Corte
di Cassazione, sezione I civile, sentenza 30 gennaio 2017, n. 2224
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Avv. Renato D'Isa on 1 febbraio 2017 • (
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In
tema di divorzio
Ai
sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, l’accertamento del diritto all’assegno
divorzile deve essere effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del
coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in
costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di
continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente
configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, mentre
la liquidazione in concreto dell’assegno, ove sia riconosciuto tale diritto per
non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi
detto tenore di vita, va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi,
delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da
ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno
e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tutti i
suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.
Nell’ambito
di questo duplice apprezzamento, occorre avere riguardo non soltanto ai redditi
ed alle sostanze del richiedente, ma anche a quelli dell’obbligato, i quali
assumono rilievo determinante sia ai fini dell’accertamento del livello
economico-sociale del nucleo familiare, sia ai fini del necessario riscontro in
ordine all’effettivo deterioramento della situazione economica del richiedente
in conseguenza dello scioglimento del vincolo.
Per
poter determinare lo standard di vita mantenuto dalla famiglia in costanza di
matrimonio, occorre infatti conoscerne con ragionevole approssimazione le
condizioni economiche, dipendenti dal complesso delle risorse reddituali e
patrimoniali di cui ciascuno dei coniugi poteva disporre e di quelle da
entrambi effettivamente destinate al soddisfacimento dei bisogni personali e
familiari, mentre per poter valutare la misura in cui il venir meno dell’unità
familiare ha inciso sulla posizione del richiedente è necessario porre a
confronto le rispettive potenzialità economiche, intese non solo come
disponibilità attuali di beni ed introiti, ma anche come attitudini a
procurarsene in grado ulteriore.
Gli
accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime
giuridico – patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono
invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del
principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia
matrimoniale, espresso dall’art. 160 cod. civ.. Pertanto, di tali accordi non
può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludono il diritto
del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto è necessario
per soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente
dette esigenze, per il rilievo che una preventiva pattuizione – specie se
allettante e condizionata alla non opposizione al divorzio potrebbe determinare
il consenso alla dichiarazione degli effetti civili del matrimonio.
Gli
accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci
rapporti economici in relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento
all’assegno divorzile sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla
natura assistenziale di detto assegno, previsto a tutela del coniuge più
debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo. Ne consegue che la
disposizione dell’art. 5, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970 nel testo
di cui alla legge n. 74 del 1987 – a norma del quale, su accordo delle parti,
la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire in un’unica soluzione,
ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna
successiva domanda a contenuto economico -, non è applicabile al di fuori del
giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati
“secundum ius”, non possono implicare rinuncia all’assegno di divorzio.
Nel
giudizio di divorzio in appello – che si svolge secondo il rito camerale,
l’acquisizione dei mezzi di prova, e segnatamente dei documenti, è ammissibile
sino all’udienza di discussione in Camera di consiglio, sempre che sulla
produzione si possa considerare instaurato un pieno e completo contraddittorio,
che costituisce esigenza irrinunciabile anche nei procedimenti camerali