della sottrazione di denaro comune, in
assenza del consenso dell’altro coniuge, alla fattispecie descritta dall’art.
184 c.c.
Le conclusioni testé ribadite [40] sono conformi a quelle espresse dalla dottrina
maggioritaria [41], così come dalla giurisprudenza [42], orientate nel senso di riferire il disposto
dell’art. 192 c.c. alle sole somme prelevate con il consenso dell’altro
coniuge, poiché, in mancanza di questo, l’altro coniuge potrà agire
immediatamente per la ricostituzione della comunione ex art. 184, comma terzo, c.c., senza attendere la cessazione della
comunione, né dover eventualmente richiedere l’autorizzazione al giudice ex art. 192, quarto comma, c.c.
Né appare persuasivo l’argomento secondo cui la
normalità del vivere coniugale giustificherebbe una certa elasticità nell’uso
di denaro personale o appartenente alla comunione legale, sicché sarebbe
possibile rimandare all’atto dello scioglimento della comunione il riequilibrio
tra patrimonio personale e comunione legale [43]. Al contrario, proprio la «volatilità» del denaro e
le maggiori possibilità di sottrazione e celamento che siffatto tipo di bene
presenta convincono della necessità di ritenere immediatamente ammissibile la
reazione da parte del coniuge «vittima» dell’appropriazione dell’altro. Le
invocate ragioni attinenti alla necessità di concedere spazi di tolleranza a
comportamenti legati alla normalità del vivere coniugale debbono semmai
suggerire la necessità di escludere rimborsi per prelievi di somme tali da non
incidere in modo avvertibile e dimostrabile sui redditi comuni ed eccedere
anche quei criteri di normalità che rispondono alle esigenze della personalità
di ciascun coniuge o da soddisfare le minute spese quotidiane, avuto del resto
riguardo al fatto che la considerazione del dovere esistente tra i coniugi di
contribuzione e di reciproca assistenza materiale può giocare anche in questa
valutazione un ruolo determinante.
Sarà appena il caso di rilevare, poi, come, da un
punto di vista più generale, la delimitazione delle sfere di operatività delle
due discipline (cioè quella dell’art. 184, terzo comma, c.c. e 192, primo
comma, c.c.) appaia indispensabile anche in relazione ad una cospicua serie di
conseguenze pratiche: si pensi – oltre al già riferito tema dell’individuazione
del momento in cui i rispettivi diritti possono essere esercitati
(immediatamente quello ex art. 184
c.c., di regola solo al momento dello scioglimento quello nascente dall’art.
192 c.c.) – al problema dell’accertamento del termine di prescrizione, se si
dovesse seguire la tesi (criticabilmente) prospettata da una parte della
dottrina circa la natura aquiliana dell’illecito di cui all’art. 184 c.c. [44].
Proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto andrà
dato atto di un’ulteriore chiave di lettura del tema qui in discorso, offerta
da chi propone, in buona sostanza, una «fungibilità» dei rimedi previsti
dall’art. 184 c.c. e dall’art. 192, primo comma, c.c., pervenendo alla
conclusione di consentire la proposizione dell’azione ai sensi della seconda
delle due norme al coniuge che avesse eventualmente omesso di esercitare
tempestivamente la prima [45]. Ora, proprio le illustrate differenze tra le due
fattispecie non sembrano consentire tale conclusione: per non dire, poi, del
fatto che la sicura sospensione del decorso della prescrizione inter coniuges dell’azione ex art. 184, terzo comma, c.c. [46] offre comunque rimedio a chi avesse omesso di reagire
prontamente all’appropriazione di denaro comune posta in essere dal partner.
Tornando dunque al caso sottoposto all’esame della
Suprema Corte nella sentenza qui in commento, notiamo come l’alienazione da
parte del marito (senza il consenso, ovviamente, della moglie) dell’automobile
in comunione avrebbe dovuto determinare l’applicazione, secondo la tesi
preferibile, non già dell’art. 192, primo comma, c.c., ma dell’art. 184, primo
e secondo comma c.c. (trattandosi di bene mobile registrato). Nel caso la
domanda di annullamento fosse risultata prescritta o comunque impedita dal
decorso dell’anno dallo scioglimento della comunione (ancora una volta, gli
elementi fattuali estraibili dalla motivazione qui in commento non consentono
di prendere posizione sul punto), la moglie ben avrebbe potuto esperire contro
il marito l’azione ai sensi dell’ultimo capoverso della norma citata, così
ottenendo la liquidazione di un credito certamente di valore.
L’inquadramento
(erroneo, ad avviso di chi scrive, per le ragioni sopra illustrate) della
fattispecie controversa nel perimetro dell’art. 192, primo comma, c.c., anziché
in quello dell’art. 184, terzo comma, c.c., porta invece all’inevitabile
conseguenza secondo cui, come stabilito dalla pronunzia qui in commento,
l’obbligo in oggetto configura un classico esempio di debito di valuta [47], con tutte le relative conseguenze in punto
esclusione dell’automatica rivalutazione monetaria, sottoposizione al principio
nominalistico e possibilità di liquidazione soltanto del «maggior danno» a
norma dell’art. 1224 c.c. [48].
La contraria opinione, minoritaria [49], ad avviso della quale tutti i crediti da rimborsi e
restituzioni ex art. 192 c.c.
sarebbero senz’altro di valore, si fonda sul raffronto tra le fattispecie
descritte dai commi primo e terzo, da un lato, per le quali la maggior parte
degli interpreti affermano il carattere, per l’appunto di debito valuta, e il
secondo comma, dall’altro, ove la legge parla dell’obbligo di «rimborsare il
valore dei beni di cui all’art. 189» e su cui l’opinione unanime converge
nell’affermare che trattasi di debito di valore. Orbene, posto che il «valore»
va apprezzato nel momento in cui avviene il rimborso, laddove per le «somme» di
cui ai commi primo e terzo opera il principio nominalistico, occorrerebbe
concludere, secondo il riferito avviso, che «anche quando il rimborso abbia ad
oggetto somme di danaro, l’entità dovuta deve valutarsi non con riferimento al
tempo in cui la somma è stata prelevata, bensì a quello in cui essa deve essere
restituita, perché la lettera della legge non consente alcuna differenza di
trattamento giuridico secondo la diversità dell’oggetto dell’obbligazione» [50].
La conclusione è peraltro contraria all’opinione
unanimemente accolta, secondo cui le obbligazioni a carattere restitutorio di
somme di denaro versate da chi non era debitore configurano un indebito
oggettivo ex art. 2033 c.c. e come
tali danno luogo ad un debito di valuta e non di valore [51].
Del resto, la diversa disciplina delle due
contrapposte ipotesi (quelle, per l’appunto, di cui ai commi primo e terzo
dell’art. 192 c.c., da un lato, e quella del capoverso, dall’altro) sembra
giustificarsi sulla base del fatto che il secondo comma dell’art. 192 c.c. ha
ad oggetto beni espropriati dai creditori, e dunque si riferisce ad un evento
(l’espropriazione forzata) che ha luogo contro la volontà dei coniugi (ed in particolare
di quello che, per effetto di tale evento, risulta creditore a titolo di
rimborso), laddove negli altri due casi il «depauperamento» che darà
successivamente luogo al rimborso o alla restituzione trova origine in un
comportamento posto in essere dallo stesso coniuge «leso» (art. 192, terzo
comma, c.c.), ovvero da quest’ultimo – come si è appena visto – consentito
(art. 192, primo comma, c.c.). Tant’è vero che, come pure si è appena detto,
nel caso di mancato consenso al prelievo operato dall’altro coniuge, il coniuge
«leso» potrà immediatamente reagire ex
art. 184 c.c., così oltre tutto ponendosi pienamente al riparo dalle possibili
conseguenze negative della perdita di potere d’acquisto della moneta, nel caso
il momento dello scioglimento del regime dovesse profilarsi come ancora remoto.
In altri termini, il carattere di valuta del debito ai
sensi del primo e del terzo comma dell’art. 192 c.c. sembra giustificarsi per
via non solo dell’assenza di illiceità delle ipotesi ivi contemplate, bensì anche
del fatto che il (temporaneo) impoverimento del coniuge è da quest’ultimo
direttamente cagionato, ovvero consentito, laddove il carattere di valore [52] del debito di cui al secondo comma origina dal fatto
che la lesione del diritto del coniuge danneggiato si pone quale effetto
dell’intervento di un terzo, che il coniuge «leso» non può far altro che
subire.
Gli interessi sulle somme dovute vanno corrisposti, ex art. 1282 c.c., a partire dal
momento in cui diviene esigibile il capitale, e quindi, almeno normalmente,
dallo scioglimento della comunione legale [53].
Sul punto va rimarcato che la Corte Suprema, nella
sentenza qui commentata, ha confermato la pronunzia di merito nella parte in
cui essa aveva concesso gli interessi soltanto a decorrere dalla data (posteriore
a quella della cessazione del regime) della domanda, anziché – come preteso
dalla moglie – sulla somma «via via rivalutata». Non sembra, però, che nella
specie la moglie avesse mai richiesto un’anticipazione della decorrenza degli
interessi a partire dal momento della cessazione del regime. Forse (non senza
una certa dose di buona volontà…) si sarebbe potuto ritenere che, nel petitum effettivamente formulato dalla
moglie, era «contenuta», o comunque era stata implicitamente presentata, la richiesta
della corresponsione degli interessi legali dalla data (anziché della domanda)
di verificazione dell’evento rilevante ex
art. 191 c.c. (nella specie: la definitività del decreto di omologazione della
separazione consensuale).
Potrà infine aggiungersi (astraendo dal caso concreto
qui in esame), che, nell’ipotesi in cui venisse convenzionalmente stabilito in
via generale tra coniugi in comunione, per gli eventuali futuri esborsi ex art. 192 c.c., un tasso superiore a
quello legale, siffatta particolare pattuizione, in quanto in deroga ad una
regola ex lege (generali: art. 1282 cit.) applicabile al regime legale,
richiederebbe il rispetto della forma prevista dall’art. 162 c.c.
Motivazione della sentenza
commentata
Massime della sentenza
commentata
[1] Su cui si fa rinvio per tutti a Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 193 ss.; Id., Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Roppo, VI, Interferenze, a cura di Roppo, Milano, 2006, p. 225 ss.
[2] Cfr. Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, c. 1787; v. inoltre, con riguardo all’interpretazione degli accordi a latere rispetto alla separazione personale e al divorzio, rispettivamente, Cass., 8 novembre 2006, n. 23801, ivi, 2007, I, c. 1189 e Cass., 14 luglio 2003, n. 10978.
[3] Cfr. Cass., 23 luglio 1987, n.
[4] La soluzione appare così analoga a quella
successivamente proposta da Cass., 1 febbraio 1996, n. 875, in Fam. dir., 1996, p. 543, con nota di Schlesinger: «Non costituisce oggetto
della comunione legale l’alloggio di cooperativa edilizia assegnato in
godimento, ma non ancora trasferito, ad uno dei coniugi che sia socio della cooperativa,
o il credito vantato verso la cooperativa da parte del socio coniugato che
validamente abbia rinunciato all’assegnazione, in mancanza del trasferimento
del diritto dominicale in base al contratto privatistico che richiede
l’integrale pagamento del prezzo. Ne consegue che, non facendo parte della
comunione legale l’assegnazione provvisoria prima del trasferimento, non
sussiste altresì alcun diritto del coniuge non socio ad ottenere la metà del
credito spettante all’altro coniuge nei confronti della cooperativa a seguito
dell’effettuata rinuncia». Nella fattispecie decisa da Cass., 17 aprile 1993,
n. 4555, in Giur. it., 1994, I, 1, c.
1402 è stata respinta la domanda della moglie diretta all’accertamento
dell’inclusione in comunione legale della quota di un alloggio realizzato da
cooperativa edilizia; quota di cui detto coniuge si era reso assegnatario in
veste di socio della cooperativa stessa unitamente ad un figlio nato da un
precedente matrimonio. Di fronte alla tesi della ricorrente, la quale rimproverava
alla corte d’appello di aver trascurato che la metà dell’immobile era stata
acquistata dal marito con patto di riservato dominio, ciò che avrebbe dovuto
comportare in suo favore il riconoscimento, proporzionalmente alle rate pagate
durante il matrimonio, di una quota di proprietà dell’alloggio, «anche se
rinviata nel tempo», la Cassazione, dopo aver osservato che il tribunale aveva
escluso il verificarsi del trasferimento della proprietà (o comproprietà)
dell’immobile dalla cooperativa edilizia all’assegnatario, non essendo stato
ancora stipulato il contratto di mutuo individuale, ne ha concluso che la
comunione non può comunque «investire posizioni meramente personali di uno dei
coniugi, insorte prima del matrimonio» (il riferimento è qui all’assegnazione
in godimento, precedente alla celebrazione delle nozze), mentre «non rileva
che, in corso di matrimonio, si pongano le “basi”, anche finanziarie, per un
acquisto futuro (come appunto nel caso di vendita a rate con riserva di
dominio), dato che soltanto con il perfezionarsi dell’acquisto stesso è
configurabile il ricadere in comunione del suo oggetto».
Nel medesimo senso, per la giurisprudenza di
merito, cfr. Trib. Roma, 16 ottobre 1980, in Vita notar., 1981, p. 864: «La rinuncia all’assegnazione fatta dal
socio di società cooperativa non è da considerare invalida od inefficace, ai
sensi delle nuove norme sulla comunione fra coniugi, in quanto il diritto
all’assegnazione dell’immobile derivante dalla qualità di socio non rientra fra
quei beni, tassativamente indicati dalla legge, che formano oggetto della
comunione e, inoltre, prima della stipula del rogito notarile di assegnazione,
nessun acquisto può ritenersi avvenuto a favore del socio restando, sino ad
allora, l’alloggio, di proprietà della cooperativa»; v. inoltre Trib. Roma, 10
giugno 1983, in Temi rom., 1985, p.
152, con nota di Dodet: «La
titolarità di un immobile edificato in cooperativa viene determinata non con
riferimento al tempo dell’iscrizione a socio, bensì privilegiando il successivo
e giuridicamente apprezzabile momento dell’assegnazione dell’alloggio: nel caso
in cui questo sia posteriore alla celebrazione nel matrimonio l’immobile deve
ritenersi acquistato in regime di comunione legale, a prescindere
dall’accertamento in ordine a chi abbia provveduto all’esborso di danaro»; App.
Palermo, 18 settembre 1996, in Dir. fam.
pers., 1997, p. 983: «Nelle cooperative edilizie private l’effetto
traslativo dell’alloggio si verifica non con l’assegnazione provvisoria, che
conferisce al socio soltanto una posizione positiva meramente obbligatoria,
vale a dire il diritto ad ottenerne, ricorrendone tutti i presupposti e le
condizioni, l’assegnazione definitiva da effettuarsi con atto pubblico, ma
mediante il trasferimento dell’immobile mediante rogito notarile e contestuale
pagamento del prezzo o del rateo residuo. Pertanto, qualora il socio, coniugato
in regime di comunione legale, rinunci, essendo sopravvenuta separazione
personale, all’assegnazione del bene, nessun diritto sull’immobile può vantare,
secondo la normativa sulla comunione legale, il coniuge del rinunciante, a
nulla rilevando che l’ex assegnatario vi abbia per qualche tempo soggiornato
dopo l’assegnazione provvisoria; il coniuge del rinunciante, tuttavia, può
ottenere il rimborso, in ordine a quanto sia stato restituito, dopo la
rinuncia, dalla cooperativa al socio, di metà delle somme che dimostri
provengano dalla comunione o, comunque, dai propri beni personali erogati al
coniuge - socio per far fronte agli anticipi alla cooperativa dovuti».
[5] Cfr. Cass., 1° febbraio 1996, n. 875, cit.;
nel medesimo senso, per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Venezia, 4 luglio
1986, in Riv. notar., 1988, p. 411,
con nota di Fabbrocini Cardillo. Contra (per quanto è dato capire dalla
lettura della non molto chiara motivazione) Trib. Bari, 12 luglio 1978, in Dir. fam. pers., 1979, p. 745, che ha
ritenuto ricadere sotto l’effetto dell’art. 177, lett. a), c.c. l’alloggio di
cooperativa edilizia ultimato dopo la separazione coniugale, in un caso in cui
uno solo dei coniugi aveva acquistato la qualità di socio della cooperativa in
epoca anteriore all’entrata in vigore del regime legale. In motivazione leggesi
che «il successivo acquisto della proprietà dell’alloggio non è che il
risultato di una posizione comune già acquisita e ricorre anche se nel
frattempo è intervenuta la separazione dei coniugi, produttiva dello
scioglimento della comunione (art. 191)».
[6] Cfr. Trib. Venezia, 4 luglio 1986, cit. Da
notare che, nella specie, l’acquisto di quota di cooperativa edilizia era
anteriore alla data di entrata in vigore del regime legale e l’assegnazione in
proprietà era intervenuta successivamente allo scioglimento del regime per
separazione consensuale.
[7] Cfr. Cass., 1° ottobre 1999, n. 10863, in Giur. it., 2000, p. 1605, con nota di Bergamo; in Giust. civ., 2000, I, p. 731; in Vita notar., 1999, I, p. 1428. In motivazione la Corte definisce la
situazione dell’assegnatario (in godimento) come una situazione di «mera
aspettativa», priva di «ogni connotazione reale» e «analoga a quella
conseguente al contratto preliminare suscettibile di tutela in forma specifica,
ricorrendo le condizioni del pagamento del prezzo e dell’identificazione
dell’alloggio, ma certamente non idonea a qualificarsi come acquisto della res che solo giustifica la caduta in
comunione legale del bene».
[8] Cfr. Cass., 29 gennaio 1990, n.
Per la giurisprudenza di merito cfr. App.
Napoli, 15 maggio 1981, in Giur. merito,
1984, p. 98, secondo cui «È oggetto di comunione legale tra i coniugi
l’immobile di edilizia popolare ed economica che, benché assegnato ad uno di
essi, con promessa di futura vendita, anteriormente all’entrata in vigore della
legge 19 maggio 1975 n. 151, sia stato trasferito in proprietà, a questi,
successivamente a tale data (nella specie: il 20 aprile 1978)»; Trib. Napoli, 4
aprile 2000, in Giur. napoletana,
2000, p. 413: «In tema di edilizia popolare ed economica, laddove un immobile
sia stato assegnato a riscatto, per determinare il momento traslativo occorre
avere riguardo alla data in cui viene stipulato l’atto di trasferimento, sicché
ove a tale data uno dei beneficiari sia coniugato in regime di comunione
legale, tale acquisto ricade sicuramente in comunione»; Trib. Catania, 16 marzo
1993, in Dir. fam. pers., 1993, p.
1157: «Qualora il diritto di “riscatto” di un alloggio popolare venga
riconosciuto dall’ente assegnante in virtù di una specifica previsione
contrattuale (nella specie, in seno ad un contratto di locazione con l’impegno
dell’ente di trasferire l’immobile alla scadenza del contratto), e non derivi,
invece, dalla legge, l’assegnatario ha diritto di agire ex art. 2932 c.c. per il trasferimento coattivo del bene, e tale
diritto, in caso di morte dell’assegnatario, ben può trasferirsi agli eredi, in
favore dei quali il trasferimento della proprietà dell’immobile avviene o col
passaggio in giudicato della sentenza che tenga luogo del contratto non
concluso, o con la stipula del contratto di compravendita da parte dell’ente
agli eredi medesimi. Se pertanto taluno di questi, al momento della stipula del
contratto con l’ente, sia in regime di comunione legale con il proprio coniuge,
l’acquisto opera in favore della comunione stessa, a nulla rilevando che il
diritto (di credito) al trasferimento fosse stato acquistato in forza di
successione ereditaria dell’assegnatario. Una volta acquisito un bene immobile
alla comunione legale a seguito dell’atto di compera effettuato da uno dei
coniugi, l’acquisto non può più essere revocato se non con il consenso del
venditore e di entrambi i coniugi, a nulla rilevando la volontà espressa dal
solo coniuge che stipulò con l’ente il contratto: quest’ultimo, infatti, non
può unilateralmente far venir meno l’acquisto in favore della comunione legale,
per cui l’eventuale correzione della trascrizione (in favore della comunione)
effettuata al momento dell’acquisto è del tutto priva di effetti; il successivo
trasferimento a terzi dell’immobile effettuato dal solo coniuge che con l’ente
stipulò la compravendita, è per ciò annullabile, anche se avvenuto dopo la
pronuncia del divorzio tra i coniugi in comunione legale: la pronuncia del
divorzio comporta lo scioglimento della comunione legale, ma non fa venir meno
l’acquisto (definitivamente avvenuto) in capo a ciascuno dei coniugi per
effetto del regime della comunione».
[9] Cfr. Cass., 13 luglio 1998, n.
[10] In questo senso v. da ultimo, oltre alle altre decisioni di legittimità richiamate dalla pronunzia qui in commento (sebbene non attinenti al caso specifico dell’acquisto collegato ad un problema di eventuale caduta in comunione legale), Cass., 27 febbraio 2007, n. 4626.
[11] Cfr. Cass., 23 agosto 1996,
n.
[12] Cfr. ad es. Trib. Roma, 10 giugno 1983, cit.
[13] La dottrina concorda sul
fatto che la disposizione vada interpretata in maniera restrittiva, poiché
altrimenti si verrebbe a minare l’essenza stessa del regime di comunione legale,
che, in relazione ad una visione solidaristica della famiglia, rende ogni
coniuge partecipe delle vicende economiche dell’altro (così Gennari, Lo scioglimento della comunione, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, III, Milano,
2002, p. 411). Semmai, ciò su cui gli interpreti non sembrano concordare è la
via attraverso la quale si possa concretamente pervenire a tale lettura in
chiave riduttiva della disposizione. Mentre alcuni, invero, pretendono che
essa, per poter operare, postuli l’esistenza di un accordo, quanto meno tacito,
con l’altro coniuge in ordine alla restituzione degli importi versati, nel
senso «che trattavasi di mere anticipazioni (soggette alla restituzione) e non
di donazioni indirette all’altro coniuge» (così A. e M. Finocchiaro, Diritto
di famiglia, I, Milano, 1984, p. 1161; sostanzialmente nel medesimo senso
v. anche Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di
famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 404; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e
Messineo e continuato da Mengoni, I, Milano, 1979, p. 116, nota 129, p. 194, il
quale tuttavia afferma che «la restituzione dovrebbe essere ammessa soltanto se
le somme a suo tempo utilizzate fossero identificabili come somme di personale
appartenenza di uno dei coniugi»; cfr. inoltre Trib. Bergamo, 18 marzo 1983, in
Giust. civ., 1983, I, p. 1606; in Riv. notar., 1984, p. 247, con nota di Ieva; in Dir. fam. pers., 1983, I, p. 1050), altri – e sono senz’altro i più
– operano sull’interpretazione stessa del concetto di «patrimonio personale» di
cui all’art. 192, terzo comma, c.c., limitandolo ai beni personali in senso
stretto ex art. 179 c.c., con esclusione
quindi di quelli destinati alla comunione de
residuo ai sensi dell’art. 177, lett. b) e c), c.c. (così, per tutti, Mastropaolo e Pitter, Commento agli
artt. 191-197, in Commentario al
diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III,
Padova, 1992, p. 353).
[14] L’argomento è certamente
troppo vasto per poter essere qui affrontato e chi scrive si ripromette di
trattarlo in una distinta sede. Basti tenere presente che, quanto meno in prima
approssimazione, tre diversi indirizzi appaiono individuabili. Per
il primo cadrebbero in comunione, indistintamente, tutti i diritti di credito
(così, ex multis, Gabrielli, Comunione coniugale ed investimento in titoli, Milano, 1979, p. 10
ss.; Id., voce Regime
patrimoniale della famiglia, in Digesto IV, Disc. priv., Sez. civ.,
XVI, Torino, 1997, p. 347; Bianca,
La famiglia, Le successioni, in Diritto civile, II, Milano, 1981, p. 71
s.; Prosperi, Sulla natura della comunione legale, Napoli, 1983, p. 76 ss.; Di Martino, Gli acquisti in regime di
comunione legale fra coniugi, Milano, 1984, p. 61 ss.; Ead., L’acquisto dei crediti in
regime di comunione legale tra coniugi, in Quadrimestre, 1985, p. 30
ss.; Nuzzo, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, cit., p. 47
ss., 54 ss.; Quadri, L’oggetto
della comunione legale tra coniugi: i beni in comunione immediata, in Fam. dir., 1996, p. 188 e ss.; Galasso, Regime patrimoniale della
famiglia, I, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca a cura
di Galgano, Bologna-Roma, 2003, p. 209 ss.). Secondo un’altra opinione, l’art.
177, lett. a), c.c. sarebbe invece applicabile ai soli crediti aventi carattere
«finale» e non «strumentale», divenendo quindi comuni quei soli crediti che
realizzino veri investimenti (cfr. ad es. Oppo,
Responsabilità patrimoniale e nuovo
diritto di famiglia, in Riv. dir. civ.,
1976, I, p. 110; Cian e Villani, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. dir. civ., 1980, I, p. 392; Busnelli, La «comunione legale» nel
diritto di famiglia riformato, in Riv.
notar., 1976, I, p. 42) e non costituiscano meri mezzi per l’acquisto di
diritti reali (si pensi ad es. all’impegno in cui si sostanzia il contratto
preliminare). Ad avviso di un terzo gruppo di Autori, infine, i rapporti
obbligatori non cadrebbero mai in comunione (cfr. Detti, Oggetto,
natura, amministrazione della comunione legale dei coniugi, in Riv. notar., 1976, I, p. 1176, 1183 e
1193; Celona, Matrimonio e patrimonio, Milano, 1977, p. 55; Tamburrino, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia, Torino, 1978, p. 236; De Paola e Macrì, Il nuovo
regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978, p. 140; Furgiuele, Libertà e famiglia, Milano, 1979, p. 204; Corsi, Il regime
patrimoniale della famiglia, cit., p. 84; E. Russo, Ancora
sull’oggetto della comunione legale: favor communionis o favor personae coniugis?,
in Dir. fam. pers., 1998, p. 206 ss.;
Id, L’oggetto della comunione legale e i beni personali, Artt. 159-166-bis, in Il codice civile, Commentario diretto da
Schlesinger, Milano, 1999, p. 251 ss.; Rimini,
Acquisto immediato e differito nella
comunione legale fra coniugi, Padova, 2001, p. 157 ss., 163 ss.).
Peculiare, infine, l’autorevole posizione di Schlesinger,
Della comunione legale, in Commentario al diritto italiano della
famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 1992, p. 106 s.,
oggi sostanzialmente favorevole alla caduta in comunione dei crediti, sebbene
con svariate limitazioni, così rivedendo la posizione precedentemente espressa
in Id., Della comunione legale, 1977, cit., p. 374 s. In giurisprudenza,
significativo appare il revirement
operato in favore del riconoscimento della caduta in comunione dei crediti da Cass., 9 ottobre 2007, n.
21098, in Fam. dir., 2008, p. 5, con
nota di Rimini, cui si fa rinvio anche
per i richiami ai precedenti. Sul profilo specifico della caduta in comunione
delle quote di una s.r.l. cfr. per tutti Schlesinger, Cadono in comunione legale le quote di s.r.l.?, Nota a Cass.,
1° febbraio 1996, n. 875, in Fam. dir., 1996, p. 543 ss.
[15] Per
questa conclusione, sebbene partendo presupposto (da chi scrive non condiviso)
per cui i crediti sarebbero esclusi dalla comunione legale, v. anche Rimini, Acquisto immediato e
differito nella comunione legale fra coniugi, cit., p. 174 ss. Secondo l’Autore (cfr. p. 178) non esistono argomenti che
permettano di affermare che la partecipazione ad una società cooperativa debba
esser trattata, con riferimento all’applicazione dell’art. 177, lett. a), c.c.,
in modo diverso dalla partecipazione ad una società di capitali.
[16] Cfr.
Rimini, Acquisto
immediato e differito nella comunione legale fra coniugi, cit., p. 166 ss., 178.
[17] Così
Rimini, Acquisto
immediato e differito nella comunione legale fra coniugi, cit., p. 178 s.
[18] Sul tema cfr. Galasso, Regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 541; v. inoltre Mastropaolo e Pitter, Commento agli
artt. 191-197, cit., p. 380.
[19] Cfr. Barbiera, La comunione legale, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 3, II, Torino, 1996, p. 629.
[20] Cfr. Cass., 18 agosto 1994, n. 7437, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, p. 551, con nota di Regine. Nello stesso senso v. Cass., 11 settembre 2007, n. 19038, secondo cui «in tema di comunione legale tra coniugi, l’art. 195 c.c., ultima parte, il quale prevede, con riguardo al prelevamento dei beni mobili nell’ambito della divisione dei beni della comunione, che, in mancanza di prova contraria, si presume che i beni mobili facciano parte della comunione, pur se dettato per disciplinare la divisione tra i coniugi (o i loro eredi) di beni ad essi appartenenti prima della comunione o ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione, ha carattere generale, sicché è applicabile anche quando debba giudicarsi, nei rapporti appunto tra coniugi (come nella specie, rispetto ai terzi valendo, invece, la regola prevista dall’art. 197 c.c.), se determinati beni siano di proprietà esclusiva di uno di essi o siano in comunione (Cass. 18 agosto 1994, n. 7437)».
[21] Più esattamente l’art. 228, comma terzo, c.c., nel testo anteriore alla riforma, restringeva la possibilità di prova contraria alla sola ipotesi in cui, «con la convenzione che istituisce la comunione», i coniugi avessero fatto «una descrizione autentica dei loro beni mobili presenti» e parimenti si regolassero successivamente per «quei beni che venissero a loro durante la comunione per successione o per donazione».
[22] Cfr. Mastropaolo e Pitter, Commento agli
artt. 191-197, cit., p. 380; Gennari,
Lo scioglimento della comunione,
cit., p. 416.
[23] Cfr. Paladini, Lo scioglimento della comunione legale e la divisione dei beni, in Aa. Vv., Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, IV, Il diritto di famiglia, II, Torino,
1999, p. 441; Barbiera, La comunione legale, cit., p. 630; Gennari, Lo scioglimento della comunione, cit., p. 415. Nello stesso senso
(pur se implicitamente), con specifico riferimento ai beni di cui alla lett. f)
dell’art. 179 c.c., v. Cass., 18 agosto 1994, n. 7437, cit.
[24] Cfr. Mastropaolo e Pitter, Commento agli artt. 191-197, cit., p. 381; anche Attardi, Aspetti processuali del nuovo diritto di famiglia, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 2, Padova, 1977, p. 964 è dell’avviso che la presunzione opererebbe solo con riguardo ai beni di cui alle lettere a) e b) dell’art. 179 c.c.
[25] Cfr. Attardi, Aspetti processuali del nuovo diritto di famiglia, cit., p. 963 s.; Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 450; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 196; Cian e Villani, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), cit., p. 374; Mastropaolo e Pitter, Commento agli artt. 191-197, cit., p. 381; Paladini, Lo scioglimento della comunione legale e la divisione dei beni, cit., p. 441; Gennari, Lo scioglimento della comunione, cit., p. 415.
[26] Cfr. Cass., 18 agosto 1994, n. 7437, cit.
[27] Così Cubeddu, Comunione legale e beni personali: limiti probatori e dichiarazione di
acquisto, in Fam. dir., 1994, p.
602.
[28] Cfr. Mastropaolo e Pitter, Commento agli artt. 191-197, cit., p. 381. Nello stesso senso v. anche Cian e Villani, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), cit., p. 374, i quali osservano che sarebbe «illogico che la medesima questione venisse risolta in base a regole probatorie differenti, a seconda che sorgesse prima o dopo lo scioglimento della comunione». Gli stessi Autori ritengono che, nei rapporti tra i coniugi, la presunzione ha ragione di essere applicata «finché non sia intervenuto un accordo o un provvedimento giudiziale di divisione o un accertamento che nessun bene comune da dividere più sussista»: cfr. Cian e Villani, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), cit., p. 377.
[29] Cfr. in questo senso Paladini, Lo scioglimento della comunione legale e la divisione dei beni,
cit., p. 442.
[30] Sul punto cfr. per tutti, nonché per la critica dell’opinione dominante, Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi. Artt. 215-219, in Il codice civile. Commentario fondato e già diretto da Schlesinger, continuato da Busnelli, Milano, 2005, p. 336 ss.
[31] Cfr. Oberto, Il regime di separazione dei beni tra coniugi. Artt. 215-219, loc. ult. cit.
[32] Cfr., anche per i richiami alla tesi opposta, prevalente tanto in dottrina che in giurisprudenza, Oberto, I beni personali, in Aa. Vv., Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, II, Rapporti personali e patrimoniali, Bologna, 2008, p. 444 ss.
[33] Sulla possibilità di un acquisto a titolo originario personale ai sensi dell’art. 179 c.c. cfr. per tutti Oberto, Acquisti a titolo originario e comunione legale, in Fam. dir., 1994, Allegato, p. 24 ss.
[34] Per l’applicabilità
dell’art. 195 c.c. in una fattispecie del genere cfr. Lodo arbitrale, 27 marzo
1993, in Caravaglios, La comunione legale, I, Milano 1995, p.
297 ss. In particolare, il lodo, dopo aver rilevato che il coniuge (così come i
relativi eredi) non rientra nella categoria dei terzi cui fa richiamo l’art.
197 c.c., affermata expressis verbis
l’applicabilità della presunzione di cui all’art. 195 c.c. ai beni immobili, ha
stabilito la possibilità per il coniuge (e per i relativi eredi) di superare
quest’ultima «con l’utilizzazione di ogni mezzo di prova» idoneo a dimostrare
che la scrittura privata era stata redatta in data anteriore alle nozze «fermo,
ovviamente, l’essenziale requisito della forma scritta dell’atto attributivo
dell’acquisto a titolo derivativo in capo ad uno dei coniugi». Nella specie, la
scrittura privata d’acquisto, sottoscritta dal solo marito, possedeva una data
risalente ad epoca anteriore alle nozze, ma la moglie aveva allegato, scioltasi
la comunione per decesso del marito, che tale data non le sarebbe stata
opponibile, essendo essa «terzo» ai sensi dell’art. 2704 c.c. e non potendosi
ritenere certa la data ai sensi della norma appena citata. Il lodo ha però
correttamente ritenuto irriferibile tale disposizione al coniuge in comunione,
per il quale vale la regola dell’art. 195 c.c., applicabile anche ai beni
immobili, con conseguente possibilità di superamento della presunzione tramite
ogni mezzo, ivi compresa una data anche non certa (posto che il requisito della
certezza della data vale solo con riguardo ai terzi: terzi rispetto ai coniugi;
mentre nella specie la moglie era, semmai, «terzo» rispetto al negozio d’acquisto).
[35] Cfr. Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 444; Mastropaolo e Pitter, Commento agli artt. 191-197, cit., p. 344.
[36] La tesi, prospettata in
astratto da Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 444
s., viene dallo stesso insigne Autore ritenuta impraticabile.
[37] In questo senso cfr. Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 445; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 192 s.; Carpino, Rimborsi e restituzioni (art. 192 c.c.), in Rass. dir. civ., 1988, p. 38; Carpino,
Rimborsi e restituzioni, in Aa. Vv.,
La comunione legale, a cura di
Bianca, II, Milano, 1989, p. 982; Mastropaolo e Pitter, Commento agli
artt. 191-197, cit., p. 346; Venditti, La comunione legale tra coniugi: lo
scioglimento, in Aa. Vv., Il
regime patrimoniale della famiglia, Il diritto di famiglia, Trattato
diretto da Bonilini e Cattaneo, Torino 1997, II, p. 272; Scaletta,
Lo scioglimento della comunione legale
dei coniugi, in Aa. Vv., Manuale
del nuovo diritto di famiglia, a cura di Cassano, Piacenza, 2003, p. 679. Nel senso invece che
l’obbligo di rimborso sorgerebbe solo nel caso il prelievo integri gli estremi
di un mutuo concesso dai due coniugi ad uno di essi, oppure quando un coniuge
abbia vietato all’altro di impiegare per fini personali degli utili o dei
frutti del patrimonio comune cfr. A. e M. Finocchiaro,
Diritto di famiglia, cit., p. 1157.
[38] Cfr. ex multis Gennari, Lo scioglimento della comunione, cit., p. 409; nello stesso senso v. anche Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 445; Mastropaolo e Pitter, Commento agli artt. 191-197, cit., p. 346. Contra Paladini, Lo scioglimento della comunione legale e la divisione dei beni, cit., p. 447, per il quale la comprensibile elasticità nell’uso di denaro personale o appartenente alla comunione giustificherebbe il rinvio del riequilibrio del patrimonio personale e di quello comune al momento dello scioglimento; per A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, cit., p. 1159 s., l’obbligo di rimborso incomberebbe solamente per i denari comuni utilizzati a fini personali contro l’espresso divieto dell’altro coniuge o quando vi sia una precisa intesa nel senso della restituzione delle somme utilizzate.
[39] Cfr. Gabrielli, I rapporti patrimoniali tra coniugi. Corso di diritto civile, Trieste, 1981, p. 93 ss.; Gabrielli e Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, p. 215; Paladini, Lo scioglimento della comunione legale e la divisione dei beni, cit., p. 446.
[40] Per una prima presentazione cfr. Oberto, Acquisti a titolo originario e comunione legale, cit., p. 28 s.
[41] Cfr. Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 445; Mastropaolo e Pitter,
Commento agli artt. 191-197, cit., p.
346; Gennari, Lo scioglimento della comunione, cit., p. 409.
[42] App. Milano, 19 novembre 1993, in Fam. dir., 1994, p. 434, con nota di Dogliotti.
[43] Cfr. Paladini, Lo scioglimento della comunione legale e la divisione dei beni, cit., p. 446.
[44] In proposito, nonostante
l’autorevole parere espresso in favore dell’idea della responsabilità aquiliana
(cfr. Bianca, Gli atti di straordinaria
amministrazione, in Aa. Vv., La
comunione legale, a cura di Bianca, I, cit., p. 620 s.), la natura contrattuale della
responsabilità in esame va invece, e con forza, ribadita, per effetto della
constatazione secondo cui il coniuge che ha disposto di un bene comune, anche
senza appropriarsene materialmente, viola per ciò solo il disposto dell’art.
180 c.c. e dunque un dovere giuridico specifico (derivante ex lege), consistente nel dovere di procurarsi il consenso del partner per l’effettuazione dell’atto:
dovere che possiede un sicuro contenuto patrimoniale e che, come tale, appare
definibile alla stregua di una vera e propria obbligazione, con conseguente
applicazione dell’art. 1218 c.c. (in questo senso cfr. già Oberto, Acquisti a titolo originario e comunione legale,
cit., p. 30 s.).
[45] Cfr. T.V. Russo, Le vicende estintive della comunione legale, Napoli, 2004, p. 101 s. Sostanzialmente nel medesimo senso v. anche Barbiera, La comunione legale, cit., p. 622.
[46] In conseguenza
dell’affermata natura contrattuale del danno in oggetto, l’azione risarcitoria
sarà sottoposta al termine prescrizionale generale ex art. 2946 c.c., nonché alla sospensione ex art. 2941, n. 1, c.c., non valendo nella specie il rationale di quella decisione di
legittimità che ha stabilito l’inapplicabilità di tale disposizione all’azione
di annullamento, proposta ai sensi dei primi due commi dell’art. 184 c.c.,
relativamente a beni immobili o mobili registrati (cfr. Cass., 22 luglio 1987,
n. 6369, in Dir. fam. pers., 1988, I,
p. 786; in Giust. civ., 1988, I, p.
135, con nota di M. Finocchiaro).
[47] Cfr. Mastropaolo e Pitter, Commento agli artt. 191-197, cit., p. 347; nello stesso senso v. anche Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 193.
[48] Sul tema v. da ultimo Cass., Sez. Un., 16 luglio 2008, n. 19499.
[49] Cfr. Gabrielli e Cubeddu, op. cit., p. 219.
[50] Cfr. sempre Gabrielli e Cubeddu, op. loc. ultt. citt. Anche Barbiera, La comunione legale, cit., p. 624 è dell’avviso che le ipotesi previste dai commi primo e terzo dell’art. 192 c.c. configurerebbero debiti di valore, trovando la loro fonte nell’arricchimento senza causa.
[51] Cfr. ex multis Cass., 10 ottobre 1992, n. 11041, in Informaz. prev., 1992, p. 1394: «L’azione di indebito oggettivo, ex art. 2033 cod. civ., per il rimborso di contributi dell’assicurazione obbligatoria indebitamente versati ha carattere restitutorio di una somma di denaro e non di reintegrazione dell’equilibrio economico determinato da arricchimento senza causa; essa riguarda pertanto un debito di valuta, come tale soggetto alla disciplina di cui all’art. 1224 cod. civ. per quanto attiene il risarcimento del maggior danno per il ritardo nell’adempimento»; Cass., 9 maggio 1995, n. 5036: «La domanda di rimborso dell’eccedenza contributiva versata in relazione alla mancata applicazione di sgravi contributivi configura un’ipotesi di ripetizione di indebito oggettivo, relativamente alla quale il diritto del creditore agli interessi ex art. 2033 cod. civ. (assimilabili agli interessi moratori di cui all’art. 1224, primo comma, cod. civ.) non esclude il risarcimento del maggior danno ex art. 1224, secondo comma, cod. civ., norma quest’ultima che, essendo inclusa nella disciplina della obbligazione in generale, è applicabile anche sulla obbligazione pecuniaria di ripetizione dell’indebito, sempre che sussista il generale presupposto dell’obbligazione risarcitoria»; Cass., 25 maggio 1995, n. 5757: «In relazione al credito per il rimborso dell’eccedenza contributiva versata in relazione alla mancata applicazione di sgravi contributivi, si configura un’ipotesi di ripetizione di indebito oggettivo, per cui il diritto del creditore agli interessi ex art. 2033 cod. civ. (assimilabili agli interessi moratori di cui all’art. 1224, primo comma, cod. civ.) non esclude il risarcimento del maggior danno (inteso come danno ulteriore rispetto agli interessi legali) ex art. 1224, secondo comma, cod. civ., norma quest’ultima che, essendo inclusa nella disciplina delle obbligazioni in generale è applicabile anche all’obbligazione pecuniaria di ripetizione di indebito, sempre che sussista il generale presupposto dell’obbligazione risarcibile»; Cass., 6 settembre 1996, n. 8103, in Informaz. prev., 1996, p. 804; Cass., 10 settembre 1997, n. 8844; Cass., 18 marzo 2002, n. 3921, in Foro it., 2002, I, c. 2753: «Il debito della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense verso i propri iscritti per il rimborso dei contributi versati e non più utilizzabili ha natura di obbligazione pecuniaria e, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 576 del 1980, è produttiva di soli interessi legali, il che non esclude, qualora ne ricorrano i presupposti, il diritto al risarcimento del maggior danno, ai sensi dell’art. 1224 cod. civ.». Per un espresso accostamento della fattispecie di cui all’art. 192, primo comma, c.c. all’azione ex art. 2033 c.c. v. infine Cass., 14 marzo 1992, n. 3141, secondo cui «il coniuge che si è giovato dell’accessione sarà tenuto a restituire alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per eseguire l’edificazione (ossia, come recita la norma, prelevate per fine diverso dall’adempimento delle obbligazioni gravanti sui beni comuni); mentre, qualora nella costruzione sia stato impiegato danaro appartenente in via esclusiva all’altro coniuge, a quest’ultimo spetterà il diritto di ripetere la relativa somma, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ.».
[52] Con valutazione effettuata, quindi, al momento della liquidazione del credito e non già a quello dell’espropriazione del bene da parte del creditore.
[53] Cfr. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 193. Mastropaolo e Pitter, Commento agli artt. 191-197, cit., p. 347 sembrano pretendere invece la presenza di un accordo diretto alla corresponsione degli interessi.