DEI MAGISTRATI ITALIANI
NELL’OTTICA DELLA FORMAZIONE
DEL GIURISTA EUROPEO(*)
«Wissen ist heute die wichtigste Ressource in unserem rohstoffarmen
Land. Wissen können wir aber nur durch Bildung erschließen». Roman Herzog, ex
Presidente della Repubblica Federale Tedesca, citato in Dietrich Schwanitz, Bildung. Alles, was man wissen muß, Goldman, München, 2002. «E
invece si vorrebbe nel magistrato soprattutto larghezza delle idee: la
spregiudicata esperienza del mondo, la cultura che permette di intendere i
lieviti sociali che bollono sotto le leggi, la letteratura e le arti, che
aiutano a discendere nei misteri più profondi dello spirito umano». Piero Calamandrei,
Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Cap. XIV. «Per me non è da responsabili credere che lo Stato possa affidare la vita, l’onore, la sicurezza e il patrimonio dei suoi sudditi a persone di cui non è convinto che siano ancora adesso (che lo siano state in passato non importa) all’altezza del loro compito». Rudolph von
Jhering, Serio e faceto nella giurisprudenza, ed. ital.,
Firenze, 1954, Lettera V, Le proposte del giudice Volkmar per la riforma degli
studi giuridici e degli esami. |
Sommario
1.
Introduzione.
2. I
principi internazionali in tema di formazione dei magistrati: Nazioni Unite e
Consiglio d’Europa.
3. I
principi internazionali in tema di formazione dei magistrati: alcune iniziative
a livello di U.E. (in particolare
4.
L’organizzazione istituzionale della formazione: tra libertà di insegnamento e
necessità di tutela dell’indipendenza della magistratura.
5.
L’organizzazione istituzionale della formazione: Ministero, C.S.M. o Accademia?
6. L’organizzazione
istituzionale della formazione: le prospettive di riforma nel d.d.l.
governativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 14 marzo 2002.
7. La
formazione iniziale dei magistrati nel sistema italiano.
8. Le prospettive aperte nel sistema italiano dalle Scuole di
specializzazione per le professioni legali e la «formazione preliminare».
9. La formazione permanente dei magistrati nel sistema
italiano: un breve excursus
storico.
10. La formazione permanente dei magistrati nel sistema
italiano: lo stato attuale della questione. La formazione decentrata.
Rispetto al tema, assai più vasto, della formazione
del giurista [1], quello
della formazione del magistrato presenta una caratteristica assolutamente
peculiare: intendo riferirmi alla necessità di salvaguardare nella maniera più
assoluta quella condizione d’indipendenza che del giudice costituisce la stessa
ragion d’essere. Ma il rapporto tra formazione e indipendenza si colloca anche
su di un piano diverso. Una curata formazione, invero, rappresenta una delle
migliori garanzie per il magistrato, in grado di assicurarne una forma
d’autonomia non meno importante di quella rispetto agli altri poteri dello
Stato: l’indipendenza, cioè, dall’ignoranza.
Il possesso di una buona cultura giuridica e, prima
ancora, di una buona cultura generale, costituiscono, a ben vedere, una
condizione indispensabile perché chi è istituzionalmente chiamato ad emettere
sentenze possa svolgere degnamente ed in maniera credibile la sua missione. Non
per nulla già Baldo degli Ubaldi rilevava come la mente del giudice dovesse
possedere due sali: quello della coscienza, per non essere diabolica, e quello
della conoscenza, per non essere insipida [2]. «Judices debent esse juris, et legum scientia ornati»,
ammoniva dal canto suo il giureconsulto piemontese Giovanni Antonio ab Ecclesia
[3], mentre Jean Domat richiedeva per gli Officiers de
Justice un «une connoissance claire, solide, et en ordre des définitions
des principes et des règles des diverses matières du Droit, afin de posséder la
liaison des règles à leurs principes, et d’en savoir faire l’application aux
questions qui sont à juger» [4]. «D’un magistrat ignorant – diceva
Il tema della formazione del magistrato, sebbene sia
venuto alla ribalta negli ultimi anni, non può certo dirsi nuovo. Quasi tre
secoli or sono il grande giurista e cancelliere di Francia Henri-François
d’Aguesseau redigeva ben cinque Instructions sur les études propres à former
un magistrat, indirizzandole al proprio figlio che s’apprestava ad
intraprendere la carriera giudiziaria. In tali
scritti, dopo avere sottolineato che gli studi «di base» – che definiremmo oggi
umanistici – non sarebbero se non una semplice «préparation pour vous élever à
des études d’un ordre supérieur» e dopo avere rimarcato che «Ce n’est pas ici
l’ouvrage d’un jour, ni même d’une année» [6], il grande cancelliere poneva in evidenza la necessità
«de vous former d’abord un plan général des études que vous êtes sur le point
d’entreprendre ; de suivre ce plan avec ordre et avec fidélité, et sur-tout de
ne point vous effrayer de son étendue». Colpisce, nell’articolato disegno
tracciato dall’autore, il paragone tra la formazione del magistrato e la
costruzione d’un edificio, secondo un piano prestabilito [7].
E’ chiaro che il ben diverso ruolo che il potere
giudiziario è chiamato a svolgere in uno stato di diritto, rispetto ad uno
stato autoritario quale quello dell’Ancien Régime, comporta –
assai più d’una volta – la necessità d’un procedimento selettivo e formativo
dei giudici che non sia più solo una questione privata di singoli giuristi,
magari espressione di un milieu privilegiato [8].
L’esigenza è semmai quella di una struttura stabile ed organizzata, in grado di
erogare ai magistrati una formazione che consenta loro di rimanere al passo con
i tempi e di far fronte alle sfide di una società sempre più complessa e
«globale», nella quale il ruolo del giudice appare essere sempre meno quello di
semplice bouche de la loi.
Invero, anche senza indulgere a quelle estreme posizioni,
talora espresse nei sistemi di Common Law, al punto da definire il
diritto stesso (peraltro non senza suscitare accese polemiche anche oltre
Manica ed oltre Oceano) come «the prophecies of what the courts will do in
fact, and nothing more pretentious» [9], non vi è
dubbio che – per esempio – la frequente presenza, nei sistemi giuridici
dell’Europa continentale, di clausole generali [10] conferisca
ad un giudice italiano, tedesco o francese poteri che, a ben vedere, non
s’allontanano molto da quelli di cui dispone un collega britannico allorquando,
tanto per fare un esempio, è chiamato a modificare un contratto tra coniugi
separati o divorziati, fondandosi su ciò che «può apparire (...) giusto avuto
riguardo a tutte le circostanze» [11]. Lo stesso
vale per una sempre crescente quantità di concetti e principi giuridici vaghi e
indeterminati, che pongono quotidiane sfide all’attività del giudice,
portandolo a divenire uno degli attori di quello che la nostra Corte costituzionale
ama definire «il diritto vivente». Del resto, un po’ in tutta Europa può ormai
darsi per scontato – e da tempo – l’abbandono dell’idea, coltivata per secoli
dai dottori del diritto comune – influenzati sul punto dalla dottrina
aristotelica – secondo cui le leggi avrebbero dovuto essere concepite in
maniera tale da limitare quanto più possibile la discrezionalità del giudice [12]. Idea,
questa, rilanciata ancora con vigore dai philosophes del secolo dei
Lumi, quale baluardo nei confronti d’un potere visto come espressione d’una
volontà potenzialmente dispotica e capricciosa [13], ma
definitivamente tramontata di fronte alla realistica considerazione per cui
limitare l’attività giurisdizionale alla meccanica applicazione d’un sistema
legislativo predefinito in ogni dettaglio vorrebbe dire autorizzare il giudice
ad emettere un non liquet ogni qualvolta il tessuto normativo dovesse
apparire lacunoso, contraddittorio o indecifrabile [14].
In
definitiva, è chiara ormai in tutto il nostro Continente la consapevolezza –
pubblicamente espressa non molti anni or sono dall’ex presidente della Corte
costituzionale federale tedesca, Jutta Limbach – che «La decisione del giudice
non è solo un processo cognitivo, ma è sempre anche un processo di creazione
del diritto» [15].
Di questa semplice realtà si
sono resi conto non solo i sistemi giuridici e giudiziari nazionali, ma anche
svariati organismi internazionali, in misura crescente nel corso degli ultimi
anni.
Così, l’articolo 10 dei
principi fondamentali relativi all’indipendenza della magistratura elaborati
dall’ONU nel 1985 [16] prevede
che «le persone scelte per svolgere le funzioni di magistrato devono
caratterizzarsi per integrità e competenza e possedere una formazione e
qualificazioni giuridiche sufficienti».
Sul versante europeo,
Prima dell’adozione di
questo documento, il Consiglio d’Europa si era del resto fatto promotore di una
riunione multilaterale dei responsabili della formazione dei vari stati membri,
così come dei paesi dell’Europa centrale ed orientale, conferenza che si era
tenuta a Lisbona dal 27 al 28 aprile 1995. All’esito di tale conferenza i
delegati avevano affermato «la necessità di accordare una priorità particolare
alla formazione dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero ed avevano
espresso la necessità di migliorare e sviluppare le modalità di questa
formazione, considerando le tradizioni proprie dei diversi sistemi giuridici,
preoccupandosi di rispettare ed incoraggiare l’indipendenza intellettuale dei
magistrati».
I delegati partecipanti a quel congresso avevano anche
sottolineato il fatto che «la necessità per i giudici ed i magistrati del
pubblico ministero di garantire l’efficacia della giustizia non deve nuocere
all’esigenza di sviluppare le qualificazioni e la coscienza professionale di
questi magistrati». I voti del Consiglio d’Europa sono già una realtà in
Francia, almeno per quanto riguarda l’esistenza d’un vero e proprio diritto
alla formazione, che è stato creato dalla legge n° 92-189 del 25 febbraio 1992.
Questo testo, che modifica l’ordinanza n° 58-1270 del 22 dicembre 1958 (legge
organica relativa allo statuto della magistratura), riconosce espressamente ai
magistrati «il diritto alla formazione permanente». In Italia, invece, il
«codice etico dei magistrati», approvato il 7 maggio 1994 dall’associazione
nazionale dei magistrati, stabilisce all’articolo 3 che il magistrato «Conserva
ed accresce il proprio patrimonio professionale impegnandosi nell’aggiornamento
e approfondimento delle sue conoscenze nei settori in cui svolge la propria
attività». Questa disposizione, sebbene faccia parte d’un corpo normativo non
avente valore di legge, impegna tuttavia ogni magistrato sul piano dell’etica
professionale ad interrogarsi costantemente sul livello della propria
professionalità.
3. I principi internazionali in
tema di formazione dei magistrati: alcune iniziative a livello di U.E. (in
particolare
L’U.E. non ha ancora elaborato (né tale compito ricade nelle
sue competenze istituzionali) principi in tema di formazione dei magistrati.
Essa peraltro ha già assunto e sta vieppiù assumendo un ruolo rilevante nel
coordinamento delle attività dei vari istituti nazionali che a livello locale
assicurano la formazione dei magistrati. Questo processo va di pari passo con
la progressiva instaurazione, nei settori tanto civile che penale, di un vero e
proprio «spazio giudiziario europeo», che vede i magistrati dei Paesi membri
dell’U.E. impegnati in una sfida senza precedenti, che impone loro di uscire
dalla tradizionale impostazione «nazionale», per assumere una dimensione
sovranazionale, all’insegna di quella nuova disciplina che si va delineando
sotto il nome di «cooperazione giudiziaria civile e penale» [19].
Tra le iniziative messe in cantiere al fine di consentire una
vera e propria «formazione europea» del giudice, un ruolo di spicco è svolto
dalla Rete Europea di Formazione Giudiziaria. Tale rete (European Judicial
Training Network - Réseau européen de formation judiciaire) nasce
sulla scia di un’iniziativa lanciata dai cugini d’Oltralpe durante il semestre
di presidenza francese e presentata al Consiglio dei ministri di giustizia e
affari interni il 30 novembre 2000 [20].
L’iniziativa partiva dal presupposto secondo cui una buona conoscenza da parte
dei magistrati europei dei rispettivi sistemi giudiziari è uno dei presupposti
fondamentali per il buon funzionamento dello spazio giudiziario europeo. La
formazione era pertanto vista come finalizzata allo sviluppo progressivo di
un’autentica cultura giudiziaria europea. D’altro canto i vari programmi
istituiti dall’Unione europea, e in particolare il programma Grotius [21], avevano
già consentito a un certo numero di magistrati di incontrarsi per scambiarsi le
rispettive esperienze ed entrare in contatto con la realtà giuridica di altri
Stati membri. Obiettivo della proposta era dunque quello di consentire alle scuole
e agli istituti nazionali specificamente incaricati della formazione dei
magistrati negli Stati membri di riunirsi regolarmente beneficiando di
strumenti per sviluppare progressivamente programmi e strumenti di formazione
comuni.
Questi, in breve, i punti salienti della proposta iniziale:
-
Limitazione, in un primo
tempo, delle proprie attività al settore penale, perseguendo i seguenti
obiettivi:
o approfondire
la mutua conoscenza dei sistemi giuridici;
o migliorare
l’utilizzazione degli strumenti europei e internazionali;
o scambiare
esperienze e identificare i fabbisogni di formazione;
o favorire il
coordinamento fra i diversi programmi di formazione previsti dagli Stati
membri;
o sviluppare
iniziative di formazione destinate ai membri del corpo giudiziario.
-
Presentazione ogni anno di un programma di attività
destinato a favorire:
o la
conoscenza dei sistemi giudiziari europei e dei meccanismi di cooperazione
giudiziaria;
o le
conoscenze linguistiche;
o l’organizzazione
di tirocini e di scambi;
o lo sviluppo
di programmi di formazione per il corpo giudiziario, nonché per i formatori
stessi.
-
Realizzazione di una comunicazione efficace fra i
membri della rete, mercé l’utilizzo di strumenti elettronici e la creazione di
un sito Internet, accessibile al pubblico.
-
Assunzione delle funzioni di segretariato generale da
parte della Commissione.
-
Creazione dei seguenti organi della rete:
o comitato
direttivo,
o segretariato
generale.
-
Adozione del programma annuale da parte del comitato
direttivo.
-
Adozione da parte del
comitato di una relazione annuale sulle attività svolte e sua trasmissione alla
Commissione, al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e
sociale.
-
Finanziamento della rete
da parte dell’Unione Europea.
Sin qui i dati salienti della proposta francese, che però è
stata successivamente abbandonata e superata da altre iniziative, ed in
particolare da quella lanciata dall’antenne per la formation initiale
dell’Ecole Nationale de
Tale istituto, invero, è venuto
immediatamente incontro alle esigenze manifestate dalla proposta francese,
organizzando, tra l’altro, nell’ottobre 2000, un convegno internazionale
sull’argomento [22]. In attesa
dell’approvazione della proposta francese i rappresentanti dei vari istituti
europei di formazione dei magistrati, riuniti a Bordeaux, hanno dato luogo al
c.d. réseau de Bordeaux, che ha iniziato concretamente ad operare il 1°
gennaio 2001. Questa rete si compone di diverse istituzioni nazionali
incaricate nel loro rispettivo paese di gestire in modo particolare la
formazione dei magistrati. L’obiettivo di tale collaborazione e i principi
fondamentali della medesima sono stati fissati in una Carta (Carta di Bordeaux)
nell’ottobre del 2000 [23].
La struttura della rete prevede, all’articolo 5 della suddetta Carta:
-
un’assemblea generale,
-
un comitato direttivo e
- un
segretariato.
A seguito della riunione
costitutiva della rete, del 4 aprile 2001, è stato deciso di conferire
provvisoriamente all’Accademia europea di diritto di Treviri (ERA) i compiti
del segretariato generale. La suddetta Carta punta espressamente al futuro
riconoscimento della rete europea di formazione in materia giudiziaria
attraverso un atto giuridico a livello europeo. Ciò è tanto più auspicabile in
quanto la rete di Bordeaux non dispone di personalità giuridica e pertanto non
può ricevere alcuna risorsa finanziaria dal bilancio comunitario o dagli Stati
membri. Un ulteriore punto debole è la mancanza di un segretariato generale
permanente che possa garantire il coordinamento continuo delle attività. La rete ha predisposto nel frattempo
anche un sito web [24], dal quale possono attingersi
informazioni utili ed aggiornate sulle iniziative realizzate dalla rete stessa [25].
Tra le iniziative a livello europeo non potranno poi tacersi
quelle poste in essere dall’Associazione Europea dei Magistrati [26], gruppo regionale dell’Unione
Internazionale Magistrati [27], che, nelle proprie riunioni
semestrali, discute i problemi propri delle associazioni dei giudici di 34
Paesi europei aderenti, intervenendo in difesa dell’autonomia e
dell’indipendenza della magistratura ovunque si manifesti necessario ed
elaborando al riguardo documenti e dichiarazioni ufficiali. Da qualche anno a
questa parte l’U.I.M. e l’A.E.M. organizzano corsi di formazione per magistrati
tramite l’Istituto Internazionale per il Potere Giudiziario della Fondazione
«Justice in the World – Justice dans le monde» [28], con sedi a Madrid e Alicante [29].
La
riflessione che si sta conducendo sul piano internazionale [30] sui
documenti in tema di formazione dei magistrati permette, dunque, di individuare
i seguenti punti fermi:
a)
la formazione è percepita sempre più oggi come
l’oggetto di un diritto nei confronti dello Stato;
b)
essa forma tuttavia anche l’oggetto di un dovere di
ogni magistrato;
c)
essa è legata strettamente all’indipendenza del potere
giudiziario.
Questi
tre principi ci possono aiutare a rispondere alla domanda: chi deve essere
responsabile della formazione? Ma per affrontare questo argomento bisogna
considerare ancora un’altra questione.
Cosa
si intende per formazione e, in particolare, per formazione dei magistrati? Nel
suo rapporto al Parlamento italiano sullo stato della giustizia per l’anno 1994
il Consiglio Superiore della Magistratura definisce questo concetto come una
«comunicazione organizzata di conoscenze tecniche, pratiche e deontologiche che
si aggiungono alle conoscenze date dall’esercizio della propria professione;
questa trasmissione di conoscenze è realizzata in modo programmato e
sistematico per il tramite di una struttura nella quale l’operatore agisce».
Ciò vuole dire che la formazione è, innanzi tutto, insegnamento. Ma essa è
anche ben più di questo, poiché la formazione non si limita ad una
comunicazione di conoscenze teoriche (il sapere),
ma tende anche alla diffusione di un insieme di informazioni operazionali (saper fare) ed a presentare dei modelli
di comportamento (sapere essere).
Se
tutto ciò è vero, allora non si vede perché la formazione dei magistrati
dovrebbe andare esente dal rispetto della libertà di insegnamento, principio
che è del resto ben conosciuto dalle Costituzioni di parecchi paesi europei [31].
Indipendenza
del potere giudiziario e libertà d’insegnamento: ecco i due pilastri della
formazione dei magistrati. Se si accettano questi due postulati, la risposta
all’interrogativo concernente l’individuazione del soggetto responsabile della
formazione non può essere che la seguente: l’organo che ha il compito di
formare i magistrati deve essere non solo indipendente dagli altri poteri dello
Stato, ma deve essere dotato anche di un notevole grado di autonomia riguardo
all’istituzione responsabile dell’autogoverno del potere giudiziario. E’ l’idea
dell’accademia della magistratura, avanzata già oltre mezzo secolo fa un
giurista della caratura di A.C. Jemolo [32] e che,
sotto varie forme e con varie denominazioni, oggi sembra farsi strada in vari
Paesi dell’Europa tanto occidentale che orientale [33].
Ma
il vero problema oggi non appare tanto essere quello della «etichettatura»
formale dell’istituto in esame (accademia, scuola, istituto, centro, ecc.),
bensì quello dei rapporti tra tale ente e le autorità preposte a quel variegato
coacervo di funzioni che vanno sotto il nome di «amministrazione della
magistratura».
Per
quale motivo appare, dunque, opportuno reclamare per i centri di formazione dei
magistrati una notevole libertà d’azione non solo rispetto al ministero della
giustizia, ma anche rispetto all’organo di autogoverno della magistratura?
Tutti sanno che oggi, quando si parla di indipendenza del potere giudiziario si
intende sottolineare l’assenza, da un lato, di ogni rapporto di subordinazione
rispetto agli altri due poteri dello Stato (si parla qui di indipendenza
«esterna»), ma dall’altro anche l’assenza di situazioni di dipendenza
gerarchica all’interno del corpo giudiziario: intendo qui riferirmi al concetto
d’«indipendenza interna», reso evidente da quel fondamentale articolo della
nostra Costituzione secondo cui «I magistrati si distinguono fra loro soltanto
per diversità di funzioni» (art. 107, comma 4, Cost.)[34]. Per
questo motivo non vi è dubbio che un problema d’indipendenza si ponga anche per
ogni magistrato nei confronti del Consiglio Superiore della Magistratura.
Per tornare
all’altro principio fondamentale già citato, quello della libertà
d’insegnamento, potrà essere interessante notare come un richiamo a tale
postulato fosse contenuto nella relazione al Disegno di legge n. 3079/S (XIII
legislatura) d’iniziativa dei Senatori Fassone e altri, comunicato alla
Presidenza del Senato il 19 febbraio 1998, denominato «Istituzione di un centro
superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei magistrati,
denominato Scuola nazionale della magistratura e norme in materia di tirocinio»
[35]. In questo
testo il riferimento all’art. 33 Cost. era coordinato con altri principi
costituzionali concernenti l’indipendenza del potere giudiziario (art. 104), le
attribuzioni del C.S.M. (art. 105) e le competenze del Ministro della giustizia
(art. 110). Mi sembra opportuno ispirarsi proprio a tale disegno di legge,
vista la competenza della fonte da cui proviene, per cercare di comprendere
quali potrebbero essere, nel quadro istituzionale italiano, le relazioni tra un
possibile istituto autonomo per la formazione dei magistrati, da un lato, il
Ministro della giustizia e il C.S.M. dall’altro.
5.
L’organizzazione istituzionale della formazione: Ministero, C.S.M. o Accademia?
La risposta
all’interrogativo posto alla fine del paragrafo precedente è piuttosto agevole
per quanto attiene al primo dei due corni del dilemma. L’art. 110 Cost. limita
le competenze del Ministro all’«organizzazione» e al «funzionamento dei servizi
relativi alla giustizia». La soluzione era stata trovata, nel disegno di legge
precitato, attribuendo al Ministero un seggio in seno al consiglio scientifico
e al consiglio d’amministrazione della Scuola (artt. 8 e 10). Il Ministero, dal
canto suo, avrebbe dovuto fornire una dotazione economica annuale (art. 1) e
selezionare il personale amministrativo che sarebbe andato a costituire il segretariato
della Scuola (art. 17).
La
questione dei rapporti con il C.S.M. è invece più delicata [36].
E’ noto che
da parecchi anni quest’organo costituisce il centro di formazione sia iniziale
che permanente dei magistrati italiani. Si è tentato di contestare questa
competenza rimarcando che l’art. 105 Cost. non prevede la formazione tra i
compiti affidati al Consiglio. Ora, se è vero che a livello costituzionale la
questione non appare risolta, è altrettanto indiscutibile che a livello di
legislazione ordinaria, svariate disposizioni ci permettono di concludere per
l’esistenza di un principio generale in forza del quale (quanto meno in difetto
di singole disposizioni ordinarie ad hoc) ogni attività formativa ricade
sotto la competenza del Consiglio e non già del Ministero.
Si pensi
per esempio al fatto che la legge attribuisce espressamente al C.S.M. la
competenza in materia di formazione degli uditori [37], così come
dei magistrati minorili [38] e dei
giudici di pace [39]. Da
ultimo, poi, l’articolo 11 della l. 13 febbraio 2001, n. 48 affida
espressamente al Consiglio l’organizzazione dei corsi di formazione degli
uditori per cui il Consiglio medesimo abbia deciso di abbreviare il periodo
ordinario da
In
definitiva, di fronte al quadro costituzionale e normativo delineato, la
soluzione ottimale, rispettosa dei principi costituzionali di autonomia e
indipendenza della magistratura e di libertà di insegnamento, consiste in una
forte presenza nel consiglio scientifico, così come in quello amministrativo,
della Scuola di magistrati designati dall’organo di autogoverno, consentendo in
tal modo a quest’ultimo di assicurare l’orientamento ed il controllo generale
sulle attività didattiche (senza peraltro intervenire direttamente sulla
gestione quotidiana), facendo altresì salva la possibilità di trasmettere in
seno agli organi preposti alla preparazione dell’offerta formativa la «voce
della base», cioè la presentazione, da parte dei rappresentanti dei diretti
interessati, di quali siano le più impellenti necessità formative.
Ancora una volta mi sembra
che il citato disegno di legge ponesse le basi per una soluzione ragionevole ed
equilibrata del problema. Il testo attribuiva infatti al C.S.M. i poteri
seguenti:
a)
enunciare annualmente gli indirizzi e le direttive
didattico-scientifiche relativi all’attività di formazione (artt. 3 e 14);
b)
essere rappresentato da tre dei suoi componenti (di
cui due togati) in seno al consiglio scientifico della Scuola (art. 8);
c)
nominare i tre magistrati membri del medesimo
consiglio scientifico (art. 8);
d)
nominare il direttore della Scuola (art. 12);
e)
nominare il vice-direttore, direttore della sezione di
tirocinio per la formazione iniziale (art. 13);
f)
nominare gli otto magistrati per ciascuna delle due
sezioni (formazione iniziale e formazione permanente) membri di ciascuno dei
rispettivi comitati di gestione (artt. 13 e 14).
Ci si potrà
porre, a questo punto, l’interrogativo seguente: se il modello di tale progetto
era costituito dall’Ecole francese, la quale è dotata d’un solo
consiglio d’amministrazione, quale era il motivo di questo sdoppiamento tra
consiglio scientifico e comitati di gestione? La risposta è semplice, se ci si
pone nell’ottica, tutta italica, in cui un simile organismo era destinato ad
operare. E’, invero, dato notorio che, per molti giuristi del nostro Paese (con
particolare riguardo alla realtà romana) il contributo da fornire in seno ad un
comitato o consiglio direttivo si limita al «parto di idee» (o alla critica,
magari feroce, di quelle altrui!) nel corso di tanto interminabili quanto
inconcludenti discussioni. In realtà, l’organizzazione di una moderna struttura
formativa, in grado di rispondere alle attese dei magistrati destinatari della
formazione, richiede (specie allorquando ci si trovi all’inizio di un’attività)
che anche i membri di siffatti alti consessi sappiano «rimboccarsi le maniche»
e non disdegnino di compiere tutta una serie di attività tanto umili (cercare
numeri di telefono, redigere documenti al computer, inviare e ricevere
corrispondenza di ogni tipo, correre letteralmente dietro ai – sovente
introvabili – docenti e relatori, leccare… decine di buste, incollando
centinaia di francobolli, ecc.) quanto assolutamente indispensabili per la
buona riuscita delle attività di formazione.
Ecco dunque
la ragione di questo astuto espediente: un consiglio scientifico per soddisfare
ambizioni togate o baronali; due comitati di gestione per consentire a chi
abbia veramente voglia di «sporcarsi le mani» la possibilità di tradurre in un
concreto, quotidiano operare le necessità concrete della formazione. La
riflessione, si badi, non vuole essere una critica di tale disegno di legge,
bensì costituisce semplice constatazione dell’amara e disincantata lucidità di
spirito che l’ha concepito.
Rimanendo
nell’ottica della Scuola, qualche parola occorrerà dire ora sul Disegno di
legge recante: «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e
disposizioni in materia di organico della Corte di cassazione e di conferimento
delle funzioni di legittimità» (approvato dal Consiglio dei Ministri nella
seduta del 14 marzo 2002), nella parte in cui si occupa dell’istituzione di una
Scuola della magistratura (art. 3) quale «struttura
didattica stabilmente preposta all’organizzazione delle attività di tirocinio e
formazione degli uditori giudiziari e di aggiornamento professionale dei
magistrati», da realizzarsi presso
Da più parti si è rilevato
al riguardo che le modalità proposte dal disegno di legge per la concreta
realizzazione di questa antica aspirazione della magistratura italiana pongono
seri dubbi di legittimità costituzionale. Più esattamente, riprendendo il testo
del parere espresso al riguardo dal C.S.M., «le disposizioni della legge delega
in questa materia da un lato pongono seri dubbi di legittimità costituzionale
e, dall’altro, rischiano di alterare significato e contenuto della formazione
professionale del magistrato, pregiudicando il risultato di una migliore
qualificazione dell’intera magistratura».
Invero, secondo il disegno
di legge in oggetto,
La lettera della norma non lascia
dunque spazio ad interpretazioni: il progetto sembra avere assai poco a che
spartire con la formazione, l’aggiornamento o la qualificazione professionali;
funzione della Scuola sarà invece quella d’un «esamificio» o d’un
«parerificio», destinato ad effettuare valutazioni dei magistrati ai fini della
progressione nella ripristinanda carriera. Come non possono tornare qui alla
mente le provocatorie proposte di Rudolph von Jhering, il quale suggeriva di
sottoporre periodicamente tutti i giuristi (teorici e pratici, senza
distinzioni!) ad esami reciproci e «perenni», nel senso che, per un anno, una
metà di tutti i giuristi del paese avrebbe dovuto esaminare l’altra e, l’anno
successivo, viceversa, chiosando l’idea con l’osservazione seguente: «Che
spettacolo meraviglioso sarà vedere tutta la classe dei giuristi impegnata
davanti agli occhi del paese (…) in grandi duelli spirituali! Che afflusso di
gente ci sarebbe! E che occasioni si avrebbero per distinguersi e per eccellere!
Forse seguendo l’esempio delle manifestazioni ginnastiche o (…) riproducendo
quello che per i greci erano i giochi olimpici o che le giostre erano nel Medio
Evo, potremmo anche farne una grande festa nazionale» [42].
Ma lasciando il faceto e tornando al
serio, appare incontrovertibile che l’attività di questa progettata Scuola,
consistendo in atti che incidono sullo stato dei magistrati e rilevano al fine
delle promozioni e dei trasferimenti, riguarda una materia sicuramente
riconducibile all’art. 105, Cost., quindi riservata alla competenza del C.S.M. [43].
D’altro canto si è pure rilevato
che la strumentalità dell’attività rispetto alla valutazione avrebbe richiesto
l’enunciazione di principi e criteri direttivi in ordine al contenuto ed alle
modalità di organizzazione dei corsi, e, soprattutto al tipo, al contenuto ed
alle modalità della valutazione, nonché ai parametri valutativi. Se si
considera la molteplicità di opzioni possibili, risulta palese che l’assoluta
mancanza di principi e criteri direttivi realizza una violazione sia dell’art.
76 Cost., sia dei valori dell’autonomia e dell’indipendenza. Inoltre,
palesemente illegittima è la mancata previsione di una disciplina
dell’inserimento della valutazione del «parere» nel fascicolo personale che garantisca
il magistrato, permettendogli di contestare l’eventuale valutazione.
Nel merito, la
strutturazione della Scuola, gli stessi tempi di partecipazione ai corsi e la
esclusiva valorizzazione del momento valutativo dimostrano l’accoglimento di
una concezione tecnicistica della formazione, strumentale rispetto allo scopo
di ripristinare un modello «burocratico» della figura del giudice. Nel progetto
manca invece la realizzazione di una formazione permanente, correttamente
intesa non come esclusivo aggiornamento di nozioni tecniche, ma anche come
confronto di esperienze, scambio di idee, confronto di esperienze su valori
comuni, sulla deontologia, in vista della realizzazione di una funzione più
efficiente. Il dichiarato obiettivo della norma sembra quindi esaurirsi
nell’inammissibile intento di creare una struttura preordinata al mero rilascio
di «diplomi di idoneità», che ha in sé insito il rischio di realizzare una
pericolosa omologazione culturale.
Ed infatti già oggi il
livello raggiunto dall’attività formativa gestita dal C.S.M. [44], livello
che pure necessita di ulteriore crescita ed affinamento, mobilita, anche grazie
agli apporti della formazione decentrata [45], energie
ed impegni inesigibili dalla struttura della Cassazione. Quest’ultima resta in
realtà comunque inadeguata anche per i soli compiti giurisdizionali né può
attribuirsi un effetto risolutivo di tale inadeguatezza all’esiguo aumento di
organico previsto dal progetto di riforma, giacché il vizio di origine della
stessa è nell’incontrollata ipertrofia della domanda di giustizia che, in
misura crescente, viene scaricata nella Cassazione. In definitiva,
sempre secondo le parole del C.S.M., «il concetto di formazione che traspare
dalla delega risulta lontano sia da quello elaborato nella ricca esperienza
formativa del Consiglio sia da quello proprio della moderna scienza della
formazione e delle prassi formative nelle aziende ed in rami qualificati della
stessa Pubblica Amministrazione» [46].
7. La
formazione iniziale dei magistrati nel sistema italiano.
Dopo le valutazioni critiche delle prospettive de iure condendo
sarà opportuno fornire ora qualche informazione de iure
condito circa la situazione della formazione professionale dei
magistrati in Italia, a beneficio soprattutto dei partecipanti stranieri al
presente incontro.
La
prima constatazione al riguardo si basa sul fatto, ampiamente noto, che ormai
un po’ in tutti i sistemi giudiziari si suole porre una netta distinzione tra
formazione iniziale e formazione permanente (o continua). Per ciò che riguarda
la prima va detto che, nella maggior parte dei sistemi europei continentali, la
formazione viene erogata da appositi centri o istituti: che si tratti di una
scuola (o accademia) ad hoc come in
Francia, Spagna, Portogallo, Olanda, Grecia, o come in un numero sempre
crescente di paesi dell’Est, ovvero d’un servizio preparatorio fondato sul
concetto di Juristenausbildung, come in Germania, la tendenza evidente è
quella di consegnare ad un’organizzazione professionalmente concepita e
strutturata per la formazione il compito di plasmare le future generazioni di
giudici e/o pubblici ministeri.
Al contrario, in Italia,
quest’opera è stata svolta sino ad ora (quanto meno in via prevalente) dall’organo
di autogoverno, non esistendo – come noto – una scuola della magistratura [47].
La formazione professionale
iniziale dei magistrati italiani è dunque curata direttamente dal C.S.M. e si
articola principalmente in due fasi:
·
il tirocinio «ordinario» (detto anche «generico»),
consistente nella rotazione tra vari uffici giudiziari e
·
il tirocinio «mirato», destinato a dare una
preparazione specifica all’esercizio delle funzioni che saranno oggetto della
prima assegnazione dell’uditore, una volta immesso nell’esercizio delle
funzioni giudiziarie.
La formazione ha dunque
luogo on the job, mediante inserimento dei vincitori del concorso nella
struttura giudiziaria, senza responsabilità dirette, ma sotto il controllo di magistrati
a vario titolo coinvolti nell’attività formativa. Purtroppo va subito detto che
sovente, particolarmente in talune grandi sedi, la presenza di un numero
eccessivo di uditori giudiziari compromette la possibilità di un’accurata
attività formativa durante lo stage. Un altro problema è rappresentato
dalla difficoltà, a fronte del tempo eccessivamente limitato di durata della
formazione, di integrare le scarse nozioni – sia pratiche che teoriche –
fornite dagli studi universitari. A tal fine il C.S.M. organizza, tanto durante
il tirocinio ordinario che durante quello mirato, dei corsi a Roma specialmente
destinati a fornire agli uditori quel bagaglio non solo di informazioni, ma
anche di esperienze, nei campi usualmente poco conosciuti dai giovani magistrati;
tra queste iniziative va segnalata, in particolare, l’organizzazione, negli
ultimi anni [48], di veri e
propri processi simulati, cui gli uditori partecipano assumendo di volta in
volta «ruoli» diversi.
Tutta la materia è stata
riorganizzata dal D.P.R. 17 luglio 1998 [49] e dalla
successiva circolare del C.S.M. in data 30 luglio 1999, che hanno fissato in 18
mesi la durata minima del periodo di tirocinio (di cui 13 mesi di tirocinio
«ordinario» e 5 di tirocinio «mirato»), precisando le regole e le competenze
del C.S.M., così come dei Consigli giudiziari e delle commissioni uditori
costituite a livello dei distretti di corte d’appello. Occorrerà però
aggiungere che l’art.
Il sistema attualmente in
vigore prevede, per la formazione di ogni uditore, l’intervento di un numero
consistente (e, a mio sommesso avviso, veramente eccessivo) di soggetti, che
potremmo definire come gli «organi della formazione iniziale». Si tratta, più
esattamente (andando, per così dire, dal «basso» verso l’«alto»):
·
dei magistrati
affidatari: il loro compito è quello di seguire l’uditore per un periodo
assai limitato (di solito inferiore al mese, per il tirocinio ordinario, mentre
l’affidatario è tendenzialmente unico per tutto il periodo del tirocinio
mirato), facendo partecipare l’ «allievo» a tutte le sue attività giudiziarie,
spiegandogli in che cosa consista il lavoro presso l’ufficio giudiziario
relativo, affidandogli la stesura della bozza di provvedimenti giudiziari e,
infine, redigendo un parere motivato sul periodo di affidamento (art. 11,
d.p.r. 17 luglio 1998);
·
dei magistrati
collaboratori (dei Consigli giudiziari): nominati dal C.S.M. su proposta
dei Consigli giudiziari in numero di due (uno per il civile e l’altro per il
penale) per ogni Corte d’appello e per ogni gruppo d’uditori (composto di
regola di non più di cinque elementi); il loro compito è quello di controllare
l’esecuzione del programma previsto per ogni scaglione di uditori e di stendere
un parere finale sulla base dei pareri formulati dai vari magistrati
affidatari; tali magistrati costituiscono le principali figure di riferimento
per gli uditori, in quanto rappresentano l’unico referente continuativo
nell’attività di formazione per tutto il periodo del tirocinio (cfr. art. 10,
d.p.r. 17 luglio 1998);
·
dei magistrati
collaboratori degli uditori con funzioni: si tratta qui di magistrati
tenuti a svolgere una sorta di attività di «tutoraggio» per i giovani colleghi
che hanno appena ricevuto le funzioni giudiziarie (si noti peraltro che tali
«collaboratori» debbono anche trasmettere ai Consiglio giudiziario un parere
sull’attività prestata dagli uditori in questione); ogni uditore con funzioni è
seguito da due magistrati collaboratori, ciascuno dei quali ha il compito di
seguire l’attività di non più di tre uditori giudiziari con funzioni (cfr. art.
15, d.p.r. 17 luglio 1998);
·
delle Commissioni
distrettuali per gli uditori giudiziari: si tratta di organi composti da
tre magistrati scelti dal Consiglio giudiziario tra i propri membri, nonché dai
magistrati «collaboratori»; la commissione sottopone al Consiglio giudiziario
delle proposte per l’organizzazione e il coordinamento dello stage e
controlla l’attuazione di questo, organizzando incontri con i magistrati
«affidatari» e con gli uditori; essa organizza pure la formazione iniziale a
livello locale (art. 9, d.p.r. 17 luglio 1998);
·
dei Consigli
giudiziari: il loro compito in questo campo è quello di coordinare la
formazione iniziale a livello locale, realizzando le direttive emanate dal
C.S.M., nominando i magistrati «collaboratori» ed approvando il piano di stage
previsto per ogni uditore, così come il programma generale per le attività di
formazione sul piano locale; essi inviano poi tali proposte al C.S.M. per
l’approvazione definitiva; i Consigli giudiziari formano per ogni uditore un
fascicolo personale e redigono i pareri per la valutazione di idoneità ad
esercitare le funzioni giudiziarie; essi propongono altresì l’eventuale
prolungamento dello stage per gli uditori non idonei e redigono i pareri
a conclusione del primo anno di esercizio delle funzioni (cfr. artt. 7, 10, 12,
14, 15 d.p.r. 17 luglio 1998);
·
del Comitato
scientifico presso
·
della Nona
Commissione (Tirocinio e Formazione Professionale) presso il C.S.M.: tale
articolazione dell’organo di autogoverno è responsabile del controllo di tutte
le iniziative formative dei magistrati; come tutte le commissioni del C.S.M.
essa si limita però a formulare ed approvare delle proposte da sottoporre per
l’approvazione al plenum del Consiglio;
·
del plenum del
C.S.M. All’organo di autogoverno
spetta la competenza generale in materia di formazione, secondo la disciplina
prevista dal regolamento del tirocinio. In particolare, ai sensi dell’art. 1
del d.p.r. 17 luglio 1998, il C.S.M. «dirige, organizza, coordina e controlla
il tirocinio degli uditori giudiziari avvalendosi dei Consigli giudiziari,
delle Commissioni distrettuali per gli uditori giudiziari previste
dall’articolo 9, dei magistrati collaboratori previsti dall’articolo 10, dei
magistrati affidatari previsti dall’articolo 11 e del Comitato scientifico
previsto dall’articolo 29, comma 3, del regolamento interno del Consiglio
superiore della magistratura»; oltre alle generali competenze coordinamento
(artt. 3, comma 2, e 12, commi 4 e 5, d.p.r. 17 luglio 1998), al
C.S.M. sono attribuite quelle relative a:
-
fissazione della durata del tirocinio (art. 3, d.p.r. 17
luglio 1998);
-
fissazione e modificazione (nel secondo caso su
proposta e/o parere del Consiglio giudiziario) della sede del tirocinio (art.
2, commi 1 e
-
approvazione della nomina dei magistrati collaboratori
designati dai Consigli giudiziari (art. 8, d.p.r. 17 luglio 1998);
-
organizzazione in sede nazionale, avvalendosi del
comitato scientifico e secondo le procedure previste, di incontri di studio e
altre iniziative formative rivolte agli uditori nel corso del tirocinio
ordinario e di quello mirato (art. 12, d.p.r. 17 luglio 1998);
-
organizzazione di incontri di studio sulla formazione
professionale degli uditori (art. 13, d.p.r. 17 luglio 1998);
-
valutazioni di idoneità all’esercizio delle funzioni giudiziarie
e individuazione degli uffici di destinazione (art. 14, d.p.r. 17
luglio 1998).
Il decreto del 1998 obbliga inoltre ogni uditore a tenere un
«quaderno del tirocinio» (art. 6, d.p.r. 17 luglio 1998), sul quale vanno
registrate le tappe del percorso formativo: invero, in esso l’uditore «con
cadenza almeno settimanale, annota le attività svolte e quelle alle quali ha
partecipato o assistito, formulando le proprie eventuali osservazioni ed
indicando ogni altro elemento utile a dar conto dell’esperienza formativa in
corso». Il magistrato affidatario deve vistare le annotazioni dell’uditore, per
conferma, ed aggiungervi le proprie eventuali osservazioni. Al termine del
periodo di tirocinio il quaderno va consegnato ai magistrati collaboratori.
L’uditore deve anche aggiungervi una relazione complessiva sul tirocinio
svolto, oltre (art. 7, d.p.r. 17 luglio 1998) ad una copia di tutti i
provvedimenti redatti dall’uditore, con le modifiche ad essi eventualmente
apportate dai magistrati affidatari, le autorelazioni (art. 6, comma 3, d.p.r.
17 luglio 1998) e gli elaborati scritti dell’uditore.
Nell’imminenza della
conclusione del tirocinio ordinario il Consiglio giudiziario riceve la
relazione redatta dai magistrati collaboratori su ogni uditore e, su proposta
della Commissione distrettuale, emette il suo parere sull’idoneità dell’uditore
all’esercizio delle funzioni giudiziarie. La relazione ed il parere sono
comunicati all’uditore, che può formulare le proprie osservazioni, da inserire
nel dossier. I fascicoli sono quindi trasmessi al C.S.M.
Una volta che l’uditore ha
completato positivamente il tirocinio ordinario, il C.S.M., su proposta della
Nona Commissione, delibera a quale ufficio ogni singolo uditore è assegnato. A
tal fine gli uditori sono chiamati a Roma per la scelta dell’ufficio di prima
destinazione, da operarsi sulla base di una lista redatta dal C.S.M., avuto
riguardo alla collocazione dell’uditore in seno alla graduatoria finale del
concorso [51]. Una volta
effettuata la scelta, ogni uditore inizia il periodo «mirato» in un ufficio
giudiziario (determinato in base all’art. 2, d.p.r. 17 luglio 1998) nel quale
si esercitino funzioni corrispondenti a quelle proprie dell’ufficio di
destinazione. La valutazione attitudinale dell’uditore è ripetuta
nell’imminenza della conclusione del tirocinio «mirato». Nel caso di
valutazione positiva il Consiglio conferisce all’uditore l’esercizio delle
funzioni giudiziarie. In caso contrario il C.S.M. può decidere che il tirocinio
sia proseguito per uno o più periodi, sino a raggiungere una durata che
complessivamente non può superare i 36 mesi. Nel caso di giudizio negativo il
Consiglio, sempre su proposta della Nona Commissione, dispone la cessazione
dell’uditore dal servizio (cfr. art. 14, d.p.r. 17 luglio 1998).
Volendo esprimere una
valutazione del sistema che si è appena sommariamente descritto, va innanzi
tutto rimarcato che il tempo dedicato alla formazione, al di là dell’impegno
individuale nello studio, non sembra sufficiente, neppure supponendo che il
C.S.M. non s’avvalga della facoltà di ridurre la durata del tirocinio. In
effetti, gli uditori sono obbligati a frequentare i corsi organizzati dai
Consigli giudiziari presso le varie corti d’appello, così come quelli
organizzati a Roma dal C.S.M. Peraltro, a parte gli «incontri romani», la
situazione a livello locale è tutt’altro che omogenea. A ciò s’aggiunga che
accanto al tirocinio presso gli uffici giudiziari non è prevista alcuna forma
di stage né presso studi professionali, né presso imprese, né presso
pubbliche amministrazioni (tanto meno all’estero!). Nessuna reale selezione
viene compiuta nel corso di questo troppo breve periodo, a dispetto d’un
sistema inutilmente barocco e frammentario, nelle mani di un numero veramente
eccessivo d’attori, al punto da richiamare alla mente il noto proverbio inglese
secondo cui too many cooks spoil the
broth. In effetti, salvo casi assolutamente eccezionali, le valutazioni
attitudinali redatte dai magistrati responsabili della formazione e dai
Consigli giudiziari sono sempre positive e gli uditori sono senz’altro ammessi
a esercitare le funzioni giurisdizionali [52].
Il complesso quadro della formazione
iniziale dei magistrati s’è di recente arricchito d’una serie di spunti che
provengono dall’istituzione delle Scuole
di specializzazione per le professioni legali. A beneficio dei partecipanti
stranieri all’incontro in relazione al quale il presente contributo è stato
concepito andrà subito detto che siffatte istituzioni non sono rivolte in alcun
modo a realizzare la formazione del personale di magistratura, neppure nella
fase iniziale, ma si pongono quale elemento di raccordo tra la preparazione
universitaria ed il concorso per uditore giudiziario, ponendo in essere un
nuovo tipo di formazione del giurista, che potremmo definire come «formazione
preliminare». Per comprendere la ragion d’essere ed il funzionamento di tali
istituti occorre però premettere alcune informazioni sul sistema di
reclutamento dei magistrati italiani [53].
In particolare è importante tenere presente che da
circa una ventina d’anni il numero dei candidati al concorso da uditore è
andato progressivamente crescendo, al punto da creare difficoltà gravissime ad
una corretta gestione di tale delicatissima operazione. In effetti, nel periodo
compreso tra l’inizio degli anni ottanta e la fine degli anni novanta tale
cifra è passata da
Siffatte Scuole [55]
s’avvalgono d’un corpo docente costituito prevalentemente da professori
universitari, anche se la legge prevede pure la presenza di magistrati,
avvocati e notai. Lo scopo perseguito dalla legge è quello di fornire agli
allievi – tutti laureati in giurisprudenza ed ammessi alla Scuola tramite un
apposito concorso – una formazione sia teorica che pratica per la durata di due
anni, peraltro successivamente ridotta ad un anno dalla l. 13 febbraio 2001, n.
Al termine di tale periodo,
caratterizzato dalla presenza di prove e di valutazioni intermedie, un esame
finale ha luogo per il rilascio del diploma della Scuola. Come si è detto, tale
diploma è indispensabile per l’iscrizione al concorso da uditore in relazione
ai laureati iscritti alla facoltà di giurisprudenza a partire dall’anno
accademico 1998/1999. Si discute attualmente sulla opportunità di rendere tale
titolo obbligatorio pure per gli aspiranti avvocati e notai, sebbene tale
posizione appaia per il momento assolutamente minoritaria [57].
La struttura di tali Scuole
è stata tracciata dal decreto del Ministro per l’Università e del Ministro
della Giustizia 21 dicembre 1999, n. 537, contenente il regolamento per l’«Istituzione e l’organizzazione delle Scuole di
specializzazione per le professioni legali» [58]. Tale provvedimento prevede le condizioni d’ammissione
alla Scuola, così come quelle relative al concorso per l’accesso alla medesima.
La struttura è retta da un Consiglio direttivo composto da 6 professori
nominati dalla facoltà di giurisprudenza, due magistrati, due avvocati e due
notai. I magistrati, gli avvocati e i notai sono scelti dal Consiglio di
facoltà di giurisprudenza tra i candidati proposti dal C.S.M., dal Consiglio
Nazionale Forense e dal Consiglio Nazionale del Notariato. Questi 12 membri
eleggono un direttore, che deve essere scelto necessariamente tra i professori
e rimane in carica 4 anni. Durante tale periodo esso deve organizzare
l’attività della Scuola, provvedendo all’elaborazione dei programmi, alla
scelta dei docenti, all’organizzazione della didattica. Questa si snoda
attraverso lezioni teoriche ed attività pratiche, simulazioni di prove d’esame
e di processi, stages, prove orali e scritte. Per ciascuna delle prove
intermedie i docenti dovranno esprimere valutazioni sui candidati, che sono
altresì sottoposti ad una valutazione al momento del passaggio dal primo al
secondo anno, oltre che alla prova finale per il rilascio del diploma, che
costituirà il titolo per l’ammissione al concorso da uditore giudiziario.
L’istituzione delle Scuole si prefigge non solo lo
scopo di fornire un filtro per l’accesso al concorso, ma tende anche a
sopperire, almeno in parte, ai paurosi vuoti lasciati nella preparazione
giuridica dal vigente sistema universitario italiano. Già quasi mezzo secolo fa
uno dei maggiori comparatisti italiani, Mauro Cappelletti, valutando in maniera
quanto mai sconsolata la formazione universitaria nelle materie giuridiche,
posta a confronto con quella germanica, ammetteva che «se noi italiani, in
ispecie noi giuristi dovessimo specchiarci negli istituti che, nel modo che
purtroppo sappiamo, organizzano da noi l’educazione, universitaria e
postuniversitaria, del giovane giurista, avremmo, ahimé, troppe più ragioni di
vergogna e di sconforto, che di speranza e di orgoglio» [59]. Tra queste ragioni veniva correttamente
stigmatizzato, sulle orme di ancora più risalenti osservazioni di Vittorio
Scialoja, il fatto che «Noi insegnamo nelle nostre università come si insegnava
a Bologna ai tempi d’Irnerio. Il professore sale sopra una cattedra, e per
un’ora parla; parla, non sapendo se i giovani abbiano bene inteso ciò che egli
viene esponendo; e finita quest’ora, si ritira». Poste queste premesse, se ne
concludeva che l’insegnamento accademico non dovrebbe consistere
nell’esposizione di un testo (che gli studenti dovrebbero assimilare prima
della lezione), ma nell’addestramento degli alunni «a studiare, a ragionare, a
criticare, a servirsi dei metodi di ricerca, insomma a fare tutto ciò che
costituisce la positiva attività della mente»; esso dovrebbe costituire dunque
«un’esercitazione intellettuale (…), il vivo esempio del lavoro di una mente
già progredita in presenza delle menti giovanili di coloro che devono
imparare», dando così luogo ad un vero e proprio «contagio intellettuale»,
attraverso il quale «il maestro deve esercitare la sua influenza sugli alunni» [60].
L’istituzione delle Scuole di specializzazione
potrebbe dunque costituire l’agognata occasione per realizzare finalmente tale
antica aspirazione, che dovrebbe concretizzarsi, oltre tutto, attorno ad un
primo esperimento di formazione postuniversitaria comune per futuri
magistrati, avvocati e notai, avvalendosi del contributo di teorici e pratici.
E’ però troppo presto per
formulare un giudizio sul funzionamento di questa interessante iniziativa.
Basterà dire che il fatto stesso che le Scuole in oggetto siano riuscite a
decollare nell’anno accademico 2001/2002, erogando cinquecento ore tra lezioni
teoriche ed attività pratiche, costituisce un vero e proprio miracolo [61]. Sarà
sufficiente ricordare qui, tra le grandi difficoltà e gli ostacoli, quelli –
certo non lievi – frapposti dal C.S.M. e dai Consigli giudiziari, che,
ostinandosi a ritenere «extragiudiziari» [62] gli
incarichi di insegnamento presso queste strutture (alla stessa stregua di altre
e ben altrimenti lucrose attività), sottopongono gli sventurati magistrati che
hanno l’ardire di prodigarsi per siffatte iniziative ad un’estenuante ed
ampollosa procedura autorizzativa, spingendosi addirittura ad inventarsi di
sana pianta un’improbabile (oltre che assolutamente illegittima) forma
d’incompatibilità tra la qualità di membro del consiglio direttivo della Scuola
e quella di docente nella medesima [63]: nulla di
più inconciliabile con le esigenze di celerità, certezza e snellezza, proprie
dell’attività formativa in questione (ma, mi sia consentito ripeterlo da
«anziano» nel settore della formazione: di ogni attività formativa).
A ciò s’aggiunga l’inopportunità del coinvolgimento, pure voluto
dal C.S.M. nelle procedure di cui sopra, dei consigli giudiziari, così come
della seconda commissione del Consiglio, organi, questi, del tutto avulsi dalla
realtà in cui operano le Scuole e pertanto «istituzionalmente» portati a
giudicarle come «corpi estranei» all’insieme delle attività del giudice;
soggetto, questo, che troppi (fuori, ma purtroppo anche dentro il «terzo
potere») s’ostinano a ritenere alla stregua di nulla di più che una semplice
«macchina da sentenze» [64].
9. La
formazione permanente dei magistrati nel sistema italiano: un breve excursus storico.
Per ciò che attiene alla formazione permanente va subito detto che si
tratta d’un argomento cui l’autore di queste osservazioni è particolarmente
affezionato, essendo stato impegnato in tale attività per tre anni, a partire
dal momento in cui, tra il 1993 ed il 1994 il C.S.M. – iniziando praticamente
da zero – decise d’organizzare in maniera sistematica la formazione dei
magistrati italiani [65]. Si tratta d’un tema su cui non si può tornare
se non con grande rimpianto, per l’occasione che l’Italia ha perso di dotarsi
(quanto meno per il settore della formazione permanente) d’una Scuola della
Magistratura all’avanguardia ed in linea con le necessità formative del potere
giudiziario. Andrà però precisato che un sistema assai rudimentale di
formazione permanente aveva avuto inizio già nel 1973, sempre su iniziativa del
C.S.M. A partire da tale anno e nel corso dei due decenni seguenti il Consiglio
aveva organizzato «settimane di formazione» (in media una decina per anno)
dedicate alle materie più varie: dalle tecniche d’indagine penale, al diritto
minorile, al diritto del lavoro, alla procedura civile, al diritto di famiglia,
ecc.
Il
23 settembre 1993 il Ministro della Giustizia e il Vicepresidente del C.S.M.
firmarono una convenzione che diede vita ad una Struttura di Formazione Professionale per Magistrati,
costituita in via sperimentale. Alla testa di tale organismo vi era un comitato
scientifico, composto da tre membri del C.S.M., tre magistrati in
rappresentanza del Ministro, tre magistrati applicati dal C.S.M. a tempo pieno
e cinque magistrati impegnati nella Struttura
a tempo parziale. La formazione organizzata dalla Struttura non era
prevista come obbligatoria, sebbene in qualche caso il C.S.M. avesse deciso che
il fatto di avere frequentato determinati corsi avrebbe costituito titolo
preferenziale in relazione al conferimento di determinate funzioni. La
menzionata convenzione prevedeva l’organizzazione, ogni anno, di circa cinquanta
corsi della durata media di una settimana, ciascuno di essi per un centinaio di
magistrati: ciò significa che ogni anno 5.000 magistrati (su di un effettivo
all’epoca pari a 8.400) avrebbero potuto essere coinvolti in una attività
formativa. Sebbene la formazione iniziale non rientrava tra gli scopi di tale
«Scuola», questo organismo avrebbe senz’altro potuto, con il passar del tempo,
porsi quale istituto preposto al delicato compito di colmare il vuoto esistente
tra la conclusione degli studi universitari e l’accesso alla magistratura [66].
Sfortunatamente, dopo
neppure un anno d’attività e dopo che l’autore di queste osservazioni aveva
avuto il privilegio di essere nominato direttore di questa prima «Scuola» della
magistratura italiana, la convenzione citata venne dichiarata nulla dalla Corte
dei conti, la quale pose alla base della propria decisione la considerazione
(per il vero, assolutamente apodittica) secondo cui una Scuola della
magistratura avrebbe potuto essere creata solo per legge. All’epoca
A seguito di tale infelice
decisione il C.S.M. decise ugualmente di continuare l’attività di formazione
posta in essere dalla Struttura e di organizzare per gli anni successivi circa
quaranta corsi di formazione l’anno, secondo lo schema già sperimentato nel
corso del 1994. Per la realizzazione di tale attività il C.S.M. si rivolse, per
i primi tre anni, allo stesso gruppo di magistrati che avevano composto il
comitato scientifico della Struttura demolita dalla Corte dei conti.
Al fine di proseguire l’attività iniziata dalla Struttura
per la formazione dei magistrati, il C.S.M. ha deliberato il 9 luglio 1996 la
creazione d’una apposita commissione,
L’attività posta in essere
in questi ultimi anni dal Comitato scientifico è notevole, specie se si tiene
conto del carattere non «burocratizzato» di tale struttura. Tanto per fare un
esempio, potrà dirsi che il numero di magistrati che hanno partecipato almeno
ad un’attività di formazione è stato nel 1997 di 2.290, nel 1998 di 3.086, nel
1999 di 3.294 e nel 2000 di 3.177 [67], mentre il
numero dei corsi realizzati nel 1997 è stato di 41, 49 nel 1998, 46 nel 1994,
49 nel 2000 e 50 nel 2001; lo stesso numero di iniziative è stato previsto per
il 2002. Al fine di far conoscere le iniziative formative ai colleghi, il
Consiglio pubblica ogni anno un libretto nel quale vengono descritte brevemente
i corsi, raggruppati per argomento. Ogni magistrato può indicare la propria
scelta di uno o più corsi (fino ad un massimo di quattro), entro un termine
fissato dal C.S.M. Spetterà poi alla Nona Commissione operare la selezione
degli aspiranti, nel caso il numero delle domande superi quello dei posti
disponibili.
Gli argomenti trattati sono
i più vari, dai settori più «tradizionali» (diritto civile, penale
amministrativo, procedura civile e penale) al diritto comunitario e
internazionale e comparato, all’ordinamento giudiziario, all’informatica
giuridica, ecc. Per citare solo alcuni dei titoli dei corsi organizzati negli
anni più recenti, si potranno menzionare quelli su «I sistemi giudiziari dei
paesi membri dell’U.E.», «I
procedimenti semplificati e accelerati nelle controversie civili ed
amministrative nei Paesi dell’Unione Europea», «Acquisizione e valutazione
della prova nei sistemi dei paesi dell’Unione Europea», «La formazione dei
formatori», «La discrezionalità del giudice», «Interposizione di persona e
simulazione nei contratti», «Il contenzioso bancario», «I bilanci delle
società», «Libera manifestazione del pensiero e protezione delle persone», «Le
biotecnologie e il diritto», «La sicurezza dei lavoratori», «La cooperazione
giudiziaria civile e penale: i problemi del linguaggio giuridico (francese e
inglese)», «Diritto e informatica: gli aspetti giuridici del commercio
elettronico», «Strategie di contrasto alla criminalità organizzata:modelli
organizzativi e prospettive di integrazione in ambito europeo», «Le nuove forme
delle attività di contrasto transfrontaliero del traffico internazionale di
stupefacenti», «Workshop in video-conferenza nei processi di criminalità
organizzata». Col passare del tempo il Consiglio ha poi attribuito sempre
maggior risalto alle attività interdisciplinari, sovente presentate sotto il
titolo «Società e questioni d’attualità».
Per ciò che riguarda le
formule pedagogiche seguite nella didattica, le attività si presentano sotto
forma di:
·
incontri di
studio (corsi che seguono il modello tradizionale delle conferenze
tenute da magistrati, professori, avvocati, notai, esperti in vari settori,
ecc. Seguite da discussioni aperte a tutti i partecipanti; i lavori possono
svolgersi anche in seno gruppi di studio, sotto la direzione d’un coordinatore,
cui spetta presentare successivamente i risultati del lavoro svolto in seno
alla discussione in forma «plenaria», che segue il lavoro svolto nei vari ateliers);
·
seminari di
pratica professionale (corsi di formazione rivolti soprattutto a magistrati
che esercitano un determinato tipo di funzioni omogenee o simili; il loro scopo
è quello di favorire un confronto di esperienze al fine di maturare una buona
preparazione tecnica volta a risolvere i problemi pratici posti dalla
professione);
·
laboratori (si tratta
di corsi a carattere sperimentale indirizzati a piccoli gruppi di lavoro che,
sotto la guida di un esperto, analizzano problemi specifici incontrati
nell’esercizio della professione);
·
giornate di
studio (corsi volti ad approfondire temi particolari, di solito in
seguito all’introduzione di riforme sostanziali o processuali: la loro durata è
solitamente di un giorno);
·
confronti (incontri
con magistrati o altri giuristi stranieri, tendenti a stimolare
l’approfondimento delle conoscenze di diritto comparato e trasnazionale,
soprattutto a livello europeo);
·
corsi
decentrati (sono quelli organizzati nell’ambito dell’attività di
formazione decentrata).
Proprio con riguardo a tale
ultimo aspetto, andrà ora aggiunto che una «nuova frontiera» della formazione
dei magistrati è costituita dalla formazione decentrata, sulla scia di quella formation
déconcentrée che Oltralpe ha avuto e continua ad avere tanto successo. Su
tale argomento il C.S.M. ha adottato il 26 novembre 1998 una risoluzione su
proposta della Nona Commissione. Lo scopo di tale iniziativa – successivamente
concretizzata tramite la delibera consigliare del 28 luglio 1999 – è quello di
favorire il contatto con le realtà locali così come di sviluppare le relazioni
con le università ed i locali consigli degli ordini degli avvocati. Allo stesso
tempo si cerca d’attirare la partecipazione di quei magistrati che, per ragioni
di distanza o di famiglia, si trovano nell’impossibilità di abbandonare la loro
sede per recarsi a Roma al fine di partecipare ad uno o più incontri in sede
centrale.
Ciò che va peraltro subito
chiarito è che tale attività non è certo concepita come alternativa rispetto
alla formazione che ha luogo a Roma, ma come meramente integrativa di
quest’ultima. L’organizzazione di queste iniziative è affidata ai Consigli
giudiziari e ad una rete di magistrati referenti per la formazione decentrata.
Questi magistrati sono nominati in numero di due, tre o quattro per distretto
di Corte d’appello, a seconda della consistenza dell’organico presente nel
distretto; il loro compito è quello di costituire una sorta di trait d’union
tra il C.S.M. e i Consigli giudiziari per l’organizzazione delle iniziative di
formazione a livello locale, nel campo sia della formazione iniziale, che di
quella permanente, che della c.d. «autoformazione» [68], che dei
corsi di «riconversione» per i magistrati che mutano funzioni, così come della
formazione dei giudici di pace e dei giudici onorari. Essi devono inoltre
assicurare la realizzazione di iniziative congiunte con le università e i
consigli degli ordini degli avvocati. I settori interessati sono soprattutto
quelli relativi alla materie «nuove» o meno praticate dai magistrati, quali il
diritto comunitario, l’informatica giuridica, la contabilità, la tecnica dei
bilanci, la scienza dell’amministrazione, il linguaggio giuridico, le lingue straniere,
ecc.
Tutti i magistrati delegati
alla formazione si riuniscono regolarmente (di solito una volta l’anno) durante
un corso organizzato dal C.S.M. sul tema «formazione dei formatori». Come si è
detto, il Consiglio ha costituito una rete di magistrati referenti, avvalendosi
anche degli strumenti informatici, mentre è prevista altresì l’istituzione
presso ogni Corte d’appello di un ufficio per i referenti della formazione
decentrata. Si pensa anche alla creazione di archivi informatici dei documenti
da porre a disposizione dei colleghi, così come alla creazione di appositi siti
web, mentre tali magistrati già si occupano della conservazione e della
messa a disposizione dei colleghi a livello locale del materiale didattico
proveniente dai corsi organizzati in sede centrale.
Tra le iniziative realizzate
dai referenti per la formazione in sede locale si potranno citare non solo
l’organizzazione di seminari e conferenze, ma anche la creazione di una rete di
«pronto soccorso», costituita da magistrati che offrono la loro disponibilità
per aiutare, telefonicamente o via e-mail, tutti i colleghi che
intendano chiedere informazioni per la soluzione di problemi immediati e
urgenti [69]. I
referenti organizzano anche un servizio di informazioni circa la sorte subita in
sede d’appello dalle decisioni emesse in primo grado, di modo che ogni giudice
del tribunale possa conoscere l’esito in secondo grado dei procedimenti da lui
decisi. L’attività dispiegata dai referenti è pubblicata tramite un servizio
d’informazioni periodico sulle iniziative in calendario. Per ciò che attiene al
profilo finanziario, tutte queste attività sono di solito a carico delle
rispettive Corti d’appello.
* Testo della relazione
presentata al Convegno sul tema «Verso l’Unione Europea della giustizia – Zur
europäischen Union der Justiz» organizzato dal Goethe Institut di
Torino in collaborazione con il Deutscher Richterbund e l’Associazione
Nazionale Magistrati, svoltosi a Torino nei giorni 8-9 novembre 2002. I links
alle pagine web citate sono stati verificati in data 2 ottobre 2002. Il
lavoro è pubblicato in forma ipertestuale nel sito dell’autore, all’indirizzo web
seguente:
[1] Sul tema della formazione
del giurista in generale e dell’avvocato in particolare cfr., tra i tanti
contributi (ovviamente, oltre a quelli che verranno citati infra, in
relazione a singoli profili), Pisani
Massamormile, La legge
professionale forense e l’esigenza di formazione dell’avvocato, in Giur.
it., 1990, IV, c. 1 ss.; Padoa
Schioppa, Per una riforma degli studi universitari di giurisprudenza
in Italia, in Foro it., 1991, V, c. 517 ss.; Consolo e Mazzarolli,
La formazione dell’avvocato. L’Università,
in Giur. it., 1993, IV, c. 381 ss.; Franchini,
La formazione professionale e
scientifica nell’Università, in Dir. e società, 1993, p. 363 ss.; Padoa Schioppa, Il modello dell’
insegnamento del diritto in Italia, in Foro it., 1995, V, c. 413
ss.; Spantigati, La formazione
del giurista strumentale alla costruzione del «sistema», in Pol. dir.,
1997, p. 125 ss.; Donati, Storicismo
e antistoricismo nella formazione del giurista, in Jus, 1998, p. 307
ss.; Mariani Marini, I
problemi irrisolti della formazione comune tra avvocati e magistrati, in Rass.
forense, 1998, p. 827 ss.; Padoa
Schioppa, Una formazione professionale unitaria per superare le
diffidenze tra le categorie, in Guida al Diritto, Il Sole 24 ore,
1998, n. 42, p.11, ss.; Alpa, L’accesso alla professione
forense: nuove prospettive per l’avvocatura, in Nuova giur. civ. comm.,
1999, II, p. 193 ss.; Dogliani e Sicardi, La riforma degli
ordinamenti didattici e il diritto costituzionale, in Quaderni costituz.,
1999, p. 563 ss.; Mariani Marini,
Una formazione a servizio dell’avvocatura per governare le trasformazioni in
atto, in Guida al Diritto, Il Sole 24 ore, 1999, n. 9, p. 11,
ss.; Mariani Marini, Tradizione e innovazione nella formazione
dell’avvocato, in Rass. forense, 1999, p. 47 ss.; Moccia, La formazione dell’«avvocato
europeo»: questioni e risposte di prospettiva, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1999, p. 567 ss.; Mariani
Marini, Agli antipodi dell’azzeccagarbugli (un modello formativo per l’avvocatura),
in Rass. forense, 2000, p. 501 ss.; Fragola, Prime riflessioni sulle
nuove lauree universitarie, in Riv. giur. scuola, 2001, p. 3 ss.; Pascuzzi, La formazione del
giurista: il ruolo dell’informatica, in Dir. e formazione, 2002, p.
287 ss.; Danovi, Le iniziative
del C.C.B.E. per la formazione dell’avvocato in Europa: analisi e proposte,
in Dir. e formazione, 2002, p. 293 ss.; Ranieri, Giuristi per l’Europa: come fare e come non fare
una riforma degli studi di diritto in Italia, disponibile al sito web
seguente:
http://www.jura.uni-sb.de/projekte/Bibliothek/texte/Ranieri3.html#fnB1.
Per una panoramica sulla legal education oltre Oceano cfr. Levine, Legal Education, New York, 1993; v. inoltre la ricca bibliografia di cui alla pagina web seguente: http://www.wvu.edu/~lawfac/jelkins/orientation/biblio.html.
Sulla questione specifica della comparazione tra il sistema italiano e quello tedesco di formazione e di tirocinio professionale dei giuristi v. infine l’interessante e sempre attuale studio di Cappelletti, Studio del diritto e tirocinio professionale in Italia e Germania, Milano, 1957.
[2] «In mente iudicis debent
esse duo sales, scilicet sal scientiae, alias est insipida et sal securae
conscientiae, alias est diabolica» (Baldo
degli Ubaldi, Commentaria in vj,
vjj, vjj, vjjj, jx, x et xj Codicis lib., Venetiis,
[3] ab Ecclesia, Observationes forenses Sacri Senatus Pedemontani, I, Parmae, 1727, p. 2 (ma sulla possibilità che il giudice fosse imperitus v. De Luca, Theatrum veritatis et justitiae, XV, De judiciis, Venetiis, 1706, p. 205, secondo cui «Juris imperitus Judex esse non prohibetur; sub ea tamen lege, ut jurisperitum in consiliarium assumat, vel assessorem»).
[4] Domat, Le
droit public, suite des loix civiles dans leur ordre naturel, in Les
loix civiles dans leurs ordre naturel, II, Paris, 1756, p. 167.
[5] L’âne portant des reliques.
[6] L’affermazione precede di oltre due secoli quella di Lord Denning,
secondo cui «The law is a science that requires long study and experience
before a man attains proficiency in it» (Lord A. Denning, The Road to
Justice, London, 1955, p. 24).
[7] «L’essentiel est de vous former d’abord un plan général des études que
vous êtes sur le point d’entreprendre ; de suivre ce plan avec ordre et avec
fidélité, et sur-tout de ne point vous effrayer de son étendue. Ce n’est pas
ici l’ouvrage d’un jour, ni même d’une année ; mais quelque long qu’il puisse
être, si vous êtes exact à en exécuter tous les jours une partie, vous serez
comme ceux qui dans les travaux qu’ils font faire, suivent toujours un bon plan
sans jamais en changer. Comme ils ne perdent point de temps, ils mettent à
profit toute la dépense qu’ils font. Insensiblement l’édifice s’éleve, les
ouvrages s’avancent ; et quelque lent qu’en soit le progrès, on arrive toujours
à la fin qu’on se propose, pourvû que l’on marche constamment sur la même
ligne, et qu’on ne perde jamais de vûe le plan qu’on s’est une fois formé» (D’Aguesseau, Instructions sur les études propres à former un magistrat, in Œuvres de M. le Chancelier D’Aguesseau,
I, Paris, 1759, p. 258 ss.; il brano citato reca la data del 27 settembre
1716).
[8] Non è certo un caso che le Instructions
sur les études propres à former un magistrat fossero indirizzate al Fils
aîné del Cancelliere.
[9] «The prophecies of what the courts will do in fact, and nothing more pretentious, are what I mean by the law» (Holmes, Collected Legal Papers, 1921, p. 173; la frase citata risale al 1897). Holmes fu il capofila della scuola definita degli American Realists, per i quali il diritto sarebbe stato semplicemente «what the courts will do in fact» (sul punto v. Seagle, The Quest for Law, New York, 1941, p. 17 s., 376 s., nota 32; per una tesi analoga a quella di Holmes v. anche Cardozo, The Growth of the Law, New Haven, 1924, p. 43 ss.), posizione, questa, aspramente criticata, per esempio, da Hermann Kantorowicz, il quale umoristicamente osservava che, così stando le cose, la funzione delle facoltà giuridiche avrebbe dovuto essere quella «to train men like Mr. Sherlock Holmes rather than Mr. Justice Holmes» (Kantorowicz, in Yale Law Journal, Vol. XLIII, 1934, p. 1252; per una critica delle tesi di Holmes e di Cardozo v. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello stato, Milano, 1952, p. 171; sul tema cfr. anche Cordero, Riti e sapienza del diritto, Bari, 1985, p. 543 ss.; sui rapporti tra giurimetria e judicial predicting cfr. Taddei Elmi, Corso di informatica giuridica, Napoli, 2000, p. 11 s.).
[10] Si pensi a concetti quali
«buona fede», «diligenza», «ordine pubblico», «buon costume» (v. artt. 1175,
1176, 1343, 1375 c.c.; 1133 e 1134 Code Napoléon; §§ 138 e 242 BGB;
sul tema delle clausole generali v., anche per i rinvii, Mengoni, Problema e sistema nella
controversia sul metodo giuridico, in Diritto e valori, Bologna,
1985, p. 18 s.).
[11] Cfr. le Sections 21, 24 e 35 (1) del Matrimonial Causes Act
(1973). Su
questo tema specifico v. Salter e
Jeavons, Humphreys’ Matrimonial Causes, London, 1989, p. 246 ss. Nel senso
che la giurisprudenza tedesca interpreta il concetto di Treu und Glauben
di cui al § 242 come una norma che fornisce al giudice il potere di scoprire
lacune nella legge e di colmarle con il ricorso a giudizi di valore
extrapositivi cfr. Rüters, Die
unbegrenzte Auslegung. Zum Wandel der Privatrechtsordnung
im Nazionalsozialismus, Frankfurt a.M., 1973, p. 48
ss.
[12] «Aristoteles Peripateticae, ac communis
denique Philosophiae principes, Rhetoricorum primo scriptum reliquit: illas
leges optime constitutas esse, quae in omnibus, qui incidere possunt casibus
sancitae sunt: quaeque paucissima Iudicis arbitrio reliquerunt» (Menochio, op. cit., f. 1);
«Iudices tamen plerique tali arbitrio abutuntur ob id relinqui debet arbitrio
iudicis minus, quam sit possibile» (Cravetta,
op. cit., f. 110). Del resto, già Bartolo da Sassoferrato
osservava che il giudice «debet servare aequitatem in his, quae suo arbitrio
committuntur, in his vero, quae a lege sunt decisa debet legis decisionem
servare» (Bartolo da Sassoferrato,
Commentaria, VII, In Primam Codicis Partem, Venetiis,
[13]
«Il re vuole (...) che il linguaggio del magistrato sia il linguaggio delle
leggi, che egli parli allorché esse parlano e si taccia allorché esse non
parlano o almeno non parlano chiaro». Questo auspicio, espresso oltre due
secoli fa da Gaetano Filangieri (Filangieri,
Riflessioni politiche sull’ultima legge del nostro sovrano che riguarda
l’amministrazione della giustizia, in La scienza della legislazione e
gli opuscoli scelti, Livorno, 1826-1827, p. 350; Gaetano Filangieri, nato
nel 1752, morì nel 1788; La scienza della legislazione fu pubblicata tra
il 1780 e il 1785), non è che il riflesso dell’illusione – propria al secolo
dei Lumi – secondo cui un sistema complesso, quale quello delle moderne
legislazioni, potrebbe e dovrebbe esprimersi attraverso leggi sempre chiare,
semplici e comprensibili da parte di ogni cittadino. Tra i tanti esempi v. Beccaria, Dei delitti e delle pene,
IV, Interpretazione Delle Leggi (in Beccaria,
Dei delitti e delle pene, a cura di Piero Calamandrei, Firenze, 1945, p.
174 ss.; l’opera venne pubblicata per la prima volta nel 1764): «In ogni
delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto; la [premessa] maggiore
dev’essere la legge generale; la minore, l’azione conforme, o no, alla legge;
la conseguenza, la libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia
fare anche soli due sillogismi, si apre la porta all’incertezza. Non v’è cosa
più pericolosa di quell’assioma comune, che bisogna consultare lo spirito della
legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni. Questa verità, che
sembra un paradosso alle menti volgari, più percosse da un picciol disordine
presente, che dalle funeste ma rimote conseguenze che nascono da un falso
principio radicato in una nazione, mi sembra dimostrata. (…) Un disordine che
nasce dalla rigorosa osservanza della lettera di una legge penale, non è da
mettersi in confronto co’ disordini che nascono dalla interpretazione. Un tale
momentaneo inconveniente spinge a fare la facile e necessaria correzione alle
parole della legge, che sono la cagione dell’incertezza; ma impedisce la fatale
licenza di ragionare, da cui nascono le arbitrarie e venali controversie.
Quando un codice fisso di leggi, che si debbono osservare alla lettera, non
lascia al giudice altra incombenza, che di esaminare le azioni de’ cittadini, e
giudicarle conformi o difformi alla legge scritta; quando la norma del giusto o
dell’ingiusto, che deve diriger le azioni sì del cittadino ignorante, come del
cittadino filosofo, non è un affare di controversia, ma di fatto: allora i
sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie di molti, tanto più crudeli,
quanto è minore la distanza fra chi soffre e chi fa soffrire (…). Così
acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi, che è la giusta, perché
è lo scopo per cui gli uomini stanno in società» (sul
tema qui in discussione v. inoltre G. Zagrebelsky, Ordinamenti giuridici pluralistici ed applicazione automatica della
legge, in Informatica e attività
giuridica, Atti del 5° Congresso Internazionale, a cura di Fanelli e Giannantonio,
Roma, 3-7 maggio 1993, I, Roma, 1994, p. 273 ss.; Id., Il diritto mite,
Torino, 1992, p. 20 ss.; sull’argomento della discrezionalità del giudice e dei
suoi rapporti con le fonti normative cfr. Barak,
Judicial Discretion, ed. italiana dal titolo La discrezionalità del
giudice, Milano, 1995, passim).
[14]
Se i giudici di merito, invero, fossero autorizzati ad astenersi dall’emettere
il proprio giudizio per via dell’oscurità della legge applicabile, sarebbero sollevati
da gran parte del loro lavoro; i magistrati della Corte di cassazione, dal
canto loro, rischierebbero di trovarsi puramente e semplicemente… disoccupati.
Sarà interessante rimarcare come questa consapevolezza fosse già chiaramente
espressa in svariate opere degli antichi civilisti e canonisti; si veda al
riguardo cosa osserva, per esempio, Prospero Fagnani (Fagnani, De opinione probabili, Romae, 1665, p. 167
s.): «ubi sunt opiniones discordes, Iudex tenetur sequi communem (…) rursus in
dubiis praeferendum quod benignius est, quod verisimilius, quod plerumque fieri
solet. l. Semper in dubiis, l. In obscuris, et l. Quoties idem, ff. De regu.
iur. Et quamplures aliae his
consimiles, quae compendiose recensentur a Matth. Matthesil. in d. opusc.
Electionis verioris opinionis inter tractatus communes. Sed huiusmodi regulae
funditus everterentur, et frustra legislatores in iis praescribendis tantopere
laborassent, si pro cuiusque abirtratu liceret sequi quamcumque opinionem
probabilem. Et tamen ut Ambros. ait in c. Iudicet, 3. qu. 7 [Bonus Iudex nihil
ex arbitrio suo facit, et domesticae proposito voluntatis, sed iuxta leges, et
iura pronunciat.] Quod adeo verum est, ut Matth. Matthesil. ubi sup. num. 10.
Si res prorsus ambigua sit, censeat aut Principem esse consulendum, aut omnino
abstinendum a consilio, et iudicio: sed
si omnino, inquit, sunt penitus paria, quod raro accidit, dimittas consulere
cum sigillo in tali dubio, et si sis Iudex, neutram opinionem sequaris». Proprio
per evitare tali conseguenze il Code Napoléon – dando prova d’un
realismo (o, se si preferisce, d’un cinismo) proprio di ogni moderna
legislazione – abbandonò su questo punto l’illusione del secolo che s’era
appena concluso, stabilendo solennemente che «Le juge qui refusera de juger, sous
prétexte du silence, de l’obscurité ou de l’insuffisance de la loi, pourra être
poursuivi comme coupable de déni de justice» (art. 4); sul tema si veda il
parere espresso da Portalis durante la seduta del Consiglio di Stato del 14
Termidoro anno IX sul Titolo preliminare del codice civile: «... le cours de la
justice serait interrompu, s’il n’était permis aux juges de prononcer que
lorsque la loi a parlé. Peu de
causes sont susceptibles d’être décidées d’après une loi, d’après un texte
précis : c’est par les principes généraux, par la doctrine, par la science du
droit, qu’on a toujours prononcé sur la plupart des contestations. Le Code
civil ne dispense pas de ces connaissances ; au contraire il les suppose» (cfr.
Jouanneau e Solon,
Discussions du Code civil dans le Conseil
d’Etat, I, Paris, 1805).
[15] «Wir wissen, daß nicht nur Generalklauseln, sondern eine Vielzahl von unbestimmten Rechtsbegriffen die eigentliche Normsetzung auf den Richter
delegieren oder doch semantische
Spielräume eröffnen, die nicht nur die eine richtige Entscheidung erkennen lassen. Richterliches
Entscheiden ist nicht nur Erkenntnis, sondern immer auch Rechtsgewinnung» (Limbach, »In Namen des Volkes« - Richterethos in der Demokratie, in Deutsche Richterzeitung, 1995, p. 428).
[16] Il testo inglese è
disponibile al seguente sito web: http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/h_comp50.htm;
quello francese è disponibile al
seguente sito web: http://www.unhchr.ch/french/html/menu3/b/h_comp50_fr.htm.
[17] Il testo inglese è
disponibile al seguente sito web: http://cm.coe.int/ta/rec/1994/94r12.htm;
quello francese è disponibile al
seguente sito web: http://cm.coe.int/ta/rec/1994/f94r12.htm.
[18] Il testo inglese è
disponibile al seguente sito web:
http://www.legal.coe.int/legalprof/Default.asp?fd=general&fn=CharterJudgesE.htm;
quello francese è disponibile al
seguente sito web: http://www.legal.coe.int/legalprof/DefaultF.asp.
[19] Per informazioni e rinvii
sulla cooperazione civile cfr. Oberto,
Schema ipertestuale di una relazione sul tema: La cooperazione
giudiziaria in materia civile nell’ambito dei paesi dell’Unione Europea. La rete europea di
formazione giudiziaria, dal 4 luglio 2002 al seguente sito web:
https://www.giacomooberto.com/csm/uditori/cooperazionecivile.htm.
[20] Una scheda preparata dal
Ministero della giustizia francese al riguardo precisa obiettivi e metodi di
lavoro per la realizzazione di tale iniziativa, che si sarebbe dovuta attuare
tramite una decisione del Consiglio; la scheda è disponibile al sito web
seguente:
http://www.justice.gouv.fr/europe/magisform.htm
La proposta e la relativa
nota esplicativa si possono leggere in italiano alle pagine web seguenti
(files formato .pdf):
http://www.europarl.eu.int/meetdocs/committees/libe/20020522/757000it.pdf
http://www.europarl.eu.int/meetdocs/committees/libe/20020522/132890it.pdf
Ulteriori informazioni sulla
proposta francese sono reperibili al sito web seguente:
http://www.europarl.eu.int/meetdocs/committees/juri/20020513/460592it.pdf.
[21] Su cui cfr. le informazioni
alla pagina web seguente: http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/l14014.htm.
[22] Il cui programma può essere
consultato alla pagina web seguente:
http://www.justice.gouv.fr/europe/semienm.htm;
ulteriori informazioni sono disponibili nel sito ufficiale dell’E.N.M. (http://www.enm.justice.fr/index.asp)
alla pagina web seguente:
http://www.enm.justice.fr/actualites/enminfo/enminfo.asp?numero=9&article=8.
[23]
Il testo di questo documento è consultabile in inglese e francese alle pagine web
seguenti: http://www.ejtn.net/english/a_statute.htm
e http://www.ejtn.net/francais/a.htm.
[24] Situato all’indirizzo
seguente: http://www.ejtn.net/.
[25] L’iniziativa francese, come
si diceva, è stata presentata al Consiglio dei ministri di Giustizia e affari
interni il 30 novembre 2000; diverse delegazioni manifestarono però in quella
circostanza alcune riserve. Il Parlamento europeo è stato consultato il 20
dicembre 2000.
Il relatore, pur
condividendo ampiamente i compiti e le attività previste della rete, ne ha
criticato soprattutto l’organizzazione interna così come figura nell’iniziativa
francese.
In particolare il relatore
ha criticato:
a)
La base giuridica: sul punto il relatore ha rilevato che l’iniziativa francese
poggia sul disposto combinato degli articoli 31 e 34, paragrafo 2c del trattato
UE e riguarda pertanto esclusivamente il settore del diritto penale, mentre
appare ragionevole introdurre un coordinamento della formazione professionale
non soltanto nell’ambito del diritto penale, ma anche in quello del diritto
civile.
b)
L’assegnazione del segretariato generale alla Commissione: il relatore ha
rimarcato che, data la delicatezza dei loro compiti, occorre consentire, specie
ai giudici, di lavorare nell’indipendenza. Ciò è possibile solo se
c)
La nomina del segretario generale da parte della Commissione.
d)
La composizione del comitato direttivo, ritenuto troppo
ampio; ad avviso del relatore sarebbe sufficiente che ogni Stato membro
inviasse un suo rappresentante. Inoltre, sempre per il relatore, non è chiaro
per quale motivo di questo comitato direttivo debba far parte anche un
rappresentante del Consiglio d’Europa.
e)
L’attribuzione della presidenza a un rappresentante del paese che ha la
presidenza al Consiglio, dal momento che la discontinuità che ne deriva nuoce a
un’effettiva cooperazione.
f)
L’istituzione di un comitato scientifico, ritenuta non necessaria, dal momento
che un responsabile per paese in seno al comitato direttivo assicura il
necessario know-how.
Per
tali motivi, il relatore ha presentato alla commissione per gli affari interni
del Parlamento, nell’aprile 2001, un progetto di relazione meramente tecnica in
cui ha proposto di respingere l’iniziativa francese. Allo stesso tempo ha
chiesto al comitato direttivo della rete di Bordeaux di procedere
all’elaborazione di una nuova proposta alternativa.
d)
Le prospettive future: la proposta del comitato direttivo della rete di
Bordeaux.
Il
comitato direttivo della rete di Bordeaux si è riunito a Parigi il 7 settembre 2001
e ha elaborato i seguenti punti, su cui è stata riscontrata l’intesa dei vari
membri nazionali:
«a) All members wish
to go on working together on the basis of the Bordeaux Charter for the near
future. La volonté de continuer
de travailler ensemble sur la base de
b)
The Network wishes to work on both civil and criminal matters. La volonté de travailler dans les domaines du droit civil
et pénal.
c)
The need for permanent dialogue with EU-institutions was established. Constat qu’il est nécessaire d’entretenir un dialogue
permanent avec les institutions européens.
d)
The Network wishes to choose and appoint its Secretary General who will
be answerable to the Network. Le
Réseau souhaite choisir son Secrétaire Général lequel sera responsable devant
lui.
e)
The Network needs funding, but it wishes to specify independently the
activities which are to be covered by its budget line. Le Réseau a besoin d’un financement et souhaite pouvoir
choisir de manière indépendante les actions qui seront financées par son
budget.
f)
The Network needs time to mature and members need to continue working
and thinking together on the drafting of a European instrument that would be the
best legal basis for the European Judicial Training Network. Le Réseau a besoin d’un temps de maturation, et ses
membres ont besoin de travailler réfléchir ensemble à l’élaboration d’un
instrument européen qui puisse être la meilleure base juridique pour le Réseau.
g)
The Steering Committee delegates ERA in its capacity as Secretariat
General, the École Nationale de
In
merito a tali ulteriori principi il relatore (sulla proposta francese) ha
rilevato quanto segue:
-
Il relatore auspica l’istituzione di due
reti separate rispettivamente per il diritto civile e il diritto penale (sulla
base degli articoli 65 e 67 del trattato CE e degli articoli 31 e 34 del
trattato UE), le quali tuttavia cooperano per quanto riguarda la totalità delle
questioni orizzontali e verticali e nel cui ambito siano rappresentati gli stessi
membri nazionali.
-
Gli organi della rete dovrebbero essere
l’Assemblea generale, il comitato direttivo e il segretariato generale.
-
Per garantire una certa indipendenza
della rete, tutte le scuole nazionali devono poter stabilire da sole la
composizione del segretariato generale.
-
Per quanto riguarda i finanziamenti, il
relatore è favorevole a un cofinanziamento da parte del bilancio comunitario,
ma ricorda tuttavia la necessità che venga assicurata l’indipendenza della
giustizia.
-
La progettata rete europea di formazione
giudiziaria sarà la prima forma di cooperazione strutturata nel settore della
formazione di magistrati (giudici e procuratori).
-
Nel settore della giustizia e degli
affari interni esistono a tutt’oggi le seguenti reti che non sono intercambiabili
con la presente proposta di coordinamento della formazione professionale nel
settore della giustizia:
1.
Rete giudiziaria europea (per gli affari
penali). Tale rete, istituita nel giugno
2.
Rete giudiziaria europea in materia
civile e commerciale. Questa rete è stata istituita sul modello della Rete
giudiziaria europea in materia penale, con decisione del Consiglio del 28
maggio 2001. Essa si occupa di diritto civile e commerciale.
3.
Accademia di polizia europea Si tratta di
una rete di organismi nazionali per la formazione di alti funzionari dei
servizi di polizia (decisione del Consiglio del 22 dicembre 2000).
4.
Rete europea per la prevenzione dei reati
(questa rete ha l’obiettivo di favorire e perfezionare le tecniche volte a
prevenire i reati in tutta l’UE).
Alla fine del 2001
Per
concludere, andrà osservato che, secondo le ultime informazioni disponibili in
rete, contenute nel documento di lavoro datato 1 febbraio 2002 del Parlamento
Europeo (pubblicato alla pagina web seguente:
http://www.europarl.eu.int/meetdocs/committees/juri/20020513/460592it.pdf),
il relatore, respinta la proposta francese nel suo complesso ha incaricato un gruppo
di esperti di elaborare una proposta alternativa. Sulla base di questa nuova
proposta,
http://www.europarl.eu.int/meetdocs/committees/libe/20020902/libe20020902.htm
e
http://www.europarl.eu.int/meetdocs/committees/libe/20020902/465697it.pdf
.
[26] Per informazioni cfr. il
sito web seguente: http://space.tin.it/edicola/goberto/.
[27] Per informazioni cfr. il
sito web seguente: http://www.iaj-uim.org/.
[28] Per informazioni cfr. il
sito web seguente: http://www.justiceintheworld.org.
[29] Per ulteriori informazioni
al riguardo cfr. Oberto, Recrutement
et formation des magistrats en Europe : une étude comparative, mongrafia in
corso di stampa per le Editions du Conseil de l’Europe, Strasbourg,
2002.
[30] Cfr. Oberto, Les enjeux de la formation des magistrats.
Organisation institutionnelle de la formation, in Riv. dir. priv., 1997, p. 214 ss.; dal 16 marzo 1997 l’articolo è
anche disponibile alla pagina web
seguente: http://juripole.univ-nancy2.fr/Magistrature/uim/formation.html; cfr. inoltre Oberto, Recrutement, formation et carrière des
magistrats en Italie, cit. Sulla formazione dei magistrati in Italia cfr. Consiglio Superiore Della Magistratura, Il magistrato: dal reclutamento alla formazione professionale.
Esperienze in Italia e nel mondo, in Quaderni
C.S.M., Roma, 1982; Viazzi, Il reclutamento e la formazione
professionale dei magistrati: una questione cruciale di politica istituzionale,
in Questione giustizia, 1984, p. 307
ss.; Di Federico, Preparazione professionale degli avvocati e
dei magistrati: discussione su una ipotesi di riforma, Padova, 1987; Parziale, Il reclutamento e la formazione professionale del magistrato, in Documenti giustizia, 1993, p. 1561 ss.;
Civinini, L’esperienza della formazione permanente nei lavori del C.S.M., in Documenti giustizia, 1997, c. 2543 ss.; Verardi, Il reclutamento e la formazione dei magistrati e degli avvocati, in
Questione giustizia, 1997, p. 91 s.; Oberto, Verardi e Viazzi, Il reclutamento e la formazione professionale dei magistrati in Italia
e in Europa, in AA. VV., L’esame di uditore giudiziario, Milano,
1997, p. 41 ss.; Verardi, Spunti per una storia della formazione dei
magistrati in Italia: dal tirocinio degli uditori alla formazione permanente,
relazione al seminario organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura
italiano sul tema «Formazione dei formatori», Roma, 21-23 giugno 1999; Verardi, Il C.S.M. e la formazione dei magistrati: verso una scuola o un mero
servizio di aggiornamento professionale?, in Questione giustizia, 1999, n. 2.
[31] Cfr. per esempio l’art. 33
della Costituzione italiana: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è
l’insegnamento. (...) Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie,
hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi
dello Stato» (v. inoltre l’art. 5 del Grundgesetz
tedesco, che, nel suo terzo comma, stabilisce quanto segue: «Kunst und
Wissenschaft, Forschung und Lehre sind frei. Die
Freiheit der Lehre entbindet nicht von der Treue zur Verfassung»).
[32] «Vagheggerei ancora
un’accademia – pur essa in una città di provincia – dove i magistrati
trascorressero il primo anno di nomina: sotto la guida di consiglieri o giudici
a riposo: addestramento di giuristi, ma anche (…) raffinamento di abito
esteriore, acquisto di consuetudini sociali» (A.C.
Jemolo, La magistratura:
constatazioni e proposte, in AA. VV.,
Per l’ordine giudiziario, Milano,
1946, p. 34).
[33] Per un approfondimento di
queste tematiche, che non è possibile effettuare nella presente sede, si fa
rinvio a Oberto, Recrutement
et formation des magistrats en Europe : une étude comparative, cit.
[34] Cfr. su questo aspetto Bonomo, L’indipendenza « interna » della magistratura, in AA. VV., L’indipendenza della giustizia, oggi. Judicial Independence, Today,
Liber amicorum in onore di Giovanni
E. Longo, Milano, 1999, p. 55 ss. Sulla separazione dei poteri e
sull’impossibilità di applicare alla magistratura il concetto di gerarchia
proprio degli organi amministrativi cfr. Kelsen,
op. cit., p. 274 ss., 280.
[35] Testo disponibile al sito web
seguente: http://www.senato.it/leg/13/BGT/Testi/Ddlpres/00003292.htm.
Esso riprende il contenuto del progetto di legge 2018/C presentato nel 1995
durante
http://www.parlamento.it/app/ricerca/sddl.asp?style=Avanzata.
[36] Sul C.S.M. cfr., tra i
tanti, Santosuosso, Il Consiglio superiore della magistratura,
Milano, 1958; Bartole, Autonomia e indipendenza dell’ordine
giudiziario, Padova, 1964, p. 4 ss.; Volpe,
Ordinamento giudiziario generale, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano,
1980, p. 836 ss.; Guarnieri, L’indipendenza della magistratura,
Padova, 1981; Bonifacio e Giacobbe, La magistratura, in Commentario della costituzione diretto
da G. Branca, Bologna, 1986, p. 76 ss.; Pizzorusso,
L’organizzazione della giustizia in
Italia, Torino, 1985, p. 38 ss.; G. Zagrebelksy,
Il potere normativo del Consiglio Superiore
della Magistratura, La giustizia tra
diritto e organizzazione, Torino, 1987, p. 183 ss.; Di Federico, «Lottizzazioni correntizie» e
«politicizzazione» del C.S.M.: quali rimedi?, in Quaderni costituzionali, 1990, X, n° 2, p. 279 ss.; G. Verde, L’amministrazione della giustizia fra Ministro e Consiglio Superiore,
Padova, 1990; Onida, La posizione costituzionale del Csm e i
rapporti con gli altri poteri, in Magistratura,
Csm e principi costituzionali, Bari, p. 17 ss.; Devoto, Governo
autonomo della magistratura e responsabilità politiche, in Cassazione penale, 1992, p. 2538 ss.; G.
Ferri, Il Consiglio Superiore della Magistratura e il suo Presidente,
Padova,
https://www.giacomooberto.com/zurigo/rapport.htm; Id., Judicial
Independence in Countries of Central and Eastern Europe: an « Italian
» Standpoint, disponibile alla seguente pagina web:
https://www.giacomooberto.com/prague/sommario.htm; Id., Legal Status of Judges
(Judicial
https://www.giacomooberto.com/kiev/report.htm; Id., Die Sicherung der richterlichen Unabhängigkeit in Italien unter besonderer Berücksichtigung
des Consiglio Superiore della
Magistratura und einer einheitlichen Besoldung aller Richter, disponibile alla seguente pagina web: https://www.giacomooberto.com/wien/vortrag.htm.
[37] Cfr. il d.p.r. 11 gennaio
1988, n. 116.
[38] Cfr il d.legisl. 28 luglio
1989, n. 272.
[39] Cfr. art. 16, d.l. 7
ottobre 1994, n. 571, conv. in l. 6 dicembre 1994, n. 673.
[40] Cfr. infra, n. 7.
[41] «Art. 3 (Tirocinio e
formazione degli uditori giudiziari ed aggiornamento professionale dei
magistrati)
1.
Nell’attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), il
Governo si attiene ai seguenti principï e criteri direttivi:
a)
prevedere l’istituzione presso la Corte di cassazione di una Scuola della
magistratura, struttura didattica stabilmente preposta all’organizzazione delle
attività di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari e di aggiornamento
professionale dei magistrati, che si avvalga delle esperienze e delle
professionalità dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di
cassazione, anche ai fini della progressione in carriera;
b)
prevedere che la Scuola della magistratura sia fornita di autonomia
organizzativa ed utilizzi personale dell’organico del Ministero della giustizia
ovvero comandato da altre amministrazioni con risorse finanziarie a carico del
bilancio dello stesso Ministero;
c)
prevedere che la Scuola della magistratura sia diretta da un Comitato composto
da due magistrati designati dal Primo Presidente della Corte di cassazione tra
i magistrati della Corte di cassazione, sentito il Procuratore Generale, e da
tre componenti, scelti tra avvocati con non meno di venti anni di esercizio
della professione, e magistrati con non meno di venti anni di servizio,
nominati dal Consiglio superiore della magistratura, di concerto con il
Ministro della giustizia, per quattro anni, nell’ambito di tutti i quali è
eletto un presidente;
d)
prevedere che nella programmazione dell’attività didattica, il Comitato
direttivo di cui alla lettera c) possa avvalersi delle proposte del Consiglio
superiore della magistratura, del Ministro della giustizia, del Consiglio
nazionale forense, dei Consigli giudiziari, del Consiglio direttivo della Corte
di cassazione e di quelle dei componenti del Consiglio universitario nazionale
esperti in materie giuridiche;
e)
prevedere, presso la Scuola, la programmazione annuale di corsi per magistrati
di durata non superiore a due mesi, formulando i criteri generali per la
partecipazione ad essi da parte degli interessati;
f)
prevedere, compatibilmente alle comprovate e motivate esigenze organizzative e
funzionali degli uffici giudiziari, ed a richiesta dell’interessato, il diritto
del magistrato partecipante al corso di cui alla lettera e) ad un periodo di
congedo retribuito pari alla sua durata;
g)
stabilire che, al termine del corso, sia rilasciato un parere che contenga
elementi di verifica attitudinale, da inserire nel fascicolo personale del magistrato,
al fine di costituire elemento per le valutazioni operate dal Consiglio
superiore della Magistratura concernenti la progressione in carriera dei
magistrati, nonché i tramutamenti ed i conferimenti di incarichi direttivi e
semi-direttivi;
l)
prevedere che il magistrato, il quale abbia partecipato al corso di cui alla
lettera e) possa nuovamente parteciparvi trascorsi almeno tre anni;
m) prevedere che il parere di cui alla lettera g) abbia validità per un periodo non superiore ai sei anni».
[42] von Jhering, Serio e faceto nella giurisprudenza, ed.
ital., Firenze, 1954, Lettera V, Le proposte del giudice Volkmar per la
riforma degli studi giuridici e degli esami, p. 83 ss., 106 ss.
[43] Cfr. il parere del C.S.M.
sul d.d.l. citato, approvato nella seduta del 12 giugno 2002; cfr. inoltre Fucci, Quella proposta di riforma
che ignora i valori costituzionali, in Guida al diritto – Il Sole
24 ore, 2002, n. 15, p. 10.
[44] Su cui v. infra, n. 7 ss. per più ampi
dettagli.
[45] Su cui v. infra, n. 10 per più ampi dettagli.
[46] Cfr. il parere del C.S.M.
sul d.d.l. citato, approvato nella seduta del 12 giugno 2002.
[47] Per una critica di tale
grave lacuna del nostro sistema cfr. Oberto,
Les enjeux de la formation des
magistrats. Organisation institutionnelle de la formation, loc. cit.;
v. inoltre V.
Zagrebelsky, A proposito della formazione e dell’aggiornamento
professionale dei magistrati, dell’urgenza di istituire una scuola apposita e
di aprirla anche agli avvocati, in Studium
iuris, 1996, p. 395 ss.
[48] Su cui v. Consiglio Superiore Della Magistratura,
Relazione quadriennale sull’attività di formazione professionale (gennaio
1997-dicembre 2000), Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura,
n. 119, Roma, 2001, p. 221 ss.
[49] Il cui testo è disponibile al seguente sito web: http://www.giustizia.it/cassazione/leggi/dprlug_98.html.
[50] Su cui v. infra, n.
10.
[51] Ciò significa, in concreto,
che il primo classificato avrà dinanzi a sé la scelta tra tutti i posti
disponibili pubblicati sulla lista redatta dal C.S.M.; il secondo tutti quelli
rimanenti dopo la scelta operata dal primo, e così via sino all’ultimo
classificato, che dovrà accontentarsi dell’ultimo posto rimasto disponibile.
[52] Sul tema specifico della formazione
iniziale dei magistrati italiani cfr. Dovere,
L’identità dispersa: il tirocinio
ordinario come fase di orientamento dell’uditore giudiziario, in Documenti giustizia, 1997, c. 2521 ss.; Galeotti, Il tirocinio mirato, in Documenti
giustizia, 1997, c. 2513 ss.; Nannucci,
La formazione iniziale del magistrato. Il
ruolo del Consiglio giudiziario nella scelta dei magistrati collaboratori e dei
magistrati affidatari. I rapporti con il Consiglio giudiziario di destinazione,
in Documenti giustizia, 1997, c. 2495
ss.; Sabato, La nuova disciplina del tirocinio degli uditori giudiziari. Riflessioni
in vista dell’entrata in vigore del D.P.R. 17 luglio 1998, relazione
presentata all’incontro di studi organizzato dal C.S.M. sul tema «Formazione
dei formatori», Roma, 21-23 giugno 1999; Pilato,
La disciplina del tirocinio degli uditori giudiziari, relazione
presentata all’incontro di studi organizzato dal C.S.M. sul tema «Seconda
settimana di studio relativa al tirocinio ordinario nella materia ordinamentale
riservata agli uditori giudiziari nominati con D.M. 18.01.2002», Roma, 15-18
luglio 2002. Per un resoconto d’un certo interesse circa un’esperienza romana
nel campo della formazione iniziale cfr. Lazzaro,
Il tirocinio dei giovani magistrati
(Antiche prassi e innovazioni introdotte dalla « Commissione uditori giudiziari
» presso la Corte d’appello di Roma), in Documenti giustizia, 1999, p. ss.
[53] Per ulteriori informazioni si rinvia al volume Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe : une étude comparative, cit.
[54] Si noti, per completare questo sommario quadro, che il numero dei candidati ammessi alle prove orale è sempre all’incirca uguale a quello dei posti messi a concorso.
[55] Sul tema cfr. Varano, Verso le scuole di specializzazione per le professioni legali, in Foro it., 1995, V, c. 68 ss.; Consolo e Mariconda, Quali nuovi
esami per avvocati e magistrati?, in Corr.
giur., 1997, p. 1245 ss.; Giordano,
Le scuole di specializzazione e il valore
della formazione comune, in Documenti
giustizia, 1997, c. 2529 ss.; Padoa
Schioppa, Prospettive per le
Scuole forensi, in Documenti
giustizia, 1997, c. 2487 ss.; Consiglio
Superiore Della Magistratura, Parere
del C.S.M. sullo schema di decreto legislativo concernente « modifica alla
disciplina del concorso per uditore giudiziario e scuola di specializzazione
per le professioni legali », in Giur.
it., 1998, p. 624 ss.; Dittrich,
Specializzazione e professioni legali, in Riv. del cons., 2000,
p. 54 ss.; Dondi, Il
regolamento istitutivo delle Scuole forensi. Rilievi minimi in tema di riforme
e di formazione delle professioni legali, in Dir. pen. e proc.,
2000, p. 803 ss.; Padoa Schioppa,
Quell’inevitabile scelta di equiparare la
frequenza all’abilitazione professionale, in Guida al diritto, 2000, n. 6, p. 57 ss.; Id., Scuole di
specializzazione: dimezzata la durata, in Guida al diritto, 2001, n. 11, p. 127 ss. In generale sul ruolo
delle università nella formazione dei magistrati cfr. Serio, Note su
«L’università e la formazione dei giudici», in Riv. dir. civ., 2000, p. 631 ss.
[56] Cfr. il decreto del
Ministro per l’università e la ricerca scientifica e tecnologica in data 3
novembre 1999, n. 509, in G.U. 4
gennaio 2000, n. 2. Su questo argomento cfr. Mariani
Marini, Par condicio alle scuole
forensi nei nuovi ordinamenti universitari, in Guida al diritto, 2001, n. 7, p. 11 ss.
[57] Su questi temi cfr. Padoa Schioppa, Scuole di specializzazione: dimezzata la durata, cit.
[58] Il provvedimento è consultabile al seguente sito web:
[59] Cappelletti, op. cit., p. 125.
[60] Cappelletti, op. cit.,
p. 82; per
analoghe considerazioni cfr. Bigiavi,
La riforma degli studi giuridici in Francia, in Riv.
dir. civ., 1956, p. 131, il quale rilevava che «Gli studi giuridici così come
sono ora congegnati, almeno da noi e in Francia (anche ora), non vanno
assolutamente: la lezione cattedratica serve molto poco, tant’è vero che la
gran massa degli studenti non la ascolta (…). Alle lezioni cattedratiche si
sostituiscano le esercitazioni di seminario, a piccoli gruppi (…); e si imponga
rigorosamente la frequenza (…). Solo in tal modo gli studi giuridici universitari
diventeranno una cosa seria e difficile e pesante (e tali devono essere). Così,
fra l’altro, a poco a poco il numero degli avvocati diminuirà».
[61] Per informazioni relative
alla Scuola torinese v. il sito web seguente: http://www.professionilegali.unito.it/.
[62] Cfr. la circolare in data
22 febbraio 2002 del C.S.M. Si è già detto (cfr. supra, n. 2) che la
formazione costituisce preciso dovere etico del magistrato italiano (cfr. art.
3 del codice
etico della magistratura ordinaria), oltre che un «diritto» del magistrato europeo,
secondo quanto stabilito dai principi III, 1. a., nonché V, 3. G. della
Raccomandazione n° R (94) 12 del
Consiglio d’Europa sull’indipendenza, l’efficienza e il ruolo dei giudici (per
un’espressa previsione normativa straniera cfr. la già ricordata legge francese n° 92-189 del 25
febbraio 1992, che è venuta a sancire un vero e proprio droit à la formation). Se ciò è vero,
costituisce preciso dovere deontologico dei magistrati italiani pure la fattiva
collaborazione all’attività di formazione, tanto continua, che iniziale, che
preliminare. Ciò è tanto più certo in relazione a quelle attività di docenza
per le quali sia la legge stessa a prevedere ed imporre l’intervento (assieme
ad altri professionisti del settore legale) di magistrati. Non mi sembra
pertanto fuori luogo proporre al C.S.M. uno sforzo interpretativo della
normativa in materia di incarichi extragiudiziari, tale da indurre a
riconoscere il carattere giudiziario degli incarichi in oggetto, con
conseguente esclusione di qualsiasi necessità di autorizzazione. Ciò che
potrebbe, al limite, immaginarsi, sarebbe una sorta di «presa d’atto», da parte
però non già della seconda commissione, bensì della nona, competente in materia
di formazione. In questo quadro si potrebbe anche immaginare l’istituzione di
un vero e proprio servizio di assistenza e coordinamento per i magistrati
coinvolti a qualunque titolo (membri dei consigli direttivi, docenti, tutors,
responsabili di stages) nella formazione preconcorsuale, magari nel
quadro di un osservatorio sulle scuole di perfezionamento. Solo a questa
condizione mi pare opportuna la costituzione, per l’appunto, di un osservatorio
presso il C.S.M. sulle Scuole di perfezionamento per le professioni legali,
organo che altrimenti andrebbe ad aggravare il già sin troppo complesso
intreccio di «lacci e lacciuoli» che rischiano di soffocare sul nascere la
nascente formazione preconcorsuale e «comune» dei magistrati, a tutto vantaggio
– si badi – di forme ben più «snelle» di istituti di formazione privati, che,
una volta constatato il fallimento di quelle pubbliche, ben potrebbero avanzare
pretese di riconoscimento a livello normativo.
[63] Cfr. la citata circolare 22
febbraio 2002, che concede ai magistrati membri dei consigli direttivi la sola
possibilità di erogare nove ore di insegnamento l’anno presso la propria
Scuola, imponendo altresì un quanto mai fantasioso divieto d’insegnamento
presso tutte le altre Scuole (del Regno… si suppone).
[64] Assai più opportuno
apparirebbe, semmai, trovare il modo di coordinare l’attività delle Scuole con
le iniziative dei referenti in sede locale per la formazione (cui fa, è vero,
richiamo la risoluzione del 21 novembre 2001 del C.S.M., ma con riferimento al
solo profilo delle convenzioni concluse con gli uffici giudiziari), e, in sede
centrale, con la nona commissione, competente in tema di formazione.
[65] Più esattamente dall’inizio
del 1994 alla fine del 1996.
[66] Ovviamente all’epoca non esistevano ancora le Scuole di specializzazione per le professioni legali.
[67] Erano stati 1.240 nel 1993,
539 nel 1992, 2.096 nel 1994, 2.412 nel 1995 e 2.500 nel 1996. Impressionante
pure la crescita del numero delle domande di partecipazione: 15.171 nel 1997,
16.351 nel 1998, 16.430 nel 1999 e 18.355 nel 2000 (vari dati statistici al
riguardo sono reperibili in Consiglio
Superiore Della Magistratura, Relazione quadriennale sull’attività di
formazione professionale (gennaio 1997-dicembre 2000), cit., p. 75 ss.).
[68] Inutile dire che questo settore,
da sempre negletto, è ancora tutto da esplorare, pur costituendo uno degli
aspetti più rilevanti della formazione di un magistrato: basti pensare che al
riguardo la legislazione vigente non prevede alcuna forma d’aiuto né di
incentivo e che le voci che di tanto in tanto si levano al fine di ottenere,
quanto meno, forme di deduzione fiscale per l’acquisto di libri, di CD-ROM o
DVD contenenti banche dati giuridiche, o per l’accesso alle banche dati
giuridiche on-line su Internet, ecc.,
continuano ad essere puramente e semplicemente ignorate.
[69] In generale, sulle
questioni attinenti alla formazione permanente dei magistrati cfr. Consiglio Superiore Della Magistratura,
Il magistrato: dal reclutamento alla formazione
professionale. Esperienze in Italia e nel mondo, Quaderni C.S.M., Roma, 1982; Viazzi,
Il reclutamento e la formazione
professionale dei magistrati: una questione cruciale di politica istituzionale,
cit., p. 307 ss.; Di Federico, Preparazione professionale degli avvocati e
dei magistrati: discussione su una ipotesi di riforma, cit.; Parziale, Il reclutamento e la formazione professionale del magistrato, cit.,
p. 1561 ss.; Civinini, L’esperienza della formazione permanente nei
lavori del C.S.M., cit., c. 2543 ss.; Verardi,
Il reclutamento e la formazione dei
magistrati e degli avvocati, cit., p. 91 ss.; Oberto, Verardi et Viazzi,
Il reclutamento e la formazione
professionale dei magistrati in Italia e in Europa, cit., p. 41 ss.; Oberto, Les enjeux de la formation des magistrats. Organisation
institutionnelle de la formation, cit.; Verardi,
Spunti per una storia della formazione
dei magistrati in Italia: dal tirocinio degli uditori alla formazione
permanente, cit.; Verardi, Il C.S.M. e la formazione dei magistrati:
verso una scuola o un mero servizio di aggiornamento professionale?, cit.; Oberto, Recrutement et formation des
magistrats en Europe : une étude comparative, cit.; Consiglio Superiore Della Magistratura, Relazione
quadriennale sull’attività di formazione professionale (gennaio 1997-dicembre
2000), passim.