LA SCUOLA DELLA MAGISTRATURA ITALIANA
ALLA LUCE DEI PRINCIPI INTERNAZIONALI
E DEI PROFILI DI DIRITTO COMPARATO
«Erudimini,
qui iudicatis terram». (Libro dei salmi. Salmo 2). |
I PRINCIPI
INTERNAZIONALI SULLA FORMAZIONE DEI MAGISTRATI
1. I principi internazionali
sulla formazione. Un quadro generale.
2. La formazione dei magistrati
e i principi internazionali in materia.
LE
PRINCIPALI ESPERIENZE EUROPEE DI FORMAZIONE DEI MAGISTRATI
4. Reclutamento e formazione
dei magistrati in Francia. Generalità.
5. Cenni sull’ENM francese e breve cronistoria.
6. Lo status giuridico
degli auditeurs de justice francesi.
7. La formazione iniziale
presso l’Ecole Nationale de la Magistrature.
8. L’ENM e la formazione
continua dei magistrati francesi.
9. La formazione dei magistrati
in Germania.
10. La formazione continua dei
magistrati in Germania. L’Accademia tedesca della magistratura.
11. La formazione dei
magistrati nei Paesi Bassi.
12. La formazione dei
magistrati in Portogallo.
13. Il Judicial Studies Board del Regno Unito.
L’ORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE DELLA FORMAZIONE DEI MAGISTRATI: TRA
LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO E TUTELA DELL’INDIPENDENZA
LA SCUOLA
SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA ITALIANA: I PROBLEMI STRUTTURALI
19. Natura dell’istituto e
destinatari della formazione. La relativa struttura e le sue tre sedi.
20. L’impari rapporto tra
dotazioni e funzioni della struttura.
GLI ORGANI
DELLA SCUOLA E LE LORO COMPETENZE
23. La composizione del
comitato direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.
24. Le competenze del comitato
direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.
FORMAZIONE
INIZIALE E FORMAZIONE PERMANENTE DEI MAGISTRATI ITALIANI NEL SISTEMA RIFORMATO.
CONCLUSIONI
27. La formazione iniziale dopo la riforma di cui
alla l. 30 luglio 2007, n. 111.
Testo del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26 coordinato con la l. 30 luglio
2007, n. 111.
Tabella comparativa del
testo originale del d.lgs. n. 26 del 2006 e delle relative disposizioni della
l. 30 luglio 2007, n. 111.
Tabella comparativa del testo originale del d.d.l. n. 1447/s/xv e del testo del medesimo d.d.l. approvato dalla Commissione Giustizia del Senato, successivamente approvato come l. 30 luglio 2007, n. 111.
Rispetto al tema, assai
più vasto, della formazione del giurista [1], quello della formazione del magistrato
presenta una caratteristica assolutamente peculiare: intendo riferirmi alla
necessità di salvaguardare nella maniera più assoluta quella condizione
d’indipendenza che del giudice costituisce la stessa ragion d’essere. Ma il
rapporto tra formazione e indipendenza si colloca anche su di un piano diverso.
Una curata formazione, invero, rappresenta una delle migliori garanzie per il
magistrato, in grado di assicurarne una forma d’autonomia non meno importante
di quella rispetto agli altri poteri dello Stato: l’indipendenza, cioè,
dall’ignoranza.
Il possesso di una buona
cultura giuridica e, prima ancora, di una buona cultura generale,
costituiscono, a ben vedere, una condizione indispensabile perché chi è
istituzionalmente chiamato ad emettere sentenze possa svolgere degnamente ed in
maniera credibile la sua missione. Non per nulla già Baldo degli Ubaldi
rilevava come la mente del giudice dovesse possedere due «sali»: quello della
coscienza, per non essere diabolica, e quello della conoscenza, per non essere
insipida [2]. «Judices debent esse juris,
et legum scientia ornati», ammoniva dal canto suo il giureconsulto piemontese
Giovanni Antonio ab Ecclesia [3], mentre Jean Domat
richiedeva per gli Officiers de Justice un «une connoissance claire,
solide, et en ordre des définitions des principes et des règles des diverses matières
du Droit, afin de posséder la liaison des règles à leurs principes, et d’en
savoir faire l’application aux questions qui sont à juger» [4].
Il tema della formazione
del magistrato, sebbene sia venuto alla ribalta negli ultimi anni, non può
certo dirsi nuovo. Quasi tre secoli or sono il grande giurista e cancelliere di
Francia Henri-François d’Aguesseau redigeva ben cinque Instructions sur les
études propres à former un magistrat, indirizzandole al proprio figlio che
s’apprestava ad intraprendere la carriera giudiziaria. In
tali scritti, dopo avere sottolineato che gli studi «di base» – che definiremmo
oggi umanistici – non sarebbero se non una semplice «préparation pour vous
élever à des études d’un ordre supérieur» e dopo avere rimarcato che «Ce n’est
pas ici l’ouvrage d’un jour, ni même d’une année» [5], il grande
cancelliere poneva in evidenza la necessità «de vous former d’abord un plan
général des études que vous êtes sur le point d’entreprendre ; de suivre ce
plan avec ordre et avec fidélité, et sur-tout de ne point vous effrayer de son
étendue». Colpisce,
nell’articolato disegno tracciato dall’autore, il paragone tra la formazione
del magistrato e la costruzione d’un edificio, secondo un piano prestabilito [6].
E’ chiaro che il ben
diverso ruolo che il potere giudiziario è chiamato a svolgere in uno stato di
diritto, rispetto ad uno stato autoritario quale quello dell’Ancien Régime,
comporta – assai più d’una volta – la necessità d’un procedimento selettivo e
formativo dei giudici che non sia più solo una questione privata di singoli
giuristi, magari espressione di un milieu privilegiato [7]. L’esigenza è semmai
quella di una struttura stabile ed organizzata, in grado di erogare ai
magistrati una formazione che consenta loro di rimanere al passo con i tempi e
di far fronte alle sfide di una società sempre più complessa e «globale», nella
quale il ruolo del giudice appare essere sempre meno quello di semplice bouche
de la loi.
Invero, anche senza
indulgere a quelle estreme posizioni, talora espresse nei sistemi di common
law, al punto da definire il diritto stesso (peraltro non senza suscitare
accese polemiche anche oltre Manica ed oltre Oceano) come «the prophecies of
what the courts will do in fact, and nothing more pretentious» [8], non vi è dubbio che –
per esempio – la frequente presenza, nei sistemi giuridici dell’Europa
continentale, di clausole generali [9] conferisca ad un giudice italiano, tedesco o
francese poteri che, a ben vedere, non s’allontanano molto da quelli di cui
dispone un collega britannico allorquando, tanto per fare un esempio, è
chiamato a modificare un contratto tra coniugi separati o divorziati,
fondandosi su ciò che «può apparire (...) giusto avuto riguardo a tutte le
circostanze» [10]. Lo stesso vale per una sempre crescente
quantità di concetti e principi giuridici vaghi e indeterminati, che pongono
quotidiane sfide all’attività del giudice, portandolo a divenire uno degli
attori di quello che la nostra Corte costituzionale ama definire «il diritto
vivente». Del resto, un po’ in tutta Europa può ormai darsi per scontato – e da
tempo – l’abbandono dell’idea, coltivata per secoli dai dottori del diritto
comune – influenzati sul punto dalla dottrina aristotelica – secondo cui le
leggi avrebbero dovuto essere concepite in maniera tale da limitare quanto più
possibile la discrezionalità del giudice [11]. Idea, questa, rilanciata ancora con vigore dai
philosophes del secolo dei Lumi, quale baluardo nei confronti d’un
potere visto come espressione d’una volontà potenzialmente dispotica e capricciosa
[12], ma definitivamente
tramontata di fronte alla realistica considerazione per cui limitare l’attività
giurisdizionale alla meccanica applicazione d’un sistema legislativo
predefinito in ogni dettaglio vorrebbe dire autorizzare il giudice ad emettere
un non liquet ogni qualvolta il tessuto normativo dovesse apparire
lacunoso, contraddittorio o indecifrabile [13].
In definitiva, è chiara
ormai in tutto il nostro Continente la consapevolezza – pubblicamente espressa
alcuni anni fa dall’allora presidente della Corte costituzionale federale
tedesca, Jutta Limbach – che «La decisione del giudice non è solo un processo
cognitivo, ma è sempre anche un processo di creazione del diritto» [14]. Nello stesso tempo
appare sempre più evidente che la giustizia sembra divenuta, di recente, una
sorta di «muro del pianto» al cui cospetto un numero crescente di persone
reclamano la garanzia di aspettative che avevano riposto nello stato sociale [15], mentre (e questo è un
fenomeno quanto mai chiaro in Italia) i magistrati costituiscono la categoria
nei soli confronti della quale vengono poste all’incasso onerose cambiali
troppo allegramente firmate dal legislatore.
A tali consapevolezze si
accompagna quindi un crescente interesse, nel nostro continente, per il tema
della formazione del magistrato, così come della forma che debbono assumere le
strutture incaricate di fornire tale servizio, con particolare riguardo, per
quanto attiene all’Italia, alla recentissima creazione della Scuola superiore
della magistratura. A questi argomenti è dedicata la presente indagine.
I PRINCIPI INTERNAZIONALI SULLA FORMAZIONE DEI MAGISTRATI
«The law is a science that requires long study and experience before a
man attains proficiency in it».
(Lord A. Denning, The Road to Justice, London, 1955, p.
24).
Sommario:
1. I principi
internazionali sulla formazione. Un quadro generale.
2. La formazione dei
magistrati e i principi internazionali in materia.
1. I principi
internazionali sulla formazione. Un quadro generale.
La storia delle moderne istituzioni europee e mondiali
dimostra che, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si è assistito a
livello internazionale all’elaborazione di svariati principi generali in tema
di indipendenza della magistratura, uno dei punti cardine della quale è
certamente costituito dai sistemi di reclutamento e di formazione, tanto
iniziale che continua (o – secondo una diversa dizione – permanente), dei
magistrati [16]. A parte le regole fondamentali che, a livello delle
grandi convenzioni e dichiarazioni sui diritti dell’uomo, contengono la
consacrazione del diritto ad un giudice indipendente e imparziale, pur senza
entrare nei dettagli dei presupposti indispensabili perché tale condizione sia
effettivamente garantita [17], numerosi convegni, riunioni e congressi, organizzati
da associazioni e da organismi internazionali [18], hanno dedicato le loro energie a studiare norme e
sistemi tendenti ad assicurare ovunque l’indipendenza della magistratura,
occupandosi, tra l’altro, anche del tema della formazione di giudici e pubblici
ministeri.
Diverse dichiarazioni solenni sull’argomento sono
reperibili negli atti di congressi internazionali, conferenze, seminari. I
modelli e i criteri normativi hanno cominciato a circolare un po’ ovunque in
Europa e nel mondo intero, tanto che oggi si può parlare non solo di un diritto
internazionale sulla protezione dell’indipendenza del potere giudiziario, ma
anche di un diritto transnazionale in materia. Oserei dire, addirittura, che
poco importa che ben pochi dei testi pertinenti siano dotati di un valore
cogente: l’esperienza pratica della vita associativa internazionale dimostra,
ad esempio, che taluni documenti «privati», come lo statuto universale del
giudice elaborato dall’Unione Internazionale dei Magistrati [19], sono serviti a convincere le autorità politiche di
alcuni Paesi di recente democrazia a non porre in atto misure che avrebbero
potuto limitare l’indipendenza della magistratura. A maggior ragione, le
raccomandazioni ed i pareri emanati dal Consiglio d’Europa e dai suoi comitati,
consigli e commissioni, pur se non dotati di carattere vincolante, hanno svolto
e stanno svolgendo una formidabile opera di persuasione sui governi dei Paesi
dell’Europa centrale e orientale ai fini di un avvicinamento delle rispettive
legislazioni a canoni più rispettosi (nei fatti, e non solo nelle proclamazioni
di principio) della teoria della separazione dei poteri [20]. A tale proposito, si potrebbe dire che i documenti
internazionali relativi al problema dell’indipendenza del potere giudiziario
vanno oggi letti e interpretati come un mosaico, un quadro complesso che
costituisce un vero e proprio corpus
juris internazionale e transnazionale sulla status giuridico dei
magistrati.
I risultati più interessanti di questo processo di
internazionalizzazione e di transanazionalizzazione delle norme
sull’indipendenza della magistratura, derivanti dai principi relativi alla
salvaguardia dei diritti dell’uomo, sono oggi consacrati nei seguenti testi:
·
Principi fondamentali
sull’indipendenza della magistratura, elaborati nel 1985 dall’ONU, con le
relative procedure per la loro efficace applicazione (1989);
·
Statuto del giudice
in Europa, elaborato e approvato nel 1993 dall’Associazione europea dei
magistrati - Gruppo regionale dell’Unione internazionale dei magistrati;
·
Raccomandazione
n. R (94) 12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati
membri sull’indipendenza, l’efficacia e il ruolo dei giudici (1994);
·
Risoluzione
relativa al ruolo del potere giudiziario in uno Stato di diritto, adottata a
Varsavia il 4 aprile 1995 dai ministri che hanno partecipato alla tavola
rotonda dei ministri della Giustizia dei Paesi dell’Europa centrale e
orientale;
·
Carta
europea sullo statuto dei giudici, approvata dal Consiglio d’Europa a
Strasburgo, 8-10 luglio 1998;
·
Statuto universale del
giudice, approvato all’unanimità dal Consiglio centrale dell’Unione
internazionale dei magistrati, nella riunione di Taipeh (Taiwan), il 17
novembre 1999;
·
Raccomandazione
n. R (2000) 19 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati
membri sul ruolo dell’ufficio del pubblico ministero nel sistema della
giustizia penale (2000);
·
I
pareri del Consiglio consultivo dei giudici europei (Consultative Council of European Judges – CCEJ / Conseil Consultatif de
Juges Européens – CCJE), emessi annualmente a partire dal 2001 [21];
·
I
c.d. «principi di Bangalore» in tema di etica giudiziaria (The
Bangalore principles of judicial conduct)(2002).
2. La formazione dei
magistrati e i principi internazionali in materia.
L’argomento della
formazione dei magistrati è strettamente connesso a quelli dell’indipendenza e
dell’effettività del potere giudiziario. La competenza è una condizione sine qua non se si vuole che il giudice
possa assolvere al compito che la società civile gli conferisce. «Di un
magistrato ignorante – diceva La Fontaine [22] – si ossequia la toga». Se si vuole allora che
la toga rivesta un magistrato rispettato dai cittadini e completamente libero
nel proprio giudizio, occorre che questi abbia una buona conoscenza delle
materie che dovrà trattare. Un magistrato dotato di una buona formazione è
certamente un magistrato più indipendente.
Vari sistemi giuridici
hanno preso coscienza di quanto sopra e gli stessi organismi internazionali
hanno riflettuto sul tema corso degli ultimi anni. Per questo, l’argomento
della formazione costituisce in misura crescente oggetto di attenzione nei
documenti internazionali relativi alla materia dello statuto dell’indipendenza
dei magistrati. Ad esempio, l’art. 10 dei già citati Principi fondamentali
relativi all’indipendenza della magistratura, elaborati dall’ONU nel 1985,
stabilisce che «le persone selezionate per svolgere le funzioni di magistrato
devono essere integre e competenti e dimostrare sufficienti formazione e
qualificazione giuridiche». La Carta
europea sullo statuto dei giudici, approvata dal Consiglio d’Europa nel
1998, prevede, a sua volta, che «lo statuto assicura, tramite adeguate attività
formative di cui si incarica lo Stato, la preparazione dei candidati
selezionati all’effettivo esercizio di tali funzioni»; un organo «indipendente
dal potere esecutivo e da quello legislativo, in seno al quale siedano almeno
per la metà giudici eletti da loro pari, secondo modalità che ne garantiscano
la rappresentanza più ampia», vigila «all’adeguamento dei programmi di
formazione e delle strutture che li mettono in pratica alle esigenze di
apertura, competenza e imparzialità connesse all’esercizio delle funzioni
giudiziarie» (artt. 2.3 e 2.1).
Prima ancora che si
adottasse questo documento, la già ricordata Raccomandazione
n. R (94) 12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati
membri sull’indipendenza, l’efficacia e il ruolo dei giudici aveva prescritto
(cfr. Principio III, 1.a.) agli Stati membri di «reclutare un numero
sufficiente di giudici e di far in modo che essi acquisiscano tutta la
necessaria formazione, ad esempio una formazione pratica nei tribunali e,
possibilmente, in altre amministrazioni e in altri uffici giudiziari, prima
della loro nomina e durante la loro carriera. La formazione dovrebbe essere
gratuita per il giudice e vertere, in particolare, sulla legislazione recente e
la giurisprudenza. All’occorrenza, la formazione dovrebbe comprendere visite di
studio presso autorità e tribunali europei e stranieri». Lo stesso documento
(cfr. Principio V, 3.G.) stabilisce che «i giudici dovrebbero in particolare
assumere le seguenti responsabilità: […] seguire ogni formazione necessaria per
l’esercizio delle loro funzioni in modo efficace e adeguato» [23].
Il Consiglio d’Europa,
del resto, ha avuto modo di manifestare la propria sensibilità sull’argomento
promovendo, ormai diversi anni or sono, una riunione multilaterale dei
responsabili della formazione dei vari Paesi membri, nonché dei Paesi
dell’Europa centrale e orientale, nel corso di un convegno tenutosi a Lisbona
il 27-28 aprile 1995. All’esito di questo incontro, i delegati hanno affermato
«la necessità di accordare una particolare priorità alla formazione dei giudici
e dei magistrati del pubblico ministero» ed hanno espresso l’esigenza «di
migliorare ed estendere le modalità della formazione, tenendo conto delle
specifiche tradizioni dei diversi sistemi giuridici e impegnandosi a rispettare
e a incoraggiare l’indipendenza intellettuale dei magistrati». I delegati
partecipanti al colloquio hanno altresì sottolineato che «l’esigenza dei
giudici e dei magistrati della procura di assicurare l’efficacia della
giustizia non deve nuocere a quella di sviluppare la qualificazione e la
coscienza professionale dei magistrati stessi» [24]. Ne è così nato quell’organismo
denominato «Rete di Lisbona» (Lisbon network / Réseau de
Lisbonne), il cui compito principale è di «apprendre aux différentes
structures chargées de la formation judiciaire en Europe à mieux se connaître,
à échanger sur des thèmes d’intérêt commun ainsi qu’à soutenir, à travers ce
dialogue, la création ou le développement de structures de formation judiciaire
dans les Etats membres du Conseil de l’Europe». Le riunioni
annuali di tale organismo consentono ai rappresentanti degli istituti e
delle scuole della magistratura dei Paesi aderenti (ormai quasi tutti i Paesi
del continente europeo) di dibattere i temi legati alla formazione dei giudici
e dei pubblici ministeri.
Gli auspici del
Consiglio d’Europa sono ormai una realtà, ad esempio, in Francia, perlomeno per
quanto riguarda l’esistenza di un vero e proprio diritto alla formazione,
creato dalla legge n. 92-189 del 25 febbraio 1992. Il testo, che ha modificato
l’ordinanza n. 958-1270 del 22 dicembre 1958 (recante Legge organica relativa
allo statuto della magistratura), riconosce esplicitamente ai magistrati «il
diritto alla formazione permanente». In Italia, invece, il Codice etico dei
magistrati, approvato il 7 maggio 1994 dall’Associazione nazionale dei
magistrati, stabilisce all’art. 3 che «Il magistrato svolge le sue funzioni con
diligenza ed operosità. Conserva ed accresce il proprio patrimonio
professionale impegnandosi nell’aggiornamento e approfondimento delle sue
conoscenze nei settori in cui svolge la propria attività». La disposizione
rientra in un corpo normativo che, come noto, non ha valore di legge; essa
impegna tuttavia ogni magistrato sul piano dell’etica professionale a
interrogarsi costantemente sul livello della propria professionalità [25]. La successiva entrata
in vigore della l. 30 luglio 2007, n. 111 [26], è poi venuta a sancire
per il nostro Paese, con carattere vincolante, l’esistenza di un vero e proprio
obbligo giuridico di formazione permanente in capo ai magistrati italiani [27]. Analoga «svolta» si è
avuta di recente in Francia, ove l’art. 1 della loi organique n° 2007-287 del 5 marzo 2007, relative au recrutement, à la formation et à la responsabilité des
magistrats, modificando la prima frase del secondo comma dell’art. 14 dell’ordonnance n° 58-1270 del 22 dicembre
1958, è venuta a prevedere che «Les magistrats sont soumis à une obligation de
formation continue», rimettendo peraltro ai decreti di attuazione la
determinazione delle concrete modalità di realizzazione di siffatto dovere e
senza precisare (come del resto accade nel nostro ordinamento) quali potrebbero
essere le eventuali sanzioni in caso di inosservanza.
Dal canto loro, le
istituzioni dell’Unione Europea hanno compreso anch’esse che il corretto
funzionamento dell’Europa giudiziaria richiede una buona conoscenza, da parte
dei giudici e dei pubblici ministeri, dei rispettivi sistemi giuridici, nonché
degli strumenti di cooperazione giudiziaria, nazionali ed europei. A questo
titolo, la formazione appare uno strumento particolarmente pertinente per
favorire gli scambi tra esperti e creare progressivamente una cultura giuridica
comune in seno all’Europa, indispensabile condizione preliminare per
un’efficace cooperazione a livello giudiziario. Per questo l’Unione Europea ha
messo in piedi nel corso degli ultimi due anni una Rete europea di formazione
giudiziaria, il cui obiettivo è quello di migliorare fra i giudici e i
pubblici ministeri la reciproca conoscenza dei sistemi giudiziari dei Paesi
membri e di perfezionare il funzionamento pratico della cooperazione
giudiziaria in seno all’Unione Europea.
In concreto, l’oggetto
della rete è quello:
·
di
organizzare un programma annuale di iniziative in ciascuno dei Paesi membri,
per favorire la rispettiva conoscenza dei sistemi giudiziari e delle procedure di
cooperazione con ogni Stato membro. In questo quadro, si dovrebbe prestare
un’attenzione del tutto particolare alla formazione dei corrispondenti della
«Rete giudiziaria europea», quotidianamente impegnati a facilitare la
cooperazione;
·
di
sviluppare le conoscenze linguistiche dei magistrati degli Stati membri, al
fine di favorire un’efficace collaborazione;
·
di
coordinare le iniziative dei suoi membri, per proporre ai magistrati d’Europa
un programma in grado di coprire settori di competenze diversi;
·
di
diffondere i risultati degli studi e dei programmi di formazione, per favorirne
lo scambio;
·
di
creare strumenti comuni di formazione, soprattutto ricorrendo alle nuove
tecnologie;
·
di
effettuare proposte di sostegno rivolte a Paesi candidati, per aiutarli a strutturare
i loro dispositivi di formazione e a integrarli progressivamente nei programmi
di formazione della rete.
L’iniziativa rientra nel
quadro dei vari programmi previsti dall’Unione Europea, che hanno già permesso
a un certo numero di magistrati di incontrarsi per scambiare le loro esperienze
e avere un contatto con la realtà giuridica di altri Paesi membri.
L’istituzione di una Rete europea di formazione giudiziaria punta a consentire
alle scuole e alle istituzioni nazionali, che si occupano specificamente della
formazione dei giudici e dei pubblici ministeri negli Stati membri, di riunirsi
regolarmente, beneficiando di strumenti, al fine:
·
di
sviluppare progressivamente programmi e strumenti di formazione comuni;
·
di
approfondire la reciproca conoscenza dei sistemi giuridici;
·
di
migliorare l’utilizzazione degli strumenti europei e internazionali;
·
di
scambiare le esperienze e di individuare le esigenze delle attività di
formazione;
·
di
favorire la collaborazione fra i vari programmi di formazione previsti dai
Paesi membri;
·
di
sviluppare le attività di formazione per i membri del corpo giudiziario.
Annualmente, la rete
presenta un programma di attività che punta a favorire:
·
la
conoscenza dei sistemi giudiziari europei e le modalità di col cooperazione;
·
la
conoscenza linguistica;
·
l’organizzazione
di seminari e scambi;
·
lo
sviluppo di programmi di formazione per i magistrati, nonché per gli stessi
formatori [28].
Il 29 giugno 2006 la
Commissione Europea ha adottato una comunicazione sulla formazione dei
magistrati nell’Unione europea. Lo scopo di tale documento è quello di
rafforzare i mezzi da destinare a questo tipo di formazione a livello europeo
anche se la competenza in questo campo spetta innanzitutto agli Stati membri.
Nella comunicazione si rileva che l’Unione europea sostiene già da diversi anni
attività di formazione sul diritto europeo dei giudici, dei magistrati delle
procure e degli avvocati, ma è importante potenziare tali attività. D’altro
canto, il programma dell’Aia inteso a rafforzare la libertà, la sicurezza e la
giustizia nell’Unione europea insiste sull’esigenza di fiducia reciproca tra
gli Stati membri, e a tal fine chiede che venga rafforzata la formazione degli
operatori della giustizia sulle questioni europee per creare una «cultura
giudiziaria europea». La comunicazione osserva poi che negli Stati membri
esistono programmi di formazione giudiziaria molto diversi tra loro e che
rispecchiano le tradizioni giuridiche e giudiziarie di ciascuno Stato. L’Unione
europea non deve interferire nell’organizzazione dei sistemi nazionali di
formazione; tuttavia, il rafforzamento della fiducia reciproca comporta che la
formazione venga sufficientemente sviluppata e che le vengano assegnati mezzi
sufficienti. I giudici, gli avvocati e i magistrati delle procure devono
beneficiare di un livello e di una qualità di formazione equivalente in tutti
gli Stati membri.
Sempre secondo il citato
documento, in materia di formazione giudiziaria, le azioni dovranno
concentrarsi su tre assi:
·
una
migliore conoscenza da parte degli operatori degli strumenti giuridici
dell’Unione,
·
una
migliore conoscenza reciproca dei sistemi giudiziari degli Stati membri,
·
il
miglioramento della formazione linguistica.
Per raggiungere tali
obiettivi, devono essere utilizzate metodologie pedagogiche diversificate, in
particolare potenziando gli scambi tra operatori. Infine, la Commissione
intende sviluppare più stretti rapporti di partenariato con gli attori della
formazione, sia a livello europeo che nazionale, e promuovere la creazione di reti,
in particolare tramite il sostegno all’attuale Rete europea di formazione
giudiziaria. Per sviluppare tale politica, essa intende mobilitare, nel quadro
dei nuovi programmi finanziari, in particolare del programma «Giustizia e
diritti fondamentali», maggiori mezzi per la formazione degli operatori della
giustizia.
3. La formazione dei
magistrati e il parere n. 4 del Consiglio consultivo dei giudici europei,
costituito presso il Consiglio d’Europa.
Il 27 novembre 2003 il Consiglio
consultivo dei giudici europei (CCJE /
CCEJ) ha approvato il parere
n. 4 «sur la formation initiale et continue appropriée des juges, aux
niveaux national et européen». Svariate sono le questioni affrontate
nell’ambito di tale documento, che costituisce sicuramente, per concisione,
incisività e pertinenza, uno dei meglio riusciti di un organo le cui energie si
sono talora, in tempi più recenti, disperse in un rivolo di settori non
strettamente legati al nucleo fondamentale dei temi legati alla salvaguardia
dell’indipendenza del potere giudiziario (ciò che appare tanto più grave in un
momento in cui, come questo, proprio l’indipendenza della magistratura appare
essere posta sempre più di frequente sotto minaccia nel nostro continente,
tanto all’Est, quanto all’Ovest, laddove un consesso del genere di quello in
esame ben potrebbe e – a sommesso avviso dello scrivente – dovrebbe avere il
coraggio di ergersi ad «assemblea costituente» del potere giudiziario europeo).
Il parere si presenta
articolato in sei parti fondamentali:
·
Diritto
alla formazione e livello al quale tale diritto dovrebbe essere garantito;
·
L’organo
responsabile della formazione;
·
La
formazione iniziale;
·
La
formazione continua (o permanente) [29];
·
La
valutazione della formazione;
·
La
formazione europea dei giudici.
La prima parte ha il
pregio di cogliere il nesso fondamentale che esiste tra formazione e
indipendenza della magistratura. Il Consiglio consultivo
conclude sul punto nel senso che «L’Etat a l’obligation de mettre à la
disposition du pouvoir judiciaire ou d’un autre organe indépendant chargé de
l’organisation et du contrôle de la formation tous les moyens nécessaires et de
faire face à des frais encourus par les juges et par d’autres instances
concernées». Si raccomanda pertanto che «les textes de chaque pays relatifs au
statut des juges prévoient la formation du juge».
Per quanto attiene, poi
all’organo responsabile della formazione, la parte seconda del parere,
riallacciandosi ai principi di cui allo Statuto europeo del giudice e al già
ricordato legame tra indipendenza e formazione, sottolinea «le caractère très
important de l’indépendance et de la composition de l’autorité chargée de la
formation et de son contenu. Il s’agit d’un corollaire
au principe général de l’indépendance de la magistrature». Si insiste quindi
sul fatto che «Le pouvoir judiciaire devrait jouer un rôle majeur ou être
lui-même chargé d’organiser et de contrôler la formation». All’uopo il
Consiglio consultivo raccomanda che «dans chaque Etat membre ces attributions
soient confiées, non au ministère de la justice ou à une autre autorité
relevant des pouvoirs législatif ou exécutif, mais au pouvoir judiciaire
lui-même ou à un autre organe indépendant (y compris un Conseil
supérieur de la magistrature). Les associations de juges peuvent également
jouer un rôle important en encourageant et facilitant la formation, en
travaillant de concert avec un organe judiciaire ou un autre organe indépendant
qui en est directement responsable».
Il
Consiglio consultivo aggiunge peraltro che «pour clarifier les attributions de
chacun», appare opportuno «de ne pas confier directement à la même
autorité la charge de la formation et de la discipline des magistrats.
Dans cette perspective, le CCJE recommande que, sous la responsabilité générale
du pouvoir judiciaire ou d’un autre organe indépendant, la formation soit
assurée par un établissement particulier bénéficiant d’un statut d’autonomie et
doté de son propre budget, lui permettant de définir lui-même, en concertation
avec les juges, les programmes de formation et d’en assurer la mise en œuvre» [30]. Chiara,
poi, la scelta in ordine all’individuazione del soggetto incaricato di
effettuare la scelta del personale direttivo e dei formatori: scelta che va
lasciata al «pouvoir judiciaire ou un autre organe indépendant chargé
d’organiser et de contrôler la formation». I
formatori, inoltre, dovrebbero essere giudici o esperti nelle varie discipline;
essi dovrebbero essere scelti «parmi les meilleurs de leurs professions et
sélectionnés avec soin par l’autorité en charge de la formation tant pour leur
connaissance des matières enseignées que pour leur aptitude à la pédagogie». In ogni caso è altresì
importante che i giudici scelti per la formazione «conservent un contact avec
la pratique juridictionnelle».
Per quanto attiene alla
formazione iniziale, il Consiglio consultivo si occupa in primo luogo del tema
del suo carattere obbligatorio, così confrontandosi da subito con l’alternativa
tra i sistemi di matrice anglosassone, dove i giudici vengono scelti tra i
migliori avvocati, all’apice della carriera, e gli ordinamenti continentali,
che reclutano i magistrati essenzialmente tra i giovani neo-laureati. Con
riguardo a questa seconda tipologia di sistemi, la formazione iniziale
costituisce parte essenziale del processo di selezione e reclutamento e, come
tale, non può non avere carattere obbligatorio. Peraltro,
anche con riguardo agli ordinamenti di common
law un’esigenza di formazione iniziale si pone, atteso che «l’exercice des
fonctions judiciaires constitue, en effet, pour tous une nouvelle profession,
comportant une approche particulière dans de nombreux domaines, notamment ceux
de la déontologie du juge, de la procédure, des relations avec toutes les
personnes impliquées dans les procédures judiciaires». Il Consiglio raccomanda
quindi «une formation initiale obligatoire avec des programmes adaptés à
l’expérience professionnelle des candidats retenus».
Passando
quindi al tema del programma di formazione iniziale, il Consiglio consultivo
rimarca che «La formation ne devrait pas comporter uniquement une initiation aux
techniques de traitement des litiges par les juges mais devrait aussi prendre
en considération le besoin d’une sensibilité sociale et d’une compréhension
étendue de différentes disciplines rendant compte de la complexité de la vie en
société. En outre, l’ouverture des frontières signifie que les futurs juges
devront être conscients qu’ils sont des juges européens et donc être plus
informés des questions européennes». Ciò premesso, vengono elaborate una serie di
raccomandazioni generali piuttosto dettagliate, che si ritiene opportuno
riportare in nota [31].
Per
ciò che riguarda invece la formazione continua, il Consiglio rimarca, in primo
luogo, che i relativi programmi dovrebbero «offrir la possibilité de formation
dans le cas des changements de carrière, comme le passage d’un tribunal pénal à
un tribunal civil ; la prise en charge d’une juridiction spécialisée
(tribunal de famille, pour enfants, social) et la prise en charge d’un
poste comme la présidence d’une chambre ou d’un tribunal. Un tel changement de
fonction pourrait être subordonné au suivi d’un programme de formation
approprié». L’organo
consultivo nota poi, correttamente, la necessità di diffondere nel corpo
giudiziario una «culture de formation». Viene quindi affrontato il punto più
discusso oggi in Europa, tanto all’Est, quanto all’Ovest, vale a dire se tale
formazione debba essere obbligatoria. Il Consiglio non tralascia di assumere
sul punto una posizione tanto realista quanto, purtroppo, non seguita nel corpus delle legislazioni sugli
ordinamenti giudiziari delle nuove democrazie dell’Est europeo (e, come si
vedrà, neppure a casa nostra…). Al riguardo il CCJE parte
dalla constatazione che «Il est irréaliste de rendre en toutes hypothèses
obligatoire la formation continue». Il Consiglio è infatti, correttamente,
consapevole del rischio che una formazione continua imposta ai magistrati
«prenne dans ce cas un caractère bureaucratique et purement formel». Tutto al contrario, la «formation proposée devrait être attractive pour
convaincre les juges d’y participer, le volontariat étant la meilleure garantie
de l’efficacité de cette formation. Cela devrait également être facilité par la
nécessaire conscience, en tout juge, de l’existence d’une obligation
déontologique à l’entretien et au renouvellement des connaissances».
Quanto
mai opportuna, poi, la considerazione per cui la formazione continua dovrebbe
essere organizzata «de telle sorte que celle-ci englobe tous les niveaux du
pouvoir judiciaire. Chaque fois que c’est possible, ces derniers devraient être
représentés aux mêmes sessions, ce qui leur fournira l’occasion d’échanger des
vues entre eux». L’organo consultivo si rende ben conto del formidabile
contributo che siffatto confronto tra i vari livelli della giurisdizione
potrebbe fornire al fine di contribuire «à briser les tendances hiérarchiques»
(e chi conosce il mondo giudiziario sa bene quanto queste tendenze,
perniciosamente, vi si annidino, laddove la gerarchia è la negazione stessa
dell’essenza della giurisdizione!), «à tenir tous les niveaux du pouvoir
judiciaire au courant des difficultés et préoccupations de chacun d’eux ainsi
qu’à promouvoir une cohésion et une cohérence accrue dans l’ensemble de ce
pouvoir». E
non vi è chi non veda come queste sacrosante osservazioni ben potrebbero essere
utilizzate non solo in una lettura, per così dire, «verticale», ma anche in
senso «orizzontale», al fine di censurare la scelta [32] di «regionalizzare» la
formazione, abolendo del tutto momenti ed istanze di confronto nelle quali
convergano le esperienze di ogni parte di un certo Paese.
Premesso quanto sopra,
vengono anche qui dettate svariate raccomandazioni dettagliate, che si ritiene
opportuno riportare in nota, tra le quali spicca quella sul carattere
tendenzialmente non obbligatorio della formazione continua [33].
Il Consiglio consultivo
non esita poi ad assumersi le sue responsabilità anche con riguardo allo
spinoso temo delle valutazioni della formazione, intendendosi tale
specificazione sia in senso oggettivo che soggettivo: vale a dire, tanto la
valutazione che i destinatari della formazione esprimono su siffatta attività,
quanto l’utilizzo della formazione a fini di valutazione della professionalità
dei suoi destinatari. Orbene, mentre sul primo punto non vi è dubbio che «les
prestations des formateurs devraient être contrôlées» e che, a tal fine,
«l’avis des participants aux formations est d’une grande importance et devrait
être sollicité par des moyens appropriés (par exemple des questionnaires, des
entretiens, etc)», molte perplessità vengono espresse sull’impiego degli
strumenti della formazione per valutare il livello di professionalità dei
magistrati. «La formation continue des juges ne peut porter ses
fruits que lorsque leur participation aux programmes de formation est libre et
n’est pas influencée par des considérations de carrière». Ne consegue che solo
nei sistemi «qui recrutent leurs juges au début de leur carrière
professionnelle, une évaluation des résultats de la formation initiale est
nécessaire, afin d’assurer les nominations des candidats les plus appropriés au
fonctions judiciaires». Il
richiamo è qui, si badi ancora una volta, alla sola formazione iniziale, con la
conseguenza che la formazione continua non può mai costituire uno strumento di
valutazione a fini di carriera dei giudici [34].
Il parere n. 4 si chiude
con alcuni richiami ai principi in tema di formazione europea dei giudici. Dopo lo scontato riferimento alla regola per cui «quelle que soit la nature
de ses fonctions, aucun juge ne peut ignorer le droit européen, qu’il s’agisse
de la Convention européenne des Droits de l’Homme ou d’autres conventions du
Conseil de l’Europe, ou, le cas échéant, de celui du Traité de l’Union
Européenne et des textes qui en sont dérivés, puisqu’il est tenu de l’appliquer
directement aux litiges dont il a la charge», il Consiglio si fa carico di
sottolineare la necessità che il diritto europeo sia inserito nei programmi
universitari, nonchè in quelli di formazione tanto iniziale che continua dei
magistrati. Viene
inoltre preconizzato il rafforzamento della «Rete di Lisbona», con la quale
vengono chiamati a coordinare tutti gli organismi europei incaricati della
formazione. Si auspica infine una più intensa cooperazione con la Rete europea
di formazione giudiziaria.
Sin qui le linee
direttive. Per quanto attiene agli ordinamenti e alle prassi effettivamente
seguite sarà interessante notare che i risultati di un’indagine comparata –
svolta sulla base di un questionario predisposto in vista della Terza
Conferenza Europea dei Giudici, organizzata sul tema «Quale Consiglio per la
giustizia?» dal Consiglio d’Europa a Roma il 26 e 27 marzo 2007 [35] – mostrano che
«increasingly, the training of judges is
not under the control of HCJs [High Councils of Justice] but of independent
bodies. These bodies are in charge of recruitment and
examinations. This trend is explained by the growth of colleges for training
judges. However, there is frequently cooperation between the training
institutions and the HCJs, particularly
in relation to training concerning ethics and professional standards» [36]. Il
dato riceverà conferma, come si vedrà tra breve, dall’analisi dei principali
sistemi di formazione europei, che sarà svolta nei paragrafi seguenti. Deve
altresì ritenersi – concludendosi la parte di questo studio attinente al piano
internazionale – che, con ogni probabilità, il tema della formazione iniziale e
continua costituirà oggetto di appositi principi contenuti nella nuova versione
della Raccomandazione del 1994 che il Consiglio d’Europa sta rivedendo per il
tramite d’una commissione d’esperti [37]. Sulla base delle
discussioni ad oggi svolte nell’ambito di tale consesso, è emersa la necessità
di armonizzare la nuova raccomandazione con il parere del Consiglio consultivo
in materia di formazione, così come con la Carta europea sullo statuto dei
giudici. Diversi membri della commissione hanno espresso l’avviso di attribuire
alla formazione un ruolo più pregnante, se non addirittura di dar luogo ad una
raccomandazione del Consiglio d’Europa appositamente consacrata a tale tema, in
ogni caso distinguendo chiaramente tra formazione iniziale e continua ed
evidenziando il nesso imprescindibile tra questa materia e l’indipendenza
giudiziaria, non senza trascurare, ovviamente, la questione delle risorse finanziarie
da porre a disposizione delle strutture di formazione [38].
LE PRINCIPALI ESPERIENZE EUROPEE DI FORMAZIONE DEI
MAGISTRATI
«Ne croyez pourtant pas avoir tout fait, parce que vous avez fini heureusement
le cours de vos premières études; un plus grand travail doit y succéder, et une
plus longue carrière s’ouvre devant vous. Tout ce que vous avez fait jusqu’à
présent n’est encore qu’un degré ou une préparation pour vous élever à des
études d’un ordre supérieur».
(H.‑F. D’Aguesseau, Instructions sur les études propres à former
un magistrat, in Œuvres de M. le
chancelier d’Aguesseau, I, Paris, 1759, p. 257).
Sommario:
4. Reclutamento e formazione
dei magistrati in Francia. Generalità.
5. Cenni sull’ENM francese e breve cronistoria.
6. Lo status giuridico
degli auditeurs de justice francesi.
7. La formazione iniziale
presso l’Ecole Nationale de la Magistrature.
8. L’ENM e la formazione
continua dei magistrati francesi.
9. La formazione dei magistrati
in Germania.
10. La formazione continua dei
magistrati in Germania. L’Accademia tedesca della magistratura.
11. La formazione dei
magistrati nei Paesi Bassi.
12. La formazione dei
magistrati in Portogallo.
13. Il Judicial Studies Board del Regno Unito.
4. Reclutamento e formazione
dei magistrati in Francia. Generalità.
E’ giunto così il
momento di offrire una breve panoramica di alcuni tra i principali sistemi di
formazione iniziale e continua dei magistrati in Europa, iniziando da quello
che ha costituito per anni e continua a rappresentare il modello fondamentale,
cui tanti altri si sono ispirati e continuano ad ispirarsi: vale a dire il
sistema francese [39]. Oltralpe, lo statuto
della magistratura discende, da un lato, dalla Costituzione
(artt.
64-66), dall’altro, da una legge organica datata 22
dicembre 1958, più volte modificata; la definizione di legge organica
implica specifiche modalità d’esame e d’approvazione, nonché una maggioranza
particolarmente qualificata per la sua eventuale modifica. Il reclutamento
della magistratura è organizzato in maniera piuttosto complessa, implicando un
percorso principale (il concorso riservato agli studenti) e delle modalità
complementari; esso concerne inoltre soltanto i magistrati di carriera [40] e tiene conto, in
alcuni casi, dell’esperienza professionale acquisita [41]. Le condizioni
richieste per l’accesso alla magistratura variano a seconda delle distinte
modalità di accesso stabilite dalla citata legge organica, nonché da altre specifiche
leggi organiche che istituiscono concorsi straordinari per completare le
esigenze di reclutamento. I candidati auditeurs
de justice – come si chiamano gli allievi dell’ENM-Ecole nationale
de la magistrature – devono (cfr. art. 16 della citata legge organica
del 1958) avere conseguito una laurea nazionale, o diploma equivalente che
attesti una formazione (non necessariamente in una facoltà di giurisprudenza)
perlomeno pari a quattro anni di studi dopo l’esame di maturità a conclusione
del ciclo di studi superiori, oppure un diploma rilasciato da un istituto di
studi politici. I candidati devono inoltre essere di nazionalità francese, godere
dei diritti civili e della certificazione di buona condotta, avere assolto agli
obblighi militari; essi devono infine possedere i requisiti di idoneità
psichica indispensabili per l’esercizio della loro funzione ed essere
riconosciuti esenti (o perlomeno guariti) da qualsiasi malattia che dia diritto
a un congedo prolungato.
Un primo tipo di
concorso (si tratta del «percorso principale») è riservato ai laureati, secondo
quanto appena detto (non deve dunque trattarsi necessariamente di laureati in
giurisprudenza). Un secondo concorso dello stesso livello è riservato ai
funzionari dello Stato e comunità territoriali e dei rispettivi enti pubblici,
che abbiano svolto almeno quattro anni di servizio in tali funzioni. Un terzo
concorso dello stesso livello è riservato a persone che abbiano svolto otto
anni di una o più attività professionali, abbiano espletato uno o più mandati
di membro di un’assemblea territoriale o funzioni giurisdizionali a titolo non
professionale. Un ciclo preparatorio è aperto a chi voglia presentarsi al
secondo e terzo concorso (cfr. art. 17 della citata legge organica
del 1958).
Negli anni passati sono
inoltre stati indetti vari concorsi straordinari. Nel quadro del piano
d’urgenza per la giustizia, una legge
votata il 24 febbraio 1998 prevedeva, ad esempio, tre concorsi che
presupponevano quattro anni di studi dopo l’esame di maturità: il primo, per la
selezione di cinquanta magistrati (persone tra i trentacinque e i
quarantacinque anni), aperto al personale con dieci anni di comprovata attività
professionale, o soli otto anni per i titolari di una laurea in giurisprudenza;
il secondo, per il reclutamento di quaranta consiglieri di Corte d’appello di
secondo livello (persone tra i quaranta e i cinquantacinque anni e dodici anni
di comprovata attività professionale); il terzo, per il reclutamento di dieci
consiglieri di Corte d’appello di primo livello (persone con almeno cinquanta
anni d’età e quindici anni di comprovata attività professionale) [42]. Sempre secondo la legge organica
del 1958, nella sua versione attualmente in vigore, possono essere
direttamente nominati uditori giudiziari – con riserva del giudizio di idoneità
della commissione di promozione della magistratura – i laureati in
giurisprudenza che hanno svolto per almeno quattro anni attività in campo
giuridico, economico, o sociale. Possono essere altresì nominati nelle stesse
condizioni i titolari di dottorato in giurisprudenza in possesso di altri
diplomi di studi superiori, o i titolari di insegnamento e ricerca in diritto
che abbiano esercitato per almeno tre anni dopo la laurea e siano in possesso
di un diploma di studi superiori in una disciplina giuridica (art. 18-1 della citata
legge organica).
Esistono, infine,
modalità di selezione per inserimento diretto, senza necessità del previo
espletamento di un periodo di uditorato presso la Scuola nazionale della
magistratura. In particolare, possono essere reclutati direttamente per
l’inserimento nel secondo livello (art. 22 della
citata legge organica), senza passare per l’ENM (Ecole Nationale de la Magistrature), ma con
riserva del giudizio di idoneità della commissione d’avanzamento, purché
abbiano almeno trentacinque anni di età:
a. le persone in
possesso di una laurea equivalente a quella richiesta per il concorso di
ingresso e sette anni almeno di comprovato esercizio professionale, che le
qualifichi in particolare a esercitare funzioni giudiziarie:
b. i capi-cancellieri di
corti e tribunali e dei consigli dei probiviri (conseils de prud’hommes), con sette anni di comprovati servizi effettivi
nelle rispettive funzioni;
c. i funzionari di
categoria A del ministero della Giustizia non laureati, ma con sette anni di
servizio effettivi.
Possono inoltre essere
direttamente inseriti nel primo livello (cfr. l’art. 23
della legge organica) le persone che posseggono i requisiti generali di cui
all’art. 16
della legge organica citata, oltre a diciassette anni almeno di esercizio
di attività professionali che li qualifichino in maniera particolare per
l’esercizio delle funzioni giudiziarie, oltre ai cancellieri dirigenti delle
corti d’appello e dei tribunali, oltre che dei conseils de prud’hommes che posseggano i requisiti definiti da
decreto del Consiglio di Stato e che siano per competenza ed esperienza
particolarmente qualificati per esercitare le funzioni giudiziarie.
Possono anche essere
reclutati per inserirsi «fuori gerarchia» (art. 40 della
legge organica):
a. i consiglieri di
Stato in servizio ordinario;
b. i magistrati
distaccati in impieghi di direttore o di caposervizio al ministero, o come
direttore alla Scuola nazionale della magistratura;
c. i titolari dei
ricorsi al Consiglio di Stato con almeno dieci anni di funzione in questo
ruolo;
d. i docenti delle
facoltà di Giurisprudenza statali che abbiano insegnato almeno dieci anni come
professore ordinario o associato;
e. gli avvocati presso
il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione, membri o ex membri del
consiglio dell’ordine, con almeno venti anni di esercizio professionale;
f. gli avvocati iscritti
all’albo da almeno venticinque anni [43].
Nella maggior parte dei
casi (c., d., e., f., sopra citati), la nomina può intervenire solo con il
parere conforme della commissione per l’avanzamento di carriera. Questa
commissione svolge il ruolo principale nella maggior parte delle forme di
reclutamento. Essa comprende, oltre al presidente della Corte di cassazione
(presidente della commissione) e al procuratore generale presso la suddetta
corte, l’ispettore generale dei servizi giudiziari, due magistrati della Corte
di cassazione, di cui uno della giudicante, e l’altro della procura generale,
due primi presidenti e due procuratori generali di Corte d’appello, eletti dai
loro pari, e dieci magistrati eletti dall’insieme dei magistrati (elezione a
due gradi). Il mandato è di tre anni e non è rinnovabile. Le elezioni
permettono di misurare la rappresentatività delle organizzazioni professionali
dei magistrati.
5. Cenni sull’ENM francese e breve
cronistoria.
La Scuola nazionale
della magistratura (Ecole Nationale de la Magistrature – ENM) garantisce la formazione iniziale
dei futuri magistrati dell’ordine giudiziario, nonché quella permanente dei
magistrati già in funzione. Creato con le ordinanze del 22 dicembre 1958
e del 7 gennaio 1959 recanti Ordinamento della magistratura, sotto la
denominazione di Centre national d’études judiciaires (Centro nazionale
di studi giudiziari, dizione mutata poi in quella attuale per effetto della legge
organica del 17 luglio 1970), questo istituto ha visto i testi che lo
reggono, in particolare il decreto n. 72-355 del 4 maggio 1972, modificarsi
considerevolmente nel corso degli anni, per consentire un adeguamento della
scuola alle sue finalità. Ente pubblico indipendente di natura amministrativa
posto sotto la tutela del Guardasigilli, Ministro della giustizia, la Scuola
nazionale della magistratura è amministrata da un consiglio
di amministrazione composto di ventiquattro membri e un direttore, che è un
magistrato dell’ordine giudiziario [44]. Il consiglio d’amministrazione è presieduto dal
Presidente della Corte di cassazione, mentre la vice-presidenza è assicurata
dal Procuratore generale presso la detta Corte. Gli altri membri sono
magistrati di diversi livelli, direttori dell’amministrazione centrale del
Ministero della giustizia, personalità particolarmente qualificate del mondo
accademico, rappresentanti dei docenti della Scuola, dei magistrati addetti
alla formazione decentrata e degli stessi uditori giudiziari. Il direttore,
nominato dal Consiglio dei ministri, è assistito, direttamente o
indirettamente, da una squadra di otto magistrati, le cui competenze ricoprono
i principali settori di attività dell’istituto: formazione iniziale, formazione
permanente, amministrazione, inclusa l’organizzazione dei concorsi [45].
Al fine di promuovere e
concretizzare, in occasione della formazione iniziale, un programma pedagogico
semplice e insieme coerente con gli obiettivi, ad un tempo pragmatici (trasmissione
di «saper fare») e ambiziosi (riflessioni sul ruolo del giudice), l’ENM
ha sentito prestissimo l’esigenza di dotarsi di un corpo permanente di
insegnanti. La cosa si è realizzata a partire dal 1971 e sono attualmente oltre
trenta i magistrati distaccati per un periodo di tre anni, rinnovabile, in
qualità di «maestri conferenzieri» (maîtres
de conférences) presso la Scuola. Alcuni di essi sono, più specificamente,
responsabili: sei della formazione permanente, un altro del dipartimento
internazionale, un altro dei rapporti con la ricerca e l’università. Altri
magistrati sono poi stati messi a disposizione dell’ENM per rafforzare,
da un lato, il dipartimento internazionale e, dall’altro, per venire in
appoggio alla creazione di un centro risorse, destinato in particolare a
migliorare la comunicazione interna ed esterna dell’istituzione e a promuovere
quantità e qualità delle attività di formazione professionale dispensate dalla
scuola, sia per quanto riguarda la formazione iniziale, sia per quanto riguarda
quella permanente. La scuola attualmente impiega quasi centoquaranta persone,
fra cui si contano trentadue magistrati, incaricati della direzione e
dell’insegnamento.
Il bilancio della scuola
ha raggiunto nel 2002 circa 37 milioni di euro, l’80% dei quali sono stati
destinati alle spese del personale, allievi inclusi. Il bilancio
Il dipartimento
internazionale concorre alla formazione professionale dei futuri magistrati di
Paesi stranieri e, in particolare, di quelli cui la Francia è legata da accordi
di collaborazione tecnica in materia giudiziaria, nonché alla formazione e al
perfezionamento dei magistrati di questi Stati. Tale formazione, sovvenzionata
in parte dal ministero della cooperazione, ha notevolmente contribuito
all’irradiarsi della Francia e delle sue istituzioni giudiziarie non solo nei
Paesi francofoni un tempo ad essa legati, ma anche in sistemi che, per la loro
specifica cultura e la loro storia, avrebbero potuto essere indotti a scegliere
altri punti di riferimento; tra questi si potranno ricordare, per esempio
l’Egitto, il Giappone, la Corea, o anche Paesi del Sud America e, di recente,
alcuni Paesi dell’Est. Se la formazione permanente dei magistrati stranieri è
perlopiù organizzata a Parigi, la formazione iniziale degli uditori stranieri
si svolge a Bordeaux, nelle stesse condizioni di quella degli uditori francesi.
Questi vengono, infatti, inseriti nel novero degli uditori francesi in
tirocinio in quel momento.
La specificità dell’ENM consiste nel disporre, come si
diceva, di docenti, maîtres de
conférences («maestri conferenzieri»), a tempo pieno, che sono magistrati
incaricati di formare gli uditori giudiziari, di organizzare le sessioni di
formazione permanente e le iniziative di cooperazione internazionale. La scuola
ricorre anche a numerosi interventi esterni: magistrati, avvocati, esperti,
ecc. Ogni anno, essa forma oltre 200 nuovi uditori nelle attività di formazione
iniziale e oltre 3.500 magistrati, in quelle di formazione continua.
6. Lo status giuridico degli auditeurs de justice
francesi.
Ecco ora alcune
informazioni sullo status giuridico degli uditori giudiziari.
Lo statuto di questi soggetti deriva:
a. dall’ordinanza n. 58-1270 del 22
dicembre 1958 e successive modificazioni, recante Legge organica relativa
all’ordinamento della magistratura, in particolare dagli artt. 8 (commi primo e
terzo), 9 (capoversi 1, 3 e 4), 10, 11 e 26, di questa;
b. dal decreto n.
72-355 del 4 maggio 1972 e successive modificazioni, relativo alla Scuola
nazionale della magistratura, in particolare dal suo titolo III;
c. dal decreto n. 94-874
del 7 ottobre 1994, che stabilisce le disposizioni comuni applicabili ai
tirocinanti dello Stato e dei suoi enti pubblici;
d. dalle leggi n. 83-634
del 13 luglio 1983, recante Diritti e doveri dei funzionari, e n. 84-16 dell’11
gennaio 1984, recante Disposizioni statutarie relative alla funzione pubblica
dello Stato, e dai relativi decreti attuativi.
Gli uditori giudiziari
dipendono dunque, a un tempo, dallo statuto della magistratura, da quello dei
funzionari tirocinanti, nonché dallo statuto generale della funzione pubblica.
Gli uditori giudiziari,
innanzi tutto, fanno parte dell’ordine giudiziario, pur non possedendo ancora
la qualifica di «magistrato». Devono prestare giuramento e sono tenuti al
segreto professionale. Non possono in alcun caso essere dispensati dal
giuramento prestato, e cioè quello «di comportarsi in tutto e per tutto come un
degno e leale uditore giudiziario» [46]. Ogni mancanza di un uditore
giudiziario ai doveri del suo stato può dare luogo a una delle sanzioni
disciplinari previste dagli artt. 59-65
del decreto del 4 maggio 1972 (censura, avvertimento, espulsione
temporanea, espulsione definitiva) e ogni violazione del segreto professionale
può essere oggetto di misure penali. In virtù dell’art. 11 dell’ordinanza
del 22 dicembre 1958, gli uditori giudiziari sono, in compenso, protetti
dalle minacce, dagli attacchi, di qualsiasi natura, di cui possano essere
oggetto nell’esercizio delle loro funzioni, o in occasioni legate a queste.
L’art. 19 dell’ordinanza
del 22 dicembre 1958 precisa l’ambito di competenza degli uditori
giudiziari nel corso del loro tirocinio, durante il quale gli uditori
giudiziari partecipano, sotto la responsabilità di magistrati, all’attività
giurisdizionale, senza tuttavia poter emettere provvedimenti. Essi possono, in
particolare:
a. assistere il giudice
istruttore in tutti gli atti istruttori;
b. assistere i
magistrati del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione pubblica;
c. sedere in
soprannumero e partecipare con voto consultivo alle camere di consiglio civili
e penali;
d. presentare oralmente
requisitorie o conclusioni davanti a queste;
e. assistere alle camere
di consiglio della Corte d’assise.
Del resto, la legge n.
90-1259 del 31 dicembre 1990, recante Riforma di talune professioni giudiziarie
e giuridiche, prevede all’art. 63 che, durante il tirocinio in uno studio
legale, l’uditore possa sostituire in udienza il suo dominus, sotto il
controllo di quest’ultimo, cioè patrocinare nei tribunali. I tirocini
giurisdizionali dipendono dalla sotto-direzione dei tirocini, e sono seguiti da
magistrati delegati alla formazione e direttori di centro di apprendistato.
Gli uditori dipendono
inoltre dallo statuto della pubblica amministrazione. In questa qualità, il
principio generale della pubblica amministrazione, secondo cui si riceve una
retribuzione come corrispettivo del «servizio prestato», vale anche per
l’uditore giudiziario. Il «servizio prestato» dall’uditore va valutato rispetto
al suo dovere di seguire le varie attività civili previste sia dal programma
didattico, sia dalle note della direzione dell’ENM, specie quelle
relative al tirocinio giurisdizionale organizzato dai magistrati delegati alla
formazione e dai direttori del centro di formazione iniziale. In proposito,
vale la pena di sottolineare che gli uditori giudiziari non possono esercitare
alcuna altra attività dipendente o professionale, né privata né pubblica, e che
non possono a nessun titolo assumere un’attività di insegnamento. In compenso,
possono dedicarsi, senza alcuna autorizzazione preliminare, a lavori
scientifici, letterari o artistici [47].
Gli uditori giudiziari,
infine, dipendono dallo statuto dei funzionari tirocinanti. In linea di
principio non possono, in quanto semplici uditori, essere messi in posizione di
distacco, o a disposizione. Possono ottenere, per convenienza personale, un
congedo senza retribuzione della durata massima di tre anni. Peraltro, essendo
il loro tirocinio remunerato, gli uditori sono tenuti, al termine del loro
periodo scolastico e prima di essere nominati magistrati, a impegnarsi a
servire lo Stato per dieci anni. Analogamente, ogni uditore che si dimetta
dalla scuola è soggetto al rimborso dei salari e delle indennità percepiti
durante il periodo scolastico. Può tuttavia chiedere al Guardasigilli, Ministro
della giustizia, di essere esonerato da questo obbligo. La decisione è presa su
proposta del direttore della Scuola, su parere del consiglio di
amministrazione.
7. La formazione iniziale
presso l’Ecole Nationale de la Magistrature.
La formazione
iniziale dei futuri magistrati dell’ordine giudiziario costituisce la
principale missione della Scuola nazionale della magistratura francese. Essa
dura trentuno mesi e comporta una parte di insegnamenti teorici a Bordeaux e
una parte di tirocinio, vuoi presso uffici giudiziari, vuoi al di fuori di
questi. Ogni nuovo gruppo di uditori usufruisce di un programma di formazione
adottato dal consiglio di amministrazione della scuola, a partire dal progetto
elaborato dalla direzione e dai docenti [48]. L’insegnamento è
dispensato nella Scuola nazionale della magistratura da un corpo di docenti
(«maestri conferenzieri»), tutti magistrati in distacco, nonché da
conferenzieri designati volta per volta o da docenti esterni che intervengono
su invito della scuola. La didattica, del resto, può avvalersi di svariati tipi
di strumenti [49].
Per ciò che attiene alla
valutazione del periodo di studi e del tirocinio giurisdizionale e al
successivo esame per la formazione della graduatoria, l’art. 21 dell’ordinanza
n. 58-1270 del 22 dicembre 1958 e successive modificazioni dispone che una
commissione proceda a stilare la graduatoria dei candidati che ritiene idonei,
al termine della scuola, a esercitare le funzioni giudiziarie. La commissione
accompagna alla dichiarazione di idoneità di ogni uditore una raccomandazione
sulle funzioni che, a suo avviso, l’uditore potrà più proficuamente esercitare
all’atto della sua prima nomina. Il decreto
n. 72-355 del 4 maggio 1972, relativo alla Scuola nazionale della
magistratura, precisa che la graduatoria degli uditori giudiziari è redatta
dalla commissione, tenuto conto della media dei voti ottenuti durante gli studi
(coefficiente 10) e nei tirocini (coefficiente 12), oltre al risultato di un
esame (coefficiente 6).
Il regolamento
interno della scuola prevede le modalità di assegnazione dei voti per i
corsi e i tirocini, fissa il principio della comunicazione regolare agli
uditori delle valutazioni effettuate su di essi durante il periodo scolastico e
indica che tali valutazioni avvengono in base a un sistema di valutazione
stabilito dalla direzione, su parere della commissione didattica ed approvato
dal consiglio d’amministrazione.
Per quanto riguarda il
periodo di studio presso la Scuola, la valutazione, che assume forme diverse
(colloqui nel corso della frequenza scolastica) e si basa su supporti
diversificati (lavori scritti e orali, simulazioni, ecc.), si traduce in un
dettagliato giudizio scritto, espresso in base ad apposite «griglie» per ognuno
degli esaminatori, su attività distinte (tirocini esterni, contesto
giudiziario, indirizzi di studi). La relazione sul tirocinio esterno e la sua presentazione
in occasione di un colloquio danno luogo a un giudizio scritto redatto da due
esaminatori [50]. La produzione scritta e il resoconto finale di
ogni gruppo sull’attività «contesto giudiziario» costituiscono oggetto di una
valutazione comune del gruppo. La relazione è redatta da due esaminatori, tra
cui il docente che si è visto affidare l’animazione del gruppo. Anche le
lezioni danno luogo alla redazione di valutazioni dettagliate da parte dei
docenti su ognuno degli uditori del gruppo.
Tutte le valutazioni
sono raccolte dal sottodirettore degli studi, che elabora, a partire dalle
indicazioni fornite, la proposta del voto prevista dal decreto del 1972. Una
riunione, in presenza dei docenti e degli uditori delegati al consiglio di
amministrazione, consente di ottenere poi coerenza e trasparenza nel modo di
procedere. Contemporaneamente alla proposta di voto in cifre, il sottodirettore
degli studi redige una sintesi dell’insieme delle valutazioni effettuate
sull’uditore giudiziario (relazione sul tirocinio, attività «contesto»,
lezioni). Il sistema consente un equilibrio migliore dei voti, grazie
all’unicità dell’organo proponente. Esso mantiene una stretta connessione tra
il voto, necessariamente rigido, e le acquisizioni della formazione o i
progressi dell’uditore durante il corso di studi, necessariamente in
evoluzione. Il dispositivo è coerente con il sistema di valutazione dei
tirocini, che utilizza gli stessi criteri. La valutazione, come il sistema di
note, assicura l’informazione più ampia dell’uditore e garantisce la
possibilità di dialogo con chi esprime la valutazione. Degli scambi di opinione
durante il corso tra docenti e uditori, circa le metodologie didattiche e i
progressi registrati, si verificano ogniqualvolta si reputino necessari. Analogamente,
le griglie di valutazione compilate dai maestri conferenzieri, la proposta di
voto e la sintesi del sottodirettore degli studi sono comunicati all’uditore,
che può fare le sue osservazioni.
Veniamo ora al sistema
di valutazione del tirocinio giurisdizionale. I criteri che reggono la
procedura di valutazione del praticantato sono i seguenti:
a. fornire all’uditore
il massimo di indicazioni che gli consentano di conoscere i giudizi di cui è
oggetto e permettergli con ciò di determinare le scelte utili per potere
progredire;
b. assicurare la
trasparenza del voto e consentire all’uditore di fare valere le proprie
osservazioni sulle valutazione dei responsabili del tirocinio e sulle sintesi
ulteriori;
c. formalizzare il
colloquio didattico tra l’uditore e il responsabile del tirocinio.
Il percorso formativo
dell’uditore si svolge dunque in questo modo:
a. le valutazioni
effettuate dai responsabili del tirocinio consentono a ciascun magistrato di
esprimere giudizi sul tirocinio effettuato con lui da parte dell’uditore
giudiziario. Ciascuno dei formatori deve informare direttamente l’uditore del
contenuto della valutazione e consegnargliene una copia al termine del
tirocinio. L’originale è inviato al direttore del centro di tirocinio e, per
sua richiesta, al magistrato delegato alla formazione. Questi documenti non
attestano il voto in cifra, non sono comunicati alla Scuola e non figurano nel
fascicolo dell’uditore. Tuttavia, l’uditore può, a sostegno di una
contestazione delle sintesi e del bilancio ulteriori, inserirvi l’insieme delle
valutazioni dei maestri di tirocinio. Allo stesso modo, queste schede andranno
aggiunte al fascicolo quando la scuola effettuerà proposte di raccomandazioni
selettive, di esclusione o di ripetizione;
b. le sintesi intermedie
del direttore del centro di tirocinio sono redatte a tre riprese, in maggio, in
ottobre e in dicembre. Esse si basano sulle valutazioni effettuate dai
responsabili del tirocinio, arricchite di tutte le osservazioni eventualmente
suggerite dallo svolgimento del tirocinio stesso e non comportano voto in
cifra. Dopo averne dato conoscenza e consegnato copia all’uditore, il direttore
del centro di tirocinio trasmette questi documenti al magistrato delegato alla
formazione, che ne prende conoscenza a propria volta, li vista e li invia alla
scuola, insieme a tutte le osservazioni che lo svolgimento del tirocinio
dell’uditore eventualmente richieda;
c. la valutazione del
magistrato delegato alla formazione viene effettuata alla fine del tirocinio da
questo magistrato di Corte d’appello al termine di una riunione da lui
presieduta in ogni ufficio giudiziario interessato, con la partecipazione
dell’insieme dei magistrati che hanno concorso alla formazione dell’uditore. La
valutazione contiene la sintesi dei giudizi raccolti durante il tirocinio,
arricchita di tutte le osservazioni che lo svolgimento del tirocinio
dell’uditore eventualmente richieda. Essa non comporta un voto in cifre e, dopo
essere stata comunicata all’uditore, viene consegnata alla scuola.
In base alle valutazioni
dei magistrati delegati alla formazione, dopo la riunione dell’insieme dei
responsabili dei centri di tirocinio, in presenza degli uditori delegati al
consiglio di amministrazione, i sottodirettori di tirocinio decidono una proposta
di voto in cifra, accompagnata da una valutazione di sintesi. A ogni tappa del
processo, gli uditori hanno facoltà di fare conoscere le osservazioni ai
responsabili dei centri di tirocinio, nonché alla direzione della scuola per le
sintesi successive, riportandole nella rubrica riservata all’uopo sui vari
moduli impiegati. Le valutazione dei responsabili del tirocinio e quelle dei
direttori dei centri di tirocinio hanno come principale scopo quello di
accompagnare il progresso dell’uditore. La valutazione del magistrato delegato
alla formazione vede aggiungersi a questo obiettivo quello di preparare la
motivazione e stabilire il voto in cifra.
Terminato il periodo di
studi e di tirocinio, il voto definitivo è stabilito dal direttore della Scuola
e dal direttore della formazione iniziale, in base alle rispettive proposte del
sottodirettore degli studi e del sottodirettore del tirocinio. Alla luce delle
valutazioni espresse sull’uditore durante la sua formazione, se è in
discussione l’idoneità dell’uditore, o se sussistono, nell’esercizio di una o
più funzioni, delle difficoltà che non mettano in discussione l’idoneità
generale, il voto è accompagnato da una relazione speciale rivolta alla
commissione. La relazione è preliminarmente comunicata all’uditore, che potrà
aggiungervi le proprie osservazioni. Il libretto didattico, trasmesso alla
commissione, contiene, oltre alle sintesi intermedie e al bilancio dei
responsabili dei centri di tirocinio, i voti dei corsi e dei tirocini,
accompagnati dai giudizi sintetici che li giustificano e, all’occorrenza, dalla
relazione che accompagna il voto definitivo.
Il conferimento della
qualifica di magistrato è subordinato a una dichiarazione di idoneità, espressa
al termine degli studi da una commissione, al momento dell’esame per la
graduatoria. L’esame, previsto all’art. 21 della
legge organica, comporta tre prove:
a. una prova scritta,
consistente nel redigere entro sei ore una decisione in materia di diritto
civile (coefficiente 2);
b. una prova orale di
venti minuti, consistente in una requisitoria penale (coefficiente 2); la
durata della preparazione di questa prova è di quattro ore;
c. una prova orale,
consistente in un colloquio di quindici minuti con i membri della commissione
(coefficiente 2).
Al voto finale di questo
esame (coefficiente 6) si aggiungono i voti dei corsi (coefficiente 10) e dei
tirocini effettuati (coefficiente 12).
Al termine dell’esame,
gli uditori possono:
a. essere dichiarati
idonei alle funzioni giudiziarie;
b. vedersi imporre il
rinnovo di un anno di studi;
c. vedersi esclusi
dall’accesso alle funzioni giudiziarie.
Nel primo caso, la
commissione aggiunge alla dichiarazione di idoneità di ogni uditore una
raccomandazione circa le funzioni che ritiene che l’uditore possa esercitare
meglio al momento della sua prima nomina. Gli uditori scelgono poi il loro
incarico su un elenco stabilito dalla direzione dei servizi giudiziari, in
funzione del loro posto in graduatoria. Le scelte sono sottoposte al parere del
Consiglio superiore della magistratura.
8. L’ENM e la formazione
continua dei magistrati francesi.
Anche la formazione
continua, o permanente, dei magistrati dell’ordine giudiziario francese è
garantita dalla Scuola nazionale della magistratura, e più esattamente dalla
sua Antenne parigina. Qualsiasi
magistrato che lo desideri gode annualmente di cinque giorni per la formazione
continua. Peraltro, i magistrati reclutati in via complementare ai sensi
dell’art. 21-1 della più volte citata legge organica
del 1958 ricevono «un régime de formation
continue renforcé comportant 2 semaines
obligatoires de formation par an pendant les quatre premières années de
fonction».
La formazione permanente
può assumere la forma di stages in
organismi i più disparati, o quella di sessioni su un tema giuridico o
generale. È organizzata o a livello nazionale direttamente dalla Scuola, o a livello locale dalle Corti
d’appello, tramite magistrati delegati alla formazione, sotto il controllo
e con il finanziamento dell’ENM. In questo modo, tutti gli uditori
giudiziari nominati magistrati conservano costantemente, nel corso della loro
carriera, dei legami con la Scuola nazionale della magistratura tramite la
formazione permanente. In particolare, al termine del loro primo anno di
incarico, i magistrati di nuova nomina partecipano obbligatoriamente a una
sessione di formazione professionale della durata di due settimane, consacrata
all’approfondimento della loro pratica professionale. La formazione permanente
deve infatti permettere a ciascun magistrato di confrontare la propria pratica
professionale con gli sviluppi legislativi, economici, sociali e culturali, per
contribuire a migliorare il funzionamento dell’istituzione giudiziaria. Essa ha
la missione di accompagnare il magistrato per tutta la sua vita attiva,
fornendogli il modo di informarsi, formarsi e approfondire gli ambiti in cui si
esercitano le sue attività.
L’ENM rappresenta
sicuramente – a livello europeo e, probabilmente, mondiale – la principale
istituzione dedicata alla formazione permanente dei magistrati. Possiamo qui
ricordare che tale istituzione, creata nel 1958 come ente destinato soltanto
alla formazione iniziale, a partire dal
9. La formazione dei
magistrati in Germania.
La caratteristica di
fondo del sistema tedesco [52] – che lo rende abbastanza diverso dai sistemi
di reclutamento e di formazione professionale dei magistrati del resto d’Europa
– è quella di non prevedere una formazione iniziale concepita appositamente per
i magistrati. In compenso, secondo il modello prussiano applicato all’intera
Germania nel corso del XIX secolo, tutti coloro che vogliano esercitare una
professione giuridica (magistrato, avvocato, notaio) devono sottoporsi a un
ciclo di formazione iniziale comune [53], contrassegnata
da quattro tratti principali. Si tratta, infatti, di una formazione in due fasi
(zweiphasige Ausbildung), di cui una
universitaria ed una pratica. Entrambe le fasi culminano in un esame, con il
risultato che non si può ottenere la qualifica di giudice, di avvocato o di
notaio se non una volta superate entrambe le prove [54].
Ecco dunque le tappe
fondamentali del percorso. Il candidato deve dapprima avere compiuto un
determinato periodo di studi universitari presso una delle facoltà di
giurisprudenza della Repubblica federale tedesca; poi deve essere ammesso al
primo esame di Stato per le professioni giuridiche (Erste Juristische Staatsprüfung); deve quindi affrontare un
servizio preparatorio di due anni (Vorbereitungsdienst);
infine, deve essere ammesso al secondo esame di Stato per le professioni
giuridiche (Zweite Juristische
Staatsprüfung). Le grandi linee di tale processo formativo sono tracciate
nella legge federale sul sistema giudiziario (Deutsches
Richtergesetz – DRiG) dell’8 settembre 1961, successivamente
modificata, mentre i dettagli dei programmi di formazione sono stabiliti dalle
diverse legislazioni dei Länder di
cui si compone lo Stato Federale.
Ai sensi del paragrafo
5.a del Richtergesetz, i candidati
devono avere compiuto almeno quattro anni di studi universitari in una delle
facoltà di giurisprudenza, durante i quali devono avere superato un certo
numero di esami, in diritto civile, procedura civile, diritto penale, diritto
pubblico, diritto comunitario, ecc. In pratica, tenuto conto della difficoltà
degli studi giuridici in Germania (dove gli esami universitari non si basano
solo sulla teoria, ma anche sulla pratica, e dove i professori dedicano –
contrariamente a quello che avviene in Italia – gran parte del loro tempo
all’insegnamento e non all’esercizio di altre professioni), i candidati
arrivano al primo esame di Stato solo dopo cinque anni (almeno) di studi
universitari. Il primo esame di Stato varia secondo ogni Land, in cui un Landesjustizprüfungsamt
(Ufficio regionale per l’esame di ammissione alle professioni giuridiche)
organizza queste prove, che si compongono di esami scritti e orali. Per fare un
esempio, nel
Il laureato che ha
superato il primo esame ottiene lo statuto di Referendar (Referendarin
per le donne) e riceve un salario dal Land.
Il periodo di Referendariat (detto
anche Juristischer Vorbereitungsdienst)
dura due anni, durante i quali i Referendare
effettuano tirocini, un certo numero dei quali sono obbligatori (Pflichtstationen) e altri facoltativi (Wahlstationen). I tirocini obbligatori
sono quattro, e si compongono di:
a. alcuni mesi presso un
ufficio giudiziario civile;
b. alcuni mesi presso un
ufficio giudiziario penale o presso un ufficio della procura della Repubblica;
c. alcuni mesi presso una
pubblica amministrazione;
d. alcuni mesi di
pratica civile e penale presso lo studio di un avvocato [56].
La durata complessiva
del periodo obbligatorio è di circa due anni. In questo lasso di tempo i Referendare partecipano anche a corsi
teorici in varie materie. I periodi di tirocinio facoltativo durano, invece,
dai quattro ai sei mesi; mirano a fornire ai futuri giuristi approfondimenti in
materie specifiche. I Referendare
possono scegliere periodi di formazione presso un ufficio giudiziario ordinario
o speciale, presso uno studio di avvocato o di notaio, un’associazione
sindacale o l’ufficio legale di un’impresa. Sono anche previsti tirocini presso
organismi internazionali (ONU, UE, Parlamento Europeo), nonché presso
ambasciate tedesche, uffici giudiziari e scuole straniere (l’ENM francese, ad esempio).
Al termine di questo
periodo il Referendar deve affrontare
il secondo esame di Stato. Le prove scritte hanno luogo dopo i primi diciannove
mesi, gli orali si devono svolgere cinque mesi dopo, cioè dopo l’ultima tappa.
Va sottolineato che le possibilità di specializzazione sono nel secondo esame
ancora più ridotte che nel primo. Ad esempio, in Bassa Sassonia, non vi sono
più vere e proprie materie facoltative e gli sforzi si possono concentrare su
una materia strettamente connessa a una materia obbligatoria; gli studenti
possono scegliere solo fra diritto civile e penale, diritto costituzionale e
diritto amministrativo, diritto dell’economia e della finanzia, diritto del
lavoro e diritto sociale (paragrafo 7 capoverso 1, n. 6, Niedersächsisches Gesetz zur
Ausbildung der Juristinnen und Juristen – NJAG). Gli ultimi cinque mesi di scelta
del Referendariat devono comprendere
una di queste quattro materie e il Referendar
è relativamente libero nella scelta dell’istituzione dove riceverà la sua
formazione in questo periodo. Può anche farla all’estero (purché
preliminarmente autorizzato, il che vale anche per il tirocinio obbligatorio).
Nel corso dell’esame orale si valutano solo le materie nelle quali il candidato
ha presentato un apposito dossier (Aktenvortrag).
In sintesi, nonostante le più volte ventilate riforme, l’Einheitsjurist tedesco – un giurista generalista che è anche
qualificato in tutte le materie del diritto e che deve avere la stessa
formazione indipendentemente dalla professione che intende esercitare – sembra
rimanere un dogma [57].
Andrà poi tenuto conto
del fatto che, in Germania, è determinante non solo superare la prova, ma anche
uscirne con una buona posizione nella graduatoria, se si intende diventare
magistrato. La promozione al secondo esame conferisce ai candidati la Befähigung zum Richteramt, vale a dire
l’abilitazione all’esercizio della professione di giudice. La nomina effettiva
come giudice dipende tuttavia dalla scelta effettuata dal Ministero della
giustizia di ogni Land, in base alla
graduatoria dei candidati, cosicché solo i candidati promossi con i voti
migliori potranno essere veramente nominati giudici o pubblici ministeri. La
prima nomina è effettuata per un determinato periodo (tre o cinque anni). I
giovani magistrati lo sono, dunque, «in prova» (Richter auf Probe). Dopo una valutazione da parte del presidente
della Corte d’appello (Oberlandesgericht),
una volta terminato il periodo di prova, il magistrato può essere nominato a
vita (auf Lebenszeit), oppure essere
esonerato dalle sue funzioni in caso di non idoneità all’esercizio della
professione.
10. La formazione continua
dei magistrati in Germania. L’Accademia tedesca della magistratura.
Un altro istituto
importante nel panorama europeo della formazione permanente dei magistrati è
rappresentato dalla Deutsche
Richterakademie (Accademia tedesca della magistratura), fondata nel
1973, grazie a una convenzione tra lo Stato federale e i Länder [58]. L’Accademia garantisce a livello nazionale la
formazione continua dei magistrati giudicanti di tutte le branche delle varie
giurisdizioni, nonché quella dei magistrati del pubblico ministero. Gestione e
finanziamento della Deutsche Richterakademie sono a carico dello Stato
federale e dei Länder,
congiuntamente. Oltre alla casa madre di Treviri, che ha anche la funzione di
sede amministrativa, l’Accademia dispone, dall’inizio del 1993, di una seconda
sede per organizzare i convegni. Si tratta del castello di Zieten, situato a
settanta chilometri circa da Berlino, a Wustrau, nel Brandeburgo (un Land già facente parte della DDR).
L’Accademia ha dunque la
funzione di garantire la (sola) formazione permanente dei magistrati nelle loro
rispettive specializzazioni, atteso che il sistema di formazione iniziale,
sopra descritto, si articola nelle fasi illustrate, al di fuori di un istituto
di formazione ad hoc. L’Accademia ha
però anche l’ambizione di trasmettere conoscenze ed esperienze sugli sviluppi
politici, sociali, economici e di comunicare ai giudici informazioni
sull’evoluzione di altre materie scientifiche. Il programma dei vari convegni
proposti nelle due sedi dell’Accademia è deciso da una conferenza (Programmkonferenz) incaricata di
stabilirne i criteri basilari. Tale conferenza riunisce rappresentanti dello
Stato federale e dell’insieme dei Länder,
che dispongono di un voto per ciascuno. Vi assumono un ruolo consultivo le
associazioni professionali dei magistrati della giudicante e della requirente.
I costi vengono ripartiti in parti uguali tra Stato federale e Länder. Sono le amministrazioni della
giustizia dello Stato federale e dei Länder
a provvedere all’organizzazione del programma, tenendo conto degli elementi stabiliti
dalla suddetta conferenza.
In qualità di
responsabile dell’amministrazione, il direttore dell’Accademia fornisce la
propria assistenza e presenta alla conferenza incaricata del programma alcune
relazioni sullo svolgimento e l’eco suscitata dai vari convegni. Ogni anno il
numero dei convegni organizzati a Treviri e a Wustrau per la formazione
permanente dei magistrati ammonta a oltre centocinquanta. Il numero dei
magistrati che partecipano a tali iniziative si aggira intorno a 5.000 l’anno.
Due convegni hanno sempre luogo parallelamente. Si può ancora aggiungere che
negli ultimi anni la Programmekonferenz
ha stabilito la quota delle materie di insegnamento nei corsi in questo modo:
conferenze sulle materie giuridiche, 45% (di cui i quattro decimi in diritto
penale e i due decimi in altre materie giuridiche); conferenze di carattere
interdisciplinare, 30%; conferenze sulle scienze sociali, 25%.
Il programma è
completato dall’organizzazione di convegni comuni, che vedono riuniti
magistrati di tribunale e di procura insieme ad altri colleghi tedeschi. Altri
corsi di formazione permanente, rivolti al loro stesso personale, sono
organizzati dai Länder i quali,
talvolta, dispongono di proprie istituzioni. La IRZ-Stiftung (Deutsche
Stiftung für internationale rechtliche Zusammenarbeit e. V. – Fondazione
tedesca per la cooperazione internazionale in campo giuridico) è incaricata dal
governo federale di fornire ausilio nel campo della riforma del sistema
giudiziario agli Stati dell’Europa centrale e orientale, nonché ai nuovi Stati
indipendenti dell’ex Unione sovietica. Programmi analoghi esistono per i Paesi
del Patto di stabilità per l’Europa sud-orientale.
11. La formazione dei
magistrati nei Paesi Bassi.
Il sistema olandese [59] è contraddistinto dalla
presenza di due forme di reclutamento – rispettivamente, interna ed esterna –
poste su un piano di perfetta parità; ciò significa che, per ogni concorso, la
metà dei candidati sono «interni» e l’altra metà «esterni». Per quanto riguarda
il metodo di reclutamento cosiddetto «interno», va innanzitutto spiegato che in
Olanda, da parecchi anni, è in funzione un centro, chiamato Stichting Studiecentrum Rechtspleging
(SSR), situato nella città di Zutphen, che ha lo scopo di garantire la
formazione iniziale e permanente dei magistrati e dei cancellieri.
Benché il suo bilancio
dipenda dal ministero della Giustizia, lo SSR è un istituto privato
indipendente, che gode dello statuto legale di fondazione. Il consiglio di
amministrazione dello SSR è composto di esperti, collocati negli alti
gradi della magistratura, di un membro emerito della procura, di un tirocinante
e di un rappresentante del ministero della Giustizia. Il presidente del consiglio
è un membro della Corte suprema. Il consiglio supervisiona e decide la politica
dello SSR. Il direttore, chiamato Rector,
ha la supervisione, con l’assistenza di un Conrector,
dell’organizzazione dello SSR, ed è responsabile degli affari quotidiani
dell’istituto. Il direttore è un membro della magistratura che lavora a tempo
pieno, per un periodo di cinque anni, ed è attorniato da una squadra facente
parte del corpo giudiziario e in carica per un periodo di tre anni. Lo SSR
propone un ampio programma di formazione professionale, per duecentocinquanta
corsi l’anno (alcuni dei corsi durano parecchi giorni). I corsi, gratuiti, sono
obbligatori per i candidati interni e opzionali per i giudici e i procuratori.
Lo SSR non possiede un corpo docente «fisso»; per ogni iniziativa, si
selezionano formatori tra i magistrati più esperti del tribunale o della
procura, tra i docenti universitari, gli avvocati, i consiglieri giuridici o
altri esperti di diritto. Lo SSR impiega stabilmente circa sessanta
persone.
L’ammissione alla scuola
si effettua, due volte l’anno, da parte di un comitato per la selezione
composto di rappresentanti del potere giudiziario e di un funzionario del
Ministero della giustizia, in base a un concorso, al quale possono essere
ammessi laureati in legge che abbiano meno di trent’anni. Più precisamente, il
Ministero organizza, coordina ed esegue la procedura di selezione, mentre la
magistratura ammette i candidati alla formazione. Per potere richiedere di
essere ammesso allo SSR, il candidato deve avere una laurea in
Giurisprudenza (olandese), tenere una condotta irreprensibile e avere, come si
è appena detto, meno di trent’anni; l’età minima non è fissata. E’ richiesta la
nazionalità olandese, oltre che l’uso corrente di questa lingua.
La preselezione dei
tirocinanti comincia con una «lettera di motivazione». I candidati sono quindi
sottoposti a un test psicologico, che riguarda la personalità, le doti
caratteriali, le attitudini analitiche e intellettuali, l’atteggiamento verso
il lavoro, il non essere affetto da stress per l’esercizio di funzioni sociali.
Dopo il test, i migliori cento candidati possono presentarsi alla procedura di
selezione. I candidati vengono sottoposti a un test psicologico più specifico e
a un colloquio con la commissione selezionatrice. La commissione è composta di
giudici e pubblici ministeri, di rappresentanti del Ministero della giustizia e
di persone esterne che godono di una vasta esperienza professionale. La
commissione per la selezione presenta le sue raccomandazioni al Ministero della
giustizia per quanto riguarda l’idoneità dei candidati a svolgere con successo
il loro programma di formazione e le competenze da esercitare in qualità di
magistrato.
Una volta ammesso alla
scuola, il candidato ottiene lo statuto di Rechterlijk
Ambtenaar in Opleiding, abbreviato in RAIO
(corrispondente, grosso modo, allo statuto degli uditori francesi). La
formazione interna alla scuola dura sei anni. I primi quattro anni si svolgono
nel tribunale distrettuale o nell’ufficio del procuratore collegato al
tribunale. Nel corso di questo periodo, il candidato – sotto la supervisione di
un giudice o di un pubblico ministero esperto – partecipa a tutte le incombenze
che saranno le sue quando sarà nominato magistrato. Tra le altre cose, escuterà
i testimoni, parteciperà alle camere di consiglio nelle sezioni, relazionerà
sulle cause di fronte al tribunale e redigerà sentenze. Dovrà inoltre seguire
un solido programma di formazione, promosso dallo SSR. Durante il terzo
anno di formazione, il candidato dovrà optare per la carriera di giudice o per
quella di pubblico ministero. Il quarto anno del programma di formazione si
definisce in base a questa decisione e si svolgerà o presso il tribunale
distrettuale, o presso l’ufficio del procuratore, per approfondire ed estendere
le conoscenze acquisite. Nei primi quattro anni il lavoro del candidato viene
valutato annualmente. Se la valutazione risulta negativa, il candidato riceve
un’ammonizione. Una seconda valutazione negativa porta sistematicamente alla
bocciatura del candidato. Gli ultimi due anni si svolgono al di fuori del
quadro della magistratura e consistono in un addestramento «esterno». Nella
maggior parte dei casi, questo tirocinio ha luogo presso un ufficio che si
occupa di questioni giuridiche, ma lo si può effettuare anche in un altro tipo
di organizzazione (Consiglio d’Europa, polizia, ecc.).
Il direttore dello SSR
– magistrato egli stesso – assume un ruolo rilevante nel controllo
dell’organizzazione e della realizzazione del programma di formazione. A questo
fine, egli entra regolarmente in contatto con tutti coloro che hanno affiancato
i tirocinanti (tutori, giudici e magistrati del pubblico ministero), nonché con
i tirocinanti stessi. Una volta terminata la formazione, il candidato è nominato,
in funzione della sua scelta, come giudice aggiunto o come sostituto
procuratore, posto in cui assume tutte le funzioni di un giudice o di un
magistrato del pubblico ministero. Dopo un determinato periodo, il presidente
dell’ufficio giudiziario o il capo della procura possono raccomandare al
Ministero della giustizia di nominare definitivamente il candidato giudice o
procuratore. Il più delle volte il Ministero della giustizia accoglie tale
raccomandazione.
Per quanto riguarda i
candidati «esterni», si tratta di persone che possono comprovare una precedente
esperienza di pratica legale e che si sono distinte, secondo il parere delle
corti distrettuali o degli uffici della procura. I candidati, una volta bandito
il concorso, presentano la loro domanda alla commissione d’ammissione. I
requisiti necessari sono quelli di possedere una laurea olandese in
Giurisprudenza, avere un condotta irreprensibile, possedere una comprovata
esperienza in una professione giuridica. La selezione è effettuata da una commissione
composta di giudici e pubblici ministeri, di esponenti del Ministero della
giustizia, di avvocati e docenti universitari. I candidati promossi sono
nominati giudici aggiunti presso una corte distrettuale o un sostituto
procuratore. Durante questo periodo, il candidato sarà valutato dal magistrato
che lo ha in affidamento. Al termine di questo periodo, la corte o il
procuratore capo esprimeranno un parere sull’attività del candidato. Spetta al
Ministro della giustizia il compito di nominare giudice o procuratore il
candidato, secondo le indicazioni fornite dalla Corte o dal procuratore capo.
La formazione di questi candidati avviene a livello delle varie corti
distrettuali; di tanto in tanto, essi sono tenuti a seguire determinati corsi,
in funzione delle relative esperienze di lavoro, presso lo SSR [60].
12. La formazione dei
magistrati in Portogallo.
Il sistema di
reclutamento e di formazione iniziale dei magistrati portoghesi [61], piuttosto simile, per molti
aspetti, a quello della Francia, si basa sull’esistenza di un ente attivo e
qualificato, il Centro de Estudos Judiciários, Centro di Studi Giudiziari, creato nel 1979
presso il Ministero della giustizia, rispetto a cui, tuttavia, il Centro è
riuscito a conservare un considerevole grado di autonomia. In Portogallo, il
reclutamento, la selezione, la formazione, la designazione, la valutazione e la
promozione dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero sono disciplinati
dalla Costituzione. È infatti la Costituzione a enunciare i principi di fondo e
le norme di base, che rispettano entrambi il criterio essenziale
dell’indipendenza delle corti e dei tribunali. Per quanto concerne i giudici,
la Costituzione ne consacra l’indipendenza, l’inamovibilità, la responsabilità
per le loro decisioni, l’incompatibilità con l’esercizio di ogni altra funzione
pubblica o privata, tranne quella di docente o di ricercatore in campo
giuridico (purché non sia oggetto di retribuzione). La Costituzione sancisce
inoltre la direzione ad opera di un Consiglio superiore della magistratura [62].
Per quanto riguarda il
pubblico ministero, la Costituzione lo rende autonomo dal potere esecutivo, da
quello giudiziario, nonché dalla magistratura del tribunale. Tale autonomia è
coerente con le principali funzioni del pubblico ministero, specie quella
consistente nell’esercizio dell’azione penale secondo il principio della
legalità, nonché quella di difendere la legalità democratica. Una apposita legge
organica attua poi il principio costituzionale dell’autonomia del pubblico
ministero, prevedendo al tempo stesso che tale autonomia si contraddistingua
per il dovere di rispettare i criteri di legalità e di obiettività e per
l’esclusiva subordinazione dei magistrati del pubblico ministero agli ordini e
alle istruzioni previste dalla legge, escludendo qualsiasi ordine o istruzione
emananti dal potere esecutivo [63].
I requisiti richiesti
per accedere all’esercizio sia della magistratura giudiziaria, sia di quella
del pubblico ministero, sono i seguenti:
a. essere cittadino
portoghese;
b. godere dei diritti
politici e civili;
c. essere titolare di
una laurea in Giurisprudenza, ottenuta in un’università portoghese o straniera
ma, in questo caso, riconosciuta in Portogallo;
d. essere stato ritenuto
ammissibile ed ammesso alle prove del Centro di studi giudiziari;
e. rispondere agli altri
requisiti richiesti per la nomina dei funzionari statali.
La prima nomina dei
giudici appartenenti alla giurisdizione ordinaria e dei magistrati del pubblico
ministero avviene in base alla classifica ottenuta in graduatoria dall’uditore
giudiziario, secondo i risultati ottenuti nei corsi e nei tirocini di
formazione.
Durante l’esercizio nei
vari uffici giudiziari di prima istanza i giudici sono valutati e classificati
in base ai risultati delle regolari ispezioni che – nel rispetto del principio
del contraddittorio e della facoltà di ricorso e d’appello – sono effettuate
dagli ispettori. Questi ultimi sono magistrati fuori ruolo, nominati dal
Consiglio superiore della magistratura. Sono scelti fra i giudici della Corte
d’appello e fra i giudici di prima istanza. Devono avere un minimo di quindici
anni di servizio e la loro valutazione deve essere «ottimo». Un sistema analogo
vige anche per i magistrati del pubblico ministero [64].
La selezione e la
formazione iniziale, complementare e permanente dei magistrati della giudicante
e del pubblico ministero cadono sotto la competenza del Centro di studi
giudiziari. Il Centro è posto sotto la tutela del Ministro della giustizia, ma
è dotato di personalità giuridica e di autonomia amministrativa e finanziaria e
la sua organizzazione rispecchia l’obiettivo di uno stretto legame con gli
organi rappresentativi della magistratura, in accordo con la sua finalità
essenziale di formazione professionale dei membri delle due magistrature, che
godono, in ragione delle loro funzioni e dei loro statuti, di un’effettiva
autonomia, in concordanza con la visione costituzionale dei tribunali come
organismi di sovranità indipendenti.
Il direttore del Centro
di studi giuridici è nominato dal Primo Ministro e dal Ministro della
giustizia; è assistito da quattro vicedirettori. Come ulteriori organi del
Centro sono previsti: il consiglio di gestione, il consiglio didattico, il
consiglio disciplinare e il consiglio amministrativo. Il consiglio di gestione,
che deve approvare il piano annuale delle attività e il progetto di bilancio, è
presieduto dal presidente della Corte Suprema. Comprende anche il procuratore
generale della Repubblica, il presidente dell’ordine degli avvocati, il
direttore del Centro, due personalità emerite designate dal parlamento, due
docenti di diritto, due magistrati – uno designato dal Consiglio superiore
della magistratura e l’altro dal Consiglio superiore del pubblico ministero –
oltre a due uditori di giustizia. Un rappresentante per ciascuno di questi
Consigli superiori fa anche parte del consiglio didattico e di quello
disciplinare.
Il Centro di studi
giudiziari è responsabile della formazione iniziale (trentadue mesi, i primi
ventidue dei quali costituiscono una fase di apprendistato teorico-pratico,
divisa in tre periodi, che si svolgono in alternanza all’interno del
tirocinio), della formazione complementare (obbligatoria, per i due anni successivi
alla nomina effettiva) e della formazione permanente dei magistrati. Il Centro
ha sede a Lisbona; impiega circa sessantacinque persone, trenta delle quali
sono magistrati di tribunale e procura, nominati docenti a tempo pieno o, in
casi eccezionali, part-time. La
formazione ricorre anche all’intervento di figure esterne (magistrati,
avvocati, docenti, esperti, ecc.). Per le attività di formazione che si
svolgono presso i tribunali il Centro conta inoltre otto direttori regionali e
centosettanta magistrati-formatori. Ogni anno, circa centoventi nuovi
magistrati compiono il loro addestramento presso il Centro [65].
Il numero di uditori
giudiziari in formazione iniziale è fissato annualmente dal Ministro della
Giustizia, conformemente alle indicazioni dei consigli sulle esigenze di
entrambe le magistrature. Il numero è comunicato contemporaneamente
all’annuncio dell’apertura del concorso di ammissione sulla Gazzetta ufficiale.
Nel prossimo futuro, anche i consiglieri dei tribunali d’appello o di prima istanza
saranno ammessi al Centro nella proporzione di un terzo dei posti e, dopo un
corso specifico nel Centro, eserciteranno le loro rispettive funzioni, in
commissione di servizio, per tre anni. Saranno dispensati dalle prove scritte.
Le commissioni sono costituite
per un terzo da personalità nominate dal Ministro della giustizia e per due
terzi di magistrati designati, in pari proporzione, dai due Consigli superiori.
Le prove sono scritte e orali. Le prove scritte consistono in tre esercizi: uno
di carattere culturale e due di carattere tecnico. Si svolgono rispettando
l’anonimato dei candidati. L’esito negativo dello scritto ha effetto
eliminatorio. Al momento del colloquio (cui sono sottoposti solo i candidati
ammessi agli orali) la commissione comprende anche uno psicologo. La fase degli
orali comprende quattro prove:
a. una conversazione su
temi di deontologia, metodologia e sociologia;
b. una discussione di
diritto civile, diritto commerciale e diritto processuale civile;
c. un’altra discussione
su temi di diritto penale e di procedura penale;
d. un colloquio su temi
di diritto costituzionale, comunitario, amministrativo, del lavoro, della
famiglia e dei minori.
Tutte le materie delle
prove scritte e orali sono pubblicate sulla Gazzetta ufficiale, al momento
dell’apertura del concorso. La graduatoria finale viene redatta tenendo
soprattutto conto delle prove orali. I candidati che hanno ottenuto un
punteggio medio inferiore a dieci su venti sono dichiarati non idonei. Dopo
l’ammissione, i candidati acquisiscono lo statuto di uditori giudiziari e hanno
diritto a una borsa di studio corrispondente al 50% del salario iniziale di un
magistrato portoghese. La formazione iniziale comprende una fase
teorico-pratica e una fase di tirocinio. La fase teorico-pratica, della durata
complessiva di ventidue mesi, è comune a tutti i candidati delle due
magistrature e si svolge in tre cicli:
a. il primo, di sei mesi
e mezzo, nella sede del Centro;
b. il secondo, della
durata di un anno, nei tribunali;
c. il terzo, che si svolgerà
di nuovo nella sede del Centro, ha la durata di tre mesi e mezzo.
I candidati che si sono
classificati al termine di questa fase compiono poi la loro scelta per il
tribunale o la procura. Lungo l’intera formazione, si procede a una valutazione
continua e a una graduatoria finale, che possono condurre o all’esclusione o
alla classificazione. La valutazione e la classificazione sono in conformità
con le attitudini dimostrate rispetto alle esigenze etiche, tecniche e
culturali della funzione. Dopo la formazione della graduatoria, ogni uditore
deve scegliere l’ufficio guidiziario in cui vuole esercitare la professione.
La formazione iniziale
si svolge in certi ambiti giuridici – in particolare, diritto comunitario,
diritto costituzionale, diritto civile e commerciale e diritto processuale
civile, diritto penale, diritto processuale penale, diritto di famiglia e dei
minori, diritto del lavoro e processuale del lavoro, diritto dell’economia,
diritto dell’ambiente e del consumo – nonché in altri ambiti della sfera
giudiziaria: psicologia giudiziaria, sociologia giudiziaria, lingue,
deontologia, medicina legale, comunicazione sociale, ecc. L’obiettivo è la
formazione di magistrati personalmente integri, responsabili, solidali,
tecnicamente competenti, aperti alla cultura e alla vita. I contenuti della
formazione sono tra i più paradigmatici e hanno come scopo l’acquisizione di
una metodologia per affrontare i problemi giudiziari e concreti. Il Centro
studi giudiziari organizza, per la formazione iniziale, corsi facoltativi di
francese, inglese, tedesco. I candidati dichiarati idonei al termine della fase
teorico-pratica sono nominati giudici o sostituti procuratori della Repubblica,
in regime di tirocinio, rispettivamente dal Consiglio superiore della
magistratura e dal Consiglio superiore del pubblico ministero. Esercitano – con
l’assistenza di un magistrato formatore, ma già sotto la propria responsabilità
– le funzioni inerenti alla rispettiva magistratura.
L’apprendistato si
svolge per un anno. Al termine, il tirocinante diventa titolare. Prima di tale
nomina non può essere escluso se non in seguito a decisione emanata dal
Consiglio superiore dal quale dipende, con una procedura disciplinare istituita
in base a informazioni negative, che determinano un’ispezione straordinaria. La
formazione nei tribunali, sia nella fase teorico-pratica, sia in quella di
tirocinio, è accompagnata e indirizzata da magistrati formatori, che sono
magistrati in carica. Questi formatori sono in stretto rapporto con un
direttore regionale per ogni magistratura, incaricato del coordinamento. Per
ogni magistratura vi è inoltre un direttore nazionale che effettua il
coordinamento complessivo in collaborazione con il direttore del Centro.
Durante i due anni successivi alla loro nomina come titolari, i neo-magistrati
dovranno seguire i programmi di formazione complementare, secondo piani
elaborati dai Consigli superiori, in collaborazione con il Centro. Questa
particolare formazione complementare è dunque obbligatoria. Tale formazione,
condotta con la partecipazione dei Consigli superiori, è destinata soprattutto
a riflessioni critiche sui problemi giuridici e istituzionali dell’esercizio
della funzione di magistrato e a studi di approfondimento su temi specialistici
di diritto.
13. Il Judicial Studies Board
del Regno Unito.
Anche in Gran Bretagna,
dove il metodo di reclutamento dei magistrati di carriera – rivolto
esclusivamente a soggetti già dotati di particolari qualificazioni nel campo
forense – potrebbe a tutta prima far pensare ad una situazione in cui non vi
sia necessità di favorire un’attività di formazione permanente, stanno da tempo
moltiplicandosi le iniziative in questo settore [66]. In particolare, la formazione permanente dei Lay magistrates e dei giudici professionisti
è garantita oltre Manica dal Judicial
Studies Board (JSB). Questo Ufficio studi giudiziari è nato nel
1979, quale effetto del c.d. rapporto Bridge, che ha stabilito gli obiettivi
di fondo della formazione giudiziaria: si trattava, secondo quel Rapporto, di
«trasmettere in forma condensata gli insegnamenti che giudici sperimentati
hanno acquisito dalle loro esperienze». Questa è, dunque la vera essenza del JSB.
Tale organismo è costituito, infatti, soprattutto da giudici e gode di un
notevole grado di autonomia rispetto al Ministero d’origine (il Lord Chancellor’s Department, oggi Department
for Constitutional Affairs), dal momento che decide esigenze e natura
della formazione giudiziaria.
Gli obiettivi del JSB
sono i seguenti:
·
fornire
una formazione di elevata qualità a giudici che lavorano a tempo pieno, o a
tempo parziale, in materia di diritto civile, diritto penale e diritto di
famiglia;
·
consigliare
il presidente dell’Alta corte di giustizia sulla politica e i contenuti della
formazione dei magistrati e sull’efficacia con cui i comitati dei tribunali
impartiscono tale formazione;
·
consigliare
il presidente dell’Alta corte di giustizia e i ministeri governativi sulla
politica e i contenuti della formazione dei membri del personale giudiziario;
·
consigliare
il governo sulle richieste di formazione dei magistrati e del personale
giudiziario, sulla necessità di effettuare alcuni cambiamenti a livello del
diritto, della procedura, o dell’organizzazione giudiziaria, e sul contenuto di
tale formazione;
·
promuovere
la collaborazione internazionale nel campo della formazione giudiziaria.
Il JSB lavora,
attualmente con un ufficio principale e sei comitati: il comitato penale, il
comitato civile, il comitato della famiglia, il comitato dei magistrates,
il comitato dei tribunali e il comitato di consulenza sulla parità dei diritti.
I membri dell’ufficio e dei comitati comprendono membri della magistratura di
tutti i livelli: capi di corti, giudici, funzionari del ministero degli Interni
e del ministero della Giustizia. Direttore degli studi è un giudice in distacco
presso il JSB. Il lavoro del comitato è completato dalle pubblicazioni
del JSB, che rappresentano un importante aspetto dell’attività
dell’istituto. Attualmente, le pubblicazioni sono
le seguenti: i Bench Books, gli Equal Treatments Bench Books, un Handbook on Ethnic Minority Issues, le JSB Guidelines for the Assessment of General
Damages in Personal Injury Cases e il JSB
Journal. Si
tratta in genere di opere scritte da membri della magistratura, su richiesta
del JSB.
L’Ufficio studi
giudiziari è un’organizzazione indipendente, controllata da un comitato i cui
membri sono nominati dal Lord Chief
Justice. Il comitato (nonché i suoi comitati subalterni) è principalmente
composto di rappresentanti del potere giudiziario nell’accezione più ampia
(giudici della Court of Appeal, dell’High Court, della Crown Court, delle County
Courts, dei magistrati di corti e tribunali), ma comprende anche
rappresentanti dell’ambiente universitario e dei ministeri della Giustizia e
degli Interni. Per quanto riguarda la contabilità, è considerato un organismo
pubblico non governativo consultivo; i suoi diritti e i suoi insegnamenti sono
stabiliti da un protocollo d’intesa con il Department
for Constitutional Affairs.
14. Altri istituti e
attività di formazione permanente (Belgio e Spagna; ERA ed EIPA; le attività del Consiglio d’Europa nei
Paesi dell’Europa Centrale e Orientale).
Anche in Belgio gli
obiettivi della formazione permanente vanno oltre l’aggiornamento delle
conoscenze giuridiche, per tendere allo sviluppo di una vera e propria cultura
giudiziaria, approfondendo il mestiere di magistrato sia nello spirito, sia
nella pratica [67]. Quattro grandi temi costituiscono l’oggetto di
questa formazione permanente:
·
le
attività di formazione connesse alla funzione, che comprendono soprattutto
scambi di esperienze professionali;
·
l’accompagnamento
delle riforme legislative;
·
le
iniziative di formazione tematiche;
·
i
corsi di formazione metodologici.
Si organizzano dunque
ogni semestre duecento sessioni o cicli di formazione. Questo sistema è
destinato ad essere ben presto radicalmente modificato dalla approvazione della
legge 31 gennaio 2007, che ha creato l’Institut de formation judiciaire,
che dovrà assicurare la formazione tanto iniziale che continua dei magistrati e
dei cancellieri. Sino alla creazione di tale istituzione i programmi di
formazione venivano elaborati dal Collegio di reclutamento, sulla base di
consultazioni con i magistrati. Ogni ciclo era affidato a un coordinatore, per
lo più un magistrato, incaricato di elaborare in concreto il programma e di scegliere
i partecipanti, privilegiando l’approccio interdisciplinare. Dal 2 agosto 2000,
le competenze del Collegio di reclutamento erano quindi state inglobate in
quelle, amplissime, del Consiglio
superiore della giustizia.
Un’intensa attività di
formazione si svolge anche in Spagna ad opera del Consejo
General del Poder Judicial (CPJ – Consiglio generale del potere
giudiziario), tramite la sua Scuola giudiziaria, che ogni anno organizza
numerose attività di formazione [68]. Al riguardo, va detto che la Scuola
giudiziaria del Consiglio generale del potere giudiziario ha l’incarico di
organizzare i concorsi di reclutamento, la formazione iniziale, complementare e
permanente dei giudici e anche, ma non esclusivamente, la collaborazione
internazionale in materia di formazione dei magistrati. La Scuola giudiziaria è
un organo tecnico superiore del Consiglio generale del potere giudiziario. In
quanto organo costituzionale, il Consiglio generale del potere giudiziario ha
ricevuto, con la legge organica n. 16 dell’8 novembre 1994, la responsabilità
in materia di selezione e formazione dei giudici e dei magistrati. La sede
della direzione della Scuola e della formazione iniziale è a Barcellona. La
scuola ha anche una sede a Madrid per la formazione permanente.
Nel quadro dell’attività
di formazione, la scuola forma oltre tremilacinquecento magistrati per quanto
riguarda la formazione permanente. Presso questa scuola vengono formati anche
molti magistrati latinoamericani, per un periodo di tre settimane, di tre mesi,
o di un intero anno. L’obiettivo della formazione permanente è soprattutto
quello di seguire gli sviluppi legislativi e giurisprudenziali, ad esempio
l’ammodernamento dell’istituzione giudiziaria. Ogni magistrato può partecipare
annualmente a tre attività di formazione permanente a livello nazionale e ad
altre a livello decentrato. Il programma di formazione permanente comporta
circa duecento attività differenti: si tratti di tirocini presso istituzioni o
imprese, o di seminari di riflessione e approfondimento delle pratiche
professionali
Venendo ora a dire,
invece, degli istituti internazionali che, a livello europeo, svolgono un ruolo
determinante nella formazione dei magistrati, andranno menzionati l’Accademia
europea di diritto (Europäische
Rechtsakademie – ERA) di Treviri [69], nonché l’Istituto europeo della pubblica
amministrazione (EIPA) [70]. Quest’ultimo, fondato nel 1981, rappresenta
un’istituzione di carattere europeo che sostiene le amministrazioni nazionali e
le istituzioni comunitarie nei loro compiti e nelle loro responsabilità in
materia di integrazione europea, con sede a Bruxelles e a Lussemburgo (dove è
insediato il Centro europeo della magistratura e delle professioni).
Infine, sarà opportuno fare
un cenno all’impressionante attività che il Consiglio
d’Europa (in particolare la Direzione per la Cooperazione
giuridica), svolge, dalla caduta del muro di Berlino, nei Paesi dell’Europa
Centrale e Orientale, nel quadro di svariati programmi di cooperazione ed
assistenza, volti a organizzare conferenze e seminari per sensibilizzare gli
operatori locali sui temi della giustizia, a fornire consulenza ed assistenza
nella redazione di leggi sullo statuto della magistratura e ad assistere
governi e parlamenti nella creazione di Scuole ed Accademie della magistratura [71].
L’ORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE DELLA
FORMAZIONE DEI MAGISTRATI: TRA LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO E TUTELA
DELL’INDIPENDENZA
«Ignorantia iudicis plerumque est calamitas innocentis».
(Sant’Agostino, De
civitate Dei, l. XIX, [VI]).
Sommario:
15. L’organizzazione
istituzionale della formazione dei magistrati: tra libertà di insegnamento e
tutela dell’indipendenza; il caso italiano, anche alla luce di alcuni remoti
d.d.l.
La riflessione che si
sta conducendo [72] sui testi che regolano a livello internazionale
il tema della formazione consente di approdare, rispetto al punto cruciale
dell’organizzazione istituzionale della formazione, ai seguenti risultati:
a. la formazione è
concepita oggi sempre più come oggetto di un diritto nei confronti dello Stato;
b. tuttavia, essa costituisce
altresì l’oggetto di un dovere (per lo meno sotto il profilo deontologico) di
ogni singolo magistrato;
c. essa è strettamente
connessa all’indipendenza del potere giudiziario.
Questi tre principi ci
possono aiutare a rispondere alla domanda su chi debba essere il soggetto
responsabile della formazione. Per affrontare questo argomento, tuttavia,
bisogna ancora tenere presente un altro punto.
Che cos’è la formazione
e, soprattutto, che cos’è la formazione dei magistrati? Nel suo Rapporto al
parlamento italiano sullo stato della giustizia per l’anno 1994, il Consiglio
superiore della magistratura italiano ha definito la formazione una
«comunicazione organizzata delle conoscenze tecniche, pratiche e deontologiche
che si aggiungono alle conoscenze fornite dall’esperienza della propria
professione; questa trasmissione di conoscenze si realizza in modo programmato
e sistematico tramite la struttura in cui agisce l’operatore». Ciò vuol dire
che la formazione è, in primo luogo, insegnamento. Essa, tuttavia, è anche
molto di più di questo, poiché non si limita alla comunicazione di conoscenze
teoriche (il «sapere»), ma tende anche a condividere un insieme di informazioni
operative (il «saper fare») e a presentare modelli di comportamento (il «saper
essere»). Se tutto questo è vero, allora non si vede perché mai la formazione
dei magistrati dovrebbe essere esente dal rispetto della libertà di
insegnamento, un principio del resto ben noto alla Costituzione italiana [73], come pure alle leggi
fondamentali di altri Paesi europei [74]. Indipendenza della magistratura e libertà di
insegnamento: ecco i due pilastri della formazione dei magistrati.
Se si accettano questi
due postulati, la risposta all’interrogativo relativo all’individuazione del
soggetto responsabile della formazione non può che essere questa: l’organismo
che ha il compito di formare i magistrati deve essere non solo indipendente dai
poteri dello Stato (ed in particolar modo dal Ministero della giustizia), ma
deve essere pure dotato di un considerevole grado di autonomia nei confronti
dell’istituzione responsabile della amministrazione del potere giudiziario
(naturalmente in quei sistemi dove questo organo esiste, e soprattutto in
Italia) [75].
Perché occorre
rivendicare per i centri di formazione dei magistrati una libertà d’azione non
solo rispetto al Ministero della giustizia, ma anche al Consiglio superiore
della magistratura? Tutti sanno che quando si parla di indipendenza dei
magistrati si intende sottolineare, da un lato, l’assenza di un rapporto di
subordinazione agli altri poteri dello Stato (indipendenza «esterna»), ma
anche, dall’altro lato, l’assenza di legami di dipendenza gerarchica
all’interno stesso del corpo giudiziario (indipendenza «interna») [76], dunque anche rispetto
al Consiglio superiore della magistratura.
Potrebbe, del resto,
essere interessante notare come un richiamo al principio di libertà
d’insegnamento sia contenuto anche nella relazione al progetto di legge n.
2018/XII che recava il titolo «Istituzione di un Centro superiore di studi giuridici
per la formazione dei magistrati, o “Scuola della magistratura”», presentato al
parlamento italiano nel 1995, nel corso della XII legislatura, e che venne
successivamente abbandonato [77]. In questo testo, il riferimento all’art. 33
della Costituzione italiana è collegato ad altri principi della nostra legge
fondamentale per quanto riguarda l’indipendenza del potere giudiziario (art.
104), le prerogative del C.S.M. (art. 105) e le competenze del ministero della
Giustizia (art. 110). Ci si potrebbe dunque ispirare a quel progetto di legge –
purtroppo lasciato cadere dal governo e dal parlamento – per cercare di capire
quali possano essere, da un punto di vista astratto [78], nel quadro
istituzionale italiano, i rapporti di un Centro autonomo di formazione dei
magistrati italiani con il Guardasigilli, da un lato, e con il C.S.M.,
dall’altro.
La risposta è piuttosto
semplice per quanto riguarda il primo dei due soggetti. L’art. 110 della Costituzione
italiana limita le competenze del Ministro alla «organizzazione» e al
«funzionamento dei servizi relativi alla giustizia». Nel citato progetto di
legge la soluzione era stata trovata attribuendo ai due rappresentanti del
Ministro un seggio in seno, rispettivamente, al Consiglio scientifico e a
quello di amministrazione della Scuola (artt. 8 e 10). Il ministero, da parte
sua, avrebbe dovuto fornire una dotazione economica annua (art. 1) e
selezionare il personale amministrativo componente la segreteria della Scuola
(art. 17).
La questione dei
rapporti con il C.S.M. sembra, invece, più delicata. L’organismo è stato, come
noto, per diversi decenni l’unico centro di formazione iniziale e permanente
per la magistratura italiana. Si è cercato di contestare tale competenza,
facendo osservare che l’art. 105 della Costituzione italiana non prevede la
formazione fra i compiti che gli sono attribuiti. Invece, per quanto attiene
quanto meno alla normativa anteriore al 2005, numerose disposizioni ci permettono
di concludere che è sempre stato il C.S.M. e non certo il Ministro a possedere
tale tipo di competenza. Così, per esempio, la legge ha attribuito
esplicitamente al Consiglio superiore la competenza in materia di formazione
degli uditori giudiziari [79], nonché dei magistrati minorili [80] e dei giudici di pace [81]. Infine, l’art. 11
della legge 13 febbraio 2001, n. 48 affidava esplicitamente al C.S.M.
l’organizzazione dei corsi di formazione degli uditori giudiziari, per i quali
avesse deciso di ridurre il periodo di tirocinio ordinario da diciotto a dodici
mesi. Nel sistema anteriore all’istituzione della Scuola superiore della
magistratura era dunque inevitabile che il legislatore commettesse tali compiti
al C.S.M., peraltro riconoscendo espressamente (cfr. l’art. 11 appena citato)
che tale compito era affidato all’organo di governo autonomo della magistratura
«fino alla istituzione della scuola della magistratura», dischiudendo con ciò
una prospettiva fino ad allora del tutto inattesa nello scenario della politica
istituzionale e giudiziaria italiana.
In definitiva, di fronte
al quadro costituzionale e normativo delineato, la soluzione teoricamente
ottimale, rispettosa dei principi costituzionali di autonomia e indipendenza
della magistratura e di libertà di insegnamento, consiste in una forte
presenza, nel comitato posto alla testa dell’istituto di formazione (così come
nell’eventuale comitato scientifico, o di gestione), di magistrati designati
dall’organo di autogoverno, consentendo in tal modo a quest’ultimo di
assicurare indirettamente l’orientamento ed il controllo generale sulle
attività didattiche (senza peraltro intervenire direttamente sulla gestione
quotidiana), facendo altresì salva la possibilità di trasmettere in seno agli
organi preposti alla preparazione dell’offerta formativa la «voce della base»,
cioè la presentazione, da parte dei rappresentanti dei diretti interessati, di
quali siano le più impellenti necessità formative.
Ancora una volta mi
sembra che il citato disegno di legge n. 2018/XII ponesse le basi per una
soluzione ragionevole ed equilibrata del problema. Il testo attribuiva infatti
al C.S.M. i poteri seguenti:
a)
enunciare
annualmente gli indirizzi e le direttive didattico-scientifiche relativi
all’attività di formazione (artt. 3 e 14);
b)
essere
rappresentato da tre dei suoi componenti (di cui due togati) in seno al
consiglio scientifico della Scuola (art. 8);
c)
nominare
i tre magistrati membri del medesimo consiglio scientifico (art. 8);
d)
nominare
il direttore della Scuola (art. 12);
e)
nominare
il vice-direttore, direttore della sezione di tirocinio per la formazione
iniziale (art. 13);
f)
nominare
gli otto magistrati per ciascuna delle due sezioni (formazione iniziale e
formazione permanente) membri di ciascuno dei rispettivi comitati di gestione
(artt. 13 e 14).
La Scuola era pertanto,
nel ricordato progetto, un établissement public, dotato di mezzi
finanziari provenienti dal Ministero della giustizia, secondo quanto previsto
dalla legge. Essa aveva al proprio vertice un consiglio scientifico presieduto
dal direttore e composto dal vice-direttore, tre membri del C.S.M., due
magistrati della decidente e uno della requirente scelti dal C.S.M., due
professori universitari, due avvocati ed un rappresentante del Ministero. La
Scuola comprendeva due sezioni: una per la formazione iniziale e l’altra per
quella permanente. Ciascuna di queste due sezioni avrebbe dovuto essere dotata
di un Comitato di gestione, composto dal direttore di sezione e da cinque
magistrati scelti dal C.S.M. e temporaneamente distaccati presso la Scuola.
Infine, un consiglio d’amministrazione si occupava esclusivamente della
gestione economica della struttura. Nel progetto precitato la Scuola non
avrebbe disposto d’un corpo docente permanente, ma avrebbe fatto ricorso per
ogni attività di formazione a specialisti tratti di volta in volta dalle
discipline più varie: dalle varie branche del diritto alla medicina, dalla
ragioneria all’economia, dalla psicologia alla sociologia, ecc.
16. La formazione iniziale
dei magistrati in Italia prima della istituzione della Scuola superiore della
magistratura.
Quando ci si occupa
delle specificità della formazione dei magistrati, si nota innanzitutto che
occorre oggi fare – un po’ ovunque, nel mondo – una distinzione molto netta tra
formazione iniziale e formazione permanente. Per quanto riguarda la prima, ci
si accorge che, nella maggior parte dei Paesi che accolgono il modello
«burocratico», il reclutamento tramite il concorso ha conosciuto importanti
trasformazioni, pur essendo diversi i «correttivi» introdotti. In primo luogo,
l’accesso laterale alla magistratura, come possibilità di approccio ad un corpo
relativamente «chiuso», rappresenta uno di questi correttivi in Paesi quali la
Francia, il Belgio o i Paesi Bassi, come pure nei sistemi di common law (dove il reclutamento dei
giudici è effettuato esclusivamente fra gli avvocati che possano comprovare un
determinato numero di anni di pratica).
Il sistema italiano,
invece, si è finora rifiutato di utilizzare le esperienze professionali che si
formano esternamente all’organizzazione giudiziaria [82].
In secondo luogo, le
istituzioni incaricate della formazione dei futuri giudici e magistrati della
procura si sono ormai diffuse nel mondo. Si tratti di una scuola ad hoc, come in Francia, in Spagna, in Portogallo
o nei Paesi Bassi, o in svariati Paesi dell’Europa centrale e orientale, o di
un servizio preparatorio, come in Germania, la tendenza molto chiara è quella a
fornire ai magistrati una preparazione professionale adeguata ad affrontare la
crescita e la trasformazione dei compiti che essi devono assolvere. In Italia,
il concorso d’accesso non è stato – almeno fino ad ora – preceduto né seguito
da alcuna formazione gestita da una istituzione specializzata, costituita ad hoc, e autonoma (anche se sono particolarmente
notevoli gli sforzi fatti dal C.S.M. in questa direzione). Si tratta di una
mancanza deplorevole, di cui ho già parlato in altra sede [83]. La preparazione
professionale dei giovani magistrati italiani è dunque stata affidata nel corso
di svariati decenni al Consiglio superiore della magistratura; essa si è sempre
svolta prevalentemente on the job,
vale a dire sotto la sorveglianza e la guida dei magistrati più anziani.
Sino all’approvazione
del d.lgs. n. 26 del 2006 ed alla successiva entrata in vigore della l. 30
luglio 2007, n. 111, la formazione professionale iniziale dei magistrati
italiani, curata direttamente dal C.S.M., si articolava, come noto,
principalmente in due fasi:
·
il
tirocinio «ordinario» (detto anche «generico»), consistente nella rotazione tra
vari uffici giudiziari e
·
il
tirocinio «mirato», destinato a dare una preparazione specifica all’esercizio
delle funzioni che saranno oggetto della prima assegnazione dell’uditore, una
volta immesso nell’esercizio delle funzioni giudiziarie.
La formazione aveva
dunque luogo on the job, mediante inserimento dei vincitori del concorso
nella struttura giudiziaria, senza responsabilità dirette, ma sotto il
controllo di magistrati a vario titolo coinvolti nell’attività formativa.
Purtroppo va subito detto che sovente, particolarmente in talune grandi sedi,
la presenza di un numero eccessivo di uditori giudiziari comprometteva la
possibilità di un’accurata attività formativa durante lo stage. Un altro
problema era rappresentato dalla difficoltà, a fronte del tempo eccessivamente
limitato di durata della formazione, di integrare le scarse nozioni – sia
pratiche che teoriche – fornite dagli studi universitari. A tal fine il C.S.M.
organizzava, tanto durante il tirocinio ordinario che durante quello mirato,
dei corsi a Roma specialmente destinati a fornire agli uditori quel bagaglio
non solo di informazioni, ma anche di esperienze, nei campi usualmente poco
conosciuti dai giovani magistrati; tra queste iniziative si segnalava, in
particolare, l’organizzazione, negli ultimi anni [84], di veri e propri processi simulati, cui gli
uditori partecipavano assumendo di volta in volta «ruoli» diversi.
Tutta la materia era
quindi stata riorganizzata dal d.p.r. 17 luglio 1998 [85] e dalla successiva
circolare del C.S.M. in data 30 luglio 1999, che avevano fissato in 18 mesi la
durata minima del periodo di tirocinio (di cui 13 mesi di tirocinio «ordinario»
e 5 di tirocinio «mirato»), precisando le regole e le competenze del C.S.M.,
così come dei Consigli giudiziari e delle commissioni uditori costituite a
livello dei distretti di corte d’appello. Occorrerà però aggiungere che l’art.
Il sistema in vigore
sino alle riforme degli anni 2006 e 2007 prevedeva, per la formazione di ogni
uditore, l’intervento di un numero consistente (e, a sommesso avviso dello
scrivente, veramente eccessivo) di soggetti, definibili come gli «organi della
formazione iniziale». Si trattava, più esattamente (andando, per così dire, dal
«basso» verso l’«alto»):
·
dei
magistrati affidatari: il loro
compito era quello di seguire l’uditore per un periodo assai limitato (di
solito inferiore al mese, per il tirocinio ordinario, mentre l’affidatario era
tendenzialmente unico per tutto il periodo del tirocinio mirato), facendo
partecipare l’ «allievo» a tutte le sue attività giudiziarie, spiegandogli in
che cosa consista il lavoro presso l’ufficio giudiziario relativo, affidandogli
la stesura della bozza di provvedimenti giudiziari e, infine, redigendo un
parere motivato sul periodo di affidamento (art. 11, d.p.r. 17 luglio 1998);
·
dei
magistrati collaboratori (dei Consigli
giudiziari): nominati dal C.S.M. su proposta dei Consigli giudiziari in
numero di due (uno per il civile e l’altro per il penale) per ogni Corte
d’appello e per ogni gruppo d’uditori (composto di regola di non più di cinque
elementi); il loro compito era quello di controllare l’esecuzione del programma
previsto per ogni scaglione di uditori e di stendere un parere finale sulla
base dei pareri formulati dai vari magistrati affidatari; tali magistrati
costituivano le principali figure di riferimento per gli uditori, in quanto
rappresentavano l’unico referente continuativo nell’attività di formazione per
tutto il periodo del tirocinio (cfr. art. 10, d.p.r. 17 luglio 1998);
·
dei
magistrati collaboratori degli uditori
con funzioni: si trattava qui di magistrati tenuti a svolgere una sorta di
attività di «tutoraggio» per i giovani colleghi che avevano appena ricevuto le
funzioni giudiziarie (si noti peraltro che tali «collaboratori» dovevano anche
trasmettere al Consiglio giudiziario un parere sull’attività prestata dagli
uditori in questione); ogni uditore con funzioni era seguito da due magistrati
collaboratori, ciascuno dei quali aveva il compito di seguire l’attività di non
più di tre uditori giudiziari con funzioni (cfr. art. 15, d.p.r. 17 luglio
1998);
·
delle
Commissioni distrettuali per gli uditori
giudiziari: si trattava di organi composti da tre magistrati scelti dal
Consiglio giudiziario tra i propri membri, nonché dai magistrati
«collaboratori»; la commissione sottoponeva al Consiglio giudiziario delle
proposte per l’organizzazione e il coordinamento dello stage e
controllava l’attuazione di questo, organizzando incontri con i magistrati
«affidatari» e con gli uditori; essa organizzava pure la formazione iniziale a
livello locale (art. 9, d.p.r. 17 luglio 1998);
·
dei
Consigli giudiziari: il loro compito
in questo campo era quello di coordinare la formazione iniziale a livello
locale, realizzando le direttive emanate dal C.S.M., nominando i magistrati
«collaboratori» ed approvando il piano di stage previsto per ogni
uditore, così come il programma generale per le attività di formazione sul
piano locale; essi inviavano poi tali proposte al C.S.M. per l’approvazione
definitiva; i Consigli giudiziari formavano per ogni uditore un fascicolo
personale e redigevano i pareri per la valutazione di idoneità ad esercitare le
funzioni giudiziarie; essi proponevano altresì l’eventuale prolungamento dello stage
per gli uditori non idonei e redigevano i pareri a conclusione del primo anno di
esercizio delle funzioni (cfr. artt. 7, 10, 12, 14, 15 d.p.r. 17 luglio 1998);
·
del
Comitato scientifico presso la Nona
Commissione del C.S.M.: in questa sede tale comitato [86] agiva quale
organizzatore delle attività di formazione a livello centrale, organizzando i
corsi che si svolgevano a Roma per tutti gli uditori;
·
della
Nona Commissione (Tirocinio e Formazione
Professionale) presso il C.S.M.: tale articolazione dell’organo di
autogoverno era responsabile del controllo di tutte le iniziative formative dei
magistrati; come tutte le commissioni del C.S.M., essa si limitava però a
formulare ed approvare delle proposte da sottoporre per l’approvazione al plenum
del Consiglio;
·
del
plenum del C.S.M. All’organo di autogoverno spettava la competenza generale in
materia di formazione, secondo la disciplina prevista dal regolamento del
tirocinio. Stabiliva al riguardo l’art. 1 del d.p.r. 17 luglio 1998 che il
C.S.M. «dirige, organizza, coordina e controlla il tirocinio degli uditori
giudiziari avvalendosi dei Consigli giudiziari, delle Commissioni distrettuali
per gli uditori giudiziari previste dall’articolo 9, dei magistrati
collaboratori previsti dall’articolo 10, dei magistrati affidatari previsti
dall’articolo 11 e del Comitato scientifico previsto dall’articolo 29, comma 3,
del regolamento interno del Consiglio superiore della magistratura»; oltre alle
generali competenze di coordinamento (artt. 3, comma 2, e 12, commi 4 e 5,
d.p.r. 17 luglio 1998), al C.S.M. erano attribuite quelle relative a:
-
fissazione
della durata del tirocinio (art. 3, d.p.r. 17 luglio 1998);
-
fissazione
e modificazione (nel secondo caso su proposta e/o parere del Consiglio
giudiziario) della sede del tirocinio (art. 2, commi 1 e
-
approvazione
della nomina dei magistrati collaboratori designati dai Consigli giudiziari
(art. 8, d.p.r. 17 luglio 1998);
-
organizzazione
in sede nazionale, avvalendosi del comitato scientifico e secondo le procedure
previste, di incontri di studio e altre iniziative formative rivolte agli
uditori nel corso del tirocinio ordinario e di quello mirato (art. 12, d.p.r.
17 luglio 1998);
-
organizzazione
di incontri di studio sulla formazione professionale degli uditori (art. 13,
d.p.r. 17 luglio 1998);
-
valutazioni
di idoneità all’esercizio delle funzioni giudiziarie e individuazione degli
uffici di destinazione (art. 14, d.p.r. 17 luglio 1998).
Il decreto del 1998
obbligava inoltre ogni uditore a tenere un «quaderno del tirocinio» (art. 6,
d.p.r. 17 luglio 1998), sul quale andavano registrate le tappe del percorso
formativo: invero, si stabiliva che in esso l’uditore dovesse «con cadenza
almeno settimanale, annota(re) le attività svolte e quelle alle quali ha
partecipato o assistito, formulando le proprie eventuali osservazioni ed
indicando ogni altro elemento utile a dar conto dell’esperienza formativa in
corso». Il magistrato affidatario doveva quindi vistare le annotazioni
dell’uditore, per conferma, ed aggiungervi le proprie eventuali osservazioni.
Al termine del periodo di tirocinio il quaderno andava consegnato ai magistrati
collaboratori. L’uditore doveva anche aggiungervi una relazione complessiva sul
tirocinio svolto, oltre (art. 7, d.p.r. 17 luglio 1998) ad una copia di tutti i
provvedimenti redatti dall’uditore, con le modifiche ad essi eventualmente
apportate dai magistrati affidatari, le autorelazioni (art. 6, comma 3, d.p.r.
17 luglio 1998) e gli elaborati scritti dell’uditore.
Nell’imminenza della
conclusione del tirocinio ordinario il Consiglio giudiziario riceveva la
relazione redatta dai magistrati collaboratori su ogni uditore e, su proposta
della Commissione distrettuale, emetteva il suo parere sull’idoneità
dell’uditore all’esercizio delle funzioni giudiziarie. La relazione ed il
parere erano comunicati all’uditore, che poteva formulare le proprie
osservazioni, da inserire nel dossier. I fascicoli venivano quindi
trasmessi al C.S.M. La Nona Commissione del C.S.M. verificava allora – sulla
base dei rapporti, dei pareri e dei documenti inseriti nei fascicoli degli
uditori – quale giudizio andava emesso sulle attitudini dei vari uditori in
questione. La Commissione poteva anche proporre al Consiglio di obbligare
l’uditore a ripetere il periodo di tirocinio ordinario o di prolungarlo per un
periodo non superiore ai diciotto mesi. Se al termine di tale periodo di stage
il C.S.M. avesse espresso un giudizio di inidoneità all’esercizio delle
funzioni giurisdizionali, il Consiglio, su proposta della commissione
competente, avrebbe dovuto disporre la cessazione dell’uditore dal servizio
(cfr. art. 14, d.p.r. 17 luglio 1998).
Una volta che l’uditore
aveva completato positivamente il tirocinio ordinario, il C.S.M., su proposta
della Nona Commissione, deliberava a quale ufficio ogni singolo uditore era
assegnato. A tal fine gli uditori erano chiamati a Roma per la scelta
dell’ufficio di prima destinazione, da operarsi sulla base di una lista redatta
dal C.S.M., avuto riguardo alla collocazione dell’uditore in seno alla
graduatoria finale del concorso. Una volta effettuata la scelta, ogni uditore
iniziava il periodo «mirato» in un ufficio giudiziario (determinato in base
all’art. 2, d.p.r. 17 luglio 1998) nel quale si esercitavano funzioni
corrispondenti a quelle proprie dell’ufficio di destinazione. La valutazione
attitudinale dell’uditore era ripetuta nell’imminenza della conclusione del
tirocinio «mirato». Nel caso di valutazione positiva il Consiglio conferiva
all’uditore l’esercizio delle funzioni giudiziarie. In caso contrario il C.S.M.
poteva decidere che il tirocinio fosse proseguito per uno o più periodi, sino a
raggiungere una durata che complessivamente non poteva superare i 36 mesi. Nel
caso di giudizio negativo il Consiglio, sempre su proposta della Nona
Commissione, disponeva la cessazione dell’uditore dal servizio (cfr. art. 14,
d.p.r. 17 luglio 1998).
Volendo esprimere una
valutazione del sistema che si è appena sommariamente descritto, va innanzi
tutto rimarcato che il tempo dedicato alla formazione, al di là dell’impegno
individuale nello studio, non sembrava sufficiente, neppure supponendo che il
C.S.M. non s’avvalesse della facoltà di ridurre la durata del tirocinio. In
effetti, gli uditori erano obbligati a frequentare i corsi organizzati dai
Consigli giudiziari presso le varie corti d’appello, così come quelli
organizzati a Roma dal C.S.M. Peraltro, a parte gli «incontri romani», la
situazione a livello locale era tutt’altro che omogenea. A ciò s’aggiungeva
che, accanto al tirocinio presso gli uffici giudiziari, non era prevista alcuna
forma di stage né presso studi professionali, né presso imprese, né
presso pubbliche amministrazioni (tanto meno all’estero!). Nessuna reale
selezione veniva compiuta nel corso di questo troppo breve periodo, a dispetto
d’un sistema inutilmente barocco e frammentario, nelle mani di un numero
veramente eccessivo d’attori, al punto da richiamare alla mente il noto
proverbio inglese secondo cui too many
cooks spoil the broth. In effetti, salvo casi assolutamente eccezionali, le
valutazioni attitudinali redatte dai magistrati responsabili della formazione e
dai Consigli giudiziari erano sempre positive e gli uditori erano senz’altro
ammessi a esercitare le funzioni giurisdizionali [87].
17. La formazione continua
dei magistrati in Italia prima della istituzione della Scuola superiore della
magistratura. La formazione decentrata.
Per quanto riguarda la
formazione continua (o permanente), va detto innanzitutto che si tratta di un
argomento cui l’autore di questo studio tiene in modo del tutto particolare,
essendosi impegnato in questa attività per tre anni, nel momento in cui il
C.S.M. iniziò – partendo praticamente da zero – a organizzare in modo
sistematico la formazione dei magistrati italiani [88]. Si tratta di un tema di cui non si può parlare
se non con amarezza, visto che l’Italia ha perso l’occasione di dotarsi
(perlomeno per il settore della formazione permanente), sin dal 1993, di una
scuola della magistratura del genere di quella costituita dall’ENM francese.
In primo luogo, va detto
che, nel 1973, era stato avviato un sistema molto rudimentale di formazione
permanente per i magistrati, organizzato dal Consiglio superiore della
magistratura. A partire da quell’anno, e negli anni successivi, il C.S.M. aveva
istituito dei corsi nella forma di «seminari di formazione» (in media, una
decina ogni anno), dedicati a materie specifiche: tecniche di indagine in
materia penale, diritto minorile, diritto del lavoro, procedura civile, diritto
di famiglia, ecc. Il 23 settembre 1993, il Ministro della Giustizia e il
vicepresidente del C.S.M. siglavano una convenzione, sulla cui base si
istituiva a titolo sperimentale una «Struttura di Formazione professionale dei
magistrati». Alla testa dell’organismo vi era un comitato scientifico, composto
da tre membri del C.S.M., tre magistrati del ministero, tre magistrati
impiegati a tempo pieno presso il C.S.M. (tra cui chi scrive) e cinque
magistrati che lavoravano a tempo parziale per questa struttura. La formazione
erogata dalla struttura non era obbligatoria per i magistrati; ma va anche
aggiunto che, in alcuni casi particolari, il C.S.M. aveva deciso che il fatto
di avere seguito dei corsi di formazione avrebbe costituito un titolo
preferenziale per l’ottenimento di determinate funzioni. La summenzionata
convenzione prevedeva l’organizzazione, per ogni anno, di cinquanta corsi di
una settimana., ciascuno dei quali riservato a un centinaio circa di
magistrati: ciò significa che, ogni anno, 5.000 magistrati (su un totale di
8.400, all’epoca) potevano essere coinvolti in un’attività di formazione.
Benché la preparazione iniziale dei futuri magistrati non fosse indicata fra i
suoi compiti, la «Scuola» avrebbe potuto diventare, in futuro, uno strumento
istituzionale in grado di colmare il vuoto allora esistente tra la conclusione
degli studi universitari e l’accesso alla magistratura.
Purtroppo, dopo circa
nove mesi di attività, e dopo che l’autore di questo studio aveva avuto l’onore
e il privilegio di essere nominato direttore di questa prima Scuola della
magistratura italiana, la convenzione venne annullata dalla Corte dei conti,
sulla base del pretesto (un vero e proprio assioma indimostrato) che una
struttura del genere si sarebbe potuta istituire soltanto per legge e non in
base a una convenzione amministrativa (soprattutto tra il C.S.M. e il
Ministero). All’epoca, la struttura aveva già organizzato una quarantina di
settimane di corsi di formazione specializzati nei campi più disparati, con la
partecipazione non solo di magistrati, ma anche di docenti universitari, di
avvocati, di notai, di esperti, di psicologi, di sociologi, di giornalisti,
ecc. In seguito a questa malaugurata decisione, il C.S.M. decise comunque di
proseguire l’attività di formazione avviata dalla struttura e di organizzare
per ogni anno successivo una quarantina di corsi di formazione, secondo lo
stesso schema di quello dell’anno 1994. Per organizzare tale attività di
formazione il C.S.M. si rivolse, per i primi anni, allo stesso gruppo di
magistrati che avevano composto il Comitato scientifico della struttura
demolita dalla Corte dei conti.
Per proseguire il lavoro
avviato dalla struttura per la formazione dei magistrati, il Consiglio
superiore decise, in data 9 luglio 1996, la creazione di una Commissione ad hoc: per l’esattezza, la nona
commissione (Commissione per il tirocinio e la formazione professionale), cui
spetta il compito di elaborare proposte relative agli ambiti della formazione
iniziale e permanente dei magistrati e ai concorsi per il reclutamento (cfr.
art. 29 del Regolamento interno del C.S.M.). Il Comitato scientifico presso la
commissione ricevette così l’incarico di collaborare con la commissione stessa
per quanto riguarda la creazione dei programmi annuali di formazione,
l’organizzazione delle attività, la loro animazione, la scelta dei relatori, i
metodi di insegnamento, la direzione dei dibattiti, l’elaborazione di documenti
di valutazione dei risultati degli incontri e la presentazione di proposte per
le future iniziative in materia. Il Comitato è ora composto di sedici membri,
dodici dei quali magistrati (che lavorano a tempo parziale per la formazione) e
quattro docenti universitari (anch’essi impegnati part-time nella
formazione), cui si aggiungono un magistrato dell’Ufficio studi del Consiglio
superiore e due magistrati segretari del C.S.M.
L’attività svolta in questi
ultimi anni dal Comitato è notevole [89]. Per fare conoscere
tali iniziative ai magistrati, il Consiglio pubblica ogni anno un opuscolo, in
cui si presentano brevemente le attività, raggruppate per argomento. Ogni
magistrato può scegliere fino a quattro corsi, in un intervallo di tempo
stabilito dal C.S.M. Gli argomenti affrontati sono dei più vari; rientrano
soprattutto nei campi del diritto comunitario, internazionale e comparato,
dell’ordinamento giudiziario, del diritto civile, del diritto commerciale, del
diritto del lavoro, del diritto di famiglia e dei minori, del diritto
dell’informatica, di quello penale, della procedura civile, della procedura
penale, ecc. Per citare soltanto alcuni dei titoli dei seminari di formazione
organizzati negli ultimi anni, si possono menzionare le iniziative sui seguenti
temi: «I sistemi giudiziari dei Paesi membri dell’Unione Europea»,
«L’accelerazione del contenzioso civile, la soluzione delle liti di minor
valore (small claims) e il ruolo dei
giudici onorari», «Acquisizione e valutazione della prova nei sistemi dei Paesi
dell’Unione Europea» (organizzato nel quadro del programma Grotius dell’Unione
Europea), e ancora «La formazione dei formatori», «La discrezionalità del
giudice», «Interposizione e simulazione nei contratti», «Il contenzioso con le
banche», «Le misure cautelari in procedura civile», «Il giudice e la gestione
delle imprese», «I bilanci delle società», «Libertà di manifestazione del
pensiero e protezione degli individui», «Le biotecnologie e il diritto», «La
sicurezza dei lavoratori», «La cooperazione giudiziaria in materia civile e
penale: i problemi del linguaggio giuridico (francese e inglese)», «Il diritto
e l’informatica: gli aspetti giuridici del commercio elettronico», nonché vari
corsi sulle tecniche di indagine penale, ecc. Negli ultimi tempi, il Consiglio
ha dato molto spazio alle attività interdisciplinari, spesso presentate sotto
il titolo «Società e problemi di attualità» [90].
Una «nuova frontiera» della
formazione dei magistrati è appunto quella della formazione decentrata. Al
riguardo, l’assemblea plenaria del Consiglio superiore della magistratura ha
adottato, il 26 novembre 1998, una risoluzione sulla proposta della nona
commissione (competente, come abbiamo detto, in materia di formazione). Scopo
dell’iniziativa – che si è poi concretizzata attraverso la deliberazione del
C.S.M. in data 28 luglio 1999 – è quello di favorire il contatto con le realtà
locali, nonché di sviluppare i rapporti con le università e gli ordini
professionali. Al tempo stesso, si cerca di attirare la partecipazione dei
colleghi che, per motivi di distanza o familiari, si trovano nell’impossibilità
di lasciare la propria città per recarsi a Roma per partecipare a un corso di
formazione del C.S.M. Questa attività non è concepita come una soluzione
alternativa rispetto alla formazione che si svolge a Roma, ma come una forma di
integrazione di quest’ultima.
L’organizzazione di tale
formazione è affidata ai Consigli giudiziari, nonché a una rete di magistrati
delegati alla formazione locale. Questi magistrati sono due, tre, o quattro per
distretto di Corte d’appello, a seconda della consistenza dell’effettivo della
magistratura di ogni giurisdizione; il loro compito è quello di costituire dei
veri e propri traits d’union tra il
C.S.M. e i Consigli giudiziari, per l’organizzazione delle iniziative di
formazione a livello locale, negli ambiti della formazione iniziale, di quella
permanente, nell’aiuto alla formazione individuale, in occasione del
cambiamento di funzione (si parla, in questo caso, di «riconversione»), nonché
nell’ambito della formazione dei giudici di pace e degli altri giudici onorari;
essi devono anche occuparsi dell’organizzazione di iniziative comuni con le
università e le avvocature. I settori interessati al riguardo sono soprattutto
quelli che riguardano le materie «nuove» o meno conosciute dai magistrati, ad
esempio il diritto comunitario, l’informatica giuridica, la contabilità, la
tecnica dei bilanci, la scienza dell’amministrazione, il linguaggio giuridico,
le lingue straniere, ecc.
Tutti i magistrati
delegati alla formazione decentrata si riuniscono regolarmente (di norma una
volta l’anno) in occasione di un corso organizzato dal C.S.M. sul tema
«formazione dei formatori». Il C.S.M. ha organizzato al riguardo una vera e
propria rete di formatori, stabilendo contatti diretti – anche tramite
strumenti informatici – in base a quello che il C.S.M. stesso ha definito un
«modello flessibile di collegialità». Presso ogni Corte d’appello si prevede
anche la creazione di un ufficio per i magistrati incaricati della formazione a
livello locale. Fra le iniziative adottate dai magistrati delegati alla
formazione decentrata si potrà segnalare non solo l’organizzazione di conferenze
a livello dei vari uffici giudiziari locali, ma anche la creazione di una rete
di «pronto soccorso», costituita da magistrati disponibili ad aiutare – tramite
telefono o posta elettronica – tutti i colleghi che desiderino chiedere
informazioni per risolvere problemi particolarmente urgenti che si trovino a
dovere affrontare [91]. Questi magistrati assicurano inoltre un
servizio di informazione sull’esito in Corte d’appello dei giudizi pronunciati
in prima istanza dal tribunale. L’attività organizzata dai responsabili della
formazione a livello locale è resa pubblica tramite un servizio di informazione
periodico sulle iniziative che si svilupperanno nel corso dei seminari nei mesi
a seguire. Dal punto di vista finanziario, tutte queste attività sono normalmente
a carico dei bilanci delle Corti d’appello.
LA SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA ITALIANA:
I PROBLEMI STRUTTURALI
«Vagheggerei ancora un’accademia – pur
essa in una città di provincia – dove i magistrati trascorressero il primo anno
di nomina: sotto la guida di consiglieri o giudici a riposo: addestramento di
giuristi, ma anche (…) raffinamento di abito esteriore, acquisto di
consuetudini sociali»
(A.C. Jemolo, La
magistratura: constatazioni e proposte, in Aa.
Vv., Per l’ordine giudiziario,
Milano, 1946, p. 34).
Sommario:
19. Natura dell’istituto e
destinatari della formazione. La relativa struttura e le sue tre sedi.
20. L’impari rapporto tra
dotazioni e funzioni della struttura.
18. La Scuola superiore
della magistratura nel d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26 e nella l. 30 luglio 2007,
n. 111. Generalità.
Una volta sommariamente
descritta, nei termini di cui sopra, la realtà della formazione iniziale e
continua dei magistrati in Italia sino al varo delle riforme in discorso, non è
difficile comprendere quale impatto devastante abbia sortito la pubblicazione
del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26,
intitolato «Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché
disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari,
aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’art. 1,
comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150» [92]. Il provvedimento normativo, entrato in vigore il 4 maggio 2006, si inseriva nel più
ampio progetto di «normalizzazione» della magistratura intrapreso dal governo e
dal parlamento nel corso della quattordicesima legislatura e sfociato con la
legge delega 25 luglio 2005 n. 150, seguita da una «sventagliata» di otto
decreti delegati [93] (c.d. «riforma
Castelli»), emanati in tutta fretta sul filo del rasoio, allorquando la
predetta legislatura volgeva a conclusione e si temeva (a ben vedere, e per molti
aspetti, errando…) che il nuovo clima politico non avrebbe consentito di
portare a termine un disegno, nel suo complesso, «punitivo» [94] nei riguardi di una
magistratura «colpevole», in buona sostanza, di avere scoperto che le basi del
sistema politico italiano erano (e continuano purtroppo ad essere)
fondamentalmente minate da tarli tanto antichi quanto radicati.
Così, nonostante si fosse (fortunatamente), strada facendo, abbandonata
l’idea di porre la formazione dei magistrati sotto il diretto controllo della
Corte di cassazione [95] e di imporre il concerto del Ministro della giustizia per la nomina, da
parte del C.S.M., della maggior parte dei membri del consiglio direttivo [96], il d.lgs. in oggetto risentiva fortemente di quel clima di ostilità e sospetto
verso il potere giudiziario, a cominciare dal rilievo che nel comitato
direttivo erano chiamati a svolgere tanto le «gerarchie» della magistratura,
che lo stesso Ministro della giustizia, per non dire poi del fatto che il
medesimo testo attribuiva alla Scuola non solo il compito di «formare» ma anche
quello di «valutare», cioè di esprimere valutazioni sulle competenze
professionali del magistrato rilevanti a fini di progressione di carriera, e
che la frequentazione della scuola era obbligatoria per i magistrati che
desiderassero passare dalla funzione giudicante a quella requirente o
viceversa, o solo tra una funzione e l’altra delle quindici previste dalla
legge.
Come già osservato da chi scrive in altra sede [97], la riforma concepita e «perpetrata» nel corso della XIV legislatura
sembrava avere assai poco a che spartire con la formazione, l’aggiornamento o
la qualificazione professionali, posto che la vera funzione della Scuola era
quella d’un «esamificio» o d’un «parerificio», destinato ad effettuare
valutazioni dei magistrati ai fini della progressione nella ripristinanda
carriera. Come non possono tornare qui alla mente le provocatorie proposte di
Rudolph von Jhering, il quale suggeriva di sottoporre periodicamente tutti i
giuristi (teorici e pratici, senza distinzioni!) ad esami reciproci e
«perenni», nel senso che, per un anno, una metà di tutti i giuristi del paese
avrebbe dovuto esaminare l’altra e, l’anno successivo, viceversa, chiosando
l’idea con l’osservazione seguente: «Che spettacolo meraviglioso sarà vedere
tutta la classe dei giuristi impegnata davanti agli occhi del paese (…) in
grandi duelli spirituali! Che afflusso di gente ci sarebbe! E che occasioni si
avrebbero per distinguersi e per eccellere! Forse seguendo l’esempio delle manifestazioni
ginnastiche o (…) riproducendo quello che per i greci erano i giochi olimpici o
che le giostre erano nel Medio Evo, potremmo anche farne una grande festa
nazionale» [98].
Inutili si erano dimostrate le rimostranze del C.S.M., che, in occasione
del parere reso nella seduta del 22 maggio 2003, concernente gli emendamenti
approvati dal Consiglio dei ministri al disegno di legge n. 1296/S (XV
legislatura) recante: «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento
giudiziario e disposizioni in tema di organico della Corte di cassazione e di
conferimento delle funzioni di legittimità» [99], aveva, con più che legittimo orgoglio, rivendicato la sua posizione di
«soggetto con la maggiore e più qualificata esperienza nel campo della
formazione del giurista pratico», rilevando di aver provveduto «da metà degli
anni ’50 alla formazione teorica e pratica degli uditori giudiziari e, fin dai
primi anni ’70 e in modo gradualmente sempre più intenso, dei magistrati con
funzioni». Proprio la complessità dell’azione formativa e l’impegno di uomini e
mezzi che la stessa richiede – così continuava il Consiglio – avevano da tempo
indotto il C.S.M. a ritenere necessaria l’istituzione di una Scuola: già nel
1985 [100] si era affermata l’opportunità di creare, almeno per il tirocinio, «una
struttura stabile e centralizzata che provveda, sotto le direttive della
Commissione Uditori del Consiglio, alla organizzazione e gestione delle fasi
del tirocinio che si svolgono a livello nazionale e al coordinamento delle fasi
distaccate nelle sedi giudiziarie». Nella Relazione al Parlamento sullo stato
della giustizia per l’anno 1991, dedicata al tema della riforma
dell’ordinamento giudiziario, il C.S.M. menzionava poi l’istituenda Scuola,
qualificandola come organo ausiliario del C.S.M., anche se dotato di caratteri
di originalità, dovendo questo godere di un consistente margine di indipendenza
negli confronti degli organi di governo della magistratura, e fra questi
innanzitutto nei confronti del C.S.M., per la specificità delle funzioni esercitate,
tali da essere inquadrate, oltre che in base all’art. 104 anche in base
all’art. 33 Cost. relativo alla libertà di insegnamento [101].
Nella successiva, già ricordata, Relazione al Parlamento per l’anno 1994,
avente ad oggetto proprio i temi del reclutamento e della formazione
professionale, il C.S.M. esplicitava invece l’opzione per una Scuola con una
sua autonomia amministrativa e contabile, con libertà di programmazione e di
gestione e con indipendenza culturale, «ma al tempo stesso come istituzione che
si muove nel quadro di indirizzi enunciati dal C.S.M.», al quale la Scuola
avrebbe dovuto fare capo per l’attuazione e l’approvazione della propria
attività. Con l’ultima Relazione al Parlamento per l’anno 2003, varata ancora
una volta sui temi della formazione professionale, mentre erano in corso i
lavori parlamentari per la legge delega di riforma dell’ordinamento
giudiziario, il C.S.M. era tornato a prospettare in particolare il rischio di
una collocazione della Scuola in posizione di estraneità rispetto al contesto
ordinamentale della magistratura, ed aveva evidenziato la necessità che gli
fosse riconosciuto «un potere generale di indirizzo programmatico, anche al
fine di coordinare l’attività formativa con le proprie ulteriori funzioni di
governo della magistratura, ed un potere di verifica degli indirizzi».
Come rilevato da più voci [102], il d.lgs. n. 26 del 2006 non riservava al C.S.M. alcun tipo di legame
qualificato con la Scuola, che aveva nel suo comitato direttivo il centro
propulsore della programmazione didattica e di verifica dei risultati
conseguiti. Ma, al di là di ciò, il vero momento di criticità consisteva nel
rischio che la preziosa esperienza maturata in almeno tre decenni di formazione
«consiliare» andasse irrimediabilmente perduta. Per usare le espressioni della
relazione al Parlamento del C.S.M. per l’anno 2003, la formazione consiliare si
è spinta ben oltre il mero aggiornamento sugli orientamenti normativi e giurisprudenziali e si è
articolata «sempre più come processo di maturazione e completamento della
professionalità, del saper essere magistrato». Ed è anche vero che tanto è
stato possibile perché il C.S.M. [103] ha, nel complesso,
saputo mettere la formazione al riparo da ogni possibile tentazione di
«indottrinamento» e di impropria influenza gerarchica sugli orientamenti
interpretativi dei magistrati ed ha quindi favorito il consolidarsi di
esperienze diffuse di autoformazione.
Non vi è dubbio poi che
in questa direzione si è rivelata di fondamentale importanza la netta
separazione tra formazione e valutazione, che il C.S.M. ha sempre mantenuto,
non ignorando i pericoli di una contaminazione del percorso formativo con ansie
ed ambizioni di carriera, e ben sapendo che l’immissione della formazione nel
circuito delle valutazioni di professionalità le avrebbe fatto perdere i
caratteri dell’autoformazione, essenziali invece per una reale crescita
culturale della magistratura. Ed è proprio su quest’aspetto che la legge di
riforma del 2005 ed il successivo d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione
originale, segnavano in negativo una grande distanza dalle esperienze
consiliari, ponendosi peraltro in dissonanza con le posizioni maturate anche in
ambito europeo circa i rapporti tra formazione e valutazione [104].
Il
panorama appena descritto è radicalmente mutato per effetto della promulgazione
della l. 30 luglio 2007, n. 111 («Modifiche alle norme sull’ordinamento
giudiziario») [105], sulla base del d.d.l. n. 2900/C, presentato dal Governo alla Camera
dei deputati il 21 marzo 2007 (atto Camera n. 2428), successivamente trasferito al Senato della
Repubblica il 30 marzo 2007 (atto
Senato n. 1447) e da questo ramo
del Parlamento approvato il 13
luglio 2007, con modifiche rispetto alla versione originale [106]
(c.d. «riforma Mastella»). La legge in esame, prima ancora che il d.lgs. n. 26 del 2006
ricevesse concreta attuazione, ha recepito molte delle osservazioni critiche
mosse al riguardo, pur non presentandosi completamente esente da dubbi e
perplessità, che verranno in prosieguo esaminati. La caratteristica più evidente di questo
intervento normativo è data dalla radicale eliminazione di ogni funzione
valutativa da parte della Scuola in merito ai magistrati in servizio, oltre ad
una completa modifica del sistema di formazione iniziale degli uditori
giudiziari, ribattezzati «magistrati ordinari in tirocinio».
Come
chiarito nella relazione d’accompagnamento al d.d.l. n. 1447/S/XV [107], l’attività della
Scuola è stata «ricollocata nell’ambito della formazione iniziale,
complementare e permanente e di quella di riconversione, a seguito del
passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante, e viceversa,
prevedendo altresì una struttura più agile per il perseguimento degli obiettivi
formativi». Continua peraltro a permanere la (criticabilissima) ubicazione
decentrata, in tre sedi: nord, centro e sud, sulla quale si avrà modo di alcune
considerazioni dettagliate nel prosieguo di questo lavoro [108]. Si è conservata
l’opzione verso l’obbligatorietà della formazione (non solo iniziale e
complementare, ma anche) continua, anche se tale obbligatorietà assume
caratteristiche radicalmente diverse rispetto a quelle proprie del d.lgs. n. 26
del 2006, nella sua versione originaria. La legge prevede ora, in particolare,
che tutti i magistrati frequentino almeno un corso di formazione ogni quattro
anni.
Premesso quanto sopra,
sarà necessario procedere adesso all’esame nel dettaglio dei vari profili
ordinamentali evidenziati dall’istituzione della Scuola superiore della
magistratura e del nuovo sistema di formazione, iniziale e permanente, dei
magistrati italiani, alla luce di uno studio comparativo delle disposizioni del
d.lgs. n. 26 del 2006 e della l. n. 111 del 2007.
19. Natura dell’istituto e
destinatari della formazione. La relativa struttura e le sue tre sedi.
La riforma di cui al
d.lgs. n. 26 del
Si viene così ad
affrontare il tema dei destinatari della formazione. Sul punto si è esattamente
rilevato [109] che il riferimento ai
«magistrati», per quanto generico, perché non specificato dalla qualificazione
di «ordinari e professionali», non sembra in grado di legittimare di per sé
un’eventuale azione formativa in favore dei magistrati amministrativi,
contabili o militari. Peraltro andrà tenuto conto del fatto che le disposizioni
di cui all’art. 2, primo comma, lett. c) e n), introdotte dalla l. 30 luglio
2007, n. 111, vengono ad attribuire alla Scuola competenze in merito,
rispettivamente, «alla formazione iniziale e permanente della magistratura
onoraria» e «allo svolgimento, anche sulla base di specifici accordi o
convenzioni che disciplinano i relativi oneri, di seminari per operatori della
giustizia o iscritti alle scuole di specializzazione forense». Viene così
introdotta una distinzione tra due gruppi: i magistrati onorari (giudici di
pace, giudici onorari di tribunale, vice procuratori onorari), da un lato, e
gli «operatori della giustizia» o gli «iscritti alle scuole di specializzazione
forense», dall’altro: i primi sono beneficiari di attività di formazione
iniziale e permanente, laddove i secondi sono destinatari di semplici attività
seminariali. La distinzione tra i due tipi di attività induce a ritenere che la
seconda categoria di iniziative sia caratterizzata da un certo grado di
episodicità e saltuarietà; episodicità e saltuarietà legate del resto, almeno
in parte, alla necessità di stipulare «specifici accordi o convenzioni che
disciplinano i relativi oneri».
Per ciò che attiene, in
particolare, agli «iscritti alle scuole di specializzazione forense», si deve
ritenere che con tale dizione si comprendano gli iscritti alle Scuole di
specializzazione per le professioni legali, previste dall’art. 16 d.lgs. 17
novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, nonché gli iscritti alle
varie «Scuole forensi» costituite presso gli Ordini degli avvocati. Per le
prime, la cui descrizione esula dai limiti di questo studio [110], potrà solo dirsi che
la preconizzata collaborazione appare sicuramente positiva, anche se il ruolo
di tali istituti appare, purtroppo, oggi fortemente penalizzato, da un lato,
dalla sostanziale irrilevanza del percorso formativo «preliminare» ivi seguito,
in relazione agli sbocchi professionali legati dell’avvocatura del notariato
(nonché dalle relative perduranti incertezze), e, dall’altro, dal sistema di
ammissione al concorso per l’accesso alla magistratura tracciato dalla l. 30
luglio 2007, n. 111 [111]. Quest’ultimo, invero,
discontandosi in maniera rilevante dal disegno (saggiamente) concepito dal
d.lgs. n. 398 del 1997, «declassa» il diploma rilasciato dalle Scuole di
specializzazione, da condicio sine qua
non per l’ammissione alle prove scritte, a una delle tante (troppe!),
alternativamente concepite, condizioni di ammissibilità, con una disposizione
tanto improvvida da rendere sin troppo facilmente prevedibile che, in un futuro
molto ravvicinato, l’«esplosione» del numero dei candidati renderà sicuramente
inevitabile un rinnovato sforzo d’immaginazione per concepire nuove forme di
«preselezione» dei candidati [112].
L’esplicito riferimento
ai magistrati onorari viene a risolvere un problema a suo tempo già posto in
luce criticamente dalla Commissione giustizia del Senato in sede di parere
sullo schema di decreto legislativo. Tale organo aveva invero rilevato che il
C.S.M., ormai privato dell’iniziativa e della direzione della formazione dei
magistrati professionali, avrebbe invece
continuato, nella versione originaria del d.lgs. n. 26 del 2006, ad
essere preposto alle attività formative in favore dei giudici di pace in forza
delle previsioni della legge n. 374 del 1991 (e successive modifiche) [113]. Resta peraltro d’attualità
il rilievo, sollevato con riguardo alla versione originale del d.lgs. n. 26 del
2006 [114], secondo cui una
struttura importante come quella delineata dalla riforma per la Scuola sarebbe
probabilmente capace di esprimere una proficua azione formativa anche a
beneficio delle altre magistrature, che, non meno della magistratura ordinaria,
hanno bisogno di formazione costante. A tale interrogativo sembra ora
rispondere – ma solo parzialmente – la previsione (introdotta, appunto, dalla
l. 30 luglio 2007, n. 111) relativa agli «operatori della giustizia», tra i
quali ben possono farsi rientrare gli appartenenti alle magistrature diverse da
quella ordinaria, così come gli avvocati (e praticanti avvocati), i notai (e
relativi praticanti), il personale degli uffici di cancelleria. Andrà però
ricordato che al riguardo la disposizione in esame confina l’attività della
Scuola allo svolgimento di (soli) «seminari», «anche sulla base di specifici
accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri», esplicitamente
contrapponendo tale azione (come si è appena visto) a quella di erogazione
della «formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria» (cfr. art.
2, lett. c), d.lgs. cit., nella sua versione attualmente vigente), oltre,
ovviamente, a quella di «formazione e (…) aggiornamento professionale dei
magistrati ordinari» (cfr. art. 2, lett. a), d.lgs. cit., nella sua versione
attualmente vigente).
A quanto sopra andrà
ulteriormente aggiunto che la lett. b) del citato art. 2, nella versione
attualmente vigente, stabilisce, in maniera assai poco chiara, che la Scuola è
preposta (oltre che, come si è visto, alla «formazione e all’aggiornamento
professionale dei magistrati ordinari», anche) «all’organizzazione di seminari
di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi
previsti dalla lettera n), di altri operatori della giustizia». La
previsione sembra contenere una semplice
endiadi rispetto al contenuto della citata lett. a), posto che essere preposti
alla formazione altro non può significare se non (anche) essere preposti
all’organizzazione di seminari di aggiornamento professionale e di formazione
dei magistrati. Che poi tali magistrati siano solo quelli «ordinari», ancorchè
siffatto aggettivo (a differenza di quanto disposto dalla precedente lett. a))
non compaia in questa sede, appare desumibile dal contesto in cui si situa la
riforma e dal fatto che l’attributo predetto sia omesso in svariate
disposizioni del d.lgs. e della l. 30 luglio 2007, n. 111, pur chiaramente
riferibili ai soli magistrati ordinari. Quanto appena esposto conferma dunque
che i magistrati amministrativi, contabili e militari potranno venire in
rilievo, come già detto, quali appartenenti alla categoria degli «altri
operatori della giustizia».
Altra disposizione
sicuramente sovrabbondante è quella di cui alla lett. d), a mente della quale
la Scuola è preposta «alla
formazione dei magistrati titolari di funzioni direttive e semidirettive negli
uffici giudiziari», posto che la formazione dei dirigenti è sicuramente parte
integrante della formazione continua o permanente, e lo stesso è a dirsi della
formazione dei formatori (lett. e)). L’inserimento, invece, ad opera della l.
30 luglio 2007, n. 111, tra le competenze della Scuola, dell’attività di
formazione decentrata (cfr. l’art. 2, primo comma, lett. f), nonché l’art. 24,
comma 2-bis, del d.lgs. cit.), viene
almeno in parte a rispondere alle critiche espresse dal C.S.M. in merito allo
schema del d.lgs. n. 26 del 2006 [115]. In proposito l’organo
di autogoverno aveva rimarcato che, non essendo (in allora) prevista alcuna
disposizione «circa il destino dell’attuale rete di formazione decentrata che
il Consiglio ha radicato presso ciascun distretto e che ha rappresentato e
rappresenta un momento di grande partecipazione dei magistrati e di
attualizzazione dei programmi formativi», appariva apodittica l’affermazione
della relazione d’accompagnamento allo schema del d.lgs., secondo cui i
magistrati sarebbero risultati «agevolati dalla presenza di una sede
interdistrettuale» (ci si riferisce qui al tema delle tre sedi della Scuola,
che verrà affrontato tra breve nell’ambito di questo paragrafo). Ciò, infatti,
sarebbe risultato vero «solo per un numero contenuto di essi, considerando che
le distanze esistenti fra le sedi giudiziarie di distretti diversi nei fatti
impediscono ogni ipotesi di spostamento giornaliero durante il periodo del
corso e che occorrerà garantire soluzioni residenziali per quasi tutti i
partecipanti ai corsi». Sul tema specifico della formazione decentrata e sulla
perdurante competenza consiliare circa l’organizzazione della relativa rete si
avrà peraltro modo di ritornare più dettagliatamente in seguito [116], così come pure in
seguito verranno ripresi altri temi legati alle restanti ipotesi dell’elenco
delle attribuzioni di cui all’art. 2 cit. [117].
Passando ai temi di
carattere strutturale, andrà detto, innanzi tutto, che lo strumento di
finanziamento della Scuola non potrà essere individuato se non nel bilancio del
Ministero della giustizia, ancorché siffatta previsione – contenuta nella legge
delega (cfr. art. 2, comma secondo, lett. b), l. 25 luglio 2005, n. 150, il
quale stabilisce testualmente: «b) prevedere che la Scuola superiore
della magistratura sia fornita di autonomia contabile, giuridica, organizzativa
e funzionale ed utilizzi personale dell’organico del Ministero della giustizia,
ovvero comandato da altre amministrazioni, in numero non superiore a cinquanta
unità, con risorse finanziarie a carico del bilancio dello stesso Ministero») –
non sia stata riprodotta nello strumento normativo delegato. Quest’ultimo,
invero, si limita a stabilire (cfr. art. 1, comma quarto) che la Scuola non
avrà proprio personale, ma si avvarrà di personale del predetto Ministero o di
altro comandato da altre amministrazioni, in numero non superiore alle
cinquanta unità. La disposizione non è stata modificata dalla l. 30 luglio
2007, n. 111.
Non vi è dubbio che, già
sotto questo profilo, la scelta operata sia del tutto criticabile, posto che la
provenienza del personale non sembra certo favorire l’autonomia del novello
ente. Quanto poi al comando, non resta che auspicare che di tale istituto sia
effettuato parco uso, atteso che la relativa durata non può superare, di
regola, i dodici mesi, con una sola possibilità di rinnovo, e che comunque la
sua cessazione può intervenire in qualsiasi momento per effetto del ritiro del
consenso da parte dell’interessato, con quali risultati per la salvaguardia di
quell’irrinunziabile valore costituito dalla tendenziale stabilità del personale
impiegato presso la Scuola non è difficile immaginare [118].
Quanto alla struttura in
sé e alle sue dotazioni, il d.lgs. in discorso prevedeva, innanzi tutto, che
con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di
pubblicazione del d.lgs. nella Gazzetta Ufficiale, fossero individuate tre sedi
della Scuola: una per i distretti ricompresi nelle regioni Lombardia,
Trentino-Alto Adige/Südtirol, Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Friuli Venezia
Giulia, Veneto, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna; una per i distretti
ricompresi nelle regioni Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e
Sardegna; una per i distretti ricompresi nelle regioni Campania, Puglia,
Basilicata, Calabria e Sicilia. La l. 30 luglio 2007, n. 111 è intervenuta su
questa previsione, stabilendo (cfr. il nuovo quinto comma dell’art. 1 del
citato d.lgs.) che «Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con
il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro due mesi dalla
data di entrata in vigore della presente disposizione, sono individuate tre
sedi della Scuola, nonché quella delle tre in cui si riunisce il comitato
direttivo preposto alle attività di direzione e di coordinamento delle sedi».
Se ne deduce, quindi, che le tre sedi non sono più legate a gruppi predefiniti
di regioni, la cui individuazione sarà a questo punto rimessa al decreto
attuativo. Compare invece, rispetto alla originaria versione del d.lgs., un
riferimento al compito, che spetta al comitato direttivo, di attuare un
«coordinamento delle sedi».
Sul punto, a parte le
riserve che verranno successivamente espresse sul contrasto di questa
soluzione-«spezzatino» rispetto ai principi internazionali ed alle esperienze
straniere [119], va considerato che la
scelta è stata giustificata, dalla relazione di accompagnamento al d.lgs., alla
luce della necessità di «rendere più agevole e meno onerosa la partecipazione
ai corsi da parte dei magistrati». Nessuna considerazione viene però espressa
in ordine all’aumento di complessità finanziaria, gestionale e didattica che
deriva dalla presenza di tre diverse sedi, oppure in ordine ai rischi di
disomogeneità, le cui ricadute avrebbero una portata assai consistente allorché
si guardi ai riflessi sulla valutazione. Né può essere sottaciuto il riflesso
negativo di una formazione che si diriga esclusivamente per aree territoriali
omogenee e che faccia venire meno quel confronto fra esperienze, prassi e
culture diverse che da sempre ha costituito uno dei fattori principali di
successo della formazione gestita dal Consiglio superiore [120].
Lo stesso organo di
autogoverno ha reiterato – anche nel parere espresso in data 31 maggio 2007 sul
disegno di legge governativo che ha dato luogo alla l. 30 luglio 2007, n. 111 [121] – la propria
contrarietà alla destinazione delle tre
sedi ad iniziative formative concernenti i medesimi temi, destinate ai
magistrati operanti nei medesimi settori, ma provenienti da differenti
distretti. In proposito il C.S.M. ha sottolineato che la previsione delle tre
sedi destinate alla medesima offerta formativa e distinte in base soltanto alla
localizzazione geografica degli uffici dei magistrati partecipanti ai corsi
potrebbe determinare «la non uniformità della formazione e dell’aggiornamento
dei magistrati con inevitabile danno all’approccio risolutivo delle questioni
giurisprudenziali e conseguente difforme applicazione del diritto sul
territorio nazionale». Ulteriore conseguenza negativa potrebbe essere
costituita dalla «mancata uniforme divulgazione sul territorio nazionale di
prassi operative che sul piano applicativo hanno svolto proficuo effetto al
miglioramento del servizio giustizia». A questo proposito non può omettersi di
considerare che la formazione dei magistrati è stata tradizionalmente intesa
anche quale strumento di selezione, raccolta e diffusione di prassi virtuose;
tale funzione, rivelatasi estremamente utile nel corso dell’esperienza
formativa del Consiglio, verrebbe certamente compromessa, qualora, per il futuro,
le occasione di incontro formativo venissero limitate a magistrati selezionati
in ragione di una omogenea provenienza geografica.
Come suggerito dallo
stesso C.S.M. nel sopracitato parere, al rischio di una formazione
diversificata per aree geografiche potrebbe rimediarsi grazie alla previsione
di obiettivi formativi differenziati relativamente a ciascuna delle sedi: ad
esempio una potrebbe essere destinata ad ospitare la formazione iniziale,
l’altra la formazione permanente e la formazione dei dirigenti, mentre ad una
terza potrebbe essere riservata la formazione della magistratura onoraria. La
formazione linguistica e le attività di carattere internazionale potrebbero
trovare adeguato accentramento in una sola delle tre sedi. Una simile previsione
non eliminerebbe l’aggravio organizzativo connesso alla dislocazione tripartita
che tuttavia, in presenza di una adeguata destinazione di risorse economiche,
potrebbe essere giustificato da un elevato grado di idoneità didattica delle
strutture e da una loro specializzazione in ragione dei differenti moduli
formativi utilizzati nei tre settori di intervento.
In effetti, a ben
vedere, il dato normativo – specie avuto riguardo al fatto che, come si è già
posto in evidenza, la nuova versione del comma quinto dell’art. 1 non lega più
ciascuna sede ad un elenco predeterminato di distretti di Corte d’appello, a
differenza di quanto avveniva nella precedente versione della disposizione
medesima – non sembra escludere la possibilità di attuare tale suggerimento in
sede di redazione dello statuto della Scuola e dei regolamenti interni, così
passando – se ci si passa il richiamo processuale – da una «competenza per
territorio», ad una «per materia» di ciascuna delle tre istituende sedi.
20. L’impari rapporto tra
dotazioni e funzioni della struttura.
Venendo a trattare del
rapporto tra le dotazioni della struttura e le funzioni ad essa attribuite,
andrà rimarcato, innanzi tutto, come piena validità continuino a conservare, pur
dopo la promulgazione della l. 30 luglio 2007, n. 111, le osservazioni
dell’organo di autogoverno della magistratura relativamente al fatto che le
dimensioni del comitato direttivo e, soprattutto, di «una struttura di supporto
da ritagliare all’interno dell’organico della scuola, che non può superare le
cinquanta unità (art. 1, comma quarto), appaiono assolutamente incompatibili
con le esigenze di contemporaneo funzionamento di tre sedi distanti tra loro» [122].
Più in generale, poi,
per ciò che attiene alle dotazioni della Scuola, non potrà farsi a meno di
ribadire le gravi perplessità già espresse dal C.S.M. nel parere reso nella seduta del 22 maggio 2003, concernente
gli emendamenti approvati dal Consiglio Superiore dei ministri al disegno di
legge n. 1296/S (XV legislatura) recante: «Delega al Governo per la riforma
dell’ordinamento giudiziario e disposizioni in tema di organico della Corte di
cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità» [123]. In tale documento l’organo di autogoverno sottolineava, innanzi tutto,
che, come illustrato nella Relazione al Parlamento del 1991, «per quanto riguarda gli
aspetti organizzativi appare fondamentale che l’istituzione della Scuola
avvenga sulla base di adeguati stanziamenti i quali consentano dì fornire ad
essa tutto ciò che è necessario quanto a locali, personale e strutture,
evitandosi le soluzioni pasticciate cui si è fatto spesso ricorso in altre
circostanze e che costituiscono un fattore di sicuro insuccesso di qualunque
tipo di iniziativa. Sembra cioè evidente che, una volta che siano state decise
le dimensioni, l’ubicazione e le altre caratteristiche della Scuola, si
provveda alla costruzione di adeguati edifici ed alla predisposizione di
quant’altro occorra, impiegando opportunamente tutto il tempo, tutto il denaro
e tutte le energie umane che risultino necessarie, anche se ciò comporterà
presumibilmente una pianificazione di non breve periodo».
Una Scuola, che abbia
come compiti l’organizzazione del tirocinio e della formazione degli uditori
giudiziari (e quindi di circa 500-600 giovani magistrati ogni anno, ipotizzando
concorsi annuali per 250-300 posti e un tirocinio della durata di 18-24 mesi) e
della formazione continua e permanente dei magistrati con funzioni (circa
9.500), necessita di una sede che offra uno standard
abitativo accettabile per soggiorni brevi e prolungati (si pensi in particolare
alla formazione dei magistrati in tirocinio, per cui l’art. 18 del citato
d.lgs. prevede una sessione effettuata presso la Scuola, della durata di sei mesi,
ancorché non necessariamente consecutivi; cfr. inoltre quanto disposto in
ordine ai corsi di durata di due mesi previsti ad es. dall’art. 22, quarto
comma, d.lgs. cit.) per un numero assai elevato di persone, che sia dotata di
un auditorium e di un numero
sufficiente di aule attrezzate per lavori di gruppo, proiezioni, simulazione di
attività giudiziarie e studio di casi, di attrezzature informatiche e per
collegamenti telematici (videoconferenze), di una biblioteca, di personale
amministrativo quantitativamente e qualitativamente adeguato (in Spagna, la
sola scuola per gli uditori giudiziari dispone di 120 unità di personale). La
Scuola deve godere, inoltre, di autonomia amministrativa, finanziaria e
contabile, avere una dotazione adeguata di fondi e la possibilità di acquisire
entrate ulteriori a quelle a carico dello Stato (che possono essere costituite
dai proventi di iniziative di formazione realizzate con e a favore di altri
soggetti, quali dirigenti amministrativi, altre magistrature, magistrati stranieri,
categorie professionali, dai proventi della cessione a terzi di pacchetti
formativi e dalla vendita delle pubblicazioni della Scuola, di contributi di
enti pubblici o privati qualificati).
Inadeguata appare dunque
la soluzione normativa prescelta: pur prevedendosi, come si è visto,
l’istituzione della Scuola come «struttura didattica autonoma, con personalità
giuridica di diritto pubblico, piena capacità di diritto privato e autonomia
organizzativa, funzionale e gestionale, negoziale e contabile, secondo le
disposizioni del proprio statuto e dei regolamenti interni, nel rispetto delle
norme di legge» (art. 1, comma terzo, d.lgs. cit.), sembra essere mancata
dunque quella rinnovata riflessione, auspicata dal C.S.M., sulla copertura
finanziaria, fondata su una relazione tecnica dettagliata, basata su dati
previsionali che tenessero conto del progetto di Scuola che si aveva in mente e
che ben si sarebbe potuta e dovuta avvalere dell’esperienza di strutture
analoghe, ad esempio analizzando il bilancio della Scuola del personale civile
del Ministero degli interni o di Scuole della magistratura straniere, come
quella francese o quelle spagnola, portoghese o olandese. Un esame di questo
genere, così come l’osservazione del bilancio allocato annualmente dal C.S.M.
per la formazione iniziale e continua, avrebbe reso immediatamente evidente
l’assoluta insufficienza – e il carattere, addirittura, dérisoire – della dotazione stanziata dall’art. 37 del d.lgs. cit.,
rimasto invariato, che continua a coltivare l’illusione di poter finanziare la
creazione di ben tre distinte sedi della Scuola, esclusivamente «mediante l’utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui
all’articolo 2, comma 37, della legge 25 luglio 2005, n. 150» [124].
Al di là di queste
osservazioni, occorre porre mente al fatto che, sebbene la l. 30 luglio 2007,
n. 111 abbia, rispetto alla versione originale del d.lgs. n. 26 del 2006,
ridotto il periodo di tirocinio, nonché eliminato le attività di formazione
continua legate alla valutazione (si
pensi all’abrogazione degli artt. da
1)
la
partecipazione (obbligatoria) di ogni magistrato ad un corso di aggiornamento
almeno una volta ogni quattro anni; tenuto conto del fatto che i magistrati in
servizio sono attualmente 9.219, ciò significa che ogni anno dovranno
partecipare ai corsi almeno 2.305 magistrati;
2)
la
partecipazione ai corsi di formazione complementare per «giovani magistrati» di
cui all’art. 25, quarto comma, d.lgs. cit. (secondo cui «Nei primi quattro anni
successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono
partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale»);
3)
la
partecipazione ai corsi per il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle
requirenti e viceversa (art. 23, d.lgs. cit.);
4)
la
partecipazione ai corsi per lo svolgimento delle funzioni direttive (art. 23,
d.lgs. cit.);
5)
la
formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria (art. 2, primo
comma, lett. c));
6)
la
formazione dei magistrati titolari di funzioni direttive e semidirettive negli
uffici giudiziari (art. 2, primo comma, lett. d));
7)
la
formazione dei magistrati incaricati di compiti di formazione (c.d. «formazione
dei formatori»: art. 2, primo comma, lett. e));
8)
la
formazione decentrata (art. 2, primo comma, lett. f));
9)
la
formazione, su richiesta della competente autorità di Governo, di magistrati
stranieri in Italia o partecipanti all’attività di formazione che si svolge
nell’ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel quadro di
progetti dell’Unione europea e di altri Stati o di istituzioni internazionali,
ovvero all’attuazione di programmi del Ministero degli affari esteri e al
coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati italiani da parte
di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad oggetto
l’organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia (art. 2, primo
comma, lett. g));
10)
la
collaborazione, su richiesta della competente autorità di Governo, nelle
attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia
in altri Paesi (art. 2, primo comma, lett. h));
11)
la
realizzazione di programmi di formazione in collaborazione con analoghe
strutture di altri organi istituzionali o di ordini professionali (art. 2,
primo comma, lett. i));
12)
la
pubblicazione di ricerche e di studi nelle materie oggetto di attività di
formazione (art. 2, primo comma, lett. l));
13)
l’organizzazione
di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca, in relazione
all’attività di formazione (art. 2, primo comma, lett. m));
14)
lo
svolgimento, anche sulla base di specifici accordi o convenzioni che
disciplinano i relativi oneri, di seminari per operatori della giustizia o
iscritti alle scuole di specializzazione forense (art. 2, primo comma, lett.
n));
15)
la
collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei
magistrati ordinari nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio
superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli
giudiziari (artt. 2, primo comma, lett. o), 18 ss.);
A fronte di tali e tante
necessità, non può che destare preoccupazione (oltre che fornire la misura
dell’improvvisazione con cui si affrontano certi temi nel nostro Paese), il
fatto che nessuno studio preliminare sul fabbisogno formativo abbia preceduto
l’emanazione del d.lgs., né la l. 30 luglio 2007, n. 111 [127].
A questo punto potrà
aggiungersi che, per ciò che attiene in modo più precipuo alle funzioni
elencate dall’art. 2 del d.lgs. cit. e alle nuove competenze attribuite dalla
l. 30 luglio 2007, n. 111, esse verranno analizzate di volta in volta, con
riguardo, in particolare, alla summa
divisio tra formazione iniziale e formazione continua, o permanente [128]. In questa sede si
potrà fare un cenno alla prevista competenza della Scuola in ordine alla
formazione internazionale (art. 2, lett. g), d.lgs. cit.) e alla collaborazione
nelle attività dirette all’organizzazione ed al funzionamento del servizio
giustizia in altri Paesi (art. 2, lett. h), d.lgs. cit.): materie, queste,
sottratte dalla riforma all’attività del Consiglio Superiore, il quale ha
rilevato [129] come «dovrebbe essere
l’organo di autogoverno a tenere i contatti in ambito internazionale con
soggetti istituzionalmente preposti a tali attività, anche in ordine alla
scelta dei magistrati da far partecipare alle attività di organizzazione e di
formazione (scelta che implica valutazioni che possono incidere direttamente o
indirettamente sulla giurisdizione e che quindi non possono essere demandate a
soggetti diversi)».
Il C.S.M. proponeva al
riguardo al Parlamento di chiarire «che il compito della Scuola in questo
ambito (almeno per quanto riguarda la lettera h) e gran parte delle attività
indicate nella lettera g)) è limitato ad un supporto tecnico alle attività del
Consiglio». La conclusione, non accolta dal legislatore, non sembra però
condivisibile alla luce delle esperienze delle altre scuole e della struttura
stessa delle relazioni internazionali nel settore della formazione a livello
europeo. Basterà porre mente al fatto che tanto la rete europea di formazione
giudiziaria, quanto la rete di Lisbona, vedono come propri membri gli istituti
preposti alla formazione nei vari Paesi e, dunque, le Scuole, e che la presenza
del C.S.M. in quei consessi, ad oggi, deve intendersi giustificata sulla base
della sola considerazione per cui, fino alla costituzione della Scuola
superiore, è stato il C.S.M. a costituire l’organo preposto alla formazione dei
magistrati in Italia. E’ dunque vero, semmai, il contrario, nel senso che dovrà
essere l’organo di autogoverno della magistratura a fornire la massima
cooperazione alla Scuola in questi sempre più strategici settori [130].
Per quanto attiene,
infine, all’attività di ricerca, andrà ricordato che, ai sensi dell’art. 2 cpv.
d.lgs. cit., a quest’ultima «non si applica l’articolo 63 del decreto del Presidente
della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382». Si potrà notare al riguardo che,
ai sensi di quest’ultima disposizione, facente parte della disciplina sul «Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di
formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica», l’università
viene definita come la «sede primaria della ricerca scientifica». La
disposizione aggiunge quindi che «Il Ministro della pubblica istruzione
d’intesa con il Ministro incaricato del coordinamento della ricerca scientifica
e tecnologica promuoverà le necessarie forme di raccordo tra Università ed enti
pubblici di ricerca, compreso il Consiglio nazionale delle ricerche». L’ultimo
comma del citato articolo prevede poi che «Al fine di evitare ogni superflua
duplicazione e sovrapposizione di strutture e di finanziamenti è istituita
l’Anagrafe nazionale delle ricerche». Nessuna di tali disposizioni troverà
dunque applicazione con riguardo alla Scuola Superiore della magistratura.
21. Interrogativi e
questioni in tema di corpo docente. Statuto e regolamenti interni. Mancanza di
un regime transitorio.
Curiosamente, tanto il d.lgs. n. 26 del 2006, quanto
la l. 30 luglio 2007, n. 111 non si occupano della struttura del corpo docente,
se non in maniera del tutto marginale ed occasionale. Così, ad esempio, l’art.
20 cpv. stabilisce, nella versione attualmente in vigore, che i corsi destinati
ai magistrati in tirocinio «sono tenuti da docenti di elevata competenza e
professionalità, nominati dal comitato direttivo al fine di garantire un ampio
pluralismo culturale e scientifico» [131],
laddove il successivo art.
In proposito la relazione governativa al d.lgs.
precisa che, in ordine, all’osservazione al riguardo formulata dalla
Commissione giustizia del Senato, «non si è ritenuto, in primo luogo, di dover
accogliere l’invito della stessa a prevedere che, sia nella nomina dei
componenti dei comitati di gestione, che nella individuazione dei docenti da
parte di questi ultimi, venga adottato il criterio di assicurare in ogni caso
la prevalenza numerica dei soggetti provenienti dalla magistratura. Si è
infatti ritenuto che, ferma restando l’individuazione, da parte del legislatore
delegato, delle categorie o, più genericamente, delle caratteristiche dei
soggetti, nell’ambito dei quali, rispettivamente, il comitato direttivo procede
alla nomina dei componenti dei comitati di gestione e questi ultimi procedono
alla scelta di docenti, l’autonomia decisionale del comitato direttivo e dei
comitati di gestione non debba soffrire limitazioni nella scelta delle
personalità ritenute più idonee, senza vincoli volti ad assicurare una
proporzione tra le varie categorie di provenienza o la prevalenza di una
componente sull’altra».
A fronte di questa situazione, la previsione di un
albo dei docenti, introdotta ex novo
dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, vuole porsi quale rimedio, almeno parziale,
alla persistente carenza di criteri obiettivi di selezione. Anche su questo
punto il C.S.M. non aveva mancato di porre in luce [134] come non solo per i docenti, ma neppure per i tutors e per gli affidatari, vi fosse,
nell’originaria versione del d.lgs. n. 26 del 2006, «alcuna indicazione
positiva circa i criteri selettivi e circa i titoli di qualificazione
professionale che il Comitato di gestione deve valutare al fine di selezionare
coloro che di fatto svolgeranno l’attività di formazione e dovranno rivestire
un ruolo fondamentale nella valutazione dei magistrati (cfr. arrt. 20, comma 2;
24, comma 1; 27, comma 1, ove sono presenti solo indicazioni circa la posizione
professionale dei docenti)». Dal momento che le citate disposizioni neppure chiarivano
le modalità concrete di selezione ed i limiti temporali dell’incarico, si
veniva a creare una situazione «di grande delicatezza, considerando la serietà
e la rilevanza degli incarichi e la vastità della platea dei possibili
aspiranti».
Orbene, la l. 30 luglio 2007, n.
Restano peraltro le perplessità sulla carenza di
requisiti e criteri obiettivi per la scelta dei docenti, atteso che l’albo
verrà formato sulla base delle semplici offerte di disponibilità dei
«candidati» alla docenza. Peraltro, il riferimento all’aggiornamento annuale
dell’albo in base non solo «alle nuove disponibilità fatte pervenire alla
Scuola», ma anche «alla valutazione assegnata a ciascun docente tenuto conto
anche del giudizio contenuto nelle schede compilate dai partecipanti al corso»
induce a ritenere che lo statuto della Scuola dovrà fissare i criteri in base
ai quali la valutazione dei docenti andrà effettuata: valutazione che dovrà
tenere conto dello specifico settore di competenza e dei titoli che l’aspirante
docente può vantare, nonché – per chi ha già effettuato attività di docenza (è
da presumersi, anche avuto riguardo alle docenze pregresse ai corsi di
formazione organizzati dal C.S.M.) – dei risultati delle delle schede di
valutazione redatte dai partecipanti.
Un’ulteriore valutazione andrà poi compiuta (ma non si
comprende se andrà motivata o meno) all’atto della approvazione dei singoli
programmi da parte del comitato direttivo, posto che, come stabilito dalle
disposizioni sopra ricordate, ogni singolo responsabile di settore dovrà
proporre, per ogni singolo incarico di docenza, due nominativi, competendo poi
al comitato la scelta definitiva. Inutile dire che l’opzione per la creazione
di un albo verrà a porre, specie nei primi anni di attività, il serio problema
dell’individuazione di nominativi idonei, con particolare riguardo a specifici
settori caratterizzati da un elevatissimo grado di specializzazione,
allorquando il relatore, il cui nominativo si intenda proporre, non abbia
curato, magari per pura distrazione (capita, di solito, ai più bravi…), di
trasmettere alla Scuola in tempo utile e en
bonne forme la propria domanda. Sul punto sarebbe auspicabile
l’introduzione, magari a livello di statuto, di una clausola che consenta, in
particolari casi, di nominare docenti anche non iscritti all’apposito albo.
L’esperienza maturata
nei principali istituti preposti all’estero alla formazione iniziale e continua
(si pensi in particolar modo all’esempio francese, ma anche a quello spagnolo o
portoghese) insegna poi che, soprattutto per ciò che attiene alla formazione
iniziale, il segreto per garantire buoni risultati e una certa continuità di
metodologie formative, è rappresentato dalla presenza di un «nucleo stabile»
nel corpo docente, costituito da un certo numero di formatori (tratti per lo
più, anche se non esclusivamente, dalle file della magistratura) impiegati a
tempo pieno, per un determinato numero di anni, presso la Scuola. Un nucleo
che, evidentemente, dovrebbe essere di volta in volta integrato con l’apporto
di un numero più ampio di magistrati e docenti impiegati a tempo parziale, o
anche soltanto occasionalmente. Solo la presenza di un corpo stabile, anche non
necessariamente vastissimo (tanto per fornire un esempio, l’Ecole francese dispone al momento di 32
magistrati impiegati a tempo pieno nella formazione, di cui 6 destinati alla
formazione continua), di formatori full
time potrebbe assicurare la nascita di una Scuola intesa non già quale
luogo burocraticamente preordinato al rilascio di diplomi e attestati di frequenza,
ma quale «casa comune della formazione» per la famiglia dei magistrati
italiani: un vero e proprio «serbatoio» di conoscenze teoriche e pratiche, da
dispensare a qualsiasi magistrato intenda affinare la propria cultura giuridica
(e non), magari anche solo incrementando la semplice attività di
autoformazione.
Ebbene: nulla di tutto
ciò era previsto dal d.lgs. prima della riforma di cui alla l. 30 luglio 2007,
n. 111 [135], né appariva possibile
immaginare che una struttura di docenti impiegati a tempo pieno potesse essere
costituita sulla base di un semplice regolamento interno, a meno che non si
fosse voluto valorizzare un elemento, per il vero molto debole, ricavabile
dall’art. 12, comma terzo, lett. g). Stabiliva infatti questa disposizione, ora
abrogata, che «Ciascun comitato di gestione (…) cura il tirocinio o
l’aggiornamento professionale nelle fasi effettuate presso la Scuola,
selezionando i tutori, nonché i docenti incaricati anno per anno e quelli
occasionali». Questo richiamo ai «docenti incaricati anno per anno»,
contrapposti a «quelli occasionali» avrebbe forse potuto fondare una
disposizione regolamentare diretta a creare figure di formatori a tempo pieno,
il cui status e la cui collocazione
fuori ruolo, non espressamente previsti da disposizioni ad hoc, avrebbero però posto non pochi problemi dal punto di vista
ordinamentale.
All’inconveniente pone
oggi solo parziale e modestissimo rimedio il nuovo cpv. dell’art. 6 del citato
d.lgs., a mente del quale «I magistrati ancora in servizio nominati nel
comitato direttivo sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura
per tutta la durata dell’incarico». Vi è però da dubitare che sette persone
(tanti sono, infatti, i membri del direttivo di estrazione giudiziaria),
ancorchè impiegate a tempo pieno, siano in grado di coordinare un’attività
dell’ampiezza di quella sopra descritta [136], oltre alle tante altre
iniziative che il comitato direttivo di una Scuola del genere di quella
chiamata a formare i magistrati italiani potrebbe e dovrebbe sviluppare.
Il pensiero corre, tra i
tanti esempi che si potrebbero presentare, alla necessità, in primo luogo, di
divulgare i lavori sviluppati in seno alle attività di formazione: e questo,
ovviamente, attraverso la creazione di un idoneo portale web, munito di un potente e raffinato motore di ricerca che, ad instar del programma Italgiure Web della Cassazione, consenta
il reperimento immediato di informazioni e materiale di supporto [137]; portale alla cui
creazione e costante implementazione andrebbe comandato personale in pianta
stabile, costituito tanto da giuristi che da esperti informatici.
Per questo occorrerebbe
pensare anche alla creazione di banche dati di esperienze e prassi, da porre
per via telematica a disposizione di tutti gli uffici giudiziari, così come
alla realizzazione di servizi di vera e propria consulenza e formazione
«personalizzata», alla divulgazione di newsletters
(come del resto già avviene ad opera di alcuni magistrati responsabili della formazione
decentrata particolarmente impegnati e diligenti), ecc. [138]. Sempre a titolo di
esempio, proprio alla Scuola potrebbe essere affidato l’incarico di provvedere,
d’intesa con il Centro Elettronico di Documentazione istituito presso la Corte
di cassazione, a «rivitalizzare» un archivio di somma utilità, quale quello
della giurisprudenza di merito, che ha avuto il grande merito per molti anni di
divulgare la giurisprudenza su questioni che, per svariati motivi (si pensi
alla c.d. volontaria giurisdizione, o alle questioni di mero fatto), non sono
destinate ad essere trattate dalla Corte Suprema (e pertanto ad essere inserite
negli archivi «civile» o «penale» del C.E.D.) [139].
Venendo ora a svolgere
alcune considerazioni sulla «vita» interna della Scuola, occorrerà prendere in
esame il tema dello statuto e dei regolamenti interni. In proposito vengono in
rilievo gli articoli seguenti del d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione
attualmente in vigore:
·
1,
comma terzo, da cui si può dedurre che lo statuto (unitamente ai regolamenti
interni) dovrebbe regolare, nel rispetto delle norme di legge, l’«autonomia
organizzativa, funzionale e gestionale, negoziale e contabile» della Scuola;
·
1,
comma terzo, secondo cui esso, unitamente ai regolamenti adottati ai sensi dell’articolo
5, comma 2, lo statuto disciplina l’«organizzazione della Scuola»;
·
3,
comma primo, secondo cui «La Scuola è retta da un proprio statuto, adottato dal
comitato direttivo con il voto favorevole di almeno otto componenti»;
·
3,
comma secondo, secondo cui «La Scuola adotta regolamenti di organizzazione
interna, in conformità alle disposizioni dello statuto»;
·
5,
comma secondo, secondo cui «Il comitato direttivo adotta e modifica lo statuto
e i regolamenti interni»;
·
11,
comma secondo, per il quale lo statuto (il solo statuto, si badi) deve
determinare «Le modalità di sostituzione del presidente in caso di assenza o
impedimento»;
·
17-bis, lett. e), secondo cui il segretario
generale «esercita ogni altra funzione conferitagli dallo statuto e dai
regolamenti interni»;
·
24,
secondo cui «Lo statuto determina il numero massimo degli incarichi conferibili
ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e onerosità».
·
Tutte
le disposizioni di cui sopra riguardano tanto lo statuto che i regolamenti (ad
eccezione dei citati artt. 11, comma secondo, e 24, che si riferiscono al solo
statuto), mentre l’art. 25 cpv., per converso, si limita a menzionare un
«regolamento» («La partecipazione ai corsi è disciplinata dal regolamento
adottato dalla Scuola»), usando peraltro l’espressione «regolamento» – per tale
unica volta – al singolare.
Sulla base delle
disposizioni predette appare chiaro come lo statuto appaia costituire una fonte
normativa sottoordinata rispetto alla legge, ma sovraordinata rispetto ai
regolamenti, per lo meno stando a quanto disposto dal citato art. 3 cpv.,
secondo il quale «La Scuola adotta regolamenti di organizzazione interna, in
conformità alle disposizioni dello statuto», sempre che non si voglia limitare
la richiesta «conformità» alle sole modalità di adozione dei regolamenti (e non
già estenderla al relativo contenuto): soluzione, quest’ultima, che potrebbe
essere suggerita dal fatto che, mentre il primo comma dell’art. 3 cit. precisa
quale sia la maggioranza richiesta per l’adozione dello statuto, nulla è detto
in punto regolamenti, così inducendo a ritenere che siffatta modalità di
adozione vada specificata, per l’appunto, dallo statuto e che proprio questo
sia il (limitato) significato dell’inciso «in conformità alle disposizioni
dello statuto».
Il già ricordato
(singolare…) uso del singolare all’art. 25 cit., con riguardo al «regolamento»
che dovrebbe disciplinare la partecipazione ai corsi di formazione continua
(ancorchè non denominata in tal modo) potrebbe anche indurre a ritenere che a
tale specifico argomento (la formazione continua, o permanente) vada dedicato
un apposito regolamento. Quanto sopra darebbe un senso all’uso del plurale
nelle altre disposizioni sopra ricordate, così spingendo ad ipotizzare
l’emanazione (da prevedersi nello statuto) di un regolamento per ciascuna delle
principali funzioni della scuola (formazione iniziale, formazione continua,
formazione complementare, formazione internazionale, formazione dei formatori,
partecipazione alle attività della rete dei formatori della formazione
decentrata), così come per il funzionamento degli organi della Scuola (comitato
direttivo, relativo presidente, responsabili di settore e segretario generale),
fermo restando che solo lo statuto potrà determinare le «modalità di sostituzione
del presidente in caso di assenza o impedimento», nonché (e, francamente, non è
dato comprendere per quale speciale ragione si riservi tale materia allo
statuto anziché ai regolamenti) «il numero massimo degli incarichi conferibili
ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e onerosità». Per quanto
attiene, infine, alla disposizione statutaria concernente le «modalità di
sostituzione del presidente in caso di assenza o impedimento» (cfr. art. 11
cpv. d.lgs cit.), nulla sembra escludere la creazione della figura di un
vicepresidente, il quale dovrebbe sostituire il presidente in caso di suo
impedimento ed al quale potrebbero essere delegate attribuzioni particolari del
presidente stesso.
Ciò detto, va aggiunto
che statuto e regolamenti dovranno contenere una serie di disposizioni
attinenti, come si è appena detto, alla «vita» della Scuola che, in buona
parte, ben potranno essere tratte dall’esperienza pluridecennale del C.S.M. in
materia di gestione dell’attività formativa. Va pertanto auspicato che, in fase
di stesura di questi importanti documenti, il comitato direttivo mantenga
stabili contatti con la nona commissione, così come con il comitato scientifico
e la segreteria generale dell’organo di autogoverno.
Desta preoccupazione, poi,
l’assoluta, persistente, assenza di un regime transitorio. Come rilevato dal
C.S.M. con riguardo allo schema di d.lgs. [140], ma con notazioni
riferibili anche alla l. 30 luglio 2007, n. 111, ciò vale sia per la
definizione delle modalità di «passaggio» dall’attuale struttura formativa del
Consiglio superiore a quella della futura Scuola (imponendo le regole di buona
amministrazione la non dispersione del patrimonio acquisito), sia per la
definizione del regime cui sottoporre i magistrati in servizio con riferimento
alla formazione obbligatoria, sia, infine, con riferimento alla disciplina da
applicarsi ai magistrati in tirocinio al momento di inizio di operatività della
nuova struttura. Nulla si dice quanto alla disciplina da applicarsi nella fase
compresa tra la data di efficacia del decreto delegato (e, oggi, da quella
della già intervenuta entrata in vigore della l. 30 luglio 2007, n. 111) alla
data in cui la Scuola sarà nei fatti costituita ed operativa. Quanto sopra
appare tanto più grave, se si considera che non potranno certo essere brevi i
tempi necessari al reperimento e alla predisposizione dei locali e delle
strutture indispensabili, nonché alla individuazione dei componenti le
articolazioni essenziali della Scuola.
Di fronte a tale
silenzio legislativo non rimane che ipotizzare un’ultrattività delle
disposizioni previgenti. Si pensi, in particolare, al regime di formazione e
valutazione degli uditori giudiziari [141] (ora definiti
«magistrati ordinari in tirocinio»), la cui posizione non può certo ritenersi
«congelata», magari per anni, in attesa della concreta entrata in funzione
della Scuola. Tale soluzione appare del resto suggerita dal fatto che le
disposizioni in esame, attenendo non solo e non tanto alla determinazione di
itinerari procedurali, ma anche e soprattutto, alla definizione di vere e
proprie situazioni di status
giuridico (si pensi, per l’appunto, alla peculiare posizione dei soggetti già
nominati uditori giudiziari sulla base
delle disposizioni del previgente ordinamento), non possono intaccare i diritti
acquisiti in forza della normativa oggi abrogata, soprattutto quando quella
nuova non può ricevere ancora materiale attuazione, per difetto in rerum natura delle relative
strutture. Del resto, se è vero che la giurisprudenza [142] interpreta
l’art. 11 prel. nel senso che la legge
nuova può essere applicata anche agli status
e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in
vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, ciò essa ammette solo quando
gli status, ai fini della disciplina
disposta dalla nuova legge, «debbano essere presi in considerazione in se
stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha
generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia
modificata la disciplina giuridica del fatto generatore». Orbene, nel caso in
esame, pare legittimo ritenere che la situazione dei soggetti nominati uditori
sulla base della normativa previgente sia intimamente legata al suo «fatto
generatore», costituito da un sistema di reclutamento e di formazione iniziale
(che del reclutamento costituisce parte integrante), il quale oggi appare
radicalmente mutato. Non si può dunque pretendere di applicare agli uditori il
nuovo sistema, senza inevitabilmente violare la regola generale (art. 11 cit.,
non specificamente derogato da disposizioni transitorie della novella) che
sancisce l’irretroattività dello ius
superveniens.
GLI ORGANI DELLA SCUOLA E LE LORO COMPETENZE
«Was können wir tun, um unsere (…) Institutionen so zu gestalten, daß
schlechte oder untüchtige Herrscher (die wir natürlich zu vermeiden
suchen, aber trotzdem nur allzu leicht bekommen können) möglichst geringen Schaden anrichten?».
(Karl R. Popper,
Erkenntnis ohne Autorität (1960) [Abschnitte XIII bis XVII], in Karl Popper Lesebuch, Tübingen 1995).
Sommario:
23. La composizione del
comitato direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.
24. Le competenze del comitato
direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.
22. Il comitato direttivo
nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla
l. 30 luglio 2007, n. 111.
Nel sistema tracciato
dal d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, gli organi della Scuola erano costituiti dal
comitato direttivo, dal presidente del comitato e da due comitati di gestione.
La l. 30 luglio 2007, n.
Iniziando dal comitato
direttivo, va detto, innanzi tutto, che lo stesso, secondo l’originaria
versione del d.lgs. n. 26 del 2006, risultava composto da sette membri, di cui
due di diritto. I membri di diritto erano il primo presidente della Corte di
cassazione ed il procuratore generale presso la Corte medesima. Al riguardo si
era esattamente rilevato [143] che la previsione
derivava dalla primigenia configurazione del disegno legislativo di collocare
la Scuola nell’ambito della Corte di legittimità. Trattavasi di soluzione
sicuramente criticabile, e che aveva già formato oggetto di riserve da parte
del C.S.M. con il parere reso il 12 giugno
I membri di diritto
potevano delegare, a loro insindacabile discrezione, la partecipazione al
comitato direttivo, in favore però soltanto di magistrati con funzioni non
inferiori a quelle direttive giudicanti e direttive requirenti di legittimità.
Come rilevato dai primi commentatori [144], il d.lgs. innovava
rispetto alla legge delega, perché questa non aveva posto condizioni per
l’individuazione dei magistrati cui delegare l’esercizio dei compiti
all’interno del Comitato direttivo, limitandosi appunto ad attribuire la
facoltà di delega ad un magistrato non qualificato da particolari funzioni. La
disposizione, nel mostrare il chiaro intendimento di rafforzare un legame
«para-gerarchico» tra Scuola e Corte di cassazione, doveva ritenersi in parte qua incostituzionale per
eccesso di delega [145], oltre che incoerente
con il sistema stesso in cui avrebbe voluto inserirsi, per lo meno in relazione
al fatto che sembrava escludere l’attribuzione della delega al presidente
aggiunto della Corte di cassazione ed al procuratore generale aggiunto presso
la medesima Corte, che, invece [146], ne sarebbero stati i
naturali destinatari per l’esercizio dei poteri spettanti rispettivamente al
primo presidente ed al procuratore generale.
I dubbi di costituzionalità
si riproponevano anche per i due magistrati nominati dal C.S.M., atteso che il
d.lgs. poneva condizioni aggiuntive, non richieste dalla legge delega, di
esercizio di determinate funzioni, ancora una volta ispirandosi alla
costruzione piramidale e gerarchica delle funzioni giudiziarie. Il C.S.M.,
infatti, avrebbe dovuto nominare due componenti tra i magistrati aventi
«funzioni di secondo grado da almeno tre anni», senza alcuna ripartizione
funzionale tra giudicante e requirente [147]. Il comitato direttivo
contava, poi, sulla falsariga di scelte di composizione già sperimentate per i
rinnovati Consigli giudiziari, la presenza di un avvocato con almeno quindici
anni di esercizio della professione, nominato dal Consiglio nazionale forense,
e di un professore universitario ordinario in materie giuridiche nominato dal
Consiglio universitario nazionale. Infine vi era la presenza di un (solo)
componente nominato dal Ministro della Giustizia, sul presupposto di una
corretta considerazione della sua posizione costituzionale di responsabile
dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi della giustizia.
Il d.lgs. stabiliva che
tutti questi componenti fossero scelti «tra insigni giuristi», facendo così
prevalere le ragioni di una spiccata competenza tecnica su quelle della
rappresentanza di tipo politico. Si è esattamente rimarcato al riguardo [148] che la previsione
giovava a rafforzare la previsione di piena indipendenza dei componenti del
comitato direttivo, che, come espressamene previsto dall’art. 8 del decreto
legislativo, rimasto oggi inalterato, avrebbero comunque dovuto esercitare «le
proprie funzioni in condizioni di indipendenza rispetto all’organo che li ha
nominati». L’incarico era previsto come di durata quadriennale e, fatta
eccezione per i due membri di diritto e degli eventuali loro delegati, gli
altri componenti non avrebbero potuto essere immediatamente rinnovati, né
avrebbero potuto fare parte delle commissioni di concorso per uditore
giudiziario. In proposito va aggiunto che il riferimento soltanto alle
commissioni di concorso per l’accesso appariva poco comprensibile, posto che il
comitato direttivo aveva poteri di programmazione didattica per tutto l’ambito
della formazione, ivi compresa la formazione continua dei magistrati in
servizio. Più logica e coerente sarebbe stata quindi una disposizione di
incompatibilità per la partecipazione a tutte le commissioni di concorso, da
quella per l’accesso a quelle per le progressioni in carriera e per il
passaggio da una funzione all’altra [149]. Era infine prevista
una generale incompatibilità tra l’ufficio di componente del comitato direttivo
e qualsiasi carica pubblica elettiva e con l’attività di componente di organi
di controllo di enti pubblici e privati. Nessuna incompatibilità era invece
posta con l’attività di studio e di ricerca.
Approfondendo le
valutazioni critiche sul modo di costituzione del comitato in discorso potrà
sottolinearsi – come affermato dallo stesso C.S.M. nel contesto di un suo parere
reso sul d.d.l. che si poneva all’origine del processo che aveva portato
all’emanazione del d.lgs. in esame [150] – che la struttura in
oggetto non sembrava possedere una collocazione istituzionale che tenesse conto
della posizione dalla Costituzione assegnata alla magistratura stessa. La
formazione professionale, osservava l’organo di autogoverno, è per sua natura
un’attività finalisticamente orientata al raggiungimento di determinati
obbiettivi culturali, organizzativi, gestionali e si presta, in specie con
un’attività dalle caratteristiche dell’esercizio della giurisdizione, a
divenire sia un potente fattore di crescita e miglioramento della qualità del
servizio giustizia, sia uno strumento di orientamento e omogeneizzazione delle
soluzioni giurisprudenziali e di incanalamento delle attività (in specie nel
campo delle indagini penali) verso il perseguimento di uno o di un altro tipo
di reati (il che è evidentemente favorito in un sistema caratterizzato da un
lato dall’uso a fini di carriera della produzione giurisprudenziale e
dall’utilizzo a fini valutativi della formazione e dall’altro dalla
gerarchizzazione delle funzioni). Per questo appariva assolutamente necessario
che la direzione della formazione non venisse rimessa ad un organo che, per sua
natura, non avrebbe potuto esprimere alcuna linea culturale e tanto meno
individuare gli obbiettivi primari della formazione del magistrato, in
necessaria connessione con un’analisi attenta dello stato della giustizia e
delle sue criticità e con la formulazione di ipotesi migliorative e
l’individuazione dei mezzi per attuarle.
Continuava il C.S.M. nel
parere da ultimo citato, affermando che la formazione iniziale e permanente –
in quanto incidente sul modello di giudice, sull’organizzazione del lavoro
giudiziale, sugli strumenti per l’interpretazione della legge, sull’autonomia e
l’indipendenza del magistrato – si sarebbe dovuta ritenere «materia riservata
dalla Costituzione al Consiglio superiore della magistratura, spettando al
Ministero l’organizzazione e il funzionamento del relativo servizio». Tale
conclusione, proseguiva l’organo di autogoverno, «non deve indurre a ritenere
che la formazione debba (continuare ad) essere gestita in proprio dal C.S.M. ma
che (qualora si ritenga di realizzare una struttura autonoma per l’irrogazione
della formazione) al C.S.M. debbano competere il potere di indirizzo e di
fissazione delle linee programmatiche generali ed il potere di verifica e di
controllo dell’attuazione degli indirizzi e degli obiettivi fissati».
Sempre secondo il
C.S.M., «Assicurata la collocazione istituzionale della Scuola sottoponendola a
tali poteri consiliari, la sua articolazione organica, per essere funzionale e
garantire qualità e quantità di risultati – in relazione all’ampiezza e
diversificazione dei compiti (basti pensare ai compiti di formazione iniziale,
permanente, per il mutamento delle funzioni) – dovrebbe essere più ricca di
quella tracciata dal d.lgs. Tenendo conto delle complessive esigenze gestionali
di una struttura autonoma e facendo riferimento ad altri modelli esistenti (ad
esempio, l’Università ove si hanno un Consiglio di amministrazione ed una
Conferenza dei Presidi, presieduti entrambi dal Rettore), sembrerebbe
indispensabile la presenza di due organi, uno con funzioni di gestione amministrativa
e contabile, composto in modo paritetico da membri designati dal C.S.M. e dal
Ministro della giustizia, ed uno con funzioni di gestione tecnico-scientifica,
a composizione pluralista con prevalente rappresentanza di magistrati, col
compito di tradurre gli obbiettivi formativi in programma di formazione, di
redigere i programmi di dettaglio (individuazione dei singoli temi da trattare,
delle formule didattiche, dei relatori e dei coordinatori dei lavori di
gruppo), organizzare (prendere contatti coi docenti per acquisirne la
disponibilità e dare indicazioni sugli obiettivi formativi dell’azione nella
quale si collocano e il loro ruolo nell’ambito della stessa, selezione e
preparazione dei materiali di studio, selezione dei partecipanti e rapporti con
gli stessi anche con finalità di interazione per l’individuazione dei temi
controversi) e gestire (coordinamento del corso, tutoraggio, verifica dei
risultati dell’azione formativa) le singole azioni formative così come previste
dal programma. Il raccordo tra i due organi dovrebbe essere assicurato da un
direttore, nominato dal C.S.M. di concerto col Ministro della giustizia, con
compiti di rappresentanza verso l’esterno, di direzione dell’attività della
scuola, di controllo dell’esecuzione delle delibere di indirizzo del C.S.M., di
relazionare a quest’ultimo sull’attuazione delle linee programmatiche» [151].
23. La composizione del
comitato direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.
La
riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n.
Non vi è dubbio che una
siffatta composizione appaia, assai più della precedente, rispondente ai
criteri di funzionalità, indipendenza dell’organo e di collegamento con il
C.S.M., che si sono sopra evidenziati. Positiva è anche, per i componenti
magistrati, l’eliminazione del requisito collegato alle funzioni di secondo
grado, mentre il richiamo alla terza valutazione di professionalità viene a
porre un requisito minimo d’anzianità di servizio (dodici anni) del tutto
condivisibile. Restano le perplessità derivanti dal peso eccessivo attribuito
al Ministro, che dovrà nominare cinque componenti su dodici: un rilievo
veramente sproporzionato, se si pensa al ruolo che la Costituzione assegna al
Guardasigilli (cfr. art. 110). Sul punto ha già avuto modo di esprimersi il
C.S.M. nel parere emesso il 31 maggio 2007 [152], nel quale ha rilevato
che siffatta dilatazione del ruolo del Ministro della giustizia «non trova
orientamenti culturali di riscontro in un orizzonte europeo tendente a
rafforzare il ruolo dei Consigli di Giustizia come funzionali alla difesa
dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati nell’interesse
dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge».
Quanto all’estrazione
professionale dei componenti del comitato direttivo, sempre nel citato parere [153], si valuta
positivamente l’opportunità che confluiscano in esso «molteplici sensibilità ed
esperienze (e, quindi, appare necessaria e proficua la presenza di magistrati,
avvocati e professori universitari)». Tuttavia, per non allontanarsi dal
modello previsto dalla Costituzione per il C.S.M., si rimarca che sarebbe stato
opportuno prevedere – per la ripartizione tra componenti magistrati, da una
parte, e avvocati e professori universitari, dall’altra – il mantenimento della
proporzione prevista dalla Costituzione per la composizione del Consiglio (due
terzi e un terzo).
Il C.S.M. ha poi
stigmatizzato l’estrema genericità dei requisiti per la nomina, sottolineando
l’opportunità di introdurre, oltre al requisito dell’anzianità in servizio,
quelli della capacità di insegnamento, dedotta dai titoli didattici acquisiti
nell’ambito della formazione generale ed in quella giuridico-professionale e
della capacità di ricerca desunta dal numero e dalla qualità delle
pubblicazioni. Era stata altresì evidenziata, sempre nel predetto parere
(rimasto senza riscontro da parte del legislatore) l’opportunità di prevedere
che il comitato direttivo fosse composto da esperti nelle principali materie
che interessano la formazione professionale dei magistrati. Tali osservazioni
assumono rinnovato rilievo alla luce del testo così come modificato, che non
prevede più i comitati di gestione, ma attribuisce ai responsabili di settore,
individuati tra i componenti del comitato direttivo, la programmazione in
concreto dell’attività della Scuola assegnando ad essi, in buona sostanza,
alcune delle funzioni che sino ad ora erano state svolte dal comitato scientifico
costituito presso la nona commissione del C.S.M.
L’aumento del numero dei
membri del Comitato direttivo è, per così dire, compensato (negativamente, ad
avviso di chi scrive) dall’eliminazione dei comitati di gestione, per cui, come
già ampiamente illustrato, appare problematico che tale consesso sia in grado
di far fronte ai compiti che l’attendono, tanto più che i componenti stessi del
direttivo, nella loro veste di responsabili di settore, si vedono accollate una
serie di ulteriori, assai onerose, incombenze, come verrà chiarito a tempo
debito [154].
L’art. 6 del citato
d.lgs. continua a prevedere, pur dopo la riforma del 2007, che l’incarico dei
componenti del comitato direttivo sia di durata quadriennale. L’unica novità
introdotta in parte qua dall’ultima
novella è costituita dal fatto che tutti i membri, senza eccezione alcuna, non
possano «essere immediatamente rinnovati», così come non possano «fare parte
delle commissioni di concorso per uditore giudiziario» (il d.lgs. predeva,
nella sua versione originale, la non applicabilità di tali limitazioni ai
soggetti indicati al comma primo, vale a dire «il primo presidente della Corte
di cassazione, o il magistrato dallo stesso delegato alla Scuola, con funzioni
non inferiori a quelle direttive giudicanti di legittimità, nonchè il
procuratore generale presso la Corte di cassazione, o il magistrato dallo
stesso delegato alla Scuola, con funzioni non inferiori a quelle direttive
requirenti di legittimità»).
Permane poi la regola
(cfr. l’art. 9 del d.lgs. cit., rimasto invariato) che sancisce una generale
incompatibilità tra l’ufficio di componente del comitato direttivo e qualsiasi
carica pubblica elettiva e con l’attività di componente di organi di controllo
di enti pubblici e privati. Nessuna incompatibilità continua ad essere posta
con l’attività di studio e di ricerca. L’art. 8 del d.lgs. continua a prevedere
che «I componenti del comitato direttivo esercitano le proprie funzioni in
condizioni di indipendenza rispetto all’organo che li ha nominati», mentre
l’art. 10, invariato, stabilisce che «L’indennità di funzione del presidente ed
il gettone di presenza dei componenti del comitato direttivo sono stabiliti,
rispettivamente fino ad un massimo di Euro 20.000 annui e di Euro 600 per
seduta, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di
efficacia delle disposizioni del presente decreto, tenuto conto del trattamento
attribuito per analoghe funzioni pressa la Scuola superiore della pubblica
amministrazione».
24. Le competenze del
comitato direttivo dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111.
Venendo ora a trattare
dei compiti del comitato direttivo, potrà iniziarsi ponendo l’accento sul fatto
che, ai sensi dell’art. 5 cpv. del d.lgs. n. 26 del 2006, nella versione oggi
vigente, il comitato direttivo:
·
adotta
e modifica lo statuto e i regolamenti interni;
·
cura
la tenuta dell’albo dei docenti;
·
adotta
e modifica, tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal
Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, il
programma annuale dell’attività didattica; approva la relazione annuale che
trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura;
·
nomina
i docenti delle singole sessioni formative;
·
determina
i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti;
·
procede
alle relative ammissioni;
·
conferisce
ai responsabili di settore l’incarico di curare ambiti specifici di attività;
·
nomina
il segretario generale;
·
vigila
sul corretto andamento della Scuola;
·
approva
il bilancio di previsione e il bilancio consuntivo.
Come rilevato dal C.S.M.
nel suo parere emesso il 31 maggio 2007, le funzioni del comitato direttivo si
possono così riassumere:
·
funzioni
normative (adozione dello statuto e
dei regolamenti);
·
funzioni
programmatiche (adozione del programma
annuale dell’attività didattica), in relazione alle quali deve tener
conto delle linee programmatiche posposte annualmente dal Consiglio superiore
della magistratura e del Ministro della giustizia;
·
funzioni
di rendicontazione (approvazione della
relazione annuale);
·
funzioni
di organizzazione della formazione (tenuta
dell’albo dei docenti e nomina
dei docenti, conferimento dei
compiti ai responsabili per settori; ammissione ai corsi);
·
funzioni
di nomina (nomina del segretario
generale);
·
funzioni
di vigilanza (controllo sull’andamento
della Scuola);
·
funzioni
di contabilità (approvazione del
bilancio di previsione e il bilancio consuntivo).
Anche nel sistema così
come risultante dalla riforma del 2007 il comitato direttivo costituisce
l’organo di vertice della Scuola, sebbene fondamentali differenze siano state
introdotte dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, rispetto alla originaria disciplina
disegnata per questo corpo dal d.lgs. n. 26 del 2006. Infatti, nella versione
originale di questo testo (cfr. art. 5 cpv. d.lgs. cit.), il comitato era
chiamato a deliberare «in ordine alle finalità ed alle attività della Scuola».
Ora, dal momento che le finalità della Scuola erano individuate dalla legge in
maniera tassativa, la disposizione andava intesa nel senso che al comitato
direttivo facessero capo le determinazioni d’ordine generale e le scelte di
fondo sull’offerta formativa. Oggi, invece, non solo la predetta disposizione
non figura più, ma la l. 30 luglio 2007, n.
In particolare:
·
ai
sensi dell’art. 2, comma primo, lett. o), il comitato è chiamato a svolgere
attività di «collaborazione» con il C.S.M. in relazione al tirocinio dei
magistrati ordinari «nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio
superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli
giudiziari»: dal che è dato desumere che le direttive del C.S.M. hanno qui
valore vincolante;
·
ai
sensi dell’art. 5, comma secondo, il comitato deve, nell’adozione e
modificazione del programma annuale dell’attività didattica, «tenere conto»
«delle linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio superiore della
magistratura e dal Ministro della giustizia»;
·
sempre
ai sensi della norma da ultimo citata, il comitato deve altresì approvare «la
relazione annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio
superiore della magistratura»;
·
ai
sensi dell’art. 18 d.lgs. cit., nella versione attuale, viene sottratto al
comitato il potere di determinare «le modalità di svolgimento delle sessioni
del tirocinio»; tali modalità sono ora definite con delibera del Consiglio
superiore della magistratura»;
·
l’art.
20, comma primo, d.lgs. cit., nella sua versione attuale, affida al (solo)
C.S.M. il compito di individuare, con le delibere di cui al comma 1
dell’articolo 18, le materie dei corsi di approfondimento teorico-pratico per i magistrati ordinari in
tirocinio; al comitato direttivo è rimesso il compito di determinare, nel
programma annuale, ulteriori materie;
·
ai
sensi dell’art. 20, comma quarto, d.lgs. cit., nella sua versione attuale, il
comitato deve trasmettere al C.S.M., al termine delle sessioni presso la
Scuola, «una relazione concernente ciascun magistrato» in tirocinio;
·
l’art.
21, comma terzo, d.lgs. cit., nella versione attuale, sottrae alla Scuola,
affidandolo al C.S.M. su proposta del competente consiglio giudiziario, il
potere di designare «i magistrati affidatari presso i quali i magistrati
ordinari svolgono i prescritti periodi di tirocinio»; magistrati affidatari
che, secondo il comma quarto del medesimo articolo, «al termine
della sessione, (…) compilano, per ciascun magistrato ordinario in tirocinio
loro assegnato, una scheda valutativa che trasmettono al comitato direttivo ed
al Consiglio superiore»;
·
ai
sensi dell’art. 22, nella sua versione attuale, il comitato direttivo deve
trasmettere «al Consiglio superiore della magistratura le relazioni redatte
all’esito delle sessioni unitamente ad una relazione di sintesi predisposta dal
comitato direttivo della Scuola»; segue, nei commi successivi, una procedura
che affida al C.S.M. l’emanazione del giudizio di idoneità, così sottraendo
alla Scuola (attraverso i competenti comitati di gestione, ora soppressi)
l’emanazione di quell’atto (il giudizio di idoneità, per l’appunto, degli
uditori, ora denominati «magistrati ordinari in tirocinio»), che ad essa era
affidata dal d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione originale.
Per quanto attiene in
particolare alla programmazione dell’attività didattica, va osservato che la
legge delega del 2005 si limitava alla previsione dei comitato come organo
direttivo e non ne definiva altrimenti i compiti, se non attribuendogli la
programmazione didattica e precisando che il comitato si sarebbe avvalso a tal
fine delle proposte del C.S.M., del Ministro della giustizia, del Consiglio
nazionale forense, dei Consigli giudiziari, del Consiglio direttivo della Corte
di cassazione, e delle proposte dei componenti del Consiglio universitario
nazionale esperti in materie giuridiche. Si è esattamente osservato in
proposito [155] che, mentre la legge
delega si limitava a prevedere la possibilità che il comitato direttivo si
servisse del contributo di tutti questi organi [156], il d.lgs. n. 26 del
2006 aveva trasformato la disposizione in termini tali da far ritenere che il
comitato direttivo fosse tenuto ad una necessaria consultazione preventiva per
la raccolta delle eventuali indicazioni da utilizzare nella redazione della
programmazione didattica (cfr. art. 5, terzo comma, d.lgs. cit., nella sua
versione originaria: «Il comitato direttivo (…) programma l’attività didattica
della Scuola, avvalendosi delle proposte…»). La versione attuale dell’art. 5
cit. rafforza quest’ottica di cooperazione con il C.S.M., imponendo, come già
detto, al comitato, di «tenere conto» delle «linee programmatiche proposte
annualmente dal Consiglio superiore della magistratura», peraltro qui posto
(impropriamente, ad avviso dello scrivente, avuto riguardo a quanto disposto
dall’artt. 105 e 110 Cost.) su di un piano di perfetta parità con il Ministro
della giustizia.
Sul punto il già
ricordato parere del C.S.M. emesso il 31 maggio
Lo stesso rilievo vale
anche a rispondere alle preoccupazioni espresse dal C.S.M. nel cennato parere [157], circa il fatto che
all’organo di autogoverno non sia riservata alcuna valutazione circa la
formazione dell’albo dei docenti: ciò che del resto non potrà avere se non
benefici effetti, anche in vista del necessario superamento di quelle deleterie
pratiche di «lottizzazione» che hanno talora caratterizzato la scelta dei
relatori ai corsi di formazione organizzati dal C.S.M. Proprio per questa
ragione non appaiono condivisibili le proposte avanzate dal C.S.M., sempre nel
suddetto parere, di introdurre: «a) la previsione di oneri di
comunicazione da parte degli organi della scuola al CSM, nel rispetto
dell’autonomia della prima e delle prerogative costituzionali del secondo; b) una disciplina delle modalità di
verifica e controllo sull’attività della scuola e dei suoi organi, fino
alla possibilità di una loro
sostituzione; d) la previsione
della nomina, in via ordinaria o straordinaria, di un comitato di verifica e
valutazione».
Maggior fondamento
sembrano avere invece le preoccupazioni dell’organo di autogoverno [158] circa la necessità di
coordinare le linee di «politica formativa» espresse dal Consiglio con i
criteri per la scelta dei partecipanti agli incontri di studio, avuto anche
riguardo al carattere (oggi) obbligatorio della formazione permanente e alla
inscindibile correlazione tra criteri di ammissione ed effettività della
formazione per ogni singolo magistrato, ciò che renderebbe necessario
predisporre – se non proprio, come auspicato dal Consiglio «una qualche forma
di controllo e di verifica da parte del Consiglio sui criteri adottati dalla
scuola» – quanto meno un’intensa attività di (stabile) coordinamento tra C.S.M.
e Scuola.
All’art. 12, comma
primo, lett. a), del d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione attualmente in
vigore, fanno la loro comparsa, per la prima (e unica) volta nel contesto della
novella del 2007, due nuovi attori: vale a dire il Consiglio nazionale forense
e il Consiglio universitario nazionale, invididuati quali soggetti da cui
dovrebbero pervenire non meglio precisate «proposte» sul «programma annuale
delle attività didattiche», in vista della predisposizione, da parte dei
responsabili di settore, di una bozza di programma, da sottoporre al comitato direttivo.
Da notare, peraltro, che già il comma terzo (ora abrogato) dell’art. 5 del
d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione originale, stabiliva che il comitato
direttivo, tra l’altro, programmasse l’attività della Scuola avvalendosi anche
delle proposte del Consiglio nazionale forense, «nonchè delle proposte dei
componenti del Consiglio universitario nazionale esperti in materie
giuridiche».
Nella versione originale
del d.lgs. n. 26 del 2006 al comitato spettava anche il potere di direzione e
di controllo sul personale assegnato; conseguentemente, è da ritenere che gli
competessero tutti i poteri di gestione del personale, sia pure nel ristretto
ambito delineato dalla posizione di personale soltanto comandato ed in organico
presso il Ministero della giustizia o altre amministrazioni. In proposito si
dovrà però notare che la l. 30 luglio 2007, n. 111, riformulando l’art. 5 del
d.lgs. cit., non ha ripetuto l’inciso di cui al capoverso, secondo cui il
comitato «esercita funzioni di indirizzo, nonchè di controllo sul personale
assegnato». Rimane peraltro la disposizione (cfr. l’art. 5, comma secondo,
d.lgs. cit., nella sua versione attuale) che affida al comitato, tra l’altro,
il compito di «vigila(re) sul corretto andamento della Scuola». Quanto sopra va
però ulteriormente coordinato con l’introduzione della nuova figura del
segretario generale [159], al quale l’art. 17-bis, novellamente introdotto, affida tra
l’altro il compito di «responsabile della gestione amministrativa», oltre che quello
di «coordina(re) tutte le attività della Scuola con esclusione di quelle
afferenti alla didattica». Può dunque ritenersi che ora il potere di direzione
e di controllo sul personale assegnato – e dunque tutti i poteri di gestione
del personale – competano al segretario generale, ovviamente sotto la vigilanza
del direttivo, tenuto, per l’appunto, come si è appena visto, a «vigila(re) sul
corretto andamento della Scuola», in tutti gli aspetti, sia amministrativi che
didattici. Sarà comunque opportuno che questo punto sia chiarito con maggior
precisione dallo statuto.
Come osservato a
commento dell’originaria versione del d.lgs. n. 26 del 2006 [160], le regole di
riferimento per l’esercizio dei poteri del comitato non sono dettate dal
decreto legislativo, né dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, perché il comitato ha
un potere normativo, che si esplica innanzi tutto nell’adozione dello statuto
della Scuola e quindi nella formulazione dei regolamenti interni che si
renderanno necessari per il buon funzionamento dell’istituto. Sul punto il
decreto legislativo, nel silenzio della legge delega, che neppure menziona i
poteri regolamentari, stabilisce soltanto la basilare regola per l’adozione
delle relative delibere.
La regola generale è
quella della deliberazione a maggioranza relativa, con un quorum strutturale di otto membri sui dodici che compongono il
comitato (cfr. art. 7, d.lg.s cit., nella sua versione attualmente in vigore).
La maggioranza assoluta dei voti (sette) è invece richiesta «per gli atti di
straordinaria amministrazione», tranne che per l’adozione dello statuto che, ai
sensi dell’art. 3 d.lgs. cit., nella sua versione attualmente in vigore,
richiede il voto favorevole di almeno otto componenti. Sul punto (introduzione
di un principio generale per gli atti di straordinaria amministrazione) il
nuovo art. 7, primo comma, del d.lgs. cit., nel distaccarsi dalla versione
anteriore alla riforma del 2007 (che richiedeva la maggioranza assoluta
soltanto per l’adozione dello statuto e per l’elezione al proprio interno del
presidente), viene a porre una regola che potrà dal luogo a non poche
contestazioni, essendo il discrimen
tra ordinaria e straordinaria amministrazione, come noto, assai labile. Si
prevede poi che, in caso di parità, prevalga il voto del presidente e che il
voto sia sempre palese. Il secondo comma dell’art. 7 cit., rimasto invariato,
continua a stabilire che «Il
componente che si
trova in conflitto
di interesse in relazione a una
specifica deliberazione ovvero se ricorrono motivi di opportunità, dichiara
tale situazione al comitato e si astiene dal partecipare alla
discussione e alla relativa deliberazione». Infine, come già ricordato nel
paragrafo precedente, gli artt. 8, 9 e 10, pure rimasti invariati, si occupano
dell’indipendenza dei componenti, delle loro incompatibilità e del trattamento
economico.
Da notare, infine, che
l’abrogazione della disposizione di cui al primo dell’art. 5 d.lgs. n. 26 del
2006, nella sua versione originale, secondo cui il comitato si sarebbe dovuto
riunire nella sede individuata per i distretti ricompresi nelle regioni Marche,
Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna, viene a consentire (molto
opportunamente) l’eventualità di un direttivo, per così dire, «itinerante»,
pronto a riunirsi in ciascuna delle tre sedi a seconda delle esigenze del
momento. La questione è peraltro legata al tema, già affrontato, della
pluralità delle sedi della Scuola: un’improvvida scelta i cui effetti
pesantemente negativi potranno essere attenuati esclusivamente assegnando, come
si è detto, ad ogni sede distinte competenze «per materia» [161].
25. Gli altri organi della Scuola dopo la riforma
di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111: presidente del comitato direttivo, responsabili di settore e segretario
generale.
Nel sistema del d.lgs.
30 gennaio 2006, n. 26 il presidente del comitato direttivo è l’organo che ha
la rappresentanza della Scuola e il principio è rimasto invariato anche dopo la
promulgazione della l. 30 luglio 2007, n. 111. Il disegno della normativa
italiana si scosta qui in maniera evidente da quello delle Scuole e degli
istituti di formazione della maggior parte degli altri Paesi europei, poiché
non prevede la figura del direttore, che è l’organo cui spettano non solo i
poteri di rappresentanza verso l’esterno, ma anche, e soprattutto, poteri di
direzione e gestione. Da notare che, nell’ottica della legge delega [162], le funzioni di
direzione avrebbero dovuto essere riconosciute, semmai, al comitato direttivo
nel suo complesso, con quale risultato per la funzionalità dell’istituto non è
certo difficile immaginare. Il d.lgs. n. 26 del 2006 si muoveva linearmente in
tale ottica (di sicuro non condivisibile), sovranamente disinteressandosi delle
questions d’intendance, frettolosamente e genericamente rimesse ai comitati
di gestione (oggi soppressi).
Il tema viene invece –
anche se solo timidamente e parzialmente – affrontato dalle modifiche
introdotte dalla l. 30 luglio 2007, n. 111. Ci si intende qui riferire in
particolare alla disposizione di cui all’art. 12, comma primo, lett. b), d.lgs.
cit., nel testo oggi vigente, che affida ai responsabili di settore
«l’attuazione del programma annuale dell’attività didattica approvato dal
comitato direttivo», nonché alla regola contenuta nell’attuale primo comma
dell’art. 11 d.lgs. cit., che rimette allo stesso presidente del comitato
direttivo il potere, tra l’altro, di «adotta(re) i provvedimenti d’urgenza, con
riserva di ratifica se essi rientrano nella competenza di altro organo». Attesa
la tacitiana laconicità del testo normativo (e a parte le amare constatazioni
sul pregiudizio, tanto diffuso in questo nostro curioso Paese, per cui
realizzare una qualche iniziativa significa esclusivamente limitarsi a
«partorire idee», dimenticandosi poi completamente del fatto che le idee
possono camminare solo sulle gambe degli uomini…), non rimarrà che confidare
nello statuto e nei regolamenti attuativi, perché in tali documenti siano
fissati (e specificati con chiarezza!) i poteri e doveri di intervento
attuativo dei vari soggetti coinvolti, e vengano tracciate le linee di
demarcazione, necessarie al fine di evitare quelle pericolosissime actiones finium regundorum, che – croce
e delizia dei troppi italici nostalgici di Bisanzio – finiscono con il
paralizzare del tutto anche le più geniali e innovative intraprese.
Ai sensi dell’art. 11
d.lgs. cit. «Il presidente (…) è eletto tra i componenti del comitato direttivo
a maggioranza assoluta». L’impiego della preposizione «tra», anziché di quella
«dai» rende evidente che la scelta non può ricadere se non su uno dei membri
del comitato stesso [163].
La l. 30 luglio 2007, n.
Secondo il testo
normativo, dunque, anche il presidente del comitato direttivo è, ipso iure, un potenziale responsabile di
settore, anche se appare opportuno che lo statuto e i regolamenti di attuazione
chiariscano questo punto. Per quanto riguarda invece gli «ambiti specifici di
attività» il pensiero corre immediatamente alle «classiche» ripartizioni delle
scienze giuridiche (civile, commerciale, industriale, lavoro, famiglia,
minorile, penale, procedure, ecc.), anche se nulla esclude l’individuazione di
«ambiti» intesi in senso diverso e più legato alle funzioni della Scuola e
della realtà giudiziaria (ad es.: penale requirente, penale giudicante,
rapporti internazionali, funzioni direttive, magistratura onoraria, ecc.). Una summa divisio che si imporrà
immediatamente al comitato direttivo sarà quella tra formazione iniziale e
formazione continua (e complementare), anche se, atteso l’inquietante rapporto
tra il numero ridottissimo di componenti a tempo pieno (sette su dodici) e la
ciclopica mole di lavoro da svolgere, non sembra irragionevole immaginare che
la ripartizione finirà con l’effettuarsi, innanzi tutto, per materie, mentre,
per ognuna di esse, i «Cirenei» di turno saranno chiamati a portare entrambe le
«croci» (formazione iniziale e formazione permanente)…
Ecco ora come vengono,
testualmente, elencate dall’art. 12 cit. le funzioni dei responsabili di
settore:
«a) la predisposizione
della bozza di programma annuale delle attività didattiche, da sottoporre al
comitato direttivo, elaborata tenendo conto delle linee programmatiche sulla
formazione pervenute dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro
della giustizia, nonché delle proposte pervenute dal Consiglio nazionale
forense e dal Consiglio universitario nazionale;
b) l’attuazione del
programma annuale dell’attività didattica approvato dal comitato direttivo;
c) la definizione del
contenuto analitico di ciascuna sessione;
d) l’individuazione dei
docenti chiamati a svolgere l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione,
utilizzando lo specifico albo tenuto presso la Scuola, e la proposta dei
relativi nominativi, in numero doppio rispetto agli incarichi, al comitato
direttivo;
e) la proposta dei
criteri di ammissione alle sessioni di formazione;
f) l’offerta di sussidio
didattico e di sperimentazione di nuove formule didattiche;
g) lo svolgimento delle
sessioni presentando, all’esito di ciascuna di esse, relazioni consuntive».
Particolarmente
opportuna appare la previsione dell’obbligo per i responsabili di settore di
predisporre il materiale didattico per le varie sessioni formative e, soprattutto,
di curare la sperimentazione di metodologie didattiche, così come di presentare
(è da presumere: al consiglio direttivo) relazioni consuntive sullo svolgimento
delle sessioni, anche se la già ricordata esiguità della pattuglia dei
componenti del direttivo (e in particolare di quelli attivi full time) non consente di formulare
previsioni ottimistiche al riguardo.
Un’ultima
considerazione critica s’impone sul punto. Come già rilevato da chi scrive in
sede di valutazione di un progetto di Scuola della magistratura, ormai
risalente, che prevedeva, al vertice dell’istituto, uno sdoppiamento tra
consiglio scientifico e comitati di gestione [165], un siffatto tipo di
soluzione «bicefala», pur se aliena al modello francese – nel quale l’Ecole è dotata di un solo consiglio
d’amministrazione – meglio si adatterebbe, con ogni probabilità, alla peculiare
realtà del nostro Paese. In esso, invero, l’idea che molti giuristi hanno circa
qualità e quantità del contributo da fornire in seno ad un comitato o consiglio
direttivo si limita al «parto di idee» (o alla critica, magari feroce, di
quelle altrui!), nel corso di tanto interminabili quanto inconcludenti
discussioni. In realtà, l’organizzazione di una moderna struttura formativa, in
grado di rispondere alle attese dei magistrati destinatari della formazione,
richiede che anche i membri di siffatti alti consessi sappiano «rimboccarsi le
maniche» e non disdegnino di compiere tutta una serie di attività, tanto umili
(cercare numeri di telefono, redigere documenti al computer, inviare e ricevere
corrispondenza di ogni tipo e, oggi soprattutto, elettronica, correre
letteralmente dietro ai – sovente introvabili – docenti e relatori, ecc.),
quanto assolutamente indispensabili per la buona riuscita delle attività di formazione.
Ecco dunque la ragione
di quell’astuto espediente: un consiglio scientifico per soddisfare ambizioni
togate o baronali; uno o più comitati di gestione per consentire a chi abbia
veramente voglia di «sporcarsi le mani» la possibilità di tradurre in un
concreto, quotidiano operare le necessità concrete della formazione. Sotto
questo profilo (e, ovviamente, solo in questa particolarissima ottica)
l’opzione della l. 30 luglio 2007, n. 111, per un direttivo che deve
necessariamente svolgere attività di gestione materiale e non solo di «alto
indirizzo» (come comprovato dal fatto che sono stati eliminati i comitati di
gestione previsti dalla versione originale del d.lgs. n. 26 del 2006, nonché
dal fatto che ora si prevede che i responsabili di settore siano scelti proprio
tra i membri del comitato direttivo) non può non destare perplessità. Il
rischio, sul piano pratico, è infatti quello che la scelta, in merito ai
componenti, di figure di troppo «alto profilo» finisca con il condannare, di
fatto, la nuova struttura alla paralisi [166]. Sotto questo peculiare
profilo, dunque (e, sia ben chiaro, avendo di mira la sola preoccupazione che
qui si è cercato di enucleare, anche sulla base dell’esperienza personale),
sarebbe forse stato meglio affiancare ad un comitato direttivo, composto da un
numero più ristretto di persone, un vasto comitato di gestione.
Venendo
ora a trattare della figura del segretario generale andrà detto che essa è
stata introdotta ex novo dalla l. 30
luglio 2007, n. 111, che ha inserito nel d.lgs. n. 26 del 2006 un’apposita
sezione (la IV-bis), composta dagli
artt. 17-bis e 17-ter. A norma del primo dei due articoli
citati, le funzioni di quest’organo sono così elencate:
«a) è responsabile della gestione amministrativa e coordina tutte
le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica;
b)
provvede
all’esecuzione delle delibere del comitato direttivo esercitando anche i
conseguenti poteri di spesa;
c)
predispone
la relazione annuale sull’attività della Scuola;
d)
esercita le
competenze eventualmente delegategli dal comitato direttivo;
e)
esercita
ogni altra funzione conferitagli dallo statuto e dai regolamenti interni».
La
figura si ispira a quella analoga presente presso il C.S.M., disciplinata
dall’art.
Dal sistema, così come
delineato dalla l. 30 luglio 2007, n. 111, emerge una distinzione tra:
(i)
funzioni
conferite al segretario generale direttamente dalla legge;
(ii)
funzioni
delegate al segretario generale dal comitato e
(iii)
funzioni
conferite al segretario generale dallo statuto e dai regolamenti interni.
Per le funzioni sub (i) provvede, come si è detto,
direttamente la norma. Vengono in rilievo in proposito le ipotesi delineate
dalle lett. a), b), c) del citato art. 17-bis.
Con particolare riguardo alla prima di esse, potrà ricordarsi [169] che l’attribuzione
della responsabilità della gestione amministrativa e del coordinamento di tutte
le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica
comporta anche il potere di direzione e di controllo (sotto la vigilanza del
comitato direttivo) sul personale assegnato e dunque tutti i poteri di gestione
del personale, sia pure nel ristretto ambito delineato dalla posizione di
personale soltanto comandato ed in organico presso il Ministero della giustizia
o altre amministrazioni. La conclusione appare del resto confermata dal
raffronto con la «figura di riferimento», costituita dal segretario generale
del C.S.M., cui l’art. 9, lett. f), del regolamento interno dell’organo di
autogoverno attribuisce il compito di «assicura(re) il buon andamento dei
servizi e degli uffici e sovraintende(re) al personale addetto al Consiglio»,
anche se va ribadita l’opportunità che questo punto sia chiarito con maggior
precisione dallo statuto.
Venendo ora a dire delle
funzioni sub (ii) – vale a dire
quelle delegabili – fermo restando che sarebbe stata certamente ausipicabile la
predisposizione di un preciso elenco da parte dell’articolo novellamente
introdotto dalla legge in esame, dovrà necessariamente pensarsi tanto a
possibilità di delega di carattere generale, sulla base di disposizioni
statutarie o regolamentari, così come anche a delege di volta in volta
formulate sulla base di deliberazioni assunte ad hoc.
Ad avviso dello
scrivente non appare comunque concepibile che la delega, vuoi generale, vuoi
speciale, possa investire funzioni che costituiscono il proprium dell’attività del comitato direttivo. Così, avuto riguardo
all’elenco delle funzioni di cui all’art. 5 del citato d.lgs. nella sua
versione attualmente in vigore, non sembra possibile che il comitato possa
delegare al segretario generale materie quali l’adozione e la modifica dello
statuto e dei regolamenti interni, l’adozione e la modifica del programma
annuale dell’attività didattica, l’approvazione della relazione annuale (che,
come si è appena visto, va predisposta proprio dal segretario generale), la
nomina dei docenti, la determinazione dei criteri di ammissione ai corsi, il
conferimento ai responsabili di settore dell’incarico di curare ambiti
specifici di attività, la nomina (per ovvie ragioni) dello stesso segretario
generale e l’approvazione del bilancio di previsione e di quello consuntivo. Si
può dunque pensare che i settori nei quali la delega in discorso possa
esercitarsi siano quelli della tenuta dell’albo dei docenti (fermo restando che
ogni eventuale contestazione e comunque ogni decisione, in caso di dubbio,
sull’inserimento o sulla cancellazione dei nominativi, non potrà essere se non
di pertinenza del comitato), nonché lo svolgimento delle procedure di
ammissione dei partecipanti ai corsi, per lo meno per quanto attiene alla
materiale applicazione dei criteri determinati dal comitato in relazione ad
ogni singola attività formativa, con riserva al comitato direttivo del potere
di decidere su ogni eventuale contestazione.
Per ciò che attiene,
invece, alla «vigilanza sul corretto andamento della Scuola», la disposizione
di cui all’art. 5 cit., che attribuisce, appunto, siffatta competenza al
comitato, va coordinata con quanto previsto dalla lett. a) dell’art. 17-bis, secondo cui il segretario generale
«è responsabile della gestione amministrativa e coordina tutte le attività
della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica». Ne consegue
che, mentre per quanto attiene alle attività di carattere amministrativo la
concreta gestione compete al segretario generale, spettando al comitato
esclusivamente un potere di vigilanza, per ciò che riguarda le attività
didattiche la concreta gestione è di pertinenza di ogni responsabile di settore
(cfr. art. 12, lett. b), c), f), g), d.lgs. cit.), competendo la vigilanza al
comitato, con l’ulteriore precisazione che, come si è già detto,
l’individuazione dei docenti appare il frutto di una sorta di «concerto» tra
responsabili di settore e comitato (cfr. art. 12, lett. d), d.lgs. cit.: al
comitato compete la scelta di uno dei due nomi proposti per ogni incarico),
mentre la determinazione dei criteri di ammissione è di competenza del comitato
su proposta dei responsabili di settore (cfr. art. 12, lett. e), d.lgs. cit.).
Infine, per le funzioni sub (iii) occorre pensare ad attività
che, oltre a non essere, per l’appunto, conferite dalla legge, non compaiano
neppure nell’elenco di quelle normativamente attribuite al comitato (poiché in
tale ultima ipotesi si potrebbe semmai pensare ad attività delegabili, secondo
quanto sopra chiarito, vuoi in linea generale sulla base dello statuto e dei
regolamenti, vuoi di volta in volta sulla base di delibere del comitato). Così
si può, ad esempio, immaginare – conformemente del resto a quanto verrà oltre
chiarito [170] – che statuto e
regolamenti si occupino di individuare competenze proprie del segretario
generale in tema di rapporti tra Scuola e C.S.M. per ciò che attiene
all’utilizzo della rete della formazione decentrata, così come in materia di
creazione, mantenimento, implementazione e aggiornamento di un portale web della Scuola, nonché di
intrattenimento di rapporti con il
C.E.D. della Corte di cassazione [171]; ancora, si può pensare
alla gestione dei rapporti con gli uffici giudiziari per la diffusione dei
programmi annuali di formazione permanente e per la organizzazione della
raccolta delle domande di partecipazione ai corsi, l’organizzazione di un
sistema di rilevazione periodica delle
esigenze formative, di valutazione dell’esito degli incontri di studio, ecc.
La nomina del segretario
generale è, ai sensi dell’art. 17-ter
del citato d.lgs. n. 26 del 2006, così come modificato dalla l. 30 luglio 2007,
n. 111, di competenza del comitato direttivo. La scelta deve avvenire tra i
magistrati ordinari, ovvero tra i dirigenti di prima fascia, attualmente in
servizio, di cui all’articolo 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
e successive modificazioni. I magistrati ordinari devono aver conseguito la
quarta valutazione di professionalità. Al segretario generale si applica
l’articolo 6, commi terzo (nella parte in cui si prevede il divieto di far
parte delle commissioni di concorso per magistrato ordinario) e quarto (secondo
cui i componenti cessano dalla carica per dimissioni o per il venire meno dei
requisiti previsti per la nomina).
Sul punto perplessità
sono state espresse dal C.S.M. nel suo parere del 31 maggio 2007 [172], in cui l’organo di
autogoverno ha rilevato che, in considerazione dell’ampiezza e dell’importanza
dei compiti affidati al segretario generale, «lo spazio decisionale del
Consiglio, in relazione alla sua nomina, dovrebbe essere maggiore». Va notato
al riguardo che il d.d.l. che ha portato alla l. 30 luglio 2007, n. 111, nella
sua originale versione, prevedeva che la nomina del segretario generale da
parte del consiglio dovesse avvenire nell’ambito di una rosa di candidati
(magistrati ordinari che avessero conseguito almeno la quarta valutzione di
professionalità), di cui «due indicati dal Consiglio superiore della magistratura
e due dal Ministro della giustizia, tenendo conto dei criteri di valutazione di
cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006,
n. 160, e successive modificazioni». In proposito osservava il C.S.M. nel
sopra ricordato parere che «ragioni di rispetto del principio dell’indipendenza
della magistratura suggerirebbero la designazione da parte del Consiglio su una
rosa eventualmente formulata con il contributo del Comitato Direttivo, fatta
salva la eventualità del concerto con il Ministro ovvero (soluzione tuttavia
meno auspicabile) la nomina da parte del Comitato Direttivo tra una rosa di
nomi individuati dal Consiglio». E’ evidente che ancor meno rispettosa del
principio di indipendenza della magistratura appare la previsione, di cui alla
norma in vigore, della possibilità che un ruolo così delicato come quello del
segretario generale sia affidato ad un soggetto non proveniente dai ranghi
della magistratura.
Ai
sensi del secondo comma dell’art. 17-ter
cit. il segretario generale dura in carica cinque anni durante i quali, se
magistrato, è collocato fuori dal ruolo organico della magistratura.
L’attribuzione dell’incarico ad un dirigente di prima fascia non magistrato
comporta il divieto di coprire la posizione in organico lasciata vacante
nell’amministrazione di provenienza. Infine, per il terzo comma, l’incarico,
per il quale non sono corrisposti indennità o compensi aggiuntivi, «può essere
rinnovato per una sola volta per un periodo massimo di due anni e può essere
revocato dal comitato direttivo, con provvedimento motivato adottato previa
audizione dell’interessato, nel caso di grave inosservanza delle direttive e
degli indirizzi stabiliti dal comitato stesso». Si verifica dunque un’opportuna
«sfasatura» tra la durata in carica del segretario generale e quella del
direttivo, che consente di assicurare continuità di gestione al momento, sempre
delicato, della passation des pouvoirs
da un comitato direttivo all’altro.
FORMAZIONE INIZIALE E FORMAZIONE PERMANENTE DEI MAGISTRATI
ITALIANI NEL SISTEMA RIFORMATO.
CONCLUSIONI
«L’abito di rendere giustizia assai
meglio s’acquista col tirocinio giovanile che in qualunque altro modo».
(L. Mortara, Istituzioni
di ordinamento giudiziario, Firenze, 1890, p. 149).
Sommario:
27. La formazione iniziale dopo la riforma di cui
alla l. 30 luglio 2007, n. 111.
26. La formazione iniziale
nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla
l. 30 luglio 2007, n. 111.
Nel sistema di cui al
d.lgs. n. 26 del 2006, prima della riforma del 2007, il comitato di gestione
per la formazione iniziale era chiamato (cfr. art. 22) ad esprimere le
valutazioni dei risultati del tirocinio, che si doveva svolgere secondo quanto
stabilito dagli artt. da
La legge delega (art. 2,
comma secondo, lett. d), e), f), g), h), i), l. 25 luglio 2005, n. 150)
prescriveva che il tirocinio avesse modalità differenti in riferimento alla
diversità delle funzioni che avrebbero dovuto essere svolte dagli uditori,
giudicanti e requirenti; quindi stabiliva che per ogni sessione, e cioè per la
sessione presso la Scuola superiore e per quella presso gli uffici giudiziari,
fosse compilata una scheda valutativa dell’uditore e che, all’esito del
tirocinio complessivamente inteso, la Scuola esprimesse un giudizio di idoneità
all’assunzione delle funzioni giudiziarie, tenendo conto di tutti i giudizi
espressi sull’uditore nel corso del tirocinio medesimo. Sulla base del giudizio
di idoneità spettava poi al C.S.M. deliberare in via finale. Per il caso in cui
la deliberazione consiliare fosse negativa, la legge delega disponeva che
l’uditore potesse essere ammesso ad un ulteriore periodo di tirocinio per non
più di un anno, e che in caso di ulteriore deliberazione di inidoneità si
avesse la cessazione del rapporto d’impiego.
Si era rilevato al
riguardo che la disciplina della legge delega era particolarmente puntuale,
certamente assai di più di quanto non stabilisse la legge di ordinamento
giudiziario, che con gli artt. 129, r.d. n. 12 del 1941, e 48, d.p.r. n. 916
del 1958, rimetteva al C.S.M. la regolamentazione del tirocinio degli uditori,
limitandosi a fissarne la durata in almeno due anni, da trascorrere presso i
tribunali e le procure della Repubblica con opportuni avvicendamenti, con
possibilità che fossero conferite le funzioni dopo almeno un anno di tirocinio [174].
Il decreto legislativo
n. 26 del 2006, nella sua primitiva versione, dettava la normativa di dettaglio
con la previsione che:
·
la
sessione presso la Scuola dovesse essere la prima in ordine temporale e solo
successivamente l’uditore svolgesse il tirocinio presso gli uffici giudiziari;
·
gli
uditori frequentassero presso le sedi della Scuola corsi di approfondimento
teorico-pratico riguardanti il diritto civile, il diritto penale, il diritto
processuale civile, il diritto processuale penale ed il diritto amministrativo,
con eventuale approfondimento anche di altre materie tra quelle comprese nella
prova orale del concorso per l’accesso;
·
la
sessione presso la Scuola dovesse in ogni caso tendere al perfezionamento delle
capacità operative e della deontologia dell’uditore giudiziario;
·
le
schede valutative fossero compilate al termine della sessione dai singoli
docenti per ciascun uditore e tali schede venissero poi trasmesse al comitato
di gestione della sezione per il tirocinio per le conseguenti valutazioni.
Come si diceva, la
sessione presso gli uffici giudiziari si articolava invece in tre periodi, l’uno
di sette mesi presso i tribunali, che impegnava nella partecipazione
all’attività giurisdizionale presso gli organi giudicanti di composizione
collegiale [175], ivi compresa la
partecipazione alle camere di consiglio; l’altro di tre mesi, presso le procure
della Repubblica; l’altro ancora di otto mesi, che era svolto presso un ufficio
corrispondente a quello di prima destinazione.
Il programma di
tirocinio presso gli uffici giudiziari, svolto presso gli uffici del capoluogo
del distretto di residenza dell’uditore, doveva essere approvato dal comitato
di gestione, che poteva autorizzare, per gravi e motivate esigenze, lo
svolgimento presso altra sede. Spettava al comitato di gestione
l’individuazione dei magistrati affidatari, che all’esito avrebbero dovuto
compilare le schede di valutazione per ciascun uditore e trasmetterle al
comitato di gestione. Il giudizio di idoneità all’assunzione delle funzioni era
formulato dal comitato di gestione sulla base delle schede di valutazione
redatte dai docenti e dai magistrati affidatari e sulla base di ogni altro
elemento rilevante a fini valutativi, raccolto durante le sessioni di
tirocinio. I giudizi di idoneità avrebbero dovuto quindi essere inviati al
C.S.M., che sulla loro base e tenuto conto di ogni altro elemento eventualmente
acquisito avrebbe dovuto deliberare sull’idoneità all’assunzione delle
funzioni. In caso di valutazione negativa, si prevedeva che l’uditore venisse
ammesso ad un nuovo periodo di tirocinio della durata di un anno, di cui due
mesi impiegati presso le sedi della Scuola ed il restante periodo in una
sessione presso gli uffici giudiziari. Per l’ipotesi che si avesse una seconda
valutazione negativa, il C.S.M. avrebbe dovuto disporre la cessazione del
rapporto d’impiego [176].
Sull’articolazione del
tirocinio la Commissione giustizia del Senato aveva rilevato in sede di parere,
reso nella seduta del 1° dicembre 2005, che appariva assai poco funzionale la
suddivisione netta in due distinti periodi, del periodo presso la Scuola
superiore e del periodo da trascorrere presso gli uffici giudiziari. Aveva
osservato che i sei mesi consecutivi presso la Scuola erano «assai difficili da
sopportare, soprattutto per chi non risiede in
loco» e che era infelice la formula didattica sostanzialmente riproduttiva
di quella universitaria, articolata interamente secondo programmi di studio
teorico [177].
Si era poi osservato, in
sede di commento delle citate disposizioni [178], che, nel sistema di
cui al d.lgs. n. 26 del 2006, nella sua versione originale, l’uditore giudiziario
era valutato per il periodo di tirocinio in cui non esercitava le funzioni, e
dopo l’accesso alle funzioni era sottoposto ad una nuova valutazione da parte
del C.S.M. (sempre che non volesse partecipare al concorso per il mutamento di
funzioni nel triennio dall’assunzione delle funzioni giudiziarie), al settimo
anno di ingresso in magistratura, previa frequentazione obbligatoria di un
corso di aggiornamento e formazione presso la Scuola superiore. Per il caso di
valutazione consiliare negativa il magistrato, che avrebbe dovuto possedere già
alle sue spalle ben sette anni di esercizio di funzioni giudiziarie e quindi
almeno nove anni di anzianità di ruolo a far data dall’ingresso in
magistratura, sarebbe stato sottoposto a nuove valutazioni, per non più di due
volte a distanza di almeno un biennio tra ogni valutazione. Ove le due
valutazioni avessero dato esito negativo, il magistrato avrebbe dovuto essere
dispensato dal servizio per inettitudine.
Il meccanismo di
controllo della professionalità era, in buona sostanza, di minor rigore di
quello precedente, dal momento che per la nomina a magistrato di tribunale, in
precedenza, l’uditore giudiziario doveva avere svolto almeno un anno di
effettive funzioni giudiziarie, e che l’esercizio effettivo delle funzioni era
oggetto privilegiato del controllo valutativo del C.S.M., e ciò a poco più di
due anni dall’ingresso in magistratura, con possibilità quindi di rimediare
assai più celermente ad eventuali inettitudini professionali rivelatesi sul
campo. Il d.lgs. n. 26 del 2006, invece, spostava in avanti il momento del
primo controllo consiliare sulle concrete capacità professionali del
magistrato, lasciando un periodo iniziale di esercizio delle funzioni
giudiziarie, il più delicato e quello se si vuole di maggiore impatto, senza la
previsione di momenti di verifica di professionalità. Si aveva così la
dilatazione irragionevole di un necessario periodo di prova del magistrato
appena assunto, che poteva durare ben undici anni nella sua estensione massima,
con possibilità che il magistrato fosse dispensato per inettitudine a tredici
anni dalla nomina ad uditore giudiziario [179].
A quanto sopra
s’aggiunga ancora che, come rilevato dall’A.N.M. [180], e dal C.S.M. [181], la previsione di
attribuire ai comitati di gestione il compito di individuare, presso ciascun
ufficio giudiziario, i
magistrati affidatari appariva contraria a qualsiasi criterio di
razionalità e di efficienza sotto molteplici profili, quali:
·
la
mancanza di organiche informazioni sulla vita professionale dei singoli
magistrati, di cui è unico depositario legittimo il C.S.M.;
·
l’assenza
di compiuta conoscenza, da parte di un organismo centrale al di fuori del
circuito dell’autogoverno che si avvale dell’insostituibile ruolo dei Consigli
giudiziari, della realtà dei singoli uffici giudiziari;
·
l’impossibilità
di ovviare con tempestività alle eventuali modifiche del piano di tirocinio
locale alla luce di sopravvenuti impedimenti di singoli affidatari;
·
l’esiguità
del numero dei membri dei Comitati di gestione e la molteplicità dei compiti ad
essi affidati.
Conclusivamente sul
punto, non vi è dubbio che la normativa delegata, nella sua originaria
formulazione, non sciogliesse i dubbi espressi dal C.S.M. circa la legittimità
di una post-selezione rispetto a chi aveva superato un concorso sulla base di
prove scritte ed anonime valutate da commissioni interamente nominate dal
Consiglio superiore, atteso che questa post-selezione si fondava sul risultato
di corsi non certo caratterizzati dalle stesse garanzie del concorso per l’ammissione
in magistratura. A prescindere dunque dalla correttezza personale dei singoli
docenti, era il sistema di garanzie istituzionali creato dal Costituente a
venir meno, con grave rischio che l’indipendenza dei magistrati non fosse più
protetta da condizionamenti, anche culturali, provenienti da soggetti non
inquadrati nel sistema previsto dalla nostra Carta fondamentale.
27. La formazione iniziale dopo la riforma di cui
alla l. 30 luglio 2007, n. 111.
La l. 30 luglio 2007, n.
111 dispone, innanzi tutto, che la rubrica del titolo II del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 sia sostituita dalla seguente: «Disposizioni
sui magistrati ordinari in tirocinio». La novella elimina dal panorama
legislativo italiano il termine «uditore giudiziario» [182], sostituito dall’espressione «magistrato
ordinario in tirocinio», quasi a voler rimarcare la (peraltro indiscussa)
appartenenza di tali soggetti alla magistratura, forse nell’intento di
contribuire in tal modo a sottrarre la posizione di questi soggetti a possibili
manovre, eventualmente volte a privarli delle garanzie che competono agli
appartenenti all’ordine giudiziario. Dal punto di vista terminologico vi è da
notare che la legge non usa, in relazione ai magistrati di carriera,
l’espressione «formazione iniziale», impiegato solo relativamente alla
formazione della magistratura onoraria. D’altro canto, non essendovi dubbio che
la formazione iniziale ricade nel più ampio concetto di «formazione», cui fa
richiamo l’art. 2, lett. a) e b) del citato d.lgs., la Scuola debba ritenersi
investita di siffatta competenza. Peraltro andrà subito aggiunto che precisi
limiti, in questo settore, paiono posti dal fatto che la successiva lett. o)
del menzionato art. 2 restringe l’attività della Scuola alla semplice «collaborazione alle attività connesse con lo
svolgimento del tirocinio dei magistrati ordinari nell’ambito delle direttive
formulate dal Consiglio superiore della magistratura e tenendo conto delle
proposte dei consigli giudiziari». Può dunque dirsi che la formazione iniziale
dei magistrati ordinari costituisce, nel disegno riformatore, il frutto di
un’opera sinergetica del C.S.M. e della Scuola, come del resto verrà illustrato
tra breve.
La durata del tirocinio
dei magistrati ordinari nominati a seguito di concorso per esame, di cui
all’articolo 1, comma primo, del decreto legislativo 5 aprile 2006,
n. 160, e successive modificazioni, viene ridotta da ventiquattro (secondo
quanto stabilito dall’originaria versione dell’art. 18 d.lgs. cit.) a diciotto mesi e dunque riportata alla
durata stabilita dalla legislazione in vigore prima della riforma del 2006 [183]. Si tratta di una
soluzione sicuramente criticabile [184], specie alla luce delle
esperienze straniere [185], in relazione alle
quali deve rilevarsi che il periodo di tirocinio – pur senza spingersi agli
«eccessi» di determinate legislazioni (si pensi al caso olandese, in cui la
formazione iniziale degli uditori neolaureati dura sei anni!) – non è
mediamente inferiore ai due anni.
La norma prevede poi che
il tirocinio si articoli in sessioni, una delle quali della durata di sei mesi,
anche non consecutivi, effettuata presso la Scuola ed una della durata di
dodici mesi, anche non consecutivi, effettuata presso gli uffici giudiziari. Le
modalità di svolgimento delle sessioni del tirocinio sono definite con delibera
del Consiglio superiore della magistratura.
Per quanto attiene alla
sessione effettuata presso le sedi della Scuola, dispone l’attuale art. 20
d.lgs. cit. che i magistrati ordinari in tirocinio frequentino corsi di
approfondimento teorico-pratico su materie individuate dal Consiglio superiore
della magistratura con le delibere di cui al comma 1 dell’articolo 18, nonché
su ulteriori materie individuate dal comitato direttivo nel programma annuale.
La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al perfezionamento delle
capacità operative e professionali, nonché della deontologia del magistrato
ordinario in tirocinio. I corsi, come già ricordato, «sono tenuti da docenti di
elevata competenza e professionalità, nominati dal comitato direttivo al fine
di garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico». Tra i docenti sono
designati i tutori che assicurano anche l’assistenza didattica ai magistrati
ordinari in tirocinio. Al termine delle sessioni presso la Scuola il comitato
direttivo trasmette al Consiglio superiore della magistratura una relazione
concernente ciascun magistrato. Sebbene non vi siano disposizioni al riguardo,
non sembra dubbio che anche alla formazione iniziale presso la Scuola debba trovare
applicazione quanto disposto, in tema di formazione continua, dall’art. 24
d.lgs. cit., a mente del quale i docenti vanno «individuati nell’albo esistente
presso la Scuola». Parimenti dovrà ritenersi applicabile la regola (su cui pure
si tornerà in seguito), a mente della quale «Lo statuto determina il numero
massimo degli incarichi conferibili ai docenti anche tenuto conto della loro
complessità e onerosità».
Venendo a trattare della
sessione presso gli uffici giudiziari, va osservato che questa (cfr. l’art. 21
d.lgs. cit.) si articola in tre periodi:
il primo, della durata di quattro mesi, è svolto presso i
tribunali e consiste
nella partecipazione all’attività giurisdizionale relativa
alle controversie o ai
reati rientranti nella competenza del tribunale in composizione collegiale e
monocratica, compresa la
partecipazione alla camera
di consiglio, in
maniera che sia garantita al magistrato ordinario in tirocinio la
formazione di una equilibrata esperienza nei diversi settori;
il secondo periodo, della durata di due mesi, è
svolto presso le
procure della Repubblica presso i tribunali; il terzo
periodo, della durata di sei mesi, è svolto presso un ufficio corrispondente a
quello di prima destinazione del magistrato ordinario in tirocinio.
Il comitato direttivo approva per ciascun
magistrato ordinario in tirocinio il programma di tirocinio da svolgersi presso gli uffici
giudiziari del capoluogo del distretto di residenza del magistrato ordinario in
tirocinio, salva diversa autorizzazione dello
stesso comitato direttivo per
gravi e motivate esigenze; il programma
garantisce all’uditore
un’adeguata formazione nei settori civile, penale e dell’ordinamento
giudiziario e una specifica preparazione nelle funzioni che sarà chiamato a
svolgere nella sede di prima destinazione. Su questa disposizione specifica il
C.S.M., nel più volte ricordato parere formulato il 31 maggio 2007 [186], ha espresso una
valutazione negativa, rilevando che «contrariamente al regime vigente, la
competenza relativa all’approvazione del programma di tirocinio del magistrato
trasmigra dal Consiglio al comitato direttivo della scuola, mentre la
designazione dei magistrati affidatari rimane prerogativa del Consiglio. Si
ritiene che sarebbe più coerente il mantenimento in capo all’organo di
autogoverno del potere di programmazione delle attività insieme a quello della
designazione dei magistrati affidatari in quanto trattasi di profili
complementari che la previsione normativa disgiunge senza ragione». I magistrati
affidatari presso i quali i magistrati in tirocinio svolgono i prescritti
periodi di stage sono – come si è
appena visto – designati dal Consiglio superiore della magistratura, su
proposta del competente consiglio giudiziario. Al termine
della sessione, i
singoli magistrati affidatari compilano,
per ciascun magistrato in tirocinio loro assegnato, una scheda
valutativa, che trasmettono al comitato direttivo ed al Consiglio superiore.
L’art. 22 d.lgs. cit.
stabilisce poi la procedura per il riconoscimento dell’idoneità al conferimento
delle funzioni giudiziarie, prevedendo che al termine del tirocinio siano
trasmesse al C.S.M. le relazioni redatte all’esito delle sessioni unitamente ad
una relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della Scuola. A
questo punto spetta al C.S.M. operare il giudizio di idoneità, «tenendo conto»
dei seguenti elementi:
·
la
relazione redatta dal comitato direttivo all’esito delle sessioni presso la
Scuola,
·
le
relazioni redatte dai singoli magistrati affidatari,
·
la
relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo,
·
il
parere del consiglio giudiziario,
·
ogni
altro elemento rilevante ed oggettivamente verificabile eventualmente
acquisito.
Il giudizio di idoneità,
se positivo, contiene uno specifico riferimento all’attitudine del magistrato
allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti.
In caso di deliberazione
finale negativa (cfr. art. 22, comma quarto, d.lgs. cit.), il Consiglio
superiore della magistratura comunica
la propria decisione
al comitato direttivo. Il magistrato ordinario in tirocinio valutato
negativamente è in tal caso ammesso ad un nuovo periodo di tirocinio
della durata di un anno, consistente in una sessione
presso le sedi della Scuola della durata di due mesi,
che si svolge con le modalità previste
dall’articolo 20, e in una sessione presso gli
uffici giudiziari [187]. Al
termine di questo ulteriore periodo
di tirocinio ed all’esito
del procedimento rinnovato secondo le procedure descritte per
la prima valutazione, il Consiglio superiore
della magistratura delibera
nuovamente; la seconda deliberazione negativa
determina la cessazione
del rapporto di impiego del magistrato ordinario in
tirocinio.
Il giudizio complessivo
sulle novità introdotte dalla l. 30 luglio 2007, n. 111 rispetto al sistema
disegnato dal d.lgs. n. 6 del 2006, nella sua originaria formulazione, non può
essere che positivo. A parte l’eliminazione di alcune incomprensibili assurdità
(si pensi, ad es., alla limitazione del tirocinio negli uffici giudiziari
giudicanti al solo «tribunale in composizione collegiale»), si è varato un
complesso di regole rispettoso delle prerogative consiliari (cfr. art. 105
Cost.) in materia di selezione e reclutamento dei magistrati, istituendosi una
procedura complessa cui concorre certamente, e in misura determinante, la
Scuola, ma nella quale all’organo di autogoverno sono riservate le seguenti,
determinanti, funzioni:
1)
definire
le modalità di svolgimento delle sessioni del tirocinio;
2)
individuare
(almeno in parte) le materie dei corsi di approfondimento teorico-pratico;
3)
ricevere
la relazione predisposta su ciascun magistrato in tirocinio dal comitato
direttivo al termine delle sessioni presso la Scuola;
4)
designare,
su proposta del competente consiglio giudiziario, i magistrati affidatari
presso i quali i magistrati ordinari svolgono i prescritti periodi di
tirocinio;
5)
ricevere
dai magistrati affidatari le schede valutative su ciascun magistrato ordinario
in tirocinio (schede che vanno trasmesse anche al comitato direttivo [188]);
6)
ricevere,
al termine del tirocinio, le relazioni redatte all’esito delle sessioni
unitamente ad una relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della
Scuola;
7)
operare
il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo
conto delle relazioni redatte all’esito delle sessioni trasmesse dal comitato
direttivo, della relazione di sintesi dal medesimo predisposta, del parere del
consiglio giudiziario e di ogni altro elemento rilevante ed oggettivamente
verificabile eventualmente acquisito (da notare che il giudizio di idoneità, se
positivo, contiene uno specifico riferimento all’attitudine del magistrato allo
svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti);
8)
in
caso di deliberazione finale negativa, comunicare la propria
decisione al comitato direttivo;
9)
deliberare
nuovamente sui magistrati in tirocinio su cui sia stata emessa una prima
deliberazione finale negativa, all’esito del periodo di
tirocinio supplementare.
Un profilo negativo è
costituito dall’assenza, nel sistema di formazione iniziale, così come delinato
dalle norme in commento, della figura dei
magistrati collaboratori, che nella concreta esperienza, si sono
rivelati di fondamentale importanza per assicurare agli uditori un costante
punto di riferimento in merito ad ogni necessità del tirocinio, per stimolare
il loro apporto propositivo, per garantire le necessarie forme di coordinamento
anche dell’opera dei singoli affidatari, per favorire la circolarità delle
esperienze sulla base di un metodo formativo ispirato alla massima dialettica e
al pluralismo dei valori e delle idee, per acquisire ogni utile fonte di
conoscenza sulla base della quale formulare attendibili giudizi di idoneità al
conferimento delle funzioni giudiziarie.
L’omissione non sembra
però irrimediabile: invero, l’art. 20, terzo comma, d.lgs. cit., prevede che
«Tra i docenti sono designati i tutori che assicurano anche l’assistenza
didattica ai magistrati ordinari in tirocinio». Ora, se è vero che la
disposizione appare testualmente riferita al solo periodo di permanenza presso
la Scuola, nulla impedisce di estenderla anche alla fase di tirocinio presso
gli uffici giudiziari, posto che le esigenze di apprendimento e di coordinamento
dei vari momenti formativi si pongono in misura eguale in entrambe le fasi del
tirocinio (ed anzi, forse, a maggior ragione durante lo stage presso gli uffici giudiziari, maggiormente caratterizzato dal
rischio di frammentarietà).
28. La formazione continua
nel sistema del d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26, prima della riforma di cui alla
l. 30 luglio 2007, n. 111.
Alla
formazione continua, riduttivamente confusa con la semplice attività di
«aggiornamento professionale» [189], il d.lgs. n. 26 del
2006, nella sua versione originale, dedicava gli artt. da
L’art. 26 d.lgs. cit.,
ora abrogato, specificamente rivolto ai corsi di formazione e di aggiornamento
professionale cui i magistrati avevano l’obbligo di prendere parte ogni cinque
anni, prevedeva che, al termine del corso, il comitato di gestione formulasse
una sintetica valutazione finale sul livello di preparazione del magistrato e
sugli specifici elementi attitudinali allo svolgimento delle funzioni sulla
base dei pareri espressi da docenti in merito ai risultati delle prove
sostenute dai partecipanti ed in base alla diligenza dimostrata nella frequenza
del corso. Se ne deduceva che i corsi avrebbero dovuto essere strutturati con
la previsione di momenti di verifica del rendimento, almeno finali, per dare
modo ai docenti e al comitato di gestione di operare le valutazioni, destinate
ad essere inserite nel fascicolo personale del magistrato in modo che il C.S.M.
ne tenesse contro ai fini delle determinazioni in cui poteva entrare in gioco
un giudizio sulla professionalità [190].
Questo modulo valutativo
era poi osservato per lo svolgimento dei corsi che i magistrati avrebbero
dovuto frequentare al settimo anno dall’ingresso in magistratura, se non
avessero preso parte al concorso per il passaggio da una funzione all’altra a
tre anni dalla nomina. Le valutazioni del comitato di gestione avrebbero così
costituito uno degli elementi che il C.S.M. avrebbe dovuto prendere in esame
per il giudizio di idoneità all’esercizio definitivo delle funzioni giudiziarie
[191]. Anche nel corso della
carriera, ove il magistrato non avesse preso parte ai concorsi per le funzioni
di secondo grado o di legittimità, si sarebbe dovuto reiterare il meccanismo
valutativo del comitato di gestione come esito dell’obbligatoria partecipazione
ai corsi di formazione e di aggiornamento, funzionali alle valutazioni di
professionalità del C.S.M. al compimento del tredicesimo, ventesimo e
ventottesimo anno dall’ingresso in magistratura.
Per quanto concerne i
corsi di formazione diretti invece al conseguimento delle promozioni ed
all’assunzione di incarichi direttivi, l’art. 28, comma sesto, d.lgs. cit., ora
abrogato, prescriveva che «al termine dei corsi ogni docente esprime un parere
su ciascuno dei partecipanti che tenga conto del livello di professionalità
manifestato dal magistrato», senza peraltro far menzione di prove sostenute dai
partecipanti, come invece accadeva all’art. 26, che faceva riferimento ai corsi
di formazione e di aggiornamento professionale. Si è rilevato al riguardo [192] che l’art. 30 d.lgs.
cit., oggi abrogato, dalla rubrica «valutazione della Scuola» (inserito nella
sezione I, intitolata alla «prima valutazione», del Capo IV, relativo alle
«valutazioni periodiche dei magistrati»), introduceva a tal proposito qualche
elemento di incertezza perché, con riferimento generico «al termine di ciascun
corso», prescriveva che il comitato di gestione formulasse una sintetica
valutazione finale «sulla base dei pareri espressi dai docenti ai sensi
dell’art. 28, comma 3, dei risultati delle prove sostenute dai partecipanti».
Sembrava così doversene dedurre che anche i corsi funzionali alle promozioni,
all’assunzione di incarichi direttivi ed al passaggio da una funzione
all’altra, appunto disciplinati all’art. 38, oggi abrogato, si
caratterizzassero per lo svolgimento di prove e quindi di formalizzati momenti
di verifica sul risultato formativo.
Si era pure osservato
che l’inserimento delle valutazioni del comitato di gestione nel fascicolo personale
del magistrato avrebbe reso queste ultime utilizzabili da parte del C.S.M., il
quale non avrebbe però potuto astenersi dal sollecitare, prima della decisione
finale, l’intervento del magistrato interessato per lo svolgimento di eventuali
osservazioni e deduzioni critiche sulle valutazioni stesse, in ossequio al
principio generale che vuole che ogni elemento di valutazione sia utilizzabile
previo il contraddittorio partecipativo con il magistrato destinatario del
provvedimento finale [193].
29. La formazione continua
dopo la riforma di cui alla l. 30 luglio 2007, n. 111. Spunti in tema di
formazione decentrata.
Come già anticipato, la
l. 30 luglio 2007, n.
Così, ai sensi dell’art.
23, il comitato direttivo deve annualmente approvare il «piano dei corsi»:
1)
relativi
alla formazione e dell’aggiornamento professionale;
2)
per
il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa e
3)
per
lo svolgimento delle funzioni direttive.
Tale approvazione deve
avvenire «nell’ambito dei programmi didattici deliberati, tenendo conto della
diversità delle funzioni svolte dai magistrati». La disposizione sembra
presupporre che «piano dei corsi» e «programmi didattici deliberati» siano due
cose distinte. Peraltro il comma secondo del successivo art. 24 stabilisce che
«I corsi
sono teorici e
pratici, secondo il programma e
le modalità previste dal piano approvato dal comitato direttivo»: da tale disposizione
è dunque dato arguire che il «programma» (da intendersi come «programmazione»)
altro non è se non un effetto del «piano» predisposto dal comitato direttivo,
come del resto confermato dall’art. 5 d.lgs. cit., espressamente richiamato
dall’art. 23, che affida al comitato il compito di «adotta(re) e modifica(re),
tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal Consiglio
superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, il programma
annuale dell’attività didattica». «Piano dei corsi» e «programma» sono dunque
due espressioni che, nel contesto del d.lgs. in esame, assumono il medesimo
significato, con il risultato che la disposizione (art. 23 d.lgs. cit.),
secondo cui il comitato direttivo approva annualmente il «piano dei relativi
corsi nell’ambito dei programmi didattici deliberati», contiene un’endiadi di
valore meramente tautologico.
Da notare, poi, che
siffatta attività presuppone la già ricordata elaborazione, da parte dei
responsabili di settore, «della bozza di programma annuale delle attività
didattiche, da sottoporre al comitato direttivo, elaborata tenendo conto delle
linee programmatiche sulla formazione pervenute dal Consiglio superiore della
magistratura e dal Ministro della giustizia, nonché delle proposte pervenute
dal Consiglio nazionale forense e dal Consiglio universitario nazionale» (cfr.
art. 12 d.lgs. cit., nella sua versione attuale).
Dispone quindi l’art. 24
cit. che «i corsi di formazione
e di aggiornamento professionale si svolgono presso le sedi della Scuola e consistono
nella frequenza di sessioni di studio
tenute da docenti
di elevata competenza
e professionalità, individuati nell’albo esistente presso la Scuola. Lo
statuto determina il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti
anche tenuto conto della loro complessità e onerosità». Come già ricordato,
l’albo è aggiornato annualmente dal comitato direttivo in base alle nuove
disponibilità fatte pervenire alla Scuola e alla valutazione assegnata a
ciascun docente tenuto conto anche del giudizio contenuto nelle schede
compilate dai partecipanti al corso.
I corsi
sono teorici e
pratici, secondo il programma e le modalità previste dal piano approvato
dal comitato direttivo. Ai sensi del comma 2-bis, aggiunto dalla l.
30 luglio 2007, n. 111, il comitato direttivo e i responsabili di settore,
secondo le rispettive competenze, usufruiscono delle strutture per la
formazione decentrata eventualmente esistenti presso i vari distretti di corte
d’appello per la realizzazione dell’attività di formazione decentrata e per la
definizione dei relativi programmi.
L’art. 25, d.lgs. cit.
impone l’obbligo, a tutti i magistrati in servizio, di «partecipare almeno una
volta ogni quattro anni ad uno dei corsi di cui all’articolo 24, individuato
dal consiglio direttivo in relazione alle esigenze professionali, di
preparazione giuridica e di aggiornamento di ciascun magistrato e tenuto conto
delle richieste dell’interessato». Per le modalità di partecipazione ai corsi
la norma rinvia «al regolamento adottato dalla Scuola». Opportunamente, poi, il
terzo comma dell’art. cit., dispone che il periodo di partecipazione
all’attività di formazione indicata nel comma secondo è considerato attività di
servizio a tutti gli effetti. Sul punto potrà notarsi che, quasi per
«compensare» lo smantellamento del macchinoso sistema di valutazioni di cui
alla originaria versione del d.lgs. n. 26 del 2006, la l. 30 luglio 2007, n.
111, è venuta ad introdurre una più intensa attività di formazione continua
obbligatoria, predendosi ora, per l’appunto, l’obbligo di partecipare almeno
una volta ogni quattro anni – anziché, come prima, ogni cinque – ad uno dei
corsi in oggetto.
Infine, il quarto comma
dell’art. 25 cit. prevede un’ipotesi di formazione complementare obbligatoria,
rivolta ai «giovani magistrati», stabilendo che «Nei primi quattro anni
successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono
partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale». La
disposizione può ritenersi opportuna e ha corrispondenti nelle disposizioni di
altri Paesi (si pensi, ad esempio, al già riportato caso del Portogallo [196]).
Il richiamo, di cui al citato art. 24 cit., alla
formazione decentrata, che costituisce ormai da anni un imprescindibile punto
di riferimento del sistema di formazione professionale dei magistrati (e non
solo di essi, visto il successo che le relative iniziative riscuotono anche
presso il mondo accademico e forense), appare quanto mai opportuno e viene a
colmare una lacuna del d.lgs. segnalata da più parti. La formulazione della
disposizione – secondo cui il comitato direttivo e i responsabili di settore,
secondo le rispettive competenze, «usufruiscono delle strutture per la
formazione decentrata eventualmente esistenti presso i vari distretti di corte
d’appello» per la realizzazione dell’attività di formazione decentrata e per la
definizione dei relativi programmi – lascia intendere che non è intenzione del
legislatore smantellare la rete consiliare di formazione decentrata oggi
esistente, sostituendola con una rete della Scuola.
Il risultato, desumibile, per l’appunto, dall’impiego
dell’espressione «usufruiscono delle strutture per la formazione decentrata
eventualmente esistenti presso i vari distretti di corte d’appello»,
sembrerebbe, a tutta prima, porsi in contraddizione con il disposto dell’art.
2, comma primo, lett. f), a mente del quale «la Scuola è preposta (…) f) alle attività di formazione
decentrata». La precipua attribuzione delle funzioni in questo settore ben
potrebbe indurre a ritenere che la Scuola sarebbe autorizzata a porre in essere
una sua struttura ad hoc e dunque una
sua rete di formatori in sede locale. A tale conclusione potrebbe indurre anche
la considerazione del fatto che, nell’originaria versione del d.d.l.
governativo n. 1447/S/XV, si proponeva per la citata lett. f) la formulazione
seguente: «la Scuola è preposta (…) f) alla partecipazione alle attività di formazione decentrata».
La Commissione giustizia del Senato ha invece espunto le parole «alla
partecipazione», ricollegando dunque la preposizione della Scuola tout court «alle attività di formazione
decentrata».
Peraltro, con uno sforzo ermeneutico non esente da una
certa dose di buona volontà, si può pervenire al risultato di intendere siffatta
«preposizione alle attività di formazione decentrata» come relativa, per
l’appunto, alle sole «attività» e non alla struttura: del resto, proprio in
termini di preposizione «alle attività di formazione decentrata» e non, tout court, «alla formazione decentrata»,
si esprime il legislatore. Ne consegue che la predetta «preposizione» andrà
riferita alla sola determinazione di modalità di utilizzo (oltre che,
ovviamente, all’utilizzo in concreto) della rete di formatori predisposta dal
C.S.M.: una rete che dovrebbe, quindi, continuare ad essere costituita e
organizzata nei suoi profili strutturali dall’organo di autogoverno (che in tal
modo riceverebbe, tra l’altro, per tale attività di organizzazione della
struttura, un preciso, sebbene indiretto, riconoscimento legislativo, rilevante
sul piano ordinamentale).
Anche su questo punto è già intervenuto il C.S.M., nel
ricordato parere emesso in data 31 maggio 2007 [197], in cui l’organo di autogoverno ha rimarcato che la
mancata previsione di una disciplina apposita per la formazione decentrata fa
concludere per il mantenimento di quest’ultima «in capo al C.S.M., nel tessuto
articolato dell’autogoverno, salva la collaborazione di cui all’art. 2 lett.
f)». Il Consiglio ha peraltro esattamente soggiunto che «tale rapporto andrebbe
meglio chiarito, anche in relazione alle previsioni di cui all’art. 24 comma 2-bis, che stabilisce che il comitato
direttivo e i responsabili di settore usufruiscono delle strutture della
formazione decentrata per la realizzazione delle attività e per la definizione
dei relativi programmi. La dizione adottata, per la genericità della
previsione, conferma anche la permanenza in capo al Consiglio delle competenze
in materia di formazione decentrata della magistratura onoraria attualmente svolta
in sede distrettuale da parte delle commissioni miste istituite con delibera
consiliare in data 8 aprile 2004. Il Consiglio in sede normativa secondaria
potrebbe garantire l’introduzione di una disciplina volta a regolamentare la
collaborazione con la Scuola in questo settore».
30. Conclusioni. La Scuola
italiana di fronte ai principi internazionali sulla formazione dei magistrati
ed agli altri istituti di formazione giudiziaria europei. Il permanere di una
competenza del C.S.M. nel campo della formazione dei magistrati.
Si è già avuto modo di
dire che, con l’approvazione della l. 30 luglio 2007, n. 111, la nuova
disciplina sulla Scuola della magistratura italiana è venuta fortunatamente a
liberarsi di quegli elementi che più la rendevano non solo in (forte) odore di
contrasto con la Carta fondamentale, ma anche del tutto «disassata» rispetto ai
principi internazionali sulla formazione dei magistrati, nonché all’esperienza
degli altri istituti di formazione giudiziaria europei. Sul punto sarà, infatti,
il caso di ricordare che l’idea di istituire un collegamento tra formazione
(continua) e valutazione dei magistrati ha ricevuto le censure più nette da
parte del Consiglio consultivo dei giudici del Consiglio d’Europa [198], cui vanno aggiunte le
conclusioni della Rete di Lisbona, organo del medesimo Consiglio d’Europa,
all’esito dell’assemblea del 18-19 novembre
Al di là di queste
considerazioni, sono ben noti gli accenti critici con cui il d.lgs. in esame, nella
sua versione originale, era stato accolto dal C.S.M. Nella Relazione al
Parlamento sullo stato della giustizia per l’anno 2003 l’organo di autogoverno
aveva chiaramente affermato che le finalità della formazione non possono che
essere solamente quelle della crescita culturale e professionale dei
magistrati, perché proprio la sua strutturazione come autoformazione «comporta
(...) la necessità di liberarla da condizionamenti esterni di qualsiasi genere,
che necessariamente nascerebbero nel momento in cui chi vi ha partecipato si
trovasse soggetto a momenti valutativi». A giudizio del C.S.M., l’attribuzione
di poteri valutativi agli incaricati della formazione era fattore di
alterazione della genuinità sia dell’offerta che della partecipazione, «perché gli
uni, i formatori, sono più preoccupati di giudicare, e gli altri, i formandi,
sono assai più interessati all’obiettivo di immediato riscontro, che si
sostanzia appunto nella valutazione, per le loro aspettative di carriera. Si
perde così di vista che la formazione rettamente intesa non può che avere
obiettivi di medio-lungo periodo, perché i suoi benefici effetti non possono
che apprezzarsi a distanza di tempo attraverso la maturazione di una coscienza
del ruolo che ne costituisce il profilo di maggiore importanza in un sistema
che voglia affidarsi non già ai desueti modelli gerarchici ma all’innalzamento
dei livelli di professionalità per il mantenimento in ciascun magistrato di una
forte necessaria tensione deontologica, come argine molto più efficace contro
le degenerazioni dei comportamenti» [200].
Per quanto attiene, poi,
alla composizione del comitato direttivo della Scuola, non vi è dubbio che il
principio fissato dal Consiglio consultivo dei giudici del Consiglio d’Europa
secondo cui «Le pouvoir judiciaire devrait jouer un rôle majeur ou être
lui-même chargé d’organiser et de contrôler la formation» [201] non appariva certo
rispettato dalla versione originale del d.lgs. n. 26 del 2006; lo stesso poteva
dirsi dell’altro principio dettato dallo stesso organo, secondo il quale «Pour
soustraire l’établissement aux influences extérieures inappropriées, le CCJE
recommande que le personnel de direction et les formateurs de cet établissement
soient nommés par le pouvoir judiciaire ou un autre organe indépendant
chargé d’organiser et de contrôler la formation» [202]. Per non dire poi del
fatto che, come già ricordato [203], la Carta europea sullo
statuto dei giudici, approvata dal Consiglio d’Europa nel 1998, prevede, tra
l’altro, che sia un organo «indipendente dal potere esecutivo e da quello
legislativo, in seno al quale siedano almeno per la metà giudici eletti da loro
pari, secondo modalità che ne garantiscano la rappresentanza più ampia» a
vigilare «all’adeguamento dei programmi di formazione e delle strutture che li
mettono in pratica alle esigenze di apertura, competenza e imparzialità
connesse all’esercizio delle funzioni giudiziarie» (artt. 2.3 e 2.1), laddove
la scelta di due soli membri (su sette) del consiglio direttivo da parte del
C.S.M., oltre tutto su di una platea del tutto ingiustificatamente limitata,
veniva a violare nella maniera più sfacciata una regola che è ormai avvertita a
livello europeo come indispensabile presidio dell’autonomia e dell’indipendenza
della funzione formativa del potere giudiziario.
Ciò detto, il sistema di
nomina dei componenti del comitato direttivo, così come disegnato dalla l. 30
luglio 2007, n. 111, appare certamente più in linea con i parametri sopra posti
in luce, anche se le penetranti competenze attribuite al Ministro della giustizia
inducono a sollevare ancora qualche perplessità, avuto riguardo, in modo
particolare al fatto che, come già ricordato, a quest’ultimo è riservato il
potere di nomina di ben cinque membri su dodici.
Ancora, nonostante
l’eliminazione del macchinoso sistema valutativo collegato alla formazione
continua, la perdurante obbligatorietà della frequenza, ogni quattro anni, ai
corsi «di formazione e di aggiornamento professionale» di cui all’art. 24
d.lgs. cit. si pone in netto contrasto con il già ricordato [204] parere del Consiglio
consultivo dei giudici del Consiglio d’Europa (oltre che – sia consentito dirlo
– con ogni regola di buon senso [205]), sebbene occorra
ammettere che proprio nella fissazione di un obbligo non solo etico, ma anche
giuridicamente vincolante, di formazione sembra essere la soluzione anche in
altri Paesi additata a problemi e a disfunzioni le cui cause andrebbero cercate
altrove che non in un supposto difetto di professionalità addebitabile ai
giudici. Evidente il caso francese, ove, come già ricordato [206], una legge del 2007 è
venuta, sull’onda dell’ «affaire d’Outreau», ad imporre ai magistrati un’
«obligation de formation continue». Eppure, andrà ribadito che, secondo il
Consiglio consultivo, la formazione continua potrebbe avere carattere obbligatorio
solo in relazione a circostanze eccezionali, da identificarsi per lo più con il
tramutamento di funzioni [207], ciò che del resto
continua a rispondere alla realtà della maggior parte dei Paesi europei [208].
Infine, come già
accennato, l’istituzione di tre distinte sedi della Scuola viene, contro ogni
logica, a contrastare con l’esperienza degli altri principali Paesi europei. E
ciò, in particolare, se, contrariamente a quanto sopra suggerito [209], dovesse essere intesa
come riferita alla necessità di replicare il medesimo tipo di formazione in tre
sedi distinte, «competenti» per aree geografiche distinte (rispettivamente, per
l’Italia settentrionale, centrale e meridionale), anziché per distinti settori
di formazione (iniziale, continua, magistrati onorari, ecc.). Sul punto sarà il
caso di precisare che la divisione dell’ENM
in due antennes, una situata a
Bordeaux e l’altra a Parigi, non risponde certo alla scelta di «regionalizzare»
la formazione (magari riproponendo l’ormai superata contrapposizione tra pays de droit écrit e pays de droit coutumier…), bensì a
quella, ben diversa e assai più ragionevole, di tenere distinte formazione
iniziale e continua (e lo stesso discorso vale per la Spagna), mentre la
presenza di due sedi distinte della Rechtsakademie
si spiega con il retaggio storico della divisione della Germania, oltre che con
l’estensione territoriale e il numero di magistrati della Repubblica Federale
Tedesca (circa 25.000 tra giudici e pubblici ministeri).
Naturalmente, la critica
verso la preconizzata predisposizione di tre distinte sedi per la Scuola
italiana non deve intaccare l’apprezzamento per la (ben diversa) soluzione
della formazione decentrata, secondo la fruttuosa esperienza italiana (e
francese) di questi anni. Proprio la presenza di una formazione centrale
«nazionale» comporta la necessità di una formazione «integrativa» [210], a livello locale,
secondo lo schema in precedenza sommariamente presentato [211]. L’infelice
soluzione-«spezzatino» voluta dal d.lgs. per la Scuola superiore della magistratura
viene a porsi in contrasto con il principio, riconosciuto dal Consiglio
consultivo dei giudici del Consiglio d’Europa, della necessaria unitarietà
della funzione formativa, al fine di «promouvoir une cohésion et une cohérence
accrue dans l’ensemble de ce pouvoir». Ciò che, come si diceva, vale a vietare
l’erezione di ogni sorta di compartimento stagno, sia in senso «orizzontale»,
che «verticale». E al riguardo, di fronte ad un testo che tende ad accentuare
le spinte verticistiche e gerarchiche sempre in agguato nella magistratura,
sarà opportuno ricordare ancora una volta come la formazione, secondo il più
volte ricordato documento del CCJE, dovrebbe, tutto al contrario, contribuire,
non certo a favorire, ma, tutto al contrario, «à briser les tendances
hiérarchiques»!
Il felice superamento,
da parte della l. 30 luglio 2007, n. 111, dell’ottica in cui si poneva il
complessivo disegno dei decreti legislativi emanati nel
E’ noto che la prima
versione del disegno di legge governativo che ha portato alla l. 30 luglio
2007, n. 111 [213] prevedeva la
soppressione, all’articolo 1, comma secondo, del d.lgs. n. 26 del 2006, delle
parole: «in via esclusiva». La proposta, salutata con favore dal C.S.M. nel più
volte citato parere emesso il 31 maggio 2007 [214], è però caduta nel
corso dei lavori del Senato. Ciò che peraltro non viene, ad avviso dello
scrivente, a mutare i termini del problema.
Si è esattamente fatto notare in proposito che la legge delega del 2005 non faceva
menzione di una competenza in via esclusiva in materia di aggiornamento e
formazione della Scuola [215]. Lo stesso è a dirsi
tanto per il d.lgs. n. 26 del 2006, che per la l. 30 luglio 2007, n. 111. Non
vi è dubbio, quindi, che, ove tale esclusività dovesse desumersi dall’art. 1
cpv. del d.lgs. cit., rimasto in vigore, siffatta disposizione dovrebbe
ritenersi incostituzionale per eccesso di delega [216]. Peraltro, a ben
vedere, la norma citata si limita a disporre che «La Scuola ha competenza in
via esclusiva in materia di aggiornamento e formazione dei magistrati». Il
carattere esclusivo ben può dunque essere riferito non già ai soggetti
erogatori, bensì a quelli destinatari della formazione, nel senso che la Scuola
può solo fornire formazione ai magistrati e non ad altri operatori
professionali (con le eccezioni, peraltro, ricavabili dall’art. 2 d.lgs. n. 26
del 2006, nella sua versione attuale [217]); senza escludere che
altri soggetti (in primis il C.S.M.)
possano svolgere attività di formazione dei magistrati.
Del resto, il
riconoscimento di una competenza in
subiecta materia in capo al C.S.M. non solo non appare in contrasto con
l’art. 105 Cost., ma si profila, anzi, quale naturale conseguenza della regola
della Carta fondamentale, che vuole rimessa all’organo di governo autonomo ogni
determinazione attinente alla «vita» professionale del magistrato: dal
reclutamento al termine della carriera [218]. Già si sono enumerate
le numerose competenze che la riforma espressamente rimette al C.S.M. in questo
settore [219], competenze cui va
aggiunto il già ricordato [220] settore della
formazione decentrata, per quanto attiene alla predisposizione della relativa
rete di formatori. A ben vedere, alla
luce delle considerazioni sin qui svolte, non appare azzardato ipotizzare che
il C.S.M. possa continuare ad utilizzare parte delle proprie energie
organizzative e dei suoi fondi per fornire ai magistrati italiani iniziative
formative di carattere complementare rispetto a quelle realizzate dalla Scuola.
Appare del resto oltre modo opportuno che l’esperienza acquisita nel corso di
interi decenni di attività, nel complesso sempre estremamente apprezzata dai
magistrati italiani e stranieri, non vada dispersa.
DECRETO LEGISLATIVO 30 gennaio 2006, n. 26 Istituzione della Scuola
superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e
formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione
dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25
luglio 2005, n. 150 (Pubblicato in Gazz.
Uff., n. 28 del 3 febbraio 2006 – Suppl. Ordinario n. 26/L) In vigore dal 4 maggio
2006 |
TESTO COORDINATO CON
LA |
LEGGE 30 luglio 2007, n. 111 Modifiche alle norme
sull’ordinamento giudiziario (Pubblicata in Gazz. Uff., n. 175 del 30 luglio 2007 – Suppl. Ordinario
n. 171) In vigore dal 31 luglio 2007 |
Le disposizioni aggiunte o
modificate vengono riportate in corsivo |
TITOLO I
ISTITUZIONE DELLA SCUOLA
SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
CAPO I
FINALITÀ E FUNZIONI
Art. 1.
Scuola superiore della magistratura
1. È
istituita la Scuola superiore della magistratura, di seguito denominata:
«Scuola».
2. La
Scuola ha competenza in via esclusiva in materia di aggiornamento e formazione
dei magistrati.
3. La
Scuola è una struttura didattica autonoma, con personalità giuridica di diritto
pubblico, piena capacità di diritto privato e autonomia organizzativa,
funzionale e gestionale, negoziale e contabile, secondo le disposizioni del
proprio statuto e dei regolamenti interni, nel rispetto delle norme di legge.
4. Per il
raggiungimento delle proprie finalità, la Scuola si avvale di personale, che
alla data di entrata in vigore del presente decreto, risulti già nell’organico
del Ministero della giustizia, ovvero comandato da altre amministrazioni, in
numero complessivamente non superiore a cinquanta unità.
5. Con
decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia
e delle finanze, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore
della presente disposizione, sono individuate tre sedi della Scuola, nonché
quella delle tre in cui si riunisce il comitato direttivo preposto alle
attività di direzione e di coordinamento delle sedi.
Art. 2.
Finalità
1. La Scuola
è preposta:
a) alla formazione e all’aggiornamento professionale dei
magistrati ordinari;
b) all’organizzazione di seminari di aggiornamento
professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi previsti dalla lettera
n), di altri operatori della
giustizia;
c) alla formazione iniziale e permanente della magistratura
onoraria;
d) alla formazione dei magistrati titolari di funzioni
direttive e semidirettive negli uffici giudiziari;
e) alla formazione dei magistrati incaricati di compiti di
formazione;
f)
alle attività di formazione decentrata;
g) alla
formazione, su richiesta della competente autorità di Governo, di magistrati
stranieri in Italia o partecipanti all’attività di formazione che si svolge
nell’ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel quadro di progetti
dell’Unione europea e di altri Stati o di istituzioni internazionali, ovvero
all’attuazione di programmi del Ministero degli affari esteri e al
coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati italiani da parte
di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad oggetto
l’organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia;
h) alla
collaborazione, su richiesta della competente autorità di Governo, nelle
attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia
in altri Paesi;
i) alla realizzazione di programmi di formazione in
collaborazione con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di ordini
professionali;
l) alla pubblicazione di ricerche e di studi nelle materie
oggetto di attività di formazione;
m) all’organizzazione
di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca, in relazione
all’attività di formazione;
n) allo svolgimento, anche sulla base di specifici accordi o convenzioni
che disciplinano i relativi oneri, di seminari per operatori della giustizia o
iscritti alle scuole di specializzazione forense;
o) alla
collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei
magistrati ordinari nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio
superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli
giudiziari.
2.
All’attività di ricerca non si applica l’articolo 63 del decreto del Presidente
della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382.
3. L’organizzazione
della Scuola è disciplinata dallo statuto e dai regolamenti adottati ai sensi
dell’articolo 5, comma 2.
CAPO II
ORGANIZZAZIONE
Sezione I
STATUTO E ORGANI
Art. 3.
Statuto
1. La Scuola è retta da un proprio statuto, adottato
dal comitato direttivo con il voto favorevole di almeno otto componenti.
2. La
Scuola adotta regolamenti di organizzazione interna, in conformità alle
disposizioni dello statuto.
Art. 4.
Organi
1. Gli organi
della Scuola sono:
a) il comitato direttivo;
b) il presidente;
c) il segretario generale.
Sezione II
IL COMITATO DIRETTIVO
Art. 5.
Composizione e funzioni
1. Il
comitato direttivo è composto da dodici membri.
2. Il comitato direttivo adotta e
modifica lo statuto e i regolamenti interni; cura la tenuta dell’albo dei
docenti; adotta e modifica, tenuto conto delle linee programmatiche proposte
annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della
giustizia, il programma annuale dell’attività didattica; approva la relazione
annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore
della magistratura; nomina i docenti delle singole sessioni formative,
determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle
relative ammissioni; conferisce ai responsabili di settore l’incarico di curare
ambiti specifici di attività; nomina il segretario generale; vigila sul
corretto andamento della Scuola; approva il bilancio di previsione e il
bilancio consuntivo.
Art. 6.
Nomina
1. Fanno
parte del comitato direttivo dodici componenti di cui sette scelti fra
magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza
valutazione di professionalità, tre fra professori universitari, anche in
quiescenza, e due fra avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno
dieci anni. Le nomine sono effettuate dal Consiglio superiore della
magistratura, in ragione di sei magistrati e di un professore universitario, e
dal Ministro della giustizia, in ragione di un magistrato, di due professori
universitari e di due avvocati.
2. I
magistrati ancora in servizio nominati nel comitato direttivo sono collocati
fuori del ruolo organico della magistratura per tutta la durata dell’incarico.
3. I componenti del comitato direttivo sono
nominati per un periodo di quattro anni; essi non possono essere immediatamente
rinnovati e non possono fare parte delle commissioni di concorso per magistrato ordinario.
4. I componenti cessano dalla carica per
dimissioni o per il venire meno dei requisiti previsti per la nomina.
Art. 7.
Funzionamento
1. Il
comitato direttivo delibera a maggioranza con la presenza di almeno otto
componenti. Per gli atti di straordinaria amministrazione è necessario il voto
favorevole di sette componenti. In caso di parità prevale il voto del presidente.
Il voto è sempre palese.
2. Il componente che si trova in conflitto di
interesse in relazione a una specifica deliberazione ovvero se ricorrono motivi
di opportunità, dichiara tale situazione al comitato e si astiene dal partecipare
alla discussione e alla relativa deliberazione.
Art. 8.
Indipendenza dei componenti
1. I
componenti del comitato direttivo esercitano le proprie funzioni in condizioni
di indipendenza rispetto all’organo che li ha nominati.
Art. 9.
Incompatibilità
1. Salva
l’attività di studio e di ricerca, l’ufficio di componente del comitato
direttivo è incompatibile con qualsiasi carica pubblica elettiva o attività di
componente di organi di controllo di enti pubblici e privati.
Art. 10.
Trattamento economico
1.
L’indennità di funzione del presidente ed il gettone di presenza dei componenti
del comitato direttivo sono stabiliti, rispettivamente fino ad un massimo di
Euro 20.000 annui e di Euro 600 per seduta, con decreto del Ministro della
giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da
adottarsi entro sessanta giorni dalla data di efficacia delle disposizioni del
presente decreto, tenuto conto del trattamento attribuito per analoghe funzioni
pressa la Scuola superiore della pubblica amministrazione.
Sezione III
IL PRESIDENTE
Art. 11.
Funzioni
1. Il
presidente ha la rappresentanza legale della Scuola ed è eletto tra i
componenti del comitato direttivo a maggioranza assoluta. Il presidente
presiede il comitato direttivo, ne convoca le riunioni fissando il relativo
ordine del giorno, adotta i provvedimenti d’urgenza, con riserva di ratifica se
essi rientrano nella competenza di altro organo, ed esercita i compiti
attribuitigli dallo statuto.
2.
Le modalità di sostituzione del presidente in caso di assenza o impedimento
sono disciplinate dallo statuto.
Sezione IV
I RESPONSABILI DI SETTORE
Art. 12.
Funzioni
1. I
componenti del comitato direttivo svolgono anche i compiti di responsabili di
settore, curando, nell’ambito assegnato dallo stesso comitato direttivo:
a) la predisposizione della bozza di programma annuale delle
attività didattiche, da sottoporre al comitato direttivo, elaborata tenendo
conto delle linee programmatiche sulla formazione pervenute dal Consiglio
superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, nonché delle
proposte pervenute dal Consiglio nazionale forense e dal Consiglio
universitario nazionale;
b) l’attuazione del programma annuale dell’attività didattica
approvato dal comitato direttivo;
c) la definizione del contenuto analitico di ciascuna sessione;
d) l’individuazione dei docenti chiamati a svolgere l’incarico
di insegnamento in ciascuna sessione, utilizzando lo specifico albo tenuto
presso la Scuola, e la proposta dei relativi nominativi, in numero doppio
rispetto agli incarichi, al comitato direttivo;
e) la proposta dei criteri di ammissione alle sessioni di
formazione;
f) l’offerta di sussidio didattico e di sperimentazione di
nuove formule didattiche;
g) lo svolgimento delle sessioni presentando, all’esito di
ciascuna di esse, relazioni consuntive.
Sezione IV-bis.
IL SEGRETARIO GENERALE
Art.
17-bis.
Segretario
generale
1. Il segretario generale
della Scuola:
a) è responsabile della gestione amministrativa e coordina tutte
le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti alla didattica;
b) provvede all’esecuzione delle delibere del comitato
direttivo esercitando anche i conseguenti poteri di spesa;
c) predispone la relazione annuale sull’attività della Scuola;
d) esercita le competenze eventualmente delegategli dal
comitato direttivo;
e) esercita ogni altra funzione conferitagli dallo statuto e
dai regolamenti interni.
Art.
17-ter.
Funzioni e
durata
1. Il
comitato direttivo nomina il segretario generale, scegliendolo tra i magistrati
ordinari ovvero tra i dirigenti di prima fascia, attualmente in servizio, di
cui all’articolo 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni. I magistrati ordinari devono aver conseguito la quarta
valutazione di professionalità. Al segretario generale si applica l’articolo 6,
commi 3, nella parte in cui si prevede il divieto di far parte delle
commissioni di concorso per magistrato ordinario, e 4.
2.
Il segretario generale dura in carica cinque anni durante i quali, se
magistrato, è collocato fuori dal ruolo organico della magistratura.
L’attribuzione dell’incarico ad un dirigente di prima fascia non magistrato
comporta il divieto di coprire la posizione in organico lasciata vacante
nell’amministrazione di provenienza.
3. L’incarico,
per il quale non sono corrisposti indennità o compensi aggiuntivi, può essere
rinnovato per una sola volta per un periodo massimo di due anni e può essere
revocato dal comitato direttivo, con provvedimento motivato adottato previa
audizione dell’interessato, nel caso di grave inosservanza delle direttive e
degli indirizzi stabiliti dal comitato stesso
TITOLO II
DISPOSIZIONI SUI
MAGISTRATI ORDINARI IN TIROCINIO
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 18.
Durata
1. Il tirocinio
dei magistrati ordinari nominati a seguito di concorso per esame, di cui
all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e
successive modificazioni, ha la durata di diciotto mesi e si articola in
sessioni, una delle quali della durata di sei mesi, anche non consecutivi,
effettuata presso la Scuola ed una della durata di dodici mesi, anche non
consecutivi, effettuata presso gli uffici giudiziari. Le modalità di
svolgimento delle sessioni del tirocinio sono definite con delibera del
Consiglio superiore della magistratura».
CAPO II
SESSIONE PRESSO LA
SCUOLA
Art. 20.
Contenuto e modalità di svolgimento
1. Nella
sessione effettuata presso le sedi della Scuola, i magistrati ordinari in
tirocinio frequentano corsi di approfondimento teorico-pratico su materie
individuate dal Consiglio superiore della magistratura con le delibere di cui
al comma 1 dell’articolo 18, nonché su ulteriori materie individuate dal
comitato direttivo nel programma annuale. La sessione presso la Scuola deve in
ogni caso tendere al perfezionamento delle capacità operative e professionali,
nonché della deontologia del magistrato ordinario in tirocinio.
2.
I corsi sono tenuti da docenti di elevata competenza e professionalità,
nominati dal comitato direttivo al fine di garantire un ampio pluralismo
culturale e scientifico.
3.
Tra i docenti sono designati i tutori che assicurano anche l’assistenza
didattica ai magistrati ordinari in tirocinio.
4.
Al termine delle sessioni presso la Scuola, il comitato direttivo trasmette al
Consiglio superiore della magistratura una relazione concernente ciascun
magistrato.
CAPO III
SESSIONE PRESSO GLI
UFFICI GIUDIZIARI
Art. 21.
Contenuto e modalità di svolgimento
1. La sessione presso gli uffici giudiziari si
articola in tre periodi: il primo periodo, della
durata di quattro mesi, è svolto presso i tribunali e consiste nella
partecipazione all’attività giurisdizionale relativa alle controversie o ai
reati rientranti nella competenza del tribunale in composizione collegiale e monocratica, compresa la
partecipazione alla camera di consiglio, in maniera che sia garantita al magistrato ordinario in tirocinio la
formazione di una equilibrata esperienza nei diversi settori; il secondo
periodo, della durata di due mesi, è
svolto presso le procure della Repubblica presso i tribunali; il terzo periodo,
della durata di sei mesi, è svolto
presso un ufficio corrispondente a quello di prima destinazione del magistrato ordinario in tirocinio.
2. Il
comitato direttivo approva per
ciascun magistrato ordinario in tirocinio
il programma di tirocinio da svolgersi presso gli uffici giudiziari del
capoluogo del distretto di residenza del magistrato
ordinario in tirocinio, salva diversa autorizzazione dello stesso comitato direttivo per gravi e motivate esigenze;
il programma garantisce all’uditore un’adeguata formazione nei settori civile, penale e dell’ordinamento
giudiziario e una specifica preparazione nelle funzioni che sarà chiamato a
svolgere nella sede di prima destinazione.
3. I
magistrati affidatari presso i quali i magistrati ordinari svolgono i
prescritti periodi di tirocinio sono designati dal Consiglio superiore della
magistratura, su proposta del competente consiglio giudiziario.
4. Al
termine della sessione, i singoli magistrati affidatari compilano, per ciascun magistrato ordinario in tirocinio loro
assegnato, una scheda valutativa che trasmettono al comitato direttivo ed al Consiglio superiore.
Art. 22.
Procedimento
1. Al termine del tirocinio sono trasmesse al Consiglio
superiore della magistratura le relazioni redatte all’esito delle sessioni
unitamente ad una relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della
Scuola.
2. Il
Consiglio superiore della magistratura opera il giudizio di idoneità al conferimento
delle funzioni giudiziarie, tenendo conto delle relazioni redatte all’esito
delle sessioni trasmesse dal comitato direttivo, della relazione di sintesi dal
medesimo predisposta, del parere del consiglio giudiziario e di ogni altro
elemento rilevante ed oggettivamente verificabile eventualmente acquisito. Il
giudizio di idoneità, se positivo, contiene uno specifico riferimento
all’attitudine del magistrato allo svolgimento delle funzioni giudicanti o
requirenti.
4. Il magistrato ordinario in tirocinio
valutato negativamente è ammesso ad un nuovo periodo di tirocinio della durata
di un anno, consistente in una sessione presso le sedi della Scuola della
durata di due mesi, che si svolge con le modalità previste dall’articolo 20, e
in una sessione presso gli uffici giudiziari. La sessione presso gli uffici
giudiziari si articola in tre periodi: il primo periodo, della durata di tre
mesi, è svolto presso il tribunale e
consiste nella partecipazione all’attività giurisdizionale relativa alle
controversie o ai reati rientranti nella competenza del tribunale in
composizione collegiale e monocratica,
compresa la partecipazione alla camera di consiglio, in maniera che sia
garantita al magistrato ordinario in
tirocinio la formazione di una equilibrata esperienza nei diversi settori;
il secondo periodo, della durata di due mesi, è svolto presso la procura della Repubblica presso il tribunale; il terzo periodo, della
durata di cinque mesi, è svolto presso un ufficio corrispondente a quello di
prima destinazione del magistrato
ordinario in tirocinio.
5. Al
termine del periodo di tirocinio di cui al comma 4 ed all’esito del procedimento
indicato ai commi 1 e 2, il Consiglio superiore della magistratura delibera
nuovamente; la seconda deliberazione negativa determina la cessazione del
rapporto di impiego del magistrato
ordinario in tirocinio.
TITOLO III
DISPOSIZIONI IN TEMA DI
AGGIORNAMENTO
PROFESSIONALE E
FORMAZIONE DEI MAGISTRATI
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 23.
Tipologia dei corsi
1. Ai fini
della formazione e dell’aggiornamento professionale, nonché per il passaggio
dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa e per lo svolgimento
delle funzioni direttive, il comitato direttivo approva annualmente, ai sensi
dell’articolo 5, comma 2, il piano dei relativi corsi nell’ambito dei programmi
didattici deliberati, tenendo conto della diversità delle funzioni svolte dai
magistrati.
CAPO II
CORSI DI FORMAZIONE E DI
AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE
Art. 24.
Oggetto
1. I corsi di formazione e di aggiornamento
professionale si svolgono presso le sedi della Scuola e consistono nella
frequenza di sessioni di studio tenute da docenti di elevata competenza e
professionalità, individuati nell’albo
esistente presso la Scuola. Lo statuto determina il numero massimo degli
incarichi conferibili ai docenti anche tenuto conto della loro complessità e
onerosità. L’albo è aggiornato annualmente dal comitato direttivo in base alle
nuove disponibilità fatte pervenire alla Scuola e alla valutazione assegnata a
ciascun docente tenuto conto anche del giudizio contenuto nelle schede
compilate dai partecipanti al corso;
2. I
corsi sono teorici e pratici, secondo il programma e le modalità previste dal
piano approvato dal comitato direttivo.
2-bis. Il comitato
direttivo e i responsabili di settore, secondo le rispettive competenze,
usufruiscono delle strutture per la formazione decentrata eventualmente
esistenti presso i vari distretti di corte d’appello per la realizzazione
dell’attività di formazione decentrata e per la definizione dei relativi
programmi.
Art. 25.
Obbligo di frequenza
1. Tutti i magistrati
in servizio hanno l’obbligo di partecipare almeno una volta ogni quattro anni
ad uno dei corsi di cui all’articolo 24, individuato dal consiglio direttivo in
relazione alle esigenze professionali, di preparazione giuridica e di
aggiornamento di ciascun magistrato e tenuto conto delle richieste
dell’interessato, fatto salvo quanto previsto dal comma 4.
2.
La partecipazione ai corsi è disciplinata dal regolamento adottato dalla
Scuola.
3.
Il periodo di partecipazione all’attività di formazione indicata nel comma 2 è
considerato attività di servizio a tutti gli effetti.
4.
Nei primi quattro anni successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i
magistrati devono partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione
professionale.
TITOLO IV
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 37.
Copertura finanziaria
1. Agli oneri finanziari
conseguenti alla applicazione del presente decreto, con esclusione
dell’articolo 1, comma 4, si provvede mediante l’utilizzo dell’autorizzazione
di spesa di cui all’articolo 2, comma 37, della legge 25 luglio 2005, n. 150.
2.
All’attuazione della disposizione di cui all’articolo 1, comma 4, si provvede
con le risorse umane del Ministero della giustizia, all’uopo utilizzando le
risorse finanziarie a tale scopo già destinate e senza nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica.
Art. 38.
Abrogazioni
1. Oltre
a quanto previsto dal decreto legislativo di attuazione della delega di cui
all’articolo 1, comma 3, della legge 25 luglio 2005, n. 150, sono abrogati,
dalla data di efficacia delle disposizioni contenute nel presente decreto:
a)
l’articolo 128, primo comma, dell’ordinamento giudiziario di cui al regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12;
b)
l’articolo 129 dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio
1941, n. 12, e successive modificazioni;
c)
l’articolo 129-bis dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30
gennaio 1941, n. 12, introdotto dall’articolo 16 della legge 13 febbraio 2001,
n. 48;
d)
l’articolo 11, comma 5, della legge 13 febbraio 2001, n. 48;
e)
l’articolo 14, commi 2, 3 e 4, della legge 13 febbraio 2001, n. 48;
f) la
legge 30 maggio 1965, n. 579;
g)
l’articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n.
916, nonchè le disposizioni emanate in attuazione di tale articolo.
Art. 39.
Efficacia
1. Le
disposizioni del presente decreto hanno effetto a decorrere dal novantesimo
giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica italiana.
Il presente
decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale
degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque
spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a
Roma, addì 30 gennaio 2006
CIAMPI
Berlusconi,
Presidente del Consiglio dei Ministri
Castelli,
Ministro della giustizia
Tremonti,
Ministro dell’economia e delle finanze
Visto, il Guardasigilli: Castelli
TABELLA COMPARATIVA DEL TESTO ORIGINALE DEL D.LGS. N. 26 DEL
2006
E DELLE RELATIVE DISPOSIZIONI DELLA L. 30 LUGLIO 2007, N.
111
DECRETO LEGISLATIVO 30 gennaio 2006, n. 26 Istituzione della Scuola superiore della
magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli
uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati,
a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n.
150 (Pubblicato
in Gazz. Uff., n. 28 del 3 febbraio 2006 – Suppl. Ordinario n. 26/L) In vigore dal 4 maggio 2006 |
LEGGE 30 luglio 2007, n. 111 Modifiche alle norme
sull’ordinamento giudiziario (Pubblicata
in Gazz. Uff., n. 175 del 30 luglio
2007 – Suppl. Ordinario n. 171) In vigore dal 31 luglio 2007 |
TITOLO I ISTITUZIONE DELLA SCUOLA SUPERIORE DELLA
MAGISTRATURA |
Rubrica invariata |
CAPO I FINALITÀ E FUNZIONI |
Rubrica invariata |
Art. 1. Scuola superiore della magistratura 1. È istituita la Scuola superiore della
magistratura, di seguito denominata: «Scuola». 2. La Scuola ha competenza in via esclusiva
in materia di aggiornamento e formazione dei magistrati. 3. La Scuola è una struttura didattica
autonoma, con personalità giuridica di diritto pubblico, piena capacità di
diritto privato e autonomia organizzativa, funzionale e gestionale, negoziale
e contabile, secondo le disposizioni del proprio statuto e dei regolamenti
interni, nel rispetto delle norme di legge. 4. Per il raggiungimento delle proprie
finalità, la Scuola si avvale di personale, che alla data di entrata in
vigore del presente decreto, risulti già nell’organico del Ministero della
giustizia, ovvero comandato da altre amministrazioni, in numero
complessivamente non superiore a cinquanta unità. |
Invariati i commi da |
5. Con decreto del Ministro
della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione del presente
decreto nella Gazzetta Ufficiale, vengono individuate tre sedi della Scuola:
una per i distretti ricompresi nelle regioni Lombardia, Trentino-Alto
Adige/Sudtirol, Valle d’Aosta/Vallee d’Aoste, Friuli Venezia Giulia, Veneto,
Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna; una per i distretti ricompresi nelle
regioni Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna; una per i
distretti ricompresi nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e
Sicilia. |
Comma 5 sostituito dal
seguente: «5. Con decreto del
Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della
presente disposizione, sono individuate tre sedi della Scuola, nonché quella
delle tre in cui si riunisce il comitato direttivo preposto alle attività di
direzione e di coordinamento delle sedi». |
Art. 2. Finalità 1. La Scuola è stabilmente preposta: a) all’organizzazione e alla gestione del
tirocinio e della formazione degli uditori giudiziari, curando che entrambi
siano attuati sotto i profili tecnico, operativo e deontologico; b) all’organizzazione dei corsi di
aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati, curando che
entrambi siano attuati sotto i profili tecnico, operativo e deontologico; c) alla promozione di iniziative e scambi
culturali, incontri di studio e ricerca; d) all’offerta di formazione di magistrati
stranieri, nel quadro degli accordi internazionali di cooperazione tecnica in
materia giudiziaria. 2. Per il raggiungimento delle finalità indicate
alle lettere a) e b) del comma 1, la Scuola è composta da due distinte
articolazioni. |
Sostituito dal seguente: «Art. 2. - (Finalità). – 1. La Scuola è
preposta: a) alla formazione e all’aggiornamento professionale
dei magistrati ordinari; b) all’organizzazione di seminari di aggiornamento
professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi previsti dalla
lettera n), di altri operatori della giustizia; c) alla formazione iniziale e permanente della
magistratura onoraria; d) alla formazione dei magistrati titolari di funzioni
direttive e semidirettive negli uffici giudiziari; e) alla formazione dei magistrati incaricati di compiti
di formazione; f)
alle attività di formazione decentrata; g) alla
formazione, su richiesta della competente autorità di Governo, di magistrati
stranieri in Italia o partecipanti all’attività di formazione che si svolge
nell’ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel quadro di
progetti dell’Unione europea e di altri Stati o di istituzioni internazionali,
ovvero all’attuazione di programmi del Ministero degli affari esteri e al
coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati italiani da
parte di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad oggetto
l’organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia; h) alla
collaborazione, su richiesta della competente autorità di Governo, nelle
attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia
in altri Paesi; i) alla realizzazione di programmi di formazione in
collaborazione con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di
ordini professionali; l) alla pubblicazione di ricerche e di studi nelle
materie oggetto di attività di formazione; m) all’organizzazione
di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca, in relazione
all’attività di formazione; n) allo svolgimento, anche sulla base di specifici
accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri, di seminari per
operatori della giustizia o iscritti alle scuole di specializzazione forense; o) alla
collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei
magistrati ordinari nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio
superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli
giudiziari. 2.
All’attività di ricerca non si applica l’articolo 63 del decreto del
Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382. 3. L’organizzazione della Scuola è
disciplinata dallo statuto e dai regolamenti adottati ai sensi dell’articolo
5, comma 2» |
CAPO II ORGANIZZAZIONE |
Rubrica invariata |
Sezione I STATUTO E ORGANI |
Rubrica invariata |
Art. 3. Statuto 1. La Scuola è retta da un proprio statuto,
adottato dal comitato direttivo con il voto favorevole di almeno cinque
componenti. |
All’articolo 3, comma 1, la
parola: «cinque» è sostituita dalla seguente: «otto». |
2. La Scuola adotta regolamenti di organizzazione
interna, in conformità alle disposizioni dello statuto. |
Comma 2: invariato |
Art. 4. Organi 1. Gli organi della Scuola sono: a) il comitato direttivo; b) il presidente; c) i comitati di gestione. |
Sostituito
dal seguente: «Art.
4. - (Organi). – 1. Gli organi della Scuola sono: a) il
comitato direttivo; b) il
presidente; c) il
segretario generale» |
Sezione II IL COMITATO DIRETTIVO |
Rubrica invariata |
Art. 5. Composizione e funzioni 1. Il comitato direttivo è composto dal presidente
e da altri sei membri. Esso si riunisce nella sede individuata per i
distretti ricompresi nelle regioni Marche, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo,
Molise e Sardegna. 2. Il comitato direttivo delibera in ordine
alle finalità e all’attività della Scuola, salvo quanto di competenza dei
comitati di gestione ed esercita funzioni di indirizzo, nonchè di controllo
sul personale assegnato. 3. Il comitato direttivo adotta lo statuto,
i regolamenti interni ed il bilancio; nomina i membri dei comitati di gestione;
programma l’attività didattica della Scuola, avvalendosi delle proposte del
Consiglio superiore della magistratura, del Ministro della giustizia, del
Consiglio nazionale forense, dei consigli giudiziari, del Consiglio direttivo
della Corte di cassazione, nonchè delle proposte dei componenti del Consiglio
universitario nazionale esperti in materie giuridiche. |
Sostituito
dal seguente: «Art.
5. - (Composizione e funzioni). – 1. Il comitato direttivo è composto
da dodici membri. 2. Il comitato direttivo adotta e
modifica lo statuto e i regolamenti interni; cura la tenuta dell’albo dei
docenti; adotta e modifica, tenuto conto delle linee programmatiche proposte
annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della
giustizia, il programma annuale dell’attività didattica; approva la relazione
annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore
della magistratura; nomina i docenti delle singole sessioni formative,
determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle
relative ammissioni; conferisce ai responsabili di settore l’incarico di
curare ambiti specifici di attività; nomina il segretario generale; vigila
sul corretto andamento della Scuola; approva il bilancio di previsione e il
bilancio consuntivo» |
Art. 6. Nomina 1. Del comitato direttivo fanno parte di
diritto il primo presidente della Corte di cassazione, o il magistrato dallo
stesso delegato alla Scuola, con funzioni non inferiori a quelle direttive giudicanti
di legittimità, nonchè il procuratore generale presso la Corte di cassazione,
o il magistrato dallo stesso delegato alla Scuola, con funzioni non inferiori
a quelle direttive requirenti di legittimità. |
Comma 1 sostituito dal seguente: «1. Fanno parte del comitato direttivo
dodici componenti di cui sette scelti fra magistrati, anche in quiescenza,
che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, tre
fra professori universitari, anche in quiescenza, e due fra avvocati che abbiano
esercitato la professione per almeno dieci anni. Le nomine sono effettuate
dal Consiglio superiore della magistratura, in ragione di sei magistrati e di
un professore universitario, e dal Ministro della giustizia, in ragione di un
magistrato, di due professori universitari e di due avvocati.»; |
2. Del comitato direttivo fanno altresì
parte due magistrati ordinari scelti dal Consiglio superiore della
magistratura, che esercitano le funzioni di secondo grado da almeno tre anni,
un avvocato con almeno quindici anni di esercizio della professione nominato
dal Consiglio nazionale forense, un professore universitario ordinario in
materie giuridiche nominato dal Consiglio universitario nazionale ed un
componente nominato dal Ministro della giustizia, scelti tutti tra insigni
giuristi. |
Comma 2 sostituito dal
seguente: «2. I magistrati
ancora in servizio nominati nel comitato direttivo sono collocati fuori del
ruolo organico della magistratura per tutta la durata dell’incarico» |
3. I componenti del
comitato direttivo sono nominati per un periodo di quattro anni; fatta
eccezione per i soggetti indicati al comma 1, essi non possono essere
immediatamente rinnovati e non possono fare parte delle commissioni di
concorso per uditore giudiziario. |
Al comma 3, le parole:
«fatta eccezione per i soggetti indicati al comma 1,» sono soppresse e le
parole: «per uditore giudiziario» sono sostituite dalle seguenti: «per
magistrato ordinario» |
4. I componenti cessano dalla carica per
dimissioni o per il venire meno dei requisiti previsti per la nomina. |
Comma 4: invariato |
Art. 7. Funzionamento 1. Il comitato direttivo delibera con la
presenza di almeno cinque componenti e a maggioranza relativa, salvo i casi
di cui agli articoli 3, comma 1, e 11, comma |
Comma 1 sostituito dal
seguente: «1. Il comitato
direttivo delibera a maggioranza con la presenza di almeno otto componenti.
Per gli atti di straordinaria amministrazione è necessario il voto favorevole
di sette componenti. In caso di parità prevale il voto del presidente. Il
voto è sempre palese» |
2. Il componente che si trova in conflitto
di interesse in relazione a una specifica deliberazione ovvero se ricorrono
motivi di opportunità, dichiara tale situazione al comitato e si astiene dal
partecipare alla discussione e alla relativa deliberazione. |
Comma 2: invariato |
Art. 8. Indipendenza dei componenti 1. I componenti del comitato direttivo
esercitano le proprie funzioni in condizioni di indipendenza rispetto
all’organo che li ha nominati. |
Invariato |
Art. 9. Incompatibilità 1. Salva l’attività di studio e di ricerca, l’ufficio
di componente del comitato direttivo è incompatibile con qualsiasi carica
pubblica elettiva o attività di componente di organi di controllo di enti
pubblici e privati. |
Invariato |
Art. 10. Trattamento economico 1. L’indennità di funzione del presidente ed
il gettone di presenza dei componenti del comitato direttivo sono stabiliti,
rispettivamente fino ad un massimo di Euro 20.000 annui e di Euro 600 per
seduta, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data
di efficacia delle disposizioni del presente decreto, tenuto conto del
trattamento attribuito per analoghe funzioni pressa la Scuola superiore della
pubblica amministrazione. |
Invariato |
Sezione III IL PRESIDENTE |
Rubrica invariata |
Art. 11. Funzioni 1. Il presidente ha la rappresentanza legale
della Scuola ed è eletto tra i componenti del comitato direttivo a maggioranza
assoluta. Il presidente presiede il comitato direttivo, ne convoca le
riunioni fissando il relativo ordine del giorno ed esercita i compiti
attribuitigli dallo statuto. 2. Le modalità di sostituzione del
presidente in caso di assenza o impedimento sono disciplinate dallo statuto. |
Sostituito dal seguente: «Art. 11. – (Funzioni). – 1. Il presidente ha
la rappresentanza legale della Scuola ed è eletto tra i componenti del comitato
direttivo a maggioranza assoluta. Il presidente presiede il comitato
direttivo, ne convoca le riunioni fissando il relativo ordine del giorno,
adotta i provvedimenti d’urgenza, con riserva di ratifica se essi rientrano
nella competenza di altro organo, ed esercita i compiti attribuitigli dallo
statuto. 2. Le modalità di sostituzione del
presidente in caso di assenza o impedimento sono disciplinate dallo statuto» |
Sezione IV I COMITATI DI GESTIONE |
Rubrica
sostituita dalla seguente: «I
RESPONSABILI DI SETTORE». |
Art. 12. Funzioni 1. Per ciascuna delle articolazioni previste
dall’articolo 2, comma 2, è istituito un comitato di gestione composto da
cinque membri che eleggono, tra loro, un presidente. 2. I comitati di gestione si riuniscono
nella sede individuata per i distretti ricompresi nelle regioni Marche,
Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna. 3. Ciascun comitato di gestione: a) attua la programmazione annuale
dell’attività per il proprio ambito di competenza; b) definisce il contenuto analitico di
ciascuna sessione; c) individua i docenti chiamati a svolgere
l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione; d) fissa i criteri di ammissione alle
sessioni di formazione; e) offre sussidio didattico e sperimenta
nuove formule didattiche; f) segue lo svolgimento delle sessioni e
presenta, all’esito di ciascuna di esse, relazioni consuntive; g) cura il tirocinio o l’aggiornamento
professionale nelle fasi effettuate presso la Scuola, selezionando i tutori,
nonchè i docenti incaricati anno per anno e quelli occasionali. |
Sostituito
dal seguente: «Art. 12. - (Funzioni).
– 1. I componenti del comitato direttivo svolgono anche i compiti di
responsabili di settore, curando, nell’ambito assegnato dallo stesso comitato
direttivo: a) la predisposizione della bozza di programma annuale
delle attività didattiche, da sottoporre al comitato direttivo, elaborata
tenendo conto delle linee programmatiche sulla formazione pervenute dal
Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, nonché
delle proposte pervenute dal Consiglio nazionale forense e dal Consiglio
universitario nazionale; b) l’attuazione del programma annuale dell’attività
didattica approvato dal comitato direttivo; c) la
definizione del contenuto analitico di ciascuna sessione; d) l’individuazione
dei docenti chiamati a svolgere l’incarico di insegnamento in ciascuna
sessione, utilizzando lo specifico albo tenuto presso la Scuola, e la
proposta dei relativi nominativi, in numero doppio rispetto agli incarichi,
al comitato direttivo; e) la
proposta dei criteri di ammissione alle sessioni di formazione; f) l’offerta
di sussidio didattico e di sperimentazione di nuove formule didattiche; g) lo
svolgimento delle sessioni presentando, all’esito di ciascuna di esse,
relazioni consuntive» |
Art. 13. Nomina 1. I componenti dei comitati di gestione
sono nominati, dal comitato direttivo, tra i magistrati ordinari che esercitano
le funzioni giudicanti o quelle requirenti da almeno quindici anni, nonchè
tra gli avvocati con non meno di quindici anni di esercizio della professione
e tra i professori universitari in materie giuridiche. 2. I componenti dei comitati sono nominati
per un periodo di quattro anni e non possono essere immediatamente rinnovati;
essi non possono fare parte delle commissioni di concorso per uditore
giudiziario. 3. I componenti cessano dalla carica per
dimissioni o per il venire meno dei requisiti previsti per la nomina. |
Abrogato |
Art. 14. Funzionamento 1. I comitati di gestione deliberano a
maggioranza relativa, con la presenza di almeno tre componenti. In caso di
parità prevale il voto del presidente. Il voto è palese. 2. Il componente, che si trovi in conflitto
di interesse in relazione a una specifica deliberazione ovvero se ricorrono
motivi di opportunità, dichiara tale situazione al comitato e si astiene dal
partecipare all’attività del medesimo, nonchè alle discussioni e relative
deliberazioni. 3. L’astensione è obbligatoria nei casi in
cui il componente del comitato direttivo svolga attività professionale o di
lavoro autonomo in procedimenti trattati da magistrati che frequentano i
corsi presso la Scuola superiore della magistratura e comunque fino alla
valutazione di cui all’articolo 30 e la discussione o la deliberazione
riguardi tali magistrati. |
Abrogato |
Art. 15. Indipendenza dal comitato direttivo 1. I componenti dei comitati di gestione esercitano
le proprie funzioni in condizioni di indipendenza rispetto all’organo che li
ha nominati. |
Abrogato |
Art. 16. Incompatibilità 1. Salva l’attività di studio e di ricerca,
l’ufficio di componente del comitato di gestione è incompatibile con
qualsiasi carica pubblica elettiva o di componente di organi di controllo di
enti pubblici e privati. |
Abrogato |
Art. 17. Trattamento economico 1. Ai componenti dei comitati di gestione è
corrisposto un gettone di presenza per ciascuna seduta, la cui entità è
stabilita, fino ad un massimo di Euro 300 per seduta, con decreto del
Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di efficacia delle
disposizioni del presente decreto, tenuto conto del trattamento attribuito
per analoghe funzioni presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione. 2. Ai componenti dei comitati di gestione
che si recano fuori della sede di cui all’articolo 12, comma 2, è
riconosciuto, oltre al gettone di presenza, il rimborso delle spese di
trasferta. |
Abrogato |
|
Dopo la sezione IV del capo II del titolo I è
aggiunta la seguente: «Sezione IV-bis. IL SEGRETARIO GENERALE Art. 17-bis.
- (Segretario generale). – 1. Il segretario generale della Scuola: a) è responsabile della gestione amministrativa e
coordina tutte le attività della Scuola con esclusione di quelle afferenti
alla didattica; b) provvede all’esecuzione delle delibere del comitato
direttivo esercitando anche i conseguenti poteri di spesa; c) predispone la relazione annuale sull’attività della
Scuola; d) esercita le competenze eventualmente delegategli dal
comitato direttivo; e) esercita ogni altra funzione conferitagli dallo
statuto e dai regolamenti interni. Art. 17-ter.
- (Funzioni e durata). – 1. Il comitato direttivo nomina il segretario
generale, scegliendolo tra i magistrati ordinari ovvero tra i dirigenti di
prima fascia, attualmente in servizio, di cui all’articolo 23 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. I magistrati
ordinari devono aver conseguito la quarta valutazione di professionalità. Al
segretario generale si applica l’articolo 6, commi 3, nella parte in cui si
prevede il divieto di far parte delle commissioni di concorso per magistrato
ordinario, e 4. 2. Il segretario generale dura in
carica cinque anni durante i quali, se magistrato, è collocato fuori dal
ruolo organico della magistratura. L’attribuzione dell’incarico ad un
dirigente di prima fascia non magistrato comporta il divieto di coprire la
posizione in organico lasciata vacante nell’amministrazione di provenienza. 3. L’incarico, per il quale non sono
corrisposti indennità o compensi aggiuntivi, può essere rinnovato per una
sola volta per un periodo massimo di due anni e può essere revocato dal
comitato direttivo, con provvedimento motivato adottato previa audizione
dell’interessato, nel caso di grave inosservanza delle direttive e degli
indirizzi stabiliti dal comitato stesso» |
TITOLO II DISPOSIZIONI SUL TIROCINIO DEGLI UDITORI GIUDIZIARI |
Rubrica sostituita dalla
seguente: «Disposizioni sui magistrati ordinari in tirocinio» |
CAPO I DISPOSIZIONI GENERALI |
Rubrica invariata |
Art. 18. Durata 1. Il tirocinio degli uditori giudiziari ha
una durata di ventiquattro mesi. |
Sostituito dal seguente: «Art. 18. - (Durata). – 1. Il tirocinio dei
magistrati ordinari nominati a seguito di concorso per esame, di cui
all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160,
e successive modificazioni, ha la durata di diciotto mesi e si articola in
sessioni, una delle quali della durata di sei mesi, anche non consecutivi,
effettuata presso la Scuola ed una della durata di dodici mesi, anche non
consecutivi, effettuata presso gli uffici giudiziari. Le modalità di
svolgimento delle sessioni del tirocinio sono definite con delibera del
Consiglio superiore della magistratura». |
Art. 19. Articolazione 1. Il tirocinio si articola in sessioni, una
delle quali della durata di sei mesi, anche non consecutivi, effettuata
presso la Scuola ed una della durata di diciotto mesi, anche non consecutivi,
effettuata presso uffici giudiziari di primo grado. Le modalità delle
sessioni sono stabilite dal Comitato direttivo. |
Abrogato |
CAPO II SESSIONE PRESSO LA SCUOLA |
Rubrica invariata |
Art. 20. Contenuto e modalità di svolgimento 1. Nella sessione effettuata presso le sedi della
Scuola, gli uditori giudiziari frequentano corsi di approfondimento
teorico-pratico, approvati dal competente comitato di gestione nell’ambito
della programmazione dell’attività didattica deliberata dal comitato
direttivo della Scuola medesima, riguardanti il diritto civile, il diritto
penale, il diritto processuale civile, il diritto processuale penale ed il
diritto amministrativo, con eventuale approfondimento anche di altre materie
tra quelle comprese nella prova orale del concorso per l’accesso in
magistratura, previste dal decreto legislativo di attuazione della delega
contenuta nell’articolo 2, comma 1, lettera a), numero 2), della legge 25
luglio 2005, n. 150, nonchè delle ulteriori materie scelte dal Comitato
direttivo. La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al
perfezionamento delle capacità operative e della deontologia dell’uditore
giudiziario. 2. I corsi sono tenuti da docenti di elevata
competenza e professionalità, scelti dal comitato di gestione al fine di
garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico. 3. Tra i docenti sono designati i tutori
degli uditori giudiziari; i tutori assicurano agli uditori l’assistenza
didattica. 4. Al termine della sessione, i singoli
docenti compilano una scheda valutativa per ciascun uditore giudiziario loro
assegnato; la scheda è trasmessa al comitato di gestione della sezione per le
conseguenti valutazioni. |
Sostituito dal seguente: «Art. 20. - (Contenuto
e modalità di svolgimento). – 1. Nella sessione effettuata presso le sedi
della Scuola, i magistrati ordinari in tirocinio frequentano corsi di
approfondimento teorico-pratico su materie individuate dal Consiglio
superiore della magistratura con le delibere di cui al comma 1 dell’articolo
18, nonché su ulteriori materie individuate dal comitato direttivo nel
programma annuale. La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al
perfezionamento delle capacità operative e professionali, nonché della
deontologia del magistrato ordinario in tirocinio. 2. I
corsi sono tenuti da docenti di elevata competenza e professionalità,
nominati dal comitato direttivo al fine di garantire un ampio pluralismo
culturale e scientifico. 3. Tra
i docenti sono designati i tutori che assicurano anche l’assistenza didattica
ai magistrati ordinari in tirocinio. 4. Al termine delle sessioni presso
la Scuola, il comitato direttivo trasmette al Consiglio superiore della
magistratura una relazione concernente ciascun magistrato» |
CAPO III SESSIONE PRESSO GLI UFFICI GIUDIZIARI |
Rubrica invariata |
Art. 21. Contenuto e modalità di svolgimento 1. La sessione presso gli uffici giudiziari
si articola in tre periodi: il primo periodo, della durata di sette mesi, è
svolto presso i tribunali e consiste nella partecipazione all’attività giurisdizionale
relativa alle controversie o ai reati rientranti nella competenza del
tribunale in composizione collegiale, compresa la partecipazione alla camera
di consiglio, in maniera che sia garantita all’uditore la formazione di una
equilibrata esperienza nei diversi settori; il secondo periodo, della durata
di tre mesi, è svolto presso le procure della Repubblica presso i tribunali;
il terzo periodo, della durata di otto mesi, è svolto presso un ufficio
corrispondente a quello di prima destinazione dell’uditore. 2. Il comitato di gestione approva per
ciascun uditore il programma di tirocinio da svolgersi presso gli uffici
giudiziari del capoluogo del distretto di residenza dell’uditore, salva
diversa autorizzazione dello stesso comitato di gestione per gravi e motivate
esigenze; il programma garantisce all’uditore un’adeguata formazione nei
settori civile e penale e una specifica preparazione nelle funzioni che sarà
chiamato a svolgere nella sede di prima destinazione. 3. Il comitato di gestione provvede,
altresì, ad individuare, presso ciascun ufficio giudiziario, i magistrati
affidatari presso i quali gli uditori svolgono i prescritti periodi di
tirocinio. 4. Al termine della sessione, i singoli
magistrati affidatari compilano, per ciascun uditore loro assegnato, una
scheda valutativa che trasmettono al comitato di gestione. |
Modificato come segue: a) la parola: «uditore», ovunque ricorra, è sostituita
dalle seguenti: «magistrato ordinario in tirocinio»; b) al
comma 1, le parole: «della durata di sette mesi» sono sostituite dalle
seguenti: «della durata di quattro mesi»; dopo la parola «collegiale» sono
inserite le seguenti: «e monocratica»; le parole: «della durata di tre mesi»
sono sostituite dalle seguenti: «della durata di due mesi»; le parole: «della
durata di otto mesi» sono sostituite dalle seguenti: «della durata di sei
mesi»; c) al comma 2, le parole: «di gestione» sono sostituite
dalla seguente: «direttivo» e le parole: «civile e penale» sono sostituite dalle
seguenti: «civile, penale e dell’ordinamento giudiziario»; d) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. I
magistrati affidatari presso i quali i magistrati ordinari svolgono i
prescritti periodi di tirocinio sono designati dal Consiglio superiore della
magistratura, su proposta del competente consiglio giudiziario.»; e) al
comma 4, le parole: «di gestione» sono sostituite dalle seguenti: «direttivo
ed al Consiglio superiore» |
CAPO IV VALUTAZIONE FINALE |
Rubrica invariata |
Art. 22. Procedimento 1. Al termine del periodo di tirocinio
ordinario, il comitato di gestione della sezione, sulla base delle schede
valutative redatte dai docenti e dai magistrati affidatari, nonchè di ogni
altro elemento rilevante a fini valutativi raccolto durante le sessioni del
tirocinio, formula per ciascun uditore giudiziario un giudizio di idoneità
all’assunzione delle funzioni giudiziarie. 2. I giudizi sono trasmessi al Consiglio
superiore della magistratura che, sulla base di essi e di ogni altro elemento
eventualmente acquisito, delibera sulla idoneità di ciascun uditore
all’assunzione delle funzioni giudiziarie. 4. L’uditore valutato negativamente è
ammesso ad un nuovo periodo di tirocinio della durata di un anno, consistente
in una sessione presso le sedi della Scuola della durata di due mesi, che si
svolge con le modalità previste dall’articolo 20, e in una sessione presso
gli uffici giudiziari. La sessione presso gli uffici giudiziari si articola
in tre periodi: il primo periodo, della durata di tre mesi, è svolto presso i
tribunali e consiste nella partecipazione all’attività giurisdizionale
relativa alle controversie o ai reati rientranti nella competenza del
tribunale in composizione collegiale, compresa la partecipazione alla camera
di consiglio, in maniera che sia garantita all’uditore la formazione di una equilibrata
esperienza nei diversi settori; il secondo periodo, della durata di due mesi,
è svolto presso le procure della Repubblica presso i tribunali; il terzo
periodo, della durata di cinque mesi, è svolto presso un ufficio
corrispondente a quello di prima destinazione dell’uditore. 5. Al termine del periodo di tirocinio di
cui al comma 4 ed all’esito del procedimento indicato ai commi 1 e 2, il
Consiglio superiore della magistratura delibera nuovamente; la seconda
deliberazione negativa determina la cessazione del rapporto di impiego
dell’uditore giudiziario. |
Modificato come segue: a) le parole: «uditore» e «uditore giudiziario»,
ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «magistrato ordinario in
tirocinio»; b) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Al
termine del tirocinio sono trasmesse al Consiglio superiore della
magistratura le relazioni redatte all’esito delle sessioni unitamente ad una
relazione di sintesi predisposta dal comitato direttivo della Scuola.»; c) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. Il
Consiglio superiore della magistratura opera il giudizio di idoneità al
conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo conto delle relazioni
redatte all’esito delle sessioni trasmesse dal comitato direttivo, della
relazione di sintesi dal medesimo predisposta, del parere del consiglio
giudiziario e di ogni altro elemento rilevante ed oggettivamente verificabile
eventualmente acquisito. Il giudizio di idoneità, se positivo, contiene uno
specifico riferimento all’attitudine del magistrato allo svolgimento delle
funzioni giudicanti o requirenti.»; d) al
comma 3, le parole: «di gestione» sono sostituite dalla seguente:
«direttivo»; e) al
comma 4, dopo la parola: «collegiale» sono inserite le seguenti: «e
monocratica»; le parole: «i tribunali», ovunque ricorrano, sono sostituite
dalle seguenti: «il tribunale» e le parole: «le procure della Repubblica»
sono sostituite dalle seguenti: «la procura della Repubblica». |
TITOLO III DISPOSIZIONI IN TEMA DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE E FORMAZIONE DEI MAGISTRATI |
Rubrica invariata |
CAPO I DISPOSIZIONI GENERALI |
Rubrica invariata |
Art. 23. Tipologia dei corsi 1. Ai fini della formazione e dell’aggiornamento
professionale, nonchè della formazione per il passaggio a funzioni superiori
rispetto a quelle esercitate, per il passaggio da funzioni giudicanti a
requirenti e viceversa e per l’accesso a funzioni direttive, il comitato di
gestione della sezione competente approva annualmente il piano dei corsi
nell’ambito dei programmi didattici deliberati dal comitato direttivo,
tenendo conto della diversità delle funzioni svolte dai magistrati. |
Sostituito dal seguente: Art. 23. - (Tipologia
dei corsi). – 1. Ai fini della formazione e dell’aggiornamento
professionale, nonché per il passaggio dalla funzione giudicante a quella
requirente e viceversa e per lo svolgimento delle funzioni direttive, il
comitato direttivo approva annualmente, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, il
piano dei relativi corsi nell’ambito dei programmi didattici deliberati,
tenendo conto della diversità delle funzioni svolte dai magistrati» |
CAPO II CORSI DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE |
Rubrica invariata |
Art. 24. Oggetto 1. I corsi di formazione e di aggiornamento
professionale si svolgono presso le sedi della Scuola e consistono nella
frequenza di sessioni di studio tenute da docenti di elevata competenza e
professionalità. 2. I corsi sono teorici e pratici, secondo
il programma e le modalità previste dal piano approvato dal comitato di
gestione. |
Modificato come segue: a) al comma 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti
parole: «, individuati nell’albo esistente presso la Scuola. Lo statuto
determina il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti anche
tenuto conto della loro complessità e onerosità. L’albo è aggiornato
annualmente dal comitato direttivo in base alle nuove disponibilità fatte
pervenire alla Scuola e alla valutazione assegnata a ciascun docente tenuto
conto anche del giudizio contenuto nelle schede compilate dai partecipanti al
corso»; b) al comma 2, le parole: «di gestione» sono sostituite
dalla seguente: «direttivo»; c) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: «2-bis. Il comitato direttivo e i
responsabili di settore, secondo le rispettive competenze, usufruiscono delle
strutture per la formazione decentrata eventualmente esistenti presso i vari
distretti di corte d’appello per la realizzazione dell’attività di formazione
decentrata e per la definizione dei relativi programmi» |
Art. 25. Obbligo di frequenza e durata 1. Tutti i magistrati in servizio hanno
l’obbligo di partecipare ai corsi di cui all’articolo 24 ogni cinque anni, a decorrere
dalla assunzione delle prime funzioni di merito. 2. Per la partecipazione ai corsi, al
magistrato è riconosciuto un periodo di congedo retribuito. 3. Il differimento della partecipazione ai
corsi, che può essere disposto dal capo dell’ufficio giudiziario di
appartenenza per comprovate e motivate esigenze di organizzazione o di
servizio, non può in ogni caso arrecare pregiudizio al magistrato. 4. I corsi hanno una durata fino a due
settimane anche non consecutive. 5. Il
magistrato può partecipare a ulteriori corsi di aggiornamento solo dopo che
sia trascorso un anno dalla precedente partecipazione. |
Sostituito dal seguente: «Art. 25. - (Obbligo di frequenza). – 1. Tutti
i magistrati in servizio hanno l’obbligo di partecipare almeno una volta ogni
quattro anni ad uno dei corsi di cui all’articolo 24, individuato dal
consiglio direttivo in relazione alle esigenze professionali, di preparazione
giuridica e di aggiornamento di ciascun magistrato e tenuto conto delle
richieste dell’interessato, fatto salvo quanto previsto dal comma 4. 2. La
partecipazione ai corsi è disciplinata dal regolamento adottato dalla Scuola. 3. Il
periodo di partecipazione all’attività di formazione indicata nel comma 2 è
considerato attività di servizio a tutti gli effetti. 4. Nei primi quattro anni successivi
all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare
almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale» |
Art. 26. Valutazione finale 1. Al termine del corso di aggiornamento
professionale, il comitato di gestione, in base ai pareri espressi dai
docenti ai risultati delle prove sostenute dai partecipanti ed alla diligenza
dimostrata da ciascun partecipante durante il corso, formula una sintetica
valutazione finale che tiene conto del livello di preparazione del magistrato
e di specifici elementi attitudinali allo svolgimento delle funzioni
giudiziarie. 2. La valutazione è inserita nel fascicolo
personale del magistrato e il Consiglio superiore della magistratura ne tiene
conto ai fini delle determinazioni relative al magistrato medesimo. |
Abrogato |
CAPO III CORSI DI FORMAZIONE PER IL PASSAGGIO A FUNZIONI
SUPERIORI, PER IL PASSAGGIO DA FUNZIONI GIUDICANTI A REQUIRENTI E VICEVERSA E
PER L’ACCESSO A FUNZIONI DIRETTIVE. |
Abrogato |
Art. 27. Oggetto 1. I corsi di formazione per il passaggio a
funzioni superiori, per il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e
viceversa e per l’accesso a funzioni direttive si svolgono presso le sedi
della Scuola e consistono in sessioni di studio tenute da professori
universitari, associati, straordinari ed ordinari in materie giuridiche, da
magistrati che svolgono funzioni di secondo grado, nonchè delle giurisdizioni
superiori, ordinaria e amministrativa, anche a riposo, e da avvocati dello
Stato con non meno di quindici anni di servizio nominati dal comitato di gestione
nell’ambito del piano di cui all’articolo 23. 2. I corsi di formazione per il passaggio a
funzioni superiori, nonchè per il passaggio da funzioni giudicanti a
requirenti e viceversa, debbono prevedere una parte teorica e una parte
pratica. La parte pratica prevede lo studio e la discussione di casi
giudiziari e la redazione di provvedimenti aventi ad oggetto questioni
relative all’esercizio delle funzioni richieste dal magistrato. 3. I corsi di formazione per l’accesso a
funzioni direttive hanno ad oggetto lo studio delle problematiche teoriche e
pratiche relative all’esercizio delle funzioni del dirigente, con riferimento
sia a quelle di natura giudiziaria che a quelle di amministrazione della
giurisdizione. |
Abrogato |
Art. 28. Frequenza e durata 1. Ciascun magistrato ha diritto a partecipare ai
corsi. 2. Per la partecipazione ai corsi, al
magistrato è riconosciuto un periodo di congedo retribuito. 3. Il differimento della partecipazione ai
corsi può essere disposto dal capo dell’ufficio giudiziario di appartenenza
per un periodo non superiore a sei mesi per comprovate e motivate esigenze di
organizzazione o di servizio. 4. Il comitato di gestione dispone la
partecipazione del magistrato al primo corso successivo alla scadenza del
termine di cui al comma 3. Non sono ammessi ulteriori differimenti. 5. I corsi hanno una durata di due settimane
consecutive. 6. Al termine dei corsi ogni docente esprime
un parere su ciascuno dei partecipanti che tenga conto del livello di
professionalità manifestato dal magistrato. |
Abrogato |
CAPO IV VALUTAZIONI PERIODICHE DEI MAGISTRATI Sezione I PRIMA VALUTAZIONE |
Abrogato |
Art. 29. Periodicità 1. I magistrati che, al settimo anno dall’ingresso
in magistratura, non hanno effettuato il passaggio dalle funzioni giudicanti
alle funzioni requirenti, o viceversa, hanno l’obbligo di frequentare un
corso di aggiornamento e di formazione professionale relativo alle funzioni
da essi svolte, che si tiene secondo le modalità previste dall’articolo 24. |
Abrogato |
Art. 30. Valutazione della Scuola 1. Al termine di ciascun corso, il comitato
di gestione, sulla base dei pareri espressi dai docenti ai sensi
dell’articolo 28, comma 6, dei risultati delle prove sostenute dai
partecipanti e della diligenza dimostrata da ciascun partecipante durante il
corso, formula una sintetica valutazione finale che tiene conto del livello
di preparazione del magistrato e di specifici elementi attitudinali inerenti
le funzioni svolte. La valutazione è inserita nel fascicolo personale del
magistrato e il Consiglio superiore della magistratura ne tiene conto ai fini
delle proprie determinazioni relative al magistrato medesimo. |
Abrogato |
Art. 31. Valutazione del Consiglio superiore della
magistratura 1. Il Consiglio superiore della
magistratura, all’esito del corso, esprime un giudizio di idoneità del
magistrato all’esercizio definitivo delle funzioni giudiziarie. 2. Ai fini del giudizio di cui al comma 1,
il Consiglio superiore della magistratura si basa sui seguenti elementi: a) il giudizio valutativo della Scuola,
espresso all’esito del corso di aggiornamento professionale e di formazione
svolto dal magistrato; b) la laboriosità e produttività; c) la capacità tecnica; d) l’attività giudiziaria e scientifica; e) l’equilibrio; f) la disponibilità alle esigenze del
servizio; g) il comportamento nei confronti dei
soggetti processuali; h) il rispetto della deontologia. 4. Tra un giudizio e l’altro deve
intercorrere un periodo di tempo di due anni. |
Abrogato |
Sezione II VALUTAZIONI SUCCESSIVE |
Abrogata |
Art. 32. Periodicità 1. I magistrati che non hanno sostenuto i
concorsi per le funzioni di secondo grado o di legittimità sono sottoposti,
da parte del Consiglio superiore della magistratura, a valutazioni di
professionalità al compimento del tredicesimo, ventesimo e ventottesimo anno
dall’ingresso in magistratura. |
Abrogato |
Art. 33. Corso di formazione presso la Scuola 1. Ciascuna delle valutazioni di cui
all’articolo 32 è preceduta dalla partecipazione, da parte del magistrato
interessato, ad un corso di aggiornamento e di formazione professionale
presso le sedi della Scuola che termina con un giudizio trasmesso al
Consiglio superiore della magistratura; si applicano le disposizioni di cui
agli articoli 24 e 30. 2. La partecipazione ai corsi di cui al
comma 1 non è suscettibile di differimento. |
Abrogato |
Art. 34. Valutazione del Consiglio superiore della
magistratura 1. Il Consiglio superiore della
magistratura, all’esito del corso presso la Scuola, esprime sul magistrato il
giudizio valutativo di cui all’articolo 32. 2. Si applicano le disposizioni di cui
all’articolo 31, commi 2, 3, 4 e 5. |
Abrogato |
Art. 35. Progressione economica 1. Il passaggio alla quinta, sesta e settima
classe stipendiale può essere disposto solo se il magistrato è stato
positivamente valutato dal Consiglio superiore della magistratura. |
Abrogato |
Art. 36. Magistrati che non hanno ottenuto l’idoneità nei
concorsi per il conferimento delle funzioni di secondo grado
o di legittimità. 1. All’esito dei concorsi per il
conferimento delle funzioni di secondo grado o di legittimità, la commissione
di concorso comunica al Consiglio superiore della magistratura l’elenco dei
magistrati che non hanno ottenuto i relativi posti e che, in quanto giudicati
non idonei, devono essere sottoposti alle valutazioni di professionalità di
cui all’articolo 32. |
Abrogato |
TITOLO IV DISPOSIZIONI FINALI |
Invariato |
Art. 37. Copertura finanziaria 1.
Agli oneri finanziari conseguenti alla applicazione del presente decreto, con
esclusione dell’articolo 1, comma 4, si provvede mediante l’utilizzo
dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 2, comma 37, della legge 25
luglio 2005, n. 150. 2. All’attuazione della disposizione di cui
all’articolo 1, comma 4, si provvede con le risorse umane del Ministero della
giustizia, all’uopo utilizzando le risorse finanziarie a tale scopo già
destinate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. |
Invariato |
Art. 38. Abrogazioni 1. Oltre a quanto previsto dal decreto
legislativo di attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 3, della
legge 25 luglio 2005, n. 150, sono abrogati, dalla data di efficacia delle
disposizioni contenute nel presente decreto: a) l’articolo 128, primo comma,
dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12; b) l’articolo 129 dell’ordinamento
giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive
modificazioni; c) l’articolo 129-bis dell’ordinamento giudiziario
di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, introdotto dall’articolo 16
della legge 13 febbraio 2001, n. 48; d) l’articolo 11, comma 5, della legge 13
febbraio 2001, n. 48; e) l’articolo 14, commi 2, 3 e 4, della
legge 13 febbraio 2001, n. 48; f) la legge 30 maggio 1965, n. 579; g) l’articolo 48 del decreto del Presidente
della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916, nonchè le disposizioni emanate in
attuazione di tale articolo. |
Invariato |
Art. 39. Efficacia 1. Le disposizioni del presente decreto
hanno effetto a decorrere dal novantesimo giorno successivo a quello della
sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Il presente decreto, munito del sigillo
dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi
della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e
di farlo osservare. Dato a Roma, addì 30 gennaio 2006 CIAMPI Berlusconi, Presidente del Consiglio dei
Ministri Castelli, Ministro della giustizia Tremonti, Ministro dell’economia e delle
finanze Visto, il Guardasigilli: Castelli |
Invariato |
TABELLA COMPARATIVA DEL TESTO ORIGINALE DEL D.D.L. N.
1447/S/XV
E DEL TESTO DEL MEDESIMO D.D.L.
APPROVATO DALLA COMMISSIONE GIUSTIZIA DEL SENATO,
SUCCESSIVAMENTE APPROVATO COME L. 30 LUGLIO 2007, N. 111
(le modifiche sono evidenziate in neretto;
si riportano esclusivamente le disposizioni attinenti alla
Scuola superiore della magistratura)
DISEGNO DI
LEGGE N. 1447/S/XV |
DISEGNO DI
LEGGE N. 1447/S/XV |
D’iniziativa del Governo |
Testo approvato dalla Commissione
Giustizia del Senato (conforme a quello della l. 30 luglio
2007, n. 111) |
|
—- |
Riforma dell’ordinamento giudiziario |
Modifiche alle norme sull’ordinamento
giudiziario |
Art. 3. |
Art. 3. |
(Modifiche al decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26) |
(Modifiche al decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26) |
1. All’articolo 1 del decreto legislativo
30 gennaio 2006, n. 26, sono apportate le seguenti modificazioni: |
1. All’articolo 1 del decreto
legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, il comma 5 è sostituito dal
seguente: |
a) al comma 2, le parole: «in via esclusiva»
sono soppresse; |
|
b) il comma 5 è sostituito dal seguente: |
|
«5. Con decreto del Ministro
della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente
disposizione, sono individuate tre sedi della Scuola, nonché quella delle tre
in cui si riunisce il comitato direttivo preposto alle attività di direzione
e di coordinamento delle sedi». |
«5. Identico». |
2. L’articolo 2 del citato decreto legislativo
n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente: |
2. Identico: |
«Art. 2. – (Finalità). – 1. La
Scuola è preposta: |
«Art. 2. – (Finalità). – 1. Identico: |
a) alla formazione e all’aggiornamento
professionale dei magistrati ordinari; |
a) identica; |
b) all’organizzazione di seminari di
aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi
previsti dalla lettera o), di altri operatori della giustizia; |
b) all’organizzazione di seminari di
aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi
previsti dalla lettera n), di altri operatori della giustizia; |
c) alla formazione iniziale e permanente
della magistratura onoraria; |
c) identica; |
d) alla formazione dei magistrati titolari
di funzioni direttive e semidirettive negli uffici giudiziari; |
d) identica; |
e) alla formazione dei magistrati incaricati
di compiti di formazione; |
e) identica; |
f) alla partecipazione alle attività di formazione decentrata; |
f) alle
attività di formazione decentrata; |
g) alla formazione, su richiesta del
Consiglio superiore della magistratura o del Ministro della giustizia, di
magistrati stranieri in Italia o partecipanti all’attività di formazione che
si svolge nell’ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel
quadro di progetti dell’Unione europea e di altri Stati o di istituzioni
internazionali, ovvero all’attuazione di programmi del Ministero degli affari
esteri e al coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati
italiani da parte di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad
oggetto l’organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia; |
g) alla
formazione, su richiesta della competente autorità di Governo, di
magistrati stranieri in Italia o partecipanti all’attività di formazione che
si svolge nell’ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel
quadro di progetti dell’Unione europea e di altri Stati o di istituzioni
internazionali, ovvero all’attuazione di programmi del Ministero degli affari
esteri e al coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati
italiani da parte di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad
oggetto l’organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia; |
h) alla collaborazione, su richiesta del
Consiglio superiore della magistratura o del Ministro della giustizia, nelle
attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia
in altri Paesi; |
h) alla
collaborazione, su richiesta della competente autorità di Governo,
nelle attività dirette all’organizzazione e al funzionamento del servizio
giustizia in altri Paesi; |
i) alla realizzazione di programmi di
formazione in collaborazione con analoghe strutture di altri organi
istituzionali o di ordini professionali; |
i) identica; |
l) alla pubblicazione di ricerche e di
studi nelle materie oggetto di attività di formazione; |
l) identica; |
m) all’organizzazione di conferenze,
convegni, incontri e seminari di studio aventi ad oggetto il miglior
funzionamento del sistema giustizia; |
m) all’organizzazione
di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca, in
relazione all’attività di formazione; |
n) allo svolgimento di attività di ricerca,
documentazione e consulenza in relazione al sistema giustizia; |
soppressa |
o) allo svolgimento, anche sulla base di
specifici accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri, di
seminari per operatori della giustizia o iscritti alle scuole di
specializzazione forense; |
n) identica; |
p) allo svolgimento delle altre attività che
sono richieste dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro
della giustizia; |
soppressa |
q) alla collaborazione alle attività connesse
con lo svolgimento del tirocinio dei magistrati ordinari nell’ambito delle
direttive formulate dal Consiglio superiore della magistratura e dai consigli
giudiziari. |
o) alla
collaborazione alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei
magistrati ordinari nell’ambito delle direttive formulate dal Consiglio
superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei
consigli giudiziari. |
2. All’attività di ricerca non si
applica l’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio
1980, n. 382. |
2. Identico. |
3. L’organizzazione della Scuola
è disciplinata dallo statuto e dai regolamenti adottati ai sensi
dell’articolo 5, comma 2». |
3. Identico». |
3. All’articolo 3, comma 1, del citato
decreto legislativo n. 26 del 2006, la parola: «cinque» è sostituita
dalla seguente: «otto». |
3. Identico. |
4. L’articolo 4 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente: |
4. Identico. |
«Art. 4. – (Organi). – 1. Gli
organi della Scuola sono: |
|
a) il comitato direttivo; |
|
b) il presidente; |
|
c) il segretario generale». |
|
5. L’articolo 5 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente: |
5. Identico: |
«Art. 5. – (Composizione e funzioni).
– 1. Il comitato direttivo è composto da dodici membri. |
«Art. 5. – (Composizione e funzioni).
– 1. Identico. |
2. Il comitato direttivo adotta
lo statuto e i regolamenti interni; cura la tenuta dell’albo dei docenti;
adotta, tenuto conto delle linee programmatiche proposte annualmente dal
Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, il
programma annuale dell’attività didattica; approva la relazione annuale che
trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della
magistratura; nomina i docenti delle singole sessioni formative, determina i
criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle relative
ammissioni; conferisce ai responsabili di settore l’incarico di curare ambiti
specifici di attività; nomina il segretario generale; vigila sul corretto
andamento della Scuola; approva il bilancio di previsione e il bilancio
consuntivo». |
2. Il comitato direttivo adotta
lo statuto e i regolamenti interni; cura la tenuta dell’albo dei docenti;
adotta e modifica, tenuto conto delle linee programmatiche proposte
annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della
giustizia, il programma annuale dell’attività didattica; approva la relazione
annuale che trasmette al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore
della magistratura; nomina i docenti delle singole sessioni formative,
determina i criteri di ammissione ai corsi dei partecipanti e procede alle
relative ammissioni; conferisce ai responsabili di settore l’incarico di
curare ambiti specifici di attività; nomina il segretario generale; vigila
sul corretto andamento della Scuola; approva il bilancio di previsione e il
bilancio consuntivo». |
6. All’articolo 6 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 sono apportate le seguenti modificazioni: |
6. Identico: |
a) il comma 1 è sostituito dal seguente: |
a) identico: |
«1. Dei dodici componenti del
comitato direttivo sette sono scelti fra magistrati, anche in quiescenza, che
abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, tre fra
docenti universitari, anche in quiescenza, e due fra avvocati che abbiano esercitato
la professione per almeno dieci anni. Le nomine sono effettuate dal Consiglio
superiore della magistratura, in ragione di cinque magistrati e di un docente
universitario, e dal Ministro della giustizia, in ragione di due magistrati,
di due docenti universitari e di due avvocati, d’intesa tra loro.»; |
«1. Fanno parte del
comitato direttivo dodici componenti di cui sette scelti fra
magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza
valutazione di professionalità, tre fra professori universitari, anche
in quiescenza, e due fra avvocati che abbiano esercitato la professione per
almeno dieci anni. Le nomine sono effettuate dal Consiglio superiore della
magistratura, in ragione di sei magistrati e di un professore
universitario, e dal Ministro della giustizia, in ragione di un magistrato,
di due professori universitari e di due avvocati.»; |
b) il comma 2 è sostituito dal seguente: |
b) identica; |
«2. I magistrati ancora in
servizio nominati nel comitato direttivo sono collocati fuori del ruolo
organico della magistratura per tutta la durata dell’incarico.»; |
|
c) al comma 3, le parole: «fatta eccezione
per i soggetti indicati al comma 1,» sono soppresse e le parole: «per uditore
giudiziario» sono sostituite dalle seguenti: «per magistrato ordinario». |
c) identica. |
7. All’articolo 7 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006, il comma 1 è sostituito dal seguente: |
7. Identico. |
«1. Il comitato direttivo
delibera a maggioranza con la presenza di almeno otto componenti. Per gli
atti di straordinaria amministrazione è necessario il voto favorevole di
sette componenti. In caso di parità prevale il voto del presidente. Il voto è
sempre palese.». |
|
|
8. L’articolo 11 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente: |
|
«Art. 11. – (Funzioni). – 1. Il
presidente ha la rappresentanza legale della Scuola ed è eletto tra i
componenti del comitato direttivo a maggioranza assoluta. Il presidente
presiede il comitato direttivo, ne convoca le riunioni fissando il relativo
ordine del giorno, adotta i provvedimenti d’urgenza, con riserva di ratifica
se essi rientrano nella competenza di altro organo, ed esercita i compiti
attribuitigli dallo statuto. |
|
2. Le modalità di sostituzione
del presidente in caso di assenza o impedimento sono disciplinate dallo
statuto». |
8. La rubrica della sezione IV del capo
II del titolo I del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è
sostituita dalla seguente: «I responsabili di settore». |
9. Identico. |
9. L’articolo 12 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente: |
10. Identico: |
«Art. 12. – (Funzioni). – 1. I
componenti del comitato direttivo in posizione di fuori ruolo presso la
Scuola svolgono anche i compiti di responsabili di settore, curando,
nell’ambito assegnato dallo stesso comitato direttivo: |
«Art. 12. – (Funzioni). – 1. I
componenti del comitato direttivo svolgono anche i compiti di responsabili di
settore, curando, nell’ambito assegnato dallo stesso comitato direttivo: |
a) la predisposizione della bozza di
programma annuale delle attività didattiche, da sottoporre al comitato
direttivo, elaborata tenendo conto delle linee programmatiche sulla
formazione pervenute dal Consiglio superiore della magistratura e dal
Ministro della giustizia, nonché delle proposte pervenute dal Consiglio
nazionale forense e dal Consiglio universitario nazionale; |
a) identica; |
b) l’attuazione del programma annuale
dell’attività didattica approvato dal comitato direttivo; |
b) identica; |
c) la definizione del contenuto analitico di
ciascuna sessione; |
c) identica; |
d) l’individuazione dei docenti chiamati a
svolgere l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione, utilizzando lo
specifico albo tenuto presso la Scuola, e la proposta dei relativi
nominativi, in numero doppio rispetto agli incarichi, al comitato direttivo; |
d) identica; |
e) la proposta dei criteri di ammissione
alle sessioni di formazione; |
e) identica; |
f) l’offerta di sussidio didattico e di
sperimentazione di nuove formule didattiche; |
f) identica; |
g) lo svolgimento delle sessioni
presentando, all’esito di ciascuna di esse, relazioni consuntive». |
g) identica». |
10. Dopo la sezione IV del capo II del
titolo I del citato decreto legislativo n. 26 del 2006 è aggiunta la
seguente: |
11. Identico: |
«Sezione IV-bis. |
«Sezione IV-bis. |
IL SEGRETARIO GENERALE |
IL SEGRETARIO GENERALE |
Art. 17-bis. |
Art. 17-bis. |
(Segretario generale) |
(Segretario generale) |
1. Il segretario generale della
Scuola: |
1. Identico: |
a) è responsabile della gestione
amministrativa e coordina tutte le attività della Scuola con esclusione di
quelle afferenti alla didattica; |
a) identica; |
b) provvede all’esecuzione delle delibere
del comitato direttivo esercitando anche i conseguenti poteri di spesa; |
b) identica; |
c) adotta i provvedimenti d’urgenza, con
riserva di ratifica se essi rientrano nella competenza di altro organo; |
soppressa |
d) predispone la relazione annuale
sull’attività della Scuola; |
c) identica; |
e) esercita le competenze eventualmente
delegategli dal comitato direttivo; |
d) identica; |
f) esercita ogni altra funzione conferitagli
dallo statuto e dai regolamenti interni. |
e) identica. |
Art. 17-ter. |
Art. 17-ter. |
(Funzioni e durata) |
(Funzioni e durata) |
1. Il comitato direttivo nomina
il segretario generale, scegliendolo tra quattro magistrati ordinari, due
indicati dal Consiglio superiore della magistratura e due dal Ministro della
giustizia, tenendo conto dei criteri di valutazione di cui ai commi 2 e 3
dell’articolo 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e
successive modificazioni; i magistrati ordinari indicati devono aver
conseguito almeno la quarta valutazione di professionalità. Al
segretario generale si applica l’articolo 6, commi 3, ultima parte, e 4. |
1. Il comitato direttivo nomina
il segretario generale, scegliendolo tra i magistrati ordinari ovvero
tra i dirigenti di prima fascia di cui all’articolo 23 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. I
magistrati ordinari devono aver conseguito la quarta valutazione di
professionalità. Al segretario generale si applica l’articolo 6, commi 3, nella
parte in cui si prevede il divieto di far parte delle commissioni di concorso
per magistrato ordinario, e 4. |
2. Il segretario generale dura in
carica cinque anni, durante i quali è collocato fuori dal ruolo organico
della magistratura. |
2. Il segretario generale dura in
carica cinque anni durante i quali, se magistrato, è collocato fuori
dal ruolo organico della magistratura. |
3. L’incarico può essere
rinnovato per una sola volta per un periodo massimo di due anni e può essere
revocato dal comitato direttivo, con provvedimento motivato adottato previa
audizione dell’interessato, nel caso di grave inosservanza delle direttive e
degli indirizzi stabiliti dal comitato stesso». |
3. L’incarico, per il quale
non sono corrisposti indennità o compensi aggiuntivi, può essere
rinnovato per una sola volta per un periodo massimo di due anni e può essere revocato
dal comitato direttivo, con provvedimento motivato adottato previa audizione
dell’interessato, nel caso di grave inosservanza delle direttive e degli
indirizzi stabiliti dal comitato stesso». |
11. La rubrica del titolo II del citato
decreto legislativo n. 26 del 2006 è sostituita dalla seguente:
«Disposizioni sui magistrati ordinari in tirocinio». |
12. Identico. |
12. L’articolo 18 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente: |
13. Identico: |
«Art. 18. – (Durata). – 1. Il
tirocinio dei magistrati ordinari nominati a seguito di concorso per esame,
di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2006,
n. 160, e successive modificazioni, ha la durata di diciotto mesi e si
articola in sessioni, una delle quali della durata di sei mesi, anche non
consecutivi, effettuata presso la Scuola ed una della durata di dodici mesi,
anche non consecutivi, effettuata presso gli uffici giudiziari. Le modalità
di svolgimento delle sessioni del tirocinio sono definite con delibera del
Consiglio superiore della magistratura. |
«Art. 18. – (Durata). – 1. Identico». |
2. Con la delibera di cui al
comma 1 il Consiglio superiore della magistratura può ridurre la durata del
tirocinio fino alla metà in presenza di particolare urgenza nella copertura
di posti vacanti negli uffici giudiziari. In tal caso adotta i provvedimenti
necessari per ottimizzare l’articolazione del tirocinio alla minore durata». |
Soppresso |
13. L’articolo 20 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente: |
14. Identico: |
«Art. 20. – (Contenuto e modalità di
svolgimento). – 1. Nella sessione effettuata presso le sedi della Scuola,
i magistrati ordinari in tirocinio frequentano corsi di approfondimento
teorico-pratico su materie individuate dal Consiglio superiore della
magistratura con le delibere di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 18, nonché
su ulteriori materie individuate dal comitato direttivo nel programma annuale.
La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al perfezionamento
delle capacità operative e professionali, nonché della deontologia del
magistrato ordinario in tirocinio. |
«Art. 20. – (Contenuto e modalità di
svolgimento). – 1. Nella sessione effettuata presso le sedi della Scuola,
i magistrati ordinari in tirocinio frequentano corsi di approfondimento
teorico-pratico su materie individuate dal Consiglio superiore della
magistratura con le delibere di cui al comma 1 dell’articolo 18,
nonché su ulteriori materie individuate dal comitato direttivo nel programma
annuale. La sessione presso la Scuola deve in ogni caso tendere al
perfezionamento delle capacità operative e professionali, nonché della
deontologia del magistrato ordinario in tirocinio. |
2. I corsi sono tenuti da docenti
di elevata competenza e professionalità, nominati dal comitato direttivo al
fine di garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico. |
2. Identico. |
3. Tra i docenti sono designati i
tutori che assicurano anche l’assistenza didattica ai magistrati ordinari in
tirocinio. |
3. Identico. |
4. Al termine delle sessioni
presso la Scuola, il comitato direttivo trasmette al Consiglio superiore
della magistratura una scheda concernente, per ogni magistrato, il
programma delle attività cui ha partecipato, l’assiduità e la puntualità
nella frequenza delle lezioni, le eventuali pubblicazioni o elaborati
prodotti durante i corsi e i comportamenti specifici rilevanti sotto il
profilo della deontologia professionale». |
4. Al termine delle sessioni
presso la Scuola, il comitato direttivo trasmette al Consiglio superiore
della magistratura una relazione concernente ciascun
magistrato». |
14. All’articolo 21 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 sono apportate le seguenti modificazioni: |
15. Identico: |
a) la parola: «uditore», ovunque ricorra, è
sostituita dalle seguenti: «magistrato ordinario in tirocinio»; |
a) identica; |
b) al comma 1, dopo la parola: «collegiale»
sono inserite le seguenti: «e monocratica»; |
b) al
comma 1, le parole: «della durata di sette mesi» sono sostituite dalle
seguenti: «della durata di quattro mesi»; dopo la parola «collegiale»
sono inserite le seguenti: «e monocratica»; le parole: «della durata di
tre mesi» sono sostituite dalle seguenti: «della durata di due mesi»; le
parole: «della durata di otto mesi» sono sostituite dalle seguenti: «della
durata di sei mesi»; |
c) al comma 2, le parole: «di gestione» sono
sostituite dalla seguente: «direttivo» e le parole: «civile e penale» sono
sostituite dalle seguenti: «civile, penale e dell’ordinamento giudiziario»; |
c) identica; |
d) il comma 3 è sostituito dal seguente: |
d) identica; |
«3. I magistrati affidatari
presso i quali i magistrati ordinari svolgono i prescritti periodi di
tirocinio sono designati dal Consiglio superiore della magistratura, su
proposta del competente consiglio giudiziario.»; |
|
e) al comma 4, le parole: «di gestione» sono
sostituite dalle seguenti: «direttivo ed al Consiglio superiore». |
e) identica. |
15. All’articolo 22 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 sono apportate le seguenti modificazioni: |
16. Identico: |
a) le parole: «uditore» e «uditore
giudiziario», ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «magistrato
ordinario in tirocinio»; |
a) identica; |
b) il comma 1 è sostituito dal seguente: |
b) identico: |
«1. Al termine del tirocinio sono
trasmesse al Consiglio superiore della magistratura le schede di valutazione
redatte all’esito delle sessioni.»; |
«1. Al termine del tirocinio sono
trasmesse al Consiglio superiore della magistratura le schede di valutazione
redatte all’esito delle sessioni unitamente ad una relazione di sintesi
predisposta dal comitato direttivo della Scuola.»; |
c) il comma 2 è sostituito dal seguente: |
c) identico: |
«2. Il Consiglio superiore della
magistratura opera il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni
giudiziarie, tenendo conto delle schede di valutazione trasmesse dal comitato
direttivo, del parere del consiglio giudiziario e di ogni altro elemento
rilevante ed oggettivamente verificabile eventualmente acquisito. Il giudizio
di idoneità, se positivo, contiene uno specifico riferimento all’attitudine
del magistrato allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti.»; |
«2. Il Consiglio superiore della
magistratura opera il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni
giudiziarie, tenendo conto delle schede di valutazione trasmesse dal comitato
direttivo, della relazione di sintesi dal medesimo predisposta, del
parere del consiglio giudiziario e di ogni altro elemento rilevante ed
oggettivamente verificabile eventualmente acquisito. Il giudizio di idoneità,
se positivo, contiene uno specifico riferimento all’attitudine del magistrato
allo svolgimento delle funzioni giudicanti o requirenti.»; |
d) al comma 3, le parole: «di gestione» sono
sostituite dalla seguente: «direttivo»; |
d) identica; |
e) al comma 4, dopo la parola: «collegiale»
sono inserite le seguenti: «e monocratica»; le parole: «i tribunali», ovunque
ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «il tribunale» e le parole: «le
procure della Repubblica» sono sostituite dalle seguenti: «la procura della
Repubblica». |
e) identica. |
16. L’articolo 23 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente: |
17. Identico. |
«Art. 23. – (Tipologia dei corsi). –
1. Ai fini della formazione e dell’aggiornamento professionale, nonché
per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa e
per lo svolgimento delle funzioni direttive, il comitato direttivo approva
annualmente, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, il piano dei relativi corsi
nell’ambito dei programmi didattici deliberati, tenendo conto della diversità
delle funzioni svolte dai magistrati». |
|
17. All’articolo 24 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 sono apportate le seguenti modificazioni: |
18. Identico. |
a) al comma 1, sono aggiunte, in fine, le
seguenti parole: «, individuati nell’albo esistente presso la Scuola. Lo
statuto determina il numero massimo degli incarichi conferibili ai docenti
anche tenuto conto della loro complessità e onerosità. L’albo è aggiornato
annualmente dal comitato direttivo in base alle nuove disponibilità fatte
pervenire alla Scuola e alla valutazione assegnata a ciascun docente tenuto
conto anche del giudizio contenuto nelle schede compilate dai partecipanti al
corso»; |
|
b) al comma 2, le parole: «di gestione» sono
sostituite dalla seguente: «direttivo»; |
|
c) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: |
|
«2-bis. Il comitato direttivo e i
responsabili di settore, secondo le rispettive competenze, usufruiscono delle
strutture per la formazione decentrata eventualmente esistenti presso i vari
distretti di corte d’appello per la realizzazione dell’attività di formazione
decentrata e per la definizione dei relativi programmi.». |
|
18. L’articolo 25 del citato decreto
legislativo n. 26 del 2006 è sostituito dal seguente: |
19. Identico: |
«Art. 25. – (Obbligo di frequenza). –
1. Tutti i magistrati in servizio hanno l’obbligo di partecipare almeno
una volta ogni quattro anni ad uno dei corsi di cui all’articolo 24, fatto
salvo quanto previsto dal comma 4. |
«Art. 25. – (Obbligo di frequenza). –
1. Tutti i magistrati in servizio hanno l’obbligo di partecipare almeno
una volta ogni quattro anni ad uno dei corsi di cui all’articolo 24, individuato
dal consiglio direttivo in relazione alle esigenze professionali, di
preparazione giuridica e di aggiornamento di ciascun magistrato e tenuto
conto delle richieste dell’interessato, fatto salvo quanto previsto dal
comma 4. |
2. La partecipazione ai corsi è
disciplinata dal regolamento adottato dalla Scuola. |
2. Identico. |
3. Il periodo di partecipazione
all’attività di formazione indicata nel comma 2 è considerato attività di
servizio a tutti gli effetti. |
3. Identico. |
4. Nei primi quattro anni
successivi all’assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono
partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale». |
4. Identico». |
[1] Sul tema della
formazione del giurista in generale e dell’avvocato in particolare cfr., tra i
tanti contributi (ovviamente, oltre a quelli che verranno citati infra,
in relazione a singoli profili), Pisani
Massamormile, La legge
professionale forense e l’esigenza di formazione dell’avvocato, in Giur.
it., 1990, IV, c. 1 ss.; A. Padoa
Schioppa, Per una riforma degli studi universitari di giurisprudenza
in Italia, in Foro it., 1991, V, c. 517 ss.; Consolo e Mazzarolli,
La formazione dell’avvocato. L’Università,
in Giur. it., 1993, IV, c. 381 ss.; Franchini,
La formazione professionale e
scientifica nell’Università, in Dir. e società, 1993, p. 363 ss.; Padoa Schioppa, Il modello dell’
insegnamento del diritto in Italia, in Foro it., 1995, V, c. 413
ss.; Spantigati, La formazione
del giurista strumentale alla costruzione del «sistema», in Pol. dir.,
1997, p. 125 ss.; Donati, Storicismo
e antistoricismo nella formazione del giurista, in Jus, 1998, p. 307
ss.; Mariani Marini, I problemi
irrisolti della formazione comune tra avvocati e magistrati, in Rass.
forense, 1998, p. 827 ss.; Padoa
Schioppa, Una formazione professionale unitaria per superare le
diffidenze tra le categorie, in Guida al Diritto, Il Sole 24 ore,
1998, n. 42, p.11, ss.; Alpa, L’accesso alla professione
forense: nuove prospettive per l’avvocatura, in Nuova giur. civ. comm.,
1999, II, p. 193 ss.; Dogliani e Sicardi, La riforma degli ordinamenti
didattici e il diritto costituzionale, in Quaderni costituz., 1999,
p. 563 ss.; Mariani Marini, Una
formazione a servizio dell’avvocatura per governare le trasformazioni in atto,
in Guida al Diritto, Il Sole 24 ore, 1999, n. 9, p. 11, ss.; Mariani Marini, Tradizione e innovazione nella formazione dell’avvocato, in Rass.
forense, 1999, p. 47 ss.; Moccia,
La formazione dell’«avvocato europeo»: questioni e risposte di prospettiva,
in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 567 ss.; Mariani Marini, Agli antipodi dell’azzeccagarbugli (un
modello formativo per l’avvocatura), in Rass.
forense, 2000, p. 501 ss.; Fragola,
Prime riflessioni sulle nuove lauree universitarie, in Riv. giur.
scuola, 2001, p. 3 ss.; Pascuzzi,
La formazione del giurista: il ruolo dell’informatica, in Dir. e formazione,
2002, p. 287 ss.; Danovi, Le
iniziative del C.C.B.E. per la formazione dell’avvocato in Europa: analisi e
proposte, in Dir. e formazione, 2002, p. 293 ss.; Ranieri, Giuristi per l’Europa: come
fare e come non fare una riforma degli studi di diritto in Italia,
disponibile al sito web seguente: http://www.jura.uni-sb.de/projekte/Bibliothek/text.php?id=296.
Per una panoramica sulla legal education oltre Oceano cfr. Levine, Legal Education, New
York, 1993; v. inoltre la ricca bibliografia in Carrick
e Walters, A Bibliography of United States Legal
Education: From Litchfield to Lexis, Buffalo, 2003. Sulla questione specifica della comparazione tra
il sistema italiano e quello tedesco di formazione e di tirocinio professionale
dei giuristi v. infine l’interessante e sempre attuale studio di Cappelletti, Studio del diritto e
tirocinio professionale in Italia e Germania, Milano, 1957.
[2] «In mente iudicis
debent esse duo sales, scilicet sal scientiae, alias est insipida et sal
securae conscientiae, alias est diabolica» (Baldo
degli Ubaldi, Commentaria in vj,
vjj, vjj, vjjj, jx, x et xj Codicis lib., Venetiis,
[3] ab Ecclesia, Observationes forenses Sacri Senatus
Pedemontani, I, Parmae, 1727, p. 2. Si noti però che non facevano difetto,
presso i dottori del diritto comune, opinioni secondo le quali il giudice
avrebbe potuto anche essere imperitus. Si potrà ricordare al riguardo
l’avviso del Cardinal De Luca (cfr. De
Luca, Theatrum veritatis et justitiae, XV, De judiciis,
Venetiis, 1706, p. 205), secondo cui «Juris imperitus Judex esse non
prohibetur; sub ea tamen lege, ut jurisperitum in consiliarium assumat, vel
assessorem». La questione appare del resto in qualche modo legata al tema della
motivazione delle sentenze in diritto comune (sull’argomento cfr. Oberto, La motivazione delle sentenze civili in Europa: spunti storici e comparatistici,
articolo disponibile al seguente sito web:
http://utenti.lycos.it/giacomo305604/csm2004/sommario.htm;
in particolare si v. il cap. I, § 2), che gli studiosi dell’epoca ritenevano
non solo non necessaria, ma addirittura da evitarsi, per non correre il rischio
che l’indicazione di una falsa causa
potesse inficiare la validità di una decisione eventualmente giusta, onde si
riteneva ad esempio possibile che il giudice effettuasse una mera relatio
al parere di un giurisperito, seguita dalla seguente dicitura: «Nos talis
iudex, etc., sententiamus, et pronunciamus, prout in suprascripto consilio
continetur», apponendo quindi la propria firma, alias nulla esset sententia, come attestato, ad esempio, dal
venosino Roberto Maranta nella sua celeberrima praxis civilis. L’Autore (cfr. Maranta,
Speculum aureum. et lumen advocatorum
praxis civilis, Venetiis,
[4] Domat, Le droit
public, suite des loix civiles dans leur ordre naturel, in Les loix
civiles dans leurs ordre naturel, II, Paris, 1756, p. 167.
[5] L’affermazione precede di oltre due secoli quella di Lord Denning,
secondo cui «The law is a science that requires long study and experience
before a man attains proficiency in it» (Lord A. Denning, The Road to
Justice, London, 1955, p. 24).
[6] «L’essentiel est de vous former d’abord un plan général des études que
vous êtes sur le point d’entreprendre ; de suivre ce plan avec ordre et avec
fidélité, et sur-tout de ne point vous effrayer de son étendue. Ce n’est pas
ici l’ouvrage d’un jour, ni même d’une année ; mais quelque long qu’il puisse
être, si vous êtes exact à en exécuter tous les jours une partie, vous serez
comme ceux qui dans les travaux qu’ils font faire, suivent toujours un bon plan
sans jamais en changer. Comme ils ne perdent point de temps, ils mettent à
profit toute la dépense qu’ils font. Insensiblement l’édifice s’éleve, les
ouvrages s’avancent ; et quelque lent qu’en soit le progrès, on arrive toujours
à la fin qu’on se propose, pourvû que l’on marche constamment sur la même
ligne, et qu’on ne perde jamais de vûe le plan qu’on s’est une fois formé» (D’Aguesseau, Instructions sur les études propres à former un magistrat, in Œuvres de M. le Chancelier D’Aguesseau,
I, Paris, 1759, p. 258 ss.; il brano citato reca la data del 27 settembre
1716).
[7] Non è certo un caso che
le Instructions sur les études propres à
former un magistrat fossero indirizzate al Fils aîné dello stesso
Cancelliere.
[8] «The prophecies of what the courts will do in fact, and nothing more
pretentious, are what I mean by the law» (Holmes,
Collected Legal Papers, 1921, p. 173; la frase citata risale al 1897). Holmes fu il capofila
della scuola definita degli American Realists, per i quali il diritto
sarebbe stato semplicemente «what the courts will do in fact» (sul punto v. Seagle, The Quest for Law, New York,
1941, p. 17 s., 376 s., nota 32; per una tesi analoga a quella di Holmes v.
anche Cardozo, The Growth of
the Law, New Haven, 1924, p. 43 ss.), posizione, questa, aspramente
criticata, per esempio, da Hermann Kantorowicz, il quale umoristicamente osservava
che, così stando le cose, la funzione delle facoltà giuridiche avrebbe dovuto
essere quella «to train men like Mr. Sherlock Holmes rather than Mr. Justice
Holmes» (Kantorowicz, in Yale
Law Journal, Vol. XLIII, 1934, p. 1252; per una critica delle tesi di
Holmes e di Cardozo v. Kelsen, Teoria
generale del diritto e dello stato, Milano, 1952, p. 171; sul tema cfr.
anche Cordero, Riti e sapienza
del diritto, Bari, 1985, p. 543 ss.; sui rapporti tra giurimetria e judicial
predicting cfr. Taddei Elmi, Corso
di informatica giuridica, Napoli, 2000, p. 11 s.).
[9] Si pensi a concetti
quali «buona fede», «diligenza», «ordine pubblico», «buon costume» (v. artt.
1175, 1176, 1343, 1375 c.c.; 1133 e 1134 Code Napoléon; §§ 138 e 242 BGB;
sul tema delle clausole generali v., anche per i rinvii, Mengoni, Problema e sistema nella
controversia sul metodo giuridico, in Diritto e valori, Bologna,
1985, p. 18 s.).
[10] Cfr. le Sections 21, 24 e 35 (1) del Matrimonial Causes Act
(1973). Su
questo tema specifico v. Salter e Jeavons, Humphreys’ Matrimonial Causes, London, 1989, p. 246 ss. Nel senso
che la giurisprudenza tedesca interpreta il concetto di Treu und Glauben
di cui al § 242 BGB come una norma
che fornisce al giudice il potere di scoprire lacune nella legge e di colmarle
con il ricorso a giudizi di valore extrapositivi (cfr. Rüters, Die unbegrenzte Auslegung. Zum Wandel der
Privatrechtsordnung im Nazionalsozialismus, Frankfurt a.M., 1973, p. 48
ss.) e lo stesso è certamente a dirsi per la Sittenwidrigkeit di cui al § 138 BGB. Si noti che, per curiosa (ma non certo casuale) coincidenza,
tanto il BVG che il BGH sono pervenuti, in tempi
relativamente recenti, ad affermare la possibilità per il giudice di
intervenire, a determinate condizioni, sul contenuto di un Ehevertrag, proprio in base al citato principio di contrarietà ai
«buoni costumi» (sul punto v. amplius
Oberto, Contratto e famiglia, in Aa.
Vv., Trattato del contratto, a cura di Roppo, VI, Interferenze, a cura di Roppo, Milano, 2006, p. 267 ss.).
[11] «Aristoteles Peripateticae,
ac communis denique Philosophiae principes, Rhetoricorum primo scriptum
reliquit: illas leges optime constitutas esse, quae in omnibus, qui incidere
possunt casibus sancitae sunt: quaeque paucissima Iudicis arbitrio reliquerunt»
(Menochio, op. cit., f. 1);
«Iudices tamen plerique tali arbitrio abutuntur ob id relinqui debet arbitrio
iudicis minus, quam sit possibile» (Cravetta,
op. cit., f. 110). Del resto, già Bartolo da Sassoferrato osservava che
il giudice «debet servare aequitatem in his, quae suo arbitrio committuntur, in
his vero, quae a lege sunt decisa debet legis decisionem servare» (Bartolo da Sassoferrato, Commentaria,
VII, In Primam Codicis Partem, Venetiis,
[12] «Il re vuole (...) che il linguaggio del magistrato
sia il linguaggio delle leggi, che egli parli allorché esse parlano e si taccia
allorché esse non parlano o almeno non parlano chiaro». Questo auspicio,
espresso oltre due secoli fa da Gaetano Filangieri (Filangieri, Riflessioni politiche sull’ultima legge del
nostro sovrano che riguarda l’amministrazione della giustizia, in La
scienza della legislazione e gli opuscoli scelti, Livorno, 1826-1827, p.
350; Gaetano Filangieri, nato nel 1752, morì nel 1788; La scienza della
legislazione fu pubblicata tra il 1780 e il 1785), non è che il riflesso
dell’illusione – propria al secolo dei Lumi – secondo cui un sistema complesso,
quale quello delle moderne legislazioni, potrebbe e dovrebbe esprimersi
attraverso leggi sempre chiare, semplici e comprensibili da parte di ogni cittadino.
Tra i tanti esempi v. Beccaria, Dei
delitti e delle pene, IV, Interpretazione Delle Leggi (in Beccaria, Dei delitti e delle pene,
a cura di Piero Calamandrei, Firenze, 1945, p. 174 ss.; l’opera venne
pubblicata per la prima volta nel 1764): «In ogni delitto si deve fare dal
giudice un sillogismo perfetto; la [premessa] maggiore dev’essere la legge
generale; la minore, l’azione conforme, o no, alla legge; la conseguenza, la
libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli
due sillogismi, si apre la porta all’incertezza. Non v’è cosa più pericolosa di
quell’assioma comune, che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è
un argine rotto al torrente delle opinioni. Questa verità, che sembra un
paradosso alle menti volgari, più percosse da un picciol disordine presente,
che dalle funeste ma rimote conseguenze che nascono da un falso principio
radicato in una nazione, mi sembra dimostrata. (…) Un disordine che nasce dalla
rigorosa osservanza della lettera di una legge penale, non è da mettersi in
confronto co’ disordini che nascono dalla interpretazione. Un tale momentaneo
inconveniente spinge a fare la facile e necessaria correzione alle parole della
legge, che sono la cagione dell’incertezza; ma impedisce la fatale licenza di
ragionare, da cui nascono le arbitrarie e venali controversie. Quando un codice
fisso di leggi, che si debbono osservare alla lettera, non lascia al giudice
altra incombenza, che di esaminare le azioni de’ cittadini, e giudicarle
conformi o difformi alla legge scritta; quando la norma del giusto o
dell’ingiusto, che deve diriger le azioni sì del cittadino ignorante, come del
cittadino filosofo, non è un affare di controversia, ma di fatto: allora i
sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie di molti, tanto più crudeli,
quanto è minore la distanza fra chi soffre e chi fa soffrire (…). Così
acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi, che è la giusta, perché
è lo scopo per cui gli uomini stanno in società» (sul tema qui in discussione v.
inoltre G.
Zagrebelsky, Ordinamenti giuridici
pluralistici ed applicazione automatica della legge, in Informatica e attività giuridica, Atti
del 5° Congresso Internazionale, a cura di Fanelli e Giannantonio, Roma,
3-7 maggio 1993, I, Roma, 1994, p. 273 ss.; Id.,
Il diritto mite, Torino, 1992, p. 20
ss.; sull’argomento della discrezionalità del giudice e dei suoi rapporti con
le fonti normative cfr. Barak, Judicial
Discretion, ed. italiana dal titolo La discrezionalità del giudice,
Milano, 1995, passim).
[13] Se i giudici di merito,
invero, fossero autorizzati ad astenersi dall’emettere il proprio giudizio per
via dell’oscurità della legge applicabile, sarebbero sollevati da gran parte
del loro lavoro; i magistrati della Corte di cassazione, dal canto loro,
rischierebbero di trovarsi puramente e semplicemente… disoccupati. Sarà
interessante rimarcare come questa consapevolezza fosse già chiaramente
espressa in svariate opere degli antichi civilisti e canonisti; si veda al
riguardo cosa osserva, per esempio, Prospero Fagnani (Fagnani, De opinione probabili, Romae, 1665, p. 167
s.): «ubi sunt opiniones discordes, Iudex tenetur sequi communem (…) rursus in
dubiis praeferendum quod benignius est, quod verisimilius, quod plerumque fieri
solet. l. Semper in dubiis, l. In obscuris, et l. Quoties idem, ff. De regu.
iur. Et quamplures aliae his consimiles, quae compendiose
recensentur a Matth. Matthesil. in d. opusc. Electionis verioris opinionis
inter tractatus communes. Sed huiusmodi regulae funditus everterentur, et
frustra legislatores in iis praescribendis tantopere laborassent, si pro
cuiusque abirtratu liceret sequi quamcumque opinionem probabilem. Et tamen ut
Ambros. ait in c. Iudicet, 3. qu. 7 [Bonus Iudex nihil ex arbitrio suo facit,
et domesticae proposito voluntatis, sed iuxta leges, et iura pronunciat.] Quod
adeo verum est, ut Matth. Matthesil. ubi sup. num. 10. Si res prorsus ambigua
sit, censeat aut Principem esse consulendum, aut omnino abstinendum a consilio, et iudicio: sed si omnino,
inquit, sunt penitus paria, quod raro accidit, dimittas consulere cum sigillo
in tali dubio, et si sis Iudex, neutram opinionem sequaris». Proprio per evitare tali
conseguenze il Code Napoléon – dando prova d’un realismo (o, se si preferisce,
d’un cinismo) proprio di ogni moderna legislazione – abbandonò su questo punto
l’illusione del secolo che s’era appena concluso, stabilendo solennemente che
«Le juge qui refusera de juger, sous prétexte du silence, de l’obscurité ou de
l’insuffisance de la loi, pourra être poursuivi comme coupable de déni de
justice» (art. 4); sul tema si veda il parere espresso da Portalis durante la
seduta del Consiglio di Stato del 14 Termidoro anno IX sul Titolo preliminare
del codice civile: «... le cours de la justice serait interrompu, s’il n’était
permis aux juges de prononcer que lorsque la loi a parlé. Peu
de causes sont susceptibles d’être décidées d’après une loi, d’après un texte
précis : c’est par les principes généraux, par la doctrine, par la science du
droit, qu’on a toujours prononcé sur la plupart des contestations. Le Code
civil ne dispense pas de ces connaissances ; au contraire il les suppose» (cfr.
Jouanneau e Solon,
Discussions du Code civil dans le Conseil
d’Etat, I, Paris, 1805).
[14] «Wir wissen, daß nicht nur Generalklauseln, sondern eine Vielzahl von unbestimmten Rechtsbegriffen die eigentliche Normsetzung auf den Richter
delegieren oder doch semantische
Spielräume eröffnen, die nicht nur die eine richtige Entscheidung erkennen lassen. Richterliches
Entscheiden ist nicht nur Erkenntnis, sondern immer auch Rechtsgewinnung» (Limbach, »In Namen des Volkes« - Richterethos in der Demokratie, in Deutsche Richterzeitung, 1995, p. 428).
[15] La pertinente immagine
è proposta da Garapon, Del giudicare. Saggio sul rituale
giudiziario, Ed. italiana, Milano, 2007, p. 276.
[16] Per una storia dei sistemi giudiziari europei
si veda Meyer, Esprit, origine et progrès des institutions
judiaciaires des principaux pays de l’Europe, Parte antica, I, l’Aia, 1818;
Parte moderna, II, Parigi 1819; Parte moderna, V, Amsterdam, 1822. Per un
moderno approccio comparativo ai moderni sistemi di reclutamento, nomina e
formazione dei magistrati nei Paesi aderenti all’Unione internazionale dei
magistrati, cfr. Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée,
I, Zurigo-Bruxelles, 1999; Oberto,
Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative,
Strasbourg, 2003, passim; Id., Magistrati. Reclutamento e
formazione. Studio comparato fra sistemi europei, Collana «Inchieste e
proposte», diretta da Giuseppe Salerno, n. 37, Roma, 2003, passim. Su questi temi si vedano inoltre: Borgna e Cassano,
Il giudice e il principe. Magistratura e
potere politico in Italia e in Europa, Roma, 1997, p. 107 ss.; Oberto, Verardi
e Viazzi, Il
reclutamento e la formazione professionale dei magistrati in Italia e in Europa,
in Aa. Vv., L’esame di uditore giudiziario, Milano, 1997, p. 41 ss. Per
un’illustrazione più recente dei sistemi giudiziari europei, cfr. l’opera a
cura del Consiglio d’Europa dal titolo L’Europe
judiciaire, Strasburgo, 2000 (il libro contiene anche informazioni sul
reclutamento e la formazione dei magistrati relative ad alcuni Paesi europei);
sullo stesso argomento cfr. anche Council
of Europe/Conseille de l’Europe, La
formation des juges et des magistrats du parquet en Europe, Atti della
riunione multilaterale organizzata dal Consiglio d’Europa in collaborazione con
il Centro studi giudiziari di Lisbona (Lisbona 27-28 aprile 1995), Strasbourg,
1996. Sulle specificità del reclutamento dei magistrati italiani cfr. Oberto, Recrutement, formation et
carrière des magistrats en Italie (articolo disponibile dal 29 giugno 1999
alla seguente pagina web:
https://www.giacomooberto.com/tbilissi.htm);
Id., Recrutement, formation et
carrière des magistrats dans le système juridique et constitutionnel italien,
in Aa. Vv., Que formação para os magistrados hoje?, Lisbona, 2000, p. 185-209
(articolo disponibile dal 25 gennaio 2000 alla seguente pagina web: https://www.giacomooberto.com/portugal/rapport.htm); Id., L’autonomie de la justice
dans sa gestion: l’expérience italienne (articolo disponibile dal 9
novembre 2000 alla seguente pagina web: https://www.giacomooberto.com/download/rapportzurich.pdf); Id., Recrutement et
formation des magistrats: le système italien dans le cadre des principes
internationaux sur le statut des magistrats et l’indépendence du pouvoir
judiciaire, in Riv. Dir. priv., 2001, p. 717 ss.; Bartole, Per una valutazione comparativa dell’ordinamento
del potere giudiziario nei Paesi dell’Europa continentale, in Studium juris, 1996, p. 531 ss.; Caianiello, Formazione e selezione
dei giudici in un’ipotesi comparativa, in Giur. it., 1998, p. 387 ss. Per una prospettiva comparata dei
sistemi giudiziari di alcuni Paesi dell’Europa continentale e orientale,
entrati nel
I sistemi di reclutamento dei magistrati si possono
astrattamente classificare in quattro fondamentali categorie, la prima delle
quali consiste nel reclutare i magistrati facendoli selezionare dal potere
esecutivo o da quello legislativo: in questo caso, se – per un verso – la
legittimità del giudice ne risulta rafforzata, vi sono – per altro verso – per
la magistratura evidenti rischi di forte dipendenza dagli altri poteri, nonché
dal contesto politico. L’elezione da parte del corpo elettorale è il metodo che
conferisce ai giudici il più elevato livello di legittimazione, quello
direttamente proveniente dal popolo. Questo sistema costringe, tuttavia, il
giudice a organizzare una campagna elettorale umiliante e, a volte, demagogica,
con l’inevitabile supporto finanziario di un partito politico che, prima o poi,
potrebbe richiedere la restituzione del favore. Inoltre, il giudice può essere
tentato di piegare i suoi giudizi nel senso del proprio elettorato. La
cooptazione da parte della stessa magistratura offrirebbe il vantaggio di
potere scegliere giudici tecnicamente preparati, ma vi è un forte rischio di
conservatorismo e di preferenze in base all’amicizia. Infine, la scelta da
parte di una commissione di magistrati e di docenti di diritto (scelti,
preferibilmente, da un organo indipendente e rappresentativo dei magistrati),
effettuata tramite un concorso pubblico in base a criteri oggettivi e
attraverso procedure trasparenti, costituisce il sistema in grado di garantire
nel modo migliore una selezione esclusivamente fondata sul merito e sulle
attitudini professionali dei nuovi magistrati. Tutti e quattro sistemi appena
enunciati sono noti e praticati attualmente nel mondo, con molteplici varianti.
Tale varietà è presente anche in Europa, dove si conoscono probabilmente tutte
le forme immaginabili di selezione dei candidati alla funzione di giudice,
compresa, ad esempio, l’elezione da parte del popolo, praticata in alcuni
cantoni svizzeri (sul tema per approfondimenti si rinvia a Oberto, Recrutement et formation des
magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 11 ss.).
[17] Questo processo è cominciato con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite
nel 1948, che all’art. 10 prevede: «ogni persona ha diritto che la sua causa
sia esaminata imparzialmente,pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte
di un tribunale indipendente ed imparziale». Lo stesso principio è stato espresso
dalla Convenzione europea di salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma nel 1950 (art. 6), così come
nella Convenzione internazionale sui diritti civili e
politici, del 1966 e nella Risoluzione
del Parlamento europeo sul rapporto annuale relativo al rispetto dei diritti
dell’uomo nell’Unione Europea (1988 e 1999) (11350/1999 – C5-0265/1999 –
199/2001 [INI]), adottata il 19 marzo 2000 (che «raccomanda agli Stati membri
di garantire l’indipendenza dei giudici e dei tribunali in rapporto al potere
esecutivo e di fare in modo che la nomina del personale di questi ultimi non
sia motivata da ragioni politiche»). Infine, anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, adottata a Nizza il 7 dicembre 2000, all’art. 47
(«Diritto a un effettivo ricorso e ad accedere a un tribunale imparziale», 2°
capoverso), stabilisce, peraltro in conformità con l’art. 6 della Convenzione
di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, che «ogni
individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata in modo equo,
pubblicamente ed entro un ragionevole intervallo di tempo, da un tribunale
indipendente e imparziale, precostituito per legge».
[18] Tra i quali andrà in
primo luogo menzionata l’Unione
Internazionale dei Magistrati, la cui Prima Commissione di Studio ha
elaborato una serie di risoluzioni
in tema di ordinamento giudiziario, nell’ambito delle quali potranno ricordarsi
quelle del
[19] Il
cui testo è disponibile al sito web
seguente: http://www.iaj-uim.org/ENG/07.html.
[20] Sul ruolo svolto in
questo campo dal Consiglio d’Europa cfr. ad esempio Piana, Reforms and judicial cooperation in the
European policy of promotion of the “rule of law”. A comparative analysis of new members, disponibile alla
pagina web seguente: http://www.eumap.org/journal/submitted/piana.pdf;
Ead., Training judges “à la française”. The logic of domestic actors in the transfer of a
French model of judicial training towards new European members, paper presentato alle ECPR Joint
Sessions,
[21] Il Consiglio consultivo
dei giudici europei (Conseil
Consultatif de Juges Européens – CCJE
/ Consultative
Council of European Judges – CCEJ) è un organo consultivo del Consiglio
d’Europa, costituito nel 2000, il cui compito è quello di elaborare ed
approvare pareri sulle questioni sulle questioni concernenti l’indipendenza,
l’imparzialità e la competenza dei giudici. Esso è composto da giudici provenienti
da tutti i Paesi membri del Consiglio d’Europa. E’ da notare che nel 2006 è
stato costituito anche un Consiglio
consultivo dei pubblici ministeri europei (Consultative Council of European Prosecutors – CCEP / Conseil
Consultatif de Procureurs Européens – CCPE), che per il momento non ha
ancora elaborato pareri.
[22] Nella favola intitolata: L’asino che trasporta reliquie.
[23] Nell’exposé
des motifs che accompagnano il testo
il Consiglio d’Europa sostiene, tra l’altro, che «la formazione dei giuristi è
un aspetto importante per assicurare che siano nominati giudici gli individui
più adatti. I giudici professionisti devono dimostrare un’adeguata formazione
giuridica. Inoltre, la formazione contribuisce all’indipendenza del potere
giudiziario. Se i giudici infatti possiedono sufficienti conoscenze teoriche e
pratiche, nonché competenze, potranno operare in modo più autonomo rispetto
all’amministrazione e, se vogliono, cambiare professione senza continuare per
forza la carriera» (cfr. l’Exposé des
motifs della citata Raccomandazione n. R (94) 12 del Comitato dei ministri
del Consiglio d’Europa agli Stati membri sull’indipendenza, l’efficacia e il
ruolo dei giudici).
[24] Sull’incontro si veda: Council of Europe/Conseille de l’Europe,
La formation des juges et des magistrats
du parquet en Europe, cit.
[25] Sul Codice etico dei magistrati
italiani cfr. Oberto, Les
droits et les obligations des juges. Leur responsabilité disciplinaire, in Aa. Vv., Le rôle du juge dans une
société démocratique, Strasburgo, 1997, p. 39 ss.; Aa. Vv., Le statut des
juges – Recrutement et indépendance, Strasbourg, 1997, p. 35 ss.
[26] Su cui v. infra, §§ 18 ss.
[27] Sul tema specifico v. infra, § 29.
[28] Per ulteriori informazioni si veda la seguente
pagina web: http://www.ejtn.eu/www/fr/resources/5_1518_3710_file.1731.pdf.
[29] Da notare, sul piano
terminologico, che, in Italia, nè il d.lgs. n. 26 del 2006, nè la l. 30 luglio
2007, n. 111 contengono l’espressione «formazione continua» (corrispondente
all’espressione francese formation
continue, a quella tedesca Fortbildung
e a quelle inglesi continuous, ovvero
in-service, ovvero ongoing training); il secondo dei testi
citati si limita a parlare di «formazione permanente» per il solo caso della
formazione dei magistrati onorari, utilizzando per il resto l’impropria e
riduttiva dizione «aggiornamento professionale». Nel corso del presente lavoro
si useranno peraltro indifferentemente i termini «formazione continua» e
«formazione permanente», per designare l’attività di formazione dei magistrati
in funzione, ulteriormente distinta dalla «formazione complementare», rivolta
ai magistrati che hanno ricevuto le funzioni da breve tempo (c.d. «giovani
magistrati»), e dalla «formazione preliminare», che caratterizza l’attività
delle scuole di preparazione al concorso per l’accesso in magistratura (si
pensi, in Italia, alle Scuole di specializzazione per le professioni legali).
[30] Viene specificato inoltre che «Les personnes chargées de la formation des
juges ne devraient pas être, en outre, directement responsables de leur
nomination ni de leur promotion. Si l’organe (par exemple un conseil supérieur
de la magistrature) mentionné dans l’Avis n°1 du CCJE aux paragraphes 73 (3),
37 et 45 est compétent pour la formation et la nomination ou la promotion, une
séparation claire devrait exister entre les sections de cet organe qui sont
responsables de ces tâches».
[31] «28. Tenant compte de la diversité des systèmes applicables à la formation
des juges en Europe, le CCJE recommande :
i. que tous les candidats retenus aux fonctions judiciaires bénéficient ou
acquièrent avant d’entrer en fonction des connaissances juridiques étendues
dans les domaines du droit substantiel national et international ainsi que de
la procédure ;
ii. que les programmes de formation plus spécifiques à l’exercice de la
profession de juge soient déterminés par l’établissement en charge de la
formation, les formateurs et les juges eux-mêmes ;
iii. que ces programmes théoriques et pratiques ne soient pas limités aux
techniques du domaine purement juridique mais comportent également une
formation à l’éthique ainsi qu’une ouverture sur d’autres domaines pertinents
pour les activités judiciaires, comme par exemple la gestion des
affaires et l’administration des tribunaux, les technologies de l’information,
les langues étrangères, les sciences sociales et les modes alternatifs de
solution des litiges ;
iv. que la formation soit pluraliste afin de garantir et renforcer
l’ouverture d’esprit du juge ;
v. qu’en fonction de l’existence et de la durée d’une expérience
professionnelle antérieure, la formation ait une durée significative afin
d’éviter son caractère purement formel.
29. Le CCJE recommande la pratique consistant à assurer une période de
formation commune aux différentes professions juridiques et judiciaires (par
exemple les avocats, les procureurs pour les pays où ceux-ci exercent des
fonctions séparées de celles des juges). Cette pratique est en effet de nature
à favoriser une meilleure connaissance et compréhension réciproque entre les
juges et d’autres professions.
30. Le CCJE a constaté aussi que de nombreux pays subordonnaient l’accès
aux fonctions judiciaires à une expérience professionnelle antérieure. S’il
n’apparaît pas possible d’imposer à tous un tel modèle et si l’adoption d’un
système mêlant différents types de recrutement peut aussi présenter l’avantage
de la diversité de l’origine des juges, il importe que la période de formation
initiale comporte, pour les candidats issus de l’université, des stages d’une
durée significative dans le milieu professionnel (avocats, entreprises, etc…)».
[32] Su cui v. infra, §§ 19, 30.
[33] «37. Le CCJE recommande en conséquence :
i. que la formation continue devrait normalement être fondée sur le
volontariat des juges ;
ii. que, par exception, une formation continue pourrait être
imposée en certaines circonstances, un exemple en pourrait être (si le pouvoir
judiciaire ou un autre organe responsable en a décidé ainsi) quand un juge
accepte un nouveau poste ou un type de travail ou de fonction différent ou de
fonctions particulières, ou en cas de changements fondamentaux de la
législation ;
iii. que les programmes de formation devraient être définis sous l’autorité
d’un organe judiciaire ou autre chargé de la formation initiale et continue
ainsi que par les formateurs et les juges eux-mêmes ;
iv. que ces programmes, mis en œuvre sous l’autorité du même organe,
devraient être axés sur des questions juridiques et sur d’autres questions
relatives aux fonctions exercées par les juges et répondre aux
besoins des ceux-ci (voir paragraphe 27 ci-dessus);
v. que les juridictions elles-mêmes devraient inciter leurs membres à
suivre des stages de formation continue ;
vi. que les programmes devraient s’attacher à et promouvoir un
environnement dans lequel les membres des différents secteurs et niveaux des
juridictions puissent se rencontrer et échanger leurs expériences et réaliser
des idées communes ;
vii. que, alors que la formation est pour le juge un devoir
déontologique, il est également du devoir des Etats membres de mettre à la
disposition des magistrats les ressources financières, le temps et les autres
moyens nécessaires à la formation continue».
[34] Queste sono le
raccomandazioni finali sul punto:
«42. Au vu de ce qui précède, le CCJE recommande :
i. que les programmes et méthodes de formation soient contrôlés
régulièrement par les organes responsables de la formation judiciaire ;
ii. que les performances des juges dans le cadre de la formation ne soient,
en principe, pas soumises à une évaluation qualitative, leur participation en
tant que telle à cette formation pouvant cependant être prise en compte dans
leur évaluation professionnelle ;
iii. que les performances des participants aux programmes de formation
soient, néanmoins, évaluées dans les systèmes où la formation initiale fait
partie intégrante du processus de recrutement».
[35] Su cui v. il sito web seguente: http://www.coe.int/t/dg1/legalcooperation/judicialprofessions/ccje/meetings/conferences/conseils/default_EN.asp.
[36] Cfr.
Aikens, The
Current Situation in the Council of Europe Member States, in e-Newsletter della European Association of Judges – Regional group of the International
Association of Judges, July 2007, No. 1, p. 13 ss.
[37] Durante la sua
ottanunesima riunione plenaria, nel corso dell’anno 2006, il Comitato Europeo
per la Cooperazione Giuridica (European Committee on Legal Co-operation
– CDCJ) del Consiglio d’Europa ha deciso di aggiornare la Raccomandazione
Nr. R (94) 12 «in the light of new ideas and practices
concerning judicial services and their functioning in
[38] Cfr. il Meeting report (p. 15 s.) della prima
riunione della citata commissione, disponibile alla pagina web seguente: http://www.coe.int/t/e/legal_affairs/legal_co-operation/steering_committees/cdcj/cj_s_just/CJ-S-JUST_2007_2%20report%201st%20meeting%20March%2007_en.pdf.
[39] Sull’esportazione del
modello dell’Ecole francese in
svariati Paesi dell’Europa centrale e orientale cfr. Piana, Unpacking
Policy Transfer, Discovering Actors: The French Model of Judicial Education
Between Enlargement and Judicial Cooperation in the EU, in French Politics, Vol. 5, Nr. 1, April
2007, p. 33 ss. L’Autrice rimarca, tra l’altro, nel summary del suo contributo, che «Since
the EU has no ‘European’ models to offer, it has relied upon the models in old
member States. The entrepreneurial strategies of such states have been a key
factor in the process of policy transfer toward Central and Eastern European
countries (CEECs). This article provides an actor-centred analysis of the process
of transfer. It explains why the French catalogue of courses offered to judges
and prosecutors has been imitated in CEECs. Then it shows that for the
candidate countries the French model was not only a blueprint to reform their
systems of judicial. The partnership with the Ecole Nationale de la Magistrature allowed them to enter into a
legitimate ‘transnational network’ to socialize judicial staff. Finally,
unpacking policy transfer, we show that a differentiated pattern occurs in
CEECs. We analyse the process in Hungary, the Czech Republic, Romania and
Bulgaria, showing that even if the French catalogue of courses has been almost
entirely imitated, the French organizational model has been imitated only where
(1) a domestic actor has been able to set the agenda of the reform and drive
the process of transfer and (2) the model did not radically change the system
of governance set up in the judiciary during the democratic transition. The
comparison among the processes of transfer occurred in
[40] I giudici dei tribunaux de commerce sono eletti da delegati che rappresentano il
mondo imprenditoriale, per due anni, all’atto della prima elezione, poi per
quattro anni, senza potere superare i quattordici anni consecutivi. Lo
scrutinio si svolge con voto plurinominale, maggioritario, in due tornate. La
giurisdizione degli échevins
(scabini) esiste in Alsazia, in Lorena e nei territori d’oltremare. I giudici
del conseil de prud’hommes (collegio
dei probiviri) sono eletti per cinque anni. Per la nomina si compongono, da un
lato, liste elettorali di lavoratori, dall’altro di impiegati. Lo scrutinio ha
luogo per sezioni, con rappresentanza proporzionale (cfr. Kriegk, France, in Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée, cit., p. 135 ss.).
[41] In generale, sul sistema di reclutamento dei
magistrati francesi e sulla Scuola nazionale della magistratura, cfr. Royer, Les systèmes judiciaires: Cadres istitutionnels et statuts de la
magistrature, Lille, 1993, p. 52 ss.; Mestiz,
Selezione e formazione professionale dei
magistrati e degli avvocati in Francia, Padova, 1990; Boigeol, La création d’une école de
la magistrature en France : dynamiques et résistances, Relazione presentata
al Seminario italo-francese sul tema «Ordinamento giudiziario comparato con
particolare riferimento al pubblico ministero», Roma, 23-25 ottobre 1995; Ludet, Le système français de
recrutement et formation des magistrats, Relazione presentata al Seminario
italo-francese sul tema «Ordinamento giudiziario comparato con particolare
riferimento al pubblico ministero», cit.; Kriegk,
op. cit., p. 135 ss.
[42] Le prove di questi concorsi di ammissione
comportano lo studio o la consulenza giuridica a partire da documenti relativi
al diritto civile, un tema di diritto penale o di diritto pubblico, e una prova
consistente nella redazione di una nota di sintesi. Il successivo esame
d’ammissione prevede un colloquio con la commissione, un’interrogazione in
diritto penale o in diritto pubblico, non scelti nello scritto, e un’altra che
verte sul diritto sociale, commerciale, o sulla procedura civile e penale, in
base a una scelta fatta precedentemente. Alla fine del concorso, i candidati
ammessi sono nominati come tirocinanti presso la Scuola nazionale della
magistratura ed effettueranno un corso di formazione di sei mesi (e non un
tirocinio di prova, come nel caso dei precedenti concorsi straordinari).
Dovranno poi seguire una formazione prolungata di due mesi, per i quattro anni
successivi alla loro nomina (cfr. Kriegk,
op. cit., p. 135 ss.).
[43] Per ciò che attiene
alla nomina dei consiglieri e avvocati generali della Corte di cassazione en service extraordinaire, vale a dire
per un periodo di otto anni, non rinnovabile, cfr. gli artt. da 40-
[44] Sulla distribuzione dei compiti si veda il
decreto n. 72-355 del 4 maggio 1972 e sue modificazioni, artt. 1-9.
[45] Per quanto attiene più specificamente agli
organi diversi dal direttore, potranno qui citarsi i seguenti:
1. Il consiglio di amministrazione
Art. 8 del decreto n.
72-355 del 4 maggio 1972 e successive modificazioni:
«Il consiglio di
amministrazione delibera sulle questioni che gli sono sottoposte dal
Guardasigilli, Ministro della giustizia. È’ consultato obbligatoriamente su
quelle che riguardano l’organizzazione e il funzionamento della scuola.
Delibera del pari sul
regolamento interno della scuola, che è stabilito dal direttore e deve essere
approvato dal Guardasigilli, Ministro della giustizia. Delibera inoltre su:
a. le questioni che sono di sua competenza in virtù dei testi
legislativi o dei regolamenti in vigore e in particolare degli artt. 14-25 del
decreto del 10 dicembre 1953 e 151-180 del decreto del 29 dicembre 1962;
b. i rapporti annuali
del direttore sull’attività e il funzionamento amministrativo e finanziario
della scuola, prima che sia trasmesso al Guardasigilli, Ministro della
giustizia.
Le deliberazioni del
consiglio di amministrazione che comportano una decisione sono in linea di
principio esecutive un mese dopo che sono state trasmesse al Guardasigilli,
Ministro della giustizia, a meno che quest’ultimo non faccia opposizione ad
esse.
Tuttavia, le
deliberazioni relative al bilancio e alle sue modificazioni, il calcolo
finanziario e i prestiti non sono esecutivi se non dopo l’approvazione del
Guardasigilli, Ministro della giustizia, e del Ministro dell’economia e delle
finanze. Questi ministri possono non concedere l’approvazione a determinate
deliberazioni relative a modifiche di bilancio».
2. Docenti (Maestri
conferenzieri): sono nominati in applicazione delle disposizioni del titolo
1 bis del decreto n. 58-372 del 23 giugno 1959 e successive
modificazioni. I magistrati delegati alla formazione (a livello delle Corti
d’appello) e i direttori di centro di tirocinio (a livello dei tribunali della
procura) hanno l’incarico dell’organizzazione del tirocinio forense e sono
assimilati a maestri conferenzieri.
3. Conferenzieri esterni, cui il direttore della scuola può ricorrere».
[46] L’art. 9 dell’ordinanza
del 22 dicembre 1958 prevede anche alcune incompatibilità, totali, limitate o
temporanee, dell’esercizio della funzione di uditore giudiziario con un mandato
politico:
a. totale
incompatibilità con l’esercizio del mandato parlamentare, con il mandato al
parlamento europeo o al Consiglio economico e sociale;
b. incompatibilità
limitata con l’esercizio del mandato di consigliere regionale, generale, o
comunale, nell’ambito della giurisdizione di appartenenza dell’uditore giudiziario
(Bordeaux e la città in cui si svolge lo stage);
c. incompatibilità
temporanea negli ambiti in cui l’uditore giudiziario ha esercitato da meno di
cinque anni una funzione pubblica elettiva, o si candida a una funzione
pubblica elettiva, con l’eccezione del mandato di rappresentante al parlamento
europeo.
Peraltro, ogni
dichiarazione politica, ogni manifestazione di ostilità al principio o alla
forma del governo della Repubblica, ogni azione concreta atta a bloccare o a
ostacolare il funzionamento delle giurisdizioni, sono vietate agli uditori
giudiziari, allo stesso modo di qualsiasi dimostrazione di carattere politico
incompatibile con il dovere di riservatezza imposto loro dalle funzioni
esercitate (art. 10, ordinanza del 22 dicembre 1958).
[47] Per ulteriori dettagli
in tema di assenze giustificate, esercizio dei diritti sindacali, retribuzione,
indennità, cfr. Oberto, Recrutement
et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 70 ss.
[48] Per i dettagli del
programma di formazione iniziale cfr. la pagina web seguente: http://www.enm.justice.fr/formation_initiale/.
Per i dettagli, ad esempio, della formazione iniziale della promotion dell’anno 2001 cfr. Oberto, Recrutement et formation des
magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 76 s.: «La formazione
iniziale comprende due periodi distinti: uno cosiddetto di formazione generale,
dedicato alla conoscenza di tutte le funzioni giudiziarie; il secondo, tecnico
e finalizzato a una determinata funzione, riservato alla preparazione intensiva
alle funzioni prescelte dall’uditore giudiziario. Ognuno dei due periodi è
costituito da una fase di insegnamento comune e una fase di tirocinio.
a. Primo periodo (formazione generale): dal 4 gennaio 2001
al febbraio 2003
Fase I: dal 4 gennaio a
fine dicembre 2001
–
Presentazione
del tirocinio esterno: 4 e 5 gennaio 2001.
–
Accoglienza
a Bordeaux, dal 29 gennaio al 2 febbraio 2001 (Scuola nazionale della
magistratura): prestazione di giuramento e preparazione del tirocinio esterno.
–
Tirocinio
denominato «scoperta degli uffici giudiziari»: dal 5 al 9 febbraio (o dal 5 al
16 febbraio per gli uditori che vanno all’estero); questo tirocinio, concepito
come presa di contatto, rapida ma concreta, con la vita di un ufficio
giudiziario, deve consentire la scoperta delle varie funzioni del magistrato.
–
Tirocinio
esterno: dal 12 febbraio al 20 aprile 2001; questo tirocinio si svolge per un
periodo ininterrotto di due mesi e mezzo all’esterno dell’istituzione
giudiziaria, in un’impresa pubblica o privata, eventualmente in un servizio o
in un organismo appartenente al settore economico e sociale, o in
un’amministrazione o in una collettività territoriale, oppure all’estero.
–
Frequenza
scolastica comune a Bordeaux: dal 23 aprile al 27 luglio, dal 3 settembre al 14
dicembre 2001; i corsi teorici hanno lo scopo di fornire all’uditore
giudiziario gli strumenti per affrontare, nel modo più completo possibile, le
funzioni giudiziarie nel loro complesso, non solo dal punto di vista del ruolo
del giudice nella vita sociale, ma anche a partire dai diversi atti
professionali che fondano il suo intervento, indipendentemente dalle sue
attribuzioni. Comprende vari campi di insegnamento, il cui obiettivo è soprattutto
quello di consentire l’apprendistato degli atti professionali comuni a tutte le
funzioni, nonché la metodologia di ciascuna di queste, e di procurare una
cultura in grado di illuminare dall’esterno il funzionamento dell’istituzione
giudiziaria. I metodi impiegati – lavori in gruppi, laboratori e conferenze –
favoriscono la forma di partecipazione attiva di questi insegnamenti.
Fase II: da gennaio
–
Tirocinio
in uffici giudiziari ed altre forme di praticantato. Questa fase consente all’uditore
di concretizzare, partendo dalle conoscenze generali acquisite durante la
frequenza scolastica comune, la sua comprensione globale dell’organizzazione e
del funzionamento delle giurisdizioni. È costituita da tirocini, da un lato in
tutte le funzioni suscettibili di essere esercitate all’uscita dalla scuola,
dall’altro in alcuni servizi esterni che, in ragione delle loro attività, sono
in permanente connessione con ciascuna di queste funzioni e, infine, presso un
avvocato. Il tirocinio in uno studio legale si svolge in due mesi (gennaio e
febbraio 2003) e mette l’uditore in posizione di responsabilità (gli si chiede,
in particolare, di patrocinare in udienza).
–
Esame
finale: febbraio 2003.
b. Secondo periodo (formazione specializzata): da marzo a settembre
2003
Fase I: marzo 2003:
perfezionamento funzionale. Una volta avvenuta la scelta dei posti, gli uditori
sono suddivisi in gruppi, a seconda delle loro future funzioni. Questa fase si
incentra sulla preparazione all’esercizio del primo incarico e, su un piano
metodologico, è costituita da lezioni, seminari e conferenze.
Fase II: da aprile ad agosto
2003: tirocinio di pre-assegnazione. Gli uditori effettuano un tirocinio presso
un ufficio giurisdizionale nelle funzioni che saranno chiamati a occupare,
nonché tirocini di breve durata in servizi specializzati connessi a tale
funzioni.
Settembre 2003: insediamento in
carica».
[49] Più esattamente si
tratta dei seguenti:
a. I mezzi audiovisivi
La Scuola nazionale
della magistratura dispone di una sala audiovisiva, di un «piccolo anfiteatro»,
nonché delle nuove sale della nuova torre, che sono attrezzate per permettere
simulazioni di udienza, o qualsiasi altra applicazione pratica. La Scuola
dispone di vari televisori, telecamere, videoregistratori e unità videomobili
per proiettare cassette e trasmissioni televisive satellitari e per il
trattamento dei dati informatici. Certi documenti di ricerca si possono anche
realizzare in forme di audiovisivi. La limitata attrezzatura della scuola non
consente di realizzare in proprio film; tuttavia, entro i limiti dei crediti di
bilancio, si possono affittare alcuni materiali complementari. Gli uditori
possono prendere in prestito dalla biblioteca, avendo consultato lo schedario
delle pellicole, una cassetta e visionarla. Esiste una sala apposita, dotata di
videoregistratore e di monitor. Gli uditori possono disporre di questi
materiali secondo determinate modalità.
b. I mezzi informatici
Per sensibilizzare e
preparare all’informatica i futuri magistrati, la Scuola nazionale della
magistratura ha istituito un corso di insegnamento specifico durante la fase di
studi.
c. La biblioteca
La biblioteca conta
circa 30.000 volumi e riceve circa 200 giornali e riviste. Destinata in primo
luogo a completare e ad aggiornare le conoscenze giuridiche degli uditori
giudiziari, essa contiene le collezioni delle principali raccolte di
giurisprudenza e di riviste giuridiche, nonché numerose opere di attualità; per
ciò che attiene alla giustizia e alle professioni legali, essa contiene opere
relative ai vari aspetti del diritto: civile e commerciale, penale, pubblico e
amministrativo, diritto agrario e diritto del lavoro, diritto internazionale e,
in particolare, diritto comunitario. La biblioteca è anche largamente fornita
di opere generali relative soprattutto alle scienze sociali e umane. Due
terminali di consultazione consentono di eseguire ricerche, per autore, per
titoli o per argomenti, sullo schedario informatizzato
[50] Per gli uditori reclutati in base all’art.
18-1 dell’ordinanza del 22 dicembre 1958, la relazione sul tirocinio esterno è
sostituita da una relazione, su un argomento approvato dalla scuola, che
riguarda l’ambiente economico, istituzionale, sociale o culturale
dell’istituzione giudiziaria. La relazione dà luogo a una valutazione scritta,
dopo un colloquio con due esaminatori.
[51] Per ulteriori approfondimenti, con
l’illustrazione di casi pratici, circa oggetto e metodologie della formazione
permanente in seno all’ENM francese
cfr. Oberto, Recrutement et
formation des magistrats en Europe. Etude
comparative, cit., p. 139 ss.
[52] Cfr. Staats,
Einleitung, in Deutsches Richtergesetz, Materialen zur Politik und Gesellschaft in der
Bundesrepublik Deutschland, Bonn, 1993, p. 5; Fenge, Die Zukunft der Juristenausbildung im Europa von
morgen, Rapporto tedesco al Convegno «La formazione giuridica nell’Europa
di domani», organizzato dalla Commissione delle comunità europee a Metz, 28-29
ottobre 1994, p. 6 ss.; cfr. inoltre: Thomas,
Richterrecht, Colonia, 1986; Basedow, Juristen für den Binnenmarkt
– Die Ausbildungsdiskussion im Lichte einer Arbeitsmarktanlyse, in NJW, 1990, p. 959 ss.; Coing, Europäisierung der
Rechtswissewnschaft, in NJW,
1990, p. 937 ss.; Martinek e Keine, «Angst vor Europa» – Plädoyer
für eine Ausbildung mit Augenmass, in JZ,
1990, p. 795 ss.; Wassermann, Welche
Massnahmen empfehlen sich - auch im Wettbewerb zwischen Juristen aus den
EG-Staaten - zur Verkürzung und Straffung der Juristenausbildung?, in NJW, 1990, p. 1877 ss.; Willoweit e Grossfeld, Juristen für Europa, in JZ, 1990, p. 606 ss.; Grunsky, Juristenausbildung in
Deutschland, in Anwaltsberuf und
Richterberuf in der heutigen Gesellschaft, Baden-Baden, 1991, p. 209 ss.; Hesse, Juristenausbildung im Reich
der Fiktionen, in JZ, 1991, p.
129 ss.; Fürst, Richtergesetz, Berlin, 1992; Gressmann, Germany, in Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée,
cit., p. 153 ss.; Staats, Rapport,
in Council of Europe/Conseil de l’Europe,
La formation des juges, cit., p. 9
ss.; Gas, La formation et le recrutement des magistrats du siège et du parquet en
Allemagne, ottobre 2000, alla pagina web seguente: http://www.enm.justice.fr/centre_de_ressources/dossiers_reflexions/justice_politique/allemagne.htm. Sulla legge del 2000 relativa alla riforma della Juristenausbildung in Germania, cfr. Busse, Zur deutschen Reform der Juristenausbildung; Peters, Die Juristenausbildung in
Deutschland e Staats, Die
deutsche Reform der Juristenausbildung (i tre articoli già disponibili alla
pagina web http://www.Goethe.de/it/tur/dejustiz.htm,
non sono ora più reperibili). Per un’analisi comparativa dei sistemi di formazione dei
giuristi in Germania e in Italia, si veda l’interessante e sempre attuale
saggio di Cappelletti, Studio del diritto e tirocinio professionale
in Italia e in Germania, Milano, 1957.
[53] Gas,
La formation et le recrutement, cit.,
osserva che «una nozione sacrosanta del sistema tedesco è il giurista
generalista (Einheitsjurist), vale a
dire che non c’è una formazione distinta per le varie professioni giuridiche». Da notare al riguardo che il punto n. 29 del già citato parere del
Consiglio consultivo dei giudici europei in materia di formazione (su cui v. supra, § 3) raccomanda «la pratique consistant
à assurer une période de formation commune aux différentes professions
juridiques et judiciaires (par exemple les avocats, les procureurs pour les
pays où ceux-ci exercent des fonctions séparées de celles des juges). Cette
pratique est en effet de nature à favoriser une meilleure connaissance et
compréhension réciproque entre les juges et d’autres professions».
[54] Gas, op. cit.
[55] Cfr. http://www.jum.baden-wuerttemberg.de/servlet/PB/show/1207375/Jahresbericht%202006.pdf.
A livello federale sono
regolamentate solo le linee generali del primo esame, lasciando le sistemazioni
di dettaglio alla discrezione dei Länder.
L’esame si divide in una parte scritta e in una parte orale. Come in Francia e
in Italia, bisogna ottenere un voto minimo agli scritti per essere ammessi agli
orali. I candidati non saranno automaticamente esaminati dopo un determinato
periodo, ma devono sottoporre la propria candidatura al Ministro della
giustizia del Land. La candidatura
sarà accettata automaticamente se sono rispettati i requisiti necessari. Per
quanto riguarda le prove scritte, vi sono Länder
che richiedono sette od otto prove di cinque ore ciascuna e altri in cui il numero
delle prove è considerevolmente ridotto, ma in cui si aggiunge un lavoro a casa
di varie settimane. Se la candidatura è accolta, si deve decidere per la scelta
di una materia. Si può scrivere a casa il proprio lavoro su questa materia o
nella materia obbligatoria «corrispondente» (ad esempio, il diritto pubblico se
si è scelto il diritto comunitario, il diritto penale se si è scelto
criminologia, il diritto civile se si è scelto il diritto societario, ecc.).
Gli orali sono suddivisi in quattro parti, che coprono ancora una volta le
materie obbligatorie in diritto civile, penale e pubblico e la materia a
scelta. In genere, si esaminano insieme cinque studenti, per circa quattro ore
(cfr. Gas, op. cit.).
[56] In Bassa Sassonia, ad esempio, la legge e il
regolamento sulla formazione giuridica regolano i particolari (cfr. il Niedersächsisches
Gesetz zur Ausbildung der Juristinnen und Juristien – NJAG e il relativo regolamento: Verordnung zum Niedersächsischen
Gesetz zur Ausbildung von Juristinnen und Juristien – NJAVO). Stando al paragrafo 7, comma 1, NJAVO, le tappe sono le
seguenti:
– sei mesi in un
tribunale di diritto civile;
– tre mesi alla pretura;
– tre mesi in una
pubblica amministrazione;
– tre mesi presso un
avvocato;
– quattro mesi in una
delle succitate istituzioni
– cinque mesi a scelta.
(Cfr. Gas, op. cit.).
[57] Si veda Gas, op. cit. L’autore osserva
inoltre: «Le prove dei due esami di Stato vanno superate in blocco. Le
qualifiche universitarie valgono solo per potere essere ammessi, il che vuol
dire che, una volta ammessi, i voti precedentemente ottenuti non contano più e
che tutto si concentra sull’esame»; questo significa dire che «le qualifiche
universitarie non hanno un valore autonomo. In Francia, chi non ha
l’abilitazione può ancora dire di avere la laurea, ma chi non ha il primo esame
di Stato non ha niente, anche se ha studiato parecchi anni e può già essere
ammesso all’esame di Stato».
[58] Si vedano le informazioni alla seguente
pagina web: http://www.deutsche-richterakademie.de/.
[59] Cfr. Doek,
Rapporto olandese al Convegno «La formazione giuridica nell’Europa di domani»
cit.; cfr. inoltre Broekhoven, Netherlands,
in Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée, cit. p. 241 ss.
[60] Cfr. Broekoven,
Pays-Bas, alla pagina web seguente: http://www.enm.justice.fr/relations_internationales/ecoles/paysbas/paysbas.htm; si veda anche la
seguente pagina web: http://www.ssr.nl/index_en.php.
[61] Cfr. Beleza,
Rapporto portoghese al Convegno «La formazione giuridica nell’Europa di domani»,
cit.; v. inoltre Leandro, Portugal,
in Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée, cit. p. 279 ss. Per una
riflessione sul significato attuale della formazione dei magistrati in
Portogallo, così come più in generale sui temi dell’indipendenza della
magistratura, cfr. Viegas Martins Afonso,
Poder judicial. Independência in
dependência, Coimbra, 2004, p. 186 ss.
[62] Il Consiglio è indipendente da qualsiasi altro
potere, è presieduto dal presidente della Corte suprema di giustizia (eletto
dai suoi pari) ed e composto di altri sedici membri:
–
due
nominati dal presidente della Repubblica;
–
sette
eletti dal parlamento;
–
sette
giudici eletti da loro pari, in base al principio della rappresentanza
proporzionale.
Il Consiglio superiore è
competente nella nomina, trasferimento, valutazione, promozione dei giudici e
nell’esercitare su di essi l’azione disciplinare (cfr. Leandro, Portugal, cit.).
[63] Secondo la Costituzione, i magistrati del
pubblico ministero sono magistrati responsabili e gerarchicamente subordinati;
non possono essere trasferiti, sospesi, mandati in pensione o dimessi dalle
loro funzioni se non nei casi previsti dalla legge. La Costituzione stabilisce
inoltre che la nomina, il trasferimento e la promozione dei magistrati del pubblico
ministero sono di competenza della Procuradoría
General da República (in Portogallo, le funzioni corrispondenti a quelle
del Guardasigilli nel sistema francese sono assicurate dal procuratore generale
della Repubblica, le cui funzioni sono distinte da quelle del Ministro della
giustizia). Quest’organo superiore del pubblico ministero è presieduto dal
procuratore generale della Repubblica, che è nominato, per un mandato di sei
anni, dal presidente della Repubblica, su proposta del governo. Quest’organo
ingloba anche il Consiglio superiore del pubblico ministero, che comprende
membri eletti dal parlamento e magistrati del pubblico ministero eletti da loro
pari.
[64] Per quanto riguarda le Corti d’appello,
tribunali di seconda istanza (Tribunais
da Relaçao), i giudici di prima istanza sono nominati per promozione a
seguito di un concorso per titoli; si richiede la valutazione di «ottimo» o di
«distinto». Il criterio per distribuire i magistrati in possesso di più o meno
uguale punteggio è quello dell’anzianità. I primi due posti sono riservati ai
giudici più anziani con valutazione di «ottimo» e il terzo posto al giudice con
maggiore anzianità e con valutazione di «distinto». L’accesso alla Corte
Suprema di giustizia avviene per concorso per titoli, aperto a magistrati
giudiziari di Corte d’Appello (tre per i cinque posti alla Corte Suprema), a
magistrati del pubblico ministero (uno per cinque posti) e ad altri giuristi
meritori (uno per cinque posti). I giudici di Corte d’Appello che si trovano
nel terzo superiore dell’elenco per anzianità e che non dichiarano di
rinunciare all’accesso alla Corte Suprema sono candidati d’ufficio. Gli altri
concorrenti sono volontari. Il concorso per titoli è pubblicato sulla Gazzetta
ufficiale e anche i risultati sono resi pubblici. La legge stabilisce i criteri
per il punteggio, connessi essenzialmente alle attività precedenti dei
candidati, soprattutto alle note di servizio, alle classifiche, al curriculum universitario e
postuniversitario, ai lavori scientifici, alle attività legate ai tribunali e
all’insegnamento del diritto. Per l’ammissione alla carriera o per le
promozioni, non è ammessa alcuna informazione al di fuori delle prove d’accesso
o degli elementi del curriculum vitae.
Non si richiedono conoscenze linguistiche né per l’ammissione né per le
promozioni (cfr. Leandro, op. cit.).
[65] V. le informazioni reperibili alla pagina web
seguente: http://www.cej.pt/PAG1_FRANCES_CEJ.htm.
[66] V. le informazioni al sito seguente:
http://www.jsboard.co.uk; cfr. inoltre
il documento reperibile alla pagina web
seguente: http://www.jsboard.co.uk/downloads/jsb_managementplan_2006_2007.doc;
cfr.
inoltre A. Campbell, England, in Traité d’organisation judiciaire comparée, cit., p. 117 ss. Il JSB ha
anche pubblicato nel proprio sito veri e propri «percorsi di
formazione» in ambiti specifici, quali il diritto di famiglia; v.
ad esempio la seguente pagina web:
http://www.jsboard.co.uk/family_law/index.htm.
[67] Cfr. Castin,
Belgique, articolo disponibile alla seguente pagina web:
http://www.enm.justice.fr/relations_internationales/ecoles/belgique/belgique.htm.
[68] Si vedano le
informazioni alla seguente pagina web: http://www.enm.justice.fr/relations_internationales/ecoles/espagne/espagne.htm.
[69] V. la
pagina web seguente: http://www.era.int/web/en/html/index.htm;
cfr. inoltre Oberto, Recrutement et formation des magistrats en
Europe. Etude comparative, cit., p. 131.
[70] V. la
pagina web seguente: http://www.eipa.nl/en/home; cfr. inoltre Oberto, Recrutement et formation des magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 132.
[71] Per alcune informazioni
al riguardo cfr. la pagina web
seguente:
[72] Cfr. Oberto,
Recrutement et formation des magistrats
en Europe. Etude comparative, cit., p. 35 ss. ; Id., Les enjeux de la formation des
magistrats. Organisation
institutionnelle de la formation, in Riv.
dir. priv., 1997, p. 214 ss.; dal 16 marzo 1997, l’art. è disponibile alla
seguente pagina web: https://www.giacomooberto.com/enjeux/rapport.htm.
Sulla formazione dei magistrati in Italia si veda: Consiglio Superiore della Magistratura, Il magistrato:
dal reclutamento alla formazione professionale. Esperienze in Italia e nel
mondo, in Quaderni del Consiglio
Superiore della Magistratura, Roma, 1982; Viazzi,
Il reclutamento e la formazione professionale dei magistrati: una questione
cruciale di politica istituzionale, in Questione
giustizia, 1984, p. 307 ss.; Di
Federico, Preparazione
professionale degli avvocati e dei magistrati: discussione su una ipotesi di
riforma, Padova, 1987; Parziale,
Il reclutamento e la formazione professionale del magistrato, in Documenti giustizia, 1993, c. 1561 ss.; Civinini, L’esperienza della
formazione permanente nei lavori del C.S.M., in Documenti giustizia, 1997, c. 2543 ss.; Verardi, Il reclutamento e la formazione dei magistrati e
degli avvocati, in Questione
giustizia, 1997, p. 91 ss.; Oberto,
Verardi e Viazzi, Il reclutamento e la formazione professionale dei
magistrati in Italia e in Europa, in Aa.
Vv., L’esame di uditore
giudiziario, cit, p. 41 ss.; Oberto,
Les enjeux de la formation des magistrats. Organisation
institutionnelle de la formation, cit.; Id., Recrutement
et formation des magistrats. Etude comparative, cit., p. 42 ss.; Verardi, Spunti per una storia della formazione dei magistrati in Italia: dal
tirocinio degli uditori alla formazione permanente, Relazione presentata al
Seminario organizzato dal Consiglio superiore della magistratura sul tema
«Formazione dei formatori», Roma, 21-23 giugno 1999; Id., Il C.S.M. e la formazione dei magistrati: verso una
scuola o un mero servizio di aggiornamento professionale?, in Questione giustizia, n. 2, 1999.
[73] Art. 33: «L’arte e la scienza sono libere e
libero ne è l’insegnamento. […] Le istituzioni di alta cultura, università ed
accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti
dalle leggi dello Stato».
[74] Si veda, ad esempio, l’art. 5 del Grundgesetz della Germania che, al terzo
capoverso, stabilisce che «le arti e le scienze, la ricerca e l’insegnamento
sono liberi. La libertà d’insegnamento non può tuttavia esimersi dal rispettare
la Costituzione» («Kunst und Wissenschaft, Forschung und Lehre sind frei. Die Freiheit der Lehre entbindet nicht von der Treue zur Verfassung»).
[75] In questo senso v. per
esempio anche Guarnieri, Le
divisioni sulla riforma dell’ordinamento acuiscono il malessere della giustizia,
in Guida al diritto - Il sole 24 ore,
n. 29 del 21 luglio 2007, p. 11. Per «una scuola che sia autonoma sul piano tecnico e culturale, certo non
separata e contrapposta al circuito dell’autogoverno diffuso né estranea alle
esperienze che nel quotidiano si vivono negli uffici» si è espresso anche il
documento finale approvato nel corso del XXVIII Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati (Roma
24-26 febbraio 2006).
[76] Si veda al riguardo Bonomo, L’indipendenza ‘interna’ della magistratura,
in Aa. Vv., L’indipendenza della giustizia, oggi. Judicial Independence, Today, Liber amicorum in onore
di Giovanni E. Longo, Milano, 1999, p. 55 ss.
[77] Per un’analisi del progetto cfr. Oberto, Les enjeux de la formation
des magistrats. Organisation
institutionnelle de la formation, cit., p. 222 ss. Altri progetti sono stati presentati
al parlamento italiano durante la successiva legislatura (la XIII) sullo stesso
argomento. In particolare, il disegno di legge n. 926 («Istituzione di un
centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale dei
magistrati, denominato ‘Scuola nazionale della magistratura’»), presentato dal
senatore Elvio Fassone, il 10 luglio
[78] Dal punto di vista
concreto, invece, non si può prescindere dalla realtà costituita oggi dalla l. 30
luglio 2007, n. 111, su cui v. in dettaglio infra,
§§ 19 ss.
[79] Cfr. il d.p.r. 11 gennaio 1988, n. 116.
[80] Cfr. il d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272.
[81] Cfr. art. 16, d.l. 7 ottobre 1994, n. 571,
convertito in l. 6 dicembre 1994, n. 673.
[82] Cfr. peraltro le disposizioni di cui alla l. 5
agosto 1998, n. 303, che, dando attuazione all’art. 106, terzo comma, Cost.,
prevede la possibilità che docenti universitari e avvocati siano chiamati –
«per meriti insigni» – a entrare nei ranghi della Corte di cassazione. Il
numero massimo di questi nuovi magistrati non può comunque superare il 10% dei
posti previsti in totale per i consiglieri della Corte suprema. Al C.S.M.
spetta il compito di selezionare questi nuovi consiglieri della Corte, fra gli
elenchi presentati dal Consiglio universitario nazionale e dal Consiglio
nazionale forense. Si vedano inoltre le disposizioni in tema di vero e proprio
reclutamento parallelo, peraltro mai attuato, aperto agli avvocati tramite un
concorso semplificato (nel quale due prove scritte avrebbero dovuto avere un
«carattere teorico-pratico»), di cui alla l. 13 febbraio 2001, n. 48, art. 14.
Infine andrà tenuto conto delle novità introdotte dalla l. 30 luglio 2007, n.
«3. All’articolo 2 del
citato decreto legislativo n. 160 del 2006 sono apportate le seguenti
modificazioni:
a)
la rubrica è sostituita dalla seguente: «Requisiti per l’ammissione al
concorso per esami»;
b)
il
comma 1 è sostituito dal seguente:
«1.
Al concorso per esami, tenuto conto che ai fini dell’anzianità minima di
servizio necessaria per l’ammissione non sono cumulabili le anzianità maturate
in più categorie fra quelle previste, sono ammessi:
a)
i magistrati amministrativi e contabili;
b)
i
procuratori dello Stato che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;
c)
i dipendenti dello Stato, con qualifica dirigenziale o appartenenti ad una
delle posizioni dell’area C prevista dal vigente contratto collettivo nazionale
di lavoro, comparto Ministeri, con almeno cinque anni di anzianità nella
qualifica, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso
per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza
conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso
universitario di durata non inferiore a quattro anni e che non sono incorsi in
sanzioni disciplinari;
d)
gli
appartenenti al personale universitario di ruolo docente di materie giuridiche
in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza che non sono incorsi in
sanzioni disciplinari;
e) i dipendenti, con
qualifica dirigenziale o appartenenti alla ex area direttiva, della pubblica
amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali,
che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale
era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito,
salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario
di durata non inferiore a quattro anni, con almeno cinque anni di anzianità
nella qualifica o, comunque, nelle predette carriere e che non sono incorsi in
sanzioni disciplinari;
f)
gli
avvocati iscritti all’albo che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;
g)
coloro
i quali hanno svolto le funzioni di magistrato onorario per almeno sei anni
senza demerito, senza essere stati revocati e che non sono incorsi in sanzioni
disciplinari;
h) i laureati in possesso
del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di
seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a
quattro anni e del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per
le professioni legali previste dall’articolo 16 del decreto legislativo 17
novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni;
i) i laureati che hanno
conseguito la laurea in giurisprudenza al termine di un corso universitario di
durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea,
ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;
l) i laureati che hanno
conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di
durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea,
ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica,
al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le
scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10
marzo 1982, n. 162”».
[83] Cfr. Oberto,
Les enjeux de la formation des magistrats. Organisation institutionnelle de
la formation, cit. Sul
tema cfr. anche V. Zagrebelsky, A
proposito della formazione e dell’aggiornamento professionale dei magistrati,
dell’urgenza di istituire una scuola apposita e di aprirla anche agli avvocati,
in Studium iuris, 1996,
p. 395 ss.
[84] Su cui v. Consiglio Superiore Della Magistratura, Relazione
quadriennale sull’attività di formazione professionale (gennaio 1997-dicembre
2000), Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 119,
Roma, 2001, p. 221 ss.
[85] Il cui testo è
disponibile al seguente sito web: http://www.giustizia.it/cassazione/leggi/dprlug_98.html.
[86] Su
cui v. infra, § 17.
[87] Sullo specifico argomento della formazione
iniziale dei magistrati italiani cfr. Dovere,
L’identità dispersa: il tirocinio ordinario come fase di orientamento
dell’uditore giudiziario, in Documenti
giustizia, 1997, c. 2521 ss.; Galeotti,
Il tirocinio mirato, in Documenti
giustizia, 1997, c. 2513 ss.; Nannucci,
La formazione iniziale del magistrato. Il ruolo del Consiglio giudiziario
nella scelta dei magistrati collaboratori e dei magistrati affidatari. I
rapporti con il Consiglio giudiziario di destinazione, in Documenti giustizia, 1997, c. 2495 ss.; Sabato, La nuova disciplina del
tirocinio degli uditori giudiziari. Riflessioni in vista dell’entrata in vigore
del DPR 17 luglio 1998, Relazione presentata al Seminario organizzato dal
Consiglio superiore della magistratura italiano sul tema «Formazione dei
formatori», Roma 21-23 giugno 1999. Per un resoconto di un certo interesse su
un’esperienza romana nel campo della formazione iniziale, cfr. Lazzaro, Il tirocinio dei giovani
magistrati (Antiche prassi e innovazioni introdotte dalla ‘Commissione uditori
giudiziari’ presso la Corte d’Appello di Roma), in Documenti giustizia, 1999, p. 34 ss.; Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione
quadriennale sull’attività di formazione professionale (Gennaio 1997-dicembre
2000), in Quaderni del Consiglio
Superiore della Magistratura, n. 119, Roma 2001; Id., Relazione al parlamento sullo stato della giustizia
(2001), in Quaderni del Consiglio
Superiore della Magistratura, n. 120, Roma 2001, p. 64 ss.; Oberto, La formazione professionale
dei magistrati italiani nell’ottica della formazione del giurista europeo,
in Riv. dir. priv., 2003, p. 173 ss. (lo scritto è altresì disponibile
al seguente indirizzo web: https://www.giacomooberto.com/goethe/relazione.htm).
[88] Più precisamente, dall’inizio del 1994 alla
fine del 1996.
[89] Per i dati statistici cfr. Oberto, Recrutement et formation des
magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 48 s. Ecco come lo stesso C.S.M., con
più che legittimo orgoglio, riassume l’attività svolta nel settore della
formazione in questi ultimi decenni: «Non essendo mai stata istituita una tale
Scuola (per esser rimaste le varie proposte di legge relative sempre lettera
morta), il Consiglio l’ha creata in via di prassi: ha istituito un’apposita
Commissione, la Nona, dedicata al tirocinio e alla formazione professionale e
ne ha supportato il lavoro con un Comitato scientifico composto da magistrati,
professori universitari, professori che esercitano l’attività di avvocato, ha
creato una rete di formatori decentrati su tutto il territorio nazionale, nella
convinzione che “soltanto un elevato livello di professionalità diffusa dei
magistrati consente all’intervento giudiziario di essere davvero indipendente e
autonomo...”, che “soltanto un elevato livello di professionalità conferisce
legittimazione all’intervento giudiziario”, e che dai principi costituzionali
di cui agli artt. 101 (per cui “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”) e
107, 3° comma (per cui “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per
diversità di funzioni”) consegue “che non possono essere suggeriti ai giudici
indirizzi od orientamenti circa l’interpretazione delle leggi da alcun organo e
da alcuna autorità dello Stato, né da poteri esterni né dallo stesso potere
giudiziario; e che pertanto il giudice, il quale si trova solo di fronte alla
legge che deve interpretare senza alcun ausilio esterno, ha bisogno, più che
ogni altro funzionario dello Stato, di una formazione permanente di altissimo
livello, dovendo egli da solo ricercare ed acquisire gli strumenti della
interpretazione delle leggi, ed assumersene la piena responsabilità” (v.
Relazione al Parlamento, 1994).
Grazie a questa
coraggiosa e determinata azione consiliare, la formazione della magistratura
italiana ha raggiunto livelli qualitativi e quantitativi al passo con quelli di
istituzioni di grande e risalente tradizione come l’Ecole Nationale de la
magistrature:
– ogni anno si tengono a
livello centrale oltre 60 incontri e seminari di formazione permanente
(assicurando a poco meno di 5000 magistrati la partecipazione ad almeno un
corso) e settimane di studio dedicate agli uditori giudiziari in tirocinio
ordinario e mirato;
– in ogni distretto di
Corte d’appello operano i referenti per la formazione decentrata, organizzando
numerose iniziative sulla base di indicazioni del Consiglio e di esigenze
formative espresse dal territorio;
– i corsi del C.S.M.
sono diventati un luogo di riflessione ed elaborazione ed un punto di riferimento
per tutti gli operatori del diritto: le altre magistrature, l’università, il
notariato, l’avvocatura dello Stato e quella del libero foro; tutti danno un
contributo importante come docenti, le richieste di partecipazione ed apertura
dei nostri corsi (in specie agli ordini professionali e alle altre
magistrature) aumentano geometricamente, non vi è rivista giuridica di
prestigio che tra i contributi dottrinali non contenga costantemente relazioni
e interventi svolti a incontri del C.S.M.;
– il Consiglio svolge un
ruolo leader a livello internazionale: per decisione unanime dell’Assemblea
Generale della Rete Europea di Formazione Giudiziaria (che raccoglie al suo
interno tutte le strutture di formazione dei Paesi membri dell’U.E.), ne
esprime il Segretario Generale, dando un importante contributo allo sviluppo e
consolidamento della cooperazione giudiziaria ed all’estendersi della fiducia
tra le magistrature dei diversi ordinamenti, che ne è presupposto
imprescindibile;
– su richiesta del
Consiglio d’Europa ha designato un magistrato italiano da assegnare alla Scuola
della Magistratura d’Albania, col compito di assistere la Scuola
nell’organizzazione dell’attività di formazione;
– ha ideato e realizzato
numerosi progetti di formazione cofinanziati dalla Commissione Europea su temi
di interesse comunitario, ottenendo solo negli ultimi tre anni finanziamenti
per oltre € 750.000,00.
Questi imponenti
risultati (incredibilmente liquidati nella relazione che accompagna il d.d.l.
come “attuale frammentaria attività formativa”), conseguiti col supporto di una
struttura molto motivata ma ridottissima nel numero e pressoché artigianale
(laddove le altre strutture europee – l’E.N.M.
francese, il Centro de Estudios
Judiciales spagnolo, la Deutsche
Richterakademie – hanno a disposizione immobili, uomini, strutture e mezzi
paragonabili a quelli di università di dimensioni medio-piccole), sono la
miglior testimonianza di una conoscenza acquisita attraverso l’esperienza, che
il Consiglio, nel riconfermare il suo assoluto favore per l’istituzione di una
Scuola della Magistratura, mette a disposizione per la sua realizzazione» (cfr.
il parere reso nella seduta del 22 maggio 2003 concernente
gli emendamenti approvati dal Consiglio Superiore dei ministri al disegno di
legge n. 1296/S recante: «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento
giudiziario e disposizioni in tema di organico della Corte di cassazione e di
conferimento delle funzioni di legittimità», in Consiglio
Superiore della Magistratura, Ordinamento
giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della
Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 99 ss.).
[90] Per quanto riguarda le formule pedagogiche
usate nella formazione, le attività si presentano in forma di:
–
incontri di studio: si tratta di corsi di
formazione che seguono il tradizionale modello delle conferenze tenute da
magistrati, docenti, avvocati, notai, esperti, ecc., seguite da discussioni
aperte a tutti i partecipanti; i lavori possono anche svolgersi all’interno di
gruppi di lavoro, ciascuno composto di un numero ristretto di magistrati, sotto
la direzione di un coordinatore, cui spetta il compito di presentare
all’assemblea dei partecipanti una relazione sulla discussione all’interno del
proprio gruppo;
–
seminari di pratica
professionale:
si tratta di corsi di formazione rivolti soprattutto a magistrati che
esercitano le stesse funzioni, o funzioni analoghe; hanno lo scopo di aiutare i
partecipanti – soprattutto tramite lo scambio di esperienze – a sviluppare una
buona preparazione tecnica, tendente a risolvere i problemi pratici della
professione;
–
laboratori: si tratta di corsi di
formazione a carattere sperimentale, basati sul principio della
«autodidattica»; l’iniziativa si rivolge a limitati gruppi di lavoro che, sotto
la direzione di un esperto in metodologia, analizzano alcuni specifici problemi
incontrati nell’esercizio della professione;
–
giornate di studio: si tratta di corsi di
formazione organizzati per approfondire temi specifici, generalmente in seguito
all’introduzione di una riforma; normalmente, la durata di questa formazione è
di un giorno;
–
confronti: si tratta di incontri
con magistrati o altro personale giudiziario di Paesi stranieri, tendenti a
stimolare l’approfondimento delle conoscenze di diritto comparativo e
transnazionale, specie a livello europeo;
–
corsi decentrati: si tratta di incontri
organizzati nel quadro della cosiddetta «formazione decentrata».
[91] In generale, sui problemi relativi alla
formazione permanente dei magistrati, cfr. Consiglio
Superiore della Magistratura, Il magistrato: dal reclutamento alla
formazione professionale. Esperienze in Italia e nel mondo, cit.; Viazzi, Il reclutamento e la formazione, cit., p. 307 ss.; Di Federico, Preparazione professionale, cit.; Parziale,
Il reclutamento e la formazione,
cit., p. 1561 ss.; Civinini, L’esperienza della formazione, cit., c.
2543 ss.; Verardi, Il reclutamento e la formazione, cit.,
p. 91 ss.; Oberto, Verardi e Viazzi, op. cit.,
p. 41 ss.; Oberto, Les enjeux de
la formation des magistrats. Organisation institutionnelle de la formation,
cit.; Verardi, Spunti per una
storia, cit.; Id., Il C.S.M. e la formazione, cit.; Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione quadriennale, cit.; Oberto, Recrutement et formation des
magistrats en Europe. Etude comparative, cit., p. 47 ss.
[92] Il provvedimento è pubblicato sul supplemento Ordinario n. 26/L alla
G.U. n. 28 del 3 febbraio 2006.
[93] Come rilevato da Civinini, Proto
Pisani, Salmè, Scarselli, La riforma dell’ordinamento giudiziario tra
il Ministro Castelli e il Ministro Mastella, in Foro it., 2007, c. 12 ss. (cui si fa rinvio anche per una
veloce rassegna delle novità normative e del loro stato di attuazione, o
inattuazione, al gennaio 2007), tra il gennaio e l’aprile del 2006 il governo
ha emanato otto decreti legislativi di attuazione della riforma: d.lgs. 16
gennaio 2006 n. 20, che detta la disciplina transitoria per il conferimento
degli uffici direttivi; d. lgs. 23 gennaio 2006 n. 24, di modifica
dell’organico della Corte di cassazione; d. lgs. 27 gennaio 2006 n.
[94] Per una valutazione in
questi termini del complesso delle riforme varate dalla XIV legislatura in tema
di ordinamento giudiziario v. anche, ex
multis, Verde, Ritorno a
una concezione impiegatizia assai riduttiva del ruolo di magistrato, in Guida al diritto - Il sole 24 ore, n. 20 del 20 maggio 2006, p. 45 ss.
[95] Cfr. il d.d.l. recante
«Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e disposizioni in materia di organico della
Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità», approvato
dal Consiglio dei ministri nella riunione del 14 marzo 2002 – Atto Senato n.
1296/S, il cui art. 3, comma primo stabiliva testualmente: «1. Nell’attuazione
della delega di cui all’art. 1, comma 1, lettera b), il Governo si attiene ai
seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere l’istituzione presso la
Corte di cassazione di una Scuola della magistratura, struttura didattica
stabilmente preposta all’organizzazione delle attività di tirocinio e
formazione degli uditori giudiziari e di aggiornamento professionale dei
magistrati, che si avvalga delle esperienze e delle professionalità
dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, anche ai
fini della progressione in carriera». Come rileva esattamente Santalucia, La scuola della magistratura, in Bertuzzi,
Cassano, Erbani, Melillo, Salvato, Santalucia, Il nuovo ordinamento giudiziario: concorso, funzioni, scuola della
magistratura, ufficio del pubblico ministero e responsabilità disciplinare
(legge delega e decreti delegati), a cura di Carcano, cit., p. 196, «L’indipendenza deve essere
innanzitutto dal potere politico, quindi dal Ministro della Giustizia, ma anche
dalla Corte di cassazione, che nel sistema di ordinamento giudiziario è giudice
della corretta interpretazione della legge, ma non deve rivestire un ruolo di
vertice gerarchico per affidare la sua importante funzione nomofilattica
all’autorità delle relazioni di superiorità burocratica piuttosto che
all’autorevolezza della maggiore forza persuasiva delle soluzioni offerte». Per
una valutazione fortemente critica di tale d.d.l. cfr. anche Oberto, La formazione professionale
dei magistrati italiani nell’ottica della formazione del giurista europeo,
cit., p. 192 ss.
[96] Cfr. il già citato d.d.l. recante «Delega al Governo per la riforma
dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e
disposizioni in materia di organico della Corte di cassazione e di conferimento
delle funzioni di legittimità», approvato dal Consiglio dei ministri nella
riunione del 14 marzo 2002 – Atto Senato n. 1296/S, il cui art. 3, comma primo
stabiliva testualmente, alla lett. c): «c) prevedere che la Scuola della
magistratura sia diretta da un Comitato direttivo composto da due magistrati
designati dal Primo Presidente della Corte dì cassazione tra i magistrati della
Corte di cassazione, sentito il Procuratore Generale, e da tre componenti,
scelti tra avvocati con non meno di venti anni di esercizio della professione,
e magistrati con non meno di venti anni di servizio, nominati dal Consiglio
superiore della magistratura, di concerto con il Ministro della giustizia, per
quattro anni, nell’ambito di tutti i quali è eletto un presidente». Sul punto
si vedano i rilievi fortemente critici espressi dal C.S.M. nel suo parere reso
nella seduta del 12 giugno
[97] Cfr. Oberto, La formazione professionale
dei magistrati italiani nell’ottica della formazione del giurista europeo,
cit., p. 192 ss.
[98] von Jhering, Serio e faceto nella giurisprudenza, ed.
ital., Firenze, 1954, Lettera V, Le proposte del giudice Volkmar per la riforma
degli studi giuridici e degli esami, p. 83 ss., 106 ss.
[99] Cfr. Consiglio Superiore della
Magistratura, Ordinamento
giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della
Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 99 ss.
[100] Cfr. la Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia - 1985 - 2°
quaderno, p. 221.
[101] Sul tema v. anche supra, § 15.
[102] Cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 197; v. inoltre Civinini, Leo, Morosini, Profiti, Sabato,
Idee per l’istituzione di una scuola
della magistratura, in Foro it.,
2005, V, c. 212 ss.
[103] Per quanto possa dirsi
sicuramente eccessivo il livello con cui non poche volte tale organo ha inteso
«correggere», sulla base di logiche puramente «correntizie», le scelte dei
relatori agli incontri di studio operate dal comitato scientifico.
[104] Così, con valutazioni
assolutamente condivisibili, si esprime Santalucia,
La scuola della magistratura, cit.,
p. 197; v. inoltre Civinini, Leo,
Morosini, Profiti, Sabato, Idee
per l’istituzione di una scuola della magistratura, in Foro it., 2005, V, c. 212 ss. Per una serie di specifiche critiche
alla luce delle esperienze internazionali e di diritto comparato cfr. infra, § 30.
[105] Pubblicata
in Gazz. Uff., n. 175 del 30 luglio
2007 – Suppl. Ordinario n.
[106] La versione originale
del testo approvato dal Consiglio dei ministri è disponibile ai seguenti
indirizzi web: http://www.associazionemagistrati.it/HOME/testo%20ddl-0g%20approvato.doc;
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Ddlpres&leg=15&id=00262078&offset=158273&length=192686&parse=no.
Il documento venne presentato come d.d.l. n. 1447/S/XV, comunicato alla
Presidenza il 30 marzo 2007. Una tavola comparativa, che raffronta il testo del
d.d.l. n. 1447/S/XV alla versione del medesimo documento approvata dalla
Commissione Guistizia del Senato, è disponibile al sito web seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Ddlcomm&leg=15&id=00273584&offset=4273&length=347959&parse=no.
Per la scheda dei relativi lavori parlamentari cfr. la pagina web seguente: http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/trovaschedacamera_wai.asp?PDL=2900.
[107] Disponibile alla pagina
web seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Ddlpres&leg=15&id=00262078&offset=1777&length=137836&parse=no
[108] Cfr. infra, §§ 19, 30.
[109] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 199.
[110] Sul tema cfr. Varano, Verso le scuole di specializzazione per le professioni legali, in Foro it., 1995, V, c. 68 ss.; Consolo e Mariconda, Quali nuovi
esami per avvocati e magistrati?, in Corr.
giur., 1997, p. 1245 ss.; Giordano,
Le scuole di specializzazione e il valore
della formazione comune, in Documenti
giustizia, 1997, c. 2529 ss.; A. Padoa
Schioppa, Prospettive per le
Scuole forensi, in Documenti
giustizia, 1997, c. 2487 ss.; Consiglio
Superiore della Magistratura, Parere
del C.S.M. sullo schema di decreto legislativo concernente «modifica alla
disciplina del concorso per uditore giudiziario e scuola di specializzazione
per le professioni legali», in Giur.
it., 1998, p. 624 ss.; Dittrich,
Specializzazione e professioni legali, in Riv. del cons., 2000,
p. 54 ss.; Dondi, Il
regolamento istitutivo delle Scuole forensi. Rilievi minimi in tema di riforme
e di formazione delle professioni legali, in Dir. pen. e proc.,
2000, p. 803 ss.; A. Padoa Schioppa,
Quell’inevitabile scelta di equiparare la
frequenza all’abilitazione professionale, in Guida al diritto – Il sole 24 ore, 2000, n. 6, p. 57 ss.; Id., Scuole
di specializzazione: dimezzata la durata, ivi, 2001, n. 11, p. 127 ss.; Oberto,
La formazione professionale dei magistrati italiani nell’ottica della
formazione del giurista europeo, cit., p. 173 ss., 201 ss. In generale sul
ruolo delle università nella formazione dei magistrati cfr. Serio, Note su «L’università e la formazione dei giudici», in Riv. dir. civ., 2000, p. 631 ss.
[111] Un concorso falsamente
indicato, tra l’altro, secondo un pregiudizio che si va diffondendo, come di
«secondo grado», laddove l’apertura alla classe forense – secondo la previsione
della lett. f)
del novellato art. 2, comma primo, del d.lgs. n. 160 del 2006, come modificato
dall’art. 1 della l. 30 luglio 2007, n. 111, che ammette al concorso «gli
avvocati iscritti all’albo che non sono incorsi in sanzioni disciplinari»,
senza neanche la limitazione dell’esercizio della professione per almeno un
triennio, contenuta nella versione originale del d.d.l. «Mastella» – si
riferisce ad una (sterminata!) platea di soggetti ammessi all’iscrizione agli
albi professionali degli avvocati per effetto del superamento di un esame (tradizionalmente
caratterizzato, tra l’altro, da sconcertanti squilibri valutativi a seconda
delle diverse sedi in cui il medesimo viene effettuato) e non certo di un
concorso.
[112] Le modifiche introdotte
dalla Commissione giustizia del Senato rispetto alla versione originale del
d.d.l. governativo che ha portato alla l. 30 luglio 2007, n. 111 hanno
fortunatamente espunto l’ipotesi prevista dalla lett. h) della proposta nuova
versione dell’art. 2, comma primo, del citato d.lgs. n. 160 del 2006, secondo
cui al concorso avrebbero potuto comunque essere ammessi, anche se non in
possesso dei requisiti di cui alle altre lettere della norma in esame (e dunque
anche se non in possesso del diploma delle Scuole di specializzazione) «i
laureati che hanno conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza al termine
di un corso universitario di durata complessivamente non inferiore a cinque
anni, o la laurea in giurisprudenza al termine di un corso di studi di durata
non inferiore a quattro anni, con una votazione media, calcolata sulla
votazione riportata in tutti gli esami sostenuti nell’intero corso di studi
universitari necessario per il conseguimento della laurea magistrale o della
laurea, in caso di corso quadriennale, pari almeno a ventotto trentesimi e un
punteggio della sola laurea magistrale o della laurea, nel caso di laureati
all’esito di un corso quadriennale, non inferiore a centosette centodecimi».
Inutile dire che l’introduzione di una regola siffatta avrebbe, di fatto,
trasformato le Scuole di specializzazione in qualcosa di molto simile alle
(certo non rimpiante) «classi differenziali» della scuola elementare d’un
tempo, in cui si sarebbero affollati i (soli) laureati meno brillanti, nel
tentativo di recuperare il tempo perduto all’università…
[113] Cfr. il parere approvato dalla Commissione giustizia del Senato in
data 1 dicembre 2005 sull’atto del governo n. 544 (il testo di tale parere è
disponibile al sito web seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=14&id=166871):
«In merito alle problematiche concernenti i rapporti fra la Scuola della
magistratura ed il Consiglio superiore della magistratura, con specifico
riferimento alla materia del tirocinio e della formazione dei magistrati, va
evidenziato che vi sono varie disposizioni di legge che hanno espressamente
attribuito al Consiglio superiore della magistratura compiti in tema di
formazione dei magistrati e che tali disposizioni non sono state né abrogate né
modificate dalla delega o dallo schema di decreto delegato. Si deve ricordare,
infatti, che il comma 4 dell’articolo 4-bis della legge 21 novembre
1991, n. 374, quale sostituito dall’articolo 2 della legge 24 novembre 1999, n.
468, stabilisce che il CSM è titolare delle direttive che riguardano il
tirocinio dei giudici di pace; e, ancor più significativamente, che l’articolo
5 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, attuativo del nuovo codice di
procedura penale per la parte afferente i minori, afferma a sua volta che al
CSM compete la responsabilità dei “corsi di formazione per magistrati ordinari
e onorari addetti agli uffici giudiziari minorili”. Il fatto che il CSM si
debba occupare del tirocinio e della formazione non solo di talune categorie di
magistrati onorari, ma anche di un settore della magistratura ordinaria pone
obiettivamente un problema di coordinamento normativo che la Commissione
sottopone alla valutazione del Governo e rispetto al quale ritiene che – mentre
per quanto riguarda i magistrati ordinari addetti ai Tribunali minorili può
esservi lo spazio, sulla base della delega al coordinamento contenuta
nell’articolo 1, comma 3, della legge n. 150 del 2005 per un intervento che
attribuisca alla Scuola superiore l’organizzazione dei corsi di formazione per
gli stessi – risulterebbe invece al di là della portata della delega un
intervento innovativo sulla formazione dei giudici di pace. Si tratta peraltro
di un profilo su cui, de iure condendo, un intervento del legislatore
appare certamente auspicabile».
[114] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 199.
[115] Cfr. in questo senso il
parere del C.S.M. in data 10 novembre
[116] Cfr. infra, § 29.
[117] Cfr. ad esempio quanto
illustrato infra, nel seguente §
[118] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 200, ricorda che la disciplina del comando
nella pubblica amministrazione trova il suo fondamento nell’art. 4 dell’accordo
del 16 maggio 2001, integrativo del contratto collettivo nazionale del comparto
Ministeri sottoscritto il 16 febbraio 1999.
[119] V. infra, § 30. Di «federalismo formativo» parlano, in termini
critici, anche Civinini, Leo, Morosini,
Profiti, Sabato, Idee per
l’istituzione di una scuola della magistratura, loc. cit.
[120] Cfr. in questo senso il
parere del C.S.M. in data 10 novembre
[121] Cfr. p. 29 (il
documento del C.S.M. è disponibile al seguente indirizzo web: http://www.associazionemagistrati.it/HOME/ParereCSM_OG.pdf;
la numerazione delle pagine citate nel presente lavoro si riferisce alla
versione del parere reperibile nel sito predetto, in formato .pdf).
[122] Cfr. in questo senso il
parere del C.S.M. in data 10 novembre
[123] Cfr. Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento giudiziario. Pareri del C.S.M.
sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio
Superiore della Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 108 ss.
[124] Il testo
della disposizione richiamata è il seguente: «37. Per l’istituzione e il
funzionamento della Scuola superiore della magistratura, di cui al comma 2,
lettera a), è autorizzata la spesa
massima di euro 6.946.950 per l’anno 2005 ed euro
[125] Cfr. il documento
approvato il 13 maggio 2006 dal Comitato
direttivo centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati, dal titolo L’impatto della legge 150/05 e dei relativi
decreti legislativi delegati su alcuni aspetti cruciali dell’organizzazione
giudiziaria e sul funzionamento del sistema giustizia, in Diritto & Giustizia, 16 maggio 2006.
[126] Cfr. in questo senso il
parere del C.S.M. in data 10 novembre
[127] Per quanto attiene, in
particolare, ai corsi di formazione continua di cui alla versione originaria
del d.lgs. n. 26 del 2006, il C.S.M. (cfr. il già citato parere del C.S.M. in
data 10 novembre
– che nel 2009 i
partecipanti saranno 3962 (il numero è inferiore all’anno 2004 poichè è stata
considerata solo la partecipazione obbligatoria);
– che, in ragione del
numero dei magistrati per tipologia di corso, e fissato a 69,93 il numero medio
dei partecipanti (media desunta dagli anni 2002, 2003, 2004), i corsi saranno
complessivamente 57;
– che, in ragione della
durata di due settimane di corso e della durata semestrale del tirocinio degli
uditori, la Scuola dovrà organizzare complessivamente 1505 giornate di corso,
presso le tre sedi, a fronte delle 245 dell’anno 2004.
Ciò significa che ogni
sede della Scuola dovrà garantire circa 500 giornate di corso durante l’anno,
senza considerare le giornate che dovranno essere assicurate ai circa 2.000 magistrati
chiamati a sostenere la formazione quinquennale e a quelli (oggi non
quantificabili, ma certo numerosi) che parteciperanno ai corsi finalizzati
all’accesso ai posti direttivi e semidirettivi».
[128] Cfr. infra, §§ 22, 24, 25, 27 e 29.
[129] Cfr. il citato parere
emesso in data 31 maggio 2007, p. 30.
[130] Potrà ricordarsi sul
punto il parere espresso dalla III Commissione permanente della Camera (Affari
esteri e comunitari), la quale esaminato, limitatamente alle parti di propria
competenza, il disegno di legge n. 2900 Governo, approvato dal Senato,
concernente: «Riforma dell’ordinamento giudiziario», ha «valutato positivamente
l’ampliamento della proiezione internazionale della Scuola superiore della
Magistratura sulla base delle modifiche al decreto legislativo n. 26 del 2006,
introdotte dalle lettere g) e h) dell’articolo 3, comma 2, con
particolare riguardo all’esplicito riferimento alla Rete di formazione
giudiziaria europea, nonché alla collaborazione nelle attività dirette all’organizzazione
e al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi». Il medesimo organo
ha altresì «auspicato che la Scuola superiore della Magistratura possa, in
virtù di tali nuove disposizioni, rafforzare significativamente il ruolo
dell’Italia nella cooperazione giudiziaria internazionale, che costituisce uno
degli aspetti fondamentali dei processi di stabilizzazione istituzionale e di
consolidamento democratico, oltre che uno dei più efficaci strumenti per il
contrasto al terrorismo internazionale ed al crimine organizzato» (il testo del
parere è disponibile al seguente indirizzo web:
http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=15PDL0031340).
[131] Sulla finalità «di
garantire un ampio pluralismo culturale e scientifico» v. le sarcastiche
notazioni di A. Padoa Schioppa, I
giudici tornano sui banchi di scuola: un passo avanti che non cura il male, in Guida al diritto - Il sole 24 ore, n. 7 del 18 febbraio 2006, p.
53: «Quest’ultima prescrizione potrà ingenerare qualche problema. Sarebbe
fuorviante e anzi dannoso, a nostro avviso, interpretarla nel senso che il
Comitato di gestione per l’uditorato debba misurare col bilancino la vera (o
supposta) cifra ideologica dei docenti per comporre così un armonico
giardinetto multicolore. Piuttosto, volendole dare un significato, essa
potrebbe essere intesa nel senso di non privilegiare unilateralmente una scuola
di pensiero o un indirizzo metodologico rispetto a tutti gli altri, in una
realtà come l’attuale che conosce divisioni o sottolineature di metodi e di
valori tutt’altro che uniformi».
[132] Si noti poi, per la cronaca, che per gli ulteriori
corsi previsti dalle disposizioni, ora abrogate, finalizzate alla valutazione
dei magistrati, non venivano richiesti neppure tali ultimi requisiti, così
potendo indurre qualche maligno a ritenere a
contrario che, per tali attività, i docenti avrebbero potuto anche non
essere provvisti di alcuna delle summenzionate caratteristiche…
[133] Si ricorda che il
relativo testo è disponibile al sito web
seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=14&id=166871.
[134] Nel parere emesso in
data 10 novembre
[135] Anche Pederzoli, Nasce l’obbligo di aggiornamento costante, in Guida al diritto - Il sole 24 ore, n. 7 del 18 febbraio 2006, p.
57, sembra esprimere una preoccupazione del genere, in relazione alla versione
originale del d.lgs. n. 26 del 2006: «Come si sa, poi, l’aggiornamento
professionale diventa obbligatorio per tutti i magistrati, che almeno ogni
cinque anni dovranno partecipare ad attività formative di durata non inferiore
a due settimane. A ciò si aggiungano i corsi abilitanti per ogni eventuale
passaggio di funzione e quelli che preludono all’avanzamento in carriera. Il
tutto va infine rapportato a un corpo giudiziario che nel suo complesso consta
di circa 9mila unità. Insomma, sono cifre che lasciano intravedere una macchina
organizzativa a dir poco complessa e tuttavia governata da organismi (il
comitato direttivo e quelli di gestione) nei quali non è dato ravvisare una
sola carica a tempo pieno».
[136] Cfr. l’elenco di
attività di cui supra, §
[137] Nulla di simile, per
intenderci, a quella soluzione «scatolone» attualmente seguita dal sito del
C.S.M. (cfr. il sito http://appinter.csm.it/incontri/ele_anno_inc.php),
in cui vengono affastellati alla rinfusa (e distinti solo anno per anno)
materiali preziosissimi, nei quali solo l’uso del motore di ricerca Google può consentire di districarsi,
usando l’accorgimento – una volta digitati i dati di ricerca nell’ambito degli
spazi dedicati agli usuali operatori logici (and, or, not, “frase fatta”) – di inserire,
nell’apposita pagina destinata alla ricerca avanzata (http://www.google.it/advanced_search?hl=it),
l’indirizzo seguente: «http://appinter.csm.it/incontri», in corrispondenza
dello spazio bianco legato alla funzione «risultati contenuti nel seguente sito
o dominio». A mo’ di esercizio si provi a ricercare il materiale disponibile in
tema di rapporti tra usucapione e comunione legale tra coniugi, digitando il
termine «usucapione» nello spazio bianco di fianco alla funzione «Trova
risultati che contengano tutte
le seguenti parole», nonché l’espressione «comunione legale» nello spazio
bianco di fianco alla funzione «Trova risultati che contengano la seguente frase».
[138] Riassumono in questo
modo i compiti di una Scuola ideale Civinini,
Leo, Morosini, Profiti, Sabato, Idee
per l’istituzione di una scuola della magistratura, loc. cit.:
– la formazione iniziale degli uditori
giudiziari in tirocinio e la formazione degli uditori con funzioni;
– la formazione permanente dei giudici e
procuratori togati;
– la formazione dei dirigenti degli uffici
giudiziari;
– la formazione iniziale e permanente della
magistratura onoraria;
– la formazione dei formatori;
– il coordinamento delle attività di
formazione decentrata;
– la formazione di magistrati stranieri in stage nel nostro paese o partecipanti
all’attività di formazione nazionale e all’attività di formazione che si svolge
nell’ambito della rete europea di formazione giudiziaria;
– la partecipazione, anche nel quadro di
progetti dell’Unione europea, del consiglio d’Europa o dell’Onu o di programmi
del ministero degli esteri, a missioni internazionali che hanno ad oggetto la
creazione di istituti di formazione, la formazione dei formatori e la
formazione in particolari settori o materie in Paesi terzi;
– la realizzazione di programmi di formazione
con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di ordini professionali;
– la realizzazione di strumenti didattici di
consultazione e di strumenti didattici interattivi da diffondere e utilizzare
in via telematica (e-learning, ecc.);
– la realizzazione di studi e ricerche
giuridiche;
– la realizzazione di un «giornale» periodico
di informazione sulle attività della scuola;
– la gestione di una collana di pubblicazioni
nelle materie oggetto di attività di formazione.
[139] Si noti che il predetto
(preziosissimo) archivio, sebbene scomparso dall’elenco della home page del servizio Italgiure Web (http://213.175.10.214/), appare ancora
raggiungibile (per chi, ovviamente, è dotato della password d’accesso al sistema predetto) all’indirizzo web seguente: http://213.175.10.214/xway-4.4.7/application/nif/isapi/hc.dll?db=merito&lang=it.
[140] Cfr. in questo senso il
parere del C.S.M. emesso in data 10 novembre
[141] Su cui v. supra, § 16.
[142] Cfr. ad es. Cass., 3 marzo 2000 , n.
2433.
[143] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 204.
[144] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 205.
[145] Cfr. art. 2, comma secondo, lett. l), l. 25 luglio
2005, n. 150: «l) prevedere che la
Scuola superiore della magistratura sia diretta da un comitato che dura in
carica quattro anni, composto dal primo Presidente della Corte di cassazione o
da un magistrato dallo stesso delegato, dal Procuratore generale presso la
Corte di cassazione o da un magistrato dallo stesso delegato, da due magistrati
ordinari nominati dal Consiglio superiore della magistratura, da un avvocato
con almeno quindici anni di esercizio della professione nominato dal Consiglio
nazionale forense, da un componente professore universitario ordinario in
materie giuridiche nominato dal Consiglio universitario nazionale e da un
membro nominato dal Ministro della giustizia; prevedere che, nell’ambito del
comitato, i componenti eleggano il presidente; prevedere che i componenti del
comitato, diversi dal primo Presidente della Corte di cassazione, dal Procuratore
generale presso la stessa e dai loro eventuali delegati, non siano
immediatamente rinnovabili e non possano far parte delle commissioni di
concorso per uditore giudiziario».
[146] Come osservava Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 205.
[147] Rilevava sul punto Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 206, che la scelta del
decreto legislativo, oltre che criticabile per l’ingiustificata accentuazione
dei gradi funzionali, era poco accorta nella prospettiva di assicurare la
presenza all’interno del comitato di tutte le competenze necessarie alla
migliore individuazione degli obiettivi formativi, dal momento che non si
curava di garantire la presenza contestuale di magistrati con esperienza
giudicante e di magistrati con uno specifico sapere investigativo. Anche Pederzoli, Nasce l’obbligo di aggiornamento costante, cit., p. 57, rimarcava
che «sfugge, a dire il vero, la ragione per cui i membri designati dal Csm
debbano di necessità avere, e da almeno tre anni, la qualifica degli attuali
magistrati d’appello, tanto più che la futura configurazione della carriera
offrirebbe una ben più ampia gamma di qualifiche e di esperienze alle quali
attingere». Nel parere del C.S.M. in data 10 novembre
[148] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 206.
[149] Così Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 206.
[150] Cfr. il parere reso
nella seduta del 22 maggio 2003, concernente gli emendamenti approvati dal
Consiglio Superiore dei ministri al disegno di legge n. 1296/S recante: «Delega
al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e disposizioni in tema
di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di
legittimità», in Consiglio Superiore
della Magistratura, Ordinamento
giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della
Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 102 s.
[151] In questi termini v. il
già citato parere reso dal C.S.M. nella seduta del 22 maggio 2003, concernente
gli emendamenti approvati dal Consiglio Superiore dei ministri al disegno di
legge n. 1296/S recante: «Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento
giudiziario e disposizioni in tema di organico della Corte di cassazione e di
conferimento delle funzioni di legittimità», in Consiglio
Superiore della Magistratura, Ordinamento
giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della
Magistratura, cit., p. 103 s. Dubbi di legittimità costituzionale per
violazione dell’art. 105 Cost. circa il modo di composizione del direttivo
della Scuola venivano poi ulteriormente espressi nel parere del C.S.M. in data
10 novembre
[152] Cit.,
p. 2.
[153] Cfr.
p 33.
[154] Cfr. infra, § 25.
[155] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 208.
[156] Cfr. l’art. 2, comma
secondo, lett. n), l. 25 luglio 2005, n. 150: «n) prevedere che, nella programmazione dell’attività
didattica, il comitato direttivo di cui alla lettera l) possa avvalersi
delle proposte…».
[157] Cit., p. 31.
[158] Cfr. sempre il citato
parere emesso il 31 maggio 2007, pag. 32.
[159] Su cui v. infra, § 25.
[160] Cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 208 s.
[161] Cfr. supra, § 19.
[162] Cfr. l’art. 2, secondo
comma, lett. l), che si esprime nei termini seguenti: «prevedere che la Scuola
superiore della magistratura sia diretta da un comitato…».
[163] Contra Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p.
[164] Per l’esattezza, le
disposizioni abrogate prevedevano due comitati di gestione: l’uno preposto alle
attività dì tirocinio degli uditori giudiziari, l’altro alle attività di
aggiornamento e formazione professionale dei magistrati già in servizio. La
legge delega (art. 2, secondo comma, lett. m)) aveva stabilito genericamente
che i comitati di gestione avrebbero dovuto essere formati da un «congruo»
numero di componenti, comunque non superiore a cinque, senza indicare le
categorie professionali al cui interno il comitato direttivo ne avrebbe dovuto
scegliere i membri. Il d.lgs. specificava (art. 13, nel testo oggi abrogato)
che costoro avrebbero dovuto essere scelti dal comitato direttivo tra i
magistrati ordinari che esercitavano le funzioni giudicanti o quelle requirenti
da almeno quindici anni, nonché tra gli avvocati con non meno di quindici anni
di esercizio della professione e tra i professori universitari in materie
giuridiche. Purché operasse la scelta all’interno di queste categorie, il
comitato direttivo non aveva alcun vincolo di quote, potendo nominare
eventualmente tutti i dieci componenti tra i professori universitari o tutti
tra gli avocati, o ovviamente tutti tra i magistrati, e magari tra i soli
magistrati giudicanti o solo tra quelli requirenti (cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 209).
Ai sensi dell’art. 15
d.lgs. cit. (sempre nella versione oggi non più in vigore) i componenti del
comitato di gestione godevano di piena indipendenza nei confronti del comitato
direttivo, erano nominati per un periodo di quattro anni e non potevano essere
immediatamente rinnovati. Essi non potevano poi fare parte delle commissioni di
concorso per uditore giudiziario, mentre nulla era detto in merito alla
compatibilità, rispetto alla partecipazione alle commissioni di concorso, per
la progressione in carriera: ciò che appariva tanto più assurdo, se si poneva
mente al fatto che le competenze di uno dei due comitati di gestione erano
appunto quelle della formazione in vista dei vari passaggi di carriera dei
magistrati (ritiene la disposizione «frutto di una svista» Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 210). La carica in oggetto è
inoltre incompatibile con qualsiasi carica pubblica elettiva o attività di
componente di organi di controllo di enti pubblici e privati, fatta però salva
l’attività di studio e di ricerca.
Diversamente che per il
comitato direttivo, il d.lgs. n. 26 del 2006 non dettava alcun criterio di
nomina per i componenti dei comitati di gestione. Come rilevato al riguardo dal
C.S.M. (cfr. il già citato parere in data 10 novembre
La mancanza di criteri
per la individuazione dei componenti dei comitati di gestione aggravava così i
vizi di costituzionalità denunciati dal Consiglio superiore, soprattutto ove si
fosse considerato il ruolo decisivo che i comitati di gestione erano destinati
a ricoprire, tra l’altro, con riferimento: a) alla scelta dei docenti e dei
tutori; b) alla fissazione dei criteri di ammissione ai corsi; c) al momento di
valutazione dei magistrati; d) alla scelta dei magistrati affidatari degli
uditori (art. 21, comma terzo, nella versione in vigore prima della l. 30
luglio 2007, n. 111).
Non era previsto, poi,
alcun contributo permanente ai Comitati direttivi da parte di professionalità
diverse da quelle giuridiche, quali, ad esempio, di esperti di scienza della
formazione. Questo limite non appariva in alcun modo compatibile con la
previsione di una scuola di formazione permanente e strutturata come quella che
il d.lgs. comunque prefigurava.
Per quanto attiene al
funzionamento, i comitati di gestione funzionavano con la regola delle
deliberazioni a maggioranza relativa, con almeno la presenza alle sedute di tre
componenti. L’art. 14 d.lgs. cit., nella sua versione originale, specificava
che «in caso di parità prevale il voto del presidente»: disposizione da cui si
desumeva pertanto che ogni comitato dovesse eleggere al suo interno un
presidente. Anche per i comitati di gestione, come per il comitato direttivo,
il voto era palese. Mentre per i componenti del comitato direttivo era previsto
in generale un potere di astensione dalla discussione e dalla relativa
deliberazione (art. 7, comma secondo, d.lgs. cit.) per i casi in cui si fossero
venuti a trovare in conflitto di interesse in relazione ad una specifica
deliberazione, ovvero se avessero ravvisato motivi di opportunità, per i
componenti dei comitati di gestione si prevedeva (art. 14, commi secondo e
terzo, d.lgs. cit.) anche un’ipotesi di astensione obbligatoria per i casi di
svolgimento di attività professionale o di lavoro autonomo in procedimenti
trattati da magistrati che frequentavano i corsi presso la Scuola e comunque
sino alla valutazione finale sul livello di preparazione di detti magistrati e
sui loro specifici elementi attitudinali inerenti le funzioni svolte.
I compiti dei comitati
di gestione venivano dall’art. 12, comma terzo, d.lgs. cit., nella versione
anteriore alla l. 30 luglio 2007, n. 111, specificati come segue:
«3. Ciascun comitato di
gestione:
a) attua la programmazione annuale
dell’attività per il proprio ambito di competenza;
b) definisce il contenuto analitico di
ciascuna sessione;
c) individua i docenti chiamati a svolgere
l’incarico di insegnamento in ciascuna sessione;
d) fissa i criteri di ammissione alle sessioni
di formazione;
e) offre sussidio didattico e sperimenta nuove
formule didattiche;
f) segue lo svolgimento delle sessioni e
presenta, all’esito di ciascuna di esse, relazioni consuntive;
g) cura il tirocinio o l’aggiornamento
professionale nelle fasi effettuate presso la Scuola, selezionando i tutori,
nonchè i docenti incaricati anno per anno e quelli occasionali».
L’elenco,
esattamente definito puntiglioso e fors’anche sovrabbondante almeno per la
parte in cui menzionava alla lett. c) il compito di nomina dei docenti
incaricati per ciascuna sessione ed alla lett. g) ribadiva la competenza alla
nomina dei docenti incaricati per anno e dei docenti occasionali, non conteneva
il riferimento alle competenze forse più importanti, che erano quelle di
valutazione dei magistrati che partecipano alle sessioni di tirocinio,
aggiornamento e formazione (cfr. Santalucia,
La scuola della magistratura, cit.,
p. 211). I comitati di gestione assommavano quindi quasi tutte le funzioni
decisorie, restando comunque obbligati a rendere il conto della gestione
formativa al comitato direttivo, come si arguisce dalla lett. j) dell’elenco
poco prima trascritto delle loro funzioni (così Santalucia,
La scuola della magistratura, cit.,
p. 211).
[165] Oberto, La formazione professionale dei magistrati
italiani nell’ottica della formazione del giurista europeo, cit., p. 191
s.; il progetto cui si fa riferimento è quello, già ricordato, n. 2018/XII, che
recava il titolo «Istituzione di un Centro superiore di studi giuridici per la
formazione dei magistrati, o “Scuola della magistratura”», presentato al
parlamento italiano nel 1995, nel corso della XII legislatura (su cui v. supra, § 15).
[166] Anche se, per converso,
la presenza di «illustri personalità» nel comitato potrebbe fornire in
contropartita il vantaggio della disponibilità di un certo numero di persone
dotate (ben più di coloro che sopra si sono descritti come «Cirenei») dei mezzi
e delle entrature necessarie per porre la Scuola al riparo dai rischi rappresentati
dagli inevitabili tentativi di sabotaggio che – secondo quanto dimostrato
dall’esperienza (sul punto v. quanto osservato supra, § 16) – non mancheranno certo di presentarsi.
[167] «Art. 9
Segretario Generale
1. Il
magistrato, che ai sensi dell’art. 7 della legge 24 marzo 1958 n. 195, come
sostituito dall’art. 1 della legge 9 dicembre 1977 n. 908, dirige la
Segreteria, assume le funzioni di Segretario Generale con le seguenti
attribuzioni:
a)
assiste
il Vicepresidente ed il Comitato di Presidenza nella predisposizione e nello
svolgimento dei lavori attinenti l’organizzazione ed il funzionamento del
Consiglio;
b)
cura,
nell’ambito delle proprie funzioni, i rapporti con le Segreterie Generali della
Presidenza della Repubblica, della Camera dei Deputati e del Senato della
Repubblica, della Corte Costituzionale, nonché con gli analoghi uffici della
Presidenza del Consiglio, degli altri organi di rilevanza costituzionale e
della pubblica amministrazione;
c)
propone
al Vicepresidente ed al Comitato di Presidenza l’adozione di provvedimenti
attinenti l’amministrazione del Consiglio;
d)
assiste
alle riunioni del Comitato di Presidenza e ne redige il verbale; provvede alla
conservazione degli atti; cura gli adempimenti preparatori delle riunioni
stesse e l’esecuzione delle deliberazioni adottate;
e)
coordina
l’attività dei magistrati addetti alla Segreteria;
f)
assicura
il buon andamento dei servizi e degli uffici e sovraintende al personale
addetto al Consiglio;
g)
adempie
ad ogni altro compito previsto dai regolamenti del Consiglio o che gli sia
affidato dal Vicepresidente, dal Comitato di Presidenza o dal Consiglio.
2.
Nello svolgimento dei predetti compiti il Segretario generale si avvale
di apposita segreteria ed è coadiuvato e sostituito, in caso di impedimento, da
un magistrato di merito (Vice Segretario generale). Il Segretario Generale,
previa comunicazione al Comitato di Presidenza, può delegare al Vice Segretario
Generale il compimento di determinati atti o la cura di settori di attività
rientranti nelle sue attribuzioni, fermo restando il potere di direzione e
coordinamento spettantegli; la delega può essere revocata con le stesse
modalità. Successivamente all’emanazione i provvedimenti di delega o di revoca
devono essere, a cura del Comitato di Presidenza, comunicati al Plenum del
Consiglio. La nomina del Segretario generale e del Vice Segretario generale è
deliberata dal Consiglio su proposta del Comitato di Presidenza, che può
avvalersi, a fini istruttori, della Terza Commissione.
3. Presso
la Segreteria Generale è costituito un ufficio informazioni, diretto da un
Magistrato Segretario, con il compito di fornire ai magistrati le notizie non
riservate relative alle pratiche che li riguardano».
[168] Cfr. p. 33.
[169] Cfr. supra, § 24.
[170] Cfr. infra, § 29.
[171] Cfr.
supra, § 21.
[172] Cfr. p. 33 s.
[173] Sul tema cfr. Santalucia, Le nuove norme sull’accesso alla magistratura ordinaria, in Bertuzzi, Cassano, Erbani, Melillo, Salvato,
Santalucia, Il nuovo ordinamento
giudiziario: concorso, funzioni, scuola della magistratura, ufficio del
pubblico ministero e responsabilità disciplinare (legge delega e decreti
delegati), cit., p. 41 ss.
[174] Santalucia, Le nuove
norme sull’accesso alla magistratura ordinaria, cit., p. 42.
[175] Per una critica
all’inspiegabile esclusione degli organi monocratici cfr. il parere del C.S.M.
in data 10 novembre
[176] Proponeva al riguardo
A. Padoa Schioppa, I giudici
tornano sui banchi di scuola: un passo avanti che non cura il male, cit., p. 53, che i giudizi espressi
dai magistrati affidatari fossero inclusi nel fascicolo personale del
magistrato, a fianco del giudizio sintetico del comitato di gestione,
soggiungendo che «Per le fasi successive della carriera, i giudizi espressi dai
colleghi magistrati, interpellati secondo procedure da definire, dovrebbero
essere valorizzati. Tra l’altro, i giudizi espressi sono utili per conoscere
non solo chi ne è l’oggetto ma anche chi ne è l’autore. Si potrebbe addirittura
suggerire che i giudizi espressi entrino a far parte del fascicolo personale di
chi li ha formulati».
[177] Si ricorda che il
predetto parere è disponibile al sito web
seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=14&id=166871.
Sul tema specifico trattato nel testo cfr. anche Santalucia, Le nuove
norme sull’accesso alla magistratura ordinaria, cit., p. 44, il quale
soggiungeva che, al di là di queste pur condivisibili osservazioni critiche,
quel che sembrava poco rispondente ad obiettivi di serio controllo della
professionalità era che, dopo le valutazioni di tirocinio, il magistrato
immesso nell’esercizio delle funzioni non avesse in tempi ravvicinati ulteriori
momenti di verifica sull’idoneità in concreto all’esercizio delle delicate
funzioni. Ed infatti, la prima tappa di promozione si aveva, nel sistema
originario del d.lgs. n. 26 del 2006, per il conferimento delle funzioni di
appello, e qui si evidenziava in negativo la diversità con il sistema
precedente, in cui era prevista una valutazione per progressione dalla
qualifica di uditore giudiziario a quella di magistrato di tribunale, che si
sostanziava in una promozione non solo per la corresponsione del migliore
trattamento economico, ma anche per la possibilità di accedere a determinate
funzioni (si pensi, ad esempio, che nel settore inquirente il magistrato di
tribunale e non l’uditore giudiziario poteva fare parte delle direzioni
distrettuali antimafia; nel settore giudicante, invece, l’uditore giudiziario
non poteva costituire il tribunale in composizione monocratica e non poteva
assumere le funzioni di giudice incaricato dei provvedimenti previsti per la
fase delle indagini preliminari nonché di giudice dell’udienza preliminare, come
si desumeva agevolmente dalla previsione di un numero minimo – rispettivamente
tre anni e due anni – di esercizio della funzione giurisdizionale e
specificamente di funzioni di giudice del dibattimento, incompatibile, in linea
di massima, con la permanenza nella qualifica iniziale di uditore giudiziario).
[178] Santalucia, Le nuove
norme sull’accesso alla magistratura ordinaria, cit., p. 44.
[179] Così Santalucia, Le nuove norme sull’accesso alla magistratura ordinaria, cit., p.
44 s.
[180] Cfr. il già citato
documento approvato il 13 maggio 2006 dal Comitato direttivo centrale dell’Associazione Nazionale
Magistrati, dal titolo L’impatto della
legge 150/05 e dei relativi decreti legislativi delegati su alcuni aspetti
cruciali dell’organizzazione giudiziaria e sul funzionamento del sistema
giustizia, in Diritto & Giustizia,
16 maggio 2006.
[181] Nel suo parere in data
10 novembre
[182] Che peraltro resta,
quale guscio privo di contenuto, nell’intitolazione del d.lgs. n. 26 del 2006
(«Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonchè disposizioni in
tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento
professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1,
lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150»), rimasta intonsa.
[183] Cfr. supra, § 16.
[184] In
senso contrario alla riduzione del periodo di tirocinio si era espresso anche
il C.S.M. nel più volte ricordato parere emesso il 31 maggio 2007, p. 34.
[185] Cfr. supra, §§ 6 ss.
[186] Cfr. p. 34.
[187] Questa sessione presso
gli uffici giudiziari si articola in tre periodi:
1) il primo periodo,
della durata di tre mesi, è svolto presso il tribunale e consiste nella
partecipazione all’attività giurisdizionale relativa alle controversie o ai
reati rientranti nella competenza del tribunale in composizione collegiale e
monocratica, compresa la partecipazione alla camera di consiglio, in maniera
che sia garantita al magistrato ordinario in tirocinio la formazione di una
equilibrata esperienza nei diversi settori;
2) il secondo periodo,
della durata di due mesi, è svolto presso la procura della Repubblica presso il
tribunale;
3) il terzo periodo,
della durata di cinque mesi, è svolto presso un ufficio corrispondente a quello
di prima destinazione del magistrato ordinario in tirocinio (cfr. art. 22,
comma quarto, d.lgs. cit.).
[188] Critica
quest’ultima disposizione il C.S.M. nel citato parere del 31 maggio 2007, p.
34, secondo il quale «Non si comprende la ragione per cui gli affidatari
debbano inviare le schede di valutazione dei magistrati in tirocinio oltre che
al Consiglio anche alla Scuola, non essendo prevista alcuna attività della
Scuola relativa a tali schede».
[189] Come esattamente
rilevato dal C.S.M. nel suo parere reso
nella seduta del 12 giugno
[190] Cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 213.
[191] Cfr. Santalucia, La scuola della magistratura, cit., p. 214.
[192] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 214.
[193] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 214, il quale faceva esattamente presente che
si sarebbe trattato, comunque, seppure non sempre, di un contraddittorio
talmente differito da rendere poco agevole al magistrato la formulazione di
puntuali osservazioni critiche circa le valutazioni del comitato di gestione,
magari formulate in riferimento a corsi tenuti qualche anno prima.
[194] Sul punto cfr. anche il
giudizio positivo espresso dal C.S.M. nel suo parere espresso in data 31 maggio
2007 sul disegno di legge governativo che ha dato luogo alla l. 30 luglio 2007,
n. 111 (cit., p. 28), secondo cui «Altrettanto positiva è la proposta
abrogazione degli articoli che riguardano i compiti di valutazione dei
magistrati e la loro commistione con le funzioni di aggiornamento e formazione,
nell’ambito di una profonda modifica dei meccanismi di progressione in carriera
e di attribuzione delle funzioni che pervade l’intero intervento innovativo».
[195] Sul punto è da
registrarsi l’apprezzamento positivo espresso dal C.S.M. nel suo più volte
richiamato parere del 31 maggio 2007 (cit., p. 10).
[196] Su
cui cfr. supra, § 12.
[197] Cit., p. 30.
[198] Cfr. supra, § 3.
[199] Cfr. le Conclusions de la 6ème
réunion des membres du Réseau européen d’échanges d’informations entre les
responsables et les entités chargés de la formation des magistrats, p. 4;
il documento è disponibile al sito web
seguente: http://www.coe.int/t/dg1/legalcooperation/judicialprofessions/lisbon/meetings/Plenary/2003Bucarest_fr.pdf.
[200] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 216.
Ecco
come lo stesso C.S.M. inquadra i rapporti tra formazione e valutazione (nel già
citato parere reso nella seduta del 22
maggio 2003, concernente gli emendamenti approvati dal Consiglio Superiore dei
ministri al disegno di legge n. 1296/S recante: «Delega al Governo per la
riforma dell’ordinamento giudiziario e disposizioni in tema di organico della
Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità», in
Consiglio Superiore della Magistratura, Ordinamento
giudiziario. Pareri del C.S.M. sulle proposte governative di modifica, in Quaderni del Consiglio Superiore della
Magistratura, n. 136, Roma, 2003, p. 106 ss.): «Formazione
professionale e valutazione di professionalità sono ontologicamente differenti
e devono tenersi distinte avendo ben presenti i diversi piani su cui operano,
il loro oggetto, le finalità che attraverso le medesime si perseguono, le modalità
di realizzazione.
Le
finalità della formazione, sommariamente, sono: incrementare le capacità
tecnico-giuridiche, suscitare consapevolezza dei termini culturali dei problemi
e dei valori sottesi alle scelte operative, sviluppare il libero confronto ed
il reciproco approfondimento tra gli orientamenti, rendere consapevole
l’esercizio dell’autonomia; e ancora, fornire la “cassetta degli attrezzi” con
la quale affrontare e risolvere le situazioni, gestire i processi e le
ìstruttorie; infine, stimolare un’etica alta e un esercizio della professione
in armonia coi principi deontologici che la regolano. La formazione, per sua
natura, è rivolta al futuro, al miglioramento, all’innalzamento del livello
della magistratura come corpo e come singoli, nell’interesse generale della
giustizia e dei suoi utenti. I mezzi di realizzazione sono azioni formative, il
cui contenuto ed i cui metodi sono conformati su tali finalità educative.
La
valutazione di professionalità in senso proprio ha per oggetto la valutazione della
prestazione individuale, nei suoi aspetti tecnici e nei suoi aspetti di
contesto (comportamenti, autonomia, deontologia), in un quadro di controllo di
gestione, di verifica dei risultati generali dell’azione, dell’attuazione degli
obbiettivi e delle scelte operative, del miglioramento di qualità. Pur non
potendo sottovalutare le difficoltà che le valutazioni di professionalità
incontrano all’interno di un’amministrazione – qual è quella della giustizia –
che ha fini generalissimi non traducibili in obbiettivi di produzione di beni o
servizi, è certamente possibile migliorare l’attuale sistema di valutazioni,
elaborando più evoluti indicatori di prestazione (sulla base di standard di
capacità e comportamento) e indicatori di formazione e incrementando, nonché
rendendo più certe, le fonti di conoscenza.
Qual è
la relazione tra i due mondi della formazione e della valutazione? E,
soprattutto, è possibile effettuare valutazioni di professionalità in sede
formativa?
L’ordinamento
giudiziario conosce la giustapposizione in un unico contesto di formazione e
valutazione nel tirocinio degli uditori giudiziari, in cui soggetti che hanno
superato la selezione concorsuale ma non hanno le funzioni giurisdizionali (e
quindi non svolgono la prestazione tìpìca del magistrato) imparano il
“mestiere” grazie ad un’azione formativa che si svolge su due livelli: quello
teorico degli incontri di studio e quello pratico dello svolgimento di attività
corrispondenti alle funzioni giurisprudenziali (gestione di udienza, assunzione
di prove, redazione di provvedimenti, …) con apprendimento per imitazione da
magistrati più anziani ed esperti che partecipano anche al processo di
valutazione, esprimendo pareri parziali. Al di fuori di questo peculiarissimo
contesto, l’abbinamento di formazione e valutazione può portare solo alla
creazione di corsi “abilitanti”, attraverso i quali acquisire nuove capacità
che “abilitano” allo svolgimento di funzioni diverse o agli avanzamenti di
carriera, del tutto inidonei a valutare le capacità e le competenze già
possedute e fondati sul principio (del tutto opposto a quello dell’interesse
dell’utente che è preposto all’idea di formazione su indicata) dell’interesse
del soggetto valutato.
Ciò non
significa, peraltro, irrilevanza della formazione a fini di valutazione;
infatti, la partecipazione a percorsi formativi tracciati dal C.S.M. potrebbe
costituire uno dei vari indicatori di conoscenza, sulla base dei quali il
Consiglio opera le valutazioni di professionalità.
Ferme
tali conclusioni, preme comunque sottolineare da un lato come un sistema che
volesse utilizzare la partecipazione ai corsi in chiave valutativa dovrebbe
prevedere le modalità attraverso le quali si realizzerebbe la valutazione,
indicare il soggetto legittimato a operare la valutazione e gli strumenti di
controdeduzione del destinatario; dall’altro che qualunque meccanismo di
valutazione deve essere escluso per la partecipazione ai corsi di formazione
finalizzati all’affinamento e al miglioramento della professionalità in
relazione alle funzioni in atto espletate».
Ulteriori
osservazioni sono poi reperibili nel parere emesso dal C.S.M. in data 10
novembre
Lo
stesso parere (cfr. p. 256) poneva poi esattamente in luce ulteriori ragioni di
perplessità, posto che il ritardo nell’ammissione al corso «valutativo» avrebbe
potuto tradursi per il magistrato in una ritardata partecipazione ai bandi per
la progressione in carriera e per la copertura dei posti, circostanza che
avrebbe assunto per il magistrato stesso conseguenze ancora più rilevanti ove
si fosse considerata la elevata complessità e la durata delle procedure
consiliari di tramutamento e di copertura dei posti per come erano delineate
dalla legge delega e dai decreti di attuazione, nel sistema anteriore alla l.
30 luglio 2007, n. 111.
Il
citato parere continua quindi rimarcando che «Il vizio nella parità di
trattamento e l’irragionevolezza della disciplina anche sul piano
costituzionale risultano accentuate dalla circostanza che la decisione circa il
differimento della partecipazione del magistrato al corso (cui, si presume, era
stato ammesso) è rimessa alle valutazioni del magistrato che dirige l’ufficio,
cui spetterà, con atto non sindacabile dalla Scuola (…), decidere se le
esigenze di servizio e di organizzazione sono tali da non consentire l’assenza
del magistrato.
Due
ulteriori aspetti di questa disciplina meritano di essere considerati. Il primo
riguarda l’assenza nell’art. 28 di qualsiasi riferimento al ruolo ed ai poteri
del Consiglio superiore in caso di contrasto del magistrato con il dirigente,
così accentuandosi il contrasto della normativa con l’art. 105 della
Costituzione, posto che il sistema così delineato consente che un magistrato
venga sottratto alla tempestiva valutazione consiliare, con pesanti ricadute
non soltanto sulla posizione soggettiva, ma sull’intero sistema di mobilità e
progressione. Il secondo riguarda i pericoli per il regolare svolgimento dei
corsi e dell’intera procedura valutativa, essendo evidente che il magistrato
che vede differita la propria partecipazione potrà far valere in sede di
controllo giurisdizionale la propria posizione soggettiva.
Infine, una riflessione
deve essere fatta con riferimento alle garanzie di indipendenza “interna” che
vanno assicurate al magistrato anche rispetto a disparità di trattamento
nell’ufficio in cui opera; disparità che certamente possono derivare dalla
casualità, ma che possono anche vedere la penalizzazione dei magistrati più
impegnati in attività complesse e delicate oppure costituire elemento di vero e
proprio condizionamento».
La questione circa la
possibilità per il capo dell’ufficio di differire la partecipazione del
magistrato ad uno dei corsi previsti dall’ora abrogato art. 28 del d.lgs. cit.,
nella sua versione originale, era di una gravità tale da essere segnalata nei
termini qui testualmente riportati anche dal già citato parere espresso il 1
dicembre 2005 dalla Commissione giustizia del Senato sullo schema di d.lgs.
(parere reperibile, si ricorda, al sito web
seguente: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=14&id=166871):
«La partecipazione a corsi di formazione funzionali al passaggio alle funzioni
superiori costituisce – nell’impianto della delega e dello schema – un diritto
per il magistrato. A questo proposito è stato però segnalato come la previsione
che consente al capo dell’ufficio di differire la partecipazione ai corsi di
formazione finalizzati al passaggio a funzioni superiori per un periodo non
superiore a sei mesi potrebbe determinare, in concreto, ingiustificate
disparità di trattamento fra i magistrati con riferimento alle possibilità
effettive di progressione in carriera. Al riguardo la Commissione ritiene che
una possibile soluzione potrebbe essere quella di aggiungere al comma 3 dell’articolo
28 dello schema un periodo dal seguente tenore: “In caso di diniego il
magistrato può proporre reclamo al CSM il quale, ove ritenga che la mancata
partecipazione al corso arrechi un pregiudizio non rimediabile, accoglie il
reclamo e ne da comunicazione al capo dell’ufficio o alla Scuola”».
[201] Cfr. il punto 16. del
citato parere n. 4 (su cui v. supra,
§ 3).
[202] Cfr. il punto 19. del
citato parere n. 4 (su cui v. supra,
§ 3).
[203] Cfr. supra, § 2.
[204] Cfr. supra, § 3.
[205] Anche Pederzoli, Nasce l’obbligo di aggiornamento costante, cit., p. 57, esprimeva
(con riguardo al sistema disegnato dal d.lgs. n. 26 del 2006 prima della
riforma del 2007), le medesime preoccupazioni: «La formazione continua,
anch’essa curata dalla scuola, viene a configurarsi alla stregua di un
diritto-dovere, ma si direbbe che l’accento sia posto più sul secondo termine
del binomio (…). Regole di questo tipo possono essere comprensibili laddove la
formazione interseca la carriera, e di fatto la condiziona, ma lo sono molto
meno quando riferite all’aggiornamento professionale, che dovrebbe fare
affidamento su altri, e più consoni, stimoli intellettuali».
[206] V. supra, § 2.
[207] Si noti che,
paradossalmente, proprio in relazione a quest’ultima ipotesi (rectius: «per il passaggio a funzioni
superiori, per il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa e
per l’accesso a funzioni direttive»), gli artt. 27 s. del citato d.lgs., oggi
abrogati, prevedevano… un diritto e non già un obbligo a seguire un corso la
cui durata veniva d’imperio predeterminata, in ogni caso, in (chissà perché?)
«due settimane consecutive».
[208] Cfr. in questo senso le
risposte al questionnaire predisposto dal Consiglio consultivo dei giudici
europei in occasione della preparazione del parere n. 4, più volte citato; i
relativi documenti sono disponibili all’indirizzo web seguente: http://www.coe.int/t/dg1/legalcooperation/judicialprofessions/ccje/textes/Travaux4_fr.asp.
[209] Cfr. supra, § 19.
[210] Non si usa qui il
termine «complementare», posto che per tale si intende usualmente designare
quel tipo di formazione, in alcuni Paesi (tra cui ora anche l’Italia)
obbligatoria, dei magistrati che da poco tempo hanno ricevuto le funzioni.
[211] Cfr. supra, § 17.
[212] Così si esprimeva, del
tutto condivisibilmente, Santalucia,
La scuola della magistratura, cit.,
p. 216.
[213] Si ricorda che la
versione originale del testo approvato dal Consiglio dei ministri è disponibile
al seguente indirizzo web: http://www.associazionemagistrati.it/HOME/testo%20ddl-0g%20approvato.doc.
[214] Cit., p. 28: «va
valutata positivamente la scelta di eliminare la previsione dell’esclusività
della competenza della Scuola in materia di aggiornamento e di formazione dei
magistrati, riconoscendosi, così, che altri organismi qualificati possano
procedere ad iniziative formative in sede nazionale o locale, sempre ovviamente
nell’ambito del sistema di autogoverno. Ciò appare di fondamentale importanza,
in particolare, sia per le esperienze già in essere di formazione decentrata
(…) sia per la formazione iniziale e il tirocinio dei magistrati che, per sua
natura, implica un costante rapporto con gli uffici giudiziari quanto
all’individuazione dei magistrati di affidamento, all’attività da svolgere in
concreto ed alle caratteristiche peculiari della valutazione».
[215] Santalucia, La scuola
della magistratura, cit., p. 203 s.
[216] In questo senso cfr. il
parere del C.S.M. in data 10 novembre
[217] Su cui v. supra, § 19.
[218] Per un’enumerazione
delle disposizioni legislative che, nel corso del tempo, sono venute ad
attribuire al C.S.M. competenze nel settore della formazione cfr. supra, § 16.
[219] Cfr. supra, § 15.
[220] Cfr. supra, § 29.