I PRECEDENTI STORICI
NELLE CONVENZIONI
MATRIMONIALI
«In hisce pactis totum facit voluntas
contrahentium: atque adeo sola voluntas contrahentium spectatur et observatur
semper». Cuiacio, In librum XXXV. Pauli
ad edictum commentarii, seu recitationes solemnes. Anno |
Sommario: 1.
Considerazioni generali. – 2. Istituzioni e sostituzioni contrattuali per contrat de
mariage. – 3. Il
Code Napoléon e codici italiani.
1. Considerazioni generali.
Nel momento in cui il
Legislatore italiano, recependo la direttiva comunitaria in tema di commercio
elettronico, viene ad ammettere expressis verbis che anche il settore
del diritto di famiglia può contenere norme che disciplinano contratti[1], il tema dei rapporti tra
autonomia negoziale e diritto di famiglia sta conoscendo una stagione quanto
mai ricca di studi e contributi che, sul versante tanto dottrinale che
giurisprudenziale, vengono, con cadenza ormai quasi quotidiana, ad arricchire
un dibattito cui sono usualmente attribuite tutte le caratteristiche della
«modernità». Secondo un luogo comune piuttosto diffuso, invero, lo spazio oggi
concesso alla autonomia privata marcherebbe una stagione del tutto sconosciuta
nel corso dello sviluppo storico dei rapporti patrimoniali all’interno del
nucleo familiare, sempre dominati, sino a non molti anni or sono, dalla più
assoluta rigidità. In realtà, quest’ottica sembra cogliere solo l’ultimo
segmento della linea evolutiva delle relazioni familiari: quello che lo
scrivente ha in altra sede sintetizzato nello slogan «dalla concezione
istituzionale alla concezione costituzionale della famiglia» e che vede la
posizione espressa nel 1945 da Francesco Santoro-Passarelli contrapporsi – a
mo’ di frattura quasi epocale – a quella combattivamente propugnata, già da
prima dell’avvento al potere del Fascismo, da Antonio Cicu[2].
A ben vedere, il richiamo ai principi della libertà
contrattuale nella materia in esame non costituisce una novità degli ultimi
decenni. Altrove si è già avuto modo di illustrare ampiamente i precedenti
storici in tema di accordi conclusi in sede (ovvero anche solo in vista) di una
possibile crisi coniugale[3]. Lasciando qui da parte
tale specifico profilo e concentrando l’attenzione sui rapporti tra coniugi nella
sola fase, per così dire, fisiologica della loro unione, sarà opportuno
rilevare come – avuto riguardo alle esperienze storiche che maggiormente hanno
influenzato in parte qua il diritto positivo attuale – già la tradizione
precodicistica francese abbia sempre enfatizzato con grande rilievo
l’appartenenza delle convenzioni matrimoniali al genus contrattuale, con
il conseguente assoluto rilievo dei principi di autonomia privata[4].
I trattatisti dell’epoca, invero, sottolineavano
coralmente e a più riprese che tali negozi erano susceptibles de toute
sortes de stipulations en faveur des mariez, et des leurs descendans, con
la conseguenza che le parti avrebbero potuto faire entrer dans leurs
contrats toutes sortes de clauses, con l’unico limite qu’elles n’ayent
rien de contraire aux bonnes mœurs[5]. Quanto sopra era del resto
codificato a chiare lettere anche da alcune consuetudini locali[6], sovente citate dagli
autori che, sul punto, preferivano non ricorrere all’autorità delle fonti
romane, sebbene in queste ultime non facessero difetto passi favorevoli al
riconoscimento di una vasta autonomia alle parti dei pacta nuptialia.
Una delle poche, cospicue, eccezioni rispetto a questa lettura in chiave
esclusivamente «gallicana» del principio di libertà contrattuale nelle
convenzioni matrimoniali era costituita dal Domat, il quale, dopo aver
rimarcato che i contratti di matrimonio non avrebbero presentato alcuna
differenza rispetto ai contratti tout court, se non per via del fatto di
essere sottoposti, quanto agli effetti, alla condizione implicita di
celebrazione delle nozze[7], rinveniva il fondamento
dell’autonomia negoziale dei contrats de mariage[8] in quella disposizione del
codice giustinianeo[9] che alcuni secoli prima
aveva indotto Bartolo ad esclamare: «Omnia pacta dotalia, quae non sunt contra
legem, serventur intacta»[10].
Anche al di là del Reno sia
i prepandettisti che i pandettisti sottolineavano la grande libertà concessa
alle parti ed il favore con cui la legge guardava alla regolamentazione
contrattuale dei rapporti patrimoniali tra coniugi[11], pur nell’ambito delle
limitazioni imposte dalla complessa disciplina dettata dalle fonti romane per
la dote[12]; ciò che aiuta a comprendere per quale
ragione la piena consapevolezza della natura contrattuale delle intese in
discorso fosse più facilmente rinvenibile nelle trattazioni maggiormente
influenzate dai diritti e dalle consuetudini locali, probabilmente anche sulla
scorta del fatto che diverse delle antiche codificazioni germaniche (si pensi,
per esempio, al Sachsenspiegel, allo Schwabenspiegel o al Deutschenspiegel)
riconoscevano un’ampia estensione agli accordi matrimoniali[13], anche in vista di un
eventuale divorzio[14].
Così, mentre una
costituzione dell’Elettore Augusto di Sassonia, risalente al 1572, stabiliva apertis
verbis – secondo quanto attestato da Carpzovius – la natura contrattuale
delle convenzioni matrimoniali[15], in Prussia il progetto del
«codice Federico» di Samuel von Cocceji proclamava che «le convenzioni
matrimoniali o contratti matrimoniali (…) hanno la stessa efficacia di tutte le
altre convenzioni; di conseguenza esse debbono essere eseguite, a meno che non
racchiudano clausole che potrebbero dare occasione ai coniugi di commettere
peccato, ovvero qualora la convenzione sia per altro motivo contraria ai buoni
costumi o alle leggi»[16], soggiungendo che «si potranno aggiungere ai contratti di
matrimonio patti o convenzioni particolari, sia in continenti che ex
intervallo»[17], mentre l’ALR del
1794 finì con il recepire in pieno tali regole in diversi dei suoi paragrafi[18].
In
effetti, come metteva bene in luce uno studioso alla fine del XIX secolo,
l’autonomia negoziale nei contratti di matrimonio – di contro alle limitazioni
imposte ai coniugi dal diritto romano alla regolamentazione dei reciproci
rapporti economici – aveva acquistato nel diritto comune tedesco pieno
riconoscimento[19]. Una volta operata
l’unificazione del diritto nazionale, tutti gli interpreti si affrettarono a
chiarire che la regola non poteva essere se non quella della Vertragsfreiheit:
significativa al riguardo la comparazione tra i diversi incipit con cui
un medesimo autorevolissimo scrittore (il Dernburg) interviene sulla stessa
materia, rispettivamente, prima e dopo la fatidica data del 1° gennaio 1900[20].
Ma, tornando alla più vicina
esperienza francese, va subito accennato alle clausole, ammissibili, di cui i
civilisti prenapoleonici ci hanno tramandato puntigliosi elenchi:
dall’esclusione del regime di communauté nelle regioni in cui esso era
previsto dalle coutumes come legale[21], alla stipula, viceversa,
di tale regime in quelle de droit écrit[22] in cui esso non era
contemplato[23]; dalle convenzioni
ampliative dell’usuale contenuto del regime legale, a quelle riduttive di
quest’ultimo[24], considerate valide
addirittura nel caso di attribuzione alla sposa di una quota inferiore – e di
molto – alla metà degli acquisti effettuati constante matrimonio[25]; dalla clausola contenente
la previsione di una futura liquidazione forfettaria alla moglie dei diritti
derivanti dalla comunione, a quella che legava l’instaurarsi del regime
comunitario alla condizione che la moglie sopravvivesse al marito e avesse dei
figli, o, ancora, a quella che prestabiliva il carattere personale di
determinati beni al di là delle eventuali norme consuetudinarie sul punto, e così
via[26], sino ad ammettere qualsiasi deroga alle
disposizioni tanto del diritto scritto che di quello consuetudinario, magari
anche – secondo quanto sostenuto da Bourjon – nella forma di una forma di vera
e propria optio juris per una coutume diversa da quella destinata
in base alle comuni regole a disciplinare il rapporto negoziale[27], e persino con l’ulteriore
effetto – ammesso dalla giurisprudenza del Parlamento di Parigi – di consentire
a coniugi residenti in Normandia (regione in cui la communauté era vietata
dalla coutume locale) di dar luogo al regime comunitario anche in
relazione a beni ivi situati, per il solo fatto di avere contratto matrimonio a
Parigi[28].
«Nous, après avoir pris
l’avis des Avocat et Procureur du Roi, et des Conseilliers de ce Siége, Avocats
et anciens Procureurs du Châtelet, attestons à Messieurs de
2. Istituzioni e sostituzioni
contrattuali per contrat de mariage.
La faveur des contrats de
mariage, a tal punto riconosciuta dall’ancién régime da
meritare nel celebre Dictionnaire del de Ferrière un’apposita voce,
distinta rispetto a quella consacrata ai contratti di matrimonio[33], arrivava persino a
consentire la stipula di patti altrimenti rigorosamente vietati. Già Molineo,
annotando l’art. 160 della coutume (ancienne) di Parigi aveva
chiarito che la nota regola consuetudinaria secondo cui «donner et retenir ne
vaut» n’a lieu en traicté de mariage[34], così esprimendo una communis
opinio, espressamente confermata da svariate coutumes[35], recepita pure nei
territori di diritto scritto[36] e sancita da diverse
decisioni dell’epoca[37].
A ciò s’aggiunga che il tradizionale
divieto romano delle istituzioni contrattuali d’erede, così come delle
anticipate rinunzie all’eredità[38], aveva subito in Francia
una deroga proprio in relazione al contratto di matrimonio: questa usance de
France de faire des heritiers par contracts de mariage derivava – come rilevato da Guy Coquille nel suo celebre
commentario alle coutumes di Nevers[39] – dall’antica legge salica,
«tenue pour loy, etiam que les Coustumes n’en ordonnent rien»[40]. La regola, avallata
dall’autorità di Cuiacio[41], era stata progressivamente
recepita «dans le Royaume, aussi bien pour les Provinces qui se regissent par
le Droit Civil, que pour celles qui ont leurs Coutûmes particulieres»[42], al punto che un famoso
arresto del Parlamento di Parigi in data 18 marzo 1625[43] si spinse ad avallare,
addirittura in pregiudizio dei figli, la clausola di un contrat de mariage
in forza del quale i coniugi avevano stabilito che, in caso di premorienza
della moglie, i suoi eredi nulla avrebbero potuto pretendere sulla communauté[44].
La ratio di una
deroga tanto rilevante – a dispetto di una serie di giustificazioni «di
facciata» sovente addotte in dottrina, quali il favor matrimonii,
l’indissolubilità del vincolo, il rilievo pubblicistico o, per converso,
esclusivamente privato degli interessi in gioco[45] – era evidente e talora
candidamente confessata dagli autori. «En France nous avons restrainct la
liberté de tester autant qu’il nous a esté possible, pour conserver le bien aux
familles, et par ce moyen maintenir la force et la grandeur de l’Estat»,
proclamava nelle sue Questions notables Le Prestre[46], mentre lo stesso Luigi XV
(o, forse, per suo tramite, il cancelliere D’Aguesseau), introducendo l’ordonnance
del 1747 sulle sostituzioni, lodava la prassi che aveva visto la volonté de
l’homme prendere la place de
Paradossalmente, proprio questo principio
così restrittivo della possibilità di disporre dei patrimoni favorì l’insorgere
di un’infinità di clausole che esaltavano l’autonomia privata, diligentemente
repertoriate in svariate opere principalmente rivolte alla classe notarile[47]. Si vennero così ad
ammettere istituzioni di persone non ancora nate, attribuzioni patrimoniali a
titolo gratuito non bisognose d’accettazione, patti successori, tanto
istitutivi che rinunciativi (con un particolare occhio di riguardo ai
maggiorascati), liberalità tra i futuri coniugi (purché effettuate in epoca
antecedente alle nozze)[48]. Significativi al riguardo
gli esempi portati da Pothier della rinunzia compiuta dalla figlia all’eredità
dei genitori che le costituiscono una dote in contratto di matrimonio e della
istituzione d’erede, per contrat de mariage, vuoi dell’altro coniuge,
vuoi del primogenito destinato a nascere dalle future nozze[49]. Lo stesso favor si
pose, del resto, alla base dell’art. XVII dell’ordonnance sulle
donazioni, emanata da Luigi XV nel febbraio 1731, secondo cui il divieto
stabilito dall’art. XV per il donante di disporre di beni non suoi all’epoca
della liberalità[50] subiva un’eccezione proprio
per il caso delle donazioni faites par contrat de mariage en faveur des
conjoints ou de leurs descendans, même par des collateraux ou par des étrangers.
Il citato provvedimento reale stabiliva espressamente che tali atti potessero
comprendere tant les biens à venir, que les biens présens, en tout ou en
partie[51], estendendosi ad
abbracciare effetti mortis causa, al punto da indurre i commentatori a
dire che i contratti di matrimonio participent en même tems à la nature des
Actes entre-vifs, et à celle des dispositions Testamentaires[52].
Ma
le regole di cui sopra non costituivano un’esclusiva della «cucina» francese.
Il favore nei confronti della regolamentazione preventiva dei rapporti mortis
causa in sede di contratto di matrimonio era un motivo ricorrente un po’
ovunque nell’Europa prerivoluzionaria. Per essa gli autori riuscirono a trovare
persino una giustificazione nelle fonti romane, ancorché non strettamente riferibili
a negozi mortis causa[53].
La
speciale attenzione al momento dello scioglimento per morte del matrimonio era
resa necessaria dal bisogno di coordinare il regime patrimoniale della
costituenda unione coniugale con eventuali fedecommessi e/o maggiorascati, da
un lato, e con l’inesistenza di una successione ex lege del coniuge superstite e (sovente) della prole di sesso
femminile dall’altro[54]. La tendenza, che aveva
cominciato a manifestarsi già a partire dall’alto medioevo[55], era divenuta vieppiù
evidente nell’età feudale e rinascimentale, raggiungendo il suo apogeo con
l’affermarsi – a partire dal secolo XVI – del metodo di trasmissione
«patrilineare indivisibile» della ricchezza, specie tra le famiglie nobili,
sistema che restò in auge sino a buona parte del secolo XVIII[56]. La lettura dei passi
riportati in nota[57] conferma che non solo
Oltralpe il contratto di matrimonio assunse il ruolo di una vera e propria
anticipata successione sul patrimonio familiare della figlia che passava a
nozze[58].
3. Il Code Napoléon e
codici italiani.
Non desta dunque stupore
che, sulla base delle cennate premesse, il principio di libertà contrattuale
nei contrats de mariage avesse assunto un rilievo tale da consentirgli
di superare intatto l’abrogazione dei fedecommessi, dei maggiorascati e della
trasmissione «patrilineare indivisibile» dei patrimoni. I lavori preparatori
del Code Napoléon dimostrano in maniera assai eloquente quanto la regola
fosse radicata: «Les contrats et même ceux qui contiennent les conventions
matrimoniales, sont des matières du droit privé. C’est à cet égard que les
parties doivent avoir la liberté la plus entière», proclamava il console
Cambacérès davanti al Conseil d’Etat[59]. Il concetto si pone alla
base dell’art. 1387 del Code, secondo cui «La loi ne régit l’association
conjugale quant aux biens, qu’à défaut de conventions spéciales, que les époux
peuvent faire comme ils le jugent à propos, pourvu qu’elles ne soient pas
contraires aux bonnes mœurs ni aux dispositions qui suivent». Aveva ragione,
dunque, il Laurent a rilevare che «Les auteurs du code (…) ont reproduit cette
disposition traditionnelle, de même qu’ils ont reproduit, dans tout le titre du
Contrat de mariage,
les règles que la tradition avait consacrées»[60].
La stessa ragione ci aiuta
ad inquadrare il principio che trova oggi la sua espressione nell’art. 160
c.c., erede di quell’art. 1388 Code Napoléon, il cui scopo era
semplicemente quello – di fronte alla più sconfinata libertà negoziale che
caratterizzava i contratti di matrimonio – di scongiurare il rischio che i
coniugi potessero prevedere una «stipulation qui rendrait la femme chef de la
société conjugale», privando il marito («celui à qui la nature a donné le plus
de moyens pour la bien gouverner») del diritto – spettantegli par la nature
même des choses – di essere di tale unione
«le maître et chef»[61].
Il passaggio dal diritto
antico a quello nuovo è bene evidenziato, per esempio, dal Massé che,
aggiornando il più famoso manuale notarile dell’Ancien Régime –
vale a dire la science des notaires del de Ferrière – riproduceva
fedelmente la parte sul contenuto delle convenzioni matrimoniali, limitandosi
ai soli «ritocchi» strettamente indispensabili[62]. Corale, poi, il commento
dei primi interpreti del Code, i quali notavano che nelle convenzioni
matrimoniali «La liberté (…) peut tout ce qui n’est pas contre les bonnes mœurs
et les lois de la nature et de l’ordre public[63]», dal momento che la legge
«ne se contente même pas de laisser ici aux intéresses la liberté dont ils
jouiraient pour tout autre contrat pécuniaire; elle leur donne (…) une latitude
plus grande que partout ailleurs[64]: liberté entière dans les
conventions matrimoniales. Rien n’y est commandé par la loi, rien n’y est
défendu, que ce qui blesse l’ordre public ou les bonnes mœurs[65]». Una chiarissima eco di
tali insegnamenti si coglie ancora oggi nella dottrina d’Oltralpe, che continua
a rimarcare come nelle convenzioni matrimoniali la libertà negoziale sia più
estesa rispetto a quella di diritto comune, posto che «Par faveur pour le
mariage, le législateur accepte l’insertion dans un contrat de mariage de
clauses qui, dans d’autres contrats, seraient entachées de nullité»[66].
La lettera e lo spirito
dell’art. 1387 Code Napoléon furono recepiti dai codici preunitari
italiani[67], che confluirono poi in quell’art. 1378 c.c.
1865 («La società coniugale relativamente ai beni è regolata dalle convenzioni
delle parti e dalla legge»), con il quale si apriva il titolo dedicato al
contratto di matrimonio, elencato al primo posto tra i contratti tipici, così
al di qua come al di là delle Alpi. Orbene, con quella norma, che poneva
l’accento (esattamente, del resto, come l’attuale art. 159 c.c.) sul primato
spettante alla disciplina convenzionale e sul carattere meramente suppletivo
della regolamentazione legale dei rapporti patrimoniali tra coniugi, il
legislatore – superando senza indugi le obiezioni di chi, in sede di lavori
preparatori, ne aveva proposto la soppressione[68] – rendeva «un giusto
omaggio alla libertà contrattuale»[69], valendo per le convenzioni
matrimoniali il principio per cui «tutto ciò che non è vietato da una precisa
disposizione di legge, o non è contrario all’ordine pubblico e al buon costume,
è permesso in omaggio della libertà contrattuale»[70].
Può dunque dirsi confermato
quanto recentemente rilevato da chi ha posto in luce che «L’evoluzione storica
e l’analisi comparatistica confermano che la regola fondamentale in materia di
regime patrimoniale della famiglia è quella della libertà di scelta, cioè
dell’autonomia privata»[71].
[1] Cfr. l’art. 11 d. legis. 9
aprile 2003, n. 70 «Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti
giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con
particolare riferimento al commercio elettronico», il quale stabilisce
l’inapplicabilità della relativa regolamentazione ai «contratti disciplinati
dal diritto di famiglia». Il richiamo legislativo, ad avviso dello scrivente,
deve intendersi effettuato tanto alle convenzioni matrimoniali, quanto ai
contratti della crisi coniugale che, come si è dimostrato in altra sede (Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, Milano, 1999, p. 696 ss.), rinvengono il loro fondamento
causale in specifiche disposizioni giusfamiliari.
[2] Sul tema, che non è
possibile approfondire in questa sede, nonché per i necessari richiami, si
rinvia a Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 103 ss.; per una successiva riscoperta
dello scritto di Santoro-Passarelli (Santoro-Passarelli,
L’autonomia privata nel diritto di
famiglia, in Dir. giur., 1945, p. 3 ss. e in Saggi di diritto civile, I, Napoli,
1961, p. 381 ss.) cfr. ora anche Zoppini,
L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv.
dir. civ., 2001, p. 213 ss.; v. inoltre Bocchini,
Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, in Riv. dir. civ.,
2001, p. 446 ss.
[3] Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p.
66 ss.; Id., Gli accordi sulle
conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del
matrimonio nella prospettiva storica, nota a Cass., 20 marzo 1998, n.
[4] Ancorchè (sarà bene
chiarirlo subito) i protagonisti di tale autonomia non fossero (quanto meno di
regola) i futuri sposi, bensì le rispettive famiglie. Invero, come verrà
chiarito tra breve nel testo, unendosi con gli istituti del fedecommesso e del
maggiorascato, le regole dei patti nuziali vennero a disegnare, nelle unione
tra i rampolli delle famiglie della nobiltà o dell’alta borghesia, dei pactes de famille, veri e propri
trattati d’alleanza conclusi direttamente dagli stessi capifamiglia e destinati
a reggere per secoli le fortune dei rispettivi gruppi familiari; sul tema cfr. Salvioli, Manuale di storia del diritto italiano. Dalle invasioni germaniche ai
nostri giorni, Torino 1890, p. 305 s.; Ducros,
La societé française au
dix-huitième siècle, Paris, 1933, p. 66 ss.; Ungari, Il diritto di
famiglia in Italia dalle Costituzioni «giacobine» al Codice civile del 1942,
Bologna, 1970, p. 211 s., 221 s.; Delille,
Famiglia e proprietà nel Regno di
Napoli. XV-XIX secolo, Torino, 1988, p. 111 ss., 213 ss.; Vismara, Scritti di storia giuridica, V, La
famiglia, Milano, 1988, p. 34 ss.; Autorino
Stanzione e Stanzione, Sulla concezione della famiglia nell’Italia
del XVIII secolo, in Dir. fam. pers.,
1992, p. 316 ss. Sullo scarso – o nullo – rilievo della volontà della donna,
durante il periodo anteriore alle moderne codificazioni cfr. per tutti Brandileone, Saggi sulla celebrazione del matrimonio in Italia, Milano, 1906, p.
360; Goody, Famiglia e matrimonio in Europa, Bari, 1995, p. 27 ss.
Significativo al riguardo è il fatto che, ancora all’inizio del XIX secolo, un
noto manuale avvertiva che «gli sponsali e le nozze non sono contratti che
puramente si facciano tra due individui, ma sono in certo qual modo convenzioni
che hanno luogo tra due o più famiglie, che ne vincolano i membri fra di loro (...)
e che il più delle volte influiscono grandemente sopra gli interessi di più
individui, di più famiglie e talvolta su quelli ancora di un’intera
popolazione»: cfr. Aa. Vv., Manuale forense, I, Novara, 1838, p.
520.
[5] Così Lauriere, Traité des institutions et
des substitutions contractuelles, I, Paris, 1715, p. prima e seconda della préface
non numerata; [du Perray], Traité des contrats de
mariage, Paris, 1741, p. 119; nel medesimo senso cfr. inoltre Cochin, LXXIX. Cause au Req. du Palais, in Œuvres de feu
Mr. Cochin, écuyer, avocat au Parlement, contenant le recueil de ses mémoires
et consultations, III, Paris, 1753, p. 479 ss.; Le Brun, Traité de la communauté entre mari et femme,
Paris, 1709, p. 19 s.; Argou, Institution
au droit françois, II, Paris, 1753, p. 19; Renusson, Traité de la communauté de
biens entre l’homme et la femme conjoints par mariage, in Œuvres de M.
de Renusson, Paris, 1760, p. 16; Denisart, Collection de décisions
nouvelles et de notions relatives à la jurisprudence actuelle, I, Paris,
1763, p. 592 s.; Pocquet de Livonnière,
Règles du droit françois, Paris, 1768, p. 295; de Ferriere, Dictionnaire de droit et de pratique, I,
Paris, 1769, p. 586; Prevôt de
[6] Orléans: «En traicté de mariage, et avant la foy baillée, et
benediction nuptiale, homme et femme peuvent faire et apposer telles
conditions, doüaires, donations, et autres conventions, que bon leur semblera»
(art.
[7] Domat, Les
lois civiles dans leur ordre naturel, I, Paris, 1756, p. 95. Per gli altri autori francesi
che, già in precedenza avevano invocato sul punto l’autorità delle leggi romane
cfr. il già riportato avviso di Cuiacio (cfr. Cuiacio,
In librum XXXV. Pauli ad edictum commentarii, seu recitationes solemnes.
Anno
[8] Domat, op. cit., p. 97: «On peut
dans les contrats de mariages, comme en tous autres, faire toutes sortes de
conventions, soit sur la dot ou autrement ; pourvû que la convention n’ait rien
d’illicite et de malhonnête ; ou qui soit défendu par quelque coutume, ou par
quelque loi».
[9] «Illud etiam generaliter
praesenti addere sanctioni necessarium esse duximus, ut si qua pacta
intercesserint, vel pro restitutione dotis, vel pro tempore, vel pro usuris,
vel pro alia quacunque causa, quae nec contra leges, nec contra constitutiones
sunt: ea observerentur» (C. 5. 13. 1. § illud etiam; cfr. anche D. 23. 4. 12.; i
passi sono citati da Domat, op. cit.,
p. 95).
[10] Bartolo da Sassoferrato, In
primam codicis partem commentaria, Venetiis,
[11] Cfr. Carpzovius, Jurisprudentia forensis
romano-saxonica, secundum ordinem constitutionum D. Augusti Electori Saxon.,
Lipsiae et Francofurti, 1684, p. 802 ss., 966 (secondo cui «pacta dotalia de
dote et donatione propter nuptias extrajudicialiter etiam concepta valent, modo
dotem non reddant deteriorem, aut moribus ac legibus repugnent»); Wesenbech, In pandectas iuris civilis
et codicis iustinianei libros commentarii, Genevae, 1639, c. 975 s.
(secondo cui i patti dotali «servanda sunt», purchè «non repugnent legibus, aut
bonis moribus, aut occasionem delictis praebeant aut indotatas reddant mulieres
adhuc superstites vel conditionem dotis faciant deteriorem»); Brunnemann, Commentarius in duodecim
libros codicis iustinianei, Lugduni, 1669, p. 285; Kohl, Tractationes duae, prior
de pactis dotalibus: altera de successione coniugum, Lipisiae, 1671, p. 5
ss. («…pro regula tenendum: pacta in contractu dotis apposita omnino esse
servanda […] Non modo, quia nihil est aequitati naturali magis consentaneum,
quam quae inter paciscentes semel placuerunt, servare […], verum etiam, quia
traditioni rei suae, puta, doti viro praestandae, legem quam vult, quisque
dicere potest»); Strykius, De
cautelis contractuum necessariis, in Supplementum dissertationum et
operum sive tractatuum jurid. ante hac editorum et ineditorum volumen XIII,
Florentiae, 1840, c. 340 («pacta ipsa circa dotem iniri solita quod attinet,
regulariter illa licita sunt, nisi conditionem dotis reddant deteriorem (…) E.
g. Si conventio iniretur, ut, quamvis maritus ante uxorem decesserit, tamen dos
penes mariti haeredes remanere debeat, quo casu uxor redderetur indotata»); Schott, Einleitung in das Eherecht
zu akademischen und gemeinnüzlichem Gebrauch, Nürnberg, 1786, p. 485 ss. (secondo
cui gli Eheverträge debbono «wenn sie auch in ihrem Inhalt von den
gemeinen oder Statutarrechten abweichen, als eine für die Eheleute und deren
Erben verbindliche Richtschnur geachtet werden»); Thibaut, System des Pandekten-Rechts, I, Jena, 1818,
p. 349 («Die, durch die Gesetze als Folgen der Ehe angeordneten Verhältnisse
können durch Verträge mannigfaltig moidificirt und geändert werden»); Mühlenbruch, Doctrina pandectarum,
Bruxellis, 1838, p. 503: «Vis autem omnis atque auctoritas horum pactorum ex
uno illo pendet, ut ne adversentur aut honestati, aut publico juri»; Id., Lehrbuch des Pandekten-Rechts
nach der Doctrina pandectarum Deutsch bearbeitet, III, Halle, 1840, p. 79
s.; Arndts, Lehrbuch der
Pandekten, München, 1861, p. 628 s. («Bei bestellung der Dos sind, wie bei
andern Rechtsgeschäften, verschiedene Nebenbestimmungen möglich und können auch
nacher noch besondere Verabredungen darüber getroffen werden»); Marezoll, Trattato delle istituzioni
del dritto romano, Napoli, 1866, p. 300 («Gli sposi possono prima, durante,
ed ancor dopo la conchiusione del matrimonio stabilire a lor talento il modo
onde verranno regolati i loro rapporti matrimoniali, in ispecialità le
relazioni economiche, così per la durata del matrimonio, come pel tempo che
vien dopo la sua cessazione; fermare in tal guisa i pacta nuptialia»); Baron, Pandekten, Leipzig, 1890,
p. 579 («Vor wie nach Eingehung der Ehe können von den Brautleuten resp. Gatten
unter sich sowie mit dem dritten Besteller der Dos Verträge abgeschlossen
werden, durch welche die Dos anderen als den gestzlichen Bestimmungen
unterworfen wird. Die Contrahenten haben hiebei nicht immer freie Hand,
vielmehr sind ihnen bedeutende Schranken gezogen auf Grund des Princips: reipublicae
interest, mulieres dotes salvas habere, propter quas nubere possunt, … quum
dotatas esse feminas ad sobolem procreandam replendamque civitatem liberis
maxime sit necessarium»); Windscheid,
Lehrbuch des Pandektenrechts, II, Frankfurt a. M., 1882, p. 885 ss. («Wenn
die Parteien über das Schicksal der Dos, fur die Zeit während des Bestehens der
Ehe oder für die Zeit nach der Auflösung derselbe, vertragsmäßige Bestimmungen
getroffen haben, so sind, die Gültigkeit des Vertrages vorausgesezt, diese und
nicht die bisher entwickelten gesetzlichen Regeln, maßgebend»).
[12] Cfr., per un elenco di queste, oltre ad alcuni degli autori citati alla
nota precedente, Vangerow, Leitfaden
für Pandekten-Vorlesungen, Marburg und Leipzig, 1843, p. 335 ss.; Seuffert, Praktisches Pandektenrecht,
III, Würzburg, 1852, p. 50 s. («Die persönlichen Verhältnisse der Eheleute
können durch die Ehepacten nicht verändert werden. Aber auch in Ansehung der
Vermögensrechte ist ihre Wirksamkeit mehrfach beschränkt»); Puchta, System und Geschichte des
römischen Privatrechts, II, Leipzig, 1881, p. 411 («Die rechtlichen
Vorschriften über die Dos können zum Theil abgeändert werden durch besondere
Verabredungen, pacta dotalia, sowohl vor als während der Ehe. Sie sind
ihrem Inhalt nach beschränkt, sie dürfen 1) nich gegen das Wesen der Ehe
streiten, z.B. darf dem Mann nicht das beneficium competentiae entzogen
werden; 2) nicht gegen das Wesen der Dos, z.B. kann nicht die Restitution aller
Früchte bedungen werden; 3) darf die Lage der Frau nicht verschlimmert werden,
z.B. durch Verlängerung des Restitutionstermins, wenn die Dos an die Frau
fällt»).
[13] Cfr. Schroeder, Geschichte
des ehelichen Güterrechts in Deutschland, II, 1, Stettin und Elbing, 1868,
p. 137 ss.; II, 2, 1871, p. 1 ss.; II, 3, 1874, p. 218 ss.
[14] Cfr. per
esempio il Cap. III, Art. 44 del Sachsenspiegel e il Cap. CXXV dello Schwabenspiegel.
[15] «Nach deme die Ehestifftunge Contract seyn / so ist es auch
genug / wann zweene oder drey Zeugen dabey gewesen… »: cfr. Carpzovius, op. cit., p. 802 (la constitutio
in questione è
[16] [von Cocceji], Projet du
corps de droit Frédéric ou corps de droit pour les états de sa majesté le roi
de Prusse, I, suivant l’édition de Halle, 1751, p. 172.
[17] [von Cocceji], op. cit., p. 185.
[18] Cfr. ALR,
II, 1, §§ 198,
208, 209, 215, 251, su cui v. Schmidt,
Das preußische Familienrecht nach dem allegemeinen Landrechte, Leipzig,
1843, p. 186 ss. («die Eheleute können sich, sobald sie wollen, als zwei
Behörden einander gegenüberstellen, und ihr besonderes Interesse eigennützig
wahrnehmen»).
[19] Cfr. Neubauer, Das in Deutschland geltende eheliche Güterrecht
nach amtlichen Materialien zusammengestellt, Berlin, 1889, p. 67 («Im
Gegensatze zu der dem römischen Rechte eigenen Beschränkung der Ehegatten in
der vertragsweisen Regelung ihrer gegenseitigen vermögensrechtlichen
Beziehungen erlangte unter dem Einflusse deutscher Rechtssitte die Freiheit des
Ehevertrages gemeinrechtliche Anerkennung in Deutschland»), cui si fa rinvio
per una dettagliata analisi comparativa dei vari sistemi patrimoniali tra
coniugi esistenti in Germania alla vigilia dell’entrata in vigore del BGB.
Per uno studio similare riferito ai rapporti patrimoniali tra coniugi nella
storia elvetica cfr. von Wyss, Die
ehelichen Güterrechte der Schweiz in ihrer rechtsgeschichtlichen Entwicklung,
Zürich, 1896.
Dernburg, Pandekten, III,
Berlin, 1892, p. 32 s.: |
Dernburg, Das bürgerliche Recht
des Deutschen Reiches und Preußens, IV, Familienrecht, Halle,
1903, p. 171 s.: |
«Die
Vertragsfreiheit ist bezüglich der Dotalverhältnisse wesentlich beschränkt.
1. Dotalverträge sint nichtig, wenn sie gegen Grundprincipien des
Dotalrechtes verstoßen (…). 2. Ferner wurden Dotalverträge verworfen, welche
die Rechtsstellung der Frau ungebührlich verschlechtern (…)». |
«Für
die Ordnung der Verhältnisse unter den Gatten besteht Vertragsfreiheit,
soweit nicht zwingende Rechtsnormen entgegenstehen. Von größter Wichtigkeit
ist für das Eherecht, daß Verträge nichtig sind, welche gegen ein
gesetzliches Verbot oder gegen die guten Sitten verstoßen, §§ 134, 183.
Nichtig sind daher namentlich solche Verträge, welche mit dem Wesen der Ehe
unvereinbar sind, z.B. die vertragsmäßige Entbindung der Frau von der
Verplichtung, bei ihrem Manne regelmäßig zu wohnen, die Übernahme der
Verpflichtung, in eine Ehescheidung zu willigen». |
[21] Tronçon, Le
droict françois, et coustume de
[22] Cioè di
quelle rette dal diritto romano. Si noti peraltro che talune rarissime coutumes
escludevano espressamente la communauté, come nel caso di quelle della
Normandia (art. 389) e di Reims (art. 239). Per quanto attiene alla prima si
ritenevano nulle le convenzioni costitutive di un regime comunitario (v. Basnage, Commentaires sur la coutume
de Normandie, in Œuvres de Maître Henri Basnage, II, Rouen, 1778, p. 78
ss.), peraltro solo se stipulate in Normandia, mentre si affermava la validità
di quelle stipulate, per esempio, a Parigi, ancorchè tra residenti in Normandia
e su beni ivi situati (Le Brun, Traité de la communauté entre mari et femme,
cit., p. 2: cfr. inoltre infra, nota 28). La
comunione era inoltre esclusa per incompatibilità con i sistemi di cui alle coutumes
d’Alvernia (tit. XIV, art. 1) e della Marche (art. 296), mentre quella di Metz
(tit. VI, art. 1) ammetteva espressamente la possibilità che la communauté
fosse stipulata nel contratto di matrimonio (cfr. per tutti Le
Brun, Traité
de la communauté entre mari et femme, cit., p. 2 ss.).
[23] Cfr. per
esempio Delalande, Coutumes des duché, bailliage, prevosté
d’Orléans et ressorts d’iceux, Orléans, 1673, p. 228; Le Brun, Traité de la communauté
entre mari et femme, cit., p. 2.
[24] Cfr. per
esempio Delalande, op. cit., p. 228. Sulla validità della
rinuncia preventiva, ovvero anche in costanza di matrimonio, lucris
acquisitis et acquirendis secondo il diritto comune nelle terre di Spagna e
Portogallo v. Molina, De
iustitia, tomus secundus de contractibus, Moguntiae, 1602, c. 823; Sanchez, De sancto matrimonii
sacramento, I, Venetiis, 1685, p. 383 s.; Covarruvias,
Operum tomus secundus, Genevae, 1734, p. 376 ss.
[25] Cfr. Robert, Rerum iudicatarum libri quatuor, Parisiis,
1602, p. 66 ss., che riporta la sentenza del Parlamento di Parigi in data 16
gennaio 1592, la quale ammise la validità di una convenzione matrimoniale in
cui le parti avevano stabilito che la moglie «societatis partem haberet non
dimidiam, qualem ex lege municipali, si nihil conventum foret, consequi debeat,
sed quartam tantum societatis illius partem». La medesima decisione stabilì la
nullità di un successivo patto con il quale i coniugi avevano deciso di
attribuire alla moglie la metà degli acquisti;
[26] Renusson, op. cit., p. 16: «Les personnes qui se marient peuvent stipuler
qu’il n’y aura point de communauté, ou que l’un des conjoints aura seulement un
tiers en la communauté, et que l’autre y aura les deux autres tiers ; ou ils
peuvent stipuler que la femme aura pour tout droit de communauté une certaine
somme, ou qu’il n’y aura communauté qu’en cas que la femme survive son mari, et
qu’elle ait des enfans ; ou ils peuvent stipuler que leurs biens meubles leur
seront propres en tout ou partie, non seulement ceux qu’ils ont actuellement,
mais aussi ceux qui viendront à leur échoir par succession, donation ou autrement,
ou qu’ils seront employés en achat d’héritage ; ou ils peuvent ameublir tous
leurs immeubles, et les faire entrer en la communauté dans les coutumes qui
permettent de disposer entre-vifs de tous biens ; ils peuvent enfin faire
cesser par leurs stipulations la disposition de
[27] Bourjon, Le droit commun de
[28] Cfr. la
decisione del 19 agosto
[29] Si
trattava di una sorta di «pareri pro veritate» resi dai giudici di primo
grado (nella specie il Lieutenant Civil della città di Parigi) che, pur
senza possedere il valore dei famosi arrêts de règlements (emessi dai
Parlamenti), fissavano in modo permanente la giurisprudenza su di un
determinato argomento.
[30] Denisart, Actes de notoriété donnés
au Châtelet de Paris sur la jurisprudence et les usages qui s’y observent,
Paris, 1769, p. 10 ss. L’atto in questione reca la data del 16 gennaio 1680.
[31] Tronçon, op. cit., p. 375 s.
[32] «On peut
déroger par un contrat de mariage à
[33] Eccone l’incipit:
«Faveur des contrats de mariage, est une prérogative toute particuliere, qui
les fait regarder comme
[34] Molineo, Notae solennes Caroli Molinaei
i. c. celeberrimi ad consuetudines gallicas, in Caroli
Molinaei Franciae et Germaniae celeberrimi iurisconsulti, et in Supremo
Parisiorum Senatu antiqui Advocati, operum tumus tertius, Lutetiae
Parisiorum, 1624, c. 153. Nello stesso senso cfr. Le Prestre, Questions
notables de droict, Paris, 1663, p. 577 ss.; Ricard, Traité des donations entre-vifs et testamentaires,
I, Paris, 1685, p. 236 s.
[35] Cfr. per esempio le coutumes
dell’Alvernia (chap. XIV, artt. 25 e 26),
dell’Anjou (art. 245), del Bar (art. 167), del Berry (tit. VIII, artt. 5 e 6),
del Borbonese (art. 219), di Chalons (art. 65), del Nivernois (chap.
XXVII, art. 12), del Vermandois (artt. 54 e 55).
[36] Cambolas, Decisions notables sur
diverses questions du droit, jugées par plusieurs arrests de
[37] Cfr. Le sentenze del
Parlamento di Parigi del 24 marzo 1521, 12 agosto 1600 e 30 marzo 1620
riportate da Brodeau, Recueil
d’aucuns notables arrests, donnez en la cour de parlement de Paris. Pris des
Memoires de Mons. Maistre Georges Loüet, Conseiller du Roy en icelle,
Anvers, 1665, p. 231; v. inoltre la sentenza 9 marzo 1627 del Parlamento di
Tolosa, riportata da Cambolas, op. cit., p. 518.
[38] Anche se contenute nei pacta
dotalia: cfr. C. 2. 3. 15.; C. 6. 20. 3.
[39] Coquille, Les
coustumes du pays et comté de Nivernois, enclaves et exemptions d’iceluy,
in Œuvres de Me Guy Coquille Sr de Romenay,
[40] Coquille, op. cit., p. 305. Per un
attento studio della disposizione citata della legge salica cfr. Bonnet, Des dispositions par contrat
de mariage et des dispositions entre époux, I, Paris, 1860, p. 289 ss.
[41] Cfr. Cuiacio, Consultatio XX, in Jac. Cuj.
Consultationes LX, in Iacobi Cuiacii I. C. Tolosatis Opera, Ad Parisiensem
Fabrotianam Editionem Diligentissime Exacta, I,
Venetiis, 1758, c. 585, che definisce favorabilis, certa, constans,
irrevocabilis l’istituzione d’erede effettuata matrimonii contemplatione
filio ducenti uxorem; conforme Brodeau, Recueil d’aucuns notables arrests, donnez en la
cour de parlement de Paris. Pris des Memoires de
Mons. Maistre Georges Loüet, Conseiller du Roy en icelle,
[42] Ricard, op. cit., p. 236 s.: «Nous
tenons pour droit commun, que les successions futures se peuvent donner et
promettre valablement dans un contrat de mariage, en faveur des futurs époux,
et de leurs descendans, par qui que ce soit, pourveu qu’il soit capable de
disposer». Analogamente v. Masuer, La
practique de Masuer ancien iurisconsulte et practicien de France, mise en
françois par Antoine Fontanon, Paris, 1581, p. 450 s.; Papon, Sixième édition du recueil
d’arrests notables des cours souveraines de France, Lyon, 1586, p. 1020; Brodeau, Recueil
d’aucuns notables arrests, donnez en la cour de parlement de Paris. Pris des Memoires de Mons.
Maistre Georges Loüet, Conseiller du Roy en icelle, cit., p. 382
ss.; Charondas le Caron, Responses
et decisions du droict françois, Paris,
[43] In Du Fresne, Journal des
principales audiences du Parlement, I, cit., p. 28.
[44] Nella
causa decisa con sentenza del 1° febbraio 1745 lo stesso Parlamento ritenne
valida la clausola di un contratto di matrimonio in forza della quale si
prevedeva che, in caso di premorienza della moglie in assenza di figli, o di
morte dei figli avvenuta dopo quella della madre ma prima di quella del padre,
il futuro sposo sarebbe stato obbligato a rendere solo la metà dei beni
apportati dalla futura sposa in comunione: cfr. Denisart, Collection de décisions
nouvelles et de notions relatives à la jurisprudence actuelle, I, cit., p. 456.
[45] Renusson, op. cit., p. 16: «Le contrat de mariage est le plus solemnel et le plus favorable
de tous les contrats de la societé civile. Il est autorisé du droit naturel, du
droit des gens et du droit civil»; Delalande,
op. cit., p. 228: «cette paction regarde seulement l’interest des
parties contractantes»; de Ferriere,
Dictionnaire de droit et de pratique, I, cit., p. 586: «on ne peut trop favoriser
un contrat, qui est le soutient d’un état, l’appui des familles, et le lien de
la société civile»; Prevôt de
[46] Le Prestre, op. cit., p. 578.
[47] Cfr. per esempio de Ferriere, La science parfaite des
notaires, ou le parfait notaire, I, Paris, 1771, p. 273 ss., 298 ss.; 303
ss.; 311 ss.; [du Perray], Traité
des contrats de mariage, cit., p. 566 ss.; cfr. inoltre Bannelier, Traités de droit françois
à l’usage du Duché de Bourgogne et des autres Pays qui ressortissent du au
Parlement de Dijon, tirés de divers manuscrits du ressort. Pour servir de continuation aux Traités de M. Davot, VII, Dijon, 1757, p. 123 ss.; Poullain
du Parc, Principes du droit françois, suivant les maximes de Bretagne,
V, Rennes, 1769, p. 5 ss. Per un’interessante indagine storica contenente una dettagliata analisi
delle varie ipotesi di clausole variamente inserite nei diversi regimi
matrimoniali anteriori al Code Napoléon cfr. Lelievre, La pratique des contrats de mariage chez les
notaires au Châtelet de Paris de 1769 à 1804, Paris, 1959, p. 25 ss. (per
le clausole relative al regime di communauté stipulato in prime nozze),
195 ss. (per le clausole relative al regime di communauté in seconde
nozze), 265 ss. (per le clausole in deroga al regime comunitario), 340 ss. (per
le clausole relative ai contratti stipulati in Normandia), 362 ss. (per le
clausole proprie dei contratti stipulati nei paesi di diritto scritto), 374 ss.
(per i contratti di communauté universelle e per quelli conclusi dagli
stranieri). Per uno studio sui contratti di matrimonio dei reali di Francia
cfr. Valtat, Les contrats de
mariage dans la famille royale en France au XVIIe siècle, Paris, 1953 (da cui
s’apprende, tra l’altro, che i sovrani erano soliti escludere il regime di communauté).
[48] de Ferriere, Dictionnaire de droit et de pratique, I,
cit., p. 586: «Faveur des contrats de mariage, est une prérogative toute
particuliere, qui les fait regarder comme
[49] Pothier, Traité de la communauté, in Pothier, Traités sur différentes matières de droit
civil, III, Paris-Orléans, 1781, p. 490 s.: «Les
contrats de mariage sont tellement susceptibles de toutes sortes de
conventions, qu’on y en admet qui, par tout autre acte que par un contrat de
mariage ne seroient pas valables. Par exemple, quoique par tout autre acte que
par un contrat de mariage, il ne soit pas permis de faire aucune convention sur
la succession d’une personne encore vivante, néanmoins on admet dans les
contrats de mariage la convention par laquelle un enfant se contente de la dot
qui lui est donnée par ses pere et mere, et renonce en conséquence à la
succession future en faveur des autres enfans, ou de quelqu’un d’eux ; puta
en faveur de l’ainé, ou en faveur des enfans mâles. Quoique par tout autre acte
que par un contrat de mariage, je ne puisse pas convenir et promettre qu’une
certaine personne sera mon héritiere, l’institution d’héritier ne pouvant se
faire que par testament, et devant dépendre de la libre volonté du testateur,
toujours révocable jusqu’à la mort, néanmoins on a admis dans les contrats de
mariage les institutions contractuelles, par lesquelles l’un des conjoints
institue irrévocablement pour son héritier, soit l’autre conjoint, soit les
enfans, ou l’ainé des enfans qui naîtront du futur mariage». Nello stesso senso v. anche Denisart,
Collection de décisions nouvelles et de notions relatives à la jurisprudence
actuelle, I, cit., p. 593: «La faveur singuliere de Contrats de Mariage, a
fait que les donations de biens présens et à venir, sont valables, quand elles
sont faites par contrats de Mariage (…). Par la même raison, les renonciations
à des successions futures, que nous regardons comme invalides, sont néantmoins
valables quand elles sont écrites dans les Contrats de Mariage».
[50] «Aucune
donation entre-vifs ne pourra comprendre d’autres biens que ceux qui
appartiendront au donateur, dans le temps de la donation…».
[51] Sul
punto v. Furgole, Ordonnance
de Louis XV, Roi de France et de Navarre, pour fixer la jurisprudence sur la
nature, la forme les charges et les conditions des Donations, Donnée à
Versailles au mois de Février 1731, I, Toulouse, 1761, p. 157 ss.; de Boutaric, Explication de
l’ordonnance de Louis XV, Roi de France et de Navarre, Du mois de Février 1731,
concernant les donations, Avignon, 1744, p. 77 ss.; du Rousseaud de
[52] Salle’, L’esprit des ordonnances
et des principaux édits et déclarations de Louis XV, en matière civile,
criminelle et bénéficiale, Paris, 1759, p. 43. Cfr. inoltre gli artt. 11 e
12 dell’Ordonnance sur les substitutions del mese di agosto 1747, che
dichiaravano le sostituzioni e le istituzioni contrattuali per contrat de
mariage irrevocabili, sia tra nobili che tra plebei (su cui v. [Aymar], Explication de l’ordonnance
de Louis XV, roi de France et de Navarre, donnée au camp de
[53] Fabro, Codex fabrianus
definitionum forensium et rerum in Sacro Sabaudiae Senatu tractatarum,
Coloniae Allobrogum, 1765, p. 535 invocava al riguardo i passi C. 5. 12. 7 e D.
23. 4. 7.; nello stesso senso Guy Pape,
Decisiones Guidonis Papae, iurisconsulti clarissimi, Lugduni, 1593, p.
433 s., 761 s. Secondo Fachineus,
Controversiarum iuris libri decem, Venetiis, 1609, c. 653, invece, il
richiamo dei passi citati ai soli istituti della dote e della donatio propter
nuptias avrebbe impedito alle parti dei pacta nuptialia di inserirvi
delle conventiones de futura successione.
[54] Che sovente nei patti dotali
rinunziava ad ogni pretesa di carattere successorio (v. Autorino Stanzione e Stanzione,
op. cit., p. 322).
[55] Cfr. Vismara, op. cit.,
p. 153 ss.; per il periodo del tardo diritto comune v. Autorino Stanzione e Stanzione,
op. cit., p. 322; con particolare riguardo alla
Francia v. Lefebvre-Teillard, Introduction historique au droit des
personnes et de la famille, Paris, 1996, p. 162 s., con ampi richiami.
[56] Barbagli, Sotto lo stesso tetto: mutamenti della famiglia
in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, 1988, p. 304 s.; cfr. inoltre Goody, op. cit., p. 261 ss.; per quanto attiene in
particolare all’Italia v. Autorino
Stanzione e Stanzione, op. cit., p. 316 ss.; per
[57] Cfr. in particolare Tesauro, Questionum forensium libri priores duo, Augustae Taurinorum, 1621,
p. 331; Rota Romana, Tarentina dotis,
28 giugno 1728, r.p.d. Crescentio («Nupserat anno 1705 Isabella Forleo Iosepho
Barricellio cum dote sibi a Ioanne Petro fratre constituta in ducatis Regni
1600, una cum diversis mobilibus, quae omnia eadem Isabella de consensu viri
recepit (...) cum expresso pacto reversionis dictae dotis ad fratrem dotantem
in casu obitus Isabellae sine filiis»); Fabro,
Codex fabrianus definitionum
forensium et rerum in Sacro Sabaudiae Senatu tractatarum, cit., p. 535 (il
quale cita in tal senso anche una decisione del Senato piemontese risalente al
1593: «Haereditas quidem pacto dari non potest (...) contraria tamen
consuetudine fere ubique gentium recepta est, ut huiusmodi conventiones valeant
in contractu matrimonii, nec solum inter nobiles, in quorum personis facilius
id admitti potuit, sed etiam inter alios quoscunque, nullum licet jusjurandum
intervenerit (...). Neque vero videri possunt abhorrere a bonis moribus
naturalibus (...) quamvis negari non possit, quin auferant liberam testandi
facultatem»); Capycii Latro, Consultationum
juris selectiorum in variis, ac frequentioribus facti contingentiis (…) Liber
primus, Genevae, 1687, p. 102 («… quod in capitulis matrimonialibus possint
fieri talia pacta, quae importent fideicommissum»); Richerii, Universa
civilis et criminalis jurisprudentia, IV, Taurini, 1825, p. 361 («Usu fori,
ubique fere recepto, tanti habitum non est captandae mortis votum, seu
periculum, ut pactum de futura successione reprobari generaliter debeat, neque
unquam permitti possit; maxime dotis caussa, cujus praecipuus est favor. Itaque
apud omnes fere gentes consuetudine inductum est, ut valeant hujusmodi
conventiones in contractu matrimonii; non solum inter nobiles, in quibus
facilius admitti possunt, propter decus, et amplificationem familiarum; sed
inter alios quoscumque, etiam plaebejae conditionis homines»).
Per il resto d’Europa ed in particolare per
[58] Così Vaccari, Dote (diritto
intermedio), in Noviss. dig. it.,
VI, Torino, 1960, p. 261.
[59] Cfr. L. Jouanneau L., C. Jouanneau e Solon, Discussions du
code civil dans le Conseil d’Etat, II, Paris, 1805, p. 357: «on ne peut,
par des stipulations particulières, déroger au droit public ; mais toutes les
dispositions qui sont dans le Code civil n’appartiennent pas à ce droit :
celles-là seules s’y rapportent, qui règlent l’ordre des successions et les
conditions du mariage. Les contrats et même ceux qui contiennent les
conventions matrimoniales, sont des matières du droit privé. C’est à cet égard
que les parties doivent avoir la liberté la plus entière». V. inoltre, sempre a titolo
d’esempio, il discours del tribuno Siméon sul titolo X del libro III del
Code civil, pronunciato nella seduta del Tribunato del 20 piovoso anno
XII (Simeon, Discours, in Aa. Vv., Corps Législatif,
Paris, Imprimerie Nationale, Ventose an 12, p. 8), nel quale si legge, tra
l’altro, che «Les conventions matrimoniales doivent être libres comme le
mariage lui-même ; la loi ne les règle qu’à défaut des contractans ; ils
peuvent stipuler leurs intérêts et leurs droits respectifs comme il leur
convient, pourvu qu’ils n’établissent rien de contraire aux bonnes mœurs, non
plus qu’aux lois publiques et générales».
[60] Laurent, Principes
de droit civil, XXI, Bruxelles, 1878, p. 13.
[61] V. le osservazioni di
Cambacérès di fronte al Consiglio di Stato, su cui si è già avuto modo di
riflettere in Oberto, I
contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 459 ss., per giungere alla
conseguenza dell’inapplicabilità dell’art. 160 c.c. ai rapporti patrimoniali
derivanti dalla crisi coniugale. Ecco alcuni esempi di clausole vietate dalla norma in esame secondo il
pensiero di Massé, Le nouveau parfait notaire, ou la science des notaires de feu
C.-J. de Ferrière, I, Paris, 1807, p. 286: «Nous avons dit qu’il n’étoit
permis aux époux de faire des conventions matrimoniales que relativement à
leurs biens. La loi seule, en effet, règle ce qui concerne
leurs personnes.
(Voyez l’art. 1387 du Code civil.) Ainsi les époux ne peuvent déroger aux droits
résultant de la puissance maritale sur la personne
de la femme et des enfans, ou qui appartiennent au mari comme chef. (Art.
1388.) Le mari ne peut s’affranchir de la protection qu’il doit à sa femme, ni
la femme de l’obéissance qu’elle doit à son mari. (Art. 213.) On ne peut pas
convenir que la femme n’habitera pas ou cessera d’habiter avec son mari, quand
bon lui semblera ; qu’elle ne sera pas tenue de le suivre où il jugera à propos
de se rendre ; que le mari ne sera pas obligé de la recevoir chez lui, de lui
fournir ce qui lui sera nécessaire pour les besoins de la vie, selon ses
facultés et son état (art. 214.) ; qu’enfin elle pourra ester en jugement sans
l’autorisation de son mari. (art. 215 et 1576.) Ils ne peuvent pas non plus
déroger aux droits conférés au survivant des époux par le titre de la puissance
paternelle, et par le titre de la minorité, de la tutelle et de l’émancipation.
(Art. 1388.)».
[62] Per rendere più
«plasticamente» il confronto si è proceduto alla redazione dello schema di raffronto
seguente:
De
Ferriere, La
science parfaite des notaires, ou le parfait notaire, cit., p. 254 s.: |
Massé, Le
nouveau parfait notaire, ou la science des notaires de feu C.-J. de Ferrière,
cit., p. 285: |
«La considération des contrats de mariage est si
grande, qu’on reçoit en leur faveur toutes sortes de dispositions et de
clauses, quelque singulières qu’elles soient, pourvu qu’elles ne soient
relatives qu’aux biens et non à la personne des époux, et qu’elles ne
contiennent rien de contraire aux lois ni aux bonnes mœurs. Ce que les
coutumes prescrivent pour régler les droits des conjoints, quant aux biens,
soit durant le mariage, soit après sa dissolution, peut être ou conservé ou
changé, ou même anéanti par le contrat de mariage. Les futurs conjoints y
peuvent aussi faire des conventions utiles ou nécessaires pour la
conservation de leurs droits, au‑delà de ce qui a été prévu par les coutumes. On y peut convertir
l’immobilier en mobilier, et au contraire on y peut stipuler la qualité de
propre de communauté pour les biens qui ne le sont pas, et même pour de
simples deniers. |
«La considération des contrats de mariage est si
grande, qu’on reçoit en leur faveur toutes sortes de dispositions et de clauses,
quelque singulières qu’elles soient, pourvu qu’elles ne soient relatives
qu’aux biens et non à la personne des époux, et qu’elles ne contiennent rien
de contraire aux lois ni aux bonnes moeurs. Ce que les lois prescrivent pour
régler les droits des conjoints, quant, aux biens, soit durant le mariage,
soit après sa dissolution, peut être ou conservé ou changé, ou même anéanti
par le contrat de mariage. Les futurs conjoints y peuvent aussi faire des
conventions utiles ou nécessaires pour la conservation de leurs droits, au‑delà
de ce qui a été prévu par les lois. On y peut convertir l’immobilier en
mobilier, et au contraire on y peut stipuler la qualité de propre de
communauté pour les biens qui ne le sont pas, et même pour de simples
deniers. |
On peut y favoriser l’intérêt des pere et mere qui dotent par le moyen de
la convention dont il est parlé en l’article 281 de la coutume de Paris. On y
peut mettre des clauses pour l’avantage ou le repos de toute la famille,
comme la renonciation des filles dotées aux successions directes et
colltérales. Une mineure même y peut renoncer à toutes successions à écheoir,
pourvu qu’on lui donne une dot convenable, et que cette dot soit totalement
payée lors de l’ouverture de la succession, suivant la maxime de M. Charles
Dumoulin, et l’usage établi presque dans tous les Etats. |
Autrefois on y faisoit souvent renoncer les
filles dotées aux successions directes et collatérales et une telle
renonciation étoit valable par contrat de mariage. Une mineure même y pouvoit
renoncer à toutes successions à écheoir, pourvu qu’on lui donnât une dot
convenable, et que cette dot fût totalement payée lors de l’ouverture de la
succession, suivant la maxime de M. Charles Dumoulin, et l’usage établi
presque dans tous les Etats : mais le Code civil a prohibé toute espèce de
renonciation à la succession d’un homme vivant, même celles faites par
contrat de mariage. (Art. 791) |
On y peut faire toutes sortes de dispositions gratuites, soit
particulières, soit universelles, y donner même des successions, en
instituant des héritiers ; ce qu’on appelle institution contractuelle. En un
mot, la grande faveur des contrats de mariage, et la nécessité qu’il y a de
suppléer à nos coutumes pour bien ménager l’intérêt des familles, font que
l’on déroge souvent au droit commun
et ordinaire». |
On peut aujourd’hui, comme on le pouvoit autrefois, faire dans les
contrats de mariage toutes sortes de dispositions gratuites, soit
particulières, soit universelles, y donner même des successions, en instituant
des héritiers ; ce qu’on appelle institution contractuelle. En un mot, la
grande faveur des contrats de mariage, et la nécessité qu’il y a de suppléer
à la loi pour bien ménager l’intérêt des familles, font que l’on déroge souvent au droit commun». |
[63] Troplong, Du
contrat de mariage et des droits respectifs des époux, I, Paris, 1850, p.
16: «Le respect dû à la volonté libre des parties n’a pas été non plus oublié
dans ce pacte solennel qui emprunte tant de force aux convenances individuelles.
La liberté y peut tout ce qui n’est pas contre les
bonnes mœurs et les lois de la nature et de l’ordre public».
[64] Marcadé, Explication
théorique et pratique du Code Napoléon, V, Paris, 1859, p. 382: «Et la loi
ne se contente même pas de laisser ici aux intéressés la liberté dont ils
jouiraient pour tout autre contrat pécuniaire; elle leur donne (…) une latitude
plus grande que partout ailleurs; et pourvu qu’ils n’insèrent dans leur contrat
rien de contraire aux règles prohibitives dont nous allons nous occuper, ils
peuvent y mettre absolument toutes les stipulations qu’il leur plaira, celles‑là
même qui seraient interdites dans des contrats ordinaires : qui veut la fin
veut les moyens, et pour favoriser le mariage, il fallait favoriser les
conventions pécuniaires dont il dépend souvent».
[65] Toullier, Le
droit civil français suivant l’ordre du code, XII, Paris, 1829, p. 22 s.:
«Ce chapitre commence par consacrer le sage principe de la plus grande liberté
dans les conventions matrimoniales. Les époux peuvent non seulement soumettre
leur société au régime dotal ou à celui de la communauté, mais ils peuvent
encore faire aux règles tracées par la loi, concernant l’un ou l’autre des deux
régimes, tels changements, telles modifications que bon leur semble (…). Il ne
faut donc pas demander s’il est permis d’insérer telle clause ou condition dans
un contrat de mariage, mais plutôt si elle est defendue. C’est dans cette matière surtout qu’il faut appliquer dans toute son
étendue la grande et générale maxime, que ce qui n’est pas défendu par la loi
est permis. Ainsi, liberté entière dans les conventions matrimoniales. Rien n’y
est commandé par la loi, rien n’y est défendu, que ce qui blesse l’ordre public
ou les bonnes mœurs». Cfr. inoltre Dard, Instruction facile sur les contrats de
mariage, selon les principes du code Napoléon, Paris, 1810, p. 10: «Le
contrat de mariage est le plus solennel et le plus favorable de tous les actes
de la société civile ; il est autorisé par le droit naturel, par le droit des
gens et par le droit civil. Dans la vue de déterminer les citoyens au mariage,
la jurisprudence française a toujours admis ce principe, que les contrats de
mariage sont susceptibles de toutes les clauses et conventions que les parties
veulent former, pourvu qu’elles ne contiennent rien de contraire aux lois
d’ordre public, ni aux bonnes mœurs. C’est cette faveur, accordée aux contrats
de mariage, qui fait que l’on reçoit dans ces contrats des stipulations qui ne
seraient pas valables, si elles étaient faites dans tout autre contrat»; Merlin, Répertoire universel et
raissonné de jurisprudence, III, Paris, 1812, p. 82; Biret, Traité du contrat de mariage,
Paris, 1825, p. 60 s.; Laurent, op. cit.,
p. 13: «Le législateur, loin de restreindre la liberté des contractants en
matière de conventions matrimoniales, l’étend : comme il favorise le mariage,
il devait aussi favoriser le contrat de mariage, l’expérience démontrant que
les stipulations relatives aux biens engagent souvent les parties à s’unir, de même
qu’elles pourraient entraver leur union si la loi enchaînait la liberté de ceux
qui veulent se marier, mais qui ne le veulent que sous les conditions qui leur
conviennent. Pothier en a déjà fait la remarque : la loi permet aux futurs
époux de faire dans leur contrat de mariage des stipulations qu’elle prohibe en
dehors de ce contrat. Les pactes successoires sont sévèrement défendus comme
contraires aux bonnes mœurs ; par contrat de mariage, on peut faire une
institution contractuelle ; dans l’ancien droit, l’institution contractuelle
avait encore ceci de particulier, qu’elle était admise même dans les lieux où
les coutumes rejetaient absolument l’institution d’héritier»; Duranton, Cours de droit français
suivant le code civil, XIV, Paris, 1832, p. 17 ss.; Rodiere e Pont,
Traité du contrat de mariage et des droits respectifs des époux,
relativement à leurs biens, I, Paris, 1847, p. 33 s.: «Les contrats de
mariage ont toujours été traités avec une grande faveur, parce que ce sont, de
tous les contrats, ceux qui intéressent le plus la conservation de la société. Aussi,
les parties peuvent y faire non‑seulement toutes les stipulations permises
dans les contrats ordinaires, mais encore certaines conventions qui partout
ailleurs seraient prohibées. En thèse générale, par
exemple, les donations entre vifs ne peuvent comprendre des biens à venir (C.
civ., art. 943), ni être faites sous une condition potestative de la part du
donateur (art. 944), ni imposer au donataire l’obligation de payer d’autres
dettes ou charges que celles existant au moment de la donation (art. 945), ni
profiter au donataire pour quelque objet compris dans la donation, dont le
donateur se serait réservé la faculté de disposer et dont il n’aurait pas
disposé en effet (art. 946). Toutes ces conventions pourtant sont autorisées
dans les contrats de mariage (art. 947). Les donations faites en faveur du
mariage ne peuvent non plus être annulées sous prétexte du défaut d’acceptation
(art. 1087), quoique, en principe, l’acceptation expresse du donataire soit
indispensable pour la validité de la donation (art. 932)»; Zachariæ, Corso di diritto civile
francese, ed. italiana, III, Napoli, 1852, p. 222; Bellot Des Minieres, Le contrat de mariage considéré en
lui-même, Paris, 1855, p. 11: «Le contrat de mariage n’est qu’un, mais les
conditions qu’un peut y insérer sont infinies. Les parties peuvent, en effet,
stipuler tout ce que bon leur semble, pourvu que les stipulations n’aient rien
de contraire aux lois, aux mœurs, à l’ordre public»; Bonnet, op. cit., p. 1 ss. (con particolare riguardo
alla donazione di beni futuri, p. 276 ss.); Michaux,
Traité pratique des contrats de mariage, Paris, 1869, p. 10 s.; Guillouard, Traité du contrat de
mariage, I, Paris, 1885, p. 85: «Les conventions matrimoniales ont pour
but, avons‑nous dit, et ne peuvent avoir pour but que le règlement des
intérêts pécuniaires des époux, soit pendant le mariage, soit à la dissolution
du mariage. Mais, dans cette limite, les conventions matrimoniales peuvent être
rédigees avec une liberté plus grande que les conventions ordinaires, et on
peut y insérer des clauses qui seraient défendues en général dans les contrats.
C’est ainsi que la donation de biens à venir, l’institution contractuelle, qui
est prohibée en droit commun, est permise dans les contrats de mariage, aux
termes des articles 947 et 1081) ; c’est ainsi encore que l’irrévocabilité des
donations ordinaires fléchit dans les contrats de mariage, où l’article 1086
permet de faire des libéralités sous l’obligation de payer les dettes qui
gréveront la succession du donateur, ou sous d’autres conditions dont
l’exécution dépendrait de la volonté du donateur».
[66] Colomer, Droit civil.
Régimes matrimoniaux, Paris, 1992, p. 160; più in generale, sul ruolo della
libertà negoziale nel settore della famiglia cfr. Ghestin, Droit civil. Les obligations. Le contrat, Paris, 1980, p. 77; Creff, Les contrats de la famille, in Aa. Vv., Le droit contemporain des contrats. Bilan et perspective, Paris, 1986, p. 247. Si noti che ancora oggi l’institution contractuelle è ammessa in Francia nei contrats
de mariage (artt.
1082 e 1093 Code Civil) in deroga al generale divieto dei patti
successori (sul punto cfr. ex multis Baudry-Lacantinerie
e Colin, Traité théorique
et pratique de droit civil. Des donations entre
vifs et des testaments, II, Paris, 1899, p. 821
ss.).
[67] Cfr. gli artt. 1341 del
Codice per lo Regno delle Due Sicilie – Leggi civili («La legge regola la
società conjugale relativamente a’ beni, se non in mancanza di speciali
convenzioni che gli sposi posson fare a lor piacimento, purchè non sieno
contrarie a’ buoni costumi; ed in oltre colle seguenti modificazioni»); 1319
del Codice civile per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla («La legge non induce
comunione di beni tra conjugi; essa protegge le convenzioni che loro piace di
stipulare, purchè non discordino dai buoni costumi e sieno conformi alle
seguenti regole»); 173 delle Leggi civili e criminali del Regno di Sardegna («Ne’ contratti tutti di matrimonio dovranno osservarsi ed adempiersi li
patti e le condizioni, che gli stessi contraenti s’avranno reciprocamente
imposto e stabilito, siano quelle conformi o contrarie agli statuti, ed usi del
luogo e domicilio degli stessi contraenti, con ciò però, che non vi osti la
disposizione delle presenti leggi o della ragion comune»); 1508 del Codice Albertino
(«Nel contratto di matrimonio gli sposi possono fare tutte
le convenzioni che giudicano convenienti, purichè non sieno contrarie ai buoni
costumi, ed inoltre sotto le modificazioni seguenti»). Per alcune opinioni
dottrinali al riguardo v., ex multis, le anonime Istituzioni di
diritto civile napolitano modellate sopra quelle del diritto civile francese
del sig. Delvincourt, III, Napoli, 1844, p. 5 s., secondo cui «questo
contratto formò in ogn tempo il soggetto della speciale attenzione del
lagislatore. Destinato a contenere i voti delle due famiglie che sono per
unirsi, ed a stabilire la sorte di quella che deve risultare da una tale
unione, venne sempre riguardato come suscettibile del massimo favore. Quindi fu
costantemente permesso d’inserirci delle stipulazioni che altrove sarebbero
state mai sempre proibite. Questa disposizione è consacrata nell’articolo
1341»; Poncini, Commenti sul
codice civile, V, Torino, 1841, p. 4 s.: «Destinato a racchiudere il voto
di due famiglie che vanno ad unirsi, il contratto di matrimonio fu sempre
veduto col più gran favore; così può esso consacrare stipulazioni che sarebbero
proibite in ogni altro contratto. In questa materia più ancora che in ogni
altra, il principio è che tuttociò che non è proibito dalla legge è permesso, e
nel dubbio si debbe propendre per la validità della clausola criticata»; Sossi, Del notariato. Trattato
teorico-pratico, II, Torino, 1841, p. 498 : «Questo contratto ebbe in ogni
tempo lo speciale favore della legge in modo che si permise in tale cotratto di
stipulare persino convenzioni, in ogni altro caso o ricorrenza proibite, purchè
le medesime non fossero contrarire ai buoni costumi: e queste disposizioni
furono adottate dal patrio Codice civile, come dall’art. 1508 si evince».
[68] «Sighele credea che questo
articolo fosse inutile, non contenendo che una materia puramente dottrinale e
che potesse sopprimersi senza inconveniente. Ma Pisanelli osservò che è di bene
premetterlo alle altre disposizioni che regolano la materia de’ contratti
matrimoniali per assodare fin da principio la massima che riguardo ai beni la
legge non impone alcun sistema alla società coniugale, lasciando che le parti
le diano quella forma e quelle norme che meglio stimano, ne’ limiti ben inteso
comuni a tutte le altre convenzioni e in quelli specialmente sanciti nel
Codice; e che qualora non vi siano patti nuziali, ciascheduno degli sposi
conserva, in quanto a’ suoi beni, quelle facoltà che la legge concede a tutti,
e sia per tal modo chiaramente escluso nel silenzio delle parti ogni concetto
di comunione legale o altro sistema qualunque. Gli altri membri della
Commissione concordarono in questa opinione, ma nel tempo stesso riconobbero la
verità delle osservazioni del proponente Niutta, che trovava la locuzione
dell’articolo inesatta e non conforme a ciò che dovrebbe esprimere. E dopo
varie osservazioni intorno alla formola da sostituirsi,
[69] E. Bianchi, Del contratto di matrimonio, Napoli, 1907, p.
24; cfr. inoltre Id., Trattato
dei rapporti patrimoniali dei coniugi secondo il codice civile italiano,
Pisa, 1888, p. 2.
[70] Così E. Bianchi, Del contratto di matrimonio,
cit., p. 114; v. inoltre Id., Trattato
dei rapporti patrimoniali dei coniugi secondo il codice civile italiano,
cit., p. 77; nel medesimo senso cfr. Pacifici-Mazzoni,
Istituzioni di diritto civile italiano, V, Firenze, 1873, p. 374: «Nel
regolare cotali diritti gli sposi godono in generale d’illimitata libertà»; Ferrarotti, Commentario teorico
pratico comparato al codice civile italiano, IX, Torino, 1874, p. 396; De Filippis, Corso completo di
diritto civile italiano comparato, IX, I diritti di famiglia,
Napoli, Roma, Milano, p. 274; Ricci,
Corso teorico-pratico di diritto civile, VII, Torino, 1886, p. 2 s.; Baudry-Lacantinerie, Le Courtois e Surville, Del contratto di matrimonio o dei regimi
matrimoniali, in Trattato teorico-pratico di diritto civile, diretto
da G. Buadry-Lacantinerie, I, Milano, s.d., p. 37 s.: «Il
legislatore ha scritto in testa al nostro titolo il principio della libertà delle convenzioni matrimoniali (art.
1387). Ai futuri coniugi è quindi lasciata la maggior latitudine per il
regolamento della società coniugale. Nulla di più giusto. Le preoccupazioni
patrimoniali infatti esercitano spesso una influenza assai importante nella
conclusione dei matrimoni, e la legge, se avesse vincolate le parti contraenti
in riguardo al regolamento dei loro rapporti economici e al bilancio della
famiglia che intendono fondare, avrebbe potuto intralciare la conclusione di
molti matrimoni con grande danno sociale. Il favore col quale il nostro
legislatore considera le nozze, doveva, a nostro avviso, logicamente indurlo a
dare una larga applicazione al principio moderno della libertà delle
convenzioni». Per
analoghe considerazioni con riferimento all’art. 159 c.c. 1942 cfr. Tedeschi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Jemolo, Il matrimonio,
Tedeschi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile, diretto da Filippo Vassalli, Torino,
1950, p. 476; Russo, L’autonomia
privata nella stipulazione di convenzioni matrimoniali, in Vita notar.,
1982, p. 491.
[71] Patti, Regime patrimoniale della famiglia e autonomia
privata, in Familia, 2002, p. 289, cui si rinvia (p. 297 s.) anche per
una comparazione con i sistemi tedesco e francese attuali.