DISPOSIZIONI IN MATERIA DI
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SOMMARIO:
Art. 1 -
Accordi
fra conviventi - 1. Agli effetti della presente legge si intendono
conviventi due persone [di sesso diverso o del medesimo sesso] legate da
una comunione di vita e di affetti caratterizzate da stabilità e
continuità.
2. Gli accordi fra conviventi sono diretti a disciplinare gli aspetti patrimoniali della loro relazione, trovando al riguardo applicazione le norme del codice civile e delle leggi speciali in materia di contratti. Essi possono coinvolgere anche profili di carattere non patrimoniale, nei limiti di quanto stabilito dalla presente legge.
3. Gli accordi di cui al comma precedente possono essere stipulati in ogni momento ed essere provati con ogni mezzo.
4. Gli accordi stipulati tra i conviventi
ai fini di regolamentare i rapporti patrimoniali sono assoggettati:
a) se aventi per oggetto beni immobili
o
mobili registrati, all'imposta di registro dovuta ai sensi del testo unico
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.
131;
b) se aventi per oggetto beni mobili
all'imposta di registro solo in caso di uso e in misura fissa, analogamente
a quanto disposto dall'articolo 8, lettera f), parte prima, della tariffa
annessa al citato testo unico approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e successive modificazioni. (1)
Art. 2 - Diritti e doveri reciproci dei conviventi - 1. I conviventi possono pattuire che, durante il loro rapporto, entrambi saranno tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della convivenza, nonché a prestarsi reciproca assistenza morale e materiale ed a collaborare nell'interesse della famiglia.
2. I contraenti potranno fissare modi
e misura della contribuzione di ciascuno, eventualmente procedendo ad un'individuazione
delle spese relative e prevedendo clausole penali per il caso di violazione
degli obblighi assunti. (2)
Art. 3 - Attribuzioni patrimoniali in favore del convivente - 1. In assenza di apposita pattuizione, le attribuzioni patrimoniali effettuate fra i conviventi in ragione della prestazione di reciproca contribuzione, nonché di assistenza morale e materiale, compiute in qualunque forma in proporzione ai propri redditi, alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro professionale o casalingo, costituiscono adempimento di obbligazione naturale ai sensi dell'art. 2034 c.c.
2. Salvo prova contraria, si presume
che le attribuzioni patrimoniali eccedenti la misura di cui sopra costituiscano
a tutti gli effetti donazioni, per la cui validità è richiesto
il rispetto degli artt. 782 c.c. e 48, l. 16 febbraio 1913, n. 89 ("Sull'ordinamento
del notariato e degli archivi notarili").(3)
Art. 4 - Indennizzo per l'attività prestata - 1. In assenza di apposita pattuizione e ove non sia configurabile un diverso rapporto, il convivente ha diritto ad un indennizzo per l'attività prestata e per le prospettive di guadagno perdute al fine di prestare la propria contribuzione nell'ambito del rapporto di convivenza, qualora tale contribuzione non sia integralmente compensata dalle contribuzioni effettuate dal partner.
2. In difetto di accordo la misura
dell'indennizzo è fissata dal giudice ordinario secondo equità.(4)
Art. 5 - Impresa familiare - 1. Il terzo comma dell'articolo 230-bis del codice civile introdotto con l'articolo 89 della legge 19 maggio 1975, n. 151, è sostituito dal seguente:
"Ai fini della disposizione di cui
al primo comma si intende come familiare il coniuge, il convivente, i parenti
entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare
quella cui collaborano il coniuge, il convivente, i parenti entro il terzo
grado, gli affini entro il secondo".(5)
Art. 6 - Accordi sulla proprietà e sul regime dei beni. Prova della proprietà dei beni mobili acquistati nel corso della convivenza - 1. I conviventi possono stabilire in qualsiasi momento che i diritti acquistati anche separatamente nel corso della convivenza su beni mobili o immobili formino automaticamente oggetto, sin dal momento dell'acquisto, di comunione ai sensi degli artt. 1100 ss. c.c., senza necessità di operare alcun successivo atto di trasferimento. Da tale comunione possono essere eventualmente esclusi i beni di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) dell'art. 179 c.c.
2. In luogo dell'intesa di cui al comma precedente i conviventi possono stabilire che, ferme restando le regole ordinarie in tema di acquisto dei diritti, al momento della cessazione del rapporto ciascuno di essi acquisti il diritto ad una quota del valore degli acquisti effettuati dall'altro in costanza di convivenza. In difetto di accordo, tale valore va calcolato al momento dello scioglimento del rapporto.
3. I conviventi possono in ogni momento
redigere un inventario dei beni mobili di proprietà individuale
o comune. In difetto di tale inventario ciascun convivente può provare
con ogni mezzo nei confronti dell'altro la proprietà esclusiva di
un bene. I beni acquistati nel corso della convivenza e di cui nessuno
dei conviventi può dimostrare la proprietà esclusiva, sono
di proprietà indivisa per pari quota di entrambi. (6)
Art. 7 - Accordi relativi all'eventuale cessazione della convivenza - 1. I conviventi possono, sin dall'inizio del loro rapporto, così come in ogni momento, disciplinare le conseguenze patrimoniali e personali di un'eventuale cessazione della convivenza. Essi possono anche prevedere, per il periodo successivo, la corresponsione di un assegno di mantenimento, oppure di una somma una tantum, ovvero ancora il trasferimento di diritti su uno o più beni.
2. I conviventi possono inoltre stabilire che gli effetti della cessazione del rapporto prendano inizio da un momento successivo a quello della cessazione della convivenza, da determinarsi di comune accordo, ovvero su iniziativa di una parte mediante manifestazione di volontà unilaterale da comunicare all'altra nei tempi e modi prestabiliti.
3. Gli accordi conclusi in qualsiasi
tempo al fine di regolamentare le conseguenze della cessazione della convivenza
sono esenti dall'imposta di bollo e di registro, così come da ogni
altro tipo di tributo.
Art. 8 - Attribuzione convenzionale dell'abitazione nella casa familiare - 1. In caso di cessazione della convivenza le parti possono stabilire che l'abitazione nella casa familiare sia attribuita all'uno o all'altro dei conviventi.
2. Il diritto di abitazione di cui al comma precedente, nel caso abbia ad oggetto un immobile di proprietà di uno o di entrambi i conviventi, è disciplinato dagli accordi conclusi dai conviventi medesimi, i quali possono dar vita, in alternativa, ad un rapporto di tipo reale, ai sensi degli artt. 1022 ss. c.c., ovvero ad un comodato, ai sensi degli artt. 1083 ss. c.c. Il comodato deve intendersi, salvo patto contrario, della durata minima di tre anni. Qualora l'attribuzione del diritto di abitazione sia effettuata senza ulteriori specificazioni si deve presumere concluso tra le parti un contratto di comodato di durata triennale.
3. Se le parti non hanno previsto la costituzione di un diritto ai sensi degli artt. 1022 ss. c.c., il diritto di abitazione di cui al comma precedente è opponibile ai terzi acquirenti ai sensi dell'art. 1599 c.c. Il relativo accordo deve rendersi pubblico col mezzo della trascrizione se il diritto è di durata superiore ai nove anni. L'assegnazione della casa familiare non trascritta è opponibile ai terzi acquirenti solo nei limiti di un novennio dall'inizio del rapporto. Qualora le parti optino per un'assegnazione fondata sul diritto di cui agli artt. 1022 ss. c.c. l'opponibilità è regolata dagli artt. 2643, n. 4 e 2644 c.c.
4. Nel caso la disponibilità
dell'immobile sia fondata su di un rapporto di locazione [o di comodato]
il convivente assegnatario succede nel rapporto medesimo, se tra i conviventi
si sia così convenuto.(7)
Art. 9 - Accordi relativi ai figli. Competenza del giudice ordinario - 1. In caso di cessazione del rapporto i conviventi possono accordarsi, nel rispetto del principio dell'esclusivo interesse del minore, circa l'affidamento della prole, i diritti di visita in capo al genitore non affidatario, l'esercizio della potestà e il contributo di entrambi al mantenimento, all'istruzione ed all'educazione dei figli.
2. Gli accordi relativi alla prole acquistano efficacia con l'omologazione del giudice, secondo quanto stabilito dagli artt. 158 c.c. e 711 c.p.c.
3. A parziale modifica dell'articolo
38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile, approvate con
regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, e successive modificazioni e integrazioni,
i provvedimenti contemplati dal comma precedente, così come quelli
di cui all'articolo 317-bis del codice civile, sono di competenza
del giudice ordinario.(8)
Art. 10 -
Disposizione dell'indennità di fine rapporto in favore del convivente
- Con atto di ultima volontà, il convivente prestatore di lavoro
può disporre delle indennità di cui agli artt. 2118, 2120
c.c. e all'art. 4, 6° co., l. 297/1982 (sul trattamento di fine servizio
dei dipendenti pubblici) in favore del convivente. In tal caso, il convivente
nominato concorre nella ripartizione di tali indennità con i soggetti
menzionati al primo comma dell'art. 2122 c.c., se esistenti.
Art. 11
- Incarico al partner di assumere decisioni sulla propria salute - Il
paziente può designare in forma scritta il proprio convivente quale
persona legittimata, ad esclusione di ogni altro congiunto, ad assumere
decisioni circa la propria salute [compresa l'interruzione del trattamento
terapeutico], in seguito al sopraggiungere di uno stato di incapacità
nel disponente. (9)
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La disposizione appare necessaria per ciò che attiene
ai profili di carattere personale, secondo quanto ricordato a commento
dell'art. 1. La previsione di penali potrebbe servire a rendere più
evidente (difettando, ovviamente, un "addebito", che peraltro sembra avviato
sul viale del tramonto anche nell'ambito della famiglia legittima) il carattere
giuridicamente vincolante delle obbligazioni eventualmente assunte.
La disposizione si ispira al mio suggerimento circa l'esperibilità del rimedio dell'azione di arricchimento a tutela del partner debole. La via è peraltro contrastata in dottrina; tutta la giurisprudenza, poi, è schierata in senso contrario, partendo dal presupposto secondo cui "la volontaria prestazione esclude l'ingiustificato arricchimento". Non ho ritenuto qui di dover effettuare un richiamo esplicito all'actiode in rem verso, dal momento che mi è sembrato più giusto prevedere un equo indennizzo che, come tale, non corrisponda "matematicamente" all'impoverimento (pur non eccedente l'arricchimento) cui fa richiamo l'art. 2041 c.c. La particolare situazione in cui i partners si trovano, invero, mi sembra giustifichi una valutazione di tipo equitativo, che tenga conto di svariati elementi: vita in comune, eventuali prestazioni effettivamente eseguite (ancorché non interamente satisfattive dell'obbligazione naturale, o civile - in caso di accordo sul punto - gravante sull'altro convivente), patrimoni personali, posizioni lavorative, ecc.
L'inciso "qualora tale contribuzione non sia integralmente
compensata dalle contribuzioni effettuate dal partner" si giustifica,
a mio avviso, sulla base del rilievo per cui l'obbligazione naturale (o
civile, nel caso di accordo sul punto) tra conviventi può essere
soddisfatta in vario modo e un impoverimento del partner debole
(che pure, non va dimenticato, è tenuto a contribuire) può
darsi solo se l'altro è inadempiente, in tutto o in parte, rispetto
al dovere di contribuzione.
Ritengo preferibile intervenire sull'art. 230-bis
c.c., piuttosto che riprodurne il testo in seno all'articolato, ciò
che comporta il rischio di non concordanze tra i vari testi (per es. l'art.
4 della prima bozza menzionava solo il lavoro nell'impresa e non nella
famiglia). Naturalmente, volendo, si può anche andare avanti rispetto
al testo codicistico, introducendo per esempio, la collaborazione all'attività
professionale; ciò comporterebbe però poi la necessità
di modificare l'art. 230-bis anche in relazione a tali altri aspetti,
non essendo immaginabile una normativa più favorevole verso il lavoro
familiare limitata alla sola famiglia di fatto.
Non direi nulla sulle "garanzie" a tutela dell'assegno di mantenimento, perché comunque esse sono state estese alla separazione personale consensuale dalla Corte cost. e quindi debbono ritenersi applicabili anche alla famiglia di fatto, una volta che si richiami l'art. 158 c.c. (cfr. per es. Corte cost., 144/83; 278/94; 258/96).
Nulla direi anche per ciò che attiene al tema del titolo esecutivo: il verbale d'udienza è atto pubblico e come tale non vi è dubbio che opera anche qui la regola che vale per il verbale d'udienza in materia di separazione dei coniugi.
Non è prevista l'estensione dell'art. 155 c.c.
perché, per ciò che attiene all'abitazione, è già
prevista una disposizione specifica nella bozza, mentre, in difetto di
accordo, opera la sentenza Corte cost. 166/98 (a meno che, prendendo lo
spunto dal fatto che si tratta di sentenza solo interpretativa, non ritenga
opportuno intervenire ex lege: peraltro la sedes materiae
è qui diversa, trattandosi in questo progetto dei soli accordi tra
conviventi). Per gli aspetti diversi dalla casa familiare e in caso di
conflitto tra i conviventi opera l'art. 317-bis.
Ho ritenuto di porre tra parentesi quadra il riferimento
all'interruzione del trattamento terapeutico perché la disposizione
viene a toccare il tema, assai delicato, dell'eutanasia: ecco perchè
"strategicamente" ne sarebbe forse opportuna l'eliminazione.
(*) A seguito di una riunione di esperti
tenutasi il 25 febbraio 2000 presso il Dipartimento per le Pari Opportunità
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Capo dell'Ufficio Legislativo
del Dipartimento mi ha affidato l'incarico di predisporre una bozza di
articolato sul tema: "Disposizioni in materia di accordi di convivenza".
Ne è nata la presente proposta, che ho trasmesso al predetto Ufficio
Legislativo in data 28 febbraio 2000. Le opinioni espresse in questa sede
non impegnano che l'autore.