GLI ACCORDI PREVENTIVI
SULLA CRISI CONIUGALE(*)
Sommario:
1. Alcune considerazioni introduttive tra storia, comparazione e
sociologia.
3. la piena validità delle intese preventive sulla crisi
coniugale.
4. Validità degli accordi preventivi sulla crisi coniugale e
intervento del giudice.
1. Alcune
considerazioni introduttive tra storia, comparazione e sociologia.
Nella dottrina italiana il
tema degli accordi stipulati al momento della celebrazione delle nozze in vista
di un’eventuale rottura della loro unione si è sempre segnalato, per lo meno
sino ad una decina d’anni or sono, per la quasi totale assenza di appositi
contributi. Gli studi e le decisioni sulle intese di carattere preventivo,
invero, apparivano – ed in buona parte continuano ad apparire ancora oggi –
essenzialmente incentrati sul tema dei patti sul futuro divorzio tra coniugi
separati [1]: profilo, quest’ultimo, che al primo è sicuramente
legato, ma che altrettanto indubitabilmente presenta alcune caratteristiche sue
proprie. Sul punto, una volta dimostrata la piena disponibilità delle
attribuzioni patrimoniali postmatrimoniali [2], va subito detto che il riconoscimento della
possibilità per i nubenti di accordarsi in vista di un’eventuale crisi
coniugale trova conforto, oltre che – come si vedrà – nella constatazione
dell’assenza di ostacoli in seno alla legislazione vigente, anche in alcune
riflessioni di carattere storico, sociologico e comparatistico, di cui si è
ampiamente trattato in altre sedi, alle quali si fa pertanto rinvio [3]. Nel contesto di questo lavoro sarà sufficiente
rammentare, per sommi capi, per ciò che attiene ai profili storici, che già il
diritto romano conosceva ed ammetteva una svariata serie di patti che
accompagnavano la costituzione della dote e che ne disciplinavano la
restituzione in caso di divorzio [4]. Pacta
nuptialia di questo genere si rinvengono poi anche con una certa frequenza
durante tutta l’evoluzione del diritto comune, allorquando la separatio thori aveva sostituito il
divorzio come causa di restituzione dell’apporto dotale collegata alla crisi
della famiglia [5].
Dal punto di vista
comparatistico, poi, è sin troppo noto il successo che negli Stati Uniti
riscuotono ormai da svariati anni i prenuptial
agreements in contemplation of divorce, al termine di un’evoluzione storica
[6], sicuramente non esente da contraddizioni, nella
quale ha giocato un ruolo determinante il passaggio dal sistema dello
scioglimento del matrimonio basato fondamentalmente sulla colpa alla regola del
no fault divorce. Gli echi di quella
giurisprudenza e di quell’atteggiamento, anche culturale, nei confronti dei
vantaggi connessi alla definizione in via preventiva di una possibile crisi
coniugale [7] sono giunti –
in questo mondo globalizzato – persino nel nostro per molti versi arretrato
Paese, anche se da noi ciò ha fatto premio è stata piuttosto l’attenzione
legata alle vicende di personaggi dello spettacolo o comunque notori [8].
Al di là dei confini degli States, analoga evoluzione in senso
favorevole alla validità delle intese in discorso s’è manifestata in svariati
altri ordinamenti di common law. Così
in Gran Bretagna – ove peraltro già nei primi anni del XIX secolo una celebre
monografia dedicata ai rapporti tra coniugi [9] non esitava a dichiarare sustainable e suscettibile di riconoscimento in our courts of justice ogni «agreement entered into in
contemplation of a future separation» – sembrano ormai definitivamente superate
le difficoltà emerse nel corso del XX secolo, collegate all’idea che tali
contratti, in quanto diretti in qualche modo a favorire il divorzio, fossero
«against public policy and void» [10], anche alla luce della
considerazione secondo cui i giudici d’oltre Manica sembrano oggi assai più
restii d’un tempo a procedere ad una allocazione e divisione del patrimonio
accumulato durante la convivenza o alla previsione di assegni o attribuzioni
patrimoniali d’altro genere in presenza di precisi accordi, i quali vengono
intesi come «evidence of the parties
intentions», di cui la corte non può non tenere conto [11]
Per quanto attiene poi
all’Australia, vi è da notare che il tema degli accordi preventivi è affrontato
e positivamente risolto dalla legislazione da oltre un ventennio con riguardo
alla posizione dei conviventi more uxorio.
Già nel 1984 il De Facto Relationships Act del Nuovo Galles del Sud
aveva stabilito (art. 44) che un accordo di convivenza potesse essere «made in
contemplation of the termination of a domestic relationship». Proprio tale
disposizione (ora inserita nel Property (Relationships) Act) ha, in
tempi più recenti, contribuito a determinare l’introduzione per via legislativa
dell’ammissibilità della stipula di prenuptial agreements, conclusi
anche eventualmente in contemplation of divorce, per effetto della
riforma di cui al Family Law Amendment
Act
Non potrà poi tacersi che un
atteggiamento favorevole verso la validità di intese preventive sulle
conseguenze del divorzio è riscontrabile ormai pure in numerosi sistemi
dell’Europa continentale. Il caso più significativo è rappresentato dalla
Germania, ove dottrina e
giurisprudenza, sulla scorta di una radicata tradizione storica [14], da sempre avallano [15] la costante pratica dei coniugi (o meglio, dei notai) di predeterminare, in
sede di stipula degli Eheverträge,
gran parte degli effetti di un possibile divorzio tra le parti, vuoi dettando i criteri per la
determinazione del nachehelicher Unterhalt
(vale a dire dell’assegno divorzile), vuoi rinunziandovi in toto, vuoi ancora escludendo ogni forma di Versorgungsausgleich (cioè della liquidazione delle
aspettative pensionistiche conseguente allo scioglimento del regime legale
della Zugewinngemeinschaft), così come l’eventuale ricorso delle parti a
quella Abänderungsklage che, ai sensi
del § 323 ZPO, consentirebbe
(conformemente a quanto da noi previsto dagli artt. 710 c.p.c. o dall’art.
Interessante risulta poi
anche il raffronto con altre esperienze geograficamente e culturalmente
piuttosto vicine alla nostra: dal Codi de
familia catalano, che disciplinando il contenuto dei capítols matrimonials (art. 15), espressamente stabilisce che in
essi «hom pot determinar el règim econòmic matrimonial, convenir heretaments,
fer donacions i establir les estipulacions i els pactes lícits que es
considerin convenients, àdhuc en previsió d’una ruptura matrimonial» [17], ad una storica decisione del Tribunale Supremo
Federale elvetico, che ha espressamente escluso che per i contratti di
matrimonio sia richiesta una «nachträgliche Genehmigung im Scheidungsverfahren»
[18], all’opinione comunemente condivisa dalla dottrina
austriaca, sulla base del disposto del § 80 EheG
[19], secondo cui gli accordi sulla Unterhaltspflicht in caso di divorzio non debbono necessariamente
essere stipulati in sede di procedura di scioglimento dell’unione, ma ben
possono essere conclusi «sogar schon vor der Eingehung der Ehe» [20].
Si noti infine che, come già
posto in luce in altra sede, alcuni segnali d’apertura in questo senso si vanno
profilando da tempo anche in un sistema che, come quello francese, appare da
sempre piuttosto chiuso alla possibilità di predeterminare tramite accordi
conclusi in via preventiva an e quantum di prestazioni postdivorzili,
stante anche il dato costituito dall’art. 232 del Code Civil, che consente al giudice di negare l’omologazione
dell’accordo di divorzio nel caso in cui esso non salvaguardi in maniera
sufficiente gli interessi «di uno dei coniugi» [21]. Non andrà peraltro trascurato che quello stesso
ordinamento permette ai coniugi, sul versante dei regimi patrimoniali, un’ampia
gamma di intese tramite le quali costoro possono, tra l’altro, aménager il regime legale di comunione
in contemplazione di un possibile divorzio [22], prevedendo, in base ad una tradizione risalente al droit coutumier [23],
l’inserimento di clausole che vanno dalla attribuzione (a titolo sia gratuito
che oneroso) di beni personali di un coniuge al coniuge superstite [24],
all’assegnazione, all’atto dello scioglimento, di beni comuni, previo pagamento
di una somma di denaro predeterminata [25],
o alla facoltà per l’uno o l’altro dei coniugi di prelevare, sempre in
occasione dello scioglimento, determinati beni a titolo gratuito [26],
o, ancora, alla possibilità di prestabilire la divisione della massa (o di
parte di essa) in parti non uguali [27],
o, infine, all’attribuzione dell’intera massa ad uno solo dei coniugi, con
diritto, per l’altro ad ottenere una somma a titolo forfetario [28].
Venendo al significato che i
sopra evidenziati elementi comparativi potrebbero assumere per l’esperienza
italiana, va tenuto conto del fatto che, se si eccettua la citata disposizione
catalana, nessuno degli ordinamenti continentali, nei quali si ammette la
validità di intese preventive sulle conseguenze della crisi coniugale, contiene
disposizioni ad hoc, mentre la
conclusione favorevole viene desunta [29], in buona sostanza, da regole non molto dissimili
dalle nostre, con particolare riguardo al principio di libertà negoziale. Per
ciò che attiene, poi, all’esperienza dei sistemi di common law, neppure l’argomento del superamento del principio del
divorzio per colpa dovrebbe lasciare indifferenti gli interpreti italiani,
anche se si tratta di un tema che da noi – a differenza che negli Stati Uniti –
non sembra essere stato preso in grande considerazione. In effetti, il
possibile contrasto tra la regola della colpa e la predeterminazione delle
condizioni di un’eventuale futura crisi coniugale risulta avvertito solo da una
parte assai ridotta (e, oltre tutto, molto risalente) della dottrina
continentale [30]. L’abbandono da quasi un quarto di secolo, anche nel
nostro Paese, della regola che voleva, quale necessario presupposto della
separazione legale, la sussistenza della colpa di uno dei coniugi s’accompagna
dal 1987 alla corale affermazione del carattere eminentemente (se non
addirittura esclusivamente) assistenziale dell’assegno di divorzio, con
conseguente perdita di ogni rilievo di un’eventuale responsabilità del
naufragio dell’unione. Una volta spezzata (quasi) ogni forma di collegamento
tra «colpa» e conseguenze economiche della crisi coniugale [31] può dirsi che anche da noi, esattamente come negli
Stati Uniti, non è più consentito negare rilievo ad un’intesa preventiva per il
solo timore che questa potrebbe consentire ad un coniuge di trascurare le sue marital obligations e di buy himself out of the marriage.
A quanto sopra illustrato
s’aggiunga ancora che un uso dello strumento della convenzione matrimoniale in contemplation of divorce, piaccia o non
piaccia, ha già fatto in qualche modo ingresso nel costume degli Italiani. Ci
si intende qui riferire al vertiginoso aumento del numero delle coppie che
optano per il regime di separazione dei beni [32].
Il fenomeno non può trovare una sua spiegazione se non nella crescente
consapevolezza, da parte di vasti strati della popolazione, del serio rischio
che corre oggi la famiglia italiana di andare incontro (e, in molti casi, assai
presto) ad una crisi, e nel timore di dover venire un giorno a «fare i conti»
con i complessi meccanismi giuridici legati allo scioglimento del regime
legale. Estremamente significativo al riguardo è il fatto che, come dimostrato
dai dati statistici [33],
l’incremento delle opzioni per il regime di separazione vada di pari passo, per
aree geografiche, con quello dei tassi di «separazionalità» e «divorzialità»
del nostro Paese [34].
Conchiudendo questa
panoramica introduttiva non potrà farsi a meno di notare come l’ «impatto» dei
nostri principi con accordi del genere di quelli qui in esame è comunque
destinato ad aumentare, in considerazione, da un lato, dell’incremento dei
matrimoni con cittadini stranieri (o, in ogni caso, delle unioni caratterizzate
dalla presenza di un elemento di estraneità), nonché, dall’altro, del principio,
introdotto dall’art.
2. La tesi
della nullità (con particolare riguardo agli accordi preventivi sulle conseguenze
patrimoniali del divorzio).
La nostra giurisprudenza non
ha ancora avuto modo, a quanto risulta, di esprimersi circa la validità di
accordi conclusi in sede di stipula delle convenzioni matrimoniali in vista di
un’eventuale crisi coniugale, se si eccettua una pronunzia di legittimità che
ha affermato la compatibilità con l’ordine pubblico internazionale, ex art. 31 prel. (cfr. ora art.
Come si è già rimarcato, la
giurisprudenza italiana ha invece avuto più volte occasione di pronunziarsi
circa la validità delle intese che, in sede di separazione consensuale, le
parti raggiungono sull’assetto patrimoniale da dare ad un eventuale (ma, a
questo punto, probabile) futuro divorzio. Anche in questo caso – come per
quello del carattere disponibile o meno del contributo al mantenimento del
coniuge separato e dell’assegno di divorzio – si assiste ad una significativa evoluzione
del pensiero dei giudici di legittimità, da concezioni più «liberiste» (o,
quanto meno, più «possibiliste») a posizioni di assai più rigida chiusura.
Invero, dopo una serie di aperture nella giurisprudenza degli anni Settanta
dello scorso secolo [40], a partire da una decisione del 1981 la Corte di
legittimità comincia ad enucleare specifici profili di illegittimità degli
accordi in questione, tali da sconsigliarne l’adozione anche a chi volesse
attestarsi sulla tesi della validità delle rinunzie (successive) ai diritti
patrimoniali insorgenti dallo scioglimento del vincolo matrimoniale.
La prima sentenza di tale
«nuovo corso» concerne il caso di un accordo che prevedeva il diritto per il
marito separato di mantenere fermo per un certo periodo l’ammontare
dell’assegno dovuto alla moglie per il mantenimento di quest’ultima e dei
figli, a prescindere da un eventuale divorzio. Qui la Corte, dopo aver negato
la disponibilità dell’assegno divorzile per quanto si riferisce alla sua
componente assistenziale (come espressione del perdurare, pur dopo lo
scioglimento del vincolo, di un rapporto di solidarietà economica, nel quale
viene trasferito ciò che rimane del reciproco soccorso della vita
matrimoniale), stabilisce che, se conclusi prima della sentenza, gli accordi
sull’assegno di divorzio sono comunque nulli, anche se riferiti alle sole
componenti risarcitoria e compensativa [41]. E a questo punto la Cassazione presenta per la prima
volta l’argomento destinato a diventare negli anni a seguire il suo vero e proprio
«cavallo di battaglia» in questa materia: la tesi, cioè, che si basa
sull’asserito condizionamento del comportamento delle parti nel futuro giudizio
di divorzio e sull’asserito commercio dello status
di coniuge [42].
Quattro anni più tardi,
pronunziandosi su una rinunzia alla possibilità di chiedere la revisione
dell’assegno di divorzio, contenuta nell’atto di transazione stipulato tra i
coniugi separati, la Corte ribadisce che l’inoperatività di tale negozio deve
ricollegarsi alla più radicale ragione della sua nullità per illiceità della
causa, secondo quanto posto in luce dalla precedente decisione, in
considerazione del fatto che «gli accordi preventivi tra i coniugi sul regime
economico del divorzio prima che esso sia pronunziato hanno sempre lo scopo o,
quanto meno, l’effetto di condizionare il comportamento delle parti nel
giudizio concernente uno status,
limitandone la libertà di difesa» [43]. E’ chiaro dunque che, in questa particolare ottica,
gli accordi conclusi in sede di separazione consensuale possono assumere, al
massimo, rispetto alla successiva procedura di divorzio, il valore di mero
elemento indiziario [44], fornendo parametri sussidiari nella determinazione
dell’assegno relativo [45], laddove un’eventuale rinunzia all’assegno di
separazione non potrebbe comportare, automaticamente, una rinunzia anche
all’assegno di divorzio [46].
I precedenti appena
illustrati trovano ulteriore sviluppo nel corso dei primi anni Novanta, durante
i quali si ribadisce la nullità, per illiceità della causa, dell’accordo
tramite il quale i coniugi, in sede di separazione consensuale, stabiliscono,
per il periodo successivo al divorzio, a favore dell’uno il diritto personale
di godimento della casa di proprietà dell’altro [47], o escludono la facoltà di chiedere la revisione dell’assegno
di mantenimento, qualora sopravvengano giustificati motivi [48]. Ancora, vengono dichiarati invalidi quegli accordi
preventivi nei quali si prevede, sempre in caso di divorzio, la concessione in
godimento alla moglie di beni mobili ed immobili del marito [49], ancorché si tratti dell’assegnazione della casa
familiare [50], oppure viene fissata in anticipo la spettanza e
l’entità dell’assegno di divorzio [51], o, infine, viene decisa la vendita di un immobile
che le parti ritengono in comproprietà, con conseguente divisione del ricavato [52]. L’indirizzo più rigoroso continua quindi nel corso
degli anni Novanta sino ad oggi, definitivamente consolidandosi con altre
pronunce ispirate ai medesimi principi [53].
Tra gli interventi meno
remoti, ha destato una certa eco una decisione del 2000 [54] che, pur riaffermando il tradizionale principio della
nullità delle intese concluse in sede di separazione, con valore inteso dalle
parti come vincolante anche per il divorzio, ha nella specie riconosciuto
validità ad una di queste, così pervenendo al risultato paradossale di
trasformare la nullità per violazione di regole d’ordine pubblico in una sorta
di nullità relativa, la quale potrebbe essere fatta valere soltanto dal coniuge
che avrebbe diritto all’assegno, con buona pace di quanto disposto dall’art.
1421 c.c. Ad ulteriore riprova degli sbandamenti cui può andare incontro la
giurisprudenza quando, nel tentativo di mitigare le conseguenze più
inaccettabili di proprie posizioni sbagliate, non esita a violare i più
elementari principi dell’ordinamento giuridico, una successiva (e assai meno
nota) decisione del medesimo anno [55] si è spinta ad affermare che tale forma di nullità
non solo potrebbe essere invocata esclusivamente dal coniuge avente diritto
all’assegno, ma dovrebbe essere fatta valere soltanto nell’ambito della
procedura di divorzio (e pertanto non successivamente alla relativa pronunzia),
così surrettiziamente introducendo una impropria forma di prescrizione, in
aperta violazione, questa volta, non solamente del principio di cui all’art.
1421 c.c., ma anche di quello ex art.
1422 c.c.
Gli argomenti impiegati
dalla Cassazione per fondare il suo indirizzo restrittivo in materia di accordi
preventivi in vista del divorzio hanno trovato il conforto di una parte della
dottrina, la quale ha rilevato, per esempio, che «permettendo [ai coniugi] di
determinare la somma da pagare si favorirebbe, indirettamente un loro accordo
preventivo sulla conduzione del procedimento di divorzio, diretto a favorire
l’accoglimento della domanda» [56]. Altri studiosi hanno invece espresso punti di vista
assai divergenti da quelli della Cassazione. Come esattamente rilevato [57], le posizioni così fortemente restrittive della
giurisprudenza hanno completamente disatteso le aspirazioni di quella parte della
dottrina che invece vedeva, alla luce della nuova normativa, un superamento del
«principio dell’ordinamento italiano circa l’invalidità di un accordo di tipo
preventivo fra i coniugi sui rapporti patrimoniali successivi al divorzio» [58]. A ciò potrà aggiungersi l’esatto rilievo secondo cui
risulta veramente peculiare l’ostinarsi a considerare un valore irrinunciabile
la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio, cioè una libertà connessa ad
un potere che non esiste, nel senso che
l’opposizione al divorzio, come si è rimarcato, «costituisce una causa
persa in partenza, perché la posizione di un coniuge nei confronti dell’altro
coniuge è una posizione di soggezione non di diritto alla persistenza e
vincolo», quasi che lo scioglimento del matrimonio fosse una concessione
operata dai giudici, non dipendente dalla volontà delle parti, ma connessa alla
attuazione di un interesse pubblico superiore [59].
Su di un diverso piano, poi,
chi scrive non esita a qualificare la giurisprudenza dominante come altamente «diseducativa»,
posto che questa finisce con il promuovere il principio secondo cui proprio tra
coniugi, cioè tra soggetti il cui rapporto dovrebbe essere caratterizzato dal
massimo livello di affidamento nel rispetto della parola data, in realtà, pacta… non sunt servanda. E dunque
l’accordo di separazione, faticosamente raggiunto dopo mesi (o anni) di
trattative e obiettivamente inteso come solutorio dell’intero complesso dei
rapporti nati da un’unione sbagliata, potrà essere accettato da una delle parti
con la «riserva mentale» di porre tutto nuovamente in discussione al momento
del divorzio, così spingendo, tra l’altro, la prassi a rinvenire soluzioni al
limite del lecito e comunque inutili o facilmente frustrabili, quali, ad
esempio, il rilascio di garanzie, o la stipula di simulati contratti di mutuo,
risolubili solo all’atto della conclusione en
souplesse della futura procedura di scioglimento del vicolo, e così via.
Ciò che dimostra, se ancora ve ne fosse bisogno, quanto perniciosa sia
l’influenza nella materia di influssi paternalistici, legati ad un concetto di
persistenza del vincolo che, se non può più essere concepita in termini di
indissolubilità matrimoniale, dovrebbe ancora intendersi nel senso di
«indissolubilità patrimoniale» [60]. Più in generale – e sul piano delle intese raggiunte
addirittura in una fase prenuziale, o comunque remota rispetto all’eventualità
di una definitiva rottura – deve approvarsi, poi, il rilievo di chi,
riprendendo le osservazioni dello scrivente, rimarca come la conclusione di
intese preventive lenisce lo smarrimento psicologico che può derivare ai
coniugi dal timore, fondato o solo paventato, di una situazione conflittuale,
e, dall’altro sottrae al controllo giurisdizionale una materia che la coscienza
sociale avverte, istintivamente, come inerente la sfera privata delle persone:
il tutto, senza minare ulteriormente l’istituto matrimoniale, più di quanto non
abbia già fatto l’introduzione del divorzio, evitando altresì di trattare i
coniugi alla stregua di soggetti incapaci [61].
3. la
piena validità delle intese preventive sulla crisi coniugale.
Lasciando la pars destruens del ragionamento che si è
tentato sin qui di portare avanti e rinviando alle apposite sedi per un compiuto
esame delle varie questioni, anche per quanto attiene alle svariate
contraddizioni in cui cade la giurisprudenza della stessa Corte di legittimità [62], varrà la
pena rammentare che gli accordi
preventivi circa le conseguenze della separazione e/o del divorzio non vedono
normalmente (né lo potrebbero), quale loro oggetto diretto, lo status coniugale, come avverrebbe se,
per esempio, le parti stipulassero impegni in termini quali «mi obbligo a non
divorziare», «mi impegno a non chiedere la separazione», «prometto di non far
valere alcuna eventuale causa di invalidità del nostro matrimonio», ecc. [63]. La contrarietà di un siffatto patto ai principi
dell’ordine pubblico non può oggi essere revocata in dubbio [64]. Ma ciò che l’opinione dominante si preoccupa di
impedire è che le determinazioni dei coniugi circa il loro stato (di persone,
appunto, coniugate o meno) siano anche solo indirettamente influenzate dagli
accordi economici in precedenza stipulati. Tale preoccupazione non ha però
ragione di sussistere, ogni qual volta le parti si limitano a prevedere le
conseguenze dell’eventuale scioglimento del matrimonio, senza impegnarsi a
tenere comportamenti processuali diretti ad influire sullo status coniugale.
Una prima osservazione, a
conforto di questa tesi, proviene da quella dottrina che ha instaurato in
proposito un interessante parallelo con la situazione «antagonista» rispetto a
quella qui in esame, vale a dire la celebrazione delle nozze. Proprio con
riguardo alla «purezza» della volontà matrimoniale, che non potrebbe subire
alcuna compressione, essendo salvaguardata la assoluta libertà del soggetto in
ordine alla celebrazione del matrimonio, si è osservato che l’ordinamento
consente che il soggetto si «induca» al matrimonio attraverso motivazioni di
ordine patrimoniale le quali, pur non essendo determinanti del consenso,
indubbiamente lo orientano e lo sorreggono. Anzi, l’ordinamento sembra
addirittura volere che il soggetto all’atto del matrimonio «costruisca» le sue
prospettive matrimoniali attraverso la stipulazione delle convenzioni
(pre)matrimoniali più idonee alla tutela dei suoi interessi in relazione alle
circostanze e alle esigenze di vita [65].
L’argomentazione testé
riferita costituisce il primo passo di un’analisi il cui punto cruciale appare
quello di vedere se e in che misura l’ordinamento tuteli la libertà delle parti
nelle loro determinazioni concernenti gli status
o comunque gli aspetti indisponibili dei rapporti umani in quanto attinenti
alla sfera delle relazioni personali e sessuali, con riferimento ai
condizionamenti d’ordine economico che esse possono subire nelle proprie
decisioni. E’ noto che la tutela della libertà delle determinazioni dei
soggetti nella sfera personale e sessuale è rimessa dall’ordinamento alla
sanzione della nullità della causa per violazione dell’ordine pubblico o del
buon costume [66]. Peraltro la nullità consegue sempre al fatto che
l’aspetto personale sia portato dai soggetti a costituire parte integrante
della causa («io mi impegno a darti cento e tu ti impegni, in cambio, a
disconoscere la paternità di tuo figlio»): esso deve essere, cioè, preso
direttamente in considerazione dalle parti come oggetto di un preciso obbligo
che queste (errando, ovviamente) vorrebbero come giuridicamente vincolante e
quindi processualmente azionabile [67].
Ma la dottrina più
autorevole ammette – e da tempo – che un comportamento umano non deducibile in
obbligazione possa essere dedotto in condizione [68] e che tra siffatti comportamenti umani ben possa
rientrare anche la volontà di assumere uno status
[69]. Ciò in particolare si verifica quando le parti non
intendono con il loro negozio porre un vincolo, giuridicamente rilevante a
tenere o a non tenere quel certo comportamento, ma si limitano a prefigurare le
conseguenze di quest’ultimo, condizionandovi l’efficacia di un determinato
impegno di carattere patrimoniale. In questo modo può essere fatto sì che il
comportamento di carattere personale non formi oggetto di vincolo, ma venga –
di volta in volta – incoraggiato o scoraggiato a seconda che la promessa di
carattere patrimoniale agisca, in alternativa, quale «deterrente» o «premio»
per il fatto d’aver tenuto o meno quella certa condotta [70].
Rovesciando ora per un
momento la prospettiva in cui ci si è sino a questo punto collocati e pensando
alle pattuizioni dirette a costituire non già un deterrente, bensì un
incoraggiamento per la tenuta di un determinato comportamento, occorrerà tenere
presente quella clausola, in altre sedi definita «premiale» [71], consistente nell’accordo con cui – all’interno di un
contratto di convivenza – uno dei due partners
dell’unione libera promette all’altro l’adempimento di una prestazione
patrimoniale subordinata all’esecuzione di una prestazione non patrimoniale
dell’altra [72], oppure ancora nella promessa, effettuata da un
fidanzato (o da un terzo) all’altro di corrispondere a quest’ultimo una somma
di denaro nel caso di celebrazione delle nozze [73]. Lo stesso dovrebbe valere nel caso di donazione di
una somma di denaro o di un certo bene sospensivamente condizionata alla circostanza
che il matrimonio superi «indenne» un certo lasso di tempo. Reciprocamente, per
chi vede il divorzio come un’eventualità positiva, di fronte ad una possibile
crisi coniugale, dovrebbe avere un senso promettere la corresponsione di una
determinata utilità economica al (futuro) ex coniuge «debole» al fine di
invogliarlo, con l’assicurazione di un vantaggio economico, a porre più
volentieri fine all’unione («se, nel caso di crisi coniugale, accederai senza
porre condizioni alla mia richiesta di presentazione di ricorso per divorzio su
domanda congiunta mi obbligo sin d’ora a corrisponderti...») [74].
Proprio con riguardo alle
clausole «premiali» legate ad un comportamento personale di una delle parti,
potrà aggiungersi che un’ulteriore conferma viene dallo stesso codice civile,
che espressamente configura (cfr. art. 785 c.c.) il matrimonio (e dunque un
fatto, per definizione, strettamente attinente alla vita personale oltre che
costitutivo di uno status familiae)
alla stregua di una condizione sospensiva delle attribuzioni patrimoniali
gratuite effettuate (si badi: anche l’un l’altro dai promessi sposi) in vista
della celebrazione delle nozze.
Neppure appare trascurabile
il sistematico rifiuto, da parte della giurisprudenza di legittimità, di
estendere al di là dei suoi angusti limiti quella disposizione (art. 636 c.c.)
che, in materia di disposizioni mortis
causa, fulmina di nullità – proprio
in quanto attinente ad un aspetto personalissimo – la condizione «che impedisce
le prime nozze o le ulteriori», al punto da affermare la validità della
clausola che subordina le attribuzioni testamentarie alla condizione (generica)
di contrarre matrimonio [75], o di contrarlo con «persona appartenente
alla stessa classe sociale
dell’istituito» [76], ovvero ancora di non contrarlo con persona
determinata [77]. Il favore nei confronti di una clausola del genere
di quella sopra definita come «premiale», intesa nel senso testé chiarito,
emerge con evidenza anche in una decisione del 1992, che ha affermato la piena
validità della condizione ex art. 636
c.c., quando questa «non sia dettata dal fine di impedire le nozze ma preveda
per l’istituito un trattamento più favorevole in caso di mancato matrimonio, e,
senza per ciò influire sulle relative decisioni, abbia di mira di provvedere,
nel modo più adeguato, alle esigenze dell’istituito, connesse ad una scelta di
vita che lo privi degli aiuti materiali e morali di cui avrebbe potuto godere
con il matrimonio» [78].
In conclusione, nemmeno
l’art. 1354 c.c. può costituire un ostacolo in ordine alla configurazione del
regolamento preventivo dei rapporti nascenti da un eventuale divorzio alla
stregua di negozi sospensivamente condizionati all’evento dello scioglimento o
della cessazione degli effetti civili del matrimonio, posto che la semplice
predeterminazione delle conseguenze patrimoniali di un futuro ed eventuale
divorzio non sembra poter dispiegare, di per sé, alcun effetto sulla
spontaneità del comportamento attinente allo status.
4.
Validità degli accordi preventivi sulla crisi coniugale e intervento del
giudice.
A confutazione della tesi
della validità delle intese preventive sulla crisi coniugale non sembrano
convincenti le critiche mosse da parte della dottrina alla proposta dello
scrivente, imperniate sul rilievo secondo cui l’avvicinamento del diritto di
famiglia al diritto comune e dei contratti (ma forse sarebbe più corretto
parlare di una vera e propria «irruzione» del diritto dei contratti nel campo
giusfamiliare) dovrebbe accompagnarsi «ad una sempre maggiore penetrazione di
forti spinte solidaristiche ed equitative nella disciplina generale dei
rapporti contrattuali e di mercato» [79]. L’auspicio è sicuramente apprezzabile de iure condendo, pur se con il rispetto
di ben precisi limiti che garantiscano appieno l’affidamento dei contraenti nel
rispetto della «parola data», quale potrebbe essere, ad esempio, l’introduzione
– sulla scorta dei modelli australiano o statunitense – dell’obbligo delle
parti di previamente munirsi di un independent
legal counsel [80]. Esso peraltro si scontra oggi inevitabilmente con i
dati che de iure condito si sono
illustrati.
Basti dire che, di fronte
alla disciplina in tema di divorzio su domanda congiunta, la quale impone alle parti
di presentarsi al giudice solo dopo che le stesse abbiano già raggiunto
un’intesa sulle condizioni relative ai loro rapporti economici, parlare di un
divorzio che le parti «hanno già deciso di conseguire e, quindi, non
semplicemente prefigurato» [81] significa ricorrere ad una pura finzione, atteso che
(come l’esperienza pratica dimostra quotidianamente) il consenso alla procedura
su domanda congiunta ben può essere barattato, fino all’ultimo istante prima
della firma dell’istanza, con più o meno estese concessioni della controparte,
in assenza delle quali lo scioglimento del matrimonio rischia di arrivare,
anziché subito, con diversi anni di ritardo. Il che evidenzia che, se il
Legislatore avesse veramente voluto rendere la scelta sul divorzio del tutto avulsa
da quella sulle relative condizioni economiche, non avrebbe consentito alle
parti di discutere queste ultime se non dopo il passaggio in giudicato della
decisione sullo scioglimento del vincolo.
Né alla asseritamente
necessaria attesa del «momento giurisdizionale» sembra potersi assegnare il
significato di una tappa indispensabile verso un controllo giudiziale sul
merito delle intese [82]. Se è vero che, come altrove dimostrato [83], nel divorzio su domanda congiunta gli effetti
d’ordine patrimoniale derivano direttamente dal contratto di divorzio concluso
dai coniugi, rispetto al quale la pronuncia del tribunale assume il mero
carattere di omologa, e se è vero che, come pure dimostrato [84], anche i contratti a latere rispetto alle procedure di divorzio hanno piena validità
ed efficacia, non si vede per quale ragione si debbano costringere le parti ad
attendere il momento in cui il tribunale non potrà far altro che ratificare le
intese raggiunte [85].
Neppure appare possibile
spostare il discorso sul piano dell’intervento successivo del giudice, quanto
meno (ancora una volta!) de iure condito.
Qui, esclusa, per evidenti ragioni, la possibilità per la magistratura di civil law di procedere ad una
riallocazione delle risorse acquisite da ciascuno durante la convivenza sulla
base di criteri di ragionevolezza ed equità, ad instar di quanto avviene invece nei sistemi di matrice
anglosassone [86], magari tramite il ricorso – sovente praticato al di là
della Manica, tanto per le coppie coniugate quanto per quelle conviventi –
all’istituto del trust [87], si potrebbe a prima vista
ipotizzare un impiego delle clausole generali (in special modo ordine pubblico
e buona fede), al fine di «correggere» il contenuto di accordi preventivi che
dovessero manifestarsi come eccessivamente «squilibrati» in danno di uno dei
coniugi.
La
proposta, avanzata anche nella dottrina italiana [88], prende lo spunto da un
paio di decisioni rese in Germania dal Bundesverfassungsgericht
e dal Bundesgerichtshof, a parziale
modifica di una giurisprudenza che, come detto, da sempre ammetteva l’assoluta
validità delle intese prenuziali sulla sorte dell’assegno di divorzio. Ora, le
due decisioni in questione [89], facendo leva sul concetto
di Sittenwidrigkeit (§ 138 BGB) – già richiamato da alcuni Autori e
da una parte della giurisprudenza in relazione ai casi in cui, ad esempio, un coniuge avesse sfruttato l’inesperienza o
un’eventuale situazione di particolare labilità psichica dell’altro, ovvero
avesse approfittato delle condizioni economiche particolarmente svantaggiate di
quest’ultimo, ovvero ancora in cui la rinunzia a vantaggi economici si fosse
posta quale «merce di scambio» per l’affidamento dei figli [90] – e recependo le istanze di una parte della dottrina
volte ad invocare una penetrante Inhaltskontrolle sul contenuto degli Eheverträge [91], hanno affermato la
possibilità per il giudice di ritenere nullo il contratto matrimoniale nel
quale sia contenuta una distribuzione degli oneri unilaterale e palesemente a
svantaggio della donna, se concluso prima del matrimonio, contestualmente alla
presenza di uno stato di gravidanza della donna medesima [92], ovvero di pervenire alle
medesime conseguenze «wo die vereinbarte
Lastenverteilung der individuellen Gestaltung der ehelichen Lebensverhältnisse
in keiner Weise mehr gerecht wird, weil sie evident einseitig ist und für den
belasteten Ehegatten bei verständiger Würdigung des Wesens der Ehe unzumutbar
erscheint» [93].
L’avvicinamento, in questo
caso, dei giudici tedeschi al modo di ragionare dei loro colleghi di common law è reso evidente dal ricorso
all’idea del patto evident einseitig,
che, anche per assonanza linguistica, richiama quell’ «essere so one-sided», che costituisce oltre
Oceano proprio il criterio per valutare se un prenuptial agreement in contemplation of divorce sia da ritenersi unconscionable, anche alla luce di
quanto disposto dall’Uniform Premarital
Agreement Act, ora adottato da svariati Stati dell’Unione [94]. Ma l’introduzione in Germania di un siffatto
controllo sul contenuto delle intese non ha mancato di sollevare gravi e
motivate perplessità, incentrate, da un lato, sul deficit di certezza nei rapporti giuridici dei soggetti coniugati
che il (parziale) revirement in atto
è venuto inopinatamente a portare e, dall’altro, sui timori per l’abbandono dei
tradizionali e radicatissimi principi di libertà contrattuale, sostituiti da
una nuova forma di incapacità di protezione: una vera e propria schützende Bevormundung, che
rischierebbe di riportare il diritto di famiglia tedesco, in un percorso a
ritroso rispetto a quello preconizzato dalla celebre frase di Maine, «from contract to status – wobei status
in diesem Fall nicht den Familienstatus, sondern den Schutzstatus kennzeichnet»
[95].
Queste perplessità sembrano
trovare conferma nella considerazione dell’inidoneità dello strumento
giudiziale, nei sistemi di civil law,
ad incidere sul contenuto dei rapporti negoziali con strumenti di tipo
equitativo, non potendosi passare sotto silenzio – tra l’altro – che i diversi poteri di cui il giudice di common law dispone, rispetto a quello
della tradizione continentale, sono strettamente connessi ad una ben diversa
forma di legittimazione del primo, che, per profonde ragioni storiche e
culturali, non appare estensibile al secondo [96]. A ciò s’aggiunga che, pur non disconoscendosi la
crescente tendenza ad attribuire anche da noi al giudice il potere di
intervenire, grazie all’impiego delle clausole generali, sul contenuto delle
pattuizioni dei privati [97], rimane il fatto che, quanto meno a sommesso avviso
dello scrivente, la materia dell’Einseitigkeit,
cioè dell’ «unilateralità» dell’accordo nel senso sopra precisato, forma nel
nostro ordinamento precipuo oggetto dell’istituto della rescissione. Ne deriva
che il semplice elemento della obiettiva sproporzione tra le prestazioni non
può, di per sé solo, e in difetto di puntuali interventi normativi [98], essere invocato, neppure in un contratto della crisi
coniugale, per ottenere una modifica giudiziale degli accordi tra le parti,
pena la completa vanificazione di quanto disposto dagli artt. 1447 ss.
In definitiva, e rinviando
ancora una volta alle più volte citate specifiche trattazioni per una completa
disamina delle varie argomentazioni sul tema, nessun serio ostacolo sembra
frapporsi sulla strada della liceità, già de
iure condito, delle intese prematrimoniali sulle conseguenze patrimoniali
di un’eventuale crisi coniugale.
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(*)
Relazione presentata al convegno sul tema «La crisi coniugale tra contratto e
giudice», organizzato dal Comitato Regionale Notarile Toscano in collaborazione
con i Consigli Notarili della Toscana, a La Biodola (Isola d’Elba), il 28 e 29
settembre 2007.
[1] Al riguardo v. per esempio Comporti, Autonomia
privata e convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento
del matrimonio, in Foro it., 1995, I, c. 105 ss. 113; Gabrielli, Indisponibilità preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio: in
difesa dell’orientamento adottato dalla giurisprudenza, in Riv. dir. civ.,
1996, I, p. 699 ss.
[2] Il tema, che non può essere trattato in questa sede,
è sviluppato in Oberto, I contratti della crisi coniugale, I,
Milano, 1999, p. 387 ss.; Id., Sulla natura disponibile degli assegni di
separazione e divorzio: tra autonomia privata e intervento giudiziale, in Fam.
dir., 2003, p. 389 ss., 495 ss.; Id.,
Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Vincenzo Roppo, VI, Interferenze, a cura di Vincenzo Roppo,
Milano, 2006, p. 242 ss.; Al Mureden,
Le rinunce nell’interesse della famiglia e la tutela del coniuge debole tra
legge e autonomia privata, in Familia,
2002, p. 990 ss. A questi lavori si fa
rinvio anche per i necessari riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.
[3]
Per gli approfondimenti cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 493 ss.; Id., «Prenuptial agreements in
contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti
connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 171
ss. Per la dottrina successiva v. Balestra,
Gli accordi in vista del divorzio: la
Cassazione conferma il proprio orientamento,
Commento a Cass., 14 giugno 2000, n. 8109 - Cass., 18 febbraio 2000, n.
[4] Per approfondmenti cfr. Oberto, Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della
crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica,
nota a Cass., 20 marzo 1998, n.
[5] Cfr. Oberto,
Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello
scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., c. 1319.
[6] Su cui cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 494 ss.; Id., «Prenuptial agreements in
contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti
connessi alla crisi coniugale, cit., p. 180 ss. V. inoltre Giaimo, I contratti paramatrimoniali in Common Law, Palermo, 1997, p. 31
ss.; Al Mureden, I prenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del
diritto italiano, cit., p. 543 ss.
[7] Basterà al riguardo effettuare una ricerca tramite Google sulla rete, oppure digitare
l’espressione prenuptial agreement
all’indirizzo www.wikipedia.org.
[8] Per un elenco di svariati casi di questo genere si fa
rinvio a Oberto, I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 494 ss. Per ulteriori matrimoni tra c.d. «v.i.p.», in cui il tenore
del contratto prematrimoniale ha attirato un’attenzione di gran lunga superiore
rispetto all’interesse che un tempo destavano foggia e fattura dell’abito da sposa,
cfr., a mero titolo d’esempio, Orighi,
Il «patto dei soldi» tra Felipe e Letizia,
in La Stampa, 13 aprile 2004, p. 14; Pellagro, Kidman, il segreto delle nozze con Urban, ivi, 23 giugno 2006, p. 26. Si pensi che non molti anni or sono un
luminare dell’economia stipulò un accordo prematrimoniale nel quale dispose,
con sette anni d’anticipo, la
spartizione con la moglie di un eventuale ... premio Nobel, poi
effettivamente attribuitogli pochi giorni prima della scadenza della relativa
clausola (si tratta dell’economista americano Robert Lucas, premio Nobel per
l’economia 1995: cfr. l’articolo di Soria,
L’ex moglie scippa il Nobel, in La Stampa, 23 ottobre 1995, p. 13; per
un curioso «bestiario» in proposito si veda anche Wallman e McDonnell,
Cupid, Couples & Contracts. A Guide to Living Together, Prenuptial Agreements, and
Divorce, New York, 1994, p. 18, 23, sui c.d. «lifestyle» prenups). Anche
qui, peraltro, nihil sub sole novi,
posto che, a quanto pare, lo stesso Albert Einstein si impegnò a corrispondere
alla moglie Mileva quanto egli avrebbe potuto ricavare dall’eventuale
attribuzione del Nobel per la fisica, in cambio dell’impegno della consorte ad
accedere alla richiesta di divorzio (cfr. Isaacson,
The Intimate Life of Einstein, in Time, July 24, 2006, p. 47). Da notare,
poi, che ormai, a fare notizia, non è solo il contenuto il contenuto
dell’accordo, ma addirittura il semplice fatto che la «coppia celebre» annunzi
di non avere intenzione di stipulare un patto prenuziale: cfr. al riguardo
l’articolo redazionale dal titolo Carlo:
di Camilla ho piena fiducia, in La
Stampa, 29 marzo 2005, p. 15, che riporta l’informazione (a dire il vero,
assai poco credibile) secondo cui l’erede al trono d’Inghilterra e relativa
(seconda) consorte si sarebbero rifiutati di stipulare un accordo
prematrimoniale in occasione della celebrazione delle loro tanto attese nozze.
[9] Clancy, A Treatise of the Rights, Duties, and
Liabilities of Husband and Wife, at Law and in Equity, First American, from
the Third
[10] Cfr. ad esempio Davidson, Pre-nuptial agreements, in Recent Developments in English Family Law, Updated August 2004, già disponibile al
sito web seguente: http://www.cr-law.co.uk.
[11] Cfr. i cases di cui riferisce Davidson, op. loc. ultt. citt.; v. inoltre Leech,
“With All My Worldly Goods I Thee Endow”? The
Status of Pre-Nuptial Agreements in England and Wales, in Fam. L.Q., 34, 2000, p. 193 ss. Sul tema v. anche Panforti, Gli accordi patrimoniali
fra autonomia dispositiva e disuguaglianza sostanziale. Riflessioni sul
Family Law Amendment Act 2000 Australiano,
in Familia, 2002, p. 156. Una riprova
di quanto detto nel testo sta nel fatto che anche oltre Manica abbondano (come
negli Stati Uniti) formulari offerti online
per la stipula di prenuptial o premarital agreements (cfr., a mero
titolo d’esempio, i siti seguenti: http://www.divorce-lawfirm.co.uk/Family-Law-Advice/prenuptial-agreement.aspx;
http://www.clickdocs.co.uk/prenuptial-agreement.htm;
http://www.divorce-online.co.uk/services/financial_agreement/prenuptial_agreement.asp).
[12] Su cui v. per tutti Panforti,
Gli accordi patrimoniali fra autonomia
dispositiva e disuguaglianza sostanziale. Riflessioni sul Family Law Amendment
Act 2000 Australiano, cit., p. 149
ss., 153 ss.
[13] Cfr. la relazione sul Bills Digest No. 88 1999-2000, Family Law Amendment Bill 1999, preparato nel 1999 dal Department of the Parliamentary Library del Parliament of Australia, consultabile all’indirizzo web seguente:
http://www.aph.gov.au/library/pubs/bd/1999-2000/2000bd088.htm#Passage.
[14]
Significativi al riguardo i dati emergenti dall’analisi storica condotta da Roßdeutscher, Privatautonomie im Scheidungsrecht, Frankfurt am Main,
[15] Peraltro con
le precisazioni che si rendono necessarie dopo due sentenze pronunziate alcuni
anni or sono e di cui verrà dato conto oltre: cfr. infra, § 4.
[16] Sul punto non
si può che rinviare all’analisi offerta in Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 529 ss.; Id., «Prenuptial
agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei
diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 189 ss.
[17] Cfr. inoltre l’art. 3 della legge aragonese n. 2/2003, del 12 febbraio 2003 (de Régimen Económico Matrimonial y Viudedad), la quale stabilisce che «Los cónyuges pueden regular sus relaciones familiares en capitulaciones matrimoniales, tanto antes como después de contraer el matrimonio, así como celebrar entre sí todo tipo de contratos, sin más límites que los del principio “standum est chartae”», con una previsione comunemente interpretata come ammissiva degli accordi in vista del divorzio Cfr. Martín Casals e Ribot, Neue Entwicklungen im Bereich des Familienrechts in Spanien, in FamRZ, 2004, p. 1436. Sul tema v. anche Ferrer i Riba, Familienrechtliche Verträge in den spanischen Rechtsordnungen, in Aa. Vv., From Status to Contract? – Die Bedeutung des Vertrages im europäischen Familienrecht, a cura di Hofer, Schwab e Henrich, Bielefeld, 2005, p. 271 ss. Significativo è il fatto che la legislazione catalana è l’unica in Europa che, analogamente a quanto accade, secondo quanto già segnalato, in Australia, espressamente ammette la validità di intese preventive anche nel contesto degli accordi tra conviventi (sul tema cfr. Oberto, I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, in Contratto e impresa/Europa, 2004, p. 70).
[18] Cfr. BG
4 dicembre
[19] «Die Ehegatten können
über die Unterhaltspflicht für die Zeit nach der Scheidung der Ehe
Vereinbarungen treffen. Ist eine Vereinbarung dieser Art vor Rechtskraft des
Scheidungsurteils getroffen worden, so ist sie nicht schon deshalb nichtig,
weil sie die Scheidung erleichtert oder ermöglicht hat; sie ist jedoch nichtig,
wenn die Ehegatten im Zusammenhang mit der Vereinbarung einen nicht oder nicht
mehr bestehenden Scheidungsgrund geltend gemacht hatten oder wenn sich
anderweitig aus dem Inhalt der Vereinbarung oder aus sonstigen Umständen des
Falles ergibt, dass sie den guten Sitten wiederspricht».
[20] Cfr. Susanne Ferrari, Die Bedeutung
der Privatautonomie im österreichischen Familienrecht, in in Aa. Vv., From Status to Contract? – Die Bedeutung des Vertrages im
europäischen Familienrecht, a cura di Hofer, Schwab e Henrich, cit., p. 97
ss., 109.
[21] Sull’argomento cfr. per tutti Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 545 ss.
[22] Espressamente in questo senso v. App. Colmar, 16 maggio
[23] Per un approfondimento del tema delle clausole
accessorie al regime di comunione in vista dello scioglimento del matrimonio
nel diritto consuetudinario francese (préciput, forfait de communauté, reprise de l’apport de la femme) si
fa rinvio a Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 87 ss.; Id.,
Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello
scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., c. 1314 ss.
[24] La clausola, impropriamente definita clause commerciale, costituisce
eccezione al divieto dei patti successori: cfr. artt. 1390 s. Code Civil (cfr. Terré e
Simler, Droit civil, Les régimes
matrimoniaux, Paris, 1994, p. 534 ss.).
[25] Si tratta della clausola conosciuta in Francia come
di prélèvement moyennant indemnité
(art. 1497 Code Civil), su cui v. Terré e Simler,
op. cit., p. 542 ss.
[26] Si tratta della clausola detta di préciput (art. 1497 Code Civil) su cui cfr. Terré
e Simler, op. cit., p. 546 ss., i quali osservano
che essa «rompt l’égalité dans le partage». Il termine préciput può essere tradotto come «prelievo», anche se la dottrina
sotto il c.c. 1865 si esprimeva in termini di «precapienza» (cfr. Finocchiaro-Sartorio, La comunione dei beni tra coniugi nella
storia del diritto italiano, Milano-Palermo-Napoli, 1902, p. 238).
[27] Si tratta delle clausole
dette di stipulation de parts inégales
e di attribution de la totalité de la
communauté au survivant (cfr. art. 1497 Code
Civil) su cui v. Terré e Simler, op. cit., p. 549 ss.
[28] La clausola, detta di forfait de communauté, ammessa espressamente dal Code prima della riforma del 1965 (sulla
scorta, come si è detto, della tradizione del droit coutumier), è ritenuta valida ancora oggi: cfr. Terré e Simler,
op. cit., p. 541; Cornu, op. cit., p. 715.
[29] Come già posto in evidenza nel dettaglio in relazione
al caso tedesco: cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 529 ss.; Id., «Prenuptial
agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei
diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 189 ss.
[30] Potrà citarsi in proposito l’opinione di uno dei
primi commentatori del Code Napoléon,
il quale affermava l’immoralità della clausola con cui il coniuge, nel
contratto di matrimonio, avesse rinunziato al diritto di revocare, in caso di
divorzio, le donazioni effettuate all’altro, invocando al riguardo (peraltro a
torto: cfr. Oberto, Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali
della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva
storica, loc. cit.) l’autorità delle fonti romane: «Serait-il permis aux
époux qui font au profit l’un de l’autre
des donations par contrat de mariage, de renoncer à la révocation de ces
libéralités, dans le cas du divorce? Le mariage est destiné à être perpétuel dans sa
durée ; la prévoyance du divorce, consignée dans le traité nuptial même, serait
une chose indécente. Promettre d’avance l’impunité à l’époux qui se rendrait
coupable par la suite ; lui assurer une partie de la fortune de l’autre, pour
prix de ses infidélités ; abolir la peine prononcée par la loi, pour encourager
aux délits qu’elle réprouve, ce serait essentiellement blesser la morale : une
pareille clause serait donc absolument nulle (1133, 1172). Chez les Romains,
cette clause était reprouvée comme immorale, quoiqu’ils permissent de faire des
donations pour cause de divorce même, dans l’acte de séparation des époux : quae tamen sub ipso divortii tempore, non
quae ex cogitatione quandoque futuri divortii fiant (L. 12, ff. de donation. inter vir. et uxor., lib.
24, tit. I)» (cfr. Proudhon, Cours du droit français, I, Paris, 1810,
p. 324).
[31] Permane, è vero, ancora la separazione con addebito,
il cui rilievo sta però scemando, anche nella pratica.
[32] Oberto, I
contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 558 ss.; per analoghe
considerazioni v. anche Sesta, Titolarità
e prova della proprietà nel regime di separazione dei beni, in Familia, 2001, p. 871 ss.; cfr. inoltre Oberto, Il regime di separazione dei
beni tra coniugi, Artt. 215-
[33] «Il secondo fattore è l’aumento del numero delle
separazioni legali e dei divorzi, che ha fatto nascere, in un numero crescente
di coppie, il timore che anche il loro matrimonio possa finire nell’aula di un
tribunale. Così, è la paura di dover cedere metà del patrimonio familiare ad
un coniuge con cui ci si è accorti in ritardo di non riuscire a vivere che
spinge molti sposi a preferire il regime della separazione dei beni e molti dei
loro genitori a consigliarli in questo senso (...). E’ significativo, da questo
punto di vista, che gli strati della popolazione che sono alla testa del mutamento
del regime patrimoniale sono anche quelli che corrono più rischi di rompere il
matrimonio con un divorzio: i più secolarizzati, i più ricchi e i più istruiti
delle regioni settentrionali» (cfr. Barbagli,
Sotto lo stesso tetto: mutamenti della
famiglia in Italia dal XV al XX secolo,
Bologna, 1988, p. 105 s.). Le
considerazioni di cui sopra sono pienamente confermate dai dati ISTAT relativi
all’anno 2003, su cui v. la nota seguente.
[34] Si noti in proposito che le rilevazioni ISTAT
concernenti l’anno 2003 dimostrano in modo irrefutabile l’avvenuto «sorpasso»,
a livello nazionale, dell’opzione per il regime di separazione rispetto alla
comunione, posto che per i matrimoni celebrati in quell’anno, il regime di
comunione è stato scelto solo dal 44,7% delle unioni (con punte minime del
24,9% in Valle d’Aosta e del 29,4% in Piemonte): cfr. Istat, Matrimoni,
separazioni e divorzi 2003, Roma,
2006, p. 9, 50, 86 (tavole 1.1, 2.10, 2.11, 2.20); il documento è altresì
disponibile alla pagina web seguente: http://www.istat.it/dati/catalogo/20070119_00/ann0616matrimoni_separazioni_divorzi03.pdf.
[35] Cfr. la proposta di regolamento COM 2005 649 del 15 dicembre
2005; il relativo testo è disponibile online
al sito web seguente: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2005/com2005_0649it01.pdf.
[36] Disponibile online
al sito web seguente: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52006PC0399:IT:HTML.
[37] Cfr. Gli artt. 3 bis
e 20 bis, che andrebbero inseriti nel
regolamento 2201 del 2003.
[38] In questo senso cfr. anche C. Rimini, Arrivano i
patti prematrimoniali, in La Stampa,
23 novembre 2006, p. 25.
[39] Cass., 3 maggio 1984, n.
[40] Per una analisi cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 562 ss.
[41] Cass., 11 giugno 1981, n.
[42] Allo stesso anno del leading case testé riportato risale Cass., 5 dicembre 1981, n. 6461, secondo cui «l’accordo stipulato fra i coniugi anteriormente alla instaurazione del giudizio di divorzio (nella specie in sede di separazione consensuale) per l’assegnazione del godimento della casa di abitazione ad uno di essi, non è vincolante per il giudice che pronuncia lo scioglimento del matrimonio».
[43] Cass., 20 maggio 1985, n.
[44] Così infatti App. Genova, 10 novembre
[45] Cass., 25 maggio 1983, n. 3597; sul fatto che il
giudice del divorzio non è vincolato, in tema di assegno, da quanto stabilito
nel giudizio di separazione, poiché l’assegno di divorzio ha contenuti,
presupposti e modalità diverse, v. inoltre Cass., 21 maggio 1983, n.
[46] Trib. Messina, 15 giugno
[47] Cass., 11 dicembre 1990, n.
[48] Cass., 2 luglio 1990, n. 6773.
[49] Cass., 1 marzo 1991, n. 2180.
[50] Ovvero della corresponsione di emolumenti ulteriori
rispetto a quelli giustificati da bisogni alimentari: Cass., 20 settembre 1991,
n.
[51] Cass., 6 dicembre 1991, n. 13128, cit.
[52] Cass., 4 giugno 1992, n.
[53] Cfr. Cass., 11 agosto 1992, n.
[54] Cass., 14 giugno 2000, n.
[55]
Cass., 1 dicembre 2000, n.
[56] Così Vincenzi
Amato, I rapporti patrimoniali, in
Commentario sul divorzio a cura di
Rescigno, Milano, 1980, p. 340 ss., in partic. 344, nota 45; si noti che,
peraltro, l’Autrice riconosce, per altro verso, la sostanziale disponibilità
dell’assegno.
[57] Cfr. Cavallo, Sull’indisponibilità dell’assegno di
divorzio, Nota a Cass., 6 dicembre 1991, n.
[58] Cfr. Quadri, La nuova legge sul divorzio, I, Profili patrimoniali, Napoli, 1987, p.
73; nello stesso senso, più di recente, v. anche Angeloni, Autonomia
privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, p.
427 ss.
[59] Così E. Russo,
Le convenzioni matrimoniali, Artt. 159-166-bis, in Comm. Schlesinger, Milano, 2004, p. 425.
[60] Non per nulla sottolinea il carattere di maggiore
«laicità» proprio della via contrattuale nella soluzione delle questioni
patrimoniali familiari Marella, La contrattualizzazione delle relazioni di
coppia. Appunti per una rilettura, cit., p. 116.
[61] Coppola,
Gli accordi in vista della pronunzia di
divorzio, cit., p. 644.
[62]
La quale ha in altre occasioni riconosciuto la validità – per esempio – di un
impegno con cui uno dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale
(e dunque non nel contesto di quest’ultima), prometteva di trasferire all’altro
la proprietà di un bene immobile «anche se tale sistemazione patrimoniale
avviene al di fuori di qualsiasi controllo da parte del giudice... purché tale
attribuzione non sia lesiva delle norme relative al mantenimento e agli
alimenti» (Cass., 5 luglio 1984, n.
[63] Per un caso di questo genere cfr. Cass., 21 luglio
1971, n. 2374; sull’irrinunziabilità del diritto a chiedere la separazione v.
anche Cass., 6 marzo 1969, n. 714; per osservazioni analoghe a quelle qui
svolte cfr. Comporti, Autonomia privata e convenzioni preventive
di separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio, cit., p. 110;
Frezza, Diritto del divorziato alla pensione di riversibilità e convenzioni
preventive di divorzio, Nota a Corte cost., 17 marzo 1995, n.
[64] V., già sotto il vigore del codice abrogato, Bianchi, Del contratto di matrimonio, Napoli, 1907, p. 102; cfr. inoltre
Cass., 21 luglio 1971, n. 2374; Comporti,
Autonomia privata e convenzioni
preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio,
cit., p. 110.
[65] Doria, Autonomia
privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione
della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 178, nota 230;
le conclusioni tratte al riguardo dall’Autore sono limitate alla materia degli
atti traslativi; esse peraltro ben possono essere estese, più in generale, ad
ogni tipo di contratto concluso in occasione – o anche solo in vista – della
crisi coniugale.
[66] Per analoghe considerazioni relative ai contratti di
convivenza si fa rinvio a Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di
fatto, Milano, 1991, p. 193 ss.
[67] Sui rapporti tra vinculum
iuris ed azionabilità in via processuale della relativa pretesa cfr. per
tutti Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, Padova, 1996, p.
37 s. e nota 5.
[68] Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 497 s.,
il quale porta l’esempio della promessa di una somma di denaro da un soggetto
all’altro a condizione che quest’ultimo scriva un’opera letteraria.
[69] Jemolo, Il matrimonio, in Tratt. Vassalli,
Torino, 1950, p. 54, secondo cui la volontà di assumere uno status è «suscettibile di essere eretta
a condizione di altro negozio giuridico», anche se inidonea a «formare a sé
oggetto di negozio».
[70] Qui il pensiero corre subito alla clausola penale, e alla disposizione, riflettente un principio di carattere certamente più generale, racchiusa nell’art. 79 c.c. Ma la clausola penale, proprio perché strumento di garanzia per l’adempimento di un’obbligazione, presuppone appunto l’esistenza di un impegno giuridicamente vincolante a tenere quel certo comportamento (positivo o negativo). La sussistenza di tale impegno – ancorché non formalmente enunciato dai contraenti – potrebbe proprio essere dedotta dal carattere «eccessivo» (secondo una valutazione da farsi, ovviamente, caso per caso) della prestazione patrimoniale promessa sotto la condizione che quel determinato evento si verifichi (o meno).
[71] Oberto, I
regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 197 s.; Id., Partnerverträge
in rechtsvergleichender Sicht unter besonderer Berücksichtigung des
italienischen Rechts, in FamRZ, 1993, p. 7.
[72] Per es.: «ti prometto che ti darò cento se mi sarai
fedele, se tra dieci anni coabiterai ancora con me, se tra cinque anni mi avrai
dato un figlio».
[73] Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e
presente, cit, p. 99; per un caso del genere cfr. in giurisprudenza App.
Catanzaro, 31 gennaio
[74] Siffatte clausole non sembrano in grado di suscitare
obiezioni, posto che con esse l’esecuzione della prestazione di carattere
personale (la prosecuzione della convivenza more
uxorio oltre un certo limite temporale, la celebrazione delle nozze, la
prosecuzione della convivenza matrimoniale, la prestazione del consenso per il
divorzio su domanda congiunta, ecc.) non viene «garantita» dalla presenza di
una forma di coazione giuridica o dalla assicurazione del pagamento di una
penale da parte del soggetto eventualmente inadempiente, ma viene piuttosto
incoraggiata mediante la promessa di un premio da parte di colui che ha
interesse a che il beneficiario tenga quel certo comportamento, secondo una
regola che non sembra sconosciuta neppure al diritto romano: «Titio centum
relicta sunt ita, ut Maeviam uxorem, quae viduam est, ducat: conditio non
remittetur; et ideo nec cautio remittenda est. Huic sententiae non refgragatur,
quod si quis pecuniam promittat, si Maeviam uxorem non ducat, Praetor actionem
denegat: aliud est enim eligendi matrimonii poenae metu libertatem auferri,
aliud ad matrimonium certa lege invitari» (D. 35, 1, 71, 1). La tesi qui
esposta, proposta anche all’attenzione della dottrina tedesca (cfr. Oberto, Partnerverträge in
rechtsvergleichender Sicht unter besonderer Berücksichtigung des italienischen
Rechts, cit., p. 7), sembra avere riscosso consenso presso quest’ultima
(cfr. Grziwotz, Partnerschaftsvertrag, für die nichteheliche Lebensgemeinschaft,
München, 1994, p. 31; per una valutazione di tale impostazione «in termini
problematici» in Italia, v. Franzoni,
I contratti tra conviventi more uxorio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 749 s.).
[75] Cass., 19 gennaio 1985, n.
[76] Cass., 11 gennaio 1986, n.
[77] Cass., 19 gennaio 1985, n. 150, cit.
[78] Cass., 21 febbraio 1992, n.
[79] Così Quadri,
Autonomia dei coniugi e intervento
giudiziale nella disciplina della crisi familiare, cit., p. 9.
[80] Sul punto v. Marston, Planning for Love: The Politics of Prenuptial Agreements, in Stanford Law Review, vol. 49, 1997, p.
887 ss. Sul requisito dell’independent legal or financial advice v.
inoltre Panforti, Gli accordi patrimoniali fra autonomia
dispositiva e disuguaglianza sostanziale. Riflessioni sul Family Law
Amendment Act 2000 Australiano, loc.
ultt. citt.
[81] Così Quadri,
Autonomia dei coniugi e intervento giudiziale
nella disciplina della crisi familiare, cit., p. 14, sulla scorta di Cass.,
11 agosto 1992, n.
[82] Ciò sembra voler adombrare Quadri, Autonomia dei
coniugi e intervento giudiziale nella disciplina della crisi familiare,
cit., p. 14, che parla di assoggettamento degli accordi ad un controllo
giudiziale effettuato «alla luce degli assetti economici familiari
concretamente esistenti in tale momento (scil.:
al momento del divorzio)». Esplicitamente per un controllo giudiziale del
merito delle intese di divorzio su domanda congiunta si pronunzia Coppola, Gli accordi in vista della pronunzia di divorzio, cit., p. 659 s.; Ead., Le rinunzie preventive all’assegno post-matrimoniale, cit., p. 55
ss.
[83] Cfr. Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 233
ss.
[84] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 372 ss.
[85]
Almeno fin tanto che non verrà adottato anche da noi un regime analogo a quello
descritto dall’art. 232 del Code Civil
francese, che consente al giudice di negare l’omologazione dell’accordo di
divorzio anche nel caso in cui esso non salvaguardi in maniera sufficiente gli
interessi «di uno dei coniugi». E ciò a differenza di quanto disposto dalla
norma italiana in tema di divorzio su domanda congiunta, che tale intervento
non solo non prevede, ma esclude, come appare ricavabile dal raffronto con
quanto stabilito con riguardo alle condizioni relative alla prole minorenne.
Quanto mai significativo appare, in questo contesto, che la riforma dell’art.
[86] Sul tema cfr. per tutti Ronchese, Regno Unito:
una nuova regola sulla divisione dei beni dopo il divorzio, in Familia, 2002, p. 843 ss.
[87] Sul tema v. per tutti Oberto,
Il regime di separazione dei beni tra
coniugi, cit., p. 183 ss.
[88] Cfr. ad
esempio Bargelli, L’autonomia
privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista
del divorzio, cit., p. 326 ss.
[89] Cfr. BverfG, 6 febbraio
[90] Sul tema v. per tutti Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 531 ss.; Id., «Prenuptial
agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei
diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 191 ss. e successivamente
anche Bargelli, L’autonomia
privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista
del divorzio, cit., p. 329 s.
[91] Cfr. ad esempio Schwenzer, Vertragsfreiheit im Ehevermögens- und Scheidungsfolgenrecht, in AcP, 1996, p. 11 ss.; Hess, Nachehelicher Unterhalt zwischen Vertragsfreiheit und sozialrechtlichem Allegemeinvorbehalt, in FamRZ, 1996, p. 981 ss, spec. 986 ss. Posizioni, queste, cui fa eco nel diritto nordamericano la valutazione del contratto alla luce dei principi di unconscionability, fairness, reasonableness, frustration, ecc. su cui v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 501 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 184 ss. e, successivamente, anche Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, cit., p. 329; Al Mureden, I prenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 549 ss. Per un accostamento tra il rationale della decisione della Corte costituzionale tedesca ed i principi dell’unconscionability v. Marella, La contrattualizzazione delle relazioni di coppia. Appunti per una rilettura, cit., p. 103 ss.
[92] Cfr. Cfr. BverfG, 6 febbraio 2001, cit.
[93] Cfr. BGH, 11 febbraio 2004, cit.
[94] Cfr. Brod, Premarital Agreements and Gender Justice, in Yale Law Review, 1994, vol. 6, p. 229, 276 ss.; Marston, Planning for Love: The Politics of Prenuptial Agreements, cit., p. 887 ss., 899 ss. Sul concetto di unconscionability e sull’Uniform Premarital Agreement Act v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 501 ss., 509 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 184 ss. e ora anche Al Mureden, I prenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano, cit., p. 547 ss.
[95] Così Hofer,
Privatautonomie als Prinzip für
Vereinbarungen zwischen Ehegatten, in Aa.
Vv., From Status to Contract? – Die
Bedeutung des Vertrages im europäischen Familienrecht, a cura di Hofer,
Schwab e Henrich, cit., p. 16. Analoghe critiche in Coester-Waltjen, Liebe-Freiheit-gute
Sitten. Grenzen autonomer Gestaltung der Ehe und ihrer Folgen in der
Rechtsprechung des Bundesgerichtshofes, in Aa.
Vv., Festgabe aus der Wissenschaft, 50
Jahre Bundesgerichtshof, München, 2000, p. 1001; cfr. inoltre Koch, in NotBZ, 2004, p. 147 ss.; Langenfeld,
Zur gerichtlichen Kontrolle von
Eheverträgen, in DNotZ, 2001, p.
279, che, di fronte alle avvisaglie di un mutamento di giurisprudenza in senso
restrittivo verso la libertà dei coniugi, paventava una situazione di
«Entmündigung und Fremdbestimmung durch den Richter» (situazione che – come si
è detto in altra sede: cfr. Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 120 s.
– si porrebbe anche in chiaro contrasto con l’intenzione dei redattori del BGB). A questi rilievi fanno poi
eco le osservazioni di un altro celebre studioso della materia (e notaio), che
sembrano smentire in maniera netta l’atteggiamento paternalistico delle Corti
(e, verrebbe da aggiungere, di una certa parte della dottrina italiana!): «Ich
beobachte im Beratungsgespräch eher eine „strukturelle Überlegenheit“ junger
Frauen, die ihre berechtigten Interessen durchzusetzen wissen. Die Margarete unserer Zeit ist ohne weiteres in der Lage, die tradierten
Vorstellungen eines Unternehmersohns, dessen Eltern auf Abschluss eines
Ehevertrages mit Gütertrennung und Unterhaltsverzicht bestehen (wie sie ihn
selbst geschlossen haben), eine entschiedene und deutliche Absage zu erteilen,
um zu sachgerechten vertraglichen Vereinbarungen zu gelangen (z.B. Herausnahme
der Unternehmensbeteiligung aus dem Zugewinnausgleich)» (cfr. Brambring, Die Ehevertragsfreiheit und ihre Grenzen, in Aa. Vv., From Status to Contract? – Die Bedeutung des Vertrages im europäischen
Familienrecht, a cura di Hofer, Schwab e Henrich, cit., p. 34, che conclude
affermando: «Ehevertragsfreiheit ist unverzichtbar, der „faire“ Ehevertrag
beansprucht Rechtssicherheit»).
[96] Sul tema si rinvia a Oberto, Civil law e common law a confronto nell’ottica del giudice civile, in Contr. impr./Eur., 2005, p. 620 ss.
[97] Cfr. ad esempio Cass., 2 novembre 1998, n.
[98] Sulla scorta di quanto, ad esempio, stabilito dagli artt. 1469-bis ss. c.c.