LA SIMULAZIONE
DELLA SEPARAZIONE CONSENSUALE
Sommario: 1. La prospettiva storica. – 2. Il possibile interesse dei coniugi a simulare una
separazione personale. – 3. Simulazione della e simulazione
nella crisi coniugale. Fatto e diritto nella prima pronunzia della Cassazione
sul tema (Cass., 5 marzo 2001, n. 3149). – 4. Le intese
coeve agli accordi di separazione omologati: un revirement implicito? – 5. La simulazione della
separazione consensuale nella seconda decisione di legittimità sul tema (Cass.,
20 novembre 2003, n. 17607) e le relative critiche. – 6. La
simulazione della separazione consensuale in un obiter di legittimità del 2008. – 7. La natura
negoziale degli accordi di separazione consensuale e di divorzio su domanda
congiunta. I contratti della crisi coniugale. – 8. Simulazione,
vizi del consenso e capacità delle parti nel negozio di separazione
consensuale: le tesi della dottrina e della giurisprudenza. – 9.
Sull’applicabilità ai negozi (e ai contratti) della crisi coniugale delle
disposizioni dettate in materia d’esistenza e d’integrità del consenso
contrattuale. – 10. Primo corollario: i rapporti con
l’azione revocatoria. – 11. Secondo corollario: i rapporti
con il decreto di omologazione della separazione consensuale (e con la sentenza
di divorzio su domanda congiunta). – 12. Terzo corollario:
gli effetti verso i terzi dell’accertamento della simulazione (o della
pronunzia di annullamento o di revoca).
«Vir mulieri divortio facto quaedam idcirco
dederat, ut ad se reverteretur: mulier reversa erat, deinde divortium fecerat.
(Labeo:) Trebatius inter Terentiam et Decenatem respondit si verum divortium
fuisset, ratam esse donationem, si simulatum, contra». Questo passo del Digesto
[1] mostra in maniera assai eloquente come il
problema della simulazione della (e nella) crisi coniugale non sia solo cosa
(solo) di questi tempi. Le ipotesi prese in considerazione da svariati passi
della compilazione giustinianea erano caratterizzate dalla messinscena d’un
divorzio fittizio, vuoi per eludere il divieto di donazioni tra coniugi [2], vuoi per aggirare le regole in tema di
restituzione della dote [3], vuoi per frodare i creditori [4], secondo quanto chiaramente illustrato oltre
quattro secoli or sono, commentando le fonti in oggetto, da Cuiacio [5] e da Baudoza [6].
Ma non è certo il caso di scomodare i sacri
testi per andare alla caccia di esempi di crisi coniugali simulate o comunque
volte a realizzare scopi fraudolenti: si pensi (si licet parva componere
magnis) all’episodio di (mal)costume narrato da un film italiano del 1994,
in cui un trafelato e non troppo scrupoloso professionista milanese costringe
la moglie ad inscenare una finta separazione a scopi d’elusione fiscale [7]. All’espediente cinematografico sembra
corrispondere più d’un risvolto reale, se si deve prestar fede a certe notizie
provenienti dall’estero [8], così come all’insistenza di certe nostre
disposizioni fiscali, che espressamente richiamano la figura del coniuge
«legalmente ed effettivamente separato» [9], o anche solo alla casistica (che sembra
infittirsi in questi ultimi tempi) in materia di trasferimenti immobiliari tra
coniugi in frode ai creditori [10], sebbene un’analisi pacata del problema, e
la sua collocazione in una prospettiva un po’ più ampia dimostrino come, in
questo campo, siano sempre stati piuttosto i timori, che non la realtà, ad
accendere la fantasia dei giuristi.
A ben vedere, la storia del diritto (e… del
fatto) di famiglia conosce ben più d’una soluzione dettata o, quanto meno,
influenzata dall’assillo di evitare che l’armamentario legislativo in materia
di crisi coniugale (separazione de corps
o de biens, divorzio, annullamento
del matrimonio) potesse venire in qualche modo utilizzato a scopi fraudolenti.
Così, sarà curioso notare, che, a svariati secoli di distanza dai passi del
Digesto or ora citati, fu ancora la paura che i coniugi simulassero la crisi
coniugale al fine di aggirare disposizioni imperative ad indurre Cambacérès, in
sede di lavori preparatori del Code
Napoléon, ad esprimere perplessità sull’opportunità dell’istituto del
divorzio per mutuo consenso. Nella specie, i timori che agitavano il console,
così come altri membri del Conseil d’Etat,
concernevano il possibile impiego di tale strumento in funzione elusiva del
divieto di modifica delle convenzioni matrimoniali. L’illustre giurista faceva
rilevare al riguardo che, «si l’on admettait le divorce par consentement
mutuel, il serait nécessaire de déclarer les époux qui en auraient usé,
incapables de contracter ensemble un mariage nouveau ; autrement, l’on
abuserait de ce moyen pour opérer un divorce fictif, dont l’objet réel serait
de changer les conventions matrimoniales» [11].
Tali e tante obiezioni [12] non riuscirono però a distruggere il
principio della dissolubilità del vincolo, né, tanto meno, quello della
dissolubilità per via consensuale: l’unica limitazione, invero, ad essere
introdotta fu quella del divieto per i divorziati di «se réunir» (cfr. art. 295
del Code nella sua versione
originale), con previsione valevole – si badi – per ogni causa di divorzio,
proprio per via del fatto che «cette considération ne devoit pas être un
obstacle au consentement mutuel» [13]. E proprio l’impossibilità di prevedere una
consimile limitazione per l’ipotesi della séparation
de corps (posto che vietare la riconciliazione avrebbe significato
contraddire la stessa ragion d’essere della separazione) indusse i codificatori
francesi ad escludere la possibilità di una separazione consensuale [14], tanto più che quest’ultima comportava
(allora come oggi) la separazione dei beni: «Cette séparation abusive seroit en
outre un moyen de fraude : comme la séparation de corps entraîne de droit la
séparation de biens, deux époux de mauvaise foi trouveroient dans leur
consentement mutuel un moyen infaillible de ruiner tous leurs créanciers» [15].
Il timore che gli accordi di separazione (de corps e/o de biens) potessero in qualche modo risultare simulati [16] era stato per secoli una delle ragioni alla
base dello sfavore – già evidenziato in altre occasioni da chi scrive [17] – manifestato dalla dottrina e dalla
giurisprudenza dell’Ancien Régime in
Francia (così come, del resto, in Italia e in Germania) verso le séparations à l’amiable.
I poderosi in folio degli arrêtistes
traboccano letteralmente di casi che documentano i tentativi disperatamente
posti in atto da coppie in crisi (si trattava per lo più, ovviamente, di
famiglie nobili o comunque agiate) di separarsi «civilmente» (è il caso di
dirlo: in tutti i sensi…) sulla base di transazioni private, che in qualche
caso eccezionale riuscirono anche a superare il severo vaglio dei giudici,
sulle cui decisioni dovevano certamente influire circostanze quali la
considerazione dei soggetti che agivano contro quelle intese (a seconda che si
trattasse dei coniugi stessi successivamente ricredutisi, degli eredi o dei
terzi creditori), o la durata del periodo nel corso del quale quei patti
avevano ricevuto, di fatto, applicazione [18].
Fatta eccezione per alcune ipotesi piuttosto
rare, l’atteggiamento rimaneva però per lo più negativo. Così, mentre la
giurisprudenza dei parlamenti presentava casi di veri e propri arrêts de règlement diretti (non solo a
riprovare per il passato, ma anche) a vietare per il futuro ai giudici [19] o ai notai [20] di ricevere atti di séparations volontaires o amiables
[21], la dottrina non esitava ad affermare che i
creditori avrebbero potuto far dichiarare giudizialmente la nullità della
separazione [22], qualora questa, una volta ottenuta per
sentenza, non fosse stata réellement
exécutée [23]. A ciò s’aggiungeva e si ribadiva a più
riprese, sulla scorta dell’autorevole parere del Molineo, «que la separation
d’entre mary et femme n’est valable, si elle n’est faite par Sentence de Iuge,
et partage executé sans fraude»; si raccomandava così ai giudici di «bien
prendre garde que les parties ne s’accordent cauteleusement et en fraude de
leurs creanciers à se separer, qui est une des choses la plus à considerer en
matière de ces procez de separation» [24].
D’altro canto, non va neppure trascurato il peso che aveva all’epoca il
divieto di modifica delle convenzioni matrimoniali, così come della modifica constante matrimonio del regime della communauté [25], istituti entrambi uniti (in una singolare
concordia tra paesi di diritto scritto e di diritto consuetudinario) al
tradizionale divieto di donazioni tra coniugi, nell’intento di costituire un
solido presidio al principio di trasmissione patrilineare indivisibile dei
patrimoni [26]. Ne conseguiva la messa al bando di ogni
contratto diretto ad ottenere uno scioglimento pattizio della comunione,
sussistendo sempre il timore che simili atti potessero, da un lato, aggirare il
divieto di donazioni tra coniugi [27], e, dall’altro, portare pregiudizio ai
creditori [28].
L’insegnamento che si ricava da questo forzatamente breve excursus storico risiede nella
constatazione secondo cui i timori di simulazioni e frodi in danno tanto della
sacralità dell’unione matrimoniale, così come dei principi d’ordine pubblico e
delle legittime pretese dei creditori, hanno potuto solo in parte arginare il
dispiegarsi dell’autonomia dei coniugi in occasione (o anche solo in vista [29]) della crisi coniugale e l’ostacolo è
comunque venuto meno del tutto, una volta ammessi l’allentamento e lo
scioglimento del vincolo per mutuo consenso [30]. Autonomia, questa, che si manifesta – ora
come un tempo – attraverso una variegata costellazione di accordi nei quali,
normalmente (e fatte le debite eccezioni), le parti a tutto pensano, tranne che
a mentire sulla loro situazione di crisi o anche solo su una delle intese
destinate a disciplinare la futura vita da separati o divorziati. Peraltro,
proprio su queste situazioni «patologiche» occorrerà ora concentrare
l’attenzione, al fine di poter adeguatamente commentare, secondo i canoni del
diritto positivo, il precedente in esame.
Prima ancora, però, una precisazione s’impone, anche in considerazione
dello stretto legame che la simulazione da sempre presenta con la frode.
Simulazione e frode sono, come noto, concetti distinti ed autonomi, al punto
che già la dottrina antica fondava la distinzione assumendo come discrimen la condizione,
rispettivamente, di assenza o di presenza del consenso delle parti sulla
produzione degli effetti del contratto [31]. Ma proprio la materia in esame evidenzia la
possibile coesistenza e le interrelazioni tra le due situazioni: all’attento
lettore non sarà certo sfuggito che, tanto per citare un esempio illustre, l’espressione
«simulare divortium in fraudem…» compariva già per ben due volte nel breve
passo di Cuiacio già citato.
Sul punto appaiono – come sempre – quanto mai illuminanti le
riflessioni del Betti [32], che vale la pena riportare per intero: «La
simulazione può servire a coprire una illiceità ed esser adibita a scopo di
frode: sia frode alla legge, sia frode a danno di altri privati, quali i
creditori di chi compie il negozio, o altri che avrebbero eventualmente diritto
verso di lui. Ma, a prescindere dal rilievo che vi può essere simulazione senza
frode e, viceversa, frode senza simulazione, basterà qui osservare che si
tratta di due qualifiche eterogenee, dipendenti da due profili diversi, sotto i
quali il negozio può esser considerato. La frode, e in genere, la illiceità,
esprime una qualifica dell’interesse che determina in concreto la conclusione
del negozio, valutato in connessione con la causa tipica. La simulazione, per
contro, esprime semplicemente una divergenza o una ripugnanza fra quell’interesse
e la causa» [33].
2.
Il possibile interesse dei coniugi a simulare una separazione personale.
Già si
sono poste in evidenza, nel § precedente, alcune fattispecie idonee a dar luogo
ad un interesse in capo ai coniugi a porre in essere una simulazione
dell’accordo di separazione. Sarà opportuno ora soffermarsi su questo profilo,
rilevando come, ad esempio, la presenza di una simulazione della crisi
coniugale possa portare vantaggi ai coniugi nei campi più disparati, quale
effetto dell’applicazione (ovviamente «distorta», ma inevitabile) di regole di
favore, dettate dall’intento di soccorrere situazioni che, come quelle delle
famiglie dei separati, appaiono (ed effettivamente sovente sono) bisognose di
trattamenti di favore, così come di particolari forme di «discriminazioni
positive».
E’
questo, ad esempio, il caso del diritto ad usufruire di determinati servizi di
pubblico interesse, come, ad esempio, quello degli asili nido, in relazione ai
quali la presenza di una separazione dei genitori attribuisce a questi un
punteggio più elevato in base al regolamento di taluni comuni italiani [34] e lo stesso è a dirsi per le tasse universitarie [35].
Ma il
motivo più rilevante è certamente quello fiscale.
La
separazione simulata è infatti uno strumento per ottenere per via indiretta
almeno una parte delle agevolazioni fiscali che le leggi italiane negano alle
famiglie (anche a quelle fondate sul matrimonio), specie se monoreddito e con
prole, a differenza di quanto avviene in svariati altri Paesi.
E’ noto infatti che negli altri
ordinamenti tributari europei esistono collaudati meccanismi per abbattere le
imposte dirette a carico dei nuclei familiari, specie se numerosi, quali ad
esempio il «quoziente familiare» usato in Francia o lo Splitting dell’esperienza tedesca, che consentono alle famiglie
dove non tutti i componenti lavorano di aggregare e/o suddividere il reddito
imponibile individuale, a seconda del numero di familiari a carico. Nei Paesi
dove non sono adottati questi sistemi, sono comunque previste forti deduzioni o
detrazioni per le famiglie numerose e/o monoreddito. Nel nostro sistema,
invece, un capofamiglia monoreddito è sensibilmente penalizzato rispetto ad un single o ad un coniuge senza figli.
Lo svantaggio è ancora più eclatante
se si opera il raffronto con una famiglia dove entrambi i coniugi lavorino, sia
pure – come accade nella gran parte dei casi – percependo un reddito
individuale inferiore a quello del singolo capofamiglia che mantiene a proprio
carico sia l’altro coniuge che la prole. Infatti, il sistema di rigida
progressività al quale è tuttora informato il nostro sistema può ancora far sì
che i due coniugi a basso reddito possano godere nel complesso di un’aliquota
più bassa rispetto a quella del capofamiglia che da solo percepisce un reddito
quasi pari al loro. Con la decisiva differenza che spesso è proprio la presenza
di figli minori che impone a uno dei coniugi di rimanere a casa per accudirli,
non potendo così contribuire al reddito familiare, senza che questa scelta sia
adeguatamente compensata a livello fiscale.
Simili sperequazioni esistono anche
nell’ambito di altre forme di agevolazione per la famiglia, che prescindono dal
reddito dichiarato: l’esempio più diffuso è quello del cosiddetto ISEE –
indicatore della situazione economica – che molti enti locali hanno adottato
per ripartire i propri contributi per le mense scolastiche, per le assegnazioni
abitative di edilizia popolare, nonché per varie forme di sussidio. L’ISEE
infatti non valorizza molto i familiari a carico, almeno non tanto quanto tende
ad esaltare le situazioni tipiche di chi non è sposato o ha pochi figli. Ad
esempio, esso adotta un sistema di calcolo che tende a considerare di più i canoni
di locazione rispetto alle rate di mutuo per l’acquisto della casa, e penalizza
moltissimo la proprietà di più immobili nell’ambito del medesimo nucleo
familiare, tenendo peraltro in notevole considerazione le dimensioni degli
appartamenti.
Ora, la separazione può consentire i
vantaggi che derivano non tanto dall’abbattimento del reddito complessivo
imponibile, quanto dalla creazione vera e propria di un fittizio nucleo
monogenitoriale a basso reddito, ammesso a godere di tutte le agevolazioni che
invece vengono negate a chi figura con la famiglia a carico.
Il sistema delineato dall’art. 10 del
TUIR, in base al quale è integralmente deducibile l’assegno di mantenimento a
favore del coniuge separato, fa poi sì che l’omologa della separazione
consensuale possa instaurare tra i coniugi un regime sensibilmente più
conveniente e, paradossalmente, «più equo» di quello previsto con le semplici
deduzioni per i familiari a carico. Questo è vero anche da quando le ultime
leggi finanziarie hanno sostituito alle vecchie detrazioni un sistema di
deducibilità, secondo il quale le agevolazioni per il coniuge e la prole a
carico non vanno più ad incidere sulla imposta da pagare, bensì
sull’imponibile. Un coniuge separato a basso reddito, e ancor più uno a reddito
zero come di solito è una casalinga, ora infatti possono anche compensare
l’imposta sul reddito che deriva loro dall’assegno di mantenimento con le
deduzioni per i figli a carico, che normalmente vengono affidati al coniuge più
debole economicamente [36]. Se poi
mediante la separazione si riesce ad operare una concentrazione del reddito e
dei cespiti patrimoniali in capo al coniuge più forte economicamente, il
coniuge coi figli a carico, fittiziamente separato, può venire a godere di
tutti i vantaggi accordati da un ISEE a basso reddito. Se poi i coniugi
dovessero disporre di una seconda casa, spostare la residenza di uno dei due
nell’immobile economicamente più conveniente, per effetto della separazione,
può anche far maturare in capo ad esso di altri vantaggi tributari.
D’altro canto la semplice separazione
consensuale, pur sciogliendo la comunione legale (ormai sempre meno
utilizzata), non compromette i diritti ereditari, e nemmeno penalizza le
prospettive pensionistiche.
Un altro profilo di un certo interesse
è quello, per così dire, «protettivo» verso i creditori. L’accordo di
separazione consensuale omologato, consacrato (anche solo per relationem) nel relativo verbale d’udienza, può dar luogo ad
iscrizione di ipoteca giudiziale [37], così creando un legittimo titolo di prelazione
opponibile ai creditori che dovessero successivamente pignorare o ipotecare i
beni già gravati da tale garanzia. D’altro canto è noto che l’accordo di
separazione consensuale costituisce il contesto ideale per l’effettuazione di
atti traslativi di diritti su beni immobili o mobili o crediti, assistiti,
oltre tutto, da condizioni fiscali particolarmente favorevoli [38].
E’ però altrettanto evidente che il
ricorso al meccanismo simulatorio presenta il rischio di consegnare ai terzi
interessati, senza limiti di tempo, l’azione di accertamento della nullità
dell’intesa, oltre, ovviamente, ai rimedi contro gli atti dispositivi
fraudolenti (ricorrendone i relativi presupposti), nel caso di pregiudizio
arrecato alla garanzia patrimoniale generica offerta ai creditori dall’art.
2740 c.c. sulla generalità dei beni costituenti il patrimonio del debitore.
L’ulteriore rischio, attinente,
questa volta ai rapporti inter coniuges,
ha tratto alla successiva evoluzione del rapporto tra le parti. Nel caso in
cui, infatti, una di esse, sulla base della simulata separazione, intendesse
proporre domanda di divorzio, ben potrebbe vedersi opporre dall’altra
l’irrilevanza della separazione ai fini dello scioglimento del rapporto coniugale
e dunque l’improponibilità della domanda di divorzio.
Sotto il profilo probatorio, poi, in
mancanza di una controdichiarazione scritta, il ricorso alla prova per testi
non sarebbe precluso. Invero, pur trovando applicazione le disposizioni ed i limiti
di cui agli artt. 2722, 2724 e 2725 c.c., l’inapplicabilità dell’art. 2725 c.c.
alla simulazione assoluta, secondo la giurisprudenza prevalente, rende
operative tutte le eccezioni all’inammissibilità della prova per testi,
contemplate nell’art. 2724 c.c. E’ quindi applicabile l’ipotesi del n. 2 di
tale disposizione, altrimenti preclusa, che allude all’impossibilità morale di
procurarsi una prova scritta. E nel rapporto tra coniugi è certo che sussista
tale particolare condizione psicologica, che spiega la mancata redazione di un
documento scritto. Ne deriva che la parte interessata ad opporsi al divorzio
ben potrà far valere la simulazione e provare per testi il difetto del
presupposto ex art. 3, n. 2, lett.
b), l.div. [39].
Se poi la coppia, al momento della
separazione, si trovava in regime legale, il coniuge che avesse effettuato
acquisti a suo solo nome dopo tale evento (rilevante, naturalmente solo in
quanto effettivamente sussistente e non simulato, ai sensi dell’art. 191 c.c.)
si vedrebbe esposto all’azione di accertamento, da parte dell’altro, o degli
eventuali creditori della comunione, della contitolarità dei beni così
acquisiti. E se appare indiscutibile che, fino alla trascrizione dell’eventuale
domanda giudiziale di accertamento della nullità della separazione, non appare
immaginabile la proposizione, da parte del coniuge pretermesso, di domande ai
sensi dell’art. 184 c.c. contro terzi subacquirenti di immobili o mobili
registrati acquistati medio tempore
da un coniuge e successivamente alienati, rimane il fatto che il coniuge che
tali atti avesse posto in essere senza il consenso dell’altro, si vedrebbe
esposto ad azione di responsabilità nei confronti del consorte (sempre,
ovviamente, a condizione che la simulazione della separazione sia provata).
3.
Simulazione della e simulazione nella crisi coniugale. Fatto e diritto
nella prima pronunzia della Cassazione sul tema (Cass., 5 marzo 2001, n. 3149).
Lasciando
le considerazioni generali ed iniziando ad esaminare il problema con un approccio
attento alla casistica giurisprudenziale, occorre procedere alla disamina della prima decisione di legittimità
sul tema della simulazione della separazione [40]. Al riguardo notiamo, innanzi tutto, che qui non ci
si trovava di fronte ad una simulazione della
separazione in quanto tale, bensì ad una simulazione di un accordo inserito nel
più ampio contesto delle condizioni concordate ex art. 158 c.c. ed omologate dal tribunale. Da un punto di vista
teorico, però, i due profili – quello, cioè, della simulazione della separazione e quello della
simulazione nella separazione, se mi
si passa il gioco di parole – investono comunque la medesima serie di
questioni, analizzate nel corso dei paragrafi seguenti, tutte imperniate sulla
astratta configurabilità di un procedimento simulatorio [41] in relazione ad atti per il perfezionamento dei quali
è previsto un intervento giurisdizionale.
Per
ciò che attiene ai fatti di causa, va subito detto che le parti, in sede di
separazione consensuale, avevano convenuto, tra l’altro, quanto segue:
-
affidamento alla
moglie del figlio minore,
-
assegnazione
della casa coniugale al marito,
-
erogazione di un
assegno di mantenimento per la moglie ed il figlio a carico del marito.
Successivamente,
la moglie aveva convenuto in giudizio il marito con procedura ex art. 710 c.p.c., facendo valere [42], in maniera, a dire il vero, assai contraddittoria [43], l’invalidità dell’intesa, sia per via di un’asserita
situazione di violenza morale [44], che per effetto di una pretesa simulazione
dell’accordo omologato, per ciò che atteneva il diritto del marito di permanere
nella casa coniugale; tale diritto era stato di fatto concesso alla moglie, in
contrasto con quanto previsto negli accordi omologati, sino «all’ottobre 1993,
quando [il marito] aveva ingiunto [alla moglie] di lasciare la casa coniugale e
comunicato di essersi messo in pensione, cosicché non le avrebbe più
corrisposto l’assegno pattuito». Sulla base di queste premesse la moglie aveva
chiesto la modifica delle condizioni della separazione, ma il tribunale aveva
rigettato la domanda, in quanto in essa non erano stati dedotti mutamenti della
situazione dei coniugi, ma circostanze non deducibili con la procedura
attivata, consistenti nell’allegata esistenza di accordi diversi da quelli
sottoscritti in sede di separazione consensuale.
La
moglie aveva allora proposto reclamo contro il provvedimento di prime cure,
deducendo che il mutamento della situazione doveva essere ravvisato nella
scoperta del «programma espoliativo» posto in essere dal marito, che l’aveva a
tal fine indotta ad accettare le suddette condizioni di separazione,
assicurandole la permanenza nella casa coniugale con il figlio, la vendita di
essa con la divisione del prezzo e il pagamento dell’assegno pattuito, mentre
poi aveva preteso la consegna della casa e aveva smesso di pagare l’assegno. La
corte d’appello aveva però confermato la decisione di primo grado, osservando
che il thema decidendum introdotto
riguardava la simulazione dell’atto di separazione e non la sua modifica,
cosicché la domanda non poteva essere proposta con la procedura adottata, nella
quale non poteva essere accertato neppure un eventuale vizio del consenso.
La
Cassazione, nella sentenza predetta, conferma tale impostazione, riconoscendo,
senza esitazioni, quanto meno in linea di principio, l’ammissibilità nei
confronti dell’accordo di separazione consensuale dei classici rimedi
negoziali, da esperirsi attraverso un’azione ordinaria [45] e non già con il procedimento ex art. 710 c.p.c. Tramite quest’ultima procedura, secondo i
Supremi Giudici, può farsi valere unicamente – giusta il disposto dell’art.
156, settimo comma, c.c., applicabile analogicamente alla separazione
consensuale – la «sopravvenienza di fatti nuovi, che abbiano alterato la
situazione preesistente, mutando i presupposti in base ai quali il giudice o le
parti avevano stabilito le condizioni della separazione». La decisione in
commento conferma inoltre il giudizio espresso dalla corte d’appello, secondo
cui «la contestualità di diversi accordi verbali, coevi a quelli scritti ed
omologati, non integra modifica di questi ultimi, ma simulazione dell’atto
omologato».
Riassumendo
il decisum della pronunzia suddetta,
si potrà affermare che, secondo la decisione emessa dalla Cassazione nel 2001,
a) simulazione e vizi del consenso sono astrattamente
configurabili nei confronti di un accordo di separazione consensuale omologato;
b) essi possono essere fatti valere soltanto tramite un
giudizio ordinario;
c) essi non possono essere fatti valere con il giudizio
camerale ex artt. 710-711 c.p.c.;
d) non è necessario agire sul decreto di omologazione,
chiedendone la modifica o la revoca (posto che nessun riferimento viene fatto,
nella pronunzia in esame, al rimedio ex
art. 742 c.p.c.);
e) per ciò che attiene più specificamente all’ipotesi
della simulazione, il rapporto tra intese a
latere (eventualmente anche solo verbali) coeve all’accordo scritto ed
omologato e quest’ultimo si pone esattamente come si potrebbe porre in relazione
a qualsiasi contratto di cui si alleghi la nullità per simulazione.
4.
Le intese coeve agli accordi di separazione omologati: un revirement implicito?
L’ultimo punto illustrato in chiusura del § precedente solleva immediatamente
il problema del rapporto tra la decisione di legittimità del 2001 e quella nota
giurisprudenza (sempre di legittimità) secondo cui, per ciò che attiene alle
intese coeve o precedenti alla separazione consensuale omologata, la libertà
negoziale dei coniugi incontrerebbe un limite nel principio di «non
interferenza» con quanto stabilito nell’accordo omologato, a meno che gli
accordi non omologati si trovino «in posizione di conclamata e incontestabile
maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato, come per l’assegno di
mantenimento concordato in misura superiore a quella sottoposta ad
omologazione» [46]. La decisione del 2001 sembra però imporre
una decisa «sterzata» in favore dell’opinione, già espressa dallo scrivente [47], secondo cui tra intese omologate ed intese
coeve «segrete» non può porsi altro rapporto, se non quello normalmente
sussistente tra due negozi conclusi contestualmente sul medesimo oggetto e con
pattuizioni tra di esse divergenti.
In effetti, dottrina e giurisprudenza, prima degli ultimi interventi
della Cassazione, avevano assai raramente distinto i patti successivi da quelli
anteriori o coevi alla separazione, preferendo invece parlare in generale di
accordi non omologati e manifestando comunque, nella maggior parte dei casi,
perplessità in ordine alla validità dei medesimi [48].
Con due pronunce del 1993 e del 1994 e con alcuni giudicati successivi [49] la Suprema Corte è venuta invece a porre una
distinzione piuttosto netta tra accordi conclusi posteriormente rispetto alle
intese omologate, validi a prescindere dalla loro omologazione (peraltro non
prevista da alcuna norma), da un lato, e quelli anteriori o coevi, dall’altro.
Questi ultimi sarebbero validi, come si è appena visto, solo se in posizione di
«non interferenza» rispetto all’accordo omologato (perché concernenti un
aspetto non disciplinato nell’accordo formale, oppure perché aventi un
carattere meramente specificativo di disciplina secondaria), ovvero in
posizione «di conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto
all’interesse tutelato», come nel caso di assegno di mantenimento concordato in
misura superiore a quella sottoposta ad omologazione.
Le decisioni di legittimità appena citate sono venute sostanzialmente a
riprendere un indirizzo già maturato in seno alla giurisprudenza di merito [50] e da quest’ultima mantenuto talora anche
successivamente [51]. Per ciò che attiene alla dottrina, poi, va
detto che l’articolata soluzione fornita dalla giurisprudenza al problema qui
in esame è stata approvata da una parte dei commentatori [52], mentre ha sollevato in altri più che
fondate perplessità. Perplessità che si giustificano – ad avviso di chi scrive
– non tanto per ciò che attiene alla distinzione imperniata sul parametro
temporale (che, sia detto per incidens,
rinviene – ancorché in tutt’altra materia – un illustre precedente nello stesso
codice civile: cfr. artt. 2722 s.).
Certo, è verissimo che, in base al dettato normativo, l’unica
distinzione prospettabile in ordine agli accordi non omologati è quella tra
accordi relativi alla «situazione» dei figli ed accordi che esauriscono la loro
portata nei riguardi dei coniugi, perché è diverso il grado di autonomia
privata riconosciuto alle parti (coniugi) nelle due ipotesi [53]. Ma è altrettanto vero che tutte queste
manifestazioni d’autonomia, che si concretano in accordi non sottoposti al
vaglio dell’omologa, non possono sempre essere trattate allo stesso modo.
Un esempio lampante è costituito proprio dal fatto che i patti coevi
alla separazione consensuale possono porre, rispetto alle intese omologate, un
problema di simulazione, impensabile con riferimento agli altri. D’altro canto,
un accordo precedente alla separazione ed incompatibile con le clausole di
quest’ultima ben può intendersi (salva, ovviamente, la necessaria opera di
interpretazione ex artt. 1362 ss.
c.c.) come non più operante per sopravvenuta abrogazione.
Appare dunque condivisibile la scelta di procedere tenendo distinte le
tre situazioni cui si è fatto richiamo, proprio per le peculiarità che ciascuna
di esse presenta, ancorché la conclusione (negativa) sul quesito generale
dell’eventuale carattere ostativo della mancata omologazione debba essere, ad
avviso di chi scrive, uniforme in tutti i casi. Ciò che invece lascia perplessi,
con riguardo alla ricostruzione operata dalla Corte Suprema nelle sentenze
appena citate, è – lo si ripete – che nel caso di accordi precedenti o coevi,
l’intesa delle parti abbia valore a condizione che essa sia «in posizione di
conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all’interesse
tutelato, come per l’assegno di mantenimento concordato in misura superiore a
quella sottoposta ad omologazione».
Secondo taluno [54] la soluzione sarebbe dettata dalla
preoccupazione di non privare l’istituto della omologazione di ogni senso
compiuto, ipotesi che si potrebbe verificare se anche agli accordi anteriori o
contestuali fossero sic et simpliciter estese
le stesse conclusioni raggiunte per i patti successivi. Peraltro, si è
ampiamente illustrato in altra sede che le condizioni della separazione – come
elemento accessorio del contenuto del
negozio di separazione in senso ampio [55] – possono,
ma non debbono necessariamente
risultare dal verbale; lo stesso vale poi per tutte le condizioni di un’eventuale separazione di fatto [56], che per definizione dall’omologa prescinde.
L’estensione anche ai patti precedenti o coevi delle conclusioni della
Cassazione in materia di accordi successivi non viene dunque a privare di
significato l’istituto dell’omologazione, per lo meno più di quanto già non
faccia l’attribuzione di rilievo alla separazione di fatto o la considerazione
che i coniugi non sono obbligati ad inserire nel verbale tutte le condizioni
della loro futura vita da separati [57].
Venendo dunque alla condizione di «conclamata e incontestabile maggior
rispondenza rispetto all’interesse tutelato», va detto che si tratta qui d’un
requisito che, oltre a non trovare un appiglio normativo nell’àmbito della
disciplina in esame, contrasta con quegli stessi principi negoziali in cui la
Cassazione ha (correttamente) sempre
voluto – da alcuni decenni ormai a questa parte – collocare i rapporti tra
coniugi in crisi. Principi che vogliono – quanto meno per ragioni di coerenza –
che tra due accordi tra le stesse parti e sul medesimo oggetto il secondo in
ordine temporale revochi il primo, se con esso incompatibile, mentre, nel caso
di contemporaneità (salve, come già detto, le possibili questioni concernenti
l’interpretazione dell’intesa), si possa porre un problema di simulazione delle
condizioni accedenti all’accordo di separazione sottoposto ad omologa [58].
Non vi è quindi dubbio, conclusivamente, che l’unica distinzione sempre
rilevante sia quella tra accordi concernenti i rapporti tra i coniugi e accordi
riguardanti la situazione della prole minorenne, secondo quanto sopra
illustrato, mentre la distinzione relativa al tempo di conclusione degli
accordi può assumere rilevanza, a seconda del caso concreto, al fine di
risolvere – alla luce dei principi generali in materia di contratto, ivi
compresi in primo luogo quelli attinenti all’interpretazione della volontà
negoziale (principi estensibili ad eventuali accordi non patrimoniali, attesa
la natura negoziale delle intese in discorso) – i possibili contrasti con le
intese omologate [59].
Le conclusioni di cui sopra, già
elaborate dallo scrivente nei confronti della giurisprudenza antecedente
rispetto alla decisione qui in commento, sembravano dunque confermate dalla decisione
del 2001, con quello che si potrebbe definire un vero e proprio (forse neanche
troppo consapevole, ma sicuramente esistente e rispondente alla ratio decidendi) revirement implicito. Gli sviluppi successivi si sarebbero però
incaricati di porre nuovamente in dubbio tale conclusione.
Nel 2003 la Cassazione torna, invero, sul tema della
simulazione della separazione consensuale dei coniugi [60]. Qui la Corte, dopo essersi a lungo soffermata sui
principi-cardine della sua ormai risalente giurisprudenza in materia di
negozialità tra coniugi in crisi, ribadendoli tutti con estrema chiarezza [61], conclude negando nella maniera più recisa la
possibilità per i coniugi di far valere la nullità dell’accordo di separazione
consensuale per simulazione.
Secondo i Supremi Giudici, non sarebbe possibile
invocare, in senso favorevole al riconoscimento della possibilità di impugnare
per simulazione una separazione consensuale, il precedente di cui alla citata
sentenza n. 3149 del 2001. Pur ammettendo che quest’ultima – relativamente ad
un giudizio di revisione delle condizioni della separazione – ha, sì, affermato
che «che ogni questione relativa alla simulazione dell’accordo posto a base
della separazione (…) doveva essere prospettata in apposita sede», la
Cassazione viene ad affermare nel suo secondo arresto sul tema che l’espresso
richiamo operato nel 2001 alla possibilità per la parte di far valere la
simulazione mercé il ricorso ad un procedimento contenzioso ordinario sarebbe
stato effettuato «con espressione certamente non assunta a ratio decidendi»
[62].
Ora, se è vero che, coma già chiarito, la sentenza 5
marzo 2001, n. 3149, riguardava non già la simulazione della separazione in quanto tale, bensì la (asserita) simulazione
di un accordo inserito nel più ampio contesto delle condizioni concordate ex art. 158 c.c. ed omologate dal
tribunale, è però del tutto evidente che i due profili – quello, cioè, della
simulazione della separazione e
quello della simulazione nella
separazione – investono comunque la medesima serie di questioni, tutte
imperniate sul tema della configurabilità, in astratto, di un procedimento
simulatorio in relazione a negozi per il perfezionamento dei quali è previsto
un intervento giurisdizionale.
La
Cassazione, nella sentenza 5 marzo 2001, n. 3149, aveva riconosciuto, come
detto sopra, senza esitazioni, l’ammissibilità nei confronti dell’accordo di
separazione consensuale dei classici rimedi negoziali, ivi compresa l’eventuale
declaratoria di nullità per simulazione, da esperirsi attraverso un’azione
ordinaria e non già con il procedimento ex
art. 710 c.p.c. Nel pervenire a tale conclusione la decisione aveva confermato expressis
verbis il giudizio formulato dalla corte d’appello, secondo cui «la
contestualità di diversi accordi verbali, coevi a quelli scritti ed omologati,
non integra modifica di questi ultimi, ma simulazione dell’atto omologato»,
soggiungendo che «l’allegazione degli eventuali vizi dell’accordo di
separazione, ovvero della sua simulazione» sarebbe rimasta rimessa «al giudizio
ordinario, secondo le regole generali».
E’
evidente, dunque, che il richiamo al concetto di simulazione dell’accordo di
separazione e alla sua astratta configurabilità costituiva, nell’armamentario
argomentativo di quella sentenza, «premessa o passaggio logico necessario per
la soluzione della controversia» e, dunque, ratio
decidendi. A ciò si aggiunga che, secondo quanto è dato testualmente
leggere nella motivazione della pronunzia del 2001, «L’essenza della ratio decidendi della sentenza
[impugnata]» (sentenza – si badi – confermata in toto dalla Corte
Suprema, senza neppure una correzione della motivazione ex art. 384
c.p.c.), «consiste pertanto nell’affermazione che né gli eventuali vizi del
consenso rispetto all’atto di separazione omologato, né la sua eventuale
simulazione sono deducibili con il giudizio camerale attivato ai sensi degli artt.
710 e 711 c.p.c. e che il fatto nuovo del mutamento della situazione economica
delle parti, deducibile con tale giudizio, non era stato dimostrato». Sembra
chiaro, pertanto, che la ragione per la quale la Corte Suprema confermò in quel
caso la decisione di merito andava ricercata nel rimprovero alla parte
ricorrente di avere proposto una domanda sicuramente ammissibile in astratto
per il tramite di una procedura preordinata a far valere altri tipi di
doglianze. In caso contrario, invero, la Corte avrebbe dovuto indicare come
puramente e semplicemente inammissibile la domanda, anziché espressamente
additare la via del procedimento contenzioso ordinario.
Nella
decisione del 2003 la Cassazione – pur dopo un’amplissima premessa contenente
rimarcabili concessioni al principio di autonomia dei coniugi in sede di crisi
coniugale, nonché una meticolosa serie di corretti preamboli, tutti diretti
alla logica conclusione del riconoscimento dell’applicabilità al negozio di
separazione consensuale degli ordinari rimedi negoziali – viene a negare
(verrebbe da dire: a sorpresa) la configurabilità di una simulazione della
separazione, in piena contraddizione rispetto alla prima parte di questa stessa
sentenza.
Secondo
i Supremi Giudici, «nel momento in cui i coniugi convengono, nello spirito e
nella prospettiva della loro intesa simulatoria, di chiedere al Tribunale
l’omologazione della loro (apparente) separazione esse in realtà concordano nel
voler conseguire il riconoscimento di uno status dal quale la legge fa
derivare effetti irretrattabili tra le parti e nei confronti dei terzi, salve
le ipotesi della riconciliazione e dello scioglimento definitivo del vincolo».
Sul punto andrà subito detto che se veramente fosse l’asserita irretrattabilità
[63] degli effetti della separazione ad escludere la
configurabilità di un procedimento simulatorio del negozio di separazione
consensuale, non si riuscirebbe a comprendere per quali motivi il Legislatore
avrebbe previsto e disciplinato la simulazione del contratto, i cui effetti
(cfr. art. 1372 c.c.) sono «irretrattabili» almeno tanto quanto quelli di un
accordo di separazione. E lo stesso è a dirsi per ciò che concerne i terzi, i
cui diritti sono (o non sono) fatti salvi secondo un complesso sistema di norme
e di principi generali [64], che non si vede per quale ragione non dovrebbe
trovare applicazione anche al caso di specie.
In
realtà, ciò che sembra arrestare la Cassazione nel 2003 sulla strada d’un
percorso logico il cui esito dovrebbe essere scontato, pare essere la presenza
di un intervento del giudice in materia di status: proprio quel medesimo
moloch, quella stessa testa di Medusa che pietrifica ogni possibilità
evolutiva della giurisprudenza di legittimità sulla tortuosa strada del
riconoscimento della validità delle intese preventive di divorzio [65]. La Corte, infatti, dopo aver ricordato taluni degli
effetti personali e patrimoniali della separazione, soggiunge che «Nella
situazione considerata la volontà di conseguire detto status è effettiva,
e non simulata: l’iniziativa processuale diretta ad acquisire la condizione
formale di coniugi separati, con le conseguenti implicazioni giuridiche, si
risolve in una iniziativa nel senso della efficacia della separazione che vale
a superare e neutralizzare il precedente accordo simulatorio, ponendosi in
antitesi con esso. Appare invero logicamente insostenibile che i coniugi
possano disvolere con detto accordo la condizione di separati ed al
tempo stesso volere l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato
ad attribuire determinati effetti giuridici a detta condizione: l’antinomia tra
tali determinazioni non può trovare altra composizione che nel considerare
l’iniziativa processuale come un atto incompatibile con la volontà di avvalersi
della simulazione».
Non
potrebbe darsi contraddizione più stridente: dire – come dice la Corte – che è
«il momento processuale» sullo status a evidenziare la volontà dei
coniugi di produrre gli effetti della separazione, in contrasto con il loro
accordo simulatorio, significa dire che è il decreto del tribunale a costituire
il fulcro della separazione: e ciò in piena antitesi con l’idea, a lungo
(correttamente) motivata nella prima parte della stessa sentenza, secondo
l’unico, vero, elemento essenziale di quel mutamento di status
ingenerato dalla separazione è costituito dal negozio inter coniuges. In
altre parole, delle due l’una: o si riconduce la separazione al provvedimento
del giudice, ed allora se ne deve concludere che la simulazione non è
ammissibile, o si riferisce la separazione alla volontà dei coniugi, e allora
si deve ammettere che – se ci si passa l’espressione – l’accordo simulatorio
non può certo arrestarsi di fronte alle porte del tribunale.
Nell’ottica
della Cassazione, varcare la soglia del palazzo di giustizia produrrebbe un
miracoloso effetto «sanante», analogo a quello di cui beneficiavano sovrani e
nobili d’un tempo cui, magari dopo una notte di gozzoviglie, bastava, per la
salvezza dell’anima, oltrepassare la porta della cappella di palazzo sulla
quale avevano fatto apporre la provvidenziale scritta: «indulgentia plenaria
quotidiana perpetua». La conseguenza è inaccettabile. E’ logico ritenere che se
i coniugi intendono «inscenare» una separazione non voluta, magari per
perseguire intenti fraudolenti, si serviranno del procedimento di omologazione
proprio per ammantare di (apparente) efficacia un accordo produttivo di
(apparenti) effetti che essi, in realtà, non hanno mai voluto, non vogliono e
fortissimamente continuano a non volere. Del resto, nessuno ha mai sostenuto
che l’omologazione di una società di capitali (prevista dalla legge
anteriormente alla riforma di cui all’art. 32, l. 24 novembre 2000, n. 340),
nemmeno se richiesta da tutti i soci, potesse sanare l’eventuale nullità dell’atto
costitutivo per simulazione, così come non è certo il decreto di
autorizzazione, emesso dal giudice competente su istanza del legale
rappresentante di un incapace o di un semi-incapace, ad escludere la
possibilità che il contratto concluso in forza di tale autorizzazione possa
essere un giorno dichiarato simulato [66].
6.
La simulazione della separazione consensuale in un obiter di legittimità del 2008.
Ma il case law sulla simulazione della
separazione personale non si chiude con la sentenza del 2003. Nel 2008,
esaminando una domanda di modifica del titolo della separazione (da consensuale
a contenziosa), la Cassazione sembra voler compiere un (saggio, ad avviso dello
scrivente) revirement implicito, per
tornare alle posizioni ed alle conclusioni espresse nel 2001 [67]. La S.C. stabilisce infatti che «In tema di
separazione consensuale, la natura negoziale dell’accordo rende applicabili le
norme generali che disciplinano la materia dei vizi della volontà e della
simulazione, i quali, tuttavia, non sono deducibili attraverso il giudizio
camerale ex artt. 710-711 cod. proc.
civ.; infatti, costituisce presupposto del ricorso a detta procedura
l’allegazione dell’esistenza di una valida separazione omologata, equiparabile
alla separazione giudiziale pronunciata con sentenza passata in giudicato, con
la conseguenza che la denuncia degli ipotetici vizi dell’accordo di
separazione, ovvero della sua simulazione, resta rimessa al giudizio
ordinario».
Va
notato che, nel caso in questione, la ricorrente, aveva allegato a sostegno
della domanda di mutamento di titolo della separazione fatti ascrivibili ad un
possibile dolo determinante posto in essere, a suo dire, dal marito [68]. Nessun richiamo, diretto o indiretto, alla
simulazione compariva invece negli atti di causa (naturalmente, stando sempre a
quanto emerge dalla lettura della pronunzia di legittimità e dei relativi
motivi di ricorso, così come in quest’ultima riassunti). Prospettazione che,
del resto, per le ragioni già riferite, sembrerebbe comunque logicamente
incompatibile con la prospettazione del dolo.
Ciò
nonostante la Suprema Corte pare voler attribuire al suo decisum un valore più «ecumenico», mercé una statuizione che
abbraccia tanto i vizi del consenso che la simulazione. La Cassazione, infatti,
ribadisce il giudizio di inammissibilità (già espresso in sede di giudizio di
merito) del petitum posto dalla
moglie, in quanto limitato alla richiesta di mutamento di titolo della
separazione, non interpretabile come tale alla stregua di una richiesta di
annullamento (da proporsi, oltre tutto, con il rito ordinario, anziché con
quello separatizio) della separazione stessa. Così facendo, però, la Corte pone
espressamente, anche se incidentalmente, in evidenza il rilievo dell’accordo
nel negozio di separazione consensuale e della «validità del consenso come
effetto del libero incontro della volontà delle parti», accennando agli effetti
di eventuali vizi del consenso e dell’ «eventuale simulazione», da far valere
mercé «giudizio ordinario, secondo le regole generali».
Alla
luce di quanto sopra, avuto dunque riguardo al concreto oggetto del contendere,
sembra opportuno assegnare alle affermazioni sopra virgolettate il valore e la
portata – per quanto attiene al profilo della simulazione – di mero obiter dictum, essendo la ratio decidendi riferibile ai temi del
vizi del consenso [69] e, più esattamente, al dolo, posto che, come più
volte detto, questo e questo solo era il punto concretamente sollevato dalla
ricorrente.
Tornando
alla questione principale qui discussa, va osservato come il problema della
configurabilità di una simulazione della (e nella) separazione consensuale (e,
più in generale nelle intese dirette a dirimere i problemi sorti nell’ambito
della crisi coniugale, dovendosi senz’altro aggiungere alla separazione gli
accordi posti a base del ricorso per divorzio su domanda congiunta) appaia
strettamente legato a quello della natura del negozio che si pone alla base del
rimedio ex artt. 158 c.c. e 711
c.p.c. (così come dell’accordo che «sorregge» e giustifica il divorzio su
domanda congiunta).
Il tema è stato da chi scrive ampiamente sviluppato altrove, per cui
non rimarrà che fare rinvio ai lavori sull’argomento [70], riportandone qui di seguito,
sinteticamente, le conclusioni, favorevoli al pieno ed incondizionato
riconoscimento del carattere negoziale delle intese in oggetto, con conseguente
affermazione della applicabilità della normativa contrattuale, a cominciare dal
principio-cardine costituito dall’art. 1322 c.c., tanto al negozio di
separazione personale, che a quello di divorzio su domanda congiunta, che a
quelle particolari intese di carattere patrimoniale concluse in sede, in
occasione, o anche solo in vista della separazione personale, della separazione
di fatto, del divorzio o dell’annullamento del matrimonio, già qualificate
dallo scrivente come «contratti della crisi coniugale».
Del resto, l’applicabilità del canone citato alla materia degli accordi
tra coniugi in occasione di separazione e divorzio costituisce ormai un dato
accettato da buona parte della dottrina e della giurisprudenza, e non sarà
forse inutile ricordare come, non a caso, proprio in quello scritto, risalente
al 1945, che può considerarsi come l’atto di nascita della (moderna) teoria del
negozio giuridico familiare, Francesco Santoro-Passarelli non esitasse a
dichiarare l’applicabilità – quanto meno in linea di principio – a
quest’ultimo, anche nei settori non patrimoniali, della disciplina dettata dal
codice per il contratto in generale [71]. Sempre nel principio dell’autonomia
contrattuale Arturo Carlo Jemolo [72] rinveniva alcuni anni dopo il fondamento
d’un accordo diretto alla predeterminazione delle conseguenze dell’annullamento
del matrimonio, rilevando come in questo caso fosse «palese l’interesse tipico
del regolamento di rapporti, se pure non si abbia una disposizione esplicita
del codice che preveda tale regolamento, essendo quasi impensabile che al
termine della convivenza non ci siano ragioni di dare ed avere, pretese
reciproche» [73].
Nella dottrina più recente, poi, il richiamo alle regole in tema di
autonomia privata si è andato via via infittendo, specie sull’onda
dell’autorevole constatazione per cui, anche nel campo dei rapporti
patrimoniali tra i coniugi (in crisi), «ove tra le parti si convenga
l’attribuzione di diritti e l’assunzione di obblighi di natura patrimoniale,
non parrebbe contraddire alla definizione dell’art. 1321 la qualificazione di
‘contratto’» [74].
Così, per esempio, troviamo che un espresso rimando al
principio della libertà contrattuale consacrato dall’art. 1322 c.c. compare per
ben due volte in una nota decisione sulla validità degli accordi preventivi tra
coniugi in materia di conseguenze patrimoniali dell’annullamento del matrimonio
[75], mentre espliciti o impliciti riferimenti
all’autonomia contrattuale punteggiano tutta o quasi la complessa vicenda in
tema di trasferimenti immobiliari e mobiliari in sede di separazione personale
tra coniugi [76], già a cominciare da quel leading case
risalente al 1972 [77], che pure all’epoca aveva suscitato le
(ingiustificatamente) preoccupate reazioni di parte della dottrina [78]; per continuare con il caso in cui i supremi giudici
invocarono proprio il principio in esame, al fine di ammettere la validità
dell’impegno con il quale uno dei coniugi, in vista di una futura separazione
consensuale, aveva promesso di trasferire all’altro la proprietà di un bene
immobile, anche se tale sistemazione dei rapporti patrimoniali era avvenuta al
di fuori di qualsiasi controllo giudiziale in sede di omologa [79]; per culminare con la decisione con cui la Corte
Suprema, accogliendo la tesi avanzata dallo scrivente, ha ribadito la
legittimità di trasferimenti operati con efficacia reale nello stesso accordo
di separazione, riconoscendo al relativo verbale la natura di atto pubblico
idoneo alla trascrizione sui pubblici registri immobiliari [80].
Per non dire poi dell’evoluzione più recente in
materia di accordi non omologati modificativi di precedenti intese (ovvero
delle condizioni dettate dal giudice), ove la Cassazione riconosce effetto,
ormai da alcuni anni a questa parte, al pieno dispiegarsi della negozialità dei
coniugi, in forza del principio sancito dall’art. 1322 c.c., ritenuto senza
riserve applicabile al caso di specie, addirittura anche per quanto concerne le
pattuizioni concernenti la prole minorenne; conclusione, quest’ultima, che conferma
l’espansione dell’operatività della sfera dell’autonomia privata anche nel
settore di quei negozi del diritto di famiglia non caratterizzati dalla
patrimonialità [81]. Ancora, per quanto attiene, più specificamente, alle
intese costituenti il «contenuto eventuale» [82] dell’accordo di separazione consensuale, non sembra
ormai potervi essere dubbio sulla natura non solo negoziale di questi atti,
bensì addirittura sul relativo carattere contrattuale, allorquando gli stessi
(come per lo più accade) abbiano ad oggetto prestazioni di carattere
patrimoniale [83]. Anche qui l’art. 1322 c.c. ha ricevuto concreta
applicazione in un’innumerevole serie di casi, che hanno portato il «diritto
vivente» a determinare, in nome del principio dell’autonomia contrattuale
(sovente espressamente menzionato nelle motivazioni delle decisioni), una vera
e propria dilatazione dell’usuale contenuto dell’accordo di separazione, ben al
di là di quegli angusti limiti in cui parte della dottrina [84] lo avrebbe voluto inquadrare.
Si è così deciso, per esempio, in relazione ad una
complessa pattuizione transattiva di tutti i rapporti nati dal vincolo
coniugale, che l’accordo dei coniugi sottoposto all’omologazione del tribunale
ben può contenere rapporti patrimoniali anche «non immediatamente riferibili,
né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli
obblighi derivanti dal matrimonio» [85]. Sempre in materia di transazione la Corte ha
stabilito, in epoca ancora più recente, che «Anche nella disciplina dei
rapporti patrimoniali tra i coniugi è ammissibile il ricorso alla transazione
per porre fine o per prevenire l’insorgenza di una lite tra le parti, sia pure
nel rispetto della indisponibilità di talune posizioni soggettive, ed è
configurabile la distinzione tra contratto di transazione novativo e non
novativo, realizzandosi il primo tutte le volte che le parti diano luogo ad un
regolamento d’interessi incompatibile con quello preesistente, in forza di una
previsione contrattuale di fatti o di presupposti di fatto estranei al rapporto
originario (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha
ritenuto novativa e, quindi, non suscettibile di risoluzione per inadempimento,
a norma dell’art. 1976 cod. civ., la transazione con la quale il marito si
obbligava espressamente, in vista della separazione consensuale, a far
conseguire alla moglie la proprietà di un appartamento in costruzione, allo
scopo di eliminare una situazione conflittuale tra le parti)» [86].
L’estensione della disciplina contrattuale ai negozi
familiari ha poi portato la giurisprudenza ad affermare, per esempio,
l’applicabilità all’accordo di riconciliazione dei principi in tema di
formazione del consenso contenuti agli artt. 1326-1328 c.c. [87], o dell’art. 1371 c.c. ad una «convenzione accessoria
alla sentenza di divorzio» [88], o, più in generale degli artt. 1362 ss. c.c. in tema
di interpretazione del contratto ad una pattuizione a latere rispetto all’accordo di separazione omologato [89], nonché l’impugnabilità del negozio di separazione
consensuale – oltre che per simulazione, come sopra illustrato [90] – per vizi del consenso [91].
Non stupisce dunque che, da alcuni anni a questa
parte, accada sempre più di frequente all’osservatore della giurisprudenza di
legittimità di imbattersi in affermazioni del genere di quella secondo cui «i
rapporti patrimoniali tra i coniugi separati hanno rilevanza solo per le parti,
non essendovi coinvolto alcun pubblico interesse, per cui essi sono pienamente
disponibili e rientrano nella loro autonomia privata» [92]. In altri termini, pur con le dovute cautele, sembra
potersi dire che anche nel diritto patrimoniale della famiglia deve darsi atto
di una progressiva evoluzione «dagli status al contratto». La nota
massima elaborata da Maine oltre un secolo fa, sebbene abusata e sottoposta a
critiche, sembra ancora adatta ad esprimere il lungo e travagliato percorso
compiuto dalla negozialità anche in questo settore del diritto privato [93]. In contraddizione, peraltro, rispetto a simili
aperture nei confronti della negozialità dei coniugi si colloca quel già
ricordato processo involutivo che la giurisprudenza – in particolare quella di
legittimità – ha subito relativamente a due settori ben individuati: ci si
intende riferire alle questioni relative al carattere disponibile del
contributo al mantenimento del coniuge separato o dell’assegno di divorzio,
nonché alla materia degli accordi preventivi in vista di un futuro ed eventuale
divorzio [94].
Sul versante dottrinale, gli anni più recenti hanno
visto una ripresa d’attenzione da parte degli Autori favorevoli all’espansione
della negozialità, mediante approfondimenti di temi di carattere generale,
quali, per esempio, quello dei rapporti tra autonomia privata e «causa
familiare» [95] o tra autonomia privata e potere di disposizione nei
rapporti familiari in genere [96], oppure sui «contratti della crisi coniugale» [97], ovvero attraverso studi settoriali, quali quelli
sulle convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del
matrimonio [98], sulla disponibilità dell’assegno ex art. 5 l.
div. [99], sui trasferimenti mobiliari e immobiliari in
occasione di separazione e divorzio [100], sulla rilevanza del consenso nella separazione consensuale
ed in quella di fatto [101], su taluni aspetti dei rapporti tra separazione
consensuale e i possibili contratti tra coniugi [102], e così via [103]. Si noti, tanto per portare un altro caso concreto,
che le esigenze di determinazione e predeterminazione della sorte dei rapporti
patrimoniali all’interno delle famiglie giungono a lanciare fremiti
d’agitazione persino in un settore del diritto civile tradizionalmente ritenuto
«tranquillo», quale quello delle successioni per causa di morte, alimentando un
rilevante movimento d’opinione – a livello sia di teoria che di prassi – in
senso favorevole all’abolizione del divieto dei patti successori [104], anche sulla scia delle innovazioni apportate dallo
stesso legislatore mediante l’introduzione del patto di famiglia.
Una volta ribadita la natura negoziale degli accordi di separazione
consensuale e di divorzio su domanda congiunta, va però constatato che
l’applicabilità di alcuni «classici» rimedi negoziali a siffatte intese – e,
più esattamente, la possibilità di impugnare queste ultime per incapacità
naturale, vizi del consenso, simulazione – trova ancora qualche ostacolo in una
parte della giurisprudenza di merito, così come della dottrina. E’ ora giunto
il momento di occuparsi anche di questo argomento.
In effetti – a parte la battaglia di retroguardia in cui s’ingaggiano
ancora alcune decisioni (veramente, verrebbe da dire, démodées) che negano in via di principio l’applicabilità ai negozi
giuridici familiari della normativa contrattuale [105], su cui non vale più la pena di spendere
nemmeno una parola [106] – le opinioni contrarie all’ammissibilità dei
rimedi negoziali sembrano poggiare sostanzialmente su di un unico argomento
«forte»: vale a dire la (supposta) inconciliabilità di soluzioni che
presuppongono la non integrità (o addirittura l’inesistenza) del consensus contrahentium, con il fatto
che questo sia manifestato dinanzi al presidente del tribunale, quasi che la
«sacralità» del contesto in cui l’intento negoziale si esprime potesse di per
sé fornire un’assoluta certezza circa l’esistenza d’un consenso genuino ed
esente da vizi di sorta.
Per la similitudine delle argomentazioni rispetto agli argomenti
trattati nel presente scritto citerò prima due pronunzie di merito concernenti
il tema della capacità naturale delle parti, contenenti conclusioni
diametralmente opposte, per passare quindi ai precedenti specifici in materia
di simulazione e di vizi del consenso. Con la prima delle due decisioni il
tribunale di Napoli [107] ha negato l’applicabilità dell’annullamento
previsto dall’art. 428 c.c. all’accordo di separazione consensuale, in
considerazione della «attiva partecipazione» del presidente all’accordo dei
coniugi sulle condizioni della separazione. In senso opposto è invece
successivamente andata la Corte d’appello di Milano, che ha affermato, in linea
generale, l’applicabilità all’accordo di separazione consensuale dell’azione di
annullamento ex art. 428 c.c. per
incapacità naturale di una delle parti, argomentando dalla natura di negozio
familiare della separazione consensuale, cui «sono applicabili solo quelle
norme del contratto che esprimono principi generali del negozio giuridico,
quali, appunto, quelle in tema di vizi del consenso e di capacità dei soggetti»
[108].
Anche in materia di simulazione e di vizi del consenso non fanno certo
difetto pronunzie di merito che (esattamente come si è visto in materia di
incapacità) considerano d’ostacolo all’applicazione della disciplina
contrattuale la presenza, al momento dello scambio dei consensi, del presidente
del tribunale, enfatizzandone in maniera del tutto ingiustificata il
significato e l’incidenza [109]. A tali decisioni sembra far eco un’altra
giurisprudenza di merito, secondo cui gli accordi sull’assegnazione della casa
familiare, ai fini dell’opponibilità al locatore, ai sensi dell’art. 6, terzo
comma, l. 27 luglio 1978, n. 392, dovrebbero essere sottoposti ad omologa da
parte del tribunale [110], quasi a voler proporre la tesi della natura
«trilaterale» di tale tipo di intese.
Per fortuna, di fronte a tali dérapages,
la Cassazione ha ammesso (ancorché in astratto, ma comunque con il peso della ratio decidendi) la facoltà per i terzi
(nella specie: conduttore, nei confronti dei quali il locatore, non
assegnatario della casa coniugale intendeva opporre la cessazione della proroga
legale, ex art. 4, n. 1, l. 23 maggio
1950, n. 253) di dimostrare la simulazione «della procedura» di separazione [111]. La stessa Corte, in altra occasione, ha
dato per scontato il principio dell’impugnabilità per violenza della
convenzione con la quale, in sede di separazione consensuale, si era stabilito
che il marito avrebbe ceduto alla moglie taluni beni in cambio della
rimessione, da parte di quest’ultima, di una querela per concubinato [112].
Proprio quest’ultimo indirizzo viene, sostanzialmente, confermato dalla
più volte citata decisione di legittimità del 2001, in tema di impugnazione per
simulazione della separazione consensuale, che prova come anche in questo campo
la giurisprudenza di legittimità sappia elargire concessioni consistenti e
talora inaspettate verso la negozialità [113] tra coniugi in crisi [114].
Si noti, però, che sullo stesso versante si colloca da tempo la
dottrina più autorevole, a cominciare, addirittura, dal Cicu [115], da cui, francamente, di tutto si sarebbe
potuto aspettare, tranne che un’apertura di questo genere verso un approccio
tanto vicino alla moderna teorica della negozialità dei rapporti tra coniugi in
crisi, quanto lontano dalla concezione istituzionale della famiglia [116]. L’opinione era quindi stata ripresa da
altri studiosi, tanto del fenomeno simulatorio [117], che della separazione personale dei coniugi
[118], per confluire quindi nella più recente
concezione, ripresa alcuni anni or sono a pie’ pari dalla Corte di cassazione,
che individua nella separazione consensuale «uno dei momenti di
più significativa emersione
della negozialità nel diritto
di famiglia» [119].
Venendo ora a svolgere qualche osservazione conclusiva
sulla tesi di chi nega l’impugnabilità del negozio di separazione per
simulazione, vizi del consenso o
incapacità naturale, fondando le proprie argomentazioni sul ruolo del
presidente del tribunale in sede di udienza ex
art. 708 c.p.c., andrà ribadito in questa sede [120] che gli adempimenti svolti da quest’ultimo (o dal
collegio, se si tratta di divorzio su domanda congiunta), non dissimilmente da quelli
prescritti al notaio rogante, non appaiono di per sé in grado di escludere a priori (esattamente come avviene per
un rogito notarile) che la volontà dei contraenti possa essere in qualche modo
viziata. Si pensi all’ipotesi paradigmatica della violenza morale, così come a
quella della presenza di una situazione di incapacità naturale non manifesta,
oppure a quella della simulazione, ove nessun «segno esteriore» può ingenerare
il sospetto che la volontà dei paciscenti sia, in realtà, inesistente [121].
Voler attribuire a tutti i costi al presidente (o al collegio)
l’improprio ruolo di «garante» dell’esistenza e della genuinità del consenso
delle parti significa presupporre una norma che non esiste nel nostro
ordinamento [122]: una norma, anzi, che, se esistesse,
dovrebbe essere dichiarata incostituzionale per contrasto con l’art. 24 Cost.,
per il fatto di inibire al soggetto altrimenti legittimato il diritto di far
valere in giudizio l’invalidità dell’accordo [123].
Questa posizione rinviene – proprio con specifico riguardo alla
simulazione – dei precedenti, nella giurisprudenza di legittimità, che, come si
è già detto, aveva ammesso (ancorché in astratto, ma comunque con il peso della
ratio decidendi) la facoltà per i
terzi (nella specie: conduttore, nei confronti dei quali il locatore, non
assegnatario della casa coniugale intendeva opporre la cessazione della proroga
legale, ex art. 4, n. 1, l. 23 maggio
1950, n. 253) di dimostrare la simulazione «della procedura» di separazione [124]. Ma, a ben vedere, neppure nella
giurisprudenza di merito fanno difetto voci favorevoli a tale impostazione.
Invero, a parte alcuni precedenti risalenti già al codice abrogato [125], il tribunale di Genova, ormai diversi anni
or sono, aveva aperto uno spiraglio alla prova, da parte del conduttore, della
simulazione della separazione del locatore, in seguito alla quale quest’ultimo
aveva perso il diritto di abitare nella casa coniugale, così essendo costretto
ad agire in recesso per ottenere la disponibilità dell’appartamento concesso in
locazione [126]. Successivamente, la Corte d’appello di
Bologna ha ammesso la revocabilità del decreto di omologazione della
separazione consensuale nell’ipotesi di simulazione degli accordi stipulati dai
coniugi e da questi espressamente ammessa, applicando a tali intese le
disposizioni sui contratti in generale
ed osservando conclusivamente che «l’istituto della simulazione trova
applicazione anche nella materia matrimoniale, tanto è vero che l’art. 123 cod.
civ. prevede espressamente l’impugnazione del matrimonio per simulazione» [127]. Ora, a parte l’erroneo riferimento alla
necessaria revoca del decreto d’omologazione, in contrasto, come s’è visto, con
le citate decisioni di legittimità del 2001 e del 2008, non vi è dubbio che il
riconoscimento del carattere negoziale dell’intesa di separazione rappresenti
l’indice di un’incipiente ben diversa sensibilità anche da parte dei giudici di
merito verso la considerazione sub specie
negotii degli accordi di cui si discute.
Sarà poi il caso di aggiungere qui che le osservazioni di cui sopra,
sviluppate con riguardo alla separazione consensuale, appaiono applicabili
anche alle intese che si pongono alla base del divorzio su domanda congiunta,
nel quale – secondo quanto si è in altra sede cercato di dimostrare – gli
effetti d’ordine patrimoniale vanno direttamente ricollegati al contratto di
divorzio concluso dai coniugi, rispetto al quale la pronuncia del tribunale
assume il mero carattere di omologa emessa all’esito di un procedimento di
controllo sul rispetto delle norme inderogabili del vigente ordinamento [128].
10. Primo
corollario: i rapporti con l’azione revocatoria.
Enunciata la
conclusione secondo cui tanto la separazione consensuale, che il divorzio su
domanda congiunta, che le singole condizioni dell’una o dell’altro possono
essere riconosciuti come simulati, cercherò ora di derivarne alcuni corollari.
Il primo attiene ai
rapporti con l’azione pauliana. Sul punto, rammentato quanto già anticipato in
generale sulle relazioni tra frode e simulazione [129], va detto che, alcune interferenze tra le
due situazioni sembrano emergere proprio con riguardo ai contratti della crisi
coniugale, per ciò che attiene al profilo della consapevolezza in capo al terzo
(nella specie: il coniuge del debitore) del pregiudizio arrecato al creditore.
In effetti, la giurisprudenza di merito ha già avuto modo di occuparsi in
alcune occasioni del problema della revocabilità ex art. 2901 c.c. non già del negozio di separazione nel suo
complesso, bensì di accordi ben determinati, conclusi in seno ad una crisi
coniugale. Emblematico è il caso dei trasferimenti immobiliari [130]. Al riguardo, l’astratta ammissibilità del
rimedio ex artt. 2901 ss. è stata
affermata da una decisione del tribunale di Milano del 1996, che peraltro ha
respinto la domanda per difetto di prova del consilium fraudis in capo al soggetto destinatario
dell’attribuzione patrimoniale [131]. Accoglimento hanno invece trovato quattro
analoghe domande proposte dinanzi ai tribunali di Bologna [132], di Casale Monferrato [133], di Roma [134] e di Torino [135].
Da un punto di
vista generale, andrà subito detto che indubbiamente, essendo il trasferimento
operato dalla volontà delle parti e non già dal provvedimento d’omologazione,
la particolare sede nella quale il negozio viene posto in essere (udienza
presidenziale di separazione, seguita da decreto di omologazione da parte del
tribunale, o udienza collegiale di divorzio su domanda congiunta, seguita da
sentenza) non dispiega influenza alcuna sull’ammissibilità del rimedio: sul
punto le pronunzie edite non mostrano certo esitazioni [136].
Per ciò che attiene
poi, più specificamente, al consilium
fraudis in capo al debitore, ovverosia la conoscenza, da parte di
quest’ultimo, del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori dal
trasferimento, basterà ricordare che, come noto, tale elemento non presuppone
in alcun modo l’esistenza di un animus
nocendi [137]; così, il tribunale casalese desume la
presenza di tale stato soggettivo dal fatto che il debitore, consapevole di
aver contratto quel certo debito (nella specie: sottoscrivendo una
fideiussione) «ben sapeva di non essere proprietario di altri beni, oltre
quelli che conferiva alla moglie» [138], mentre quello bolognese perviene alle
medesime conclusioni in base al rilievo secondo cui i finanziamenti da cui
originava il debito in questione erano stati «concessi nei mesi immediatamente
antecedenti l’atto di disposizione, ed erano tutti di rilevantissimo importo.
[Il marito] non poteva dunque ignorare di ledere le ragioni dei creditori
spogliandosi degli unici cespiti di sua proprietà» [139].
La presenza di un consilium fraudis anche in capo al
destinatario dell’attribuzione è richiesta, come noto, in relazione ai soli
atti a titolo oneroso (art. 2901, n. 2, c.c.). Sul punto influiscono svariate
considerazioni ampiamente svolte in altre sedi in punto causa dei contratti
della crisi coniugale e delle attribuzioni in discorso [140], cui non rimane che fare rinvio. In base ad
esse andrà affermata la natura essenzialmente onerosa del trasferimento, pur
senza escludere che, in qualche ipotesi del tutto eccezionale, sia invece
ravvisabile la presenza di una donazione [141].
Peraltro, anche qui
vale la regola secondo cui, come più volte ribadito dalla Suprema Corte, ad
integrare tale presupposto «non si richiede l’animus nocendi, e cioè la prova della collusione tra terzo e
debitore, essendo sufficiente che il terzo (cioè, nella specie, il coniuge del
debitore) abbia la consapevolezza del fatto che il suo dante causa, già
vincolato verso creditori, mediante l’atto di disposizione, diminuisca la sua
sostanza patrimoniale, e con essa la garanzia spettante alle ragioni di credito
altrui, arrecando così pregiudizio» [142]. Il tribunale di Casale Monferrato ha
ritenuto [143], per esempio, di poter ravvisare tale
elemento in capo alla moglie, destinataria del trasferimento, atteso che la
lettera di richiesta del pagamento era stata ricevuta dal marito presso il
domicilio coniugale (ove i coniugi ancora convivevano) e pertanto «la moglie
non poteva ignorare l’esistenza del debito del marito, così come non poteva
ignorare la consistenza del patrimonio dello stesso» [144], mentre il tribunale ambrosiano, dopo aver
accertato, a seguito di un’ampia istruttoria sul punto, che la convivenza tra i
coniugi era cessata alcuni anni prima della separazione consensuale, che questi
non si erano più frequentati e che la moglie si era trasferita da tempo in
località «abbastanza lontana da quella in cui il marito viveva ed operava economicamente»,
ha ritenuto insufficiente la prova fornita dal creditore, concludendo nel senso
che «Niente (…) poteva indurre, una persona che da tempo non aveva rapporti di
confidenza e convivenza con il debitore a comprendere che l’attribuzione delle
porzioni degli immobili, di cui già deteneva la metà in forza della comunione
dei beni, avrebbe privato di garanzia dei creditori che in quel momento erano
già insoddisfatti» [145].
Ed è proprio qui
che affiorano i rapporti con la questione dell’eventuale simulazione della
separazione, che i coniugi ben potrebbero inscenare al fine di fornire una
(apparentemente) idonea cornice per l’effettuazione dell’attribuzione in
discorso. Come peraltro correttamente posto in luce dalla già citata decisione
bolognese, l’eventuale accertamento del carattere fittizio del negozio di
separazione personale non può ancora indurre, di per sé, a ritenere invalido il
negozio traslativo, laddove risulti che «i coniugi intesero realizzare
effettivamente, mediante le convenzioni stipulate avanti al Presidente del
Tribunale, il trasferimento della proprietà delle porzioni immobiliari in
questione» [146]. La simulazione – come noto – presuppone che
le parti non vogliano conseguire gli effetti del negozio posto in essere,
laddove è chiaro che, nel caso di specie, ciò che non sono volute sono solo le
conseguenze di carattere personale, mentre i coniugi intendono assolutamente
conseguire quell’effetto traslativo che – qui più che mai – appare del tutto
svincolato dalle vicende relative agli «effetti» della separazione. E’ peraltro
chiaro che, come pure posto in luce dalla sentenza da ultimo citata,
l’eventuale accertamento di una simulazione della separazione costituisce la
miglior prova dell’esistenza di un consilium
fraudis (se non addirittura di una dolosa preordinazione, in caso di debiti
non ancora contratti) in capo ad entrambi i coniugi [147].
Gli indirizzi di
merito sopra illustrati trovano poi conferma nella più recente giurisprudenza
di legittimità.
La Cassazione ha,
invero, avuto modo di occuparsi in questi ultimi anni per almeno tre volte
della possibilità, da parte dei creditori o del curatore fallimentare, di
esperire azione revocatoria, rispettivamente, ordinaria e fallimentare nei
riguardi di negozi traslativi di diritti in sede di crisi coniugale.
Il problema
principale trattato da queste decisioni attiene al profilo del carattere
solutorio o meno dell’atto traslativo. Essendo notoriamente sottratto a
revocatoria l’atto di adempimento di un’obbligazione, è evidente che la
qualificazione a tale stregua dei negozi in oggetto fornirebbe un insuperabile
usbergo avverso le pretese dei creditori, in sede di azione individuale, così
come concorsuale.
Con una prima
sentenza del 2005 [148] la Corte Suprema, partendo dalla
constatazione per cui l’art. 2740 c.c. dispone che il debitore risponda con
tutti i suoi beni dell’adempimento delle proprie obbligazioni, a prescindere
dalla loro fonte, e quindi anche se le stesse derivino dalla legge, come
l’obbligo di mantenimento del coniuge e dei figli minori, ne ha tratto la
conseguenza che sono soggetti all’azione revocatoria ordinaria «anche gli atti
aventi un profondo valore etico e morale, come quello con cui il debitore, per
adempiere il proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli e del
coniuge, abbia trasferito a quest’ultimo, a seguito della separazione, la
proprietà di un bene». Ciò tanto più avuto riguardo al fatto che l’art. 2901
c.c. «tutela il creditore, rispetto agli atti di disposizione del proprio
patrimonio posti in essere dal debitore, senza alcun discrimine circa lo scopo
ulteriore avuto di mira dal debitore nel compimento dell’atto dispositivo».
L’anno seguente la
stessa Corte [149] ha dovuto affrontare identica questione sotto
l’angolo visuale, però, della revocatoria fallimentare, ai sensi degli artt.
67, comma primo, n. 1, e 69 l. fall. Anche qui, partendo dalla premessa per cui
l’atto traslativo ha carattere negoziale e non processuale e rilevando
ulteriormente che il trasferimento immobiliare o la costituzione di un diritto
reale minore, pur pattuiti «in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento
del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei
figli», vengono in considerazione non già «in sé», ma sotto il profilo delle
relative «concrete modalità di assolvimento» (di siffatti doveri), ha concluso
per la revocabilità ai sensi delle norme citate dell’accordo con il quale il
coniuge poi fallito – assegnatario della casa coniugale alla stregua delle
condizioni della separazione consensuale omologata – a modifica di tali
condizioni, aveva costituito a favore dell’altro coniuge, per tutta la durata
della sua vita, il diritto di abitazione sulla predetta casa coniugale,
ottenendo in cambio l’esonero dal versamento di una somma mensile,
precedentemente pattuito a titolo di contributo alle spese per il reperimento
di altro alloggio da parte del coniuge beneficiario.
Infine, nel 2008,
la Cassazione si è trovata ad affrontare una questione assai spinosa,
complicata dalla circostanza che il trasferimento, avvenuto nella versione, per
così dire, «bifasica», si era perfezionato mercé un primo impegno assunto in
sede di verbale di separazione consensuale, seguito da un rogito notarile
traslativo. Il creditore aveva quindi impugnato ex art. 2901 c.c. soltanto il secondo atto, in tal modo esponendosi
all’obiezione, puntualmente (quanto improvvidamente) accolta dalla Corte
d’appello di Torino, secondo la quale il secondo atto, in quanto costituente un
mero negozio d’adempimento, non avrebbe potuto formare oggetto di revocatoria,
ai sensi del terzo comma del citato art. 2901 c.c. Ma la Corte di legittimità,
ponendo rimedio alla sostanziale ingiustizia posta in essere dal formalismo
manifestato dalla Corte subalpina, ha correttamente dichiarato ammissibile
l’azione revocatoria ordinaria del trasferimento immobiliare, effettuato da un
coniuge in favore dell’altro, in ottemperanza ai patti assunti in sede di
separazione consensuale omologata. In tale azione, precisano i giudici di
legittimità, la cognizione del giudice deve riguardare anche il contenuto
obbligatorio degli accordi separativi, anche quando sia stato espressamente
impugnato soltanto il contratto di cessione immobiliare. In altre parole, la
domanda giudiziale che colpisca formalmente il solo rogito traslativo non può
non ritenersi riferita anche al negozio obbligatorio che ne contiene e ne
manifesta la causa, «senza che si prospetti la necessità di una specifica
dichiarazione di volere espressamente impugnare anche la fase preliminare» [150].
Parte della dottrina [151], seguita da un’improvvida decisione di
merito [152], ha voluto contestare l’impugnabilità per
via dei rimedi ordinari dell’accordo di separazione per motivi concernenti
l’esistenza e l’integrità del consenso [153], asserendo che l’intesa, una volta
omologata, finirebbe con il «confondersi» con il relativo provvedimento
giudiziale, con la conseguente ammissibilità dei soli rimedi del reclamo e
della revoca, ex art. 742 c.p.c., da
indirizzarsi verso il decreto d’omologa [154].
Non potrà farsi a meno di ribadire in questa sede [155] che argomentare in questo modo significa
confondere tra di loro provvedimento d’omologazione e intesa omologata, laddove
le disposizioni di tipo processuale dettate per far valere i vizi attinenti al
decreto (e al relativo procedimento) non paiono estensibili all’accordo, a meno
di volersi collocare in una prospettiva di tipo «panprocessualistico», nella
quale, cioè, le manifestazioni di volontà dei coniugi perdono di significato
autonomo per divenire, in buona sostanza, meri atti processuali [156]. La soluzione si porrebbe però in pieno
contrasto con il disposto dell’art. 158 c.c., che fa dipendere la separazione
dal «solo consenso» dei coniugi, attribuendo al giudice un mero potere di
controllo nell’àmbito di una procedura d’omologazione, destinata a concludersi
non già con una sentenza costitutiva dei rapporti tra i coniugi separati, ma
con un decreto che si pone quale semplice condizione di efficacia del consenso
manifestato. Tanto per fare un esempio, nessuno si sognerebbe certo di far
valere tramite rimedi quali il reclamo o la revoca (ex artt. 739 e 742 c.p.c.) l’eventuale annullabilità per dolo del
contratto concluso dal tutore, ritualmente autorizzato [157].
Dottrina e giurisprudenza hanno del resto già avuto modo di affermare
che – tutto al contrario rispetto alla tesi qui criticata – il carattere non
definitivo del provvedimento che chiude il procedimento di separazione
consensuale consente la proposizione di autonoma azione diretta
all’accertamento dell’eventuale nullità dell’accordo di separazione, così come
dell’eventuale nullità del provvedimento [158]. Il decreto di omologazione, invece, è
impugnabile «per vizio proprio di legittimità» [159], cioè per la violazione di disposizioni
attinenti al procedimento in sé considerato e non già al negozio che il procedimento
tende meramente a «controllare» [160].
Per tornare alla dottrina, non sarà inutile ricordare che, secondo
l’insegnamento di Fr. Ferrara Sen., allorquando lo Stato «vuole riservarsi un
giudizio preventivo sull’opportunità e legittimità di [un] atto e ne subordina
il compimento alla sua permissione (autorizzazione), oppure si limita a
riconoscere ex post questa
legittimità specialmente perché precedono altre garanzie, e a darne la
successiva approvazione (omologazione) (…) quest’attività rimane estranea al
contenuto intrinseco dell’atto, e quindi non vale a modificarlo o a sanarlo.
L’atto che si autorizza od omologa può esser stato quindi compiuto seriamente o
in apparenza dalle parti e l’intervento dell’autorità non impedisce la
possibilità di simulazione. Inesattamente perciò gli scrittori medievali
considerano come un ostacolo alla simulazione il decretum principis rigettando ogni impugnativa al riguardo» [161].
D’altro canto, come è stato pure rimarcato, «può essere simulato (…)
l’atto privato autorizzato da un pubblico ufficiale (partecipe o non partecipe
dell’intesa simulatoria). La soluzione è ben sperimentata a proposito del
contratto concluso dal padre in nome del figlio minore, con autorizzazione del
giudice tutelare» [162].
A quanto
sopra vanno aggiunte le più volte citate decisioni di legittimità sulle
impugnative per vizi del consenso e per
simulazione della separazione consensuale; decisioni che, pur senza affrontare expressis verbis il tema del
procedimento ex art. 742 c.p.c.,
individuano chiaramente nel procedimento contenzioso ordinario la via da
seguire per chiunque sia interessato a far valere la nullità per simulazione
delle intese di separazione consensuale [163].
Non
rimarrà a questo punto che occuparsi succintamente dei possibili effetti verso
i terzi dell’eventuale accertamento giudiziale della simulazione, così come
dell’eventuale pronunzia di annullamento o di revoca. Qui il richiamo è
d’obbligo ai principi generali, scolpiti, per ciò che attiene alla simulazione,
negli artt. 1415 s. e 2652, n. 4, c.c., per quanto riguarda i vizi del
consenso, negli artt. 1445 e 2652, n. 6, c.c. e, per quanto attiene alla
revocatoria, negli artt. 2901, ult. cpv., e 2652, n. 5, c.c.
A
questo riguardo potrà citarsi un precedente del tribunale di Bologna [164], il quale ha ritenuto applicabile l’art. 1415 c.c.
alla fattispecie seguente. Durante il periodo di separazione consensuale,
iniziata nel 1977, il marito procede all’acquisto e quindi alla vendita di un
immobile. Al momento del divorzio la moglie agisce verso il terzo acquirente
dell’immobile in questione ex art.
184 c.c., chiedendo l’annullamento dell’atto per essere stato quest’ultimo
posto in essere senza il suo consenso, in relazione ad un bene della comunione
legale, nel frattempo instauratasi [165] per via del carattere meramente «apparente» dello
stato di separazione, frutto, a dire della parte attrice, di un accordo
omologato simulato, in quanto «teso a tenere al riparo la famiglia dell’H. [il
marito] da eventuali azioni di ritorsione politica nei confronti di questi,
cittadino libico».
La
sentenza, come si è appena detto, respinge la domanda della moglie, richiamando
l’art. 1415 c.c. In realtà, nella decisione felsinea, altre motivazioni vengono
ad intrecciarsi e quasi a sovrapporsi a questo rationale. In particolare, rispunta l’argomento dell’asserita
irriferibilità dell’istituto della simulazione all’accordo di separazione
consensuale «per via dell’intervento di un organo giudiziario sovraordinato, il
Presidente del tribunale». La tesi, enunciata al dichiarato scopo di costituire
una sorta di giustificazione «di rincalzo» rispetto alla precedente («Ad abundantiam, poi, il Collegio dà atto
che sussiste un autorevole orientamento giurisprudenziale…»), appare però
subito con questa inconciliabile: il presupposto di applicabilità della regola ex art. 1415 c.c. risiede, per
l’appunto, nella possibilità di ritenere l’atto nullo per simulazione.
Di
fronte, poi, al motivo – «aggiunto» in corso di causa in via subordinata –
dell’asserita intervenuta riconciliazione, il tribunale nega che l’art. 184
c.c. possa estendersi a colpire la posizione di terzi ignari della sopravvenuta
ricostituzione del regime legale. Lasciando però da parte tale ultimo
argomento, estraneo alla presente analisi, non potrà farsi a meno di rimarcare
come la questione qui discussa venga a toccare il tema, quanto mai delicato,
della pubblicità delle cause di scioglimento della comunione legale tra
coniugi.
In
proposito, fermo restando che, tanto l’accertamento giudiziale della
simulazione (della separazione consensuale, del divorzio su domanda congiunta,
così come delle relative intese), quanto la pronunzia di annullamento o di
revoca, sfuggono alla annotazione a margine dell’atto di matrimonio [166], non rimane che riconoscere alla trascrizione sui
pubblici registri immobiliari e mobiliari delle relative domande giudiziali la
funzione di disciplinare i confitti con i terzi aventi causa in relazione a
diritti relativi a beni immobili o mobili registrati acquistati in base ad atti
soggetti alla trascrizione.
Così,
per esempio, il coniuge interessato a far valere nei confronti dei terzi i
diritti ex art. 184 c.c. sui beni
immobili o mobili registrati acquistati medio
tempore, cioè a dire in costanza di apparente regime di separazione
instauratosi in seguito ad una fittizia (o viziata) causa di scioglimento ex art. 191 c.c., potrebbe procedere
alla trascrizione contro l’altro coniuge della domanda diretta a colpire la
validità e/o gli effetti della separazione consensuale (o del divorzio su
domanda congiunta), nonché alla trascrizione (ex art. 2653, n. 1, c.c.) della domanda (logicamente conseguente,
ma che ben potrebbe essere proposta contestualmente alla prima) di accertamento
della persistenza del regime legale e del carattere comune del bene in
questione. E lo stesso potrebbe valere anche per altre situazioni non
annotabili a margine dell’atto di matrimonio, ma influenti su di una causa di
scioglimento del regime legale: si pensi, per tutte, alle azioni tendenti alla
declaratoria di nullità per un qualsiasi motivo (magari, ancora una volta, per
simulazione), o alla pronunzia di annullamento, di una convenzione di
separazione dei beni.
Ecco
riemergere, dunque, ancora una volta, quella funzione della trascrizione sui
registri immobiliari «integrativa» e «correttiva» rispetto alla annotazione a
margine dell’atto di matrimonio, già prospettata quasi vent’anni fa dallo
scrivente [167] in merito ai tormentati rapporti tra gli artt. 162 e
2647 c.c.: problema – sia consentito aggiungerlo – che non sembra
definitivamente risolto neppure dagli interventi legislativi succedutisi negli
ultimi anni. Basti dire, a tacer d’altro, che il d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396
(Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2,
comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), continua a non prevedere
l’annotazione della sentenza dichiarativa di fallimento, così come del ricorso
per separazione legale e che la lacuna non può certo essere colmata con il
rinvio, pure ipotizzato a suo tempo da parte della dottrina [168], all’art. 23, primo comma, l. 6 marzo 1987, n. 74 [169], posto il carattere sicuramente non processuale della
norma divorzile [170] di cui si propugna l’estensione. A ciò s’aggiunga
comunque – e l’accenno sarà forzatamente telegrafico, ma lo sviluppo della considerazione
ci porterebbe veramente troppo lontano – che sulla permanente operatività degli
artt. 706 ss. c.p.c. (e dunque, implicitamente, sulla inapplicabilità alla
separazione delle disposizioni processuali in materia di divorzio) è
intervenuta una «interpretazione autentica» da parte di un Legislatore che,
passando a pie’ pari sopra un dibattito in corso ormai dal 1987, sembra dare
per pacifica l’inapplicabilità della disciplina processuale del divorzio alla
separazione personale: intendo, più esattamente, qui riferirmi alle
disposizioni della legge 4 aprile 2001, n. 154 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari), le quali
(cfr. in particolare l’art. 8) fanno espresso e ripetuto rinvio agli artt. 706
e seguenti c.p.c.
Fin
qui si è discorso del coniuge interessato ad opporre ai terzi la realtà di una
persistente situazione di comunione legale. Si potrebbe peraltro ipotizzare
anche la possibilità – accogliendo il suggerimento proposto da chi scrive in
merito alla soluzione dei complessi problemi posti dagli aspetti pubblicitari
dei regimi matrimoniali [171] – che terzi eventualmente interessati a dimostrare il
carattere (in realtà) comune dei beni acquistati dopo che si sia verificata la
causa di scioglimento apparente (si pensi ai creditori della comunione), siano
legittimati a far prevalere la realtà sull’apparenza, provando, per l’appunto,
il carattere meramente fittizio della (apparente) causa di scioglimento del
regime legale [172]. Il discorso non potrebbe però valere in questo caso
che per la simulazione, atteso che l’azione diretta ad ottenere la pronunzia di
annullamento per un vizio del consenso è per definizione rimessa nelle mani
della sola parte il cui consenso sia stato dato per errore, estorto con
violenza o carpito con dolo.
[1] D. 24.1.64 (Iavolenus 6 ex post. lab.). Il passo così prosegue: «Sed verum est,
quod Proculus et Caecilius putant, tunc verum esse divortium et valere
donationem divortii causa factam, si aliae nuptiae insecutae sunt aut tam longo
tempore vidua fuisset, ut dubium non foret alterum esse matrimonium: alias nec
donationem ullius esse momenti futuram». Naturalmente, il divorzio sulla cui
simulazione si discute è il primo, come risulta anche dal commento di Viviano
riportato in margine al passo in oggetto in Digestum
vetus, seu pandectarum iuris civilis tomus primus, Venetiis, 1592, c. 2622:
«Ab uxore mea diverti: et postea ei donavi, ut ad me rediret, et redijt: tandem
iterum divertit. An valeat donatio? Et dicitur, quod sic, si verum divortium
fuit illud primum, quod ante sit verum postea exponit. Vivia[nus]».
[2] Per altri passi del medesimo tenore cfr. D.
24.1.35 (Ulpianus 34 ad ed.: «Si non
secundum legitimam observationem divortium factum sit, donationes post tale
divortium factae nullius momenti sunt, cum non videatur solutum matrimonium»),
nonché D. 24.1.27 (Papin. lib. I definit.:
«Si liberis sublatis reversa post jurgium, per dissimulationem mulier, veluti
venali concordia ne dotata sit, conveniat: conventio secundum ordinem rei
gestae, moribus improbanda est»), quanto meno stando all’interpretazione che di
tale ultima fonte dà Pothier, Pandectae justinianeae in novum ordinem
digestae, II, Lugduni, 1782, p. 38, secondo cui nel brano si farebbe
riferimento al caso di una coppia che aveva fatto apparire come un vero
divorzio quella che, in realtà, era solo una separazione temporanea (jurgium), al fine di effettuare una donazione
(nella forma di esclusione della costituzione in dote, nel «nuovo» matrimonio,
dei beni già ripresi per effetto del precedente simulato divorzio), vietata inter coniuges. Pothier (op. loc.
ultt. citt.) ne conclude che «si simulatum fuit divortium, non valebit
donatio interim facta».
[3] C. 5.17.3 (Impp. Diocletia. et Maximia. AA. Tullio): «Dubium non est, omnia
omnino, quae consilio recte geruntur, iure meritoque effectu, et firmitate
niti. Quare si tu dotem pro muliere dedisti, et ex morte eius repetitionem
stipulatus es, circumscribendi autem tui causa ficto repudio matrimonium brevi
tempore rescissum est: res dotales, quas ante nuptias obtulisti, praeses
provinciae recipere te non dubitabit. Certum est enim daturum operam
moderatorem provinciae, ut quae contra fas gesta sunt, fructum calliditatis
obtinere non possint: cum nobis hiusmodi commenta displiceant. Imaginarios enim
nuncios, id est repudia nullius esse momenti, sive nuptiis fingant se
renunciasse, sive sponsalibus etiam veteribus iuris auctoribus placuit».
[4] C. 5.12.30 (Imp. Iustinianus A. Mennae): «… cum constante etiam matrimonio
posse mulieres contra maritorum parum idoneorum bona hypothecas suas exercere,
iam nostra lege humanitatis intuitu definitum sit: ficti divortij falsa dissimulatione
in huiusmodi causa, quam nostra lex amplexa est, stirpitus eruenda».
[5] Cuiacio, In libro IV
Codicis recitationes solemnes. Ad Tit. XII. De jure dotium, in Jacobi Cujacii JC. Tolosatis Opera ad parisiensem
fabrotianam editionem diligentissime exacta auctiora atque emendatiora in tomos
x. distributa, 7, Prati, 1864, c. 884 s.: «Nam possunt conjuges simulare
divortium, vel in fraudem stipulatoris, qui excepit sibi dotem, quam dedit pro
muliere in casum mortis, non in casum divortii, ut in l. 3. inf. de repud. vel in hoc proposito possent simulare
divortium, ut marito nondum everso facultatibus, ipso mulier quasi facto
divortio praecipiat res dotales, et excludat antiquiores creditores mariti.
Denique possunt simulare divortium in fraudem antiquiorum creditorum mariti, ut
reipsa manente matrimonio, factoque divortio, mulier se ponat res dotales,
summotis creditoribus antiquioribus, et parum aut nihl restet ex residuis bonis
mariti».
[6] Cfr. il commento in margine
a C. 5.17.3 in Codicis D.N. Iustiniani
Sacratiss. Principis PP. Aug. Repetitae Praelectionis Libri XII. Diligenter
recogniti (…) opera et studio Petri ab Area Baudoza Cestii I.C., Lugduni,
1593, c. 940: «Pater dedit dotem pro filia, et stipulatus est eam sibi reddi
solu[to] matrimonio morte. Mulier finxit se velle divertere a marito sine culpa
mariti, sed sua: ut sic maritus dotem lucraretur. An talis dolus filiae obsit
patri, quaeritur? Dicitur quod non: quia talis fraus principi displicet: et
ideo firmitatem non habebit: quia tantum ea debent obtinere firmitatem, quae
recte, et cum consilio geruntur. (…) Unde non obstante tali fraude, potest
pater dotem repetere in casu solu[ti] matrimo[nii] morte». V. inoltre sul punto
il parere di Brunnemann, Commentarius in duodecim libros codicis
iustinianei, Lugduni, 1669, p. 291: «Divortium maritus aut uxor facere
potest, sed non simulare in praeiudicum tertij, v[erbi] g[ratia] si filia
propterea simulet se divertere, ut maritus retineat dotem (…) quam pater soluto
matrimonio sibi reddi stipulatus erat. Alius casus divortij simulati et
fraudulenti in l. 59. ff. Sol. Matr.
[D. 24.3.59] ubi Uxori aegrae maritus mittit divortium, ut ea mortua dotem eius
haeredibus potius, quam Patri ex stipulatu restitueret» (su quest’ultimo caso
cfr. anche Barbosa, De Matrimonio, et pluribus aliis materiebus,
II, Lugduni, 1668, p. 194).
[7] Il riferimento è alla
pellicola dal titolo Anche i
commercialisti hanno un’anima, con Renato Pozzetto, Enrico Montesano e
Sabrina Ferilli. Sui timori circa il diffondersi di questa pratica al fine di
evitare il «cumulo dei redditi» un tempo in vigore per le coppie coniugate (e
non separate) cfr. Rodotà, Il cumulo dei redditi. Marito, moglie e
tasse, in Il giorno, 1975
(l’articolo è riassunto in C.E.D. – Corte
di cassazione, Arch. DOTTR, pd. 137500125).
[8] Cfr. per esempio l’interessante quadretto di
costume riferito dallo studioso canadese Dufresne,
La quantophrénie, al sito web seguente:
http://agora.qc.ca/reftext.nsf/Documents/Pauvrete--Les_statistiques_par_Jacques_Dufresne:
«La scène se passe dans une entreprise de transport par camion. Un chauffeur
vient demander à son patron de lui donner l’adresse d’un bon avocat. Pour
quelle raison? demande le patron. ‘Pour un divorce’, répond-il. Et il ajoute,
un peu mal à l’aise: ‘Rassurez-vous, pas pour un vrai divorce...Vous comprenez,
ma femme ira vivre chez sa mère, on croira qu’elle a un appartement à elle...
Comme ça nous aurons droit à des prestations accrues de l’État’. Le patron,
comme il me l’a lui-même avoué, a été tenté de congédier cet employé
sur-le-champ (…). Et que penser des avocats qui se prêtent à de telles
combines? Voilà un exemple de ce qu’un système trop centralisé de lutte contre
la pauvreté a fait de notre société. Je précise que le chauffeur de camion en
cause gagne 50.000$ [si tratta di dollari canadesi, n.d.a.] par année et vit seul avec sa femme. Et j’ajoute que tous
ses collègues connaissent ses petites combines, ce qui ne doit pas les inciter
au zèle dans le règlement de leurs comptes avec l’État. Si dans le cas d’une
aide de ce genre, le pouvoir décisionnel se trouvait au niveau du quartier ou
du village, jamais notre chauffeur et sa digne épouse n’auraient même songé à
leur divorce fictif».
Per un caso francese di divorzio simulato
destinato a permettere a uno dei coniugi, a seguito di un successivo matrimonio
(simulato), di acquistare una nuova cittadinanza, cfr. App. Lyon, 16 gennaio
1980, in Gaz. Pal., 1980, 2, p. 428; D. 1981, 579; (Cassation) Civ. 1re,
17 novembre 1981, in JCP, 1982, II,
19842.
[9] Cfr. ad es. artt. 12 TUIR; 15, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; 4, d.lg. 29 aprile 1998, n. 124.
[10] Per alcuni approfondimenti al riguardo cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, Milano, 2000, p. 214 ss.; Id., Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Roppo, VI, Interferenze, a cura di Roppo, Milano, 2006, p. 323 ss.; v. inoltre quanto verrà illustrato infra (nel § 10). Sui timori di elusione
fiscale legati ai trasferimenti immobiliari tra coniugi in crisi cfr. inoltre Milone, Le vicende tributarie delle sentenze di separazione personale e di
divorzio, in Vita notarile, 1977,
p. 220 ss. (ma per una critica cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti
tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 257 s.); sui
timori di frodi correlate alle assegnazioni d’immobili di edilizia residenziale
pubblica cfr. Ieva, Trasferimenti mobiliari ed immobiliari in
sede di separazione e di divorzio, in Riv.
notar., 1995, I, p. 473 ss. (sul punto v. anche Oberto, Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 254 ss.).
[11] L. Jouanneau,
C. jouanneau e Solon, Discussions du code civil dans le Conseil d’Etat, I, Paris, 1805,
p. 333; cfr. inoltre Locré, Esprit du code Napoléon, III, Paris,
1806, p. 316.
[12] Per quelle, di analogo genere, espresse da
altri componenti del Consiglio di Stato, cfr. Locré,
op. loc. ultt. citt.
[13] Locré, op. cit., p. 317.
[14] Sul punto, in termini quanto mai espliciti,
v. il resoconto di Locré, op. cit., p. 344 ss.: «La séparation de
corps par consentement mutuel deviendroit infiniment plus abusive que le
divorce même, parce que dans la pratique, elle seroit incompatible avec les
mêmes restrictions. En effet, tant que les époux ne feorient que déroger aux
clauses principales de leur contrat, sans dissoudre le contrat lui-même, il
seroit déraisonnable d’exiger d’eux ces conditions d’âge et ce consentement des
ascendans, qui ajoutent tant de poids à leur volonté lorsqu’elle a le divorce
pour objet (…). Il seroit sur-tout déraisonnable d’interdire à ces époux la
faculté de se réunir, puisque c’est cet espoir qui fait encore subister le
lien. Ainsi ils pourroient se jouer sans pudeur de la société qu’ils ont
formée, la quitter et la reprendre au gré de leurs fantaisies, insultant également
à la dignité du mariage par le scandale de leurs divisions (…) ; tandis qu’au
contraire le divorce, soumis aux sages conditions que la loi lui impose, rend
une seconde union impossible entre ces mêmes époux».
[15] Locré, op. cit., p. 346. Per la dottrina cfr.,
innanzi tutto, Demolombe, Cours de code Napoléon, IV, Du mariage et de la séparation de corps,
Paris, 1854, p. 506, secondo cui la ragione del divieto della separazione
consensuale andava cercata nella necessità di evitare il rischio che questa
fosse «frauduleuse, parce que la séparation de corps emportant toujours la
séparation de biens, aurait pu offrir ainsi aux époux le moyen facile de
tromper leurs créanciers (articles 311, 1443). Ajoutez enfin que la faculté, et
peut-être même l’espoir de se réunir plus tard, que les époux auraient toujours
conservé, auraient multiplié scandaleusement ces sortes de séparations
volontaires»; nello stesso senso v. inoltre Proudhon,
Cours du droit français, I,
Paris, 1810, p. 334 s.; Duranton, Cours de droit français suivant le code
civil, 2, Paris, 1825, p. 481 ss.; Rogron,
Code civil expliqué, Paris,
1840, p. 154 s.; Toullier, Le droit civil français, suivant l’ordre du
code, Bruxelles, 1845, p. 182 ss.; Valette,
Explication sommaire du livre
premier du code Napoléon et des lois accessoires, Paris, 1859, p. 140; Massol, De la séparation de corps, Paris, 1875, p. 406 s. («il était
surtout prudent d’empêcher dans l’intérêt des tiers que le seul consentement
des époux ne produisit la séparation de corps, qui entraîne toujours celle des
biens. Ce serait le moyen de commettre des fraudes, puisque les créanciers
n’ont pas le droit d’intervenir dans l’instance en séparation de corps»); Laurent, Principes de droit civil, III, Bruxelles, 1878, p. 365 ss., 368. In
questa stessa ottica va anche letta la disposizione di cui all’art. 1443 cpv.
del Code Napoléon, secondo cui «toute
séparation [de biens] volontaire est nulle».
[16] Unitamente, va detto per completezza, al
timore di attentare all’indissolubilità del vincolo: «L’engagement du mariage
étant formé par Dieu lui-même, non seulement il est indissoluble, mais il ne
doit pas même être permis aux parties qui l’ont contracté, de donner la moindre
atteinte aux effets qu’il doit produire, sans de grandes causes, dont le mérite
doit être examiné et reconnu par le Juge» (Pothier, Traité du contrat de mariage, in Traités sur différentes matières de droit
civil, III, Paris-Orléans, 1781, p. 378).
[17] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
Milano, 1999, p. 90 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali
della crisi coniugale e dello scioglimento del
matrimonio nella prospettiva storica, Nota a Cass., 20 marzo 1998,
n. 2955, in Foro it., 1999, I, c.
1317 ss.
[18] Oltre alle opere citate ed
alle considerazioni sviluppate nei lavori citati supra, alla nota precedente (relativamente, per lo più, alla séparation de corps), si vedano i
numerosi casi riportati dagli autori qui di seguito citati (relativi, sovente,
anche alla séparation de biens): Charondas Le Caron, Responses et décisions du droict françois, Paris, 1612, p. 451; Brodeau, Recueil d’aucuns notables arrests donnez en la cour de parlement de
Paris, pris des mémoires de Mons. Maistre Georges Loüet conseiller du Roy en
icelle, II, Anvers, 1666, p. 404 ss.; Jovet,
La bibliothéque des arrests de
tous les parlemens de France, Paris, 1669, p. 239 s.; Bardet, Recueil d’arrests du parlement de Paris, I, Paris, 1690, p. 71,
281, 526; Id., Recueil d’arrests du parlement de Paris,
II, Paris, 1690, p. 308, 600; Despeisses,
Oeuvres, I, Lyon, 1696, p.
175; Brillon, Dictionnaire des arrests, ou jurisprudence universelle des parlemens de
France, et autres tribunaux, III, Paris, 1711, p. 552; Blondeau e Guéret, Journal du
palais, ou recueil des principales décisions de tous les parlemens et cours
souveraines de France, I, Paris, 1737, p. 179; Augeard, Arrests
notables des différens tribunaux du royaume, Paris, 1756, p. 91; Denisart, Collection de décisions nouvelles et de notions relatives à la
jurisprudence actuelle, III, Paris, 1764, p. 65 ss.; Russeaud de la Combe, Recueil de jurisprudence civile du pays de
droit écrit et coutumier, par ordre aphabétique, Paris, 1769, p. 639; Basnage, Commentaires sur la coutume de Normandie, in Oeuvres de maître Henri Basnage, II, Rouen, 1778, p. 90 ss.; Merlin, Recueil alphabétique des questions de droit qui se présentent les plus
fréquemment dans les tribunaux, V, Paris, 1820, p. 627 ss.; Id., Dizionario
universale ossia repertorio ragionato di giurisprudenza e questioni di diritto,
ed. italiana, XIII, Venezia, 1842, p. 18 ss. (secondo cui una separazione di
beni non avrebbe avuto effetto «quando apparisca che la separazione sia stata
concertata per mascherare un vantaggio che uno dei coniugi volesse fare all’altro
contro il divieto della consuetudine»). Sull’origine canonistica del principio
in esame v. per tutti van Espen, Jus ecclesiasticum universum caeteraque
scripta omnia, decem tomis comprehensa, II, Venetiis, 1769, p. 200 s.;
VIII, Venetiis, 1769, p. 128 s.; Cosci, De separatione tori coniugalis, tam nullo
existente seu soluto, quam salvo vinculo matrimonii, ejusque effectibus,
Florentiae, 1856, p. 453 ss.; Esmein, Le mariage en droit canonique, II, 1891,
p. 89 s.
[19] E’ il caso della decisione del Parlamento di
Parigi in data 14 febbraio 1602, riportata da Chenu,
Cent notables et singulières
questions de droict, Paris, 1606, p. 227.
[20] E’ il caso della decisione del Parlamento di
Aix del 19 febbraio 1685, di cui riferisce Merlin,
Dizionario universale ossia
repertorio ragionato di giurisprudenza e questioni di diritto, ed.
italiana, III, Venezia, 1835, p. 766 s.; cfr. inoltre Basnage, op. cit.,
p. 91.
[21] In generale sui patti di séparation amiable v. anche Richardot,
Les pactes de séparation amiable,
Paris, 1933, citato da Lefebvre-Teillard,
Introduction historique au droit
des personnes et de la famille, Paris, p. 160.
[22] Personale, così come dei beni: i due istituti
erano sovente trattati congiuntamente e talora confusi tra di loro, visto che
il primo determinava automaticamente anche il secondo.
[23] Ferrière,
Dictionnaire de droit et de
pratique, II, Paris, 1769, p. 593 (cfr. inoltre gli autori citati alla nota
seguente).
[24] Le
Prestre, Questions notables de
droict, Paris, 1663, p. 191 s.: «Les Iuges ne doivent pas rendre faciles et
indulgens à la séparation demandée par l’un des deux conioints. Et du Molin
écrit en l’Apostille du 123. article de la Coustume de Mont-fort, que la separation
d’entre mary et femme n’est valable, si elle n’est faite par Sentence de Iuge,
et partage executé sans fraude, et non si par mauvaise teste ou mauvais
gouvernement elle estoit seulement separée de fait, cest à dire que sur une
querelle survenuë, elle se fust absentée et retirée de la maison de son mary,
et que par connivence il negligeast de la reprendre (…). Ioint aussi que le
Iuge doit bien prendre garde que les parties ne s’accordent cauteleusement et
en fraude de leurs creanciers à se separer, qui est une des choses la plus à
considerer en matière de ces procez de separation»; cfr. inoltre d’Argentré, Commentarii in patrias Britonum leges, seu Consuetudines generales
antiquissimi Ducatus Britanniae, Parisiis, 1661, p. 1511: «nobis nulla
separatio ex bona gratia fit, ut olim ex l. si constante. C. de repud.
praeterquam ea, quae ex consensu fit religionis causa: Certe, ni fallor, omnes
in invitos fiunt. Voluntaria saepe est illa bonorum usurpata Cenomanis,
Andibus, Normanis, nobis pene inaudita usu, nec expedit, quia nunquam sit sine
fraude creditorum, cum subinde illi inducunt, iterant rursum: sed raro nisi
fraude»; Brodeau, op. cit., p. 403: «du Molin en ses
Annotations, sur le cent vingt troisiéme article de la Coustume de Montfort,
desire que telle separation se fasse par Sentence du Iuge, causa cognita, et par partage des meubles de la communauté, qui
soit executé ; ce qui est assisté de grande raison, dautant que telle
separation estant de l’honnesteté publique, ne doit dépendre de la nuë volonté
des particuliers : qu’il se presenteroit de grandes fraudes, que la moindre
colere de l’un des deux conioints, emporteroit comme une espece de divorce: que
par la mesme legereté que telles conventions se feroient, elles se deferoient :
ce ne seroient que tromperies». Sempre nello stesso senso v. poi anche Le Maistre, Les plaidoyez et harangues de monsieur Le Maistre, Paris, 1659, p.
211; [Gibert], Tradition ou histoire de l’eglise sur le
sacrement du mariage, Paris, 1725, p. 350 s.; Duperray, Traité des
dispenses de mariage, de leur validité ou invalidité, et de l’état des
personnes, Paris, 1730, p. 499 s.; Bornier,
Conférences des ordonnances de
Louis XIV. Roy de France et de Navarre avec les anciennes ordonnances du
royaume, le droit écrit et les arrests. Enrichies d’annotations et de décisions
importantes, II, Paris, 1744, p. 652 s.; Duplessis,
Traité douzième. De la communauté
de biens entre conjoints, in Traités
de Mr Duplessis, ancien avocat au parlement, sur la coutume de Paris. Avec des
notes de MM. Berroyer et de Laurière, I, Paris, 1754, p. 432 (e note [bbb] e [ccc]); Bourjon, Le droit commun de la France et la coutume
de Paris, Paris, 1770, p. 604 s. (sulla séparation
de biens), 608 ss. (sulla séparation
de corps); Fevret, Traité de l’abus et du vrai sujet des appellations qualifiées du nom d’abus,
II, Lausanne, 1778, p. 101 ss.
[25] Sull’argomento v. per tutti Le Brun, Traité de la communauté entre mari et femme, Paris, 1709, p. 279
s.; Renusson,
Traité de la communauté de biens,
entre l’homme et la femme conjonts par mariage, I, Paris, 1760, p. 56; Pothier, Traité de la communauté, in Traités
sur différentes matières de droit civil, III, Paris-Orléans, 1781, p. 728
s.; Merlin, op. cit., III, p. 772 ss. Si noti poi che alcune coutumes prevedevano il divieto di
stipula di séparations de biens
conventionnelles: il più celebre esempio era costituito dall’art. 198 della
coutume d’Orléans, di cui riferisce
Pothier, Coutumes des duché, bailliage et
prévôté d’Orléans, et ressort d’iceux, Paris-Orléans, 1776, p. 537 ss.
[26] Su cui cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 82 ss.; Id., Gli
accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello
scioglimento del matrimonio nella
prospettiva storica, cit., c. 1314 ss.
[27] Pothier,
Traité de la communauté, cit.,
p. 728 s.; Bourjon, op. cit., p. 605 («Les séparations de
biens étant presque toujours des épouventails, dont les débiteurs injustes se
servent pour écarter leurs créanciers et mettre leurs meubles à couvert de la
poursuite de ces deniers, sont regardées comme peu favorables […]. Elles sont
quelquefois employées pour servir à des avantages indirects, et pour appliquer
au profit de la femme tout le bénéfice de la communauté, aquel cas telles séparations
sont, comme le disoit Tertulien, divortium
concordiae, et la justice en anéantit l’effet : arrêt du 4 mai 1677,
rapporté dans le troisieme volume du journal des audiences, liv. 11, ch. 14 ;
c’est dans cet aspect qu’elles sont défavorables ; mais non lorsqu’il y a une
base légitime à cette séparation»); sui rapporti tra immutabilità delle
convenzioni matrimoniali e divieto di donazioni tra coniugi cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p.
170, nota 30.
[28] Renusson, op. cit.,
p. 56. L’intento di evitare frodi ai creditori, che dovevano, evidentemente,
essere quanto mai frequenti, si pone alla base di un curioso reglement pour les separations emesso il
5 febbraio 1624 (ma, a quanto pare, mai registrato dal Parlamento di Parigi)
dal Lieutenant Particulier, Civil et
Criminel des Bailliage et Siége Présidial d’Orléans, nel quale, dato atto
«de la multitude de separations de biens qui se font ordinairement entre homme
et femme conjoints par mariage, en fraude de leurs Créanciers, et
clandestinement avec prémediation de banqueroutes, faillites, cessions et
abandonnements de biens, ainsi que par l’experience du passé il est assez
notoire», nonché dell’inadeguatezza a contrastare tale fenomeno delle formalità
previste dall’art. 198 della consuetudine locale (che prevedevano la necessità
di pubblicazione, registrazione ed esecuzione delle sentenze di separazione dei
beni) si disponeva, tra l’altro, che «toutes lesdites Sentences de separations
de biens d’entre mary et femme seront publiés aux Prônes des Messes des
Paroisses de la demeure de ceux entre lesquels elles auront été données ;
ensemble és Frous et Carrrefours ordinaires, à son de Trompe ou Tambour et cry
public, és jours de marché des lieux où elles auront esté obtenuës» (cfr. Coutumes des duché, bailliage, et prevosté
d’Orléans, et ressorts d’iceux, avec les notes de Mr Henry Fornier […] et les
notes de M. Charles Dumoulin, sur l’Ancienne Coûtume d’Orléans, Orléans,
1711, p. 126 ss.).
[29] Sul tema cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 494 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali
della crisi coniugale e dello scioglimento del
matrimonio nella prospettiva storica, c. 1306 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in
via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 171 ss.; Id., Gli
accordi preventivi sulla crisi coniugale, in Familia, 2008, p. 25 ss.
[30] Sugli effetti, al di là
dell’Oceano, dell’introduzione del no
fault divorce e sulla conseguente ammissione della liceità dei prenuptial agreements in contemplation of
divorce si fa rinvio per tutti a Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 493 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of
divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi
coniugale, cit., p. 171 ss.
[31] Cfr. per tutti Mantica, Vaticanae lucubrationes de tacitis et ambiguis conventionibus, in
libros XXVII. dispertitae, II, Genevae, 1723, p. 66: «In primis autem
admonendi sumus, quod inter contractum simulatum, et fraudulentum, magna est
differentia: quia contractus simulatus est imaginarius, qui fingitur, neque eo
modo quo fingitur, neque alio contrahitur (…). Contractus autem fraudulentus is
est, qui cum dolo celebratur, et vere eo animo contrahitur, ut effectum
sortiatur».
[32] Betti, Teoria generale del negozio giuridico,
Torino, 1950, p. 397.
[33] In generale, sui rapporti tra simulazione e
frode – questione certamente troppo ampia per poter essere anche solo sfiorata
in questa sede – cfr. Laurent, Principes de droit civil, XVI,
Bruxelles, 1878, p. 578 ss.; Fr. Ferrara Sen.,
Della simulazione dei negozi giuridici,
Roma, 1922, p. 67 ss.; Planiol, Traité élémentaire de droit civil, II, Paris,
1923, p. 402; Colin e Capitant, Cours élémentaire de droit civil français, II, Paris, 1931, p. 62
s.; Butera, Della simulazione nei negozi giuridici e degli atti «in fraudem legis»,
Torino, 1936, p. 54 ss.; Carraro, Il negozio in frode alla legge, Padova,
1943, p. 104 ss.; Distaso, Simulazione dei negozi giuridici, in Noviss. dig. it., XVII, Torino, 1970, p.
412 ss. Per ulteriori richiami alle opere in tema di simulazione cfr. per tutti
Distaso, op. cit., p. 359 ss.; Casella, Simulazione (dir. priv.), in Enc.
dir., XLII, Milano, 1990, p. 593 ss.; Perego,
La simulazione nel matrimonio
civile, Milano, 1980; Id., Simulazione del matrimonio (dir. priv.),
in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p.
615 ss.; Gentili, Simulazione dei negozi giuridici, in Digesto quarta edizione, Discipline
privatistiche, Sezione civile, XVIII, Torino, 1998, p. 511 ss.
[34] Cfr. per il Comune di Torino, l’articolo di Martinengo, Divorzio all’italiana per un posto al nido, in La Stampa, 4 maggio 2004, p. 45.
[35] Cfr. l’articolo di delle Foglie, Vuoi pagare meno imposte? Divorzia, dice il fisco, in Avvenire, 18 aprile 2008, p. 6.
[36] Cfr. delle
Foglie, Vuoi pagare meno imposte?
Divorzia, dice il fisco, loc. ult. cit., che riporta l’esempio di una
coppia in cui solo lui lavori e percepisca un reddito attorno ai settantamila
euro. In questo caso l’aliquota fiscale che si applica è quella del 41%. Ora,
se il marito, dopo la separazione, deve versare ventimila euro alla moglie,
detratta questa cifra, l’aliquota scende e il risparmio di imposta (per lui) è
superiore agli ottomila euro. Se è vero che anche la moglie separata deve
pagare le tasse, va subito aggiunto che l’aliquota inferiore (23%), determinerà
un esborso di 4.600 euro di imposte. In definitiva, i falsi separati
risparmieranno complessivamente 3.400 euro.
[37] Cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, Milano, 1999, p. 1299 ss.. Si noti che la Consulta (cfr. Corte cost., 18 febbraio 1988, n. 186) ha dichiarato illegittimo l’art. 158 c.c. nella parte in cui non prevede che il decreto di omologazione della separazione consensuale costituisca titolo per iscrizione dell’ipoteca giudiziale. Per la giurisprudenza di legittimità v. Cass., 10 settembre 2004, n. 18248.
[38] Per una panoramica al riguardo cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1199 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano,
2000, passim; Id., Contratto e
famiglia, cit., p. 323 ss.
[39] In senso contrario v. peraltro la decisione della Cassazione del 2003, di cui verrà detto ampiamente infra, § 5.
[40] Cass., 5 marzo 2001, n. 3149, in Familia,
2001, p. 769, con nota di Oberto, Simulazioni e frodi nella crisi coniugale
(con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), ivi, p. 774 ss.
[41] Nelle sue forme, beninteso,
tanto assoluta che relativa, con l’unica precisazione che la prima è l’unica
immaginabile per il caso della simulazione della separazione (o del divorzio),
mentre l’alternativa tra le due tradizionali forme di manifestazione del
fenomeno simulatorio si ripresenta per ciò che attiene alle condizioni della
separazione (o del divorzio).
[42] Stando, almeno, al resoconto che dello
«svolgimento del processo» fa la sentenza di legittimità.
[43] La violenza (morale) presuppone infatti
comunque la presenza di un consenso, ancorché viziato (etsi coactus, tamen volui, secondo il noto brocardo); rileva
l’intrinseca contraddittorietà di una domanda fondata, in relazione agli stessi
fatti, sul dolo e sulla simulazione di un accordo di separazione App. Milano,
22 febbraio 1983, in Dir. fam. pers.,
1983, p. 578.
[44] Così, infatti, parrebbe doversi leggere il
richiamo in motivazione al fatto che il marito «aveva minacciato [la moglie] di
impadronirsi della casa coniugale».
[45] Così afferma testualmente la motivazione:
«restando quindi l’allegazione degli eventuali vizi dell’accordo di
separazione, ovvero della sua simulazione, rimessi al giudizio ordinario,
secondo le regole generali».
[46] Cass., 24 febbraio 1993, n.
2270, in Corr. giur., 1993, p. 820,
con nota di Lombardi; in Giust. civ., 1994, I, p. 213, con nota
di Sala; in Giust. civ., 1994, I, p. 912; in Dir. fam. pers., 1994, p. 554, con nota di Doria; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, in Dir. fam. pers., 1994, p. 868; in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 710,
con nota di Ferrari; in Giur. it., 1994, I, 1, c. 1476; in Vita notarile, 1995, I, p. 126, con nota
di Curti; in Foro it., 1995, I, c. 2984 (si noti che le motivazioni delle due
decisioni – redatte dal medesimo estensore – sono pressoché identiche).
Successivamente, Cass., 28 luglio 1997, n. 7029 ha ribadito che «in tema di
separazione consensuale, le modificazioni pattuite dai coniugi antecedentemente
o contemporaneamente all’accordo omologato sono operanti soltanto se si
collocano in posizione di non interferenza rispetto a quest’ultimo o in
posizione di maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato». Il medesimo rationale sembra porsi alla base anche
di Cass., 11 giugno 1998, n. 5829, secondo cui «Le modificazioni degli accordi,
convenuti tra i coniugi, successive all’omologazione della separazione ovvero
alla pronuncia presidenziale di cui all’art. 708 cod. proc. civ., trovando
legittimo fondamento nel disposto dell’art. 1322 cod. civ., devono ritenersi
valide ed efficaci, a prescindere dall’intervento del giudice ex art. 710 cod. proc. civ., qualora non
superino il limite di derogabilità consentito dall’art. 160 cod. civ. e, in
particolare, quando non interferiscano con l’accordo omologato ma ne
specifichino il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti,
all’evidenza, con gli interessi ivi tutelati».
[47] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 363 ss., 368 ss.
[48] Espressamente nel senso della invalidità di
intese precedenti all’omologazione, se non contenute nel verbale di
conciliazione, v. Morace Pinelli, Separazione consensuale e negozi atipici
familiari, Nota a Cass., 11 novembre 1992, n. 12110, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 307; in
giurisprudenza v. Cass., 5 gennaio 1984, n. 14, in Dir. fam. pers., 1984, p. 473; in Giust. civ., 1984, I, p. 669; in Vita notarile, 1984, p. 407; in Riv.
notar., 1984, p. 375, 593, con nota di D’Anna;
in Giur. it., 1984, I, 1, c. 1691; in
Foro it., 1984, I, c. 401; Cass., 13
febbraio 1985, n. 1208, in Giust. civ.,
1985, I, p. 1654, con nota di A. Finocchiaro;
in Nuova giur. civ. comm.,
1985, I, p. 658, con nota di Zatti; in
Riv. notar., 1985, p. 1183; in Giur. it., 1986, I, 1, c. 118, con nota
di Di Loreto; in Dir. fam. pers., 1985, p. 510.
[49] Cfr. Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, cit.;
Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, cit.; Cass., 28 luglio 1997, n. 7029, cit.;
Cass., 11 giugno 1998, n. 5829, cit.
[50] App. Brescia, 16 aprile 1987, in Giur. merito, 1987, p. 843; App.
Palermo, 5 novembre 1988, citata in Aa.
Vv., Giurisprudenza del diritto di
famiglia: casi e materiali, a cura di M. Bessone, Milano, 1991, p. 198;
Pret. Cavalese, 21 gennaio 1987, in Giur.
merito, 1987, p. 843.
[51] Cfr. Trib. Marsala, 23 dicembre 1994, in Dir. fam. pers., 1995, p. 246, con nota
di Conte; in Dir. fam. pers., 1995, p. 1489, con nota di Sala.
[52] Cfr. V. Carbone,
Autonomia privata e rapporti
patrimoniali tra coniugi (in crisi), Nota a Cass., 22 gennaio 1994, n. 657,
in Fam. e dir., 1994, p. 145 s.; Ferrari, Ancora in tema di accordi fuori dal verbale di separazione, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 717;
Lombardi, La cassazione privilegia l’autonomia negoziale dei coniugi negli
accordi di separazione, Nota a Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270 e Cass. 13
gennaio 1993, n. 348, in Corr. giur.,
1993, p. 823 ss.; Sala, Accordi di separazione non omologati: un
importante riconoscimento dell’autonomia negoziale dei coniugi, Nota a
Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, in Giust.
civ., I, 1994, p. 220 s.; Caravaglios,
La comunione legale, Milano,
1995, p. 1199 ss.; Conte, Accordi modificativi successivi alla
separazione omologata e controllo giurisdizionale: tra moglie e marito non
metter... l’omologa, Nota a Trib. Marsala, 23 dicembre 1994, in Dir. fam. pers., 1995, p. 249; Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino,
1995, p. 18 ss.; Sala, Accordi successivi all’omologazione della
separazione ed autonomia negoziale dei coniugi, in Dir. fam. pers., 1995, p. 1493 s.; Morelli,
Il nuovo regime patrimoniale della
famiglia, Padova, 1996, p. 61 s.
[53] Così Doria,
Autonomia dei coniugi in occasione
della separazione consensuale ed efficacia degli accordi non omologati,
Nota a Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, in Dir.
fam. pers., 1994, p. 568; anche Angeloni,
Autonomia privata e potere di
disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, p. 259, rileva
esattamente che il criterio della «non interferenza» non ha alcun fondamento
nel diritto positivo vigente. Per ulteriori considerazioni critiche cfr. Sala, Simulazione dell’accordo di separazione consensuale?, Nota a Trib.
Roma, 14 dicembre 1998, in Fam. e dir.,
2000, p. 63.
[54] Ferrari,
op. cit., p. 717; G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, in Giust. civ., 1996, II, p. 392 s.
[55] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 215 ss.
[56] Su cui cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale,
II, cit., p. 1413 ss.
[57] Anche Cavallo,
Autonomia contrattuale e separazione
personale dei coniugi, Nota a Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in Corr. giur., 1991, p. 893 osserva che
«dal riconoscimento della possibilità per i coniugi di inserire, negli accordi
di separazione, pattuizioni non immediatamente riferibili al regime di separazione,
discende l’ulteriore corollario che la mancata omologazione della separazione
non può incidere sulla efficacia delle pattuizioni di natura meramente
patrimoniale»; nel senso che ai patti precedenti la separazione omologata
andrebbe comunque e sempre attribuito rilievo cfr. Dogliotti, op. cit.,
p. 18 s.
[58] Contra,
in conseguenza dell’asserita inammissibilità di intese non verbalizzate, A. Ceccherini, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento,
Milano, 1996, p. 192 ss.; in senso contrario alla tesi qui esposta sembra
orientato anche Dogliotti, op. cit., p. 18 s., secondo il quale, in
caso di contrasto tra accordi verbalizzati ed accordi coevi non verbalizzati,
dovrebbero essere sempre i primi a prevalere; dello stesso avviso dell’opinione
qui espressa appare invece V. Carbone, op. cit., p. 145.
[59] Cfr. Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 370; v. inoltre, per analoghe
considerazioni, Doria, Autonomia dei coniugi in occasione della
separazione consensuale ed efficacia degli accordi non omologati, cit., p.
568 s.
[60] Cass., 20 novembre 2003, n. 17607, in Corr. giur., 2004, p. 307, con nota di Oberto; in Giust. civ., 2004, I, p. 2982; in Dir. e giust., 2004, p. 36, con nota di Dosi; in Fam. dir., 2004, p. 473, con nota di Conte; in Vita notar., 2004, I, p. 156, con nota di Alcaro; in Nuova giur. civ. comm., con nota di Busi.
[61] Sul punto, per i necessari richiami v. infra, §§ 8 ss.
[62] Per considerazioni critiche su questo punto cfr. Oberto, Simulazione della separazione consensuale: la Cassazione cambia parere (ma non lo vuole ammettere), Nota a Cass., 20 novembre 2003, n. 17607, in Corr. giur., 2004, p. 309 ss.
[63] Peraltro smentita, come riconosciuto dalla stessa Cassazione, dall’art. 157 c.c.
[64] Cfr. artt. 1415 s., 2652, n. 4, 2690, n. 1, c.c. Sul punto v. infra, § 12.
[65] Cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p.171 ss.; cfr. inoltre Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 303 ss. Tale Autrice addebita impropriamente allo scrivente di voler «considerare risolto il problema dei patti sulle conseguenze del divorzio in base alla semplice constatazione del carattere patrimoniale della prestazione», rimproverandolo altresì di non aver svolto un’analisi sufficientemente attenta dei limiti di liceità e degli aspetti più specificamente familiari delle intese in oggetto e lodando invece chi ha individuato quale limite specifico del potere di disposizione degli interessati l’obbligazione alimentare (cfr. Ead., op. cit., p. 313, nota 37). Così facendo, la predetta, oltre a dimostrare di non aver letto (il che, ovviamente, non è grave; grave, invece, oltre che scorretto, è distribuire censure, senza conoscere il contributo che si critica) le parti del lavoro dello scrivente nelle quali – a ogni piè sospinto – si richiama la necessità del rispetto, nei contratti della crisi coniugale, delle regole d’ordine pubblico e dei principi inderogabili (cfr., a tacer d’altro, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 32, 249 ss.; II, cit., p. 1085 ss.), così come di quelle (inderogabili) proprie del diritto di famiglia e, tra di esse, prima tra tutte, quella relativa all’obbligo alimentare (cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 798 ss., 844 ss.; in tale contesto, si noti che proprio allo specifico tema degli accordi sull’obbligazione alimentare il sottoscritto dedica un’intera sezione: cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., da p. 844 a p. 861), sembra dimenticare (il che è ancora più grave) che, tra divorziati, l’obbligo alimentare non esiste…
[66] Come rilevato da Sacco, «può essere simulato (…) l’atto privato autorizzato da un pubblico ufficiale (partecipe o non partecipe dell’intesa simulatoria). La soluzione è ben sperimentata a proposito del contratto concluso dal padre in nome del figlio minore, con autorizzazione del giudice tutelare» (Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 393; con specifico riguardo all’accordo di separazione consensuale cfr. inoltre Butera, Della simulazione nei negozi giuridici e degli atti «in fraudem legis», Torino, 1936, p. 185).
[67] Cass., 20 marzo 2008, n. 7450.
[68] Cfr. ad esempio l’affermazione della moglie ricorrente secondo cui la stessa «si lasciò indurre a concludere l’accordo separatizio in via consensuale dalle numerose e maliziose assicurazioni del marito – tendenti appunto a carpirle la sottoscrizione per il consenso – di aver cessato i rapporti adulterini (...), ventilandole la possibilità di una (...) riconciliazione»
[69] E in questo senso la decisione si trova sicuramente in buona compagnia: v. le decisioni citate infra, § 7.
[70] Cfr., anche per gli
ulteriori rinvii dottrinali e giurisprudenziali, Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 28 ss.; in particolare, sulla natura
contrattuale dell’accordo di separazione consensuale, per ciò che attiene alle
intese d’ordine economico, cfr. Id., La natura dell’accordo di separazione
consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (I), in Fam. e dir., 1999, p. 601 ss.; Id.,
La natura dell’accordo di
separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (II), ivi, 2000, 86 ss.; Id.,
Contratto e famiglia, cit., p. 225
ss.
[71] Cfr. Santoro-Passarelli, L’autonomia
privata nel diritto di famiglia, in
Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 382 s. (lo scritto venne
pubblicato per la prima volta in Dir. e
giur., 1945, p. 3 ss.): «Il codice civile non contiene una disciplina
generale del negozio giuridico, la quale può però ricavarsi dalle sue norme,
essendo evidente che le norme sui contratti, ‘in quanto compatibili’, siano
suscettibili di applicazione non solo agli ‘atti unilaterali tra vivi aventi
contenuto patrimoniale’ (art. 1324), ma al negozio giuridico anche fuori del
diritto patrimoniale. A ciò è da aggiungere che la figura del negozio giuridico
nel diritto familiare è supposta dal
codice (e la sua utilizzazione s’impone perciò all’interprete), poiché in esso
si fa richiamo a nozioni caratteristiche
del negozio, come i vizi della volontà (articoli 122, 265), le modalità,
quali il termine e la condizione (articoli 108, 257), l’irrevocabilità o la
revocabilità dell’atto (articoli 256, 2982), la sua invalidità
(artt. 117 segg., 263 segg.)»; v. inoltre Gangi,
Il matrimonio, Milano, 1969,
p. 28 s.; contra Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario
del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 16 s.; per
l’applicabilità, di volta in volta, ai negozi giuridici familiari dei principi
contrattuali «congrui con l’atto di autonomia familiare posto in essere» cfr. Bianca, Diritto civile, II, Famiglia
e successioni, Milano, 1981, p. 18; per una serie di osservazioni critiche
sulla figura del negozio giuridico familiare v. Donisi,
Limiti all’autoregolamentazione
degli interessi nel diritto di famiglia, in Famiglia e circolazione giuridica, a cura di G. Fuccillo, Milano,
1997, p. 23 ss. (sulla cui posizione cfr. però le osservazioni di Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, p. 129 ss.).
[72] Si noti che si tratta proprio di quella
autorevole voce che solo dieci anni prima aveva definito la famiglia come
«un’isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto»: v. Jemolo, La famiglia e il diritto, 1957, riportato in Aa. Vv., «Verso la terra dei figli», Milano, 1994, p. 69.
[73] Jemolo,
Convenzioni in vista di
annullamento di matrimonio, in Riv.
dir. civ., II, 1967, p. 530: «Farei (...) perno sull’art. 1322 c.c.,
soggiungendo che siamo in un caso in cui è palese l’interesse tipico del
regolamento di rapporti, se pure non si abbia una disposizione esplicita del
codice che preveda tale regolamento, essendo quasi impensabile che al termine
della convivenza non ci siano ragioni di dare ed avere, pretese reciproche: la
funzione economico-sociale del contratto è quindi evidente, anche se non siamo
di fronte ad un tipico negozio causale. Circa il quantum dell’obbligazione e l’addossarla all’uno od all’altro dei
coniugi, è materia in cui l’autonomia delle parti agisce in pieno, dandosi
insindacabilità del giudice nel valutare se ci sia stata o meno generosità di
chi si è obbligato, se avrebbe potuto dare una somma minore».
[74] Rescigno,
Contratto in generale, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988, p.
10; per analoghe considerazioni cfr. Russo,
Negozio giuridico e dichiarazioni
di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di separazione, di divorzio,
di nullità (a proposito del disegno di legge n. 1831/1987 per l’applicazione
dell’Accordo 18 febbraio 1984 tra l’Italia e la S. Sede nella parte concernente
il matrimonio), in Dir. fam. pers.,
1989, p. 1092; Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine
pubblico familiare nella separazione personale dei coniugi, Nota a Cass.,
23 dicembre 1988, n. 7044, in Giur. it.,
1990, I, 1, c. 1326; L. Rubino, Gli accordi familiari, in I contratti in generale, diretto da G.
Alpa e M. Bessone, II, 2, in Giurisprudenza
sistematica civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, Torino, 1991, p.
1160 ss.; Busnelli e Giusti, Le sort des biens et la pension alimentaire dans le divorce sans faute,
in Rapports nationaux italiens au XIVe
Congrès International de Droit Comparé, Milano, 1994, p. 93 s.; G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 378 ss.,
406 ss.; Ead., Contratti tra coniugi in vista della
cessazione del ménage, Padova, 1999, p. 89 ss.; Doria, Autonomia
privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione
della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 56 ss., 63
ss.; Sala, La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e
nella separazione di fatto, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1996, p. 1106 ss. Per la dottrina contraria,
pervicacemente aggrappata all’idea (contraria tanto al testo quanto allo
spirito delle norme vigenti) di una sorta di immanenza del ruolo del giudice
nei rapporti patrimoniali tra coniugi in crisi, si fa rinvio agli autori citati
nell’analisi critica svolta in Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 103 ss., 129 ss., 411 ss.
Il dispiegamento dell’autonomia privata nel
campo matrimoniale si estende ormai ad abbracciare un campo che va dalla
celebrazione delle nozze sino allo scioglimento del vincolo. Sotto il primo
aspetto si rileva il rinnovato ruolo, dopo la riforma del diritto di famiglia,
dell’autonomia privata nel matrimonio, «come affermazione della dignità
dell’istituto che deve essere riconosciuto in tutta la sua importanza solo
quando l’atto costitutivo risponda alle caratteristiche di una cosciente
autonomia» (Trabucchi, Matrimonio (diritto civile), in Noviss. dig. it., Appendice, IV, Torino,
1983, p. 1189), rimarcandosi d’altro canto come lo stesso ampliamento del tema
delle azioni di impugnativa matrimoniale confermi il deciso riconoscimento
dell’idea del matrimonio come atto di autonomia privata: cfr. Bianca, Commento all’art. 117 c.c., in Commentario
alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi,
I, 1, Padova, 1977, p. 106; sul punto v. anche Pietrobon,
Note introduttive agli artt. 17 e
18 Nov., in Commentario alla riforma
del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, cit.,
p. 138, il quale osserva come si sia assistito «all’attribuzione di una
maggiore, o più chiara, valutazione del consenso (fatto individuale) rispetto
alla celebrazione (fatto sociale): basti ricordare la più ampia portata
attribuita all’errore, alla rilevanza del timore e alla simulazione» (nello
stesso ordine di idee v. anche Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione
nei rapporti familiari, cit., p. 217, cui si fa rinvio – cfr. 214 ss. –
anche per un puntiglioso catalogo dei dati normativi che depongono nel senso
dell’operatività dell’autonomia privata anche in àmbito familiare).
L’evoluzione della legislazione italiana trova
un corrispondente nello sviluppo di ordinamenti stranieri. Così, per esempio –
a parte le considerazioni svolte in altra sede sull’ammissibilità di contratti
prematrimoniali tesi a disciplinare, addirittura, le conseguenze di un
eventuale futuro divorzio (v. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of
divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi
coniugale, cit.) – potrà rilevarsi che anche nella vicina Francia si è
assistito, nel corso degli ultimi decenni, ad un processo che ha
progressivamente portato all’emergere del consenso e della negozialità nella
famiglia, nel corso di quella che è stata definita come una «révolution
tranquille, qui remet en cause la cohérence antérieure en matière de
gouvernement de la famille», passando attraverso le riforme della tutela
(1964), dei regimi matrimoniali (1965), dell’adozione (1966), degli incapaci
maggiorenni (1968), della potestà dei genitori (1970), della filiazione (1972)
e del divorzio (1975) (Théry, Le démariage. Justice et vie privée,
Paris, 1993, p. 69, che riprende sul punto una definizione di Gérard Cornu), cui
ben può aggiungersi, per i tempi più recenti (1999), la regolamentazione della
convivenza more uxorio e
l’introduzione del «patto civile di solidarietà», nonché (2005) un’ulteriore
riforma del divorzio, che ha semplificato notevolmente l’iter procedurale dello
scioglimento del vincolo nel caso di requête
conjointe. In tempi ulteriormente successivi, poi, la legge n° 2006-728 del
23 giugno 2006, in vigore dal 1° gennaio 2007, è venuta a sconvolgere il
bisecolare assetto «napoleonico» della materia delle successions e delle libéralités,
abrogando o modificando all’incirca duecento articoli del Code Civil. La conclusione è dunque che anche Oltralpe «l’irruption
de la volonté dans le droit de la famille est un fait peu discutable» (Hauser e Huet-Weiller,
La famille. Fondation et vie de la
famille, nel Traité de droit civil,
sous la direction de J. Ghestin, Paris, 1993, p. 30).
[75] Cass., 13 gennaio 1993, n.
[76] Per constatazioni analoghe a quelle di cui al
testo v. anche G. Ceccherini, Separazione
consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 378 s.; Longo, Trasferimenti immobiliari a
scopo di mantenimento del figlio nel verbale di separazione: causa,
qualificazione, problematiche, Nota a App. Genova, 27 maggio 1997, in Dir.
fam., 1998, p. 576.
[77] Cass., 25 ottobre 1972, n.
[78] Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione
di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1975, p. 475 ss.
[79] Cfr. Cass., 5 luglio 1984, n.
[80] Cfr. Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e
divorzio, in Fam. dir., 1995, cit.,
p. 155 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 85 ss.
[81] Cfr. Oberto, Contratto e famiglia,
cit., p. 236 ss.
[82] Su questo concetto cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, cit., p. 215 ss.
[83] Nello stesso senso cfr. anche Barbiera, Disciplina dei casi di
scioglimento del matrimonio, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca,
Bologna-Roma, 1971, p. 147 s.; A. Finocchiaro,
Sulla pretesa inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il
regime della separazione consensuale, in Giust. civ., 1985,
I, p. 1659 s.; Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in
assenza di omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali vengono
modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione relative al
mantenimento dei figli, cit., p. 505 s.; Metitieri,
La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, in Riv. not., 1995, I, p. 1177; G. Ceccherini, Separazione
consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 407; Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione
consensuale per incapacità naturale, Nota a App. Milano, 18 febbraio
[84] Sul punto cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, cit., p. 215 ss.
[85] Cass., 15 marzo 1991, n.
[86] Cass., 12 maggio 1994, n.
[87] Cfr. Cass., 29 aprile 1983,
n.
[88] Cass., 14 luglio 2003, n. 10978.
[89] Cass., 8 novembre 2006, n. 23801, in Foro it., 2007, I, c. 1189.
[90] Cfr. Cass., 5 marzo 2001, n. 3149, cit., su
cui v. supra, § 3; per la successiva
vicenda in cui la Corte Suprema, dopo avere ribadito con dovizia di particolari
in motivazione la tesi della negozialità della separazione consensuale, con un
finale «a sorpresa» ha negato l’impugnabilità del relativo accordo stessa per
simulazione cfr. Cass., 20 novembre 2003, n. 7607, cit., su cui v. supra, § 5. Per alcuni accenni
all’argomento v. inoltre Danovi, La separazione simulata e i suoi rimedi,
Nota a App. Bologna, 7 maggio 2000, in Riv.
dir. proc., 2001, p. 284 ss.; Id.,
E’ davvero rilevante (e inattaccabile) la
simulazione della separazione?, Nota a Cass., 20 novembre 2003, n.
[91] Cass., 4 settembre 2004, n.
[92] Così Cass., 23 luglio 1987, n.
[93] Sui timori di un ritorno «dal contratto allo status» v. anche Oberto, Contratto e
famiglia, cit., p. 265 ss.
[94] Cfr. Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 236
ss.
[95] Cfr. Doria,
Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i
coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit.; cfr.
anche Palmeri, Il contenuto atipico dei negozi familiari,
Milano, 2001, passim, p. 30 ss.
[96] Cfr. Angeloni,
Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, cit.
[97] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I e II, Milano, 1999; T. Auletta, Gli accordi sulla crisi
coniugale, in Familia, 2003, p.
43 ss.
[98] Cfr. Comporti,
Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione, di
divorzio e di annullamento del matrimonio, in Foro it., 1995, I, c.
105 ss. (sul tema v. anche gli Autori citati in Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 251
ss.).
[99] Cfr. V. Carbone,
Autonomia privata e rapporti patrimoniali tra coniugi (in crisi),
Nota a Cass., 22 gennaio 1994, n.
[100] Cfr. Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e
divorzio, cit., p. 155 ss.; Id.,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit.; Id.,
Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione o divorzio tra contratto e giurisdizione: il caso delle
intese traslative, disponibile al seguente indirizzo web: https://www.giacomooberto.com/trasferimenti/taormina2009/relazione_oberto_taormina.htm;
v. inoltre T.V. Russo, I
trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio,
Napoli, 2001.
[101] Cfr. Sala,
La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e
nella separazione di fatto, cit.
[102] Cfr. G.
Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit.
[103] Ovviamente le indicazioni testé effettuate
hanno carattere assolutamente parziale e vanno integrate con i rinvii contenuti
nella monografia più volte citata dello scrivente su I contratti della crisi
coniugale, nonché, per i lavori successivi, con le citazioni relative agli
specifici aspetti trattati nei vari capitoli in cui si articola il presente
lavoro. In questa sede potranno segnalarsi, a livello bibliografico, in vario
senso, sul tema specifico dell’autonomia dei coniugi nella fase della crisi
coniugale, i seguenti contributi (oltre a quelli già citati): per il periodo
anteriore alla riforma del 1975 L. Ferri,
L’autonomia privata, Milano, 1959, p. 285 ss.; Barcellona, Famiglia (dir. civ.),
in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p.
782 ss.; Donisi, Il problema
dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, p. 189 ss.; Liserre,
Autonomia negoziale e obbligazione di mantenimento del coniuge
separato, cit., p. 474 ss.; per il periodo successivo alla riforma cfr. D’Anna, Note in tema di autonomia
negoziale e poteri del giudice in materia di separazione dei coniugi, Nota
a Cass., 5 gennaio 1984, n. 14, in Riv.
notar., 1984, II,p. 593 ss.; Paradiso,
La comunità familiare, Milano, 1984, p. 182 ss.; A. Finocchiaro, Sulla pretesa
inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime della
separazione consensuale, in
Giust. civ., 1985, I, p. 1659 ss.; Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p. 487
ss.; Pollice, Autonomia dei
coniugi e controllo giudiziale nella separazione consensuale: il problema degli
accordi di contenuto patrimoniale non omologati, in Dir. giur.,
1988, p. 107 ss.; Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in
assenza di omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali
vengono modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione
relative al mantenimento dei figli, in Aa.
Vv., Questioni di diritto patrimoniale
della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi,
Padova, 1989, p. 505 s., 509 s.; Anelli,
Sull’esplicazione dell’autonomia privata
nel diritto matrimoniale (in margine al dibattito sulla mediazione dei
conflitti coniugali), in Aa. Vv.,
Studi in onore di Rescigno, II,
Milano, 1998, p. 19 ss.; Balestra,
Autonomia negoziale e crisi coniugale:
gli accordi in vista della separazione, in Riv. dir. civ., 2005, II, p. 277 ss.
[103] Trabucchi,
voce Matrimonio (diritto civile), in Noviss.
dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, p. 510 ss.; Marti, Accordi non omologati tra coniugi separati, in
Nuova giur. civ. comm., 1989, II, p. 71; Zoppini,
Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare nella
separazione personale dei coniugi, cit., p. 1319 ss.; L. Giorgianni, Sui patti aggiunti alla
separazione consensuale e sulla famiglia di fatto, Nota a Trib. Genova, 2
giugno 1990, in Giur. mer., 1992, p. 60 ss.; Morelli, Autonomia negoziale e limiti legali nel regime
patrimoniale della famiglia, in Fam. dir., 1994, p. 104 ss.; Id., Il nuovo regime patrimoniale
della famiglia, cit., p. 12 ss.; M. Dogliotti,
Separazione e divorzio, cit., p. 9 ss.; Scardulla, La separazione personale
tra i coniugi e il divorzio, Milano, 1996, p. 363 ss.; Briganti, Crisi della famiglia e
attribuzioni patrimoniali, in Riv. not., 1997, I, p. 1 ss. (anche in
Famiglia e circolazione giuridica, a cura di Fuccillo, cit., p. 33 ss.);
Donisi, Limiti
all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, cit., p.
5 ss.; Federico, Accordi di
divorzio nel procedimento a domanda congiunta, in Famiglia e
circolazione giuridica, cit., p. 91 ss.; Quadri,
Famiglia e ordinamento civile, Torino, 1997, p. 83 ss.; Id., Autonomia negoziale e
regolamento tipico nei rapporti patrimoniali tra coniugi, in Giur. it., 1997, IV, c. 229 ss.
[104] Cfr. Roppo,
Per una riforma del divieto dei patti successori, in Riv. dir.
priv., 1997, p. 5 ss.; per un interessante studio in quest’ottica, nonché
per gli ulteriori richiami, si fa rinvio a Caccavale
e Tassinari, Il divieto
dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma, in Riv.
dir. priv., 1997, p. 74; sul tema v. inoltre Ieva, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione
successoria: patto di famiglia e patto d’impresa. Profili generali di revisione
del divieto dei patti successori, in Riv. not., 1997, p. 1371 ss.; Dogliotti, Rapporti patrimoniali tra
coniugi e patti successori, in Fam. dir., 1998, p. 293 ss. Giudica
«inevitabile alla luce del quadro europeo» l’abolizione del divieto dei patti
successori anche Patti, Regime
patrimoniale della famiglia e autonomia privata, in Familia, 2002, p. 312.
[105] E’ il caso, per
esempio, di Trib. Roma, 14 dicembre 1998, in Fam. e dir., 2000, p. 60, con nota di Sala, secondo cui «E’ inammissibile la domanda di revoca del
decreto di omologazione della separazione consensuale, avanzata da un coniuge
sulla base dell’asserita simulazione dell’accordo di separazione omologato,
giacché le norme in tema di simulazione dei contratti non sono applicabili ai
negozi giuridici familiari, caratterizzati dalla rilevanza di diritti indisponibili
e dal controllo dell’autorità giudiziaria»; nello stesso la precedente Trib.
Roma, 11 aprile 1996, in Arch. civ.,
1997, p. 410, secondo cui «Nel procedimento di separazione consensuale dei
coniugi, in considerazione delle peculiarità del procedimento stesso e del
concorso dell’accordo-convenzione dei coniugi con elementi propri del diritto
pubblico, deve ritenersi inapplicabile in via analogica l’art. 1414 cod. civ. e
inammissibile l’azione di nullità per simulazione».
[106] Per la critica cfr. le considerazioni
svolte supra, nei §§ precedenti; per
le critiche più specifiche alla decisione di merito citata alla nota precedente
cfr. altresì le osservazioni di Sala, Simulazione dell’accordo di separazione
consensuale?, cit., p. 63 s.
[107] Trib. Napoli, 16 ottobre 1996, in Fam. e dir., 1997, p. 355, con nota di Torsello Fabbri. La decisione è stata
confermata da App. Napoli, 27 ottobre 1998, in Gius, 1999, p. 775.
[108] Cfr. App. Milano, 18 febbraio 1997, cit. Si
noti che, nel caso di specie, la domanda d’annullamento è stata ritenuta
inammissibile in quanto limitata ad una clausola dell’accordo medesimo, la cui
natura si è dichiarata inscindibile.
[109] Cfr. App.
Milano, 22 febbraio 1983, cit., in materia di azione di annullamento per dolo,
secondo cui «Non è ammissibile la domanda diretta ad accertare l’invalidità del
consenso, alla separazione consensuale dei coniugi, per simulazione, qualora la
simulazione venga dedotta in via alternativa al dolo che si assume essere stato
posto in essere dall’altro coniuge, e la cui incidenza sulla manifestata
volontà di separarsi non può peraltro ipotizzarsi stante la presenza e
l’intervento, all’udienza ex art. 711
cod. proc. civ., del presidente del tribunale. allorché sia stata pronunciata
la separazione personale, temporanea o definitiva, a seguito di accertata
intollerabilità della convivenza, non è ammissibile dichiararla successivamente
con addebito, valutando sotto altri profili il pregresso comportamento dei
coniugi». Si noti che in motivazione si afferma addirittura che, per
riconoscere l’invalidità dell’intesa «il dolo avrebbe dovuto (…) coinvolgere
anche il giudice, vuoi come attore, vuoi come destinatario dell’azione
fraudolenta». V. inoltre Trib. Genova, 9 febbraio 1981, C.E.D. – Corte di cassazione, Arch. MERITO, pd. 820210 (edita come
Trib. Genova, 13 febbraio 1981, in Dir.
fam. pers., 1981, p. 798), in materia di azione di annullamento per errore
di diritto. Contra, per l’astratta
ammissibilità di un’azione diretta alla pronunzia di annullamento della separazione
consensuale, v. Trib. Roma, 27 gennaio 1986, in C.E.D. – Corte di cassazione, Arch. MERITO, pd. 860386: «Vicenda:
dopo che era stata omologata la separazione consensuale, il marito conveniva in
giudizio la moglie per veder mutato il titolo della separazione in ‘con
addebito’ nei confronti della moglie a causa del suo comportamento contrario
[ai doveri] derivanti dal matrimonio. Il tribunale ha dichiarato improponibile
la domanda. Ragioni della decisione: anche se nella fattispecie veniva dichiarato
il dolo della moglie che aveva tenuto nascosto sia una relazione extra
coniugale che l’intenzione di trasferirsi con i propri figli nella casa
dell’amante, è necessario, se è esistito un vizio del consenso, rimuovere prima
la separazione consensuale attraverso una sentenza passata in giudicato.
Inoltre necessiterebbe non solo dimostrare l’esistenza dei raggiri, ma anche
che senza di essi il marito non sarebbe addivenuto alla separazione».
[110] Pret. Siracusa, 23 febbraio 1988, in Giur. merito, 1989, p. 564; Pret.
Milano, 30 dicembre 1988, in Foro it.,
1989, I, c. 2048; Archivio locaz. cond.,
1989, p. 120; sul tema cfr. inoltre Oberto,
I contratti della crisi coniugale,
II, cit., p. 935 ss.
[111] «L’assegnazione in sede di
separazione personale ancorché consensuale della casa di abitazione ad uno dei
coniugi integra, a favore dell’altro, lo stato di urgente ed improrogabile
necessità che, ai sensi dell’art. 4 n. 1 della legge n. 253 del 1950, lo legittima
a far cessare la proroga legale del contratto di locazione relativo ad un
proprio alloggio, senza che assuma rilievo – salva la facoltà della controparte
di provare la simulazione della procedura di separazione – la circostanza che
detto coniuge non abbia abbandonato il domicilio coniugale, comportando la
convivenza sotto lo stesso tetto con il coniuge separato un maggior bisogno di
ottenere la disponibilità dell’appartamento locato a terzi» (Cass., 18 dicembre
1986, n. 7681; contra Trib. Milano,
17 dicembre 1998 e Trib. Roma, 14 dicembre 1998, in Gius, 1999, p. 1087).
[112] Cass., 20 marzo 1976, n. 1008; nello stesso
senso cfr. anche F. Finocchiaro, Del matrimonio, II, in Commentario del codice civile
Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1993, p. 465; per
un’analoga interpretazione del rationale
della citata pronunzia di legittimità cfr. Ronco,
Nota a App. (erroneamente indicata come Trib.) Bologna, 7 maggio 2000, in Giur. it., 2001, p. 66 (si noti che la
decisione reca invece la data 17 maggio 2000 in Foro it., 2000, I, c. 3616); per una panoramica sulle discordanti
opinioni esistenti nella dottrina e nella giurisprudenza francesi in tema di
impugnabilità per vizi del consenso della convenzione omologata di divorzio sur demande conjointe cfr. H. Mazeaud, L. Mazeaud, J. Mazeaud
e Chabas, Leçons de droit civil, I, 3, La
famille, Paris, 1995, p. 675 s.
[113] Per informazioni su questo concetto cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 38 s.
[114] Per una disamina critica della giurisprudenza
relativa a quei settori in cui invece la Cassazione mostra ancora ermetiche
chiusure verso il pieno dispiegarsi della libertà contrattuale inter coniuges (e, segnatamente, quelli
della disponibilità del contributo per il mantenimento del separato e
dell’assegno per il divorziato, nonché delle intese concluse «in vista» della
separazione e/o del divorzio) cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 388 ss., 493 ss.
[115] Cfr. Cicu, Il diritto di
famiglia. Teoria generale, Roma, 1914, p. 240: «Ciò è più evidente nella
separazione consensuale. Invero per l’adozione si può dubitare che quelle
stesse esigenze che operano imperiosamente nel matrimonio, possano anche
giustificare si tenga fermo il rapporto costituito, perché sia salvo
l’interesse che per la famiglia e lo Stato rappresenta l’obbligo alimentare
costituito, ed in genere il vantaggio che all’adottato derivi dall’adozione.
Per la separazione consensuale invece non v’è alcun interesse famigliare‑statuale
che esiga essa sia tenuta ferma: colla prova dell’accordo preesistente si
potrà sempre impugnare la pronunzia intervenuta, impugnativa che può anche
ritenersi non necessaria, dato che non è necessaria una nuova pronunzia per
eliminare gli effetti della separazione in caso di riconciliazione: si potrà
cioè dimostrare che una separazione non vi è mai stata, salvo vedere se nei
rapporti coi terzi non sia necessario risulti un ripristinamento dei rapporti
coniugali».
[116] Propugnata, come noto, dallo stesso Cicu agli
inizi del secolo; su tale concezione v., anche per gli ulteriori rinvii, Sesta, Il diritto di famiglia tra le due guerre e la dottrina di Antonio Cicu,
in Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Lettura di Michele Sesta, Momenti del pensiero giuridico moderno.
Testi scelti a cura di Pietro Rescigno. Redattore Enrico Marmocchi, Sala
Bolognese, 1978, p. 1 ss., 47 ss.; Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 103 ss.
[117] Cfr. per esempio Butera, op. cit.,
p. 185: «Il processo verbale di separazione consensuale tra coniugi, menzionato
negli art. 15 Cod. civile e 811 c.p.c., non esce fuori dai termini di un puro
rapporto contrattuale e però come è impugnabile con l’azione pauliana, è,
altresì, annullabile con l’azione di simulazione, per quanto ciò, forse, sia
poco pratico. L’omologazione del tribunale non è un elemento costitutivo della
separazione personale, ma una semplice condizione di eseguibilità. Se
l’omologazione del tribunale avesse carattere costitutivo del rapporto, la sua vis attractiva, come dichiarazione, di
volontà pubblica, verrebbe a sovrapporsi alla dichiarazione di volontà privata
e in tal caso ognun vede che non potrebbe discorrersi di azione d’impugnativa
per simulazione».
[118] Cfr. per esempio Azzolina, La separazione personale dei coniugi, Torino, 1951, p. 195: «La
natura convenzionale del negozio di separazione fa sì che a quest’ultimo
riescano applicabili talune norme particolari alla disciplina dei negozi
giuridici di diritto privato, specialmente per quanto riguarda la
manifestazione della volontà. Così, ad es., esattamente secondo noi, è stato
ritenuto (App. Trani, 23 giugno 1899, in Giur.
it., 1899, I, 2, c. 627) che ‘si può ritenere simulato e fatto in frode a
dei creditori anche un istrumento di separazione personale per mutuo consenso’.
Nessun principio, infatti, osta all’impugnazione da parte dei terzi di un atto
che, in quanto volontario, può certamente essere oggetto di simulazione. Così
ancora, è stato ritenuto che la convenzione di separazione non sia sottratta
all’impugnazione per vizio di consenso (App. Milano, 8 novembre 1940, in Riv. dir. matrim., 1940, p. 390). Ed
anche in tale principio si può consentire, pur avvertendo che date le formalità
e le cautele imposte dalla legge per la conclusione del negozio (la quale
avviene con la cooperazione de presidente del tribunale), la prova del vizio
sarà di necessità ardua, e dovrà esser fornita in modo particolarmente
rigoroso».
[119] Il riferimento è a Zatti, I diritti e i
doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato, diretto da
P. Rescigno, III, Torino, 1982, p.
125, 126, da cui l’estensore di Cass., 4 febbraio 1993, n. 2270 e Cass., 22
gennaio 1994, n. 657, citt., ha tratto la frase testé riportata; v. inoltre,
per un impiego del termine «negozialità» nel senso qui indicato, Zatti e Mantovani,
La separazione personale dei
coniugi (artt. 150-158 c.c.), Padova,
1983, p. 382; Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p.
491; Alpa e Ferrando, op. cit., p. 506; Mantovani, Separazione personale dei coniugi. I) Disciplina sostanziale, in Enc.
giur. Treccani, Roma, 1992, p. 28; Zatti,
I diritti e i doveri che nascono
dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto
privato, diretto da P. Rescigno,
III, Torino, 1996, p. 135, 137, 138, nota 12.
Per l’impugnabilità per
simulazione e vizi del consenso dell’accordo di separazione consensuale e dei negozi
ad esso collegati, nonché per ulteriori riflessioni e richiami sull’argomento
cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 234 ss.; Id., La
natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso
applicabili (I), cit., p. 601
ss.; Id., La natura
dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso
applicabili (II), cit., p. 86
ss.; successivamente cfr. anche Sala, Simulazione dell’accordo di separazione
consensuale?, cit., p. 61 ss. Per una panoramica della dottrina e della
giurisprudenza francesi, tendenzialmente contrarie ad ammettere l’impugnativa
per vizi del consenso, la revocatoria, o la rescision
pour lésion, della convention
définitive nell’ambito del divorce
sur requête conjointe, sulla base della teoria che attribuisce
all’intervento giurisdizionale funzione costitutiva, cfr. Bénabent, Droit civil. La famille, Paris, 1994, p. 248. Per una serie di
dettagliate informazioni sui rimedi negoziali (fraud, duress, indue influence, unconscionability, mistake)
nell’esperienza statunitense dei separation
e degli antenuptial agreements cfr. Lindey e Parley,
Lindey on Separation Agreements
and Antenuptial Contracts, New York-Oakland, 1994, I, § 6.01, II, § 25.09,
III, § 90.06; v. inoltre Giaimo, I contratti
paramatrimoniali in Common Law, Palermo, 1997, p. 62 ss.; per la dottrina
più risalente cfr. Pollock, Principles of Contract at Law and in Equity,
New York, 1906, p. 414, 678. Per il sistema inglese cfr. Cretney e Masson, Principles of
Family Law, London, 1997, p. 97, i quali peraltro rilevano che «in
practice, the existence of the statutory power to vary maintenance agrements,
coupled with the statutory rule that an agreement ousting the jurisdiction of
the court is void (…) mean that it is rarely necessary to invoke these
contractual doctrines in order to obtain a review of a private agreement».
[120] Cfr. Oberto, La natura
dell’accordo di separazione
consensuale e le regole contrattuali ad
esso applicabili (II), cit., p. 88 ss.
[121] Per analoghe considerazioni cfr. Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione consensuale per incapacità
naturale, cit., p. 442; per l’impugnabilità del negozio di separazione in
caso di vizi del consenso cfr. anche Doria, «Negozio» di separazione consensuale dei coniugi e revocabilità del
consenso, Nota a Trib. Napoli, 13 marzo 1989, in Dir. fam. pers., 1990, p. 513; Delconte,
Il rapporto tra omologazione del
giudice e consenso dei coniugi nella separazione consensuale, in Arch. civ., 1992, p. 642; Mora, La separazione consensuale, in Il
diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio, Torino, 1997, p.
531.
[122] Di analogo avviso è Dogliotti, op.
cit., p. 13
s.
[123] Ciò significa che, con
particolare riguardo all’ipotesi dell’annullabilità per incapacità naturale, la
norma cui andrà fatto riferimento è data dal capoverso dell’art. 428 c.c. (in
questo senso v. anche Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione
consensuale per incapacità naturale, cit., p. 443), secondo cui
«L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il
pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere
o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede
dell’altro contraente».
[124] Cfr. Cass., 18 dicembre
1986, n. 7681, cit.
[125] Cfr. le pronunzie citate da Azzolina, La separazione personale dei coniugi, cit., p. 195.
[126] Trib. Genova, 9 marzo 1983, in Arch. locaz. e cond., 1983, p. 104:
«L’assegnazione della casa coniugale alla moglie, anche in sede di separazione
consensuale, legittima il marito ad agire in recesso per ottenere la
disponibilità di un proprio appartamento locato, essendo onere del conduttore
provare semmai in modo adeguato la simulazione della separazione». In
motivazione si legge che «non può escludersi in via teorica l’ipotesi di una
separazione simulata al fine di eludere le disposizioni vincolistiche delle
locazioni poste a tutela dei conduttori», essendo però pur sempre onere della
parte conduttrice «dimostrare (…) la mancanza di genuinità delle dette
pattuizioni».
[127] Cfr. App.
Bologna, 17 maggio 2000, in Foro it.,
2000, I, c. 3616, con nota di Casaburi; in
Giur. it., 2001, p. 66 (la pronunzia
risulta ivi indicata come Trib. Bologna, 7 maggio 2000).
[128] Cfr. per tutti Oberto, I contratti
della crisi coniugale, II, cit., p. 1340 ss.; Id., Prestazioni «una
tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 232 ss.
[129] Cfr. supra,
§ 1, in fine.
[130] Sul tema, anche per gli ulteriori rinvii, si
fa richiamo a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., in particolare p. 214
ss.
[131] Trib. Milano, 29 gennaio
1996, in Fallimento, 1996, p. 781,
con nota di Figone.
[132] Trib. Bologna, 6 febbraio
1995, in Gius, 1995, p. 3881.
[133] Trib. Casale Monferrato, 14
dicembre 1998, in Gius, 1999, p. 7.
[134] Trib. Roma, 5 marzo 1999, in
Nuovo dir., 1999, p. 827.
[135] Trib. Torino, 18 agosto 1999, in Giust. civ., 2000, I, p. 2762.
[136] In questo senso, con
riguardo alle attribuzioni in sede di separazione consensuale, v. anche Trib.
Milano, 29 gennaio 1996, cit.; Figone, Separazione consensuale, trasferimento di
beni ed azione revocatoria, Nota a Trib. Milano, 29 gennaio 1996, in Fallimento, 1996, p. 784; quanto mai
chiara in questo senso è Trib. Torino, 18 agosto 1999, cit.: «Occorre
considerare che il provvedimento di omologa si limita a giudicare sulla
astratta idoneità di quanto deciso dai coniugi a rispondere al modello di
separazione previsto dall’ordinamento, ed a decidere sulla sua carenza di
potenziale lesività di norme imperative o di ordine pubblico. Il giudizio
intrinseco sulla omologazione non è un giudizio di valore sulla non lesività
comunque e per tutti i soggetti direttamente od indirettamente coinvolti
nell’evento che determina la cessazione, legalmente sanzionata, dell’obbligo di
convivere tra coniugi».
[137] Cfr. per tutti De Ruggiero e Maroi, Istituzioni di diritto civile, II,
Milano-Messina, 1965, p. 561; Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato
italiano, II, Torino, 1955, p. 106.
[138] Soggiungendo che
«quand’anche ciò non bastasse è sufficiente pensare che fra la richiesta di
pagamento inviatagli dal creditore in data 21 ottobre 1992, e il deposito, da
parte sua, del ricorso per separazione, in data 27 ottobre 1992, trascorsero
solo 6 giorni, di tal che più che di consapevolezza, ben può parlarsi, nel caso
di specie, di dolosa preordinazione»: cfr. Trib. Casale Monferrato, 14 dicembre
1998, cit. Peraltro il riferimento alla «dolosa preordinazione» non appare qui
corretto, dal momento che tale elemento si riferisce, ex art. 2901, n. 1 e 2, c.c. al caso in cui l’atto dispositivo
preceda la nascita del credito.
[139] Trib. Bologna, 6 febbraio
1995, cit.
[140] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 634 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 91 ss.
[141] Per la negazione (non
motivata) del carattere oneroso di un trasferimento immobiliare in sede di
separazione cfr. invece Trib. Casale Monferrato, 14 dicembre 1998, cit.
[142] Cass., 8 novembre 1985, n. 5451.
[143] Ancorché a livello di mero obiter, avendo lo stesso giudice escluso
la natura onerosa dell’atto.
[144] Trib. Casale Monferrato, 14
dicembre 1998, cit.
[145] Trib. Milano, 29 gennaio
1996, cit.
[146] Per un accenno alla
questione trattata nel testo cfr. anche Figone,
Separazione consensuale,
trasferimento di beni ed azione revocatoria, cit., p. 784.
[147] La questione che rimane
ancora da affrontare – relativamente al tema specifico della revocabilità ex artt. 2901 ss. c.c. delle intese in
discorso – concerne la possibile obiezione circa la natura di atto di
adempimento (dell’obbligo di contribuzione al mantenimento o di corresponsione
dell’assegno di divorzio) proprio del negozio traslativo. Per una trattazione
di essa si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, p. 217 ss., cui si rinvia
anche per la disamina dei profili attinenti alla revocatoria fallimentare delle
attribuzioni in discorso.
[148] Cfr. Cass., 26 luglio 2005, n. 15603.
[149] Cfr. Cass., 12 aprile 2006, n. 8516.
[150] Cfr. Cass., 13 maggio 2008, n. 11914. Da notare che in questa pronunzia viene riproposto il parallelismo tra la sequenza «verbale di separazione – rogito notarile» e quella «contratto preliminare – contratto definitivo», che, per le ragioni in altra sede esposte (cfr., anche per gli ulteriori rinvii, Oberto, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione o divorzio tra contratto e giurisdizione: il caso delle intese traslative, cit., § 11) non può essere accolta; ma la conclusione non dispiega influenza sulla correttezza della soluzione proposta dalla Corte di cassazione in merito al tema della revocatoria.
[151] De
Paola, Il diritto patrimoniale
della famiglia coniugale, I, Milano, 1991, p. 242. L’autore richiama in
nota, quale precedente, Cass., 25 settembre 1978, n. 4277, in Foro it. 1979, I, c. 718; in Giust. civ., 1979, I, p. 83, che ha
negato l’applicabilità agli accordi di separazione dei principi del contratto a
favore di terzo. Peraltro tale infelice arresto (per una critica del quale cfr.
Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 199 ss., 210 ss.) è
stato ampiamente superato dalla successiva giurisprudenza di legittimità (cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 210 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 77, 153 ss.).
[152] App. Bologna, 17 maggio
2000, cit., secondo cui «Il decreto di omologazione della separazione
consensuale dei coniugi può essere revocato, nell’ipotesi di simulazione degli
accordi stipulati dai coniugi e da questi espressamente ammessa, applicando a
tali accordi le disposizioni sui contratti in generale». Condivide il decisum Ronco,
op. cit., p. 66 s., che
perviene a tale conclusione sulla base della premessa, non condivisibile,
secondo cui l’unica alternativa alla revoca sarebbe costituita dal «punire la leggerezza
dei coniugi menzogneri e tenerli ‘incastrati’ per sempre a quella loro fittizia
volontà di separarsi».
[153] Nulla di simile è invece, a quanto pare,
accaduto sino ad ora per quanto attiene al profilo della revoca degli atti
fraudolenti.
[154] Sul problema in generale della revocabilità
del decreto di omologazione ex art.
742 c.p.c. cfr. Cass., 24 agosto 1990, n. 8712, in Giust. civ., 1990, I, p. 2826, in senso favorevole. Contra F. Finocchiaro, Del
matrimonio, cit., p. 475; De Filippis
e Casaburi, Separazione e divorzio, Padova, 1998, p. 109 s., secondo cui,
mentre per la modifica soccorrono in modo espresso gli art. 710 e 711 ult.
cpv., c.p.c. (e 155, ult. comma, c.c.), per la revoca l’istituto della
riconciliazione dovrebbe rendere inutile – o meglio, priva di interesse –
l’azione volta a far cadere l’omologa, in ragione del pieno ristabilirsi tra i
coniugi della comunione di vita spirituale e materiale. Del resto, secondo
quanto dispone l’art. 157 c.c., gli effetti della separazione cessano «senza
che sia necessario l’intervento del giudice», qualora i coniugi, con
dichiarazione espressa o con comportamenti inequivoci, rivelino una voluntas contraria rispetto a quella
manifestata all’atto della separazione.
[155] Cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti
tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 144 s. ;
approva la soluzione Sala, Simulazione dell’accordo di separazione
consensuale?, cit., p. 62 s.
[156] V. sul punto l’isolata, per quanto
autorevole, opinione di Mandrioli
e Carnacini, Il procedimento di separazione personale dei coniugi, in aa. Vv., La separazione personale dei coniugi, Milano, 1965, p. 40.
[157] Nel senso dell’impugnabilità dell’accordo di
separazione per vizi del consenso a mezzo di apposito giudizio ordinario di
cognizione cfr. Doria, «Negozio» di separazione consensuale dei
coniugi e revocabilità del consenso, cit., p. 513; Dogliotti, op.
cit., p. 13 s.; Mora, op. loc. ultt. citt.; nel senso che «l’esistenza di un controllo
preventivo non sembra escludere quello successivo volto a rilevare possibili
ragioni di invalidità dell’accordo così raggiunto» v. anche Alpa e Ferrando,
op. cit., p. 510.
[158] Cfr. Degni,
Il diritto di famiglia nel nuovo
codice civile italiano, Padova, 1943, p. 253; Cass., 13 luglio 1979, n.
4079, in Foro it., 1979, I, c. 2611;
in Giust. civ., 1980, I, p. 1391; in Dir. fam. pers., 1980, p. 66.
[159] Così testualmente Cass., 24 agosto 1990, n.
8712, in Giust. civ., 1990, I, p.
2826.
[160] Sulla funzione di controllo propria del
procedimento di omologazione cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 246 ss.
[161] Fr.
Ferrara Sen., op. cit., p. 93.
Si noti peraltro che l’idea secondo cui «Simulatio excluditur, si actus
publice, et palam ac auctoritate judicis expletus fuerit» non fu certo solo
prerogativa della dottrina medievale: cfr. per esempio la decisione della Rota
Romana, 9 giugno 1684, in Sacrae Rotae
Romanae Decisiones, et Summorum Pontificum Constitutiones Recentissimae,
Theatrum Veritatis et Justitiae Cardinalis de Luca (…) Amplectentes,
confirmantes, et laudantes (c.d. Mantissa
al Theatrum Veritatis et Justitiae
del Card. de Luca), I, Venetiis, 1706, p. 3 s.
[162] Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 393. Con
specifico riguardo all’accordo di separazione consensuale cfr. inoltre Butera, op. loc. ultt. citt.
[163] In questo senso parrebbe orientato anche un
precedente di merito, relativamente all’ipotesi dell’annullamento per dolo
(cfr. Trib. Roma, 27 gennaio 1986, cit.).
Potrà chiedersi a questo punto quale soluzione
sia configurabile per il problema della simulazione delle intese poste a base
di un’intesa di divorzio su domanda congiunta. Facendo ancora una volta
richiamo alle conclusioni sviluppate in altra sede sul tema dei rapporti tra
accordo delle parti e pronuncia del tribunale, andrà ripetuto che la veste di
«sentenza» prevista dall’art. 4, tredicesimo comma, l.div. per il provvedimento
conclusivo della procedura nulla toglie alla possibilità per le parti (così
come per i terzi, quando legittimati) di far valere l’invalidità sia
dell’intesa di divorziare, sia degli accordi ad essa collegati e conseguenti:
cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1338 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
p. 232 ss.
[164] Trib. Bologna, 28 gennaio 1998, in Dir. fam. pers., 1998, p. 1047, con nota
di Conte.
[165] La separazione risaliva ad epoca anteriore
alla entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia del 1975.
[166] Cui vanno soggette ora anche la pronunzia di
separazione giudiziale, l’omologazione di quella consensuale, così come «le
dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestano la loro
riconciliazione» (cfr. art. 69, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396).
[167] Cfr. Oberto,
Annotazione e trascrizione delle
convenzioni matrimoniali: una difficile coesistenza, in Riv. dir. ipotecario, 1982, p. 127 ss., 148 ss.; v. inoltre Id., Comunione
legale, regimi convenzionali e pubblicità immobiliare, in Riv. dir. civ., 1988, II, p. 187 ss.,
206 ss.; Id., Pubblicità dei regimi matrimoniali, in Riv. dir. civ., 1990, II, p. 236 ss.; Id., La pubblicità dei
regimi patrimoniali della famiglia (1991-1995), ivi, 1996, II, p. 229 ss.; cfr. inoltre, per ulteriori
approfondimenti, Barchiesi, Il sistema della pubblicità nel regime
patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, p. 25 ss.; per la giurisprudenza
successiva v. Cass., 28 novembre 1998, n. 12098, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, p. 636 ss., con sommaria
annotazione di Mosca; in Riv. notar., 1999, II, p. 375, con nota
di Gammone; la pronunzia
(risalente peraltro ad epoca anteriore all’entrata in vigore della riforma
dell’ordinamento dello stato civile, di cui si dà conto nel testo) ha accolto
la tesi proposta dallo scrivente nelle opere appena citate circa la sufficienza
della trascrizione ai fini dell’opponibilità ai terzi dello scioglimento del
regime legale operato dalla separazione personale, anche in difetto di
annotazione a margine dell’atto di matrimonio.
[168] Per i richiami cfr. Oberto, La pubblicità
dei regimi patrimoniali della famiglia (1991-1995), cit., p. 250 ss.
[169] Ai sensi del quale «Fino all’entrata in
vigore del nuovo testo del codice di procedura civile, ai giudizi di
separazione personale dei coniugi si applicano, in quanto compatibili, le
regole di cui all’articolo 4 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come
sostituito dall’articolo 8 della presente legge».
[170] Cioè il comma terzo dell’art. 4 l. div., in
forza del quale il cancelliere deve dare comunicazione all’ufficiale di stato
civile del luogo ove il matrimonio fu trascritto, per l’annotazione in calce
all’atto di matrimonio.
[171] Cfr. Oberto,
Comunione legale, regimi convenzionali e
pubblicità immobiliare, cit., p. 190 ss.
[172] Si badi che nemmeno qui vi sarebbe comunque
alcunché di nuovo sotto il sole; invero, stando a quel che riporta Bourjon (op. cit., p. 607), già la giurisprudenza francese sotto l’Ancien Régime era orientata proprio in
questo senso: «si le motif de la séparation de biens se trouvoit faux, et que le mari fit
infirmer la sentence de séparation, cela rétablit la communauté et détruit la
séparation dans sa source ; mais en ce cas, c’est la vérité et la justice qui
produisent ce retour et non la convention. J’ai vu plusieurs arrêts en ce cas,
infirmatifs de sentence de séparation ; ces arrêts fondent la proposition. (…)
Il en est de même si la femme ou ses héritiers avoient obtenu arrêt infirmatif,
par exemple, s’ils prouvoient que la communauté étoit bonne et que la
séparation n’étoit qu’une voie indirecte dont le mari s’étoit servi pour
s’approprier toute la masse de la communauté ; en effet, le droit de l’un et de
l’autre des conjoints doit être sur ce égal ; et dans l’un et dans l’autre cas
la disposition de la loi est conservée dans sa pureté. C’est ce qui résulte de
ce qui dit Duplessis, de la communauté, pag. 435, au commencement [cfr. Duplessis, op. cit., p. 435, secondo cui «si la séparation est frauduleuse, et
pour avantage indirect seulement, après la dissolution du mariage, le survivant
ou les heritiers du prédécédé la pourront faire casser»: n.d.a.] ; et c’est l’opinion commune au châtelet. (…) Dans l’un
comme dans l’autre cas, les acquêts faits dans le tems intermédiaire entre la
sentence de séparation et l’arrêt infirmatif, sont communs, puisque par cette
voie, la sentence de séparation est mise au néant, et que le droit de
communauté reprend la force qu’il avoit lors de la célébration du mariage ;
c’est le juste effet de l’anéantissement du faux motif de la séparation. J’ai vu
ainsi décider au châtelet, dans plusieurs comptes de communauté et ce sur le
fondement que la séparation se trouvoit juridiquement détruite, et jusques dans
sa source ; que cette séparation ne tendoit qu’à une contravention à la loi,
c’est-à-dire, à un avantage indirect et prohibé, et par conséquent à rejetter
totalement; sauf la limitation qui suit sur les actes antérieurs et légitimes.
L’arrêt du 4 février 1601, ci-dessus rapporté [la sentenza risulta citata da Tronçon, Le droit français, et coutume de la Prévoté et Vicomté de Paris,
Paris, 1626, sull’art. 224 della coutume
di Parigi: n.d.a.] l’a décidé de la
même maniere, à l’égard des acquêts même et de ceux échus et acquis pendant la
séparation. (…) Cependant les actes que la femme a fait pendant ce même tems
intermédiaire comme femme séparée, subsistent, parce que la séparation
substitoit alors ; la bonne foi de ceux qui ont contracté avec elle pendant ce
tems, soutient ces actes ; ainsi la séparation en ce cas ne produit effet que
relativement à des tiers, mais non à l’égard des conjoints. On le juge ainsi au
châtelet, tant par l’équité que par le principe qui veut que les conventions
légitimes aient leur exécution».