Giacomo Oberto

 

I PRECEDENTI STORICI

DEL PRINCIPIO DI LIBERTÀ CONTRATTUALE

NELLE CONVENZIONI MATRIMONIALI

 

«In hisce pactis totum facit voluntas contrahentium: atque adeo sola voluntas contrahentium spectatur et observatur semper».

 

Cuiacio, In librum XXXV. Pauli ad edictum commentarii, seu recitationes solemnes. Anno 1584, in Iacobi Cuiacii I. C. Tolosatis Opera, Ad Parisiensem Fabrotianam Editionem Diligentissime Exacta, V, Mutinae, 1777, c. 542.

 

 

 

Sommario: 1. Considerazioni generali. –  2. Istituzioni e sostituzioni contrattuali per contrat de mariage. –  3. Il Code Napoléon e codici italiani.

 


 

 

1. Considerazioni generali.

 

Nel momento in cui il Legislatore italiano, recependo la direttiva comunitaria in tema di commercio elettronico, viene ad ammettere expressis verbis che anche il settore del diritto di famiglia può contenere norme che disciplinano contratti[1], il tema dei rapporti tra autonomia negoziale e diritto di famiglia sta conoscendo una stagione quanto mai ricca di studi e contributi che, sul versante tanto dottrinale che giurisprudenziale, vengono, con cadenza ormai quasi quotidiana, ad arricchire un dibattito cui sono usualmente attribuite tutte le caratteristiche della «modernità». Secondo un luogo comune piuttosto diffuso, invero, lo spazio oggi concesso alla autonomia privata marcherebbe una stagione del tutto sconosciuta nel corso dello sviluppo storico dei rapporti patrimoniali all’interno del nucleo familiare, sempre dominati, sino a non molti anni or sono, dalla più assoluta rigidità. In realtà, quest’ottica sembra cogliere solo l’ultimo segmento della linea evolutiva delle relazioni familiari: quello che lo scrivente ha in altra sede sintetizzato nello slogan «dalla concezione istituzionale alla concezione costituzionale della famiglia» e che vede la posizione espressa nel 1945 da Francesco Santoro-Passarelli contrapporsi – a mo’ di frattura quasi epocale – a quella combattivamente propugnata, già da prima dell’avvento al potere del Fascismo, da Antonio Cicu[2].

A ben vedere, il richiamo ai principi della libertà contrattuale nella materia in esame non costituisce una novità degli ultimi decenni. Altrove si è già avuto modo di illustrare ampiamente i precedenti storici in tema di accordi conclusi in sede (ovvero anche solo in vista) di una possibile crisi coniugale[3]. Lasciando qui da parte tale specifico profilo e concentrando l’attenzione sui rapporti tra coniugi nella sola fase, per così dire, fisiologica della loro unione, sarà opportuno rilevare come – avuto riguardo alle esperienze storiche che maggiormente hanno influenzato in parte qua il diritto positivo attuale – già la tradizione precodicistica francese abbia sempre enfatizzato con grande rilievo l’appartenenza delle convenzioni matrimoniali al genus contrattuale, con il conseguente assoluto rilievo dei principi di autonomia privata[4].

I trattatisti dell’epoca, invero, sottolineavano coralmente e a più riprese che tali negozi erano susceptibles de toute sortes de stipulations en faveur des mariez, et des leurs descendans, con la conseguenza che le parti avrebbero potuto faire entrer dans leurs contrats toutes sortes de clauses, con l’unico limite qu’elles n’ayent rien de contraire aux bonnes mœurs[5]. Quanto sopra era del resto codificato a chiare lettere anche da alcune consuetudini locali[6], sovente citate dagli autori che, sul punto, preferivano non ricorrere all’autorità delle fonti romane, sebbene in queste ultime non facessero difetto passi favorevoli al riconoscimento di una vasta autonomia alle parti dei pacta nuptialia. Una delle poche, cospicue, eccezioni rispetto a questa lettura in chiave esclusivamente «gallicana» del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni matrimoniali era costituita dal Domat, il quale, dopo aver rimarcato che i contratti di matrimonio non avrebbero presentato alcuna differenza rispetto ai contratti tout court, se non per via del fatto di essere sottoposti, quanto agli effetti, alla condizione implicita di celebrazione delle nozze[7], rinveniva il fondamento dell’autonomia negoziale dei contrats de mariage[8] in quella disposizione del codice giustinianeo[9] che alcuni secoli prima aveva indotto Bartolo ad esclamare: «Omnia pacta dotalia, quae non sunt contra legem, serventur intacta»[10].

Anche al di là del Reno sia i prepandettisti che i pandettisti sottolineavano la grande libertà concessa alle parti ed il favore con cui la legge guardava alla regolamentazione contrattuale dei rapporti patrimoniali tra coniugi[11], pur nell’ambito delle limitazioni imposte dalla complessa disciplina dettata dalle fonti romane per la dote[12]; ciò che aiuta a comprendere per quale ragione la piena consapevolezza della natura contrattuale delle intese in discorso fosse più facilmente rinvenibile nelle trattazioni maggiormente influenzate dai diritti e dalle consuetudini locali, probabilmente anche sulla scorta del fatto che diverse delle antiche codificazioni germaniche (si pensi, per esempio, al Sachsenspiegel, allo Schwabenspiegel o al Deutschenspiegel) riconoscevano un’ampia estensione agli accordi matrimoniali[13], anche in vista di un eventuale divorzio[14].

Così, mentre una costituzione dell’Elettore Augusto di Sassonia, risalente al 1572, stabiliva apertis verbis – secondo quanto attestato da Carpzovius – la natura contrattuale delle convenzioni matrimoniali[15], in Prussia il progetto del «codice Federico» di Samuel von Cocceji proclamava che «le convenzioni matrimoniali o contratti matrimoniali (…) hanno la stessa efficacia di tutte le altre convenzioni; di conseguenza esse debbono essere eseguite, a meno che non racchiudano clausole che potrebbero dare occasione ai coniugi di commettere peccato, ovvero qualora la convenzione sia per altro motivo contraria ai buoni costumi o alle leggi»[16], soggiungendo che  «si potranno aggiungere ai contratti di matrimonio patti o convenzioni particolari, sia in continenti che ex intervallo»[17], mentre l’ALR del 1794 finì con il recepire in pieno tali regole in diversi dei suoi paragrafi[18].

        In effetti, come metteva bene in luce uno studioso alla fine del XIX secolo, l’autonomia negoziale nei contratti di matrimonio – di contro alle limitazioni imposte ai coniugi dal diritto romano alla regolamentazione dei reciproci rapporti economici – aveva acquistato nel diritto comune tedesco pieno riconoscimento[19]. Una volta operata l’unificazione del diritto nazionale, tutti gli interpreti si affrettarono a chiarire che la regola non poteva essere se non quella della Vertragsfreiheit: significativa al riguardo la comparazione tra i diversi incipit con cui un medesimo autorevolissimo scrittore (il Dernburg) interviene sulla stessa materia, rispettivamente, prima e dopo la fatidica data del 1° gennaio 1900[20].

Ma, tornando alla più vicina esperienza francese, va subito accennato alle clausole, ammissibili, di cui i civilisti prenapoleonici ci hanno tramandato puntigliosi elenchi: dall’esclusione del regime di communauté nelle regioni in cui esso era previsto dalle coutumes come legale[21], alla stipula, viceversa, di tale regime in quelle de droit écrit[22] in cui esso non era contemplato[23]; dalle convenzioni ampliative dell’usuale contenuto del regime legale, a quelle riduttive di quest’ultimo[24], considerate valide addirittura nel caso di attribuzione alla sposa di una quota inferiore – e di molto – alla metà degli acquisti effettuati constante matrimonio[25]; dalla clausola contenente la previsione di una futura liquidazione forfettaria alla moglie dei diritti derivanti dalla comunione, a quella che legava l’instaurarsi del regime comunitario alla condizione che la moglie sopravvivesse al marito e avesse dei figli, o, ancora, a quella che prestabiliva il carattere personale di determinati beni al di là delle eventuali norme consuetudinarie sul punto, e così via[26], sino ad ammettere qualsiasi deroga alle disposizioni tanto del diritto scritto che di quello consuetudinario, magari anche – secondo quanto sostenuto da Bourjon – nella forma di una forma di vera e propria optio juris per una coutume diversa da quella destinata in base alle comuni regole a disciplinare il rapporto negoziale[27], e persino con l’ulteriore effetto – ammesso dalla giurisprudenza del Parlamento di Parigi – di consentire a coniugi residenti in Normandia (regione in cui la communauté era vietata dalla coutume locale) di dar luogo al regime comunitario anche in relazione a beni ivi situati, per il solo fatto di avere contratto matrimonio a Parigi[28].

«Nous, après avoir pris l’avis des Avocat et Procureur du Roi, et des Conseilliers de ce Siége, Avocats et anciens Procureurs du Châtelet, attestons à Messieurs de la Chambre Souveraine Impériale de Spire, qu’il est libre et permis aux hommes et femmes, lorsqu’ils se marient, d’apposer telles clauses et conditions que bon leur semble et se faire telles donations qu’il leur plaît, même se donner entre-vifs tous leurs biens» dichiarava solennemente uno degli actes de notoriété emanati dallo Châtelet di Parigi[29], diligentemente raccolti dal Denisart[30]. La disposition de l’homme – chiosava icasticamente Tronçon – fait cesser celle de la coustume[31], purchè quest’ultima non fosse espressamente concepita en termes prohibitifs[32], come avveniva, ad esempio, nel già citato caso della consuetudine di Normandia, che vietava expressis verbis il regime di comunione.

 

 

2. Istituzioni e sostituzioni contrattuali per contrat de mariage.

 

La faveur des contrats de mariage, a tal punto riconosciuta dall’ancién régime da meritare nel celebre Dictionnaire del de Ferrière un’apposita voce, distinta rispetto a quella consacrata ai contratti di matrimonio[33], arrivava persino a consentire la stipula di patti altrimenti rigorosamente vietati. Già Molineo, annotando l’art. 160 della coutume (ancienne) di Parigi aveva chiarito che la nota regola consuetudinaria secondo cui «donner et retenir ne vaut» n’a lieu en traicté de mariage[34], così esprimendo una communis opinio, espressamente confermata da svariate coutumes[35], recepita pure nei territori di diritto scritto[36] e sancita da diverse decisioni dell’epoca[37].

A ciò s’aggiunga che il tradizionale divieto romano delle istituzioni contrattuali d’erede, così come delle anticipate rinunzie all’eredità[38], aveva subito in Francia una deroga proprio in relazione al contratto di matrimonio: questa usance de France de faire des heritiers par contracts de mariage derivava –  come rilevato da Guy Coquille nel suo celebre commentario alle coutumes di Nevers[39] – dall’antica legge salica, «tenue pour loy, etiam que les Coustumes n’en ordonnent rien»[40]. La regola, avallata dall’autorità di Cuiacio[41], era stata progressivamente recepita «dans le Royaume, aussi bien pour les Provinces qui se regissent par le Droit Civil, que pour celles qui ont leurs Coutûmes particulieres»[42], al punto che un famoso arresto del Parlamento di Parigi in data 18 marzo 1625[43] si spinse ad avallare, addirittura in pregiudizio dei figli, la clausola di un contrat de mariage in forza del quale i coniugi avevano stabilito che, in caso di premorienza della moglie, i suoi eredi nulla avrebbero potuto pretendere sulla communauté[44].

La ratio di una deroga tanto rilevante – a dispetto di una serie di giustificazioni «di facciata» sovente addotte in dottrina, quali il favor matrimonii, l’indissolubilità del vincolo, il rilievo pubblicistico o, per converso, esclusivamente privato degli interessi in gioco[45] – era evidente e talora candidamente confessata dagli autori. «En France nous avons restrainct la liberté de tester autant qu’il nous a esté possible, pour conserver le bien aux familles, et par ce moyen maintenir la force et la grandeur de l’Estat», proclamava nelle sue Questions notables Le Prestre[46], mentre lo stesso Luigi XV (o, forse, per suo tramite, il cancelliere D’Aguesseau), introducendo l’ordonnance del 1747 sulle sostituzioni, lodava la prassi che aveva visto la volonté de l’homme prendere la place de la Loi come tendant à la conservation du patrimoine des familles et à donner aux maisons les plus illustres le moyen d’en soûtenir l’éclat.

  Paradossalmente, proprio questo principio così restrittivo della possibilità di disporre dei patrimoni favorì l’insorgere di un’infinità di clausole che esaltavano l’autonomia privata, diligentemente repertoriate in svariate opere principalmente rivolte alla classe notarile[47]. Si vennero così ad ammettere istituzioni di persone non ancora nate, attribuzioni patrimoniali a titolo gratuito non bisognose d’accettazione, patti successori, tanto istitutivi che rinunciativi (con un particolare occhio di riguardo ai maggiorascati), liberalità tra i futuri coniugi (purché effettuate in epoca antecedente alle nozze)[48]. Significativi al riguardo gli esempi portati da Pothier della rinunzia compiuta dalla figlia all’eredità dei genitori che le costituiscono una dote in contratto di matrimonio e della istituzione d’erede, per contrat de mariage, vuoi dell’altro coniuge, vuoi del primogenito destinato a nascere dalle future nozze[49]. Lo stesso favor si pose, del resto, alla base dell’art. XVII dell’ordonnance sulle donazioni, emanata da Luigi XV nel febbraio 1731, secondo cui il divieto stabilito dall’art. XV per il donante di disporre di beni non suoi all’epoca della liberalità[50] subiva un’eccezione proprio per il caso delle donazioni faites par contrat de mariage en faveur des conjoints ou de leurs descendans, même par des collateraux ou par des étrangers. Il citato provvedimento reale stabiliva espressamente che tali atti potessero comprendere tant les biens à venir, que les biens présens, en tout ou en partie[51], estendendosi ad abbracciare effetti mortis causa, al punto da indurre i commentatori a dire che i contratti di matrimonio participent en même tems à la nature des Actes entre-vifs, et à celle des dispositions Testamentaires[52].

Ma le regole di cui sopra non costituivano un’esclusiva della «cucina» francese. Il favore nei confronti della regolamentazione preventiva dei rapporti mortis causa in sede di contratto di matrimonio era un motivo ricorrente un po’ ovunque nell’Europa prerivoluzionaria. Per essa gli autori riuscirono a trovare persino una giustificazione nelle fonti romane, ancorché non strettamente riferibili a negozi mortis causa[53].

La speciale attenzione al momento dello scioglimento per morte del matrimonio era resa necessaria dal bisogno di coordinare il regime patrimoniale della costituenda unione coniugale con eventuali fedecommessi e/o maggiorascati, da un lato, e con l’inesistenza di una successione ex lege del coniuge superstite e (sovente) della prole di sesso femminile dall’altro[54]. La tendenza, che aveva cominciato a manifestarsi già a partire dall’alto medioevo[55], era divenuta vieppiù evidente nell’età feudale e rinascimentale, raggiungendo il suo apogeo con l’affermarsi – a partire dal secolo XVI – del metodo di trasmissione «patrilineare indivisibile» della ricchezza, specie tra le famiglie nobili, sistema che restò in auge sino a buona parte del secolo XVIII[56]. La lettura dei passi riportati in nota[57] conferma che non solo Oltralpe il contratto di matrimonio assunse il ruolo di una vera e propria anticipata successione sul patrimonio familiare della figlia che passava a nozze[58].

 

 

3. Il Code Napoléon e codici italiani.

 

Non desta dunque stupore che, sulla base delle cennate premesse, il principio di libertà contrattuale nei contrats de mariage avesse assunto un rilievo tale da consentirgli di superare intatto l’abrogazione dei fedecommessi, dei maggiorascati e della trasmissione «patrilineare indivisibile» dei patrimoni. I lavori preparatori del Code Napoléon dimostrano in maniera assai eloquente quanto la regola fosse radicata: «Les contrats et même ceux qui contiennent les conventions matrimoniales, sont des matières du droit privé. C’est à cet égard que les parties doivent avoir la liberté la plus entière», proclamava il console Cambacérès davanti al Conseil d’Etat[59]. Il concetto si pone alla base dell’art. 1387 del Code, secondo cui «La loi ne régit l’association conjugale quant aux biens, qu’à défaut de conventions spéciales, que les époux peuvent faire comme ils le jugent à propos, pourvu qu’elles ne soient pas contraires aux bonnes mœurs ni aux dispositions qui suivent». Aveva ragione, dunque, il Laurent a rilevare che «Les auteurs du code (…) ont reproduit cette disposition traditionnelle, de même qu’ils ont reproduit, dans tout le titre du Contrat de mariage, les règles que la tradition avait consacrées»[60].

La stessa ragione ci aiuta ad inquadrare il principio che trova oggi la sua espressione nell’art. 160 c.c., erede di quell’art. 1388 Code Napoléon, il cui scopo era semplicemente quello – di fronte alla più sconfinata libertà negoziale che caratterizzava i contratti di matrimonio – di scongiurare il rischio che i coniugi potessero prevedere una «stipulation qui rendrait la femme chef de la société conjugale», privando il marito («celui à qui la nature a donné le plus de moyens pour la bien gouverner») del diritto – spettantegli par la nature même des choses – di essere di tale unione  «le maître et chef»[61].

Il passaggio dal diritto antico a quello nuovo è bene evidenziato, per esempio, dal Massé che, aggiornando il più famoso manuale notarile dell’Ancien Régime – vale a dire la science des notaires del de Ferrière – riproduceva fedelmente la parte sul contenuto delle convenzioni matrimoniali, limitandosi ai soli «ritocchi» strettamente indispensabili[62]. Corale, poi, il commento dei primi interpreti del Code, i quali notavano che nelle convenzioni matrimoniali «La liberté (…) peut tout ce qui n’est pas contre les bonnes mœurs et les lois de la nature et de l’ordre public[63]», dal momento che la legge «ne se contente même pas de laisser ici aux intéresses la liberté dont ils jouiraient pour tout autre contrat pécuniaire; elle leur donne (…) une latitude plus grande que partout ailleurs[64]: liberté entière dans les conventions matrimoniales. Rien n’y est commandé par la loi, rien n’y est défendu, que ce qui blesse l’ordre public ou les bonnes mœurs[65]». Una chiarissima eco di tali insegnamenti si coglie ancora oggi nella dottrina d’Oltralpe, che continua a rimarcare come nelle convenzioni matrimoniali la libertà negoziale sia più estesa rispetto a quella di diritto comune, posto che «Par faveur pour le mariage, le législateur accepte l’insertion dans un contrat de mariage de clauses qui, dans d’autres contrats, seraient entachées de nullité»[66].

La lettera e lo spirito dell’art. 1387 Code Napoléon furono recepiti dai codici preunitari italiani[67], che confluirono poi in quell’art. 1378 c.c. 1865 («La società coniugale relativamente ai beni è regolata dalle convenzioni delle parti e dalla legge»), con il quale si apriva il titolo dedicato al contratto di matrimonio, elencato al primo posto tra i contratti tipici, così al di qua come al di là delle Alpi. Orbene, con quella norma, che poneva l’accento (esattamente, del resto, come l’attuale art. 159 c.c.) sul primato spettante alla disciplina convenzionale e sul carattere meramente suppletivo della regolamentazione legale dei rapporti patrimoniali tra coniugi, il legislatore – superando senza indugi le obiezioni di chi, in sede di lavori preparatori, ne aveva proposto la soppressione[68] – rendeva «un giusto omaggio alla libertà contrattuale»[69], valendo per le convenzioni matrimoniali il principio per cui «tutto ciò che non è vietato da una precisa disposizione di legge, o non è contrario all’ordine pubblico e al buon costume, è permesso in omaggio della  libertà contrattuale»[70].

Può dunque dirsi confermato quanto recentemente rilevato da chi ha posto in luce che «L’evoluzione storica e l’analisi comparatistica confermano che la regola fondamentale in materia di regime patrimoniale della famiglia è quella della libertà di scelta, cioè dell’autonomia privata»[71].

 

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[1] Cfr. l’art. 11 d. legis. 9 aprile 2003, n. 70 «Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico», il quale stabilisce l’inapplicabilità della relativa regolamentazione ai «contratti disciplinati dal diritto di famiglia». Il richiamo legislativo, ad avviso dello scrivente, deve intendersi effettuato tanto alle convenzioni matrimoniali, quanto ai contratti della crisi coniugale che, come si è dimostrato in altra sede (Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 696 ss.), rinvengono il loro fondamento causale in specifiche disposizioni giusfamiliari.

[2] Sul tema, che non è possibile approfondire in questa sede, nonché per i necessari richiami, si rinvia a Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 103 ss.; per una successiva riscoperta dello scritto di Santoro-Passarelli (Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Dir. giur., 1945, p. 3 ss. e in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 381 ss.) cfr. ora anche Zoppini, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2001, p. 213 ss.; v. inoltre Bocchini, Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, in Riv. dir. civ., 2001, p. 446 ss.

[3] Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 66 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, nota a Cass., 20 marzo 1998, n. 2955, in Foro it., 1999, I, c. 1306 ss. Sul tema dei patti relativi alla dote in diritto romano v. ora anche Magagna, I patti dotali nel pensiero dei giuristi classici. Per l’autonomia privata nei rapporti patrimoniali tra i coniugi, Padova, 2002, passim.

[4] Ancorchè (sarà bene chiarirlo subito) i protagonisti di tale autonomia non fossero (quanto meno di regola) i futuri sposi, bensì le rispettive famiglie. Invero, come verrà chiarito tra breve nel testo, unendosi con gli istituti del fedecommesso e del maggiorascato, le regole dei patti nuziali vennero a disegnare, nelle unione tra i rampolli delle famiglie della nobiltà o dell’alta borghesia, dei pactes de famille, veri e propri trattati d’alleanza conclusi direttamente dagli stessi capifamiglia e destinati a reggere per secoli le fortune dei rispettivi gruppi familiari; sul tema cfr. Salvioli, Manuale di storia del diritto italiano. Dalle invasioni germaniche ai nostri giorni, Torino 1890, p. 305 s.; Ducros, La societé française au dix-huitième siècle, Paris, 1933, p. 66 ss.; Ungari, Il diritto di famiglia in Italia dalle Costituzioni «giacobine» al Codice civile del 1942, Bologna, 1970, p. 211 s., 221 s.; Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli. XV-XIX secolo, Torino, 1988, p. 111 ss., 213 ss.; Vismara, Scritti di storia giuridica, V, La famiglia, Milano, 1988, p. 34 ss.; Autorino Stanzione e Stanzione, Sulla concezione della famiglia nell’Italia del XVIII secolo, in Dir. fam. pers., 1992, p. 316 ss. Sullo scarso – o nullo – rilievo della volontà della donna, durante il periodo anteriore alle moderne codificazioni cfr. per tutti Brandileone, Saggi sulla celebrazione del matrimonio in Italia, Milano, 1906, p. 360; Goody, Famiglia e matrimonio in Europa, Bari, 1995, p. 27 ss. Significativo al riguardo è il fatto che, ancora all’inizio del XIX secolo, un noto manuale avvertiva che «gli sponsali e le nozze non sono contratti che puramente si facciano tra due individui, ma sono in certo qual modo convenzioni che hanno luogo tra due o più famiglie, che ne vincolano i membri fra di loro (...) e che il più delle volte influiscono grandemente sopra gli interessi di più individui, di più famiglie e talvolta su quelli ancora di un’intera popolazione»: cfr. Aa. Vv., Manuale forense, I, Novara, 1838, p. 520.

[5] Così Lauriere, Traité des institutions et des substitutions contractuelles, I, Paris, 1715, p. prima e seconda della préface non numerata; [du Perray], Traité des contrats de mariage, Paris, 1741, p. 119; nel medesimo senso cfr. inoltre Cochin, LXXIX. Cause au Req. du Palais, in Œuvres de feu Mr. Cochin, écuyer, avocat au Parlement, contenant le recueil de ses mémoires et consultations, III, Paris, 1753, p. 479 ss.; Le Brun, Traité de la communauté entre mari et femme, Paris, 1709, p. 19 s.; Argou, Institution au droit françois, II, Paris, 1753, p. 19; Renusson, Traité de la communauté de biens entre l’homme et la femme conjoints par mariage, in Œuvres de M. de Renusson, Paris, 1760, p. 16; Denisart, Collection de décisions nouvelles et de notions relatives à la jurisprudence actuelle, I, Paris, 1763, p. 592 s.; Pocquet de Livonnière, Règles du droit françois, Paris, 1768, p. 295; de Ferriere, Dictionnaire de droit et de pratique, I, Paris, 1769, p. 586; Prevôt de la Jannés, Les principes de la jurisprudence françoise, II, Paris, 1770, p. 24; Pothier, Coutumes des Duché, Bailliage et Prévôté d’Orléans et ressort d’iceux, Paris - Orléans, 1780, p. 287 ss.

[6] Orléans: «En traicté de mariage, et avant la foy baillée, et benediction nuptiale, homme et femme peuvent faire et apposer telles conditions, doüaires, donations, et autres conventions, que bon leur semblera» (art. 202, in Bourdot de Richebourg, Nouveau coutumier general, III, Paris, 1724, p. 790); Montargis: «En traicté de mariage et avant la foy baillée, homme et femme qui se veulent marier par premieres et autres nopces peuvent mettre et apposer telles conditions, conventions donations et autres contracts que on leur semblera en leurdit mariage qui sortiront effect. Toutesfois les renonciations de communité de biens ne pourront prejudicier aux creanciers» (chap. 8, art. 8, in Bourdot de Richebourg, op. cit., III, p. 845); Borbonese: «Toutes donations, conventions, avantages, institutions d’heritiers, et autres choses faites en contract de mariage et en faveur d’iceluy au proffit et utilité des mariez, de l’un d’eux, ou des descendans dudit mariage, le mariage fait par paroles de presens, sont bonnes, et valables en quelque forme qu’elles soient faites, etiam en donnant et retenant, et posé que’elles soient immenses, inoffieciuses, et jusques à l’exhéredation des propres enfans dudit disposant…» (art. 219, in Bourdot de Richebourg, op. cit., III, p. 1248); Alvernia: «Tous pactes, advantages, donation entre vifs, ou à cause de mort, convenance de succeder, soient mutuelles, égales ou non, et autres convenances quelsconques faites et passées en traité de mariage, et en faveur d’icelui par personnes capables à contracter sains ou malades, valent et tiennent au profit des mariez et leurs descendans : saisissent lesdits mariez et leursdits descendans, les cas advenus» (chap. XIV, art. 26, in Bourdot de Richebourg, op. cit., IV, p. 1171).

[7] Domat, Les lois civiles dans leur ordre naturel, I, Paris, 1756, p. 95. Per gli altri autori francesi che, già in precedenza avevano invocato sul punto l’autorità delle leggi romane cfr. il già riportato avviso di Cuiacio (cfr. Cuiacio, In librum XXXV. Pauli ad edictum commentarii, seu recitationes solemnes. Anno 1584, in Iacobi Cuiacii I. C. Tolosatis Opera, Ad Parisiensem Fabrotianam Editionem Diligentissime Exacta, V, Mutinae, 1777, c. 542, secondo cui «In hisce pactis totum facit voluntas contrahentium: atque adeo sola voluntas contrahentium spectatur et observatur semper»); v. inoltre Duareno, In tract. soluto matrimonio, quemadmodum dos petatur, lib. Pandect. XIIII. Commentarius, in Franc. Duareni iureconsulti opera omnia tam recentia quam prius edita in iure civili, Lugduni, 1554, f. 97: «… pro quodam veluti fundamento haec Regula traditur, Omne hiusmodi Pactum valere. Quod ita accipi debet, ut non modo ad exceptionem, verum etiam ad actionem prosit (…) Excipiuntur Pacta quae Iuri, aut bonis moribus contraria sunt. Item ea quae mulieri adhuc superstiti dotem adimunt, aut quae conditionem eius deteriorem reddunt. Idem dicendum est de eo pacto, quo convenit, ut vir fructus dotis non lucreteur, et aliis quibusdam similibus».

[8] Domat, op. cit., p. 97: «On peut dans les contrats de mariages, comme en tous autres, faire toutes sortes de conventions, soit sur la dot ou autrement ; pourvû que la convention n’ait rien d’illicite et de malhonnête ; ou qui soit défendu par quelque coutume, ou par quelque loi».

[9] «Illud etiam generaliter praesenti addere sanctioni necessarium esse duximus, ut si qua pacta intercesserint, vel pro restitutione dotis, vel pro tempore, vel pro usuris, vel pro alia quacunque causa, quae nec contra leges, nec contra constitutiones sunt: ea observerentur» (C. 5. 13. 1. § illud etiam; cfr. anche D. 23. 4. 12.; i passi sono citati da Domat, op. cit., p. 95).

[10] Bartolo da Sassoferrato, In primam codicis partem commentaria, Venetiis, 1602, f. 165; in analogo senso cfr. anche Baldo degli Ubaldi, In quartum et quintum codicis libr. praelectiones, Lugduni, 1556, f. 210, secondo cui «Pacta dotalia quae dotis conditionem deteriorem non reddunt, sunt servanda»; Bartolomeo da Saliceto, (citato da Baudoza, Codicis D.N. Iustiniani Sacratiss. Principis PP. Aug. Repetitae Praelectionis Libri XII. Diligenter recogniti (…) opera et studio Petri ab Area Baudoza Cestii I.C., Lugduni, 1593, c. 919), secondo cui «Pacta dotalia, quae non sunt contra legem, sunt observanda et haec lex corrigit omnes alias sibi contrarias»; Gotofredo, Codicis Iustiniani (…) Libri XII. Notis Dionysii Gothofredi I.C. illustrati, Lugduni, 1652, c. 403, in margine a C. 5. 13. 1. § Illud etiam, per il quale «Pacta dotalia quae dotis causam non minuunt, sunt servanda»; Fontanella, De pactis nuptialibus, sive de capitulis matrimonialibus, II, Genevae, 1684, p. 192, secondo cui «Pacta omnia quae in eis [nuptialibus tabulis] fiunt, firma, validaque sunt, nisi expressim reperiantur prohibita». Nello stesso senso v. poi anche Odofredo, De dote, in Aa. Vv., De dote, tractatus de variis iuris civilis intepretibus decerpti, Venetiis, 1571, p. 387; De Luca, De dote, lucris dotalibus et aliis dotis appenditiis, in De Luca, Theatrum veritatis et iustitiae, VI, Lugduni, 1697, p. 628 ss.; Mantica, Vaticanae lucubrationes de tacitis et ambiguis conventionibus, in libros XXVII. dispertitae, I, Genevae, 1723, p. 586 ss.; Gagliardi, De iure dotium commentarius, s.l., 1780, p. 68.

[11] Cfr. Carpzovius, Jurisprudentia forensis romano-saxonica, secundum ordinem constitutionum D. Augusti Electori Saxon., Lipsiae et Francofurti, 1684, p. 802 ss., 966 (secondo cui «pacta dotalia de dote et donatione propter nuptias extrajudicialiter etiam concepta valent, modo dotem non reddant deteriorem, aut moribus ac legibus repugnent»); Wesenbech, In pandectas iuris civilis et codicis iustinianei libros commentarii, Genevae, 1639, c. 975 s. (secondo cui i patti dotali «servanda sunt», purchè «non repugnent legibus, aut bonis moribus, aut occasionem delictis praebeant aut indotatas reddant mulieres adhuc superstites vel conditionem dotis faciant deteriorem»); Brunnemann, Commentarius in duodecim libros codicis iustinianei, Lugduni, 1669, p. 285; Kohl, Tractationes duae, prior de pactis dotalibus: altera de successione coniugum, Lipisiae, 1671, p. 5 ss. («…pro regula tenendum: pacta in contractu dotis apposita omnino esse servanda […] Non modo, quia nihil est aequitati naturali magis consentaneum, quam quae inter paciscentes semel placuerunt, servare […], verum etiam, quia traditioni rei suae, puta, doti viro praestandae, legem quam vult, quisque dicere potest»); Strykius, De cautelis contractuum necessariis, in Supplementum dissertationum et operum sive tractatuum jurid. ante hac editorum et ineditorum volumen XIII, Florentiae, 1840, c. 340 («pacta ipsa circa dotem iniri solita quod attinet, regulariter illa licita sunt, nisi conditionem dotis reddant deteriorem (…) E. g. Si conventio iniretur, ut, quamvis maritus ante uxorem decesserit, tamen dos penes mariti haeredes remanere debeat, quo casu uxor redderetur indotata»); Schott, Einleitung in das Eherecht zu akademischen und gemeinnüzlichem Gebrauch, Nürnberg, 1786, p. 485 ss. (secondo cui gli Eheverträge debbono «wenn sie auch in ihrem Inhalt von den gemeinen oder Statutarrechten abweichen, als eine für die Eheleute und deren Erben verbindliche Richtschnur geachtet werden»); Thibaut, System des Pandekten-Rechts, I, Jena, 1818, p. 349 («Die, durch die Gesetze als Folgen der Ehe angeordneten Verhältnisse können durch Verträge mannigfaltig moidificirt und geändert werden»); Mühlenbruch, Doctrina pandectarum, Bruxellis, 1838, p. 503: «Vis autem omnis atque auctoritas horum pactorum ex uno illo pendet, ut ne adversentur aut honestati, aut publico juri»; Id., Lehrbuch des Pandekten-Rechts nach der Doctrina pandectarum Deutsch bearbeitet, III, Halle, 1840, p. 79 s.; Arndts, Lehrbuch der Pandekten, München, 1861, p. 628 s. («Bei bestellung der Dos sind, wie bei andern Rechtsgeschäften, verschiedene Nebenbestimmungen möglich und können auch nacher noch besondere Verabredungen darüber getroffen werden»); Marezoll, Trattato delle istituzioni del dritto romano, Napoli, 1866, p. 300 («Gli sposi possono prima, durante, ed ancor dopo la conchiusione del matrimonio stabilire a lor talento il modo onde verranno regolati i loro rapporti matrimoniali, in ispecialità le relazioni economiche, così per la durata del matrimonio, come pel tempo che vien dopo la sua cessazione; fermare in tal guisa i pacta nuptialia»); Baron, Pandekten, Leipzig, 1890, p. 579 («Vor wie nach Eingehung der Ehe können von den Brautleuten resp. Gatten unter sich sowie mit dem dritten Besteller der Dos Verträge abgeschlossen werden, durch welche die Dos anderen als den gestzlichen Bestimmungen unterworfen wird. Die Contrahenten haben hiebei nicht immer freie Hand, vielmehr sind ihnen bedeutende Schranken gezogen auf Grund des Princips: reipublicae interest, mulieres dotes salvas habere, propter quas nubere possunt, … quum dotatas esse feminas ad sobolem procreandam replendamque civitatem liberis maxime sit necessarium»); Windscheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, II, Frankfurt a. M., 1882, p. 885 ss. («Wenn die Parteien über das Schicksal der Dos, fur die Zeit während des Bestehens der Ehe oder für die Zeit nach der Auflösung derselbe, vertragsmäßige Bestimmungen getroffen haben, so sind, die Gültigkeit des Vertrages vorausgesezt, diese und nicht die bisher entwickelten gesetzlichen Regeln, maßgebend»).

[12] Cfr., per un elenco di queste, oltre ad alcuni degli autori citati alla nota precedente, Vangerow, Leitfaden für Pandekten-Vorlesungen, Marburg und Leipzig, 1843, p. 335 ss.; Seuffert, Praktisches Pandektenrecht, III, Würzburg, 1852, p. 50 s. («Die persönlichen Verhältnisse der Eheleute können durch die Ehepacten nicht verändert werden. Aber auch in Ansehung der Vermögensrechte ist ihre Wirksamkeit mehrfach beschränkt»); Puchta, System und Geschichte des römischen Privatrechts, II, Leipzig, 1881, p. 411 («Die rechtlichen Vorschriften über die Dos können zum Theil abgeändert werden durch besondere Verabredungen, pacta dotalia, sowohl vor als während der Ehe. Sie sind ihrem Inhalt nach beschränkt, sie dürfen 1) nich gegen das Wesen der Ehe streiten, z.B. darf dem Mann nicht das beneficium competentiae entzogen werden; 2) nicht gegen das Wesen der Dos, z.B. kann nicht die Restitution aller Früchte bedungen werden; 3) darf die Lage der Frau nicht verschlimmert werden, z.B. durch Verlängerung des Restitutionstermins, wenn die Dos an die Frau fällt»).

[13] Cfr. Schroeder, Geschichte des ehelichen Güterrechts in Deutschland, II, 1, Stettin und Elbing, 1868, p. 137 ss.; II, 2, 1871, p. 1 ss.; II, 3, 1874, p. 218 ss.

[14] Cfr. per esempio il Cap. III, Art. 44 del Sachsenspiegel e il Cap. CXXV dello Schwabenspiegel.

[15] «Nach deme die Ehestifftunge Contract seyn / so ist es auch genug / wann zweene oder drey Zeugen dabey gewesen… »: cfr. Carpzovius, op. cit., p. 802 (la constitutio in questione è la II, 43 della raccolta).

[16] [von Cocceji], Projet du corps de droit Frédéric ou corps de droit pour les états de sa majesté le roi de Prusse, I, suivant l’édition de Halle, 1751, p. 172.

[17] [von Cocceji], op. cit., p. 185.

[18] Cfr. ALR, II, 1, §§ 198, 208, 209, 215, 251, su cui v. Schmidt, Das preußische Familienrecht nach dem allegemeinen Landrechte, Leipzig, 1843, p. 186 ss. («die Eheleute können sich, sobald sie wollen, als zwei Behörden einander gegenüberstellen, und ihr besonderes Interesse eigennützig wahrnehmen»).

[19] Cfr. Neubauer, Das in Deutschland geltende eheliche Güterrecht nach amtlichen Materialien zusammengestellt, Berlin, 1889, p. 67 («Im Gegensatze zu der dem römischen Rechte eigenen Beschränkung der Ehegatten in der vertragsweisen Regelung ihrer gegenseitigen vermögensrechtlichen Beziehungen erlangte unter dem Einflusse deutscher Rechtssitte die Freiheit des Ehevertrages gemeinrechtliche Anerkennung in Deutschland»), cui si fa rinvio per una dettagliata analisi comparativa dei vari sistemi patrimoniali tra coniugi esistenti in Germania alla vigilia dell’entrata in vigore del BGB. Per uno studio similare riferito ai rapporti patrimoniali tra coniugi nella storia elvetica cfr. von Wyss, Die ehelichen Güterrechte der Schweiz in ihrer rechtsgeschichtlichen Entwicklung, Zürich, 1896.

[20]

Dernburg, Pandekten, III, Berlin, 1892, p. 32 s.:

Dernburg, Das bürgerliche Recht des Deutschen Reiches und Preußens, IV, Familienrecht, Halle, 1903, p. 171 s.:

«Die Vertragsfreiheit ist bezüglich der Dotalverhältnisse wesentlich beschränkt. 1. Dotalverträge sint nichtig, wenn sie gegen Grundprincipien des Dotalrechtes verstoßen (…). 2. Ferner wurden Dotalverträge verworfen, welche die Rechtsstellung der Frau ungebührlich verschlechtern (…)».

«Für die Ordnung der Verhältnisse unter den Gatten besteht Vertragsfreiheit, soweit nicht zwingende Rechtsnormen entgegenstehen. Von größter Wichtigkeit ist für das Eherecht, daß Verträge nichtig sind, welche gegen ein gesetzliches Verbot oder gegen die guten Sitten verstoßen, §§ 134, 183. Nichtig sind daher namentlich solche Verträge, welche mit dem Wesen der Ehe unvereinbar sind, z.B. die vertragsmäßige Entbindung der Frau von der Verplichtung, bei ihrem Manne regelmäßig zu wohnen, die Übernahme der Verpflichtung, in eine Ehescheidung zu willigen».

 

[21] Tronçon, Le droict françois, et coustume de la Prevosté et vicomté de Paris, Paris, 1626, p. 375 s.: «L’on a demandé sin l’on peut deroger à la communauté introduitte par la coustume, en sorte que la femme n’y ait aucune part, ou qu’elle n’en puisse proffiter que jusques à la concurrence de telle somme; la coustume de Berry art. 8 titre des Mariages, dit que ceste convention est vallable : la Cour la ainsi jugé en des coustumes qui n’en disposent, par Arrest du 1. Juillet 1485. au profit de Iehan Giraut contre les heritiers de Gillette de la Fontaine sa femme. Autre arrest de la my-Aoust 1529 au profit des heritier de maistre Anthoine Robert contre les Bouchars, en la coustume de Paris : tellement que la coustume de Berry est generale en ceste disposition ; conformé à l’opinion de Ioannes Faber sur la loy de fidecommisso, Cod. De transact.».

[22] Cioè di quelle rette dal diritto romano. Si noti peraltro che talune rarissime coutumes escludevano espressamente la communauté, come nel caso di quelle della Normandia (art. 389) e di Reims (art. 239). Per quanto attiene alla prima si ritenevano nulle le convenzioni costitutive di un regime comunitario (v. Basnage, Commentaires sur la coutume de Normandie, in Œuvres de Maître Henri Basnage, II, Rouen, 1778, p. 78 ss.), peraltro solo se stipulate in Normandia, mentre si affermava la validità di quelle stipulate, per esempio, a Parigi, ancorchè tra residenti in Normandia e su beni ivi situati (Le Brun, Traité de la communauté entre mari et femme, cit., p. 2: cfr. inoltre infra, nota 28). La comunione era inoltre esclusa per incompatibilità con i sistemi di cui alle coutumes d’Alvernia (tit. XIV, art. 1) e della Marche (art. 296), mentre quella di Metz (tit. VI, art. 1) ammetteva espressamente la possibilità che la communauté fosse stipulata nel contratto di matrimonio (cfr. per tutti Le Brun, Traité de la communauté entre mari et femme, cit., p. 2 ss.).

[23] Cfr. per esempio Delalande, Coutumes des duché, bailliage, prevosté d’Orléans et ressorts d’iceux, Orléans, 1673, p. 228; Le Brun, Traité de la communauté entre mari et femme, cit., p. 2.

[24] Cfr. per esempio Delalande, op. cit., p. 228. Sulla validità della rinuncia preventiva, ovvero anche in costanza di matrimonio, lucris acquisitis et acquirendis secondo il diritto comune nelle terre di Spagna e Portogallo v. Molina, De iustitia, tomus secundus de contractibus, Moguntiae, 1602, c. 823; Sanchez, De sancto matrimonii sacramento, I, Venetiis, 1685, p. 383 s.; Covarruvias, Operum tomus secundus, Genevae, 1734, p. 376 ss.

[25] Cfr. Robert, Rerum iudicatarum libri quatuor, Parisiis, 1602, p. 66 ss., che riporta la sentenza del Parlamento di Parigi in data 16 gennaio 1592, la quale ammise la validità di una convenzione matrimoniale in cui le parti avevano stabilito che la moglie «societatis partem haberet non dimidiam, qualem ex lege municipali, si nihil conventum foret, consequi debeat, sed quartam tantum societatis illius partem». La medesima decisione stabilì la nullità di un successivo patto con il quale i coniugi avevano deciso di attribuire alla moglie la metà degli acquisti; la Corte, sulla base della regola dell’immutabilità delle convenzioni matrimoniali, «legem contractus matrimonii servari iussit, ac Maeviae [mulieri] quartam societatis partem, non ampliorem adiudicavit».

[26] Renusson, op. cit., p. 16: «Les personnes qui se marient peuvent stipuler qu’il n’y aura point de communauté, ou que l’un des conjoints aura seulement un tiers en la communauté, et que l’autre y aura les deux autres tiers ; ou ils peuvent stipuler que la femme aura pour tout droit de communauté une certaine somme, ou qu’il n’y aura communauté qu’en cas que la femme survive son mari, et qu’elle ait des enfans ; ou ils peuvent stipuler que leurs biens meubles leur seront propres en tout ou partie, non seulement ceux qu’ils ont actuellement, mais aussi ceux qui viendront à leur échoir par succession, donation ou autrement, ou qu’ils seront employés en achat d’héritage ; ou ils peuvent ameublir tous leurs immeubles, et les faire entrer en la communauté dans les coutumes qui permettent de disposer entre-vifs de tous biens ; ils peuvent enfin faire cesser par leurs stipulations la disposition de la Coutume». Per un approfondimento del tema delle clausole accessorie al regime di comunione in vista dello scioglimento del matrimonio (préciput, forfait de communauté, reprise de l’apport de la femme) si fa rinvio a Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 87 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., c. 1314 ss.

[27] Bourjon, Le droit commun de la France, et la coutume de Paris, I, Paris, 1770, p. 506: «La coutume connoissant le cœur de l’homme, a prudemment resserré les nœuds du mariage par ceux de l’intérêt, en établissant une communauté de certains biens entre les conjoints par mariage; mais elle ne leur a pas prohibé de déroger à cet établissement, ou de le modifier à leur gré. En effet, comme les contrats de mariage sont susceptibles de toutes clauses, pourvu qu’elles ne soient contraires ni aux bonnes mœurs, ni aux loix prohibitives et négatives, les conjoints peuvent soumettre la régie de leur communauté à une certaine coutume (…) ainsi le contrat de mariage contenant que la communauté sera régie par une certaine coutume, la disposition de cette coutume prévaut sur celle de la situation des conquêts, ainsi que sur celle du domicile». Il brano contribuisce a spiegare per quale motivo il Code Napoléon stabilì (art. 1390) che «Les époux ne peuvent plus stipuler d’une manière générale que leur association sera réglée par l’une des coutumes, loi ou statuts locaux qui régissaient ci-devant les diverses parties du territoire français, et qui sont abrogées par le présent Code», temendo che i cittadini optassero in massa per quei regimi del diritto consuetudinario da cui essi erano stati, in vaste zone del paese, sino ad allora governati (per questa considerazione v. Sacco, Del regime patrimoniale della famiglia, nel Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 1992, p. 20), così dando luogo alla disposizione antesignana del nostro art. 161 c.c.

[28] Cfr. la decisione del 19 agosto 1655, in Du Fresne, Journal des principales audiences du Parlement, I, Paris, 1757, p. 632 s.

[29] Si trattava di una sorta di «pareri pro veritate» resi dai giudici di primo grado (nella specie il Lieutenant Civil della città di Parigi) che, pur senza possedere il valore dei famosi arrêts de règlements (emessi dai Parlamenti), fissavano in modo permanente la giurisprudenza su di un determinato argomento.

[30] Denisart, Actes de notoriété donnés au Châtelet de Paris sur la jurisprudence et les usages qui s’y observent, Paris, 1769, p. 10 ss. L’atto in questione reca la data del 16 gennaio 1680.

[31] Tronçon, op. cit., p. 375 s.

[32] «On peut déroger par un contrat de mariage à la Loi et à la Coutume, quand elle n’est point conçûe en termes prohibitifs, ou qu’elle ne dit pas expressément qu’on sera tenu d’observer ce qu’elle prescrit; on a voulu laisser la liberté à ceux qui se marient, pour faciliter le mariage»: Renusson, op. cit., p. 16.

[33] Eccone l’incipit: «Faveur des contrats de mariage, est une prérogative toute particuliere, qui les fait regarder comme la Loi des familles, à laquelle les Loix mêmes ne touchent point, à moins qu’il ne s’y rencontre quelque clause contre les bonnes mœurs (de Ferriere, Dictionnaire de droit et de pratique, I, cit., p. 586).

[34] Molineo, Notae solennes Caroli Molinaei i. c. celeberrimi ad consuetudines gallicas, in Caroli Molinaei Franciae et Germaniae celeberrimi iurisconsulti, et in Supremo Parisiorum Senatu antiqui Advocati, operum tumus tertius, Lutetiae Parisiorum, 1624, c. 153. Nello stesso senso cfr. Le Prestre, Questions notables de droict, Paris, 1663, p. 577 ss.; Ricard, Traité des donations entre-vifs et testamentaires, I, Paris, 1685, p. 236 s.

[35] Cfr. per esempio le coutumes dell’Alvernia (chap. XIV, artt. 25 e 26), dell’Anjou (art. 245), del Bar (art. 167), del Berry (tit. VIII, artt. 5 e 6), del Borbonese (art. 219), di Chalons (art. 65), del Nivernois (chap. XXVII, art. 12), del Vermandois (artt. 54 e 55).

[36] Cambolas, Decisions notables sur diverses questions du droit, jugées par plusieurs arrests de la Cour de Parlement de Tolose, Tolose, 1659, p. 517 ss.; Catellan, Observations sur les arrêts remarquables du Parlement de Toulouse, I, Toulouse, 1758, p. 333 ss.; Henrys, Des testamens, codicilles, institutions, élections et nominations d’héritiers, clauses dérogatoires, substitutions, et autres dispositions de dernière volonté, in Œuvres de M. Claude Henrys, III, Paris, 1772, p. 257 ss.

[37] Cfr. Le sentenze del Parlamento di Parigi del 24 marzo 1521, 12 agosto 1600 e 30 marzo 1620 riportate da Brodeau, Recueil d’aucuns notables arrests, donnez en la cour de parlement de Paris. Pris des Memoires de Mons. Maistre Georges Loüet, Conseiller du Roy en icelle, Anvers, 1665, p. 231; v. inoltre la sentenza 9 marzo 1627 del Parlamento di Tolosa, riportata da Cambolas, op. cit., p. 518.

[38] Anche se contenute nei pacta dotalia: cfr. C. 2. 3. 15.; C. 6. 20. 3.

[39] Coquille, Les coustumes du pays et comté de Nivernois, enclaves et exemptions d’iceluy, in Œuvres de Me Guy Coquille Sr de Romenay, Paris, 1646, p. 305. Per una testimonianza al riguardo di ancor più antica data cfr. l’osservazione (risalente, per l’esattezza, al 17 aprile 1363) di des Mares, Decisions de messire Iean des Mares, Conseiller et Advocat du Roy au Parlement, sous les Roys Charles V. et VI. dans lesquelles sont trascripts les Usages et Coustumes gardées en la Cour de Chastelet, et certaines Sentences données en plusieurs cas notables, in Brodeau, Coustume de la prévosté et vicomté de Paris commentée, II, Paris, 1669, p. 559: «Il est de Coustume, que se homme et femme conioincts par mariage, ou l’un d’eux, marient aucuns de leurs enfans, et en mariage leur donnent aucuns de leurs propres heritages, pour en heriter les hoirs qui istront de ce mariage : ces heritages ainsi donnez, sont de nature de propre heritage…».

[40] Coquille, op. cit., p. 305. Per un attento studio della disposizione citata della legge salica cfr. Bonnet, Des dispositions par contrat de mariage et des dispositions entre époux, I, Paris, 1860, p. 289 ss.

[41] Cfr. Cuiacio, Consultatio XX, in Jac. Cuj. Consultationes LX, in Iacobi Cuiacii I. C. Tolosatis Opera, Ad Parisiensem Fabrotianam Editionem Diligentissime Exacta, I, Venetiis, 1758, c. 585, che definisce favorabilis, certa, constans, irrevocabilis l’istituzione d’erede effettuata matrimonii contemplatione filio ducenti uxorem; conforme Brodeau, Recueil d’aucuns notables arrests, donnez en la cour de parlement de Paris. Pris des Memoires de Mons. Maistre Georges Loüet, Conseiller du Roy en icelle, Anvers, cit., p. 383. Del resto alcuni precedenti erano rinvenibili nello stesso (tardo) diritto romano, ancorchè con riguardo a situazioni particolari (assai citato e discusso era il caso della Novella 19 dell’imperatore Leone il Filosofo: sul punto cfr., ex multis, Lauriere, op. cit., p. 11 ss.; Bonnet, op. cit., p. 281 ss.).

[42] Ricard, op. cit., p. 236 s.: «Nous tenons pour droit commun, que les successions futures se peuvent donner et promettre valablement dans un contrat de mariage, en faveur des futurs époux, et de leurs descendans, par qui que ce soit, pourveu qu’il soit capable de disposer». Analogamente v. Masuer, La practique de Masuer ancien iurisconsulte et practicien de France, mise en françois par Antoine Fontanon, Paris, 1581, p. 450 s.; Papon, Sixième édition du recueil d’arrests notables des cours souveraines de France, Lyon, 1586, p. 1020; Brodeau, Recueil d’aucuns notables arrests, donnez en la cour de parlement de Paris. Pris des Memoires de Mons. Maistre Georges Loüet, Conseiller du Roy en icelle, cit., p. 382 ss.; Charondas le Caron, Responses et decisions du droict françois, Paris, 1612, f. 370; Le Prestre, op. cit., p. 577 ss.; Le Brun, Traité des successions divisé en quatre livres, Paris, 1700, p. 391 ss.; Lauriere, op. cit., passim, cui si fa rinvio in particolare per un’attenta ricostruzione storica dell’istituto (p. 1 ss.) e per una dettagliata elencazione di clausole relative, ivi comprese quelle dette déclarations d’ainéz (I, p. 70 ss.; II, p. 1 ss.); Cochin, LI. Cause à la Grande Chambre, in Œuvres de feu Mr. Cochin, écuyer, avocat au Parlement, contenant le recueil de ses mémoires et consultations, II, Paris, 1762, p. 610 ss.; du Rousseaud de la Combe, Recueil de jurisprudence civile du pays de droit écrit et coutumier, par ordre alphabétique, Paris, 1769, p. 363 ss.; Henrys, op. loc. ultt. citt.; Lamoignon, Recueil des arrêtés de M. le Premier Président de Lamoignon, I, Paris, 1783, p. 253 e II, Paris, 1783, p. 368 s.; cfr. inoltre la sentenza del Parlamento di Parigi 30 agosto 1700, in Nupied, Journal des principales audiences du Parlement, IV, Paris, 1757, p. 845 ss. (ove si riporta anche per esteso il plaidoyer dell’avocat général Joly de Fleury). Per quanto attiene in particolare alle coutumes cfr. per esempio quelle citate supra, in nota 6. Per quanto concerne invece in particolare le regioni rette dal diritto scritto, cfr. Maynard, Notables et singulières questions du droict escrit, Paris, 1616, p. 510 s.; Cambolas, op. cit., p. 161 (che cita la sentenza 16 luglio 1596 del Parlamento di Tolosa, secondo cui una istituzione contrattuale non era valida se non effettuata «in ipso contractu matrimonij et eius contemplatione», mentre, nella sentenza 18 dicembre 1596 dello stesso parlamento «fut jugé qu’une donation faite par le pere au fils en faveur du mariage qu’il disoit se traitter avec une Armande, estoit bonne, bien que les pactes et le mariage avec cette Armande ne fut fait que quatre mois apres ; mais il estoit considerable qu’en cette donation le pere disoit que le mariage se traittoit avec Armande, qui depuis fut fait, tellement que c’estoit la cause finale»); d’Olive, Les œuvres de Me Simon d’Olive, Sieur de Mesnil, Lyon, 1650, p. 373 ss.; [Furgole], Recueil des questions de jurisprudence, proposées par M. D’Aguesseau, Chancellier de France à tous les Parlemens du Royaume. Concernant les Donations, les Testamens, les Substitutions, les Incapacités de donner et de recevoir, et les Matières Bénéficiales. Avec les réponses du Parlement de Toulouse sur ces mêmes Questions, [Avignon], 1749, p. 263 s.

[43] In Du Fresne, Journal des principales audiences du Parlement, I, cit., p. 28.

[44] Nella causa decisa con sentenza del 1° febbraio 1745 lo stesso Parlamento ritenne valida la clausola di un contratto di matrimonio in forza della quale si prevedeva che, in caso di premorienza della moglie in assenza di figli, o di morte dei figli avvenuta dopo quella della madre ma prima di quella del padre, il futuro sposo sarebbe stato obbligato a rendere solo la metà dei beni apportati dalla futura sposa in comunione: cfr. Denisart, Collection de décisions nouvelles et de notions relatives à la jurisprudence actuelle, I, cit., p. 456.

[45] Renusson, op. cit., p. 16: «Le contrat de mariage est le plus solemnel et le plus favorable de tous les contrats de la societé civile. Il est autorisé du droit naturel, du droit des gens et du droit civil»; Delalande, op. cit., p. 228: «cette paction regarde seulement l’interest des parties contractantes»; de Ferriere, Dictionnaire de droit et de pratique, I, cit., p. 586: «on ne peut trop favoriser un contrat, qui est le soutient d’un état, l’appui des familles, et le lien de la société civile»; Prevôt de la Jannés, op. cit., p. 24: «les conventions, mêmes, et les dispositions que l’ordre des Loix civiles ne permettroit pas dans les autres actes, sont permises dans le contrat de mariage, et cette liberté, outre la faveur du mariage, est fondée sur ce que le mariage ne pouvant se rétracter, il n’est pas juste qu’on rétracte les conditions sans lesquelles il n’auroit pas été fait».

[46] Le Prestre, op. cit., p. 578.

[47] Cfr. per esempio de Ferriere, La science parfaite des notaires, ou le parfait notaire, I, Paris, 1771, p. 273 ss., 298 ss.; 303 ss.; 311 ss.; [du Perray], Traité des contrats de mariage, cit., p. 566 ss.; cfr. inoltre Bannelier, Traités de droit françois à l’usage du Duché de Bourgogne et des autres Pays qui ressortissent du au Parlement de Dijon, tirés de divers manuscrits du ressort. Pour servir de continuation aux Traités de M. Davot, VII, Dijon, 1757, p. 123 ss.; Poullain du Parc, Principes du droit françois, suivant les maximes de Bretagne, V, Rennes, 1769, p. 5 ss. Per un’interessante indagine storica contenente una dettagliata analisi delle varie ipotesi di clausole variamente inserite nei diversi regimi matrimoniali anteriori al Code Napoléon cfr. Lelievre, La pratique des contrats de mariage chez les notaires au Châtelet de Paris de 1769 à 1804, Paris, 1959, p. 25 ss. (per le clausole relative al regime di communauté stipulato in prime nozze), 195 ss. (per le clausole relative al regime di communauté in seconde nozze), 265 ss. (per le clausole in deroga al regime comunitario), 340 ss. (per le clausole relative ai contratti stipulati in Normandia), 362 ss. (per le clausole proprie dei contratti stipulati nei paesi di diritto scritto), 374 ss. (per i contratti di communauté universelle e per quelli conclusi dagli stranieri). Per uno studio sui contratti di matrimonio dei reali di Francia cfr. Valtat, Les contrats de mariage dans la famille royale en France au XVIIe siècle, Paris, 1953 (da cui s’apprende, tra l’altro, che i sovrani erano soliti escludere il regime di communauté).

[48] de Ferriere, Dictionnaire de droit et de pratique, I, cit., p. 586: «Faveur des contrats de mariage, est une prérogative toute particuliere, qui les fait regarder comme la Loi des familles, à laquelle les Loix mêmes ne touchent point, à moins qu’il ne s’y rencontre qulque clause contre les bonnes mœurs. Ainsi les contrats de mariage sont suceptibles de toutes sortes de clause, non seulement de toutes celles qui peuvent être insérées dans les autres contrats, mais encore de celles qui ne seroient pas admises dans d’autres actes, soit pour être contre les dispositions précises des Coutumes et des Loix, soit pour être contre les principes mêmes, pourvû que telles clauses ne soient pas contre les bonnes mœurs. On change dans les contrats de mariage la nature des biens, par des ammeublissemens et des stipulations de propres. On transfere la succession aux héritier les plus éloignés. On y déroge aux Coutumes (…). On peut donner par contrat de mariage à des personnes qui ne sont pas encore au monde. On y peut faire des donations valables, sans qu’elles aient besoin d’être acceptées. Les donations qui y sont faites par les peres et meres à leurs enfans, ne sont point sujettes à insinuation. (…) On peut stipuler par contrat de mariage une communauté, quioqu’en Pays de Droit écrit, et stipuler dans les Pays coutumiers qu’il n’y aura point de communauté. On peut par contrat de mariage faire institutions contractuelles, tant en Pays coutumer, qu’en Pays de Droit écrit (…). Les renonciations des enfans aux successions futures de leurs parens et leurs meres, faites par contrat de mariage, sont valables et on prive ainsi les enfans de ce qui leur est plutot dû par la loi de la nature, que par le droit positif. Quioque le mari et la femme ne puissent en pays coutumier s’avantager l’un l’autre directement ni indirectement, néanmoins avant le mariage et par le contrat il est permis aux futurs conjoints de donner à l’un d’eux tous ses biens meubles et immeubles, propres naissans et anciens, sans qu’un tel avantage puisse être réputé indirect. La faveur de ces contrats est si grande, qu’il est permis de déroger par le contrat de mariage aux dispositions des Coutumes».

[49] Pothier, Traité de la communauté, in Pothier, Traités sur différentes matières de droit civil, III, Paris-Orléans, 1781, p. 490 s.: «Les contrats de mariage sont tellement susceptibles de toutes sortes de conventions, qu’on y en admet qui, par tout autre acte que par un contrat de mariage ne seroient pas valables. Par exemple, quoique par tout autre acte que par un contrat de mariage, il ne soit pas permis de faire aucune convention sur la succession d’une personne encore vivante, néanmoins on admet dans les contrats de mariage la convention par laquelle un enfant se contente de la dot qui lui est donnée par ses pere et mere, et renonce en conséquence à la succession future en faveur des autres enfans, ou de quelqu’un d’eux ; puta en faveur de l’ainé, ou en faveur des enfans mâles. Quoique par tout autre acte que par un contrat de mariage, je ne puisse pas convenir et promettre qu’une certaine personne sera mon héritiere, l’institution d’héritier ne pouvant se faire que par testament, et devant dépendre de la libre volonté du testateur, toujours révocable jusqu’à la mort, néanmoins on a admis dans les contrats de mariage les institutions contractuelles, par lesquelles l’un des conjoints institue irrévocablement pour son héritier, soit l’autre conjoint, soit les enfans, ou l’ainé des enfans qui naîtront du futur mariage». Nello stesso senso v. anche Denisart, Collection de décisions nouvelles et de notions relatives à la jurisprudence actuelle, I, cit., p. 593: «La faveur singuliere de Contrats de Mariage, a fait que les donations de biens présens et à venir, sont valables, quand elles sont faites par contrats de Mariage (…). Par la même raison, les renonciations à des successions futures, que nous regardons comme invalides, sont néantmoins valables quand elles sont écrites dans les Contrats de Mariage».

[50] «Aucune donation entre-vifs ne pourra comprendre d’autres biens que ceux qui appartiendront au donateur, dans le temps de la donation…».

[51] Sul punto v. Furgole, Ordonnance de Louis XV, Roi de France et de Navarre, pour fixer la jurisprudence sur la nature, la forme les charges et les conditions des Donations, Donnée à Versailles au mois de Février 1731, I, Toulouse, 1761, p. 157 ss.; de Boutaric, Explication de l’ordonnance de Louis XV, Roi de France et de Navarre, Du mois de Février 1731, concernant les donations, Avignon, 1744, p. 77 ss.; du Rousseaud de la Combe, Commentaire sur les nouvelles ordonnances, Paris, 1753, p. 65 s.; Bergier, in nota (c) al Traité des donations entre-vifs et testamentaires par Me Jean-Marie Ricard, Avocat au Parlement, I, Riom, 1783, p. 269.

[52] Salle’, L’esprit des ordonnances et des principaux édits et déclarations de Louis XV, en matière civile, criminelle et bénéficiale, Paris, 1759, p. 43. Cfr. inoltre gli artt. 11 e 12 dell’Ordonnance sur les substitutions del mese di agosto 1747, che dichiaravano le sostituzioni e le istituzioni contrattuali per contrat de mariage irrevocabili, sia tra nobili che tra plebei (su cui v. [Aymar], Explication de l’ordonnance de Louis XV, roi de France et de Navarre, donnée au camp de la Commanderie du Vieux Jonc, au mois d’Août 1747. Concernant les substitutions, Avignon, 1749, p. 34 ss., 39 ss.; Furgole, Commentaire de l’ordonnance de Louis XV sur les substitutions. Du mois d’Août 1747, Paris, 1775, p. 36 ss., 39 ss.).

[53] Fabro, Codex fabrianus definitionum forensium et rerum in Sacro Sabaudiae Senatu tractatarum, Coloniae Allobrogum, 1765, p. 535 invocava al riguardo i passi C. 5. 12. 7 e D. 23. 4. 7.; nello stesso senso Guy Pape, Decisiones Guidonis Papae, iurisconsulti clarissimi, Lugduni, 1593, p. 433 s., 761 s. Secondo Fachineus, Controversiarum iuris libri decem, Venetiis, 1609, c. 653, invece, il richiamo dei passi citati ai soli istituti della dote e della donatio propter nuptias avrebbe impedito alle parti dei pacta nuptialia di inserirvi delle conventiones de futura successione.

[54] Che sovente nei patti dotali rinunziava ad ogni pretesa di carattere successorio (v. Autorino Stanzione e Stanzione, op. cit., p. 322).

[55] Cfr. Vismara, op. cit., p. 153 ss.; per il periodo del tardo diritto comune v. Autorino Stanzione e Stanzione, op. cit., p. 322; con particolare riguardo alla Francia v. Lefebvre-Teillard, Introduction historique au droit des personnes et de la famille, Paris, 1996, p. 162 s., con ampi richiami.

[56] Barbagli, Sotto lo stesso tetto: mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, 1988, p. 304 s.; cfr. inoltre Goody, op. cit., p. 261 ss.; per quanto attiene in particolare all’Italia v. Autorino Stanzione e Stanzione, op. cit., p. 316 ss.; per la Francia cfr. Lefebvre-Teillard, op. cit., p. 177 s.

[57] Cfr. in particolare Tesauro, Questionum forensium libri priores duo, Augustae Taurinorum, 1621, p. 331; Rota Romana, Tarentina dotis, 28 giugno 1728, r.p.d. Crescentio («Nupserat anno 1705 Isabella Forleo Iosepho Barricellio cum dote sibi a Ioanne Petro fratre constituta in ducatis Regni 1600, una cum diversis mobilibus, quae omnia eadem Isabella de consensu viri recepit (...) cum expresso pacto reversionis dictae dotis ad fratrem dotantem in casu obitus Isabellae sine filiis»); Fabro, Codex fabrianus definitionum forensium et rerum in Sacro Sabaudiae Senatu tractatarum, cit., p. 535 (il quale cita in tal senso anche una decisione del Senato piemontese risalente al 1593: «Haereditas quidem pacto dari non potest (...) contraria tamen consuetudine fere ubique gentium recepta est, ut huiusmodi conventiones valeant in contractu matrimonii, nec solum inter nobiles, in quorum personis facilius id admitti potuit, sed etiam inter alios quoscunque, nullum licet jusjurandum intervenerit (...). Neque vero videri possunt abhorrere a bonis moribus naturalibus (...) quamvis negari non possit, quin auferant liberam testandi facultatem»); Capycii Latro, Consultationum juris selectiorum in variis, ac frequentioribus facti contingentiis (…) Liber primus, Genevae, 1687, p. 102 («… quod in capitulis matrimonialibus possint fieri talia pacta, quae importent fideicommissum»); Richerii, Universa civilis et criminalis jurisprudentia, IV, Taurini, 1825, p. 361 («Usu fori, ubique fere recepto, tanti habitum non est captandae mortis votum, seu periculum, ut pactum de futura successione reprobari generaliter debeat, neque unquam permitti possit; maxime dotis caussa, cujus praecipuus est favor. Itaque apud omnes fere gentes consuetudine inductum est, ut valeant hujusmodi conventiones in contractu matrimonii; non solum inter nobiles, in quibus facilius admitti possunt, propter decus, et amplificationem familiarum; sed inter alios quoscumque, etiam plaebejae conditionis homines»).

Per il resto d’Europa ed in particolare per la Germania cfr. Carpzovius, op. cit., p. 802 ss., 966, il quale riporta al riguardo la già citata costituzione dell’Elettore Augusto di Sassonia, risalente alla codificazione del 1572 (II, 43), rimarcando che «valent pacta dotalia in vim contractus, etiamsi bona universa conjugi superstiti fuerint assignata, modo haud jure hereditario, vel successionis hoc factum sit»; Brunnemann, op. cit., p. 91 («Pacta dotalia autem hodie non tantum de dote, sed etiam de successione mutua inter conjuges fieri possunt, ex notoria consudetudine Germaniae»); Thomasius, Notae ad singulos Pandectarum titulos, Halae Magdeburgicae, 1727, p. 238 («Pacta dotalia, quae mixta vocantur, ubi per modum ultimae voluntatis disponitur de bonis utriusque conjugis, ortum ducunt ex principiis juris Germanici, utpote quibus semper valida fuere pacta de hereditate viventis»); Wesenbech, op. loc. ultt. citt.; Rittershusius, Sacrarum lectionum libri octo, Noribergae, 1643, p. 420; Heineccius, Consilia, decisiones et responsa iuris, Vratislaviae, 1744, p. 686 ss.; Struvius, Jurisprudentia romano-germanico-forensis, Francofurti ad Mœnum, 1760, p. 531 s. (in particolare sui pacta dotalia c.d. mixta, con i quali si poteva disporre di una futura successione); Leyser, Meditationes ad pandectas, V, Halae, 1772, p. 188 ss.; Voet, Commentarius ad pandectas, II, Venetiis, 1775, p. 63 («Agmen pactorum dotalium hactenus expositorum claudant illa, quae de futura agunt successione, quaeque jure quidem civili improbata, moribus tamen in tabulis antenuptialibus probata sunt (...). Quale pactionum genus cur tam frequenter nuptiis, praesertim in Hollandia, praemitti soleat, rationes accurate descripsit Cornelius Neostadius (...). Nec dubium, quin multifariam hae conventiones interponi queant. Etenim vel concernunt conjugum ipsorum successionem inter se, veluti, ut ultimus superstes omnia conjugis praedefuncti bona sibi servet, aut partem eorum; quod coincidit cum pacto de lucranda dote, parteve ejus (...). Vel respiciunt successionem tertii in bona conjugum; puta ut matrimonio soluto bona redeant ad latus illud, unde profecta sunt»).

[58] Così Vaccari, Dote (diritto intermedio), in Noviss. dig. it., VI, Torino, 1960, p. 261.

[59] Cfr. L. Jouanneau L., C. Jouanneau e Solon, Discussions du code civil dans le Conseil d’Etat, II, Paris, 1805, p. 357: «on ne peut, par des stipulations particulières, déroger au droit public ; mais toutes les dispositions qui sont dans le Code civil n’appartiennent pas à ce droit : celles-là seules s’y rapportent, qui règlent l’ordre des successions et les conditions du mariage. Les contrats et même ceux qui contiennent les conventions matrimoniales, sont des matières du droit privé. C’est à cet égard que les parties doivent avoir la liberté la plus entière». V. inoltre, sempre a titolo d’esempio, il discours del tribuno Siméon sul titolo X del libro III del Code civil, pronunciato nella seduta del Tribunato del 20 piovoso anno XII (Simeon, Discours, in Aa. Vv., Corps Législatif, Paris, Imprimerie Nationale, Ventose an 12, p. 8), nel quale si legge, tra l’altro, che «Les conventions matrimoniales doivent être libres comme le mariage lui-même ; la loi ne les règle qu’à défaut des contractans ; ils peuvent stipuler leurs intérêts et leurs droits respectifs comme il leur convient, pourvu qu’ils n’établissent rien de contraire aux bonnes mœurs, non plus qu’aux lois publiques et générales».

[60] Laurent, Principes de droit civil, XXI, Bruxelles, 1878, p. 13.

[61] V. le osservazioni di Cambacérès di fronte al Consiglio di Stato, su cui si è già avuto modo di riflettere in Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 459 ss., per giungere alla conseguenza dell’inapplicabilità dell’art. 160 c.c. ai rapporti patrimoniali derivanti dalla crisi coniugale. Ecco alcuni esempi di clausole vietate dalla norma in esame secondo il pensiero di Massé, Le nouveau parfait notaire, ou la science des notaires de feu C.-J. de Ferrière, I, Paris, 1807, p. 286: «Nous avons dit qu’il n’étoit permis aux époux de faire des conventions matrimoniales que relativement à leurs biens. La loi seule, en effet, règle ce qui concerne leurs personnes. (Voyez l’art. 1387 du Code civil.) Ainsi les époux ne peuvent déroger aux droits résultant de la puissance maritale sur la personne de la femme et des enfans, ou qui appartiennent au mari comme chef. (Art. 1388.) Le mari ne peut s’affranchir de la protection qu’il doit à sa femme, ni la femme de l’obéissance qu’elle doit à son mari. (Art. 213.) On ne peut pas convenir que la femme n’habitera pas ou cessera d’habiter avec son mari, quand bon lui semblera ; qu’elle ne sera pas tenue de le suivre où il jugera à propos de se rendre ; que le mari ne sera pas obligé de la recevoir chez lui, de lui fournir ce qui lui sera nécessaire pour les besoins de la vie, selon ses facultés et son état (art. 214.) ; qu’enfin elle pourra ester en jugement sans l’autorisation de son mari. (art. 215 et 1576.) Ils ne peuvent pas non plus déroger aux droits conférés au survivant des époux par le titre de la puissance paternelle, et par le titre de la minorité, de la tutelle et de l’émancipation. (Art. 1388.)».

[62] Per rendere più «plasticamente» il confronto si è proceduto alla redazione dello schema di raffronto seguente:

 

De Ferriere, La science parfaite des notaires, ou le parfait notaire, cit., p. 254 s.:

 

Massé, Le nouveau parfait notaire, ou la science des notaires de feu C.-J. de Ferrière, cit., p. 285:

 

 

«La considération des contrats de mariage est si grande, qu’on reçoit en leur faveur toutes sortes de dispositions et de clauses, quelque singulières qu’elles soient, pourvu qu’elles ne soient relatives qu’aux biens et non à la personne des époux, et qu’elles ne contiennent rien de contraire aux lois ni aux bonnes mœurs. Ce que les coutumes prescrivent pour régler les droits des conjoints, quant aux biens, soit durant le mariage, soit après sa dissolution, peut être ou conservé ou changé, ou même anéanti par le contrat de mariage. Les futurs conjoints y peuvent aussi faire des conventions utiles ou nécessaires pour la conservation de leurs droits, au‑delà de ce qui a été prévu par les coutumes. On y peut convertir l’immobilier en mobilier, et au contraire on y peut stipuler la qualité de propre de communauté pour les biens qui ne le sont pas, et même pour de simples deniers.

 

 

«La considération des contrats de mariage est si grande, qu’on reçoit en leur faveur toutes sortes de dispositions et de clauses, quelque singulières qu’elles soient, pourvu qu’elles ne soient relatives qu’aux biens et non à la personne des époux, et qu’elles ne contiennent rien de contraire aux lois ni aux bonnes moeurs. Ce que les lois prescrivent pour régler les droits des conjoints, quant, aux biens, soit durant le mariage, soit après sa dissolution, peut être ou conservé ou changé, ou même anéanti par le contrat de mariage. Les futurs conjoints y peuvent aussi faire des conventions utiles ou nécessaires pour la conservation de leurs droits, au‑delà de ce qui a été prévu par les lois. On y peut convertir l’immobilier en mobilier, et au contraire on y peut stipuler la qualité de propre de communauté pour les biens qui ne le sont pas, et même pour de simples deniers.

 

 

On peut y favoriser l’intérêt des pere et mere qui dotent par le moyen de la convention dont il est parlé en l’article 281 de la coutume de Paris. On y peut mettre des clauses pour l’avantage ou le repos de toute la famille, comme la renonciation des filles dotées aux successions directes et colltérales. Une mineure même y peut renoncer à toutes successions à écheoir, pourvu qu’on lui donne une dot convenable, et que cette dot soit totalement payée lors de l’ouverture de la succession, sui­vant la maxime de M. Charles Dumoulin, et l’usage établi presque dans tous les Etats.

 

Autrefois on y faisoit souvent renoncer les filles dotées aux successions directes et collatérales et une telle renonciation étoit valable par contrat de mariage. Une mineure même y pouvoit renoncer à toutes successions à écheoir, pourvu qu’on lui donnât une dot convenable, et que cette dot fût totalement payée lors de l’ouverture de la succession, sui­vant la maxime de M. Charles Dumoulin, et l’usage établi presque dans tous les Etats : mais le Code civil a prohibé toute espèce de renonciation à la succession d’un homme vivant, même celles faites par contrat de mariage. (Art. 791)

 

 

On y peut faire toutes sortes de dispositions gratuites, soit particulières, soit universelles, y donner même des successions, en instituant des héritiers ; ce qu’on appelle institution contractuelle. En un mot, la grande faveur des contrats de mariage, et la nécessité qu’il y a de suppléer à nos coutumes pour bien ménager l’intérêt des familles, font que l’on déroge souvent au droit commun et ordinaire».

 

On peut aujourd’hui, comme on le pouvoit autrefois, faire dans les contrats de mariage toutes sortes de dispositions gratuites, soit particulières, soit universelles, y donner même des successions, en instituant des héritiers ; ce qu’on appelle institution contractuelle. En un mot, la grande faveur des contrats de mariage, et la nécessité qu’il y a de suppléer à la loi pour bien ménager l’intérêt des familles, font que l’on déroge souvent au droit commun».

 

 

[63] Troplong, Du contrat de mariage et des droits respectifs des époux, I, Paris, 1850, p. 16: «Le respect dû à la volonté libre des parties n’a pas été non plus oublié dans ce pacte solennel qui emprunte tant de force aux convenances individuelles. La liberté y peut tout ce qui n’est pas contre les bonnes mœurs et les lois de la nature et de l’ordre public».

[64] Marcadé, Explication théorique et pratique du Code Napoléon, V, Paris, 1859, p. 382: «Et la loi ne se contente même pas de laisser ici aux intéressés la liberté dont ils jouiraient pour tout autre contrat pécuniaire; elle leur donne (…) une latitude plus grande que partout ailleurs; et pourvu qu’ils n’insèrent dans leur contrat rien de contraire aux règles prohibitives dont nous allons nous occuper, ils peuvent y mettre absolument toutes les stipulations qu’il leur plaira, celles‑là même qui seraient interdites dans des contrats ordinaires : qui veut la fin veut les moyens, et pour favoriser le mariage, il fallait favoriser les conventions pécuniaires dont il dépend souvent».

[65] Toullier, Le droit civil français suivant l’ordre du code, XII, Paris, 1829, p. 22 s.: «Ce chapitre commence par consacrer le sage principe de la plus grande liberté dans les conventions matrimoniales. Les époux peuvent non seulement soumettre leur société au régime dotal ou à celui de la communauté, mais ils peuvent encore faire aux règles tracées par la loi, concernant l’un ou l’autre des deux régimes, tels changements, telles modifications que bon leur semble (…). Il ne faut donc pas demander s’il est permis d’insérer telle clause ou condition dans un contrat de mariage, mais plutôt si elle est defendue. C’est dans cette matière surtout qu’il faut appliquer dans toute son étendue la grande et générale maxime, que ce qui n’est pas défendu par la loi est permis. Ainsi, liberté entière dans les conventions matrimoniales. Rien n’y est commandé par la loi, rien n’y est défendu, que ce qui blesse l’ordre public ou les bonnes mœurs». Cfr. inoltre Dard, Instruction facile sur les contrats de mariage, selon les principes du code Napoléon, Paris, 1810, p. 10: «Le contrat de mariage est le plus solennel et le plus favorable de tous les actes de la société civile ; il est autorisé par le droit naturel, par le droit des gens et par le droit civil. Dans la vue de déterminer les citoyens au mariage, la jurisprudence française a toujours admis ce principe, que les contrats de mariage sont susceptibles de toutes les clauses et conventions que les parties veulent former, pourvu qu’elles ne contiennent rien de contraire aux lois d’ordre public, ni aux bonnes mœurs. C’est cette faveur, accordée aux contrats de mariage, qui fait que l’on reçoit dans ces contrats des stipulations qui ne seraient pas valables, si elles étaient faites dans tout autre contrat»; Merlin, Répertoire universel et raissonné de jurisprudence, III, Paris, 1812, p. 82; Biret, Traité du contrat de mariage, Paris, 1825, p. 60 s.; Laurent, op. cit., p. 13: «Le législateur, loin de restreindre la liberté des contractants en matière de conventions matrimoniales, l’étend : comme il favorise le mariage, il devait aussi favoriser le contrat de mariage, l’expérience démontrant que les stipulations relatives aux biens engagent souvent les parties à s’unir, de même qu’elles pourraient entraver leur union si la loi enchaînait la liberté de ceux qui veulent se marier, mais qui ne le veulent que sous les conditions qui leur conviennent. Pothier en a déjà fait la remarque : la loi permet aux futurs époux de faire dans leur contrat de mariage des stipulations qu’elle prohibe en dehors de ce contrat. Les pactes successoires sont sévèrement défendus comme contraires aux bonnes mœurs ; par contrat de mariage, on peut faire une institution contractuelle ; dans l’ancien droit, l’institution contractuelle avait encore ceci de particulier, qu’elle était admise même dans les lieux où les coutumes rejetaient absolument l’institution d’héritier»; Duranton, Cours de droit français suivant le code civil, XIV, Paris, 1832, p. 17 ss.; Rodiere e Pont, Traité du contrat de mariage et des droits respectifs des époux, relativement à leurs biens, I, Paris, 1847, p. 33 s.: «Les contrats de mariage ont toujours été traités avec une grande faveur, parce que ce sont, de tous les contrats, ceux qui intéressent le plus la conservation de la société. Aussi, les par­ties peuvent y faire non‑seulement toutes les stipulations per­mises dans les contrats ordinaires, mais encore certaines conventions qui partout ailleurs seraient prohibées. En thèse générale, par exemple, les donations entre vifs ne peuvent comprendre des biens à venir (C. civ., art. 943), ni être faites sous une condition potestative de la part du donateur (art. 944), ni imposer au donataire l’obligation de payer d’autres dettes ou charges que celles existant au moment de la donation (art. 945), ni profiter au donataire pour quelque objet compris dans la donation, dont le donateur se serait réservé la faculté de disposer et dont il n’aurait pas disposé en effet (art. 946). Toutes ces conventions pourtant sont autorisées dans les contrats de mariage (art. 947). Les donations faites en faveur du mariage ne peuvent non plus être annulées sous prétexte du défaut d’acceptation (art. 1087), quoique, en principe, l’acceptation expresse du donataire soit indispensable pour la validité de la donation (art. 932)»; Zachariæ, Corso di diritto civile francese, ed. italiana, III, Napoli, 1852, p. 222; Bellot Des Minieres, Le contrat de mariage considéré en lui-même, Paris, 1855, p. 11: «Le contrat de mariage n’est qu’un, mais les conditions qu’un peut y insérer sont infinies. Les parties peuvent, en effet, stipuler tout ce que bon leur semble, pourvu que les stipulations n’aient rien de contraire aux lois, aux mœurs, à l’ordre public»; Bonnet, op. cit., p. 1 ss. (con particolare riguardo alla donazione di beni futuri, p. 276 ss.); Michaux, Traité pratique des contrats de mariage, Paris, 1869, p. 10 s.; Guillouard, Traité du contrat de mariage, I, Paris, 1885, p. 85: «Les conventions matrimoniales ont pour but, avons‑nous dit, et ne peuvent avoir pour but que le règlement des intérêts pécuniaires des époux, soit pendant le mariage, soit à la dissolution du mariage. Mais, dans cette limite, les conventions matrimoniales peuvent être rédigees avec une liberté plus grande que les conventions ordinaires, et on peut y insérer des clauses qui seraient défendues en général dans les contrats. C’est ainsi que la donation de biens à venir, l’institution contractuelle, qui est prohibée en droit commun, est permise dans les contrats de mariage, aux termes des articles 947 et 1081) ; c’est ainsi encore que l’irrévocabilité des donations ordinaires fléchit dans les contrats de mariage, où l’article 1086 permet de faire des libéralités sous l’obligation de payer les dettes qui gréveront la succession du donateur, ou sous d’autres conditions dont l’exécution dépendrait de la volonté du donateur».

[66] Colomer, Droit civil. Régimes matrimoniaux, Paris, 1992, p. 160; più in generale, sul ruolo della libertà negoziale nel settore della famiglia cfr. Ghestin, Droit civil. Les obligations. Le contrat, Paris, 1980, p. 77; Creff, Les contrats de la famille, in Aa. Vv., Le droit contemporain des contrats. Bilan et perspective, Paris, 1986, p. 247. Si noti che ancora oggi l’institution contractuelle è ammessa in Francia nei contrats de mariage (artt. 1082 e 1093 Code Civil) in deroga al generale divieto dei patti successori (sul punto cfr. ex multis Baudry-Lacantinerie e Colin, Traité théorique et pratique de droit civil. Des donations entre vifs et des testaments, II, Paris, 1899, p. 821 ss.).

[67] Cfr. gli artt. 1341 del Codice per lo Regno delle Due Sicilie – Leggi civili («La legge regola la società conjugale relativamente a’ beni, se non in mancanza di speciali convenzioni che gli sposi posson fare a lor piacimento, purchè non sieno contrarie a’ buoni costumi; ed in oltre colle seguenti modificazioni»); 1319 del Codice civile per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla («La legge non induce comunione di beni tra conjugi; essa protegge le convenzioni che loro piace di stipulare, purchè non discordino dai buoni costumi e sieno conformi alle seguenti regole»); 173 delle Leggi civili e criminali del Regno di Sardegna («Ne’ contratti tutti di matrimonio dovranno osservarsi ed adempiersi li patti e le condizioni, che gli stessi contraenti s’a­vranno reciprocamente imposto e stabilito, siano quelle conformi o contrarie agli statuti, ed usi del luogo e domicilio degli stessi contraenti, con ciò però, che non vi osti la disposizione delle presenti leggi o della ragion comune»); 1508 del Codice Albertino («Nel contratto di matrimonio gli sposi possono fare tutte le convenzioni che giudicano convenienti, purichè non sieno contrarie ai buoni costumi, ed inoltre sotto le modificazioni seguenti»). Per alcune opinioni dottrinali al riguardo v., ex multis, le anonime Istituzioni di diritto civile napolitano modellate sopra quelle del diritto civile francese del sig. Delvincourt, III, Napoli, 1844, p. 5 s., secondo cui «questo contratto formò in ogn tempo il soggetto della speciale attenzione del lagislatore. Destinato a contenere i voti delle due famiglie che sono per unirsi, ed a stabilire la sorte di quella che deve risultare da una tale unione, venne sempre riguardato come suscettibile del massimo favore. Quindi fu costantemente permesso d’inserirci delle stipulazioni che altrove sarebbero state mai sempre proibite. Questa disposizione è consacrata nell’articolo 1341»; Poncini, Commenti sul codice civile, V, Torino, 1841, p. 4 s.: «Destinato a racchiudere il voto di due famiglie che vanno ad unirsi, il contratto di matrimonio fu sempre veduto col più gran favore; così può esso consacrare stipulazioni che sarebbero proibite in ogni altro contratto. In questa materia più ancora che in ogni altra, il principio è che tuttociò che non è proibito dalla legge è permesso, e nel dubbio si debbe propendre per la validità della clausola criticata»; Sossi, Del notariato. Trattato teorico-pratico, II, Torino, 1841, p. 498 : «Questo contratto ebbe in ogni tempo lo speciale favore della legge in modo che si permise in tale cotratto di stipulare persino convenzioni, in ogni altro caso o ricorrenza proibite, purchè le medesime non fossero contrarire ai buoni costumi: e queste disposizioni furono adottate dal patrio Codice civile, come dall’art. 1508 si evince».

[68] «Sighele credea che questo articolo fosse inutile, non contenendo che una materia puramente dottrinale e che potesse sopprimersi senza inconveniente. Ma Pisanelli osservò che è di bene premetterlo alle altre disposizioni che regolano la materia de’ contratti matrimoniali per assodare fin da principio la massima che riguardo ai beni la legge non impone alcun sistema alla società coniugale, lasciando che le parti le diano quella forma e quelle norme che meglio stimano, ne’ limiti ben inteso comuni a tutte le altre convenzioni e in quelli specialmente sanciti nel Codice; e che qualora non vi siano patti nuziali, ciascheduno degli sposi conserva, in quanto a’ suoi beni, quelle facoltà che la legge concede a tutti, e sia per tal modo chiaramente escluso nel silenzio delle parti ogni concetto di comunione legale o altro sistema qualunque. Gli altri membri della Commissione concordarono in questa opinione, ma nel tempo stesso riconobbero la verità delle osservazioni del proponente Niutta, che trovava la locuzione dell’articolo inesatta e non conforme a ciò che dovrebbe esprimere. E dopo varie osservazioni intorno alla formola da sostituirsi, la Commissione deliberò di mantere il predetto articolo formulandolo ne’ termini ond’è scritto nel testo» (Foschini, I motivi del codice civile del Regno d’Italia, Torino, 1868, p. 530 s.).

[69] E. Bianchi, Del contratto di matrimonio, Napoli, 1907, p. 24; cfr. inoltre Id., Trattato dei rapporti patrimoniali dei coniugi secondo il codice civile italiano, Pisa, 1888, p. 2.

[70] Così E. Bianchi, Del contratto di matrimonio, cit., p. 114; v. inoltre Id., Trattato dei rapporti patrimoniali dei coniugi secondo il codice civile italiano, cit., p. 77; nel medesimo senso cfr. Pacifici-Mazzoni, Istituzioni di diritto civile italiano, V, Firenze, 1873, p. 374: «Nel regolare cotali diritti gli sposi godono in generale d’illimitata libertà»; Ferrarotti, Commentario teorico pratico comparato al codice civile italiano, IX, Torino, 1874, p. 396; De Filippis, Corso completo di diritto civile italiano comparato, IX, I diritti di famiglia, Napoli, Roma, Milano, p. 274; Ricci, Corso teorico-pratico di diritto civile, VII, Torino, 1886, p. 2 s.; Baudry-Lacantinerie, Le Courtois e Surville, Del contratto di matrimonio o dei regimi matrimoniali, in Trattato teorico-pratico di diritto civile, diretto da G. Buadry-Lacantinerie, I, Milano, s.d., p. 37 s.: «Il legislatore ha scritto in testa al nostro titolo il principio della libertà delle convenzioni matrimoniali (art. 1387). Ai futuri coniugi è quindi lasciata la maggior latitudine per il regolamento della società coniugale. Nulla di più giusto. Le preoccupazioni patrimoniali infatti esercitano spesso una influenza assai importante nella conclusione dei matrimoni, e la legge, se avesse vincolate le parti contraenti in riguardo al regolamento dei loro rapporti economici e al bilancio della famiglia che intendono fondare, avrebbe potuto intralciare la conclusione di molti matrimoni con grande danno sociale. Il favore col quale il nostro legislatore considera le nozze, doveva, a nostro avviso, logicamente indurlo a dare una larga applicazione al principio moderno della libertà delle convenzioni». Per analoghe considerazioni con riferimento all’art. 159 c.c. 1942 cfr. Tedeschi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Jemolo, Il matrimonio, Tedeschi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile, diretto da Filippo Vassalli, Torino, 1950, p. 476; Russo, L’autonomia privata nella stipulazione di convenzioni matrimoniali, in Vita notar., 1982, p. 491.

[71] Patti, Regime patrimoniale della famiglia e autonomia privata, in Familia, 2002, p. 289, cui si rinvia (p. 297 s.) anche per una comparazione con i sistemi tedesco e francese attuali.

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