Sez. U, Ordinanza n. 11526
del 24/07/2003 (Rv.
565426)
Presidente: Grieco A.
Estensore: Luccioli MG. P.M. Uccella F. (Conf.)
Massima:
«L’art. 5, n. 2, della Convenzione di
Bruxelles del 27 settembre 1968 - ratificata e resa esecutiva in Italia con
legge 21 giugno 1971, n. 804 -, il quale, in "materia di obbligazione
alimentare" (da
intendere in senso ampio, comprensivo dei diversi istituti della obbligazione
di mantenimento e di quella di alimenti previsti nel nostro ordinamento),
fissa, in deroga al criterio generale del domicilio del convenuto, la
competenza complementare e suppletiva del giudice del luogo in cui il creditore
di alimenti ha il domicilio o la residenza abituale, va interpretato (in
conformità alla sentenza della Corte di giustizia 20 marzo 1997, in causa C -
295/95) nel senso che il criterio in esso indicato è utilizzabile soltanto dal
creditore, in una prospettiva di maggiore tutela del soggetto debole del
rapporto».
Nella specie, di fronte ad una domanda di
modifica dell’assegno divorzile nei confronti del figlio, maggiorenne ma non
autosufficiente, ex art. 9 l.div., avanzata dal padre contro la ex moglie ed il
figlio, la Corte ha ritenuto la sussistenza della giurisdizione del giudice
italiano, posto che, pur essendo il figlio domiciliato in Francia, la madre,
convenuta con il figlio, era domiciliata in Italia. Dunque la giurisd. italiana
andava negata ex art. 5, posto che di tale norma può valersi solo il creditore
e non il debitore di alimenti (uno dei due creditori era domiciliato in Francia
e l’altra in Italia), mentre doveva trovare applicazione l’art. 6, sul cumulo
soggettivo:
«Ai fini della corretta individuazione,
tra quelli enunciati dagli artt. 5 e ss. della Convenzione, di un criterio di
collegamento idoneo a derogare al criterio generale del domicilio del convenuto,
va ritenuta l’inapplicabilità
nella specie del punto 2 prima parte dell’art. 5, il quale in materia di
obbligazione alimentare fissa la competenza complementare e suppletiva del
giudice del luogo del domicilio o della residenza abituale del creditore di
alimenti, trattandosi di criterio utilizzabile soltanto dal creditore, in una
prospettiva di maggiore tutela del soggetto debole del rapporto (v. sul
punto Corte di Giustizia 20 marzo 1997, C-295/95). Deve essere parimenti esclusa l’utilizzabilità del
criterio di cui alla seconda parte dello stesso punto 2 dell’art. 5, atteso che
l’autonomia riconosciuta dal nostro ordinamento alla domanda di revisione
rispetto al precedente giudizio di separazione o di divorzio (v. sul punto
Cass. 1984 n. 3721; 1982 n. 6833) non consente la sua qualificazione come
domanda accessoria ad un’azione di stato delle persone.
Soccorre,
invece, il criterio di cui all’art. 6 n. 1, secondo il quale, in caso di pluralità di convenuti, il convenuto domiciliato nel territorio
di uno Stato contraente può essere citato dinanzi al giudice nella cui
circoscrizione è situato il domicilio di uno di essi. Tale disposizione
ha riguardo, come è noto, all’ipotesi del cumulo soggettivo, in ordine alla
quale l’art. 33 c.p.c. consente la proposizione di domande contro più persone
che a norma degli artt. 18 e 19 c.p.c. dovrebbero essere proposte dinanzi a
giudici diversi, davanti al giudice del luogo di residenza o di domicilio di
una di esse, se si tratta di domande connesse per l’oggetto o per il titolo,
per essere decise nello stesso processo (v. sul punto S.U. 1990 n. 7935). La
Corte di Giustizia con la pronuncia 27 settembre 1988, C- 189/87 ha chiarito
che il criterio di cui alla disposizione in esame soccorre se le varie domande
promosse da uno stesso attore nei confronti di più convenuti hanno tra loro un
vincolo di connessione tale da rendere opportuna un’unica trattazione e
decisione, onde evitare soluzioni che potrebbero essere tra loro incompatibili
se le cause fossero decise separatamente. Appare del tutto privo di fondamento
l’assunto del ricorrente secondo il quale tale disposizione sarebbe, nella
specie, inapplicabile per essere egli l’unico effettivo creditore dell’obbligazione
di mantenimento: va, al contrario, rilevato che la sentenza della Corte di
Appello di Milano in data 17 giugno - 28 luglio 1988, quale Giuseppe Turco
Liveri ha invocato la revisione, aveva liquidato il maggiore assegno soltanto
in favore della Viale, quale soggetto legittimato ad ottenere iure proprio da
parte dell’ex coniuge il contributo per il mantenimento del figlio, pur
divenuto maggiorenne, con lei convivente. Con tale pronuncia era stato
puntualmente recepito il consolidato orientamento di questa Suprema Corte
secondo il quale il genitore già affidatario il quale continui a provvedere
direttamente ed integralmente al mantenimento dei figli divenuti maggiorenni e
non ancora economicamente autosufficienti resta legittimato non solo ad
ottenere iure proprio, e non già ex capite filiorum, il rimborso di quanto da
lui anticipato a titolo di contributo dovuto dall’altro genitore, ma anche a
pretendere detto contributo per il mantenimento futuro dei figli stessi (v.,
tra le altre, Cass. 2002 n. 4765; 2001 n. 2289; 1999 n. 9386; 1999 n. 1353;
1998 n. 8868; 1998 n. 6950; 1996 n. 9238; 1994 n. 6215; 1994 n. 3049; 1992 n.
3019; 1990 n. 7211; 1990 n. 1506; 1984 n. 3115; 1982 n. 5271; 1981 n. 5874;
1981 n. 3416). Va peraltro, considerato che, secondo quanto risulta dalla
sentenza della Corte di Appello di Milano innanzi richiamata, nel precedente
giudizio di revisione promosso dalla Viale al fine di ottenere l’aumento dell’assegno
per il mantenimento del figlio quest’ultimo era intervenuto in causa aderendo
alla domanda della madre, e quindi; non ponendo affatto in discussione, ma anzi
riconoscendo, la piena legittimazione della stessa. Con tale intervento Roberto
Turco Liveri, pur non esprimendo una autonoma posizione in relazione alla
pretesa azionata, aveva certamente assunto una iniziativa processuale
rilevante, anche se derivata da quella della madre, tale da indurre il padre ad
instaurare il successivo giudizio di revisione nei confronti di entrambi e da
determinare, quindi, una situazione di cumulo soggettivo riconducibile alla
previsione di cui all’art. 6 n. 1 della Convenzione. Sulla base di tali rilievi
si profilano chiaramente ininfluenti le diffuse argomentazioni svolte dal
ricorrente al fine di dimostrare il proprio domicilio in Francia, così come si
rivelano del tutto irrilevanti le questioni di costituzionalità proposte e
quelle interpretative delle quali ha sollecitato la devoluzione alla Corte di
Giustizia, in quanto non inerenti al criterio di collegamento internazionale
ravvisato, da solo sufficiente ai fini del riconoscimento della giurisdizione
italiana. Deve essere pertanto, dichiarata la giurisdizione del giudice
italiano. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese processuali, non avendo svolto
la parte intimata attività difensiva».