TRASFERIMENTI
PATRIMONIALI IN FAVORE DELLA PROLE
OPERATI IN
SEDE DI CRISI CONIUGALE
(Nota a Trib. Salerno, 4 luglio 2006)
Partendo dallo spunto
offerto dalla sentenza in commento, lo scritto affronta il problema
dell’ammissibilità di accordi che prevedano l’erogazione, da parte di un
genitore, del suo contributo al mantenimento della prole minorenne (o
maggiorenne e non autosufficiente), in tutto o in parte mediante il
trasferimento in capo ai figli della titolarità di beni (solitamente immobili).
Dopo aver analizzato le posizioni della giurisprudenza di merito e di
legittimità sul tema e dopo aver illustrato le ragioni che militano in favore
dell’ammissibilità di tale categoria di negozi, lo studio tratta dei profili
causali e formali di siffatte attribuzioni, analizzandone altresì i rapporti
con la donazione e presentando alcuni rilievi sui risvolti fiscali di questo
particolare tipo di trasferimenti.
1. La fattispecie
oggetto del provvedimento in esame. 2. Il problema
dell’ammissibilità dell’erogazione del mantenimento mediante prestazione una tantum. 3. Le posizioni della
giurisprudenza di merito. 4. Le posizioni della
giurisprudenza di legittimità; natura contrattuale delle intese in
discorso. 5. I trasferimenti in
favore della prole come contratti a favore di terzi. 6. Questioni in tema di
rappresentanza legale del minore. 7. I trasferimenti in
favore della prole e la causa dei contratti della crisi coniugale. 8. Tipologia dei negozi in oggetto. 9. I trasferimenti in
favore della prole e i rapporti con la donazione. 10. Profili fiscali
dei trasferimenti in favore della prole.
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1. La fattispecie oggetto del
provvedimento in esame.
Nel sempre più vasto ambito
delle questioni relative ai trasferimenti patrimoniali effettuabili in
occasione di separazione o di divorzio [1]
un capitolo di un certo rilievo è costituito dalle attribuzioni in favore della
prole. La decisione in commento si segnala per aver affrontato, in sede di
reclamo ex art. 2674-bis c.c. – 113-ter disp. att. c.c. avverso trascrizione con riserva [2],
alcuni temi cruciali in questa materia: dalla natura e dalla causa di simili
atti (a prescindere dalla terminologia usata dalle parti; nella specie:
«donazione»), alla compatibilità degli stessi con la struttura del contratto a
favore di terzo, al contenuto (necessario, così come quello non necessario)
degli accordi di separazione, al carattere di atto pubblico del verbale di
separazione consensuale e all’idoneità di quest’ultimo a fungere da titolo
idoneo per la trascrizione.
Rimane invece in ombra un
elemento che pure avrebbe potuto giocare un notevole ruolo nell’iter argomentativo dei giudici
salernitani. Ci si intende qui riferire alla circostanza se la figlia
destinataria dell’attribuzione dominicale fosse o meno maggiorenne. A favore
della maggiore età depone la circostanza che la stessa abbia proposto il
reclamo ex artt. 2674-bis c.c. – 113-ter disp. att. c.c. in proprio e non già a mezzo dei propri
genitori (o di curatore speciale) [3].
Di contro sembrerebbero porsi, invece, i due espressi richiami, nella parte finale della
motivazione, al concetto di «mantenimento» [4],
onde sembra lecito supporre che si trattasse, nella specie, di figlia magari
maggiorenne, ma certamente non autosufficiente.
Il provvedimento in esame
fornisce dunque lo spunto per una rivisitazione di alcuni profili attinenti al
tema dei trasferimenti in favore della prole [5].
2. Il problema dell’ammissibilità
dell’erogazione del mantenimento mediante prestazione una tantum.
E’ noto che, per quanto
attiene alle modalità di adempimento dell’obbligo di contribuire al
mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli minorenni, i tribunali,
prima della riforma dell’art. 155 c.c. disposta dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54
(«Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso
dei figli»), erano soliti imporre al genitore non affidatario l’obbligo di
corrispondere all’altro una somma periodica di denaro [6].
La dottrina si era peraltro
interrogata sulla possibilità per il giudice di prevedere modalità divergenti
da questa, spingendosi ad ammettere, per esempio, la «destinazione dei frutti
di beni e capitali al mantenimento del minore» [7].
A questa conclusione si era obbiettato che qualche difficoltà sarebbe stata
prospettabile, allorché si fosse trattato di determinare «un criterio di
adeguamento automatico» in riferimento ai frutti di un capitale, criterio che
il tribunale aveva l’obbligo di fissare – e di fissare in misura non inferiore
agli indici di svalutazione monetaria – ai sensi dell’art. 6, undicesimo comma,
l.div. [8],
ora sostituito dall’art. 155, quinto comma, c.c. [9],
applicabile anche al divorzio (oltre che ai procedimenti di nullità del
matrimonio, nonché a quelli relativi ai figli di genitori non coniugati), ai
sensi dell’art. 4 cpv., l. 8 febbraio 2006, n. 54. Ma a siffatta osservazione
si sarebbe potuto replicare che, in concreto, il sistema così adottato avrebbe
potuto anche assicurare un adeguamento superiore (e magari di gran lunga) a
quello conseguente all’applicazione degli indici ISTAT.
Peraltro, oggi il quarto
comma dell’art. 155 c.c. non sembra lasciare adito a dubbi sul fatto che la
sola modalità di fonte giudiziale per la determinazione del contributo di uno
dei genitori al mantenimento della prole sia costituita dalla previsione, «ove
necessario», della «corresponsione di un assegno periodico al fine di
realizzare il principio di proporzionalità». Ben diverso è il discorso per ciò
che attiene alle intese delle parti: intese in relazione alle quali il giudice
deve limitarsi ad una mera «presa d’atto», ove, beninteso, le medesime non
appaiano in contrasto con l’inderogabile principio dell’interesse del minore.
Sotto questo profilo non
sembra esservi dubbio sul fatto che i genitori
ben potrebbero introdurre accorgimenti idonei a riconoscere, ad esempio,
al genitore beneficiario della prestazione un «minimo garantito»,
predeterminato in modo da assicurare per il futuro non solo il mantenimento, in
termini nominali, del medesimo livello delle prestazioni inizialmente erogate,
ma anche la conservazione, in valore reale, del relativo potere d’acquisto.
Più delicato appare il
problema dell’ammissibilità della corresponsione, sempre sulla base
dell’accordo delle parti, del contributo in un’unica soluzione. In proposito si
sono sollevate obiezioni fondate sul silenzio del legislatore, di fronte alla
esplicita previsione, invece, della liquidabilità una tantum dell’assegno per l’ex coniuge [10].
Ora, come premessa di carattere generale
sull’argomento, va subito detto che – in considerazione del carattere
inderogabile del criterio di proporzionalità espresso dall’art. 148 c.c. [11],
nonché del principio generale dell’interesse della prole – nessun effetto
preclusivo potrebbe comunque collegarsi all’effettuazione di una prestazione una tantum [12],
neppure in caso di espressa clausola al riguardo; clausola che, ove prevista,
andrebbe sicuramente ritenuta tamquam non
esset. Diversamente da quanto illustrato in altra sede in relazione alla
possibilità di derogare – per ciò che attiene ai rapporti tra le parti – al
diritto di chiedere una modifica delle condizioni della separazione o del
divorzio [13],
qui nessuna rinunzia (espressa o tacita) potrebbe escludere la facoltà per il
genitore interessato (vale a dire l’affidatario, nel caso di affido disgiunto,
ovvero quello che debba sopportare gli esborsi maggiori, in caso di affidamento
condiviso), o per lo stesso figlio, divenuto maggiorenne, ma non ancora
autosufficiente, di far valere le eventuali sopravvenienze per effetto delle
quali la prestazione effettuata – vuoi periodicamente, vuoi una tantum – non dovesse più rispondere
ai canoni ex art. 148 c.c.
3. Le posizioni della giurisprudenza di
merito.
Il problema fondamentale è
dunque quello di vedere se dalla prestazione del mantenimento in unica
soluzione possa farsi derivare l’estinzione – anche se solo con efficacia rebus sic stantibus – dell’obbligo di
cui qui si discute in capo al genitore che sarebbe altrimenti tenuto alla
corresponsione di un assegno. La questione si pone, come è chiaro, in stretta
correlazione con quella concernente l’ammissibilità del trasferimento e della
costituzione, a titolo di contributo gravante sul genitore, di diritti (per lo
più reali) in capo alla prole minorenne. La giurisprudenza di merito che ha
avuto modo di occuparsi in maniera specifica del problema del trasferimento o
della costituzione di diritti in favore della prole in sede di crisi coniugale
ha assunto svariate posizioni, che possono così sommariamente riassumersi.
Una prima decisione ha
negato tout court l’ammissibilità di
tali accordi, partendo dal presupposto del carattere necessariamente pecuniario
e periodico della prestazione, desumibile dal silenzio del legislatore sulla
liquidabilità una tantum della
prestazione gravante sul genitore non affidatario e sul carattere indisponibile
dei diritti in questione [14].
Sarà interessante notare al
riguardo che la pronunzia testé citata, dopo avere proclamato l’invalidità, per
avere trattato di diritti indisponibili, della convenzione con cui il padre si
era impegnato a «donare» [15]
ai figli la proprietà di una casa, sembra voler imprimere una brusca «sterzata»
alla motivazione verso la considerazione del carattere non preclusivo
dell’accordo stesso in ordine a pretese future. La questione della validità del
trasferimento operato viene così immediatamente messa da parte e vi è veramente
da dubitare che fosse nell’intenzione del giudicante porre le premesse per una
distinta azione di accertamento da parte del padre della nullità della
«donazione», così consentendo a quest’ultimo di recuperare il bene già
destinato al mantenimento della prole.
Alla sentenza testé riferita
se ne contrappongono altre che, al contrario, ammettono la validità di accordi
traslativi e/o costitutivi di diritti reali, dando per scontata la soluzione
positiva. Così, per esempio,
Uno sforzo ermeneutico
maggiore è dato rinvenire in altre decisioni di merito, che hanno inquadrato
l’impegno a trasferire un immobile in favore della prole nello schema del
contratto a favore di terzi. Così, per esempio, il Tribunale di Vercelli [17]
ha stabilito che, costituendo un contratto a favore di terzi (e non promessa di
donazione) l’accordo con il quale un coniuge, nell’àmbito della
regolamentazione dei rapporti patrimoniali posta in essere in sede di
separazione personale, si obblighi nei confronti dell’altro, al trasferimento
gratuito in favore della prole di un immobile (casa familiare) successivamente
all’omologa degli accordi di separazione, spetta soltanto ai figli (e non anche
allo stipulante) la legittimazione ad agire in giudizio per ottenere l’attuazione
coattiva della prestazione da parte del coniuge promittente inadempiente.
In precedenza
In tempi più recenti un
tribunale siciliano [22] ha stabilito che
l’accordo con cui venga pattuito il trasferimento di un diritto reale al figlio
minorenne, per provvedere una tantum al suo mantenimento, si può
configurare come un contratto a favore di terzi, ex art. 1411 c.c.
realizzante una liberalità indiretta, con conseguente non applicabilità
dell’art. 782 c.c.
Come si vede, le decisioni
appena citate anticipano molti dei temi (si pensi, in particolare, al profilo
della donazione) che costituiscono oggetto della decisione qui in commento.
4. Le posizioni della giurisprudenza di
legittimità; natura contrattuale delle intese in discorso.
Venendo ora ad illustrare la
posizione della giurisprudenza di legittimità, andrà subito notato come
l’attenzione della medesima, tra i tanti profili coinvolti dalla problematica
in esame, sia stata immediatamente attratta dal tema della riconducibilità o
meno delle intese in discorso allo schema del contratto a favore di terzi. Al
riguardo, una ormai remota pronunzia della Cassazione ebbe a negare
l’applicazione della disciplina ex
artt. 1411 ss. c.c., rifiutandosi di riconoscere nelle intese in oggetto la
natura contrattuale, in relazione alla clausola inserita all’interno di un
accordo di separazione consensuale tra coniugi, secondo la quale il marito si
era obbligato a mettere a disposizione del figlio e della moglie, per tutta la
durata della loro vita, un’abitazione, ad integrazione dell’assegno di
mantenimento dovuto agli stessi [23].
Il principio venne però
smentito nove anni dopo, proprio con riferimento ad una fattispecie per molti
versi analoga, e in relazione alla quale
Quest’ultima decisione ha
ricevuto un successivo avallo – per ciò che attiene all’affermazione della
natura contrattuale dell’impegno in questione – all’inizio degli anni Novanta,
quando
Poste queste premesse, deve
dunque ritenersi rimosso il principale ostacolo alla astratta riconducibilità
dei trasferimenti (e, più in generale, dei contratti della crisi coniugale)
dispieganti effetti nei confronti della prole alla figura del contratto a
favore di terzi, ostacolo risiedente nella (asserita) non riferibilità delle
intese d’ordine patrimoniale in sede di crisi coniugale al paradigma
contrattuale [27].
L’atteggiamento favorevole
della giurisprudenza di legittimità circa l’ammissibilità di trasferimenti
patrimoniali in favore della prole prosegue con alcune pronunzie degli ultimi
anni. Così, nel 2004,
La medesima decisione ha altresì
fissato il principio secondo cui la pattuizione, intervenuta in sede di
separazione consensuale, contenente l’impegno di uno dei coniugi, al fine di
concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in favore di
quest’ultimo, la piena proprietà di un bene immobile, non è soggetta né alla
risoluzione per inadempimento, a norma dell’art. 1453 c.c., né all’eccezione
d’inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c., «non essendo ravvisabile, in un
siffatto accordo solutorio sul mantenimento della prole, quel rapporto di
sinallagmaticità tra prestazioni che è fondamento dell’una e dell’altra, atteso
che il mantenimento della prole costituisce obbligo ineludibile di ciascun
genitore, imposto dal legislatore e non derivante, con vincolo di corrispettività,
dall’accordo di separazione tra i coniugi, tale accordo potendo, al più,
regolare le concrete modalità di adempimento di quell’obbligo» [29].
L’anno successivo la stessa Corte ha ribadito che
l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole può essere adempiuto con
l’attribuzione definitiva di beni, o con l’impegno ad effettuare detta
attribuzione, piuttosto che attraverso una prestazione patrimoniale periodica,
sulla base di accordi costituenti espressione di autonomia contrattuale, con i
quali vengono, peraltro, regolate solo le concrete modalità di adempimento di
una prestazione comunque dovuta. Da tali premesse si è derivata la conseguenza
secondo cui la pattuizione conclusa in sede di separazione personale dei
coniugi non esime il giudice chiamato a pronunciare nel giudizio di divorzio
dal verificare se essa abbia avuto ad oggetto la sola pretesa azionata nella
causa di separazione, ovvero se sia stata conclusa a tacitazione di ogni
pretesa successiva, e, in tale seconda ipotesi, dall’accertare se, nella sua
concreta attuazione, essa abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto
l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo
emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento [30].
5. I trasferimenti in favore della prole
come contratti a favore di terzi.
Una volta accertata
l’impossibilità di contestare il richiamo allo schema del contratto a favore di
terzi negando natura contrattuale alle intese d’ordine patrimoniale in sede di
crisi coniugale, la soluzione del problema non può dirsi ancora raggiunta, dal
momento che altre difficoltà potrebbero prospettarsi.
Il primo problema è
costituito dalla posizione di «terzo» in capo al figlio destinatario
dell’attribuzione. Al riguardo, infatti, già nel 1978
In realtà, il fatto che i
genitori si accordino su diritti di cui essi stessi sono soggetti attivi e
passivi non esclude ancora che le medesime parti attribuiscano direttamente ai
figli posizioni giuridiche soggettive. Posizioni giuridiche che, proprio in
quanto direttamente previste a vantaggio della prole – in adempimento, si badi,
di obbligazioni che vedono (ex artt. 30
Cost., 147 e 148 c.c.) quali soggetti attivi i figli e soltanto essi –
escludono (in tutto o in parte) quelle pretese che l’affidatario (o comunque,
oggi, quello dei coniugi che affronta gli esborsi proporzionalmente maggiori,
in caso di affido condiviso) vanta iure proprio a titolo, sostanzialmente,
di rimborso per spese personalmente effettuate. Il tutto, ovviamente, a
condizione che i criteri di proporzionalità espressi dall’art. 148 c.c. [33]
e di rispetto dell’interesse del minore siano pienamente osservati. Nulla
sembra opporsi, dunque, a che il figlio, in quanto soggetto di diritto
autonomo, sia dai genitori individuato quale titolare di uno o più diritti
reali, trasferiti al medesimo, oppure costituiti ad hoc in capo allo stesso, con conseguente estinzione, totale o
parziale, dell’obbligo di cui qui si discute.
Praticamente, poi, il
trasferimento della proprietà direttamente in capo al minore di un immobile
locato a terzi o di un pacchetto azionario, o di quote di fondi di investimento
o di titoli di stato potrebbe, a conti fatti, risultare assai più conveniente
della previsione d’un assegno mensile, magari parametrato in relazione ad un
reddito «apparente» (e documentabile) modesto dell’obbligato, dotato invece di
un cospicuo patrimonio «nascosto» [34].
6. Questioni in tema di rappresentanza
legale del minore.
Il richiamo alla figura del
contratto a favore di terzi consente di risolvere anche il problema,
prospettato in dottrina [35],
dell’eventuale necessità dell’autorizzazione ex art. 320 c.c. in ordine all’acquisto in capo al minore.
L’acquisto, in effetti, si pone quale effetto immediato e diretto del contratto
(art. 1411 cpv. c.c.), come rilevato da una pronunzia di legittimità, secondo
cui «Nel contratto a favore di terzo, secondo la previsione dell’art. 1411 cod.
civ., la validità ed operatività della convenzione medesima postula soltanto la
ricorrenza di un interesse dello stipulante (art. 1411 citato, primo comma),
senza che si richieda l’osservanza delle norme sulla rappresentanza dei minori,
ove stipulato dal genitore a vantaggio del figlio minore» [36].
Ne consegue che, non essendo richiesta alcuna dichiarazione d’accettazione da
parte del terzo beneficiario, nessuna autorizzazione ai sensi dell’art. 320
c.c. dovrà ritenersi necessaria [37].
Al terzo beneficiario,
d’altro canto, è attribuito il diritto di paralizzare l’eventuale revoca o
modifica della stipulazione in suo favore mediante dichiarazione di voler
profittare della medesima oppure, al contrario, il diritto di rinunziare a
questa mediante «rifiuto di profittarne» (art. 1411 cpv. c.c.). A questi
particolari atti dovrà riconoscersi il carattere di straordinaria
amministrazione, come stabilito dalla Cassazione in un’altra vicenda, avente ad
oggetto la rinunzia di un inabilitato, senza l’assistenza del curatore, alla
stipulazione in suo favore [38].
L’autorizzazione ad emettere
la dichiarazione di «voler profittare» della stipulazione in favore del minore
è regolata dall’art. 320 c.c. e non potrà ritenersi «assorbita» dal controllo
giudiziale in sede di omologazione [39],
posto che nessuna deroga al riguardo è desumibile dall’ordinamento, né
l’effettuazione di un identico tipo di controllo da parte di un distinto organo
giudiziario costituisce di per sé motivo per fondare un’interpretazione
abrogatrice di una precisa disposizione codicistica. Si noti poi – per rimanere
ancora un istante su questo tema – che la sovrapposizione degli interventi in
discorso non è perfetta, nel senso che mentre il controllo della convenienza
della stipulazione in favore del minore e della rispondenza al canone del suo
esclusivo interesse è comune ad entrambi i giudizi, solo in quello ex art. 158 c.c. è consentito un
sindacato sul rispetto del criterio di proporzionalità previsto dall’art. 148
c.c.
Alla luce di quanto sopra esposto
non appare condivisibile quanto stabilito da una non remota decisione di merito
che, pur riconducendo la situazione in esame allo schema del contratto a favore
di terzo, ha poi negato che il
trasferimento immobiliare a favore del figlio, previsto in un accordo di
separazione tra coniugi, sia trascrivibile, in mancanza dell’adesione del terzo
beneficiario; tale adesione costituirebbe, infatti, indefettibile condicio iuris sospensiva, fino al suo verificarsi,
dell’acquisizione del diritto in modo irrevocabile. Dovrebbe pertanto ritenersi
corretta la riserva apposta dal conservatore alla trascrizione dell’accordo
traslativo di bene immobile, contenuto nell’intesa di separazione consensuale
dei coniugi, a favore di un figlio minorenne, in caso di mancata previa
manifestazione del consenso, in nome e per conto del minore, da parte del
legale rappresentante nominato e autorizzato dal giudice tutelare ex art. 320 c.c. [40].
La
conclusione non appare convincente. Se è infatti vero che, secondo alcune
pronunzie di legittimità, l’adesione del terzo – nello schema ex art. 1411 c.c. – si configurerebbe
alla stregua di una «condicio iuris
sospensiva dell’acquisizione del diritto (rilevabile per facta concludentia), restando la dichiarazione del terzo di
voler profittare del contratto necessaria soltanto per renderlo irrevocabile ed
immodificabile» [41],
è altrettanto innegabile che, come pure rilevato in dottrina [42],
questa interpretazione forza il testo della norma citata, la quale non
attribuisce al terzo la veste di parte, né in senso formale, né in senso
sostanziale rispetto alla convenzione negoziale in suo favore. Ne consegue che,
nel caso di specie, come già ricordato, l’accordo concluso tra i genitori non
richiede l’osservanza delle norme sulla rappresentanza dei minori. Tale intesa
sarà dunque trascrivibile a prescindere dall’eventuale adesione [43],
che viene ad incidere non già sulla produzione degli effetti (reali od
obbligatori che siano), ma solo sulla possibilità di revoca da parte dello
stipulante o di rifiuto da parte del terzo, non più possibile dopo l’adesione [44].
Per quanto attiene, poi, al
contenuto del diritto costituito o trasferito, sarà il caso di aggiungere che
esso potrà concernere situazioni connotate dalla realità (proprietà, usufrutto,
uso, superficie, ecc.), non ostando all’uopo la riconduzione della fattispecie
alla figura del contratto a favore di terzi. E’ noto infatti che, secondo la
tesi prevalente (e preferibile), l’istituto ex
art. 1411 c.c. ben può avere ad oggetto effetti di carattere reale [45].
Altre volte esso si riferirà ad una mera obbligazione di trasferire un diritto
reale, magari espressa (erroneamente) tramite il ricorso ad una «promessa di
donazione», secondo quanto si avrà modo di vedere più avanti [46].
7. I trasferimenti in favore della prole
e la causa dei contratti della crisi coniugale.
La giurisprudenza di
legittimità tende a ravvisare, come si è visto, la causa dei trasferimenti in
favore della prole nella funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento, pur
non mancando richiami alla causa atipica (ex
art. 1322 c.c.). Si ripresentano così, anche nel «microcosmo» delle
attribuzioni in favore dei figli, le varie ipotesi prospettate in linea
generale quale sostrato causale dei contratti della crisi coniugale.
Il tema, sviluppato altrove [47],
potrà essere qui sintetizzato rilevandosi come, scartata la tesi della causa solutionis, per difetto (quanto
meno, il più delle volte) di una preventiva predeterminazione quantitativa
dell’obbligazione che il trasferimento andrebbe (in tutto o in parte) ad
estinguere, nonché della causa
transactionis, per la mancanza (quanto meno, il più delle volte) di un aliquid datum contrapposto ad un aliquid retentum – ed inoltre, nello
specifico caso in esame, per l’indisponibilità dei diritti in gioco, attinenti
alle prestazioni ex artt. 30 Cost.,
147 e 148 c.c. – potrebbe immaginarsi di
puntare sulla tesi del negozio atipico, pure richiamata, come si è detto, dalla
Cassazione, proprio con riguardo ai negozi relativi alla prole [48].
Ma, se si tiene conto del
carattere di negoziazione globale che
la coppia in crisi attribuisce al momento della «liquidazione» del rapporto
coniugale, di fronte alla necessità di valutare gli infiniti e complessi
rapporti di dare-avere che la convivenza protratta per anni genera, v’è da
chiedersi se, in luogo di una miriade di possibili accordi innominati, non sia
possibile tentare di intraprendere un’opera ricostruttiva che faccia perno
sull’individuazione di una vera e propria causa tipica del negozio patrimoniale
della crisi coniugale, di un vero e proprio contratto, cioè, di definizione
della crisi coniugale o, più esattamente, dei suoi aspetti patrimoniali. Tale
negozio dovrebbe abbracciare ogni forma di costituzione e di trasferimento di
diritti patrimoniali compiuti, con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale.
L’ipotesi sembra avvalorata
dalla stessa terminologia impiegata dal legislatore, laddove esso si riferisce alle
«condizioni della separazione consensuale» (art. 711 c.p.c.), e alle
«condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici» in sede di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 4,
sedicesimo comma, l.div.). Ora, una lettura coordinata delle predette
disposizioni, alla luce di quella giurisprudenza ormai costante del S. C. a
mente della quale ciascun coniuge ha il diritto di condizionare il proprio
assenso alla separazione a un soddisfacente assetto dei rapporti patrimoniali [49],
consente di attribuire a quel complemento di specificazione («della
separazione») valore non più solo soggettivo, bensì anche oggettivo. In altri
termini, «condizioni della separazione» non sono soltanto quelle «regole di
condotta» destinate a scandire il ritmo delle reciproche relazioni per il
periodo successivo alla separazione o al divorzio, bensì anche tutte quelle
pattuizioni alla cui conclusione i coniugi intendono comunque ancorare la loro
disponibilità per una definizione consensuale della crisi coniugale.
Avuto riguardo, dunque, al
profilo causale [50], i contratti della crisi coniugale – e,
per ciò che attiene al tema specifico della presente ricerca, i negozi
traslativi di diritti tra coniugi in crisi – sono quelli che si caratterizzano
per la presenza vuoi della causa tipica di definizione della crisi coniugale
(contratto tipico della crisi coniugale, o contratto postmatrimoniale), vuoi
per la semplice presenza, accanto ad una causa tipica diversa (donazione,
negozio solutorio, transazione, convenzione matrimoniale, divisione), di un
motivo «postmatrimoniale», rappresentato dal fatto che quel particolare
contratto viene stipulato in contemplazione della crisi coniugale, avuto
riguardo all’intenzione delle parti di considerare la relativa pattuizione alla
stregua di una delle «condizioni» della separazione o del divorzio, cioè di un
elemento la cui presenza viene dai coniugi ritenuta essenziale al fine di
acconsentire ad una definizione non contenziosa della crisi coniugale [51].
L’impostazione, proposta alcuni anni or sono per la
prima volta dallo scrivente, sembra essere stata recepita da una sentenza del
2004 della Corte di legittimità [52],
espressamente richiamata e condivisa proprio dal provvedimento che qui si
commenta.
In senso contrario alla configurabilità di una causa
tipica per i contratti della crisi coniugale non sembra possa addursi
l’argomento secondo cui la legge non detterebbe «una sia pur minima disciplina
della fattispecie» [53].
Sul punto si potrà rilevare come per gli accordi in oggetto, costituenti a
tutti gli effetti (e come più volte ribadito) condizioni della separazione o
del divorzio, saranno applicabili tutte le regole per queste ultime dettate dal
codice civile, così come da quello di rito (e, in misura ben maggiore, quelle
elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza). Ne consegue che, ad esempio,
per siffatto tipo di intese varrà, sul piano degli effetti, il principio della
sottoposizione alla clausola rebus sic
stantibus, peraltro derogabile – per i rapporti non coinvolgenti la prole –
sulla base dell’accordo delle parti [54];
tali contratti, poi, dovranno intendersi come efficaci ex art. 158 c.c. (salvo patto contrario) al momento dell’omologa
della separazione (o della pronunzia della sentenza di divorzio). Ancora, sul
piano della forma, varrà il principio per cui queste intese, costituendo
oggetto del contenuto eventuale dell’intesa di separazione, potranno essere
inserite a verbale d’udienza di separazione consensuale (artt. 158 c.c. e 708
c.p.c.) o di divorzio su domanda congiunta (art. 4, sedicesimo comma, l.div.),
che – come si è dimostrato in altra sede [55]
– costituisce atto pubblico a tutti gli effetti (art. 2699 c.c.), con tutte le
relative conseguenze previste dalle disposizioni in tema di pubblicità
mobiliare ed immobiliare (art. 2657 c.c.) e dalla normativa fiscale (art.
8. Tipologia
dei negozi in oggetto.
Per ciò che riguarda la tipologia degli
atti in oggetto, esattamente come per il caso delle attribuzioni inter coniuges, il trasferimento può
concretamente avvenire in due sedi distinte, ciascuna delle quali dà luogo a
problemi suoi propri: quella giudiziale e quella stragiudiziale. Atto
traslativo in sede giudiziale è quello che i coniugi pongono in essere dinanzi
al giudice, nel verbale di separazione giudiziale redatto nel corso
dell’udienza ex art. 711 c.p.c.,
oppure in quello di comparizione dinanzi al collegio nella procedura su domanda
congiunta, ai sensi dell’art. 4, sedicesimo comma, l.div. L’atto traslativo in
sede stragiudiziale si compie invece al di fuori di questo contesto, sovente in
adempimento di un impegno a trasferire assunto nella fase giudiziale [57].
In un apposito lavoro
sull’argomento si è avuto modo di esaminare in dettaglio l’evoluzione
giurisprudenziale sul tema [58].
In questa sede potrà solo riassuntivamente rammentarsi che l’ammissibilità dei
trasferimenti in sede (e non solo in occasione) di separazione e divorzio
era stata riconosciuta [59]
non soltanto in relazione a negozi aventi efficacia meramente obbligatoria, bensì anche a casi di atti
immediatamente traslativi, a
cominciare da una decisione di legittimità [60]
che, già nel 1941, aveva ammesso la possibilità di inserire una donazione nel
verbale di separazione consensuale, per passare a Cass., 12 giugno 1963, n.
1594 [61],
che aveva consentito (quanto meno in astratto) la creazione di un diritto reale
d’abitazione in un verbale di separazione (redatto, addirittura, nel 1920), per
continuare con la successiva Cass., 7 giugno 1966, n. 1495 [62],
che si era venuta a collocare nel medesimo ordine d’idee. Diversi anni più
tardi, Cass., 11 novembre 1992, n. 12110 [63],
aveva poi avallato l’interpretazione, alla stregua di un vero e proprio negozio
traslativo, della dichiarazione contenuta nel verbale di separazione personale
consensuale con la quale era stata a suo tempo riconosciuta al marito la
proprietà esclusiva di un appartamento, confermando la valutazione dei giudici
di secondo grado, secondo cui «tale riconoscimento, lungi dall’esprimere, come
ritenuto dal Tribunale, una mera dichiarazione di scienza (...), configurava
invece una volontà negoziale attributiva di tal bene al [marito] nel quadro di
un complessivo regolamento di interessi che fra l’altro prevedeva ad esclusivo
carico di costui il pagamento del prezzo (ancora in larga parte da versare)
dell’appartamento» [64].
Ma è nel 1997 che
Potranno così menzionarsi quelle
numerose decisioni rese in materia fiscale che, discettando dell’applicabilità
dell’art.
Al riguardo sarà opportuno rammentare
che la pronunzia qui in commento si esprime in merito ad un atto di sicura efficacia
reale, come anche dimostrato dal fatto che le parti avevano qualificato
(impropriamente, come si vedrà) il negozio alla stregua di una «donazione».
9. I trasferimenti in favore della prole
e i rapporti con la donazione.
Si è già avuto modo di vedere
[73]
che il richiamo delle parti alla donazione costituisce un Leitmotiv di molti trasferimenti a vantaggio della prole minorenne
o maggiorenne e non autosufficiente: la decisione qui in commento non fa
eccezione.
Al riguardo si è proposta in
dottrina una distinzione tra due ipotesi, a seconda che il trasferimento
costituisca il corrispettivo del maggior onere assunto dall’affidatario (e oggi
dovremmo dire: del genitore a favore del quale verrebbe previsto un assegno,
pur in ipotesi di affidamento condiviso), ovvero che l’intento delle parti sia
quello di evitare una eventuale comunione ereditaria con altri figli: la causa
liberale andrebbe negata nel primo caso ed affermata nel secondo [74].
Altra dottrina [75]
ha invece ritenuto di potere superare ogni difficoltà spostando il discorso sul
piano delle posizioni dei genitori, tra i quali la causa liberale non potrebbe
mai sussistere. L’opinione testé riferita si scontra però con l’ostacolo
costituito dalla considerazione che destinatario della prestazione e titolare
dei diritti così trasferiti o costituiti è pur sempre il figlio.
Ad avviso di chi scrive, la
prestazione di cui si discute, proprio in quanto satisfattiva (in tutto o in
parte) dell’obbligo di cui agli artt. 30 Cost., 147 e 148 c.c. nell’ambito di un
negozio tipico della crisi coniugale, dotato, come tale, di una sua propria e
ben precisa causa [76],
sembra esulare dallo schema della donazione [77].
In altri termini, il prius, di fronte
alle norme citate, è costituito dall’obbligo dei genitori – di entrambi i
genitori – di fornire direttamente al figlio i mezzi necessari per il
mantenimento, l’istruzione e l’educazione. Lo ius proprium di un genitore verso l’altro nasce solo in
considerazione del fatto che è il genitore affidatario o prevalente
«collocatario» a provvedere in prima persona all’attuazione degli obblighi
anzidetti. Ove invece, conformemente all’interesse del minore, le parti
reputino di consentire ad una di esse di soddisfare in tutto o in parte il
dovere di contribuire al mantenimento della prole a mezzo del trasferimento o
della costituzione di uno o più diritti in capo al figlio, nessun diritto (o un
diritto dal contenuto più limitato) nascerà in capo ad un genitore
(l’affidatario o il prevalente «collocatario») verso l’altro, non dovendo più
(ovvero dovendo solo in parte) il primo «avanzare» quanto dovuto dall’altro
genitore per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli.
D’altro canto
l’impossibilità per il figlio – che non è «parte» nel processo di separazione –
di comparire (anche a mezzo di un curatore speciale) all’udienza ex art. 711 c.p.c. o 4, sedicesimo
comma, l.div., non consente di perfezionare all’udienza stessa il trasferimento
in capo al medesimo, quando tale translatio
formi oggetto di un obbligo assunto da uno dei coniugi. Quindi, delle due
l’una: o si ritiene il trasferimento già perfezionato per effetto dell’intesa
tra i genitori [78],
oppure si attribuisce all’atto il valore di semplice obbligo a trasferire [79].
In quest’ultima ipotesi si legittima allora il figlio (minorenne) ad agire,
tramite l’altro genitore, ex art.
2932 c.c., nel caso in cui il genitore obbligato si dovesse rifiutare di porre
in essere l’atto traslativo [80].
Proprio sul problema dei
rapporti con la donazione sarà utile richiamare anche una già citata decisione
di merito, che nega valore di promessa, per l’appunto, di «donazione» [81]
all’obbligazione assunta da un marito – in seno ad una «scrittura privata di
transazione», redatta con la moglie in fase di separazione ed allegata al
verbale presidenziale – di «donare» un immobile di sua proprietà ai figli con
la concessione dell’usufrutto alla moglie. Come già ricordato, la corte
subalpina [82]
è andata contro il tenore letterale delle espressioni usate dalle parti,
rilevando che, nel caso di specie, faceva difetto l’animus donandi, con
conseguente validità del predetto impegno ed accoglimento della domanda
diretta, ex art. 2932 c.c.,
all’esecuzione coattiva del medesimo [83].
Le considerazioni di cui
sopra sono estensibili al caso della prole maggiorenne ma non autosufficiente,
con la sola precisazione che, nel caso di impegno avente carattere meramente
obbligatorio, il figlio sarebbe legittimato ad agire in proprio (arg. ex art. 155-quinquies c.c.).
Diverso è il discorso per
quanto attiene alla prole maggiorenne autosufficiente. Qui, in effetti,
l’assenza di un obbligo di mantenimento fa sì che a tali figli non possano
applicarsi le disposizioni di cui ai più volte citati artt. 711 c.p.c. e 4,
sedicesimo comma, l.div., con la conseguenza che un atto traslativo in loro
favore non potrà essere considerato se non quale estrinsecazione d’un intento
liberale e pertanto alla stregua di una donazione. Peraltro, proprio le
disposizioni da ultimo citate potrebbero tornare in considerazione, non più
come concernenti le «condizioni inerenti alla prole» (che non può essere,
nell’ottica delle norme citate, se non la prole minorenne o maggiorenne e non
autosufficiente), ma sotto il profilo delle condizioni relative ai rapporti tra
i coniugi stessi. In altre parole, la donazione, pur non avendo causa nella
crisi coniugale, potrebbe trovare in essa un motivo, costituendo la medesima
una delle condizioni in presenza delle quali (e nel contesto di una serie di
più ampie intese sui reciproci rapporti di dare-avere) i coniugi decidono di
addivenire ad una separazione consensuale (o ad un divorzio su domanda
congiunta).
Ci si potrebbe così trovare
di fronte ad una vera e propria donazione con motivo postmatrimoniale [84],
che in questo caso presenterebbe la particolarità di non vedere quale
beneficiario uno dei coniugi, bensì un terzo (il figlio, per l’appunto,
maggiorenne ed autosufficiente). Quest’ultimo, peraltro, come soggetto estraneo
al processo di separazione o di divorzio, non potrebbe intervenire nell’atto a
manifestare l’accettazione. Né sarebbe comunque immaginabile qui il ricorso al
meccanismo di cui all’art. 1411 c.c., posto che farebbe difetto in tale ipotesi
quell’interesse dello stipulante che, nel caso di prole minorenne o maggiorenne
ma non autosufficiente, è rappresentato dal contributo che l’attribuzione del
promittente porta all’adempimento di un’obbligazione (quella, appunto, di
mantenimento) che grava anche sullo stipulante medesimo e che lo stipulante
sarebbe tenuto ad adempiere per intero, in caso di mancata (o insufficiente)
contribuzione da parte del promittente.
A differenza, dunque, del
caso di donazione con motivo postmatrimoniale inter coniuges, il cancelliere non potrà ricevere questo tipo di negozio,
che andrà necessariamente rogato da notaio, in presenza di testimoni [85].
10. Profili fiscali dei trasferimenti in
favore della prole.
Secondo la giurisprudenza di legittimità [86],
nell’ipotesi di trasferimento di immobili in adempimento di obbligazioni
assunte in sede di separazione personale dei coniugi, il più volte citato art.
Di diverso avviso risulta invece una risoluzione
dell’Agenzia delle Entrate [89],
che ha escluso dal beneficio di cui all’art. 19 cit. la cessione di una quota
di un immobile al figlio della coppia all’interno di un procedimento di
divorzio, perché tale cessione «non sembra trovare causa giuridica nella
sistemazione dei rapporti patrimoniali fra i coniugi al momento dello
scioglimento del matrimonio, bensì in un intento di liberalità nei confronti di
un soggetto terzo (nella fattispecie uno dei figli), circostanza che non appare
strettamente e funzionalmente collegata con lo scioglimento del matrimonio e
che, peraltro, avrebbe potuto essere realizzata in qualunque momento».
Ad avviso dello scrivente, alla conclusione
diametralmente opposta deve invece condurre il rilievo per cui il contenuto
eventuale degli accordi di separazione e divorzio può essere costituito non
solo da contratti caratterizzati dalla causa postmatrimoniale tipica, ma anche
da un semplice «motivo postmatrimoniale» [90].
E’ pertanto incontestabile che pure siffatti tipi di negozi – anche se
effettuati nei confronti di prole maggiorenne e autosufficiente, ma,
ovviamente, a fortiori se compiuti
nei riguardi di prole minorenne o maggiorenne non autosufficiente e pertanto
caratterizzati, in quest’ultima ipotesi, da causa non liberale, bensì
postmatrimoniale tipica – vadano qualificati alla stregua di «atti relativi ai
procedimenti» di separazione o di divorzio e che pertanto debbano beneficiare
dell’esenzione fiscale in discorso [91].
[1] Sul tema cfr. per tutti Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione
di separazione e divorzio, in Fam.
dir., 1995, p. 155 ss.; Id., I
contratti della crisi coniugale, II, Milano, 1999, p. 1211 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano,
2000, p. 3 ss.; Id., I trasferimenti patrimoniali in occasione
della separazione e del divorzio, in Familia,
2006, p. 181 ss.; Id., Contratto e famiglia, in Aa. Vv.,
Temi e problemi del contratto, a cura
di Roppo, Milano, 2006 (in corso di stampa), cap. V, §§ 7, 8 e 9; T.V. Russo,
I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio,
Napoli, 2001; P. Carbone, I trasferimenti immobiliari in occasione
della separazione e del divorzio, in Notar.,
2005, p. 622 ss.
[2] Sul tema della trascrizione con riserva v.
per tutti Oberto, Rifiuto di
trascrizione e trascrizione con riserva nel sistema della legge 27 febbraio
1985, n.
[3] Tanto, almeno, sembra potersi arguire dalle prime righe
della motivazione («visto il reclamo proposto da M.M. ex art. 2674-bis c.c….»),
che non contengono alcun richiamo a situazioni di rappresentanza legale.
[4] Cfr., nel penultimo capoverso della motivazione, il
cenno al «trasferimento di un diritto reale al figlio per provvedere “una
tantum” al suo mantenimento», nonché, nell’ultimo capoverso, alla «clausola
dell’accordo di separazione che attribuisca ad un figlio la proprietà esclusiva
di beni immobili, al fine evidentemente di assicurarne il mantenimento».
[5] Sul tema v. anche Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 149 ss.; Id.,
I trasferimenti patrimoniali in occasione
della separazione e del divorzio, cit., p. 196 ss.
[6] Basini, I provvedimenti relativi alla prole, in Aa. Vv.,
Lo scioglimento del matrimonio, a
cura di Bonilini e Tommaseo, in Il codice
civile, Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 1997, p. 638.
[7] Scannicchio,
Commento all’art.
[8] Basini, op. cit., p. 638 s., nota 116.
[9] Disposizione secondo la quale «L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in
difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice». Devesi peraltro
ritenere che il diverso parametro, tenuto conto del principio fondamentale
dell’interesse del minore, non possa essere tale da determinare in concreto una
rivalutazione in misura inferiore rispetto a quella calcolata in base agli
indici ISTAT.
[10] Basini, op. cit., p. 643.
[11] Si noti peraltro il nuovo comma quarto dell’art. 155
c.c., a mente del quale ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei
figli in misura proporzionale al proprio reddito «salvo accordi diversi,
liberamente sottoscritti dalle parti». La derogabilità del criterio di
proporzionalità scolpito nell’art. 148 c.c. potrebbe forse porre un problema di
conformità all’art. 30 Cost.
[12] In questo senso v. anche Basini, op. cit.,
p. 643.
[13] Cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 203 ss.
[14] Cfr. Trib. Catania, 1° dicembre
[16] App. Milano, 6 maggio
[17] Trib. Vercelli, 24 ottobre
[18] App. Torino, 9 maggio
[19] Come tale nulla, per lo meno nel pensiero della
giurisprudenza e di una parte della dottrina. Sull’inammissibilità di un preliminare di donazione v. per tutti Torrente, La donazione, Milano, 1956, p. 243; Mirabelli, Dei contratti in genere (artt. 1321-1469),
nel Commentario del codice civile, a
cura di magistrati e docenti, Torino, 1980, p. 212 ss.; Scognamiglio, Dei
contratti in generale, nel Commentario
del codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 438
ss. (contra v. però Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, IV, Milano, 1954, p. 21; Biondi, Le
donazioni, Torino, 1961, p. 1004 ss.; Di
Lalla, Incertezze in tema di
promessa di donazione, in Foro it.,
1981, I, 1, c. 1702 ss.; Bertusi Nanni,
Note sul contratto preliminare di
donazione, in Riv. notar., 1984,
p. 123 ss.; Sacco e De Nova, Il contratto, nel Trattato di
diritto civile, diretto da Sacco, I, Torino, 1993, p. 268). La ragione di questa inammissibilità viene
reperita nel fatto che il carattere della spontaneità, implicito nella nozione
legale della donazione (attraverso il riferimento allo spirito di liberalità:
art. 769 c.c.), è incompatibile con l’adempimento e quindi con la natura di
«atto dovuto», propria del definitivo. In giurisprudenza per questa soluzione
cfr. Cass., 12 giugno 1979, n.
[20] App. Torino, 9 maggio 1980, cit.
[21] Per una fattispecie analoga, nella quale,
riconosciuta la figura di contratto a favore di terzo, il giudice ha però
rigettato la domanda ex art. 2932
c.c., perché proposta dalla madre a nome proprio, anziché dei figli minori ad
essa affidati, cfr. Trib. Vercelli, 24 ottobre 1989, cit. Il ricorso alla
donazione, con riguardo ad un trasferimento immobiliare in favore della prole,
è stato rifiutato più di recente anche da App. Roma, 4 giugno
[22] Cfr. Trib. Siracusa, 14 dicembre
[23] Cass., 25 settembre 1978, n.
[24]Venne così stabilito che «Allorché taluno, in sede di
separazione coniugale consensuale, assume l’obbligo di provvedere al
mantenimento di una figlia minore, impegnandosi a tal fine a trasferirle un
determinato bene immobile, pone in essere con il coniuge un contratto
preliminare a favore di terzo. Quando poi in esecuzione di detto obbligo,
dichiara per iscritto di trasferire alla figlia tale bene, avvia il processo
formativo di un negozio che, privo della connotazione dell’atto di liberalità,
esula dalla donazione ma configura una proposta di contratto unilaterale,
gratuito e atipico, che, a norma dell’art. 1333 c.c., in mancanza del rifiuto
del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell’affare, e stabilito
dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi,
l’irrevocabilità della proposta»: Cass., 21 dicembre 1987, n.
[25] Il principio è stato così applicato al caso di una transazione
in cui, a fronte dell’impegno della moglie a trasferire un’unità immobiliare al
marito, quest’ultimo rinunziava alla richiesta di addebito a carico della
moglie oltre a pretese d’ordine reale relativamente alla casa coniugale e ad un
negozio: cfr. Cass., 15 marzo 1991, n.
[26] Sulla natura contrattuale degli accordi di
separazione, nella parte relativa alle intese d’ordine economico cfr., anche
per gli ulteriori rinvii dottrinali e giurisprudenziali, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 28 ss.; Id., La
natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso
applicabili (I), in Fam. dir., 1999, p. 601 ss.; Id., La
natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso
applicabili (II), ivi, p. 86 ss.
[27] In senso favorevole alla possibilità di
applicare alla fattispecie il disposto dell’art. 1411 c.c. v. anche Longo, Trasferimenti immobiliari a scopo di mantenimento del figlio nel
verbale di separazione: causa, qualificazione, problematiche, nota a App.
Genova, 27 maggio
[28] Cfr. Cass., 17 giugno 2004, n.
[29] Nella specie il padre, che aveva assunto tale impegno
di trasferimento, convenuto in giudizio per l’esecuzione specifica ai sensi
dell’art. 2932 c.c., aveva chiesto la risoluzione della pattuizione, deducendo
l’inadempimento della madre all’obbligazione, da costei assunta nel medesimo
accordo di separazione tra coniugi, di consentire che la figlia vedesse e
frequentasse esso genitore.
[30] Cfr. Cass., 2 febbraio 2005, n. 2088. Da segnalare
inoltre Cass., 30 maggio 2005, n.
[31] Cass., 25 settembre 1978, n. 4277, cit.
[32] Jannarelli,
Nota a Cass., 25 settembre 1978, n.
[33] Ma sul tema della derogabilità del criterio di
proporzionalità cfr. quanto illustrato supra,
§ 2.
[34] In dottrina, per la possibilità di soddisfare il mantenimento
dei figli anche con l’attribuzione di beni in caso di separazione consensuale
cfr. A. e M. Finocchiaro, Diritto
di famiglia, I, Milano, 1984, p.
406; Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino, 1995, p.
11 s.; Metitieri, La funzione notarile nei trasferimenti di
beni tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, in Riv. notar., 1995, I, p. 1167; Briganti, Crisi della famiglia e attribuzioni patrimoniali, in Riv. notar., 1997, I, p. 7 s. (lo
scritto è stato pubblicato anche in Aa.
Vv., Famiglia e circolazione giuridica, a cura di Fuccillo, Milano,
1997, p. 33 ss.); Mantia, La rappresentanza dei minori nei
trasferimenti in loro favore effettuati in adempimento di accordi di
separazione consensuale dei coniugi, nota a Pret. Trapani, 19 febbraio
[35] Briganti,
op. cit., p. 7 s.
[36] Cass., 5 gennaio 1985, n.
[37] Cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 155 s.
[38] Cass., 14 dicembre 1978, n.
[39] In senso dubitativo al riguardo cfr. Briganti, op. cit., p. 8, nota 23.
[40] Cfr. Trib. Siracusa, 14 dicembre 2001, cit.
[41] Cfr. Cass., 4
febbraio 1988, n. 1136; Cass., 24 dicembre 1992, n.
[42] Cfr. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, p. 927.
[43] Andranno
invece annotati l’eventuale revoca, così come l’eventuale rifiuto: cfr. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in Il
codice civile, Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 1998, p. 356.
[44] In senso
conforme v. anche
[45] Cfr. in giurisprudenza Cass., 9 luglio 1966, n. 1807;
Cass., 16 gennaio 1973, n.
[47] Oberto, I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 633 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 91 ss.
[48] Per i richiami v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit.,
p. 696 ss.
[49] Cfr. per esempio Cass., 5 luglio 1984, n.
[50] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 709 s.
[51] Si noti che l’adesione alla tesi della causa tipica
(giusfamiliare) comporta, tra l’altro, che i contratti della crisi coniugale
vadano ascritti al novero di quelli che, ex art. 11, d.lgs. 70/2003,
sono sottratti alla disciplina che ha recepito la normativa comunitaria in tema
di commercio elettronico, dal momento che l’articolo cit. richiama
espressamente i «contratti disciplinati dal diritto di famiglia».
[52] Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n.
[53] Così P. Carbone,
I trasferimenti immobiliari in occasione
della separazione e del divorzio, cit., p. 627.
[54] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 473 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 45 ss., 203 ss.
[55] Cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 170 ss., 177 ss.
[56] Profili, questi, su cui v. per tutti Oberto, I trasferimenti mobiliari e
immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 163 ss., 166
ss.; Id., I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1267 ss., 1327 ss.;
Id., Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p.
167 ss., 195 ss., 283 ss. e ora anche P. Carbone,
I trasferimenti immobiliari in occasione
della separazione e del divorzio, cit., p. 622 ss.
[57] Naturalmente il termine «giudiziale» è qui inteso non
nel senso in cui la separazione giudiziale viene contrapposta a quella
consensuale, ma unicamente per denotare il particolare tipo di occasione in cui
l’atto traslativo si opera, caratterizzata dalla presenza del giudice (sul
carattere comunque giurisdizionale dell’attività di volontaria giurisdizione,
tema che non può essere qui sviluppato, si fa rinvio per tutti a Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv.
dir. civ., 1990, I, p. 393 ss.), fermo restando che non è il provvedimento
giurisdizionale, bensì la volontà delle parti ad operare gli effetti traslativi
dalle stesse perseguiti. Si noti poi che, anche con riguardo ai trasferimenti
non effettuati di fronte al giudice può porsi una successiva fase giudiziale (e
questa volta l’aggettivo «giudiziale» denota veramente la presenza di un
procedimento contenzioso!), allorquando l’obbligato si rifiuti di adempiere
all’impegno traslativo in precedenza assunto.
[58] Oberto, Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 69 ss.
[59] Contrariamente a quanto asserito da Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari,
Padova, 1997, p. 391.
[60] Cass., 4 febbraio 1941, n. 345.
[61] Cass., 12 giugno 1963, n. 1594.
[62] Cass., 7 giugno 1966, n. 1495.
[63] Cass., 11 novembre 1992, n. 12110.
[64] Si noti che in quello stesso anno
[65] Cass., 15 maggio 1997, n.
[66] Cfr. Oberto, Prestazioni «una
tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 85 ss.
[67] Cfr. ad esempio Cass., 30 agosto 1999, n. 9117.
[68] Cfr. ad es. Cass., 12 maggio 1999, n. 4716;
Cass., 12 maggio 2000, n.
[69] Cfr. Cass., 5 settembre 2003, n.
[70] Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5741, cit.
[74] Metitieri,
op. cit., p. 1167.
[75] A. Ceccherini,
I rapporti patrimoniali nella crisi della
famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, p. 494 s.
[77] Il ricorso alla donazione è stato ripudiato anche da
App. Roma, 4 giugno 1997, cit., nonché da App. Genova, 27 maggio 1997, cit.;
quest’ultima decisione è stata confermata, proprio in parte qua, da Cass., 30 agosto 1999, n. 9117, cit. (nella specie
la figlia destinataria del trasferimento era maggiorenne, ma non
autosufficiente).
[78] In tal caso l’accettazione da parte del figlio non
appare necessaria, secondo quanto illustrato supra, § 6.
[79] Ancora una volta, la soluzione dipende
dall’interpretazione da dare, caso per caso, all’intesa, così come essa viene
concretamente concepita e formalizzata dalle parti.
[80] Sull’applicabilità del rimedio alle promesse di
trasferimento concluse durante la crisi coniugale, sia nei rapporti tra i
coniugi, che in favore della prole, cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 277 ss. In caso di irreperibilità del
genitore affidatario potrebbe agire un curatore speciale: cfr. Cass., 29
ottobre 1963, n.
[81] Come tale nulla, secondo l’opinione dominante (quanto
meno in giurisprudenza): cfr. supra, § 3.
[82] App. Torino, 9 maggio 1980, cit.
[83] Decisione assai simile a quella testé illustrata è
App. Genova, 27 maggio 1997, cit., che sul punto ha osservato quanto segue:
«Nella specie, l’appellante afferma che nessun contratto, ancorché preliminare,
è stato concluso, e che, a tutto concedere, l’impegno assunto non potrebbe che
qualificarsi come promessa di donazione, come tale radicalmente nulla. E’ da
ritenersi che le clausole con cui i coniugi regolamentano i propri interessi in
sede di separazione consensuale, soprattutto qualora diano luogo, come si è
visto, a veri e propri contratti, siano soggette alle regole generali di
ermeneutica contrattuale. In particolare, nel caso che ci occupa, vengono in
considerazione i principi dell’interpretazione complessiva delle clausole
(art. 1363 c.c.), per cui esse si interpretano le une per mezzo delle altre,
attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto, nonché
della conservazione del contratto (art. 1367 c.c.), per cui contratto e singole
clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto,
anzicché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno. Sono poste, nel verbale
di separazione, l’una accanto all’altra, la clausola con la quale il padre si
impegna al mantenimento esclusivo della figlia, e quella con cui la madre si
impegna a trasferire alla figlia stessa la propria quota di proprietà
dell’immobile de quo: si tratta evidentemente dell’adempimento
del suo obbligo di mantenimento della figlia, che ancora sussisteva, stante la
non autosufficienza economica di questa. Nessun riferimento, al contrario, si
rinviene ad una intenzione della convenuta di donare la sua quota (di un animus donandi non vi è alcuna traccia,
ed esso, tra l’altro, apparirebbe contraddetto dal comportamento successivo
della parte)».
[84] Su cui v. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 653 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 99 ss.
[85] Sulla forma della donazione postmatrimoniale inter coniuges e sulla possibilità che
la stessa sia ricevuta da cancelliere nel contesto di un contratto della crisi
coniugale cfr. Oberto, Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 188 ss.
[86] Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, cit.
[87] Anche alla luce di quanto stabilito da Corte cost., 10
maggio 1999, n.
[88] Cfr. Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, cit.
[89] Cfr.
[90] Cfr. Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari
in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 161; Id., I
contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 699 ss., II, cit., p. 1255
ss.; Id., Prestazioni «una
tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 167 ss.
[91] Si noti che, nel caso prospettato dalla citata
risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, il figlio era minorenne, per cui l’atto
traslativo era sicuramente caratterizzato, per le ragioni sopra esposte, dalla
causa postmatrimoniale tipica desumibile dall’art. 711 c.p.c. e, come tale, ben
avrebbe potuto e dovuto essere qualificato alla stregua di un «atto relativo al
procedimento» di separazione dei genitori.