GLI ACCORDI PATRIMONIALI TRA CONIUGI
IN SEDE DI SEPARAZIONE O DIVORZIO
TRA CONTRATTO E GIURISDIZIONE:
IL CASO DELLE INTESE TRASLATIVE
DIRITTO DI FAMIGLIA, CRISI CONIUGALE E
AUTONOMIA PRIVATA
1. Introduzione.
Contratto e famiglia.
2. Il superamento
della «concezione istituzionale» della famiglia e la teoria del negozio
giuridico familiare.
3. Tutela
dell’individuo e principio dell’accordo nella Costituzione e nella legislazione
ordinaria.
4. Tutela
dell’individuo e principio dell’accordo nella riforma del 1975.
5. La più recente
evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sul tema della negozialità tra
coniugi in crisi.
I TRASFERIMENTI PATRIMONIALI TRA I
CONIUGI
6. Ammissibilità di contratti della crisi coniugale relativi
al trasferimento di diritti in sede di separazione e divorzio. L’esclusione
della causa liberale.
7. Causa, cause e motivi dei trasferimenti attuati nel
contesto di un contratto della crisi coniugale.
8. Tipologia dei negozi in oggetto.
9. Soggetti e oggetto dei trasferimenti. Rinvio.
10. Profili formali e pubblicitari.
11. Gli accordi di carattere obbligatorio. Generalità. La natura
dell’impegno a trasferire.
12. Segue. La
natura dell’atto di trasferimento.
13. Gli effetti del trasferimento. Sulla possibilità di
sottoporre l’accordo traslativo alla condizione sospensiva dell’omologazione,
ad altra condizione, o a termine, o comunque di determinare liberamente il
momento di decorrenza degli effetti del trasferimento. – 13.1.
Generalità. «Condizioni» ed «effetti» della separazione. – 13.2.
Il collegamento tra atti traslativi (o comunque dispositivi) tra coniugi in
crisi e omologazione della separazione consensuale, secondo la più recente
giurisprudenza di legittimità. – 13.3. La necessaria
distinzione tra effetti (della separazione) destinati a perdurare nel tempo ed
effetti destinati a prodursi in modo istantaneo. Argomenti ricavabili dalla
considerazione del rilievo della separazione di fatto. Possibilità per i
coniugi di far decorrere gli effetti degli atti traslativi da un momento
diverso da quello dell’omologazione.
14. Gli effetti del trasferimento in relazione all’azione
revocatoria ordinaria ed alla revocatoria fallimentare.
I
TRASFERIMENTI PATRIMONIALI IN FAVORE DELLA PROLE
15. I
trasferimenti in favore della prole. Il problema dell’ammissibilità
dell’erogazione del mantenimento della prole mediante prestazione una tantum.
16. Le posizioni
della giurisprudenza di merito sul tema dei trasferimenti in favore della
prole.
17. Le posizioni
della giurisprudenza di legittimità sul tema dei trasferimenti in favore della
prole e la natura contrattuale delle obbligazioni in discorso.
18. I
trasferimenti in favore della prole come contratti a favore di terzi.
19. Questioni in
tema di rappresentanza legale del minore.
20. I
trasferimenti in favore della prole e i rapporti con la donazione.
21. I trasferimenti in favore della prole naturale
nell’ambito della crisi della famiglia di fatto.
22. Profili
fiscali dei trasferimenti in favore della prole (legittima e naturale).
DIRITTO DI FAMIGLIA, CRISI CONIUGALE E AUTONOMIA
PRIVATA
1.
Introduzione. Contratto e famiglia.
Contratto e famiglia: un accostamento che può ancora
apparire ardito, per lo meno per chi ancora si collochi nell’ottica
«tradizionale» che, sulla base di perduranti echi della concezione
istituzionale della famiglia, enfatizza in questa materia gli aspetti d’ordine
pubblico, le regole inderogabili e la tutela del soggetto «debole»; profili,
questi, che non solo affiorano con andamento ciclico nella dottrina [1], ma che
sembrano ricevere conforto da alcuni (peraltro sempre più ristretti) filoni
nella giurisprudenza di legittimità, nonché da un certo numero di dati
desumibili dalla stessa legislazione in materia di famiglia. Potranno citarsi a
titolo d’esempio, per quanto attiene ai primi, le persistenti «chiusure» della
Cassazione in materia di disponibilità del contributo al mantenimento del
coniuge separato e dell’assegno di divorzio, alimentate del resto – e qui
veniamo alla normativa – da alcuni dati desumibili dalla modifiche introdotte
alla legislazione in materia di crisi coniugale dalla l. 74/1987, quali
l’esaltazione del carattere assistenziale dell’assegno ex art.
Il tema è stato affrontato in altri lavori [3]. Qui,
avuto particolare riferimento al tema dei trasferimenti patrimoniali in sede di
crisi familiare, potrà solo porsi in luce, rimanendo su di un piano generale e
terminologico, la propensione dello stesso codice ad evitare il più possibile
l’uso della parola «contratto» in materia di rapporti tra coniugi. Questo
termine, invero, compare nel solo art. 162, comma quarto, nonché nell’art. 166,
all’interno della locuzione «contratto di matrimonio», al punto da fornire
l’impressione che l’impiego dell’espressione in discorso sia quasi il frutto di
una «svista» del legislatore. Così non è, di certo; e le pagine che seguono
vogliono fornire una smentita di una simile, quanto mai affrettata,
conclusione: in questa introduzione potrà ricordarsi, per l’intanto, che in
svariati ordinamenti vicini al nostro non si ha difficoltà a definire alla
stregua di un contratto lo stesso istituto matrimoniale. Così l’art. 1055 del
codice di diritto canonico parla di matrimonialis contractus, mentre la
dottrina francese, se sembra convergere sulla nozione di acte juridique,
si divide poi tra la tesi «contrattualistica» e quella «istituzionale» [4], laddove
in Italia è solo l’elemento della patrimonialità, introdotto dall’art. 1321
c.c., ad impedire di ricondurre il matrimonio all’archetipo contrattuale. Non è
certo questa la sede per trattare della questione – dal sapore forse più
storico che attuale [5] – della
natura del matrimonio [6], ma non
potrà farsi a meno di constatare come comunque, anche da noi, pure in presenza
del dato positivo testé posto in luce, la concezione «istituzionale» del
matrimonio abbia ceduto ormai il passo a quella negoziale [7].
Sempre restando sul piano terminologico, andrà notato
che il codice sembra manifestare una preferenza, anche in materia di rapporti
patrimoniali, per termini quali «convenzione» o «patto» [8]. Ora, non
vi è dubbio che molte delle perplessità di cui si è dato conto siano state
generate dalla terminologia impiegata dal Legislatore, anche in considerazione
di un diffuso (e autorevolmente avallato) luogo comune, secondo cui il concetto
di «convenzione», nel nostro ordinamento, s’attaglierebbe a quei soli istituti
negoziali che, «avendo ad oggetto rapporti non patrimoniali, devono espungersi
dalla cerchia del contratto» [9]. In
realtà, una semplice ricerca compiuta a mezzo di strumenti informatici – si pensi
ad un’analisi per parole testuali sul testo del codice civile su di una banca
dati legislativa off line (su CD-ROM o DVD), ovvero
all’interno di un sito Internet che consenta tale tipo di interrogazione
[10] –
permette di scoprire che il testo del codice contiene il termine «convenzione»
(sia al singolare che al plurale) in ben quarantanove distinti articoli, sparsi
un po’ in tutti i sei libri, ma sempre e soltanto nell’accezione di «accordo su
questioni di carattere patrimoniale» [11]. A puntuale conferma di quanto sopra giungono le
conclusioni in tema di natura contrattuale delle convenzioni matrimoniali, su
cui si è detto in altri lavori [12], nonché il dato storico, a mente del quale,
tradizionalmente, «conventionis verbum generale est, ad omnia pertinens, de quibus
negotii contrahendi transigendique causa consentiunt, qui inter se agunt» [13].
Elemento, questo, rafforzato dalla considerazione, pure sviluppata altrove,
secondo cui, storicamente, il principio della più ampia libertà contrattuale
venne sempre rispettato in tema di convenzioni matrimoniali [14].
Con un salto, poi, di diversi secoli, troviamo – ad
ulteriore conferma delle conclusioni di cui sopra, circa l’assoluta
compatibilità tra i concetti di contratto e di famiglia – il dato normativo
proveniente dal recepimento della normativa comunitaria in tema di commercio
elettronico, laddove l’art. 11 d.lgs. 70/2003, stabilisce l’inapplicabilità
della relativa regolamentazione ai «contratti disciplinati dal diritto di
famiglia». Può ben dirsi, dunque, che ora è lo stesso legislatore ad ammettere
che la normativa tradizionalmente qualificata come giusfamiliare può contenere
norme che disciplinano contratti [15]. Le considerazioni sin qui svolte mostrano il
carattere prettamente linguistico della diatriba, laddove ciò che assume
rilievo in questo capitolo è semmai il superamento del supposto antagonismo tra
contratto e famiglia [16], nonché
l’evoluzione che, a livello concettuale e degli istituti, ha portato
all’irruzione della negozialità in tutti i campi riferibili ai rapporti
patrimoniali all’interno del nucleo familiare [17].
Per negozialità si intende [18] la «possibilità per determinati soggetti di
concludere tra di loro negozi giuridici» e segnatamente, per quanto attiene ai
coniugi, di disciplinare a mezzo di negozi determinati aspetti (personali e/o
patrimoniali) della vita coniugale. Il termine, non ignoto ai principali
dizionari della lingua italiana – per lo meno nelle due accezioni di «natura di
negozio giuridico (di determinati atti)» e di «possibilità di condurre trattative
(politiche, sindacali, ecc.) con buone probabilità di successo» [19] – può
ormai vantare, anche nell’accezione qui indicata, illustri precedenti, se è
vero che già diversi anni fa la nostra Corte Suprema [20] constatava
che «in dottrina si è indicata la separazione consensuale come uno dei momenti
di più significativa emersione della negozialità nel diritto di famiglia» [21]. Il
concetto viene dunque sostanzialmente a coincidere con quello di «autonomia (o
libertà) privata», intesa appunto come indicativa del potere, attribuito
all’ordinamento ai soggetti «di autodeterminazione, di autoregolamento dei
propri interessi fra gli stessi interessati» [22]. D’altro canto, nel campo patrimoniale, la
negozialità viene a collimare con quella «autonomia (o libertà) contrattuale»,
cui fa riferimento la rubrica dell’art. 1322 c.c. [23]. Il termine «negozialità», peraltro – forse perché
non ancora logorato dall’uso – sembra più indicato degli altri, appena citati,
ad esprimere l’irrompere del principio generale dell’autonomia privata nello
specifico settore dei rapporti tra i coniugi.
Ma ora è giunto veramente il momento di lasciare da
parte le notazioni di tipo più stilistico che concettuale, osservando ancora una
volta come in favore di un’opera ricostruttiva della normativa vigente diretta
ad esaltare i momenti di negozialità tra coniugi in crisi parlino
considerazioni di tipo normativo, certo, ma anche storico, sociologico,
comparatistico e sistematico. Ad esse si è fatto dettagliato riferimento in
un’apposita opera, consacrata a quelli che lo scrivente ha definito i
«contratti della crisi coniugale» [24]: qui ci si limiterà ad una sintesi dei soli dati più
significativi.
2. Il
superamento della «concezione istituzionale» della famiglia e la teoria del
negozio giuridico familiare.
Lo sviluppo della negozialità nell’ambito della
famiglia ha inizio – per lo meno nei tempi a noi più recenti [25] – con il
tramonto della «concezione istituzionale», autorevolmente propugnata in Italia
dal Cicu agli inizi del secolo scorso [26]; idea, questa, quanto mai remota da quella della
libertà contrattuale, dal momento che vedeva l’istituzione familiare come
organizzata gerarchicamente e sottoposta al potere del capo, ciò che appare
incompatibile con la figura del contratto, che, per definizione, presuppone la
presenza di soggetti posti su di un piano di parità.
Il passaggio dalla «concezione istituzionale» a quella
«costituzionale» della famiglia [27], operatosi dopo la caduta del regime fascista, vede
quale significativa tappa un importante articolo di Francesco
Santoro-Passarelli, pubblicato per la prima volta nel 1945, dal titolo L’autonomia
privata nel diritto di famiglia [28]. In tale contributo l’insigne civilista, oltre a
ricondurre alla categoria generale del negozio giuridico singoli istituti
familiari, contraddistinti dalla presenza di manifestazioni di volontà,
teorizzava la configurabilità di un istituto di carattere unitario, il negozio
giuridico familiare, come vero e proprio atto di autonomia privata, ancorché
caratterizzato da un livello di libertà ridotto rispetto a quello usualmente
presente in materia contrattuale [29].
E’ sicuro che, nella formulazione proposta da
Santoro-Passarelli, il negozio giuridico familiare risentiva ancora fortemente
degli influssi della dottrina dallo stesso Autore contrastata, al punto che in
essa vi si trova ancora il richiamo alla «funzione d’interesse superiore che
debbono genericamente adempiere i vari negozi del diritto di famiglia»;
né la constatazione deve stupire più di tanto, se si considera che stiamo qui
parlando del medesimo giurista secondo cui «la famiglia, come qualunque altro
organismo, e più di ogni altro, per la sua particolare struttura, non vive
senza un capo» [30]. Sta
però di fatto che, al di là di questo tributo pagato all’autorevolezza della
dottrina del Cicu, nella tesi testé esposta erano presenti in nuce tutte
le premesse per un pieno sviluppo della autonomia privata anche nel campo
familiare (ed in quello matrimoniale in particolare), come verrà tra breve
detto.
Il superamento della «concezione istituzionale» della
famiglia e l’affermazione della teoria del negozio giuridico familiare sono
dovute del resto anche ai mutamenti che la stessa nozione di negozio giuridico
in generale ha conosciuto.
Non è certo questa la sede per prendere posizione
sulla configurabilità in generale della categoria del negozio giuridico, né
tanto meno sulla questione dell’idoneità della medesima ad assicurare ai
privati una vera sfera di autonomia. Basti solo citare al riguardo l’autorevole
ammonimento di Kelsen, secondo il quale non esisterebbe nel diritto privato
«una completa autonomia», atteso che è pur sempre il diritto oggettivo a
stabilire che il contratto «produce diritto, così che la determinazione
giuridica proviene in ultimo termine da questo diritto oggettivo, non già dai
soggetti giuridici che vi sono sottoposti» [31].
Del resto la sopravvivenza della figura del negozio
giuridico a constatazioni, pur corrosive, quali quella sopra ricordata di
Kelsen, si spiega alla luce della capacità di adattamento della stessa alle
idee dei tempi moderni. Come esattamente osservato [32], «nella nostra cultura l’idea della disponibilità
degli effetti e della loro commisurazione al contenuto della volontà è andata
perdendo progressivamente di importanza, essendo ormai adusi, nel più profondo
livello culturale, alla eterointegrazione, ad opera della legge, degli effetti
previsti dalle parti, o alla non disponibilità degli stessi effetti.
L’elemento costituito dalla (totale) disponibilità degli effetti può essere
considerato inidoneo per la costruzione del concetto di negozio, perché troppe
sono ormai le deroghe che nell’ordinamento un tale elemento subisce; ed inoltre
sempre più numerosi sono gli effetti (non voluti, o comunque non presenti nella
rappresentazione delle parti) con i quali l’ordinamento integra il rapporto» [33].
Quanto detto vale poi, in particolare, per il negozio
giuridico familiare, figura che, ritagliata sotto il vigore del c.c. 1865 su
alcuni (pochi) negozi evidentemente caratterizzati dall’assenza della
patrimonialità: matrimonio, adozione, legittimazione, emancipazione [34], ha
finito con l’assumere una valenza ben più ampia.
Bisogna tenere presente, al riguardo, che la
codificazione del 1942 era venuta a fondare la distinzione tra il contratto e
gli altri negozi giuridici bilaterali proprio sul carattere patrimoniale dei
primi. Quest’operazione si collocava nel solco di un’antica tradizione, che
ravvisava «nel contratto la fonte tipica e principale delle obbligazioni o,
secondo una più evoluta qualificazione, dei rapporti (effetti) giuridici che si
definiscono patrimoniali» [35].
Peraltro, è anche vero che l’innovazione introdotta dal 1942 poteva essere
vista pure come un «mero espediente per lasciar fuori della categoria
contrattuale i grandi negozi o procedimenti bilaterali che operano nel campo
della famiglia» [36]. Sebbene
queste premesse potessero indurre a ritenere il futuro del negozio familiare
come inesorabilmente tracciato su di un percorso alternativo rispetto a quello
contrattuale, le successive vicende dottrinali e giurisprudenziali hanno
evidenziato un’evoluzione ben diversa, nel corso della quale il richiamo alla
figura in esame è servito proprio al fine di introdurre nel campo familiare,
con sempre maggiore ampiezza, gli istituti del diritto contrattuale.
Già
Tra queste voci si colloca, appunto, quella di
Santoro-Passarelli nel suo già citato scritto in materia di autonomia privata
nel campo familiare, il quale rilevava testualmente quanto segue: «Il codice
civile non contiene una disciplina generale del negozio giuridico, la quale
può però ricavarsi dalle sue norme, essendo evidente che le norme sui contratti,
‘in quanto compatibili’, siano suscettibili di applicazione non solo agli
‘atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale’ (art. 1324), ma al
negozio giuridico anche fuori del diritto patrimoniale. A ciò è da aggiungere
che la figura del negozio giuridico nel diritto familiare è supposta dal
codice (e la sua utilizzazione s’impone perciò all’interprete), poiché in esso
si fa richiamo a nozioni caratteristiche del negozio, come i vizi della
volontà (articoli 122, 265), le modalità, quali il termine e la condizione (articoli
108, 257), l’irrevocabilità o la revocabilità dell’atto (articoli 256, 2982),
la sua invalidità (artt. 117 segg., 263 segg.)» [37].
3. Tutela
dell’individuo e principio dell’accordo nella Costituzione e nella legislazione
ordinaria.
La concezione del negozio giuridico familiare come
strumento di ampliamento dell’autonomia dei coniugi, nata – come si è visto –
alla fine dell’ultima guerra, venne ben presto ad inquadrarsi nei principi
accolti dalla Costituzione repubblicana, che gettò le basi per un totale
sovvertimento dell’ottica in cui si collocava la «concezione istituzionale»
della famiglia. In questo già ricordato passaggio da una «concezione
istituzionale» ad una «concezione costituzionale» della famiglia, l’istituto
familiare veniva ora fondato sui principi d’uguaglianza e di pari dignità dei
coniugi (artt. 3 e 29 Cost.) [38], mentre la posizione del singolo in seno alla
comunità familiare veniva tutelata dalla regola della salvaguardia dei diritti
fondamentali dell’individuo anche all’interno di quelle formazioni sociali in
cui esso, secondo quanto stabilito dall’art. 2 Cost., «svolge la sua
personalità» [39].
Questa accentuata attenzione per la tutela del singolo
e – conseguentemente – dell’autonomia dei privati all’interno della comunità
familiare trovò quindi i suoi ulteriori sviluppi sul piano della legislazione
ordinaria, attraverso alcuni interventi della Corte costituzionale,
l’introduzione del divorzio e la riforma del 1975 [40]. Per quanto attiene alle decisioni della Consulta
basti ricordare, in primis, l’impatto, sul piano sistematico,
dell’abolizione del divieto di donazioni tra coniugi [41]. Come
rilevato in dottrina «L’abrogazione del divieto è ricca di implicazioni perché
rende ‘automaticamente’ legittima ogni attività negoziale tra coniugi. Anzi,
proprio perché l’attività negoziale tra coniugi si presume fondata sugli
affetti familiari, essa viene ora in qualche misura agevolata e protetta. Il ‘mutuo
amore’ o la riconoscenza o, comunque, l’affetto (in sintesi: le situazioni
esistenziali) se nel diritto romano doveva soggiacere alle ‘istanze’
patrimoniali, ora invece diviene la privilegiata ragione giustificatrice degli
atti di attribuzione patrimoniale; e ciò dipende dalla funzionalizzazione dei
rapporti patrimoniali nella famiglia ad assicurare una misura di eguaglianza
sostanziale tra i coniugi e di tutela della persona» [42].
A questa storica decisione della Corte costituzionale
potranno poi anche affiancarsi quelle tendenti a ricondurre le convenzioni matrimoniali
al campo contrattuale [43] e ad
estendere alla separazione consensuale alcune disposizioni dettate con riguardo
alla separazione giudiziale [44].
Gli effetti sul piano sistematico, poi,
dell’introduzione del divorzio sono più che evidenti. Basti ricordare
l’insistenza con la quale la concezione istituzionale della famiglia aveva
fatto richiamo alla regola dell’indissolubilità, per dimostrare l’impossibilità
di ricondurre il matrimonio (oltre che gli altri istituti familiari) al
concetto di atto di manifestazione di volontà sulla falsariga del paradigma
contrattuale [45].
Inoltre, la possibilità della cessazione degli effetti civili del matrimonio,
impone di ripensare la materia in una diversa prospettiva: è infatti
concepibile la successione di differenti famiglie nel tempo, facenti capo agli
stessi individui. L’intreccio dei rapporti è dunque tale che non è possibile,
nemmeno logicamente, far luogo ad una completa regolazione imperativa di legge,
e conseguentemente aumenta lo spazio lasciato all’autoregolamento dei privati [46]. Quanto
sopra ha poi ricevuto ulteriore conferma dall’introduzione nel 1987 del
divorzio su domanda congiunta, del cui carattere prettamente negoziale (per lo
meno per ciò attiene alla regolamentazione delle relative condizioni e degli
effetti) non pare lecito dubitare [47].
L’evoluzione della legislazione italiana trova un
corrispondente nello sviluppo di ordinamenti stranieri. Così – a parte le
considerazioni svolte in altra sede sull’ammissibilità di contratti
prematrimoniali tesi a disciplinare, addirittura, le conseguenze di un
eventuale futuro divorzio [48], sulla
base di precedenti storici comuni un po’ a tutte le principali esperienze
europee [49] – potrà
rilevarsi come, ad esempio, in Germania la piena consapevolezza della necessità
di salvaguardare la più ampia libertà contrattuale dei coniugi in relazione ad
ogni aspetto della determinazione dei rispettivi rapporti patrimoniali sia
sempre stata ben presente, addirittura già in sede di lavori preparatori del BGB, ove il § 1408, c. 1. [50] venne espressamente basato «auf
den Grunsatz der Vertragsfreiheit» [51],
facendosi altresì rimarcare – contro le obiezioni, di cui pure i Materialien danno conto, fondate sulla
necessità di protezione della donna contro il rischio di una «ungebürlichen und
missbräulichen Beeinflussung» da parte dell’uomo – che i coniugi erano nella
situazione «ihre Angelegenheiten selbständig und frei zu ordnen», per cui non
sarebbe sembrato opportuno «dieselben in diesem einzelnen Punkte zu
bevormunden» [52].
Anche nella vicina Francia si è assistito, nel corso
degli ultimi decenni, ad un processo che ha progressivamente portato
all’emergere del consenso e della negozialità nella famiglia, nel corso di
quella che è stata definita come una «révolution tranquille, qui remet en cause
la cohérence antérieure en matière de gouvernement de la famille» [53],
passando attraverso le riforme della tutela (1964), dei regimi matrimoniali
(1965), dell’adozione (1966), degli incapaci maggiorenni (1968), della potestà
dei genitori (1970), della filiazione (1972) e del divorzio (1975), cui ben può
aggiungersi, per i tempi più recenti (1999), la regolamentazione della
convivenza more uxorio e l’introduzione del «patto civile di
solidarietà», nonché (2005) un’ulteriore riforma del divorzio, che ha semplificato
notevolmente l’iter procedurale dello
scioglimento del vincolo nel caso di requête
conjointe [54]. In
tempi ulteriormente più recenti, poi, la legge n° 2006-728 del 23 giugno
La conclusione è dunque che anche
Oltralpe «l’irruption de la volonté dans le droit de la famille est un fait peu
discutable» [55].
Tutt’altro che «tranquilla», come si sa, è invece
stata la rivoluzione che, nel volgere di pochi mesi, ha portato il diritto
spagnolo ad estendere il matrimonio alle unioni omosessuali e a riconoscere
all’accordo dei coniugi sullo scioglimento del vincolo l’effetto di determinare
un vero e proprio «divorzio lampo» [56]: piuttosto significativo è il fatto che, nella
relativa exposición de motivos, si
legga, tra l’altro, che «esta ley persigue ampliar el ámbito de libertad de los
cónyuges (…) pues tanto la continuación de su convivencia como su vigencia
depende de la voluntad constante de ambos» [57].
4.
Tutela dell’individuo e principio dell’accordo nella riforma del 1975.
Per quanto attiene alla riforma italiana del 1975, uno
dei pochi punti che hanno visto concordi gli interpreti è costituito dalla
constatazione dell’incrementato rilievo che la negozialità è venuta ad assumere
nel campo familiare, tanto che, per constatazione unanime, l’accordo è ormai lo
strumento privilegiato per la disciplina dei rapporti familiari [58]. Proprio
in questa regola la dottrina coglie un segno della «privatizzazione» del
diritto di famiglia [59] ed il
superamento della concezione pubblicistica che, come si è visto, voleva le
posizioni individuali dei singoli orientate al raggiungimento di interessi
superiori o «pubblici» [60].
Il dispiegamento dell’autonomia privata nel campo
matrimoniale si estende ormai ad abbracciare un campo che va dalla celebrazione
delle nozze sino allo scioglimento del vincolo.
Sotto il primo aspetto si rileva il rinnovato ruolo,
dopo la riforma del diritto di famiglia, dell’autonomia privata nel matrimonio,
«come affermazione della dignità dell’istituto che deve essere riconosciuto in
tutta la sua importanza solo quando l’atto costitutivo risponda alle
caratteristiche di una cosciente autonomia» [61], rimarcandosi d’altro canto come lo stesso
ampliamento del tema delle azioni di impugnativa matrimoniale confermi il
deciso riconoscimento dell’idea del matrimonio come atto di autonomia privata [62].
Per ciò che attiene, poi, ai rapporti tra coniugi
nella fase non patologica della loro unione basterà qui citare la novità,
rispetto al sistema previgente, costituita dall’introduzione della regola
dell’accordo circa la determinazione dell’indirizzo concordato, di cui all’art.
144 c.c. [63],
rispetto alla quale, come si è autorevolmente rimarcato, il legislatore ha
aperto alla regola del consenso e dunque alla sfera dell’autodeterminazione dei
coniugi, interi «territori dove regnavano il potere autoritario e la
sottomissione» [64],
fissando una regola fondamentale, imperniata su un «regime consensuale
permanente» [65] che
costituisce, in sostanza, la fonte di legittimazione di ogni manifestazione
negoziale dei coniugi: l’accordo dei coniugi pone così le regole del ménage
e, per ciò stesso, determina e concretizza il contenuto degli obblighi
inderogabili incidendo, quindi, su di essi [66]. Sul punto sarà il caso di aggiungere che tale
principio sembra ormai avere impiantato nella odierna realtà italiana solide
radici, se è vero che, come emerge da un’indagine ISTAT, tre persone su quattro
tra quelle che vivono in coppia dichiarano di condividere con il partner
le decisioni relative a spese importanti (acquisto di una casa,
ristrutturazioni, acquisto di beni ad alta tecnologia) e le scelte di gestione
del denaro in famiglia [67].
Anche per quanto attiene al dovere di contribuzione ex
art. 143, comma terzo, c.c., occorre constatare che, pur restando ferma
l’inderogabilità sancita dall’art. 160 c.c. – con conseguente invalidità tanto
del patto con cui uno dei coniugi venga esonerato del tutto dall’obbligo di
concorrere al sostentamento della famiglia e della prole, quanto di quello che
deroghi al criterio di proporzionalità fissato dalla legge – non si hanno
difficoltà ad ammettere accordi che traducano, ad esempio, l’astratta regola
della proporzionalità alle sostanze e alla capacità di lavoro in una
determinazione che, valutata la situazione concreta dei due coniugi, fissi una
ripartizione dei doveri secondo percentuali prestabilite [68].
Per ciò che riguarda, poi, lo sterminato campo dei
rapporti patrimoniali nella famiglia legittima, basterà richiamare in questa
sede la già ricordata natura contrattuale delle convenzioni matrimoniali, così come
il principio secondo cui l’amministrazione dei beni sottoposti al regime legale
è rimessa, per gli atti più rilevanti, all’accordo dei coniugi (cfr. art. 180
c.c.) e che a questo stesso accordo
Sul versante della crisi coniugale sarà sufficiente
citare l’accordo alla base della corresponsione una tantum dell’assegno [70], cui può
senz’altro aggiungersi, oltre al negozio di separazione personale consensuale,
l’intesa posta a fondamento del ricorso su domanda congiunta. La stessa Corte
di cassazione non esita ormai a richiamare sempre più spesso expressis
verbis la regola dell’autonomia negoziale nelle materie legate ai rapporti
tra coniugi in crisi [71]. A
quest’evoluzione giurisprudenziale, compiutasi – come si vedrà – non senza
contraddizioni (basti ricordare ancora una volta le persistenti reticenze sul
fronte del tema della disponibilità degli assegni di separazione e divorzio e
degli accordi conclusi in sede di separazione ma in vista del futuro divorzio)
ha fatto da pendant un’evoluzione
altrettanto tormentata e complessa dal punto di vista dottrinale.
Così, già nel 1967, vigente il regime di
indissolubilità del vincolo, quella stessa autorevole dottrina che solo dieci
anni prima aveva definito la famiglia come «un’isola che il mare del diritto
può lambire, ma lambire soltanto» [72], valutando un accordo diretto alla predeterminazione
delle conseguenze dell’annullamento del matrimonio, individuava proprio nel
principio della autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.) il fondamento di una
siffatta pattuizione, rilevando come in questo caso sia «palese l’interesse
tipico del regolamento di rapporti, se pure non si abbia una disposizione
esplicita del codice che preveda tale regolamento, essendo quasi impensabile
che al termine della convivenza non ci siano ragioni di dare ed avere, pretese
reciproche» [73].
Neanche un decennio più tardi una delle più celebri
monografie in materia di contratto affermava che «Necessità pratiche e
progresso civile esigono che, de iure condendo, e, per quanto possibile,
de iure interpretando, si rivalutino questi patti regolatori di rapporti
di famiglia, o associativi, e così via», aggiungendo che «guardando lontano, si
potrebbero immaginare scelte pattizie della regola sulla dissoluzione del
matrimonio, sul governo della famiglia, sul cognome dei coniugi» [74]. Lo
stesso principio veniva contemporaneamente enunciato addirittura in una delle
più autorevoli opere istituzionali [75]. A parte queste voci – tutto sommato isolate,
ancorché di rilievo – l’interesse della dottrina fino a non molto tempo
addietro è stato sovente attratto, tutto all’opposto rispetto all’autonomia
negoziale, dalle questioni attinenti all’intervento dell’autorità giudiziaria
nella vita della famiglia: basti citare, per tutte, una celebre monografia
consacrata al tema (beninteso, pur esso fondamentale, specie se si ha riguardo
al tema dei diritti indisponibili attinenti ai rapporti con la prole)
dell’intervento del giudice nel conflitto coniugale [76].
5. La
più recente evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sul tema della
negozialità tra coniugi in crisi.
Nel corso degli ultimi anni il richiamo alle regole in
tema di autonomia contrattuale è andato via via infittendosi, specie sull’onda
dell’autorevole constatazione per cui, anche nel campo dei rapporti
patrimoniali tra i coniugi (in crisi), «ove tra le parti si convenga
l’attribuzione di diritti e l’assunzione di obblighi di natura patrimoniale,
non parrebbe contraddire alla definizione dell’art. 1321 c.c. la qualificazione
di ‘contratto’» [77]. Lo
stesso può dirsi per la giurisprudenza, particolarmente per quella di
legittimità.
Così, per esempio, troviamo che un espresso rimando al
principio della libertà contrattuale consacrato dall’art. 1322 compare per ben
due volte in una nota decisione sulla validità degli accordi preventivi tra
coniugi in materia di conseguenze patrimoniali dell’annullamento del matrimonio
[78], mentre
espliciti o impliciti riferimenti all’autonomia contrattuale punteggiano tutta
o quasi la complessa vicenda in tema di trasferimenti immobiliari e mobiliari
in sede di separazione personale tra coniugi [79], già a cominciare da quel leading case
risalente al 1972 [80], che
pure all’epoca aveva suscitato le (ingiustificatamente) preoccupate reazioni di
parte della dottrina [81]; per
continuare con il caso in cui i supremi giudici invocarono proprio il principio
in esame, al fine di ammettere la validità dell’impegno con il quale uno dei
coniugi, in vista di una futura separazione consensuale, aveva promesso di
trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile, anche se tale
sistemazione dei rapporti patrimoniali era avvenuta al di fuori di qualsiasi
controllo giudiziale in sede di omologa [82]; per culminare con la decisione con cui
Per non dire poi dell’evoluzione più recente in
materia di accordi non omologati modificativi di precedenti intese (ovvero
delle condizioni dettate dal giudice), ove
Si è così deciso, per esempio, in relazione ad una
complessa pattuizione transattiva di tutti i rapporti nati dal vincolo
coniugale, che l’accordo dei coniugi sottoposto all’omologazione del tribunale
ben può contenere rapporti patrimoniali anche «non immediatamente riferibili,
né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli
obblighi derivanti dal matrimonio» [88]. Sempre in materia di transazione
Non stupisce dunque che, da alcuni anni a questa
parte, accada sempre più di frequente all’osservatore della giurisprudenza di
legittimità di imbattersi in affermazioni del genere di quella secondo cui «i
rapporti patrimoniali tra i coniugi separati hanno rilevanza solo per le parti,
non essendovi coinvolto alcun pubblico interesse, per cui essi sono pienamente
disponibili e rientrano nella loro autonomia privata» [96]. In altri
termini, pur con le dovute cautele, sembra potersi dire che anche nel diritto
patrimoniale della famiglia deve darsi atto di una progressiva evoluzione
«dagli status al contratto». La nota massima elaborata da Maine oltre un
secolo fa, sebbene abusata e sottoposta a critiche, sembra ancora adatta ad
esprimere il lungo e travagliato percorso compiuto dalla negozialità anche in
questo settore del diritto privato [97]. In contraddizione, peraltro, rispetto a simili
aperture nei confronti della negozialità dei coniugi si colloca quel già
ricordato processo involutivo che la giurisprudenza – in particolare quella di
legittimità – ha subito relativamente a due settori ben individuati: ci si
intende riferire alle questioni relative al carattere disponibile del contributo
al mantenimento del coniuge separato o dell’assegno di divorzio, nonché alla
materia degli accordi preventivi in vista di un futuro ed eventuale divorzio [98].
Sul versante dottrinale, gli anni più recenti hanno
visto una ripresa d’attenzione da parte degli Autori favorevoli all’espansione
della negozialità, mediante approfondimenti di temi di carattere generale,
quali, per esempio, quello dei rapporti tra autonomia privata e «causa
familiare» [99] o tra
autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari in genere [100], oppure
sui «contratti della crisi coniugale» [101], ovvero attraverso studi settoriali, quali quelli
sulle convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del
matrimonio [102], sulla
disponibilità dell’assegno ex art.
I TRASFERIMENTI PATRIMONIALI TRA I CONIUGI
6. Ammissibilità
di contratti della crisi coniugale relativi al trasferimento di diritti in sede
di separazione e divorzio. L’esclusione della causa liberale.
Di notevole interesse ed
attualità, nell’ambito della ricca e variopinta costellazione delle intese
raggiungibili dai coniugi in crisi, appaiono le questioni legate ai
trasferimenti mobiliari ed immobiliari in sede o in vista della separazione e
del divorzio [110]. Con riferimento a queste, il primo punto da
affrontare attiene all’individuazione dell’ubi
consistam normativo di atti che –
anche per le evidenti agevolazioni d’ordine fiscale, di cui si avrà modo di
dire a suo tempo [111] – costituiscono ormai pratica corrente nella
regolamentazione concordata dei profili patrimoniali della crisi della
famiglia.
Come già rilevato in
un’apposita monografia sul tema [112], una sola disposizione del nostro vigente ordinamento
consente espressamente ai coniugi in crisi di corrispondere «in unica
soluzione» una prestazione postmatrimoniale (di carattere pecuniario)
tradizionalmente prevista come periodica [113]; una sola (controversa) disposizione ammette(va)
esplicitamente la possibilità di inserire nei procedimenti di separazione e
divorzio «attribuzioni di beni patrimoniali» [114]. La prima delle due norme concerne però il solo procedimento
di divorzio contenzioso e, come tale, non appare trasferibile alla procedura di
divorzio su domanda congiunta e tanto meno a quella di separazione consensuale [115]; la disposizione non sembra del resto neppure (quanto
meno direttamente) riferibile a «dazioni» diverse da quelle aventi ad oggetto
somme di denaro. La seconda normativa – dai contorni e dai contenuti quanto mai
incerti – risulta oggi, se non implicitamente abrogata, quanto meno di fatto
inapplicabile per effetto di una nota decisione della Consulta [116].
In realtà, il fondamento del
potere dei coniugi (o ex tali) di liquidare una
tantum il contributo al mantenimento del separato, o dell’assegno di
divorzio, così come di porre in essere, in occasione della crisi coniugale,
negozi traslativi di diritti su uno o più beni determinati, va ricercato non
già nelle norme ricordate, bensì in due fondamentali princìpi del nostro
ordinamento. Ci si intende riferire, da un lato, al principio della libertà
contrattuale, canone che gioca un ruolo decisivo all’interno dei contratti
della crisi coniugale e, dall’altro, al carattere eminentemente disponibile dei
diritti in gioco [117].
Strettamente legati a tali
considerazioni sono i rilievi che si possono svolgere in merito
all’individuazione del supporto causale delle attribuzioni in oggetto e, più in
generale, dei contratti della crisi coniugale. In questa sede sarà sufficiente
ricordare che fondamentale al
riguardo è il rilievo – già mosso in dottrina di fronte ad una delle prime
pronunce della Cassazione al riguardo [118] – secondo cui l’equiparazione dell’autonomia concessa
ai coniugi a quella generalmente riconosciuta ai privati non può certo portare
ad attribuire ai primi «maggiore libertà di determinazione di quanta
l’ordinamento ne riconosca in generale a tutti i privati nei loro reciproci
rapporti» [119]. Se è vero quindi che – come autorevolmente
sottolineato [120] – alla causa, quale elemento essenziale del contratto
in generale, spetta il compito di «giustificare di fronte all’ordinamento i
movimenti dei beni da un individuo all’altro», è proprio alla presenza di tale
requisito che, anche nella materia in esame, deve ritenersi condizionata la
validità di qualsiasi attribuzione patrimoniale, reale od obbligatoria, in sede
di crisi coniugale. In materia di atti traslativi, poi, l’ordinamento non
s’accontenta della mera esistenza del
requisito causale. Esso sembra infatti pretendere che tale elemento risulti anche, in maniera esplicita o
implicita, dal negozio in questione [121].
Poste queste premesse,
occorre constatare che risulta assai più agevole definire «in negativo», che
non «in positivo», il supporto causale delle attribuzioni qui in discussione e,
più in generale, di quelli che lo scrivente ha in altra sede definito
«contratti della crisi coniugale». Invero, se vi è un punto che sembra trovare
concordi la giurisprudenza – tanto di legittimità che di merito – e la
dottrina, questo è costituito dalla corale negazione (quanto meno in linea
tendenziale) del carattere liberale delle attribuzioni effettuate ex uno latere in occasione di
separazione o divorzio, in quanto configuranti atti in cui non sono ravvisabili
non solo l’animus donandi, ma neppure
il titolo gratuito.
Per ciò che attiene alla
giurisprudenza, va detto che, nei casi più risalenti, la materia del contendere
era sovente determinata dal desiderio di un coniuge di recuperare
l’attribuzione effettuata (o dal rifiuto di darvi esecuzione), allegando la
nullità della medesima per violazione della norma che vietava le donazioni tra
coniugi (art. 781 c.c.). Nelle decisioni più recenti, venuta meno tale ragione
d’impugnazione, l’argomento della nullità è presentato invece – allorquando si
tratta di meri impegni a trasferire diritti – sotto il profilo della nullità
della promessa di donazione, facendo dunque valere quella tesi dottrinale [122], cara ai giudici di legittimità [123], secondo cui la coazione all’adempimento
contrasterebbe con la spontaneità che deve caratterizzare la liberalità ex art. 769 c.c. Nelle ipotesi di
donazione definitiva, poi, si lamenta per lo più il mancato rispetto della
forma solenne prescritta dagli artt. 782 c.c. e
L’esposizione dei precedenti
giurisprudenziali al riguardo si trova nelle trattazioni specifiche della
materia, cui si fa rinvio: in questa sede basti ricordare che l’esclusione
della natura non solo di donazione, bensì anche lato sensu liberale
(ancorché non donativa) dei contratti in discorso è assolutamente pacifica, pur
non potendosi escludere l’ammissibilità, in taluni casi isolati, di donazioni
definibili come «postmatrimoniali», cioè caratterizzate dalla presenza di un
motivo da individuarsi nell’intenzione delle parti di considerare la medesima
alla stregua di una delle «condizioni» della separazione e del divorzio, cioè
di un elemento la cui presenza viene dai coniugi ritenuta essenziale al fine di
acconsentire ad una definizione non contenziosa della crisi coniugale.
7.
Causa, cause e motivi dei trasferimenti attuati nel contesto di un contratto
della crisi coniugale.
L’esclusione, in linea di
massima, di ogni intento di liberalità in capo alle parti di un contratto della
crisi coniugale potrebbe indurre a ricercare, sul versante opposto, la
giustificazione causale delle attribuzioni in oggetto nella necessità di
adempiere all’obbligo legale di mantenimento previsto dagli artt. 156 c.c. e 5,
c.
In primo luogo, infatti,
appare difficilmente contestabile quanto osservato in dottrina sul fatto che,
in pratica, assai raramente, nei contratti di cui qui si discute, le parti
fanno espresso richiamo alla causa
praeterita (o causa esterna) – intesa, appunto, nel senso del
(preesistente) obbligo legale di mantenimento – delle attribuzioni effettuate o
previste, cosa che invece appare necessaria al fine di evitare la nullità di un
negozio che, altrimenti, risulta privo di ogni giustificazione [125]. Ma, anche a volere ammettere che le parti menzionino
sempre expressis verbis il proprio
intento di adempiere, con le prestazioni previste, alle obbligazioni ex artt. 156 o
E’ chiaro, poi, che, a
prescindere dal richiamo operato alla precedente obbligazione, tale vincolo
dovrebbe comunque imprescindibilmente esistere e, come tale, esso dovrebbe
essere sempre stato previamente determinato nel suo preciso ammontare, vuoi da
una decisione giudiziale, vuoi da un’intesa delle parti. E proprio questo elemento
è quello che, il più delle volte, fa difetto nel caso di specie [127].
Un altro argomento,
strettamente legato a quello della disponibilità dei diritti in questione,
concerne la transazione, negozio cui si è istintivamente portati a pensare,
laddove si ponga mente al fatto che le particolari circostanze in cui matura
solitamente la decisione di addivenire ad un contratto della crisi coniugale
inducono a ritenere la presenza di una res
litigiosa, piuttosto che di una res
dubia [128]. Il richiamo alla transazione, per il vero, appare
più ricorrente ed insistente in giurisprudenza che non in dottrina [129]. In realtà, l’obiezione fondamentale, per effetto
della quale occorre concludere che, almeno di regola, i negozi traslativi e,
più in generale, i contratti della crisi coniugale si sottraggono alla causa
transattiva, deriva dall’impossibilità (quanto meno in linea di massima) di
riscontrare, negli accordi in oggetto, la presenza di concessioni reciproche [130]. Ciò si verifica, in maniera più che evidente, in
tutti gli accordi nei quali si prevede l’unilaterale trasferimento di diritti
su uno o più beni mobili o immobili; la stessa osservazione vale però anche con
riguardo a tutte quelle pattuizioni che si limitano a stabilire l’erogazione
d’un assegno da una parte all’altra, senza che la struttura stessa del negozio
manifesti (come si è messo in evidenza poco sopra) la presenza di un contrasto
attuale su contrapposti interessi delle parti e che sia risolto con la tecnica
dell’aliquid datum e dell’aliquid retentum [131].
Una
volta scartate le ipotesi prospettate, potrebbe immaginarsi – aderendo a
stimoli provenienti da autorevole e ormai risalente dottrina [132], nonché da una parte della
giurisprudenza [133] – di puntare sulla tesi del contratto atipico. Ma, se si
tiene conto del carattere di negoziazione
globale che la coppia in crisi attribuisce al momento della «liquidazione»
del rapporto coniugale, di fronte alla necessità di valutare gli infiniti e
complessi rapporti di dare-avere che la convivenza protratta per anni genera,
v’è da chiedersi se, in luogo di una miriade di possibili accordi innominati,
non sia possibile tentare di intraprendere un’opera ricostruttiva che faccia
perno sull’individuazione di una vera e propria causa tipica del negozio
patrimoniale della crisi coniugale, di un vero e proprio contratto, cioè, di
definizione della crisi coniugale o, più esattamente, dei suoi aspetti
patrimoniali. Tale negozio dovrebbe abbracciare ogni forma di costituzione e di
trasferimento di diritti patrimoniali compiuti, con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale, ancorché
non necessariamente in seno ad una separazione consensuale, ben potendo
intervenire, oltre che nei casi di separazione legale, annullamento,
scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche in
relazione ad una separazione di fatto, oppure ancora in vista di una possibile
crisi coniugale, addirittura prima della celebrazione delle nozze.
L’ipotesi sembra avvalorata
dalla stessa terminologia impiegata dal legislatore, laddove esso si riferisce
alle «condizioni della separazione consensuale» (art. 711 c.p.c.), e alle
«condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici» in sede di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 4, c.
Ad avviso di chi scrive,
dunque, dal momento che l’intento principe delle parti è quello di sistemare definitivamente e in considerazione della
crisi coniugale le «pendenze» che un più o meno lungo periodo di vita
comune ha determinato, sembra più appropriato parlare di una causa tipica di definizione della crisi
coniugale o, se si vuole essere più corretti, ancorché meno efficaci sotto
il profilo espressivo, di una causa
tipica di definizione degli aspetti economici della crisi coniugale. Ad un
siffatto negozio tipico – tipico, appunto, in quanto previsto e disciplinato da
apposite disposizioni (i già citati artt. 711 c.p.c. e 4, c.
Avuto riguardo, dunque, al
profilo causale e secondo quanto già chiarito in altra sede [135] i contratti
della crisi coniugale – e, per ciò che attiene al tema specifico della presente
ricerca, i negozi traslativi di diritti tra coniugi in crisi – sono quelli che
si caratterizzano per la presenza vuoi della causa tipica di definizione della
crisi coniugale (contratto tipico della crisi coniugale, o contratto
postmatrimoniale), vuoi per la semplice presenza, accanto ad una causa tipica
diversa (donazione, negozio solutorio, transazione, convenzione matrimoniale,
divisione), di un motivo «postmatrimoniale», rappresentato dal fatto che quel
particolare contratto viene stipulato in contemplazione della crisi coniugale,
avuto riguardo all’intenzione delle parti di considerare la relativa
pattuizione alla stregua di una delle «condizioni» della separazione o del
divorzio, cioè di un elemento la cui presenza viene dai coniugi ritenuta
essenziale al fine di acconsentire ad una definizione non contenziosa della
crisi coniugale [136].
L’impostazione, proposta alcuni anni or sono per la
prima volta dallo scrivente, sembra essere stata recepita da una sentenza del
2004 della Corte di legittimità, la quale ha stabilito che «Gli accordi di
separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da
parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili,
non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico
corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della
“donazione”, e tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale
loro assoggettabilità all’actio revocatoria di cui all’art. 2901 c.c.
rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di
sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale”
(il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede
del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo in quanto tale da un lato alle
connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente
estraneo, di per sè, ad un contesto quello della separazione personale
caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell’affettività), e
dall’altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l’assenza di un
prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale poi,
volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di
cui all’art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto
che di quelli della “gratuità”, in ragione dell’eventuale ricorrenza o meno nel
concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio-compensativa” più ampia
e complessiva, di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto
frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali
maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza
matrimoniale» [137].
Va però riconosciuto che, successivamente all’arresto
appena citato,
8. Tipologia
dei negozi in oggetto.
Per ciò che riguarda la tipologia degli atti
in oggetto, il trasferimento può concretamente avvenire in due sedi distinte,
ciascuna delle quali dà luogo a problemi suoi propri: quella giudiziale e
quella stragiudiziale. Atto traslativo in sede giudiziale è quello che i
coniugi pongono in essere dinanzi al giudice, nel verbale di separazione
giudiziale redatto nel corso dell’udienza ex
art. 711 c.p.c., oppure in quello di comparizione dinanzi al collegio nella
procedura su domanda congiunta, ai sensi dell’art. 4, c.
In un apposito lavoro
sull’argomento si è avuto modo di esaminare in dettaglio l’evoluzione
giurisprudenziale sul tema [143]. In questa sede potrà solo riassuntivamente
rammentarsi che l’ammissibilità dei trasferimenti in sede (e non solo in
occasione) di separazione e divorzio era stata riconosciuta [144] non soltanto in relazione a negozi aventi efficacia
meramente obbligatoria, bensì anche a
casi di atti immediatamente traslativi,
a cominciare da una decisione di legittimità [145] che, già nel 1941, aveva ammesso la possibilità di
inserire una donazione nel verbale di separazione consensuale, per passare a
Cass., 12 giugno 1963, n. 1594 [146], che aveva consentito (quanto meno in astratto) la
creazione di un diritto reale d’abitazione in un verbale di separazione
(redatto, addirittura, nel 1920), per continuare con la successiva Cass., 7
giugno 1966, n. 1495 [147], che si era venuta a collocare nel medesimo ordine
d’idee. Diversi anni più tardi, Cass., 11 novembre 1992, n. 12110 [148] aveva poi avallato l’interpretazione, alla stregua di
un vero e proprio negozio traslativo, della dichiarazione contenuta nel verbale
di separazione personale consensuale con la quale era stata a suo tempo
riconosciuta al marito la proprietà esclusiva di un appartamento, confermando
la valutazione dei giudici di secondo grado, secondo cui «tale riconoscimento,
lungi dall’esprimere, come ritenuto dal Tribunale, una mera dichiarazione di
scienza (...), configurava invece una volontà negoziale attributiva di tal bene
al [marito] nel quadro di un complessivo regolamento di interessi che fra
l’altro prevedeva ad esclusivo carico di costui il pagamento del prezzo (ancora
in larga parte da versare) dell’appartamento».
Si noti che in quello stesso
anno
Ma è nel 1997 che
Potranno così menzionarsi quelle
numerose decisioni rese in materia fiscale che, discettando dell’applicabilità
dell’art.
9.
Soggetti e oggetto dei trasferimenti. Rinvio.
Venendo ora a dire brevemente dei
soggetti dei trasferimenti patrimoniali in discorso potrà notarsi come tali
attribuzioni vengano normalmente effettuate da un coniuge nei riguardi
dell’altro. Peraltro non è affatto raro il caso in cui un genitore compia (o
prometta) un trasferimento in favore di uno o più figli. Questo peculiare tema
merita un’attenzione particolare, per cui ad esso verranno dedicati alcuni
appositi §§ del presente lavoro, cui si fa pertanto rinvio [159].
Sempre restando in tema di possibili soggetti dei
trasferimenti, non è neppure da escludersi che se, seguendo l’indirizzo che
pare oggi profilarsi come prevalente, si ammette la possibilità di estendere
l’usuale contenuto degli accordi di separazione e divorzio anche ad accordi non
direttamente rivolti a regolare gli aspetti più tipici della «vita da separati»
o «da divorziati», purché ascrivibili alla categoria delle «condizioni della
separazione», si possa arrivare ad ipotizzare, ad esempio, un trasferimento di
alcuni beni mobili attuato in via transattiva da parte di un coniuge a favore
dei creditori dell’altro, magari in cambio di una reciproca concessione da
parte del coniuge debitore all’autore del trasferimento.
Per ciò che attiene, invece, all’oggetto
dei trasferimenti andrà detto che rilevano, sotto questo profilo, non soltanto
gli atti traslativi della proprietà o di altri diritti reali, ovvero di quote
di comunione su tali diritti, relativi a qualsiasi tipo di beni (immobili,
mobili registrati e non, universalità di mobili [160], titoli di credito, ecc.), ma anche quelli aventi ad
oggetto la costituzione di iura in re
aliena; negozi, questi ultimi, che la giurisprudenza tende a parificare
agli atti traslativi. Potrà citarsi, proprio con riguardo alla costituzione di
diritti reali minori, la vicenda relativa al problema dell’applicabilità agli
atti costitutivi di servitù prediali delle disposizioni in tema di
compravendita, risolta in senso affermativo dalla giurisprudenza [161]. Tra gli iura
in re aliena che potranno essere costituiti attraverso un contratto della
crisi coniugale andranno menzionati i diritti di usufrutto, uso abitazione,
mentre non è neppure da escludersi, almeno in teoria, che anche altri diritti
reali minori possano venire presi in considerazione nell’àmbito di un
regolamento pattizio della crisi coniugale: si pensi ad un pegno o ad
un’ipoteca concessi a garanzia dell’adempimento di obbligazioni assunte proprio
in quella sede. Né infine potrà escludersi, quanto meno in astratto, che il
trasferimento abbia ad oggetto situazioni non connotate dalla realità: si
pensi, ad esempio, alla cessione di un credito.
Accennando ora brevemente alla sede dei negozi
familiari in oggetto, andrà subito sottolineato come i trasferimenti dei quali
fino ad ora ci siamo occupati non trovino la loro collocazione necessaria nel
procedimento di separazione o di divorzio. Essi, invero, ancorché conclusi in occasione della crisi coniugale, non
per ciò solo debbono anche essere
consacrati in sede di procedimento di
separazione personale o di divorzio, vale a dire nel relativo verbale d’udienza
di comparizione dinanzi al presidente o al collegio. Ciò corrisponde, del
resto, al principio più generale secondo il quale, come si è avuto modo di
vedere in altra sede, i contratti della crisi coniugale ben possono essere
stipulati anche al di fuori di quelle procedure i cui effetti essi sono in
qualche modo destinati a disciplinare [162].
La tesi dominante e preferibile conclude peraltro nel
senso che «rientra (...) pertinentemente nel contenuto eventuale dell’accordo
di separazione ogni statuizione finalizzata a regolare l’assetto economico dei
rapporti tra i coniugi in conseguenza della separazione comprese quelle
attinenti al godimento ed alla proprietà dei beni, il cui nuovo assetto sia
ritenuto dai coniugi stessi necessario in relazione all’accordo di separazione
e che il Tribunale – con l’omologazione – non abbia considerato in contrasto
con interessi familiari prevalenti rispetto a quelli disponibili di ciascuno di
essi» [163].
10.
Profili formali e pubblicitari.
Venendo ora ai profili di
carattere più squisitamente formale vanno ricordate le obiezioni che una parte
della dottrina e della giurisprudenza di merito hanno sollevato circa
l’idoneità delle dichiarazioni emesse dalle parti in sede processuale a dispiegare
effetti immediatamente traslativi di diritti [164]. Ora, a parte il fatto che la previsione, da parte
del legislatore, di determinati requisiti o determinati effetti in relazione
all’istituto del contratto non esclude certo a priori la possibilità che requisiti ed effetti analoghi siano
eventualmente richiesti e prodotti con riguardo ad altri tipi di atti
negoziali, rimane la constatazione che i negozi di cui qui si discute hanno,
precisamente, natura contrattuale. Rilievo, quest’ultimo, che vale anche a confutare
la tesi di chi, riferendo gli effetti traslativi al decreto d’omologazione,
anziché al consenso delle parti [165], vorrebbe trarre argomenti dal carattere tassativo
delle norme che attribuiscono effetti costitutivi alle sentenze (art. 2908
c.c.), rilevando come il provvedimento d’omologa non sia ascrivibile a tale
novero, in quanto avente appunto la veste di mero decreto, per giunta non
dichiarato espressamente idoneo dalla legge a produrre effetti costitutivi.
Nessuna norma, d’altro
canto, consente di ritenere che le dichiarazioni negoziali siano limitate
(anzi, perfino inibite) nei propri effetti traslativi sol perché emesse in sede
processuale o che, addirittura, l’àmbito della giurisdizione, ivi compresa
quella c.d. volontaria, non potrebbe estendersi anche all’attività di
ricevimento di atti negoziali [166]. Invero, le stesse disposizioni in materia di
separazione consensuale evidenziano in maniera clamorosa l’esistenza di
(almeno) un caso di ricevimento, da parte di organi giurisdizionali, quali il
presidente e il cancelliere, di un atto negoziale, quale sicuramente è
l’accordo dei coniugi di vivere separati (così come le relative e conseguenti
intese d’ordine personale). Passando, poi, a considerare l’attività
contenziosa, basterà citare il caso del verbale di conciliazione giudiziale
(artt. 185 c.p.c., 88 disp. att. c.p.c.), il quale ben può contenere, per
esempio, una transazione con cui si disponga l’immediato trasferimento di
diritti su di uno o più beni, e che, come atto (pubblico) immediatamente traslativo,
ben può costituire titolo per la trascrizione [167].
Uno degli argomenti con
maggiore frequenza addotti dai sostenitori dell’impossibilità di attuare
immediate attribuzioni patrimoniali in sede di separazione consensuale investe
il problema dell’individuazione della categoria di documento cui ascrivere il
relativo verbale d’udienza. Verbale che, come ripetuto più volte, si forma nel
corso dell’udienza presidenziale, e che, ex
art. 711, c. 3, c.p.c., deve dare atto «del consenso dei coniugi alla separazione
e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole» [168].
Ora, la norma fondamentale
in tema di processo verbale d’udienza è costituita dall’art. 130 c.p.c., che
individua nel cancelliere il soggetto cui compete redigere tale documento,
ancorché «sotto la direzione del giudice». Ulteriori dati normativi al riguardo
sono forniti:
(a) dall’art. 57, c. 1,
c.p.c., a mente del quale «il cancelliere documenta a tutti gli effetti, nei
casi e nei modi previsti dalla legge, le attività proprie e quelle degli organi
giudiziari e delle parti»;
(b) dall’art. 44, disp. att.
c.p.c., secondo cui «oltre che nei casi specificamente indicati dalla legge, il
cancelliere deve compilare processo verbale di tutti gli atti che compie con
l’intervento di terzi interessati. Nel processo verbale fa risultare le
attività da lui compiute, quelle delle persone intervenute nell’atto e le
dichiarazioni da esse rese»;
(c) dall’art. 126 c. 2
c.p.c., in forza del quale il cancelliere, tra l’altro, deve sottoscrivere il processo
verbale, il cui contenuto – ai sensi del primo comma del medesimo articolo –
deve comprendere anche «le dichiarazioni ricevute».
Ve n’è abbastanza, dunque,
per indurre la dottrina processualistica più autorevole a ricondurre al
cancelliere la «paternità» del verbale d’udienza [169], relegando la funzione del giudice allo svolgimento
di una mera attività di «cooperazione» [170]. E’ assolutamente incontestabile che, in base alle
norme sopra indicate, avuto riguardo alla circostanza che al cancelliere
(esattamente come al giudice) compete indubitabilmente la qualifica di pubblico
ufficiale, e che lo svolgimento delle formalità relative all’udienza, ivi
compresa la stesura del verbale, rientra nell’esercizio di una pubblica
funzione (cfr. art. 357 c.p.), vadano riconosciute al verbale le
caratteristiche di cui all’art. 2699 c.c., come confermato – con statuizioni di
carattere assolutamente generale – dalla giurisprudenza di legittimità, così
come dalla dottrina, costanti nel ribadire che gli atti redatti dal cancelliere,
o formati con il concorso del cancelliere, nell’àmbito delle funzioni a questi
attribuite e con l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge,
costituiscono atti pubblici ai sensi dell’art. ult. cit. [171].
Una volta superata anche
l’artificiosa distinzione tra «atto pubblico negoziale» e «atto pubblico non
negoziale» [172] dovrà concludersi che gli accordi tra coniugi aventi
effetto traslativo (ovvero costitutivo, modificativo o estintivo) di diritti
reali immobiliari sono soggetti a trascrizione ex art. 2643 c.c. Per quanto attiene, in particolare, agli accordi
conclusi in sede di udienza di separazione consensuale andrà ricordato che il
relativo verbale, in quanto atto pubblico a tutti gli effetti (anche con
riguardo alle eventuali clausole che dispongano trasferimenti immediati di
diritti reali immobiliari), potrà costituire idoneo titolo per l’esecuzione
delle formalità pubblicitarie, ex
art. 2657 c.c. [173].
Se si ammette – come si è
visto – la possibilità che l’intesa traslativa operi in favore della prole e se
si riconduce tale ipotesi allo schema negoziale disegnato dagli artt. 1411 ss.
c.c. [174], il verbale di separazione o di divorzio su domanda
congiunta dei genitori costituirà titolo idoneo anche con riguardo ad un
eventuale trasferimento a favore di uno o più figli. Le serie obiezioni
prospettate, da un punto di vista generale, circa la sottoponibilità a
pubblicità immobiliare del contratto a favore di terzi [175] sembrano invero superabili (ma l’argomento non può
certo essere adeguatamente sviluppato nella presente sede) ove si ponga mente
alla sicura riconducibilità della fattispecie in questione al disposto
dell’art. 2643 c.c., riconducibilità che discende dalla citata premessa circa
l’idoneità del contratto a favore di terzi a trasferire, modificare o
costituire diritti reali (quelli, per l’appunto, cui si riferiscono i nn. 1, 2,
3 e 4 dell’art. cit.) e che determina, quale automatica ed inevitabile
conseguenza, l’obbligo [176] di procedere all’esecuzione della prescritta
formalità, senza che gli inconvenienti pratici, pur gravi, legati all’eventuale
revoca della stipulazione [177] possano dispiegare effetto al riguardo [178].
Inutile dire che quanto
sopra illustrato è riferibile, mutatis mutandis, anche alla materia
degli accordi in tema di divorzio [179]. Qui, avuto riguardo al carattere negoziale dell’accordo di divorzio su domanda
congiunta [180], andrà ribadito che gli effetti d’ordine patrimoniale derivano
direttamente dal contratto di divorzio concluso dai coniugi, rispetto al quale
la pronuncia del tribunale assume il mero carattere di omologa emessa all’esito
di un procedimento di controllo sul rispetto delle norme inderogabili del
vigente ordinamento. Il tribunale, dunque, di fronte alla pattuizione di un
trasferimento in sede di accordi ex
art. 4, c.
11.
Gli accordi di carattere obbligatorio. Generalità. La natura dell’impegno a
trasferire.
Si è già accennato al fatto
che i trasferimenti di diritti su beni di proprietà dei coniugi possono
intervenire, nel corso della crisi coniugale, tanto in sede giudiziale che
stragiudiziale. Possono, si è detto:
sarà infatti opportuno ribadire subito, a scanso d’equivoci, che i contratti
traslativi, in quanto poggianti sulla causa di definizione della crisi
coniugale, ovvero su di una delle altre cause cui si è fatto cenno [184], non debbono
necessariamente inserirsi in un àmbito processuale, tanto più avuto
riguardo alla perfetta liceità di intese a
latere rispetto alle procedure di separazione e di divorzio, per non
parlare degli accordi diretti a disciplinare la separazione di fatto. Ricordato
al riguardo che nel nostro ordinamento il requisito causale è soddisfatto anche
quando un atto traslativo, pur non contenendo tale elemento in sé, si pone
quale attuazione di un’intesa causale, che funge quindi, rispetto ad una
siffatta attribuzione, quale causa esterna o praeterita [185], deve senz’altro consentirsi ai coniugi, in sede di
udienza presidenziale di separazione consensuale o di udienza collegiale di
divorzio su domanda congiunta, di limitarsi a pattuire un impegno a trasferire,
mercé un successivo e distinto atto, un determinato diritto reale su uno o più
beni, mobili o immobili. Lo stesso è a dirsi in relazione ad un impegno
obbligatorio avente ad oggetto la futura costituzione di uno ius in re aliena [186].
Una volta chiarito che le
parti possono limitarsi a pattuire in sede giudiziale (ma il discorso vale
sicuramente anche per gli accordi a
latere, così come per quelli modificativi o, ancora, per quelli conclusi a
corredo di una separazione di fatto) un semplice impegno ad effettuare un
distinto e successivo atto di trasferimento, si tratta ora di vedere:
(a) quale sia la struttura
dell’impegno a trasferire;
(b) quale sia la struttura
del successivo atto di trasferimento.
Prima di passare ad un esame
più dettagliato di questi due distinti interrogativi, occorre innanzi tutto
sgombrare il campo da quelle figure negoziali tipiche usualmente utilizzate
dalla prassi notarile, preoccupata di evitare le incertezze che, sul piano
fiscale, oltre che su quello civilistico (con conseguenti risvolti per il
notaio di responsabilità civile e disciplinare), il mancato espresso
riconoscimento legislativo della categoria generale del negozio di
trasferimento solvendi causa comporta
[187]. Il riferimento è qui in primo luogo alla donazione,
per l’evidente incompatibilità tra animus
donandi e intento di adempiere un’obbligazione [188]. Più che chiare sono le conseguenze sul piano
giuridico di tale premessa: «oltre alla libertà della forma scritta (atto
pubblico o scrittura privata), rimangono fuori: la revocazione per
ingratitudine o sopravvenienza di figli (si pensi a giovani coniugi senza figli
al momento delle separazione o divorzio), l’obbligo della collazione, l’azione
di riduzione per lesione di legittima, l’obbligo alimentare del donatario verso
il donante e, per quanto riguarda l’imposta di successione il coacervo, se il
donatario diventerà anche erede del donante. Inoltre, vanno ricordate le
diverse condizioni richieste dalla legge (art. 2901 c.c.) per esercitare
l’azione revocatoria quando l’atto di disposizione è a titolo gratuito» [189].
Escluso dunque il ricorso
alla donazione, vi è subito da aggiungere che le parti non potrebbero neppure
appoggiarsi allo schema della compravendita. Qui, infatti, a parte il rilievo
che, per assecondare l’intento dei contraenti, essa dovrebbe essere
necessariamente simulata (e, trattandosi di simulazione «manifesta», il notaio
ne dovrebbe rifiutare la stipulazione), resta comunque il fatto che una
simulazione assoluta non consentirebbe ai paciscenti di conseguire lo scopo
prefigurato, mentre una simulazione relativa lascerebbe aperto il problema dell’individuazione
del negozio dissimulato, che – per le ragioni testé esposte – non potrebbe
essere rappresentato da una donazione [190].
L’obbligazione assunta
dinanzi al giudice di operare un trasferimento mobiliare o immobiliare può
dunque trovare esecuzione solo attraverso un apposito atto di attuazione
dell’obbligazione di trasferire. Si tratta però di vedere quale struttura
concreta lo stesso atto possa assumere e, in particolare, se esso debba
ricevere quella di un atto bilaterale (con la necessità, quindi, di una
manifestazione di volontà anche da parte del destinatario dell’attribuzione),
ovvero quella di un atto traslativo unilaterale (ciò che prescinderebbe
dall’accettazione dell’accipiens),
ovvero ancora quella di una proposta ex
art. 1333 c.c. (con la conseguenza che l’accettazione non sarebbe necessaria,
ma il contratto dovrebbe ritenersi concluso solo in mancanza di un rifiuto del
destinatario «nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi»).
Proprio l’ultima di quelle
appena indicate è la soluzione additata dalla Cassazione in una nota pronunzia [191] la quale, di fronte alle incognite del binomio:
impegno a trasferire – atto di trasferimento, suggerisce le seguenti soluzioni:
preliminare di contratto ex art. 1333
c.c. – contratto definitivo ex art.
1333 c.c. Concentrando l’attenzione sull’impegno a trasferire notiamo subito
che la dottrina ha esattamente criticato, nella decisione appena ricordata,
l’individuazione di un contratto preliminare nell’impegno del padre di
trasferire l’immobile, sostenendo che è invece nel primo negozio (quello,
appunto, stipulato in sede di separazione) che va ravvisato l’atto di
autonomia, laddove nel secondo va riscontrato un mero atto solutorio [192].
12. Segue.
La natura dell’atto di trasferimento.
Passando al secondo dei
termini del binomio in cui s’articola l’effetto traslativo voluto dalle parti,
sarà opportuno dire a questo punto che, una volta scartate la via della
donazione e quella della compravendita [193], rimangono a disposizione tre possibilità. Esse
consistono, più esattamente, nel ricorso al contratto, ex art. 1333 c.c., al negozio traslativo unilaterale (o pagamento
traslativo) e al negozio traslativo bilaterale.
Per la prima soluzione si è
già espressa
In realtà, l’art. 649 c.c. è
chiaro nell’attribuire al legato l’effetto traslativo immediato, al momento
dell’apertura della successione, laddove l’art. 1333 c.c. collega,
testualmente, la conclusione del contratto – e dunque il momento di produzione
degli effetti – alla «mancanza del rifiuto»; rifiuto che deve oltre tutto
essere espresso «nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi»,
con conseguente incertezza nella determinazione del momento nel quale il
diritto si trasferisce in capo all’acquirente, ciò che appare inconciliabile
con il regime della circolazione dei beni immobili e con il sistema di
pubblicità che lo accompagna. Questa incertezza è invece totalmente assente
nella citata fattispecie successoria, e lo stesso discorso vale per gli artt. 1236
c.c. (sulla cui pertinenza alla materia degli effetti reali si potrebbe, tra
l’altro, discutere) e 1411 c.c., così come per l’art. 785 c.c. Con riguardo a
quest’ultima disposizione, andrà subito detto che, anche a voler ammettere la
possibilità di estendere gli effetti del contratto concluso ex art. 1333 c.c. al di là di quelli
meramente obbligatori (ciò che peraltro, per le ragioni sopra esposte, appare
inaccettabile), rimane comunque il fatto che lo schema in esame appare
difficilmente compatibile con la forma dell’atto pubblico [199]. Il «non rifiuto» – si è osservato – è un evento che
comunque sfugge all’attività notarile, con conseguente impossibilità di una
documentazione dello stesso presupposto della costituzione del diritto in capo
all’oblato [200].
Se dunque la via indicata
dalla Cassazione non sembra percorribile, non appare neppure consigliabile la
strada del negozio unilaterale traslativo astratto solutionis causa, o pagamento traslativo, atto unilaterale
riconducibile alla categoria più generale ex
artt. 1176 ss. c.c. e svincolato da ogni forma di accettazione o di mancato
rifiuto da parte del destinatario [201]. Ciò non solo per via delle persistenti incertezze
sull’ammissibilità nel nostro ordinamento di un trasferimento di proprietà
mediante atti a struttura unilaterale [202], ma anche per poter comunque offrire al destinatario
il potere di impedire l’effettuazione del trasferimento allorquando egli abbia
interesse a farlo: si pensi al caso in cui il creditore abbia perso interesse
all’atto, oppure il medesimo si prospetti addirittura come fonte di possibili
danni. Scartata la via dell’atto unilaterale la conclusione preferibile appare
dunque quella di far assumere all’atto traslativo una struttura bilaterale [203] nella quale risulti appunto – oltre, ovviamente, alla
specificazione della causa praeterita
del negozio – anche il consenso del destinatario dell’attribuzione.
Venendo ad accennare
brevemente alla tutela giudiziale dell’obbligazione di trasferire, dottrina e
giurisprudenza appaiono concordi, in caso di rifiuto dell’obbligato ad operare
il trasferimento, a concedere al creditore l’azione ex art. 2932 c.c. [204]. La soluzione è sicuramente da condividersi, né
costituisce ostacolo al suo accoglimento l’aver negato la natura «preliminare»
dell’impegno a trasferire concluso in sede di separazione consensuale o di
divorzio su domanda congiunta. Se è vero, infatti, che, stando alla lettera
della legge, l’art. 2932 c.c. postula la presenza di un obbligo a «concludere
un contratto» (e non di un «obbligo a trasferire»), ponendo a disposizione del
creditore un rimedio consistente nell’emanazione di una sentenza che produce
gli effetti «del contratto non concluso» (e non di un «trasferimento non
attuato»), è altrettanto vero che, ex
art. 1324 c.c., la disciplina contrattuale è applicabile agli atti unilaterali
tra vivi aventi contenuto patrimoniale. Non sembra quindi azzardato proporre
un’estensione della sentenza costitutiva anche in funzione sostitutoria degli
effetti che sarebbero dovuti scaturire dall’atto traslativo della proprietà,
alla cui effettuazione un coniuge si era obbligato in sede di stipula del
contratto di definizione della crisi coniugale. La soluzione testé prospettata
riceve del resto ulteriore conforto dalla considerazione di quanto disposto
dall’art. 1706 cpv. c.c., che estende il rimedio ex art. 2932 c.c. ad un’obbligazione di dare in senso tecnico
(generata dal mandato senza rappresentanza ad acquistare), ossia di trasferire
la proprietà del bene a mezzo di un atto in cui si suole identificare un negozio
traslativo di esecuzione non astratto, ma causale, che si appoggia, cioè, al
mandato e alla sua causa [205].
13. Gli
effetti del trasferimento. Sulla possibilità di sottoporre l’accordo traslativo
alla condizione sospensiva dell’omologazione, ad altra condizione, o a termine,
o comunque di determinare liberamente il momento di decorrenza degli effetti
del trasferimento.
13.1. Generalità. «Condizioni» ed «effetti» della
separazione.
La considerazione della natura contrattuale delle
intese delle quali qui si discorre, siano esse di carattere reale, ovvero
meramente obbligatorio, induce a ritenere che ad esse si applichi anche la
disciplina della condizione. Quest’ultima – avuto riguardo ad una procedura di
separazione consensuale – può essere liberamente apposta e individuata in
relazione al momento in cui il decreto di omologazione diviene definitivo, come
avvenimento futuro ed incerto; trattasi, in questo caso, di condizione
potestativa ordinaria, perché dipende dalla volontà e dalla richiesta delle
parti, ma non solo da questa, dovendo il tribunale accertare che l’accordo non
sia contrario a legge, ordine pubblico e buon costume [206]. Ci si può però chiedere, a questo punto, quale ruolo
dispieghi in proposito l’art. 158, primo comma, c.c., a mente del quale «La
separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza
l’omologazione del giudice» [207]. In particolare, ci si deve domandare se tale
elemento giochi quale condicio iuris,
e, in caso positivo, se debba ritenersi che la citata disposizione
eventualmente impedisca alle parti di prevedere autonomamente una data di
produzione degli effetti del vincolo negoziale assunto, sia questa coincidente
con quella di cui alla norma riferita, ovvero da essa, in ipotesi, divergente.
Sarà opportuno precisare che sul punto esisteva, già
prima dell’intervento della Cassazione risalente al 1997, di cui si è già detto
e sul quale si tornerà tra breve, almeno un precedente nella giurisprudenza di
merito, nel quale è dato leggere che il fatto che il trasferimento della
proprietà avvenga solo al momento dell’omologazione non contrasta con l’art.
1376 c.c.; disposizione, questa, che «non impedisce che il trasferimento della
proprietà della cosa possa essere sottoposto a condizione sospensiva (facti o iuris). E l’omologazione è (secondo la dottrina dominante)
condizione di efficacia dell’accordo. Non vi è quindi nulla che contrasti con i
principi fondamentali dell’ordinamento» [208]. Successivamente,
Come si è visto, dunque, la giurisprudenza sembra
percorrere senza esitazioni di sorta la via della condicio iuris, laddove in dottrina si preferisce consigliare ai
contraenti di ricorrere alla condicio
facti [210].
Andrà aggiunto a questo punto che le conclusioni di
cui sopra [211] sono
state criticate da chi [212] ha
ritenuto di dover sottolineare il carattere indisponibile della quota in
comunione legale, invocando al riguardo una decisione di legittimità [213],
secondo cui, in pendenza del procedimento di separazione personale, il diritto
allo scioglimento della comunione legale dei beni non è ancora sorto, per non
essersi compiutamente realizzata la correlativa vicenda costitutiva.
Conseguentemente andrebbe asserita la nullità, manente communione, del contratto qui in esame, con conseguente
impossibilità del suo inserimento nel verbale di separazione consensuale tra
coniugi (ancora) in regime legale, «per mancanza dell’oggetto del contratto
(art. 1418, comma secondo, c.c.)» [214]. Sembra invece a chi scrive che la quota di comunione
ordinaria che subentrerà ex lege al
regime legale all’atto dello scioglimento di quest’ultimo [215] possa
formare oggetto di atti di disposizione già sotto la vigenza della comunione
legale, in forza del generale principio che vuole essenzialmente validi i
negozi su cose future (art. 1348 c.c.) [216].
Altro possibile dubbio è quello secondo cui il fatto
di stabilire un’equazione tra i concetti di «trasferimento patrimoniale in sede
di separazione» e di «effetto della separazione ex art. 158 c.c.» sembra legare l’operazione alla regola della condicio iuris di cui alla citata
disposizione dell’art. 158 c.c. Vi è dunque da chiedersi se, nel caso in cui i
coniugi non intendessero attendere l’omologazione e volessero operare un
effetto patrimoniale traslativo prima di tale evento, l’intesa non sarebbe
contraria a norma imperativa (l’art. 158 cit., appunto).
L’interrogativo discende, come si appena detto, dal
postulato secondo cui il trasferimento patrimoniale sarebbe uno degli «effetti
della separazione» cui fa richiamo l’art. 158 c.c. Ma è proprio questo assioma
che va messo in discussione. La verifica di siffatta proposizione utilizza
quale «cartina di tornasole» il richiamo agli effetti della riconciliazione, ex art. 157 c.c.: norma, questa, che
pure ha tratto agli «effetti della separazione» (contenziosa o consensuale che
sia). Appare dunque lecito porsi l’interrogativo circa la sorte del
trasferimento patrimoniale operato in sede di separazione, una volta che tra i
coniugi sia intervenuta la riconciliazione. Logica vorrebbe, infatti, che, se
veramente le attribuzioni di cui qui si discute fossero da annoverare tra gli
«effetti della separazione», nel senso sopra indicato, la riconciliazione delle
parti dovrebbe determinarne la ripetizione.
La questione era già stata posta parecchi anni or sono
all’attenzione della Suprema Corte, che aveva avuto modo di stabilire quanto
segue: «Qualora tra i coniugi si convenga, con pattuizione facente parte
dell’accordo di separazione consensuale, che l’obbligazione di mantenimento sia
adempiuta, anziché a mezzo di una prestazione patrimoniale periodica, con
l’attribuzione definitiva di beni, mobili o immobili, o di capitali in danaro,
l’esecuzione di tale attribuzione estingue totalmente e definitivamente
l’obbligazione. (...) A tale efficacia estintiva non ostano né il rilievo che
lo stato di separazione ha carattere essenzialmente non permanente, né il
rilievo che a carico del coniuge può sorgere successivamente l’obbligazione di
alimenti. La riconciliazione, infatti, ha come effetto suo proprio la
cessazione dello stato di separazione, e non altro. La cessazione
dell’efficacia delle pattuizioni patrimoniali stipulate all’atto della
separazione non è effetto necessario della riconciliazione, come sembra
ritenere il ricorrente, ma può derivare soltanto da un nuovo assetto delle
posizioni patrimoniali dei coniugi, che potrà essere raggiunto o
convenzionalmente o giudizialmente con riferimento alla situazione successiva
alla riconciliazione, ma non è diretta conseguenza di questa. L’obbligo degli
alimenti, qualora ne vengano a sussistere i presupposti, è del tutto estraneo
all’obbligo di mantenimento e sorge indipendentemente dall’esistenza di questo;
ed invero, l’adempimento all’obbligo di alimenti non estingue l’obbligo di
mantenimento, se esistente, e correlativamente l’insorgenza dell’obbligazione
di alimenti non genera alcun effetto sull’obbligazione di mantenimento, se
insussistente od estinta. Deve essere confermato, quindi, che l’obbligazione di
mantenimento può validamente essere estinta, all’atto della separazione
consensuale tra coniugi, con un’attribuzione definitiva di beni e che tale
attribuzione non può, quindi, essere considerata priva di causa» [217].
Sul tema è ritornata
successivamente una pronunzia di merito, che pure è pervenuta alle medesime
conclusioni: «Deve ritenersi (…) che alla riconciliazione consegua, sotto il
profilo del regime patrimoniale della famiglia, la ricostituzione automatica
della comunione legale, la quale opera peraltro non con efficacia retroattiva
ma solo dal momento della riconciliazione effettiva (salvo verifica della opponibilità
ai terzi) e quindi per il futuro. E’ da escludere, invece, che costituiscano,
a differenza di quelli fin qui enumerati, effetti della sentenza di separazione
(o del decreto di omologazione della separazione consensuale) i negozi aventi
ad oggetto il trasferimento di diritti; i medesimi infatti, benché stipulati in
occasione della separazione e per dare definizione ad ogni questione insorgente
in ordine alla stessa, non costituiscono contenuto necessario del verbale di
separazione ma possono dar luogo ad accordi stragiudiziali e gli effetti propri
del negozio non sono, anche nell’ipotesi in cui lo stesso sia inserito nel
verbale, in alcun modo condizionati dall’omologazione. Consegue che la
riconciliazione non fa venire meno gli effetti dei contratti di trasferimento
di beni (così come del resto non fa venir meno gli effetti della divisione dei
beni in comunione legale – divisione che può costituire causa delle
attribuzioni di beni in sede di separazione – posto che la ricostituzione della
comunione opera solo per il futuro)» [218].
A quanto sopra può
aggiungersi – come già rilevato in altra sede dallo scrivente [219] – che l’art. 157 c.c., nel disciplinare le
conseguenze della riconciliazione, si limita a prevedere la cessazione «degli
effetti della separazione», cui non possono certo ricondursi quelle
«condizioni» alla vigenza delle quali i coniugi avevano a loro tempo
condizionato il proprio assenso ad una definizione amichevole del conflitto
coniugale, condizioni tra le quali rientra, in primo luogo, l’eventuale
effettuazione di prestazioni in unica soluzione (ivi compreso, ovviamente,
l’eventuale compimento di negozi traslativi) [220]. Resta, naturalmente, salva la possibilità che le
parti espressamente (e, ovviamente, con il rispetto delle regole sostanziali e
formali [221]) definiscano in modo diverso, nell’accordo di
riconciliazione, anche gli aspetti di eventuali restituzioni di attribuzioni
effettuate in sede di negozio di separazione. Tale sorta di definizione
potrebbe addirittura essere effettuata in anticipo, cioè al momento della
separazione e in considerazione di una possibile riconciliazione [222].
Da quanto illustrato deriva, dunque, che si può porre,
in primo luogo, una distinzione tra «effetti» della separazione e «condizioni»
della separazione (cioè condizioni alla presenza delle quali le parti decidono
di separarsi consensualmente e non in modo contenzioso). Non tutte le
«condizioni» della separazione sono riconducibili a quegli «effetti» cui
risultano applicabili gli artt. 157 e 158 c.c.
13.2. Il collegamento tra atti traslativi (o comunque
dispositivi) tra coniugi in crisi e omologazione della separazione consensuale,
secondo la più recente giurisprudenza di legittimità.
La riprova di quanto appena detto è rinvenibile
proprio nella soluzione del recente e già citato caso affrontato da Cass., 6
febbraio 2009, n. 2997. Nella specie
La decisione sembra avallare, dunque, l’idea che il
nesso tra i trasferimenti operati inter
coniuges in crisi (o comunque le intese patrimoniali in sede di crisi
coniugale), da un lato, e il procedimento ex
art. 158 c.c. debba essere in qualche modo esplicitato dai contraenti, per
poter rilevare (nel senso che il mancato perfezionamento della procedura di
separazione consensuale impedisca agli accordi patrimoniali di produrre
effetto).
Ulteriore conferma del ragionamento sin qui svolto è
desumibile dalla considerazione di un caso risolto dalla S.C. nel 2008 [225], in cui pure si discuteva dell’efficacia di una
transazione conclusa tra i coniugi in vista di una separazione consensuale, poi
non concretizzatasi; in forza di tale intesa un coniuge si era obbligato a trasferire
all’altro la propria quota di comproprietà di un compendio immobiliare, in
cambio dell’assunzione di determinati impegni, da parte di quest’ultimo,
relativi al mantenimento dei figli. Qui
Posta tale premessa,
13.3. La necessaria distinzione tra effetti (della
separazione) destinati a perdurare nel tempo ed effetti destinati a prodursi in
modo istantaneo. Argomenti ricavabili dalla considerazione del rilievo della
separazione di fatto. Possibilità per i coniugi di far decorrere gli effetti
degli atti traslativi da un momento diverso da quello dell’omologazione.
Se anche non si dovessero condividere le
argomentazioni sopra svolte e si dovesse ritenere che pure i trasferimenti
patrimoniali tra coniugi in crisi costituiscono «effetti della separazione», ai
sensi e per gli effetti degli artt. 157 e 158 c.c., appare comunque necessario
tenere ben distinti gli effetti destinati a perdurare nel tempo, da un lato, da
quelli destinati a prodursi in modo istantaneo, dall’altro. L’art. 157 c.c. si
esprime, invero, nei termini seguenti: «far cessare gli effetti della sentenza
di separazione». Ora, il verbo «cessare» rende evidente che la norma presuppone
che gli «effetti della separazione» (destinati, per l’appunto, a «cessare»)
siano ancora in atto, nel momento in cui la riconciliazione interviene (non
potendo, logicamente, «cessare», cioè venir meno, ciò che in atto più non è).
Ne consegue che la disposizione non si applica ad atti che, come i negozi
traslativi, hanno già pienamente ed integralmente dispiegato il loro effetto
una volta per tutte; d’altro canto la norma in esame non prevede effetti
restitutori di sorta, né, tanto meno, un’efficacia ex tunc della riconciliazione, per cui le prestazioni effettuate
non possono che essere trattenute.
Le considerazioni di cui sopra traggono conferma dalla
giurisprudenza in tema di modifica delle condizioni della separazione, ex art. 710 c.p.c. Così,
A ciò s’aggiunga ancora che, nel medesimo anno,
Appare quindi chiaro che, anche per
Tornando alla considerazione dell’art.
158 c.c. potrà ricavarsi un ulteriore argomento in favore della tesi qui
sostenuta (circa la generale possibilità per i coniugi di attribuire effetto
all’atto traslativo a decorrere da un momento o da un evento scelto a loro
piacimento) dal fatto che questa disposizione («La separazione per il solo
consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice»), dà
chiaramente ad intendere che il profilo che essa ha eminentemente ad oggetto è
quello personale. In proposito vi è anche una precisa ragione storica,
illustrata in altra sede [228]: la separazione non poteva essere legata al capriccio
delle parti, per non attentare alla sacralità dell’unione matrimoniale. Ma, una
volta introdotto il principio della dissolubilità del vincolo e, soprattutto,
quello dell’irrilevanza della colpa ai fini dell’ammissibilità della
separazione (e del divorzio), il controllo esercitabile ex art. 158 c.c. non può essere se non quello circa la legittimità
delle intese dei coniugi e la loro non contrarietà all’interesse degli
eventuali minori. Ma ciò non vuol dire che effetti di carattere patrimoniale non
possano essere legati ad uno stato di separazione non «benedetto» dal giudice.
Basti ricordare il rilievo che viene universalmente
attribuito agli accordi diretti a disciplinare una separazione di fatto. Invero,
già a partire dall’entrata in vigore del vigente codice, ed anzi da epoca
precedente, la giurisprudenza si è mostrata assai incline ad attribuire rilievo
a simili intese [229], sino a
culminare in un leading case del
Le argomentazioni di cui sopra convergono dunque tutte
verso la dimostrazione della possibilità per le parti di attribuire effetto
alle intese traslative eventualmente raggiunte (così come ad ogni altro genere
d’accordo patrimoniale) a decorrere vuoi dall’omologazione della separazione
consensuale, vuoi a partire da un altro momento, concordemente ritenuto come
maggiormente rispondente agli interessi dei coniugi. Questo significa
concretamente che – in linea di principio – i soggetti potranno sottoporre l’accordo traslativo alla
condizione sospensiva dell’omologazione, ad altra condizione, o a termine o
comunque determinare liberamente il momento di decorrenza degli effetti del
trasferimento.
Il tutto, naturalmente, fatto salvo il rispetto di
eventuali distinti principi inderogabili, che dovessero risultare per una
qualche ragione applicabili al caso di specie. Il caso più evidente è quello,
di cui già si è detto, della divisione della comunione legale, che non può
operarsi, neppure in via amichevole, se non dopo che sia intervenuta una causa
di scioglimento del regime [232]. Sarà pertanto inevitabile che le attribuzioni
patrimoniali operate in sede di verbale di separazione personale a titolo
divisorio di un ancora vigente regime di comunione prendano effetto dal momento
nel quale diviene operativa la separazione personale dei coniugi [233], vale a dire quello in cui il decreto di omologazione
della separazione stessa, quale (unico, nella specie) evento rilevante ex art. 191 c.c., diviene definitivo [234]. A tal fine potrà suggerirsi (sul piano pratico, per
evitare possibili contestazioni successive, anche se, come si è detto, la
giurisprudenza riconosce qui la presenza di una condicio iuris, che rende stricto
iure superfluo l’inserimento di apposite pattuizioni) di evidenziare tale
punto nell’accordo, prevedendo espressamente la decorrenza degli effetti del
trasferimento dal momento della definitività del decreto di omologazione della
separazione consensuale.
14. Gli
effetti del trasferimento in relazione all’azione revocatoria ordinaria ed alla
revocatoria fallimentare.
La giurisprudenza di legittimità ha
avuto modo di occuparsi in questi ultimi anni per almeno tre volte della
possibilità, da parte dei creditori o del curatore fallimentare, di esperire
azione revocatoria, rispettivamente, ordinaria e fallimentare nei riguardi di
negozi traslativi di diritti in sede di crisi coniugale.
Il problema principale trattato da queste decisioni
attiene al profilo del carattere solutorio o meno dell’atto traslativo. Essendo
notoriamente sottratto a revocatoria l’atto di adempimento di un’obbligazione,
è evidente che la qualificazione a tale stregua dei negozi in oggetto
fornirebbe un insuperabile usbergo avverso le pretese dei creditori, in sede di
azione individuale, così come concorsuale.
Con una prima sentenza del 2005 [235]
L’anno seguente la stessa Corte [236] ha dovuto affrontare identica questione sotto
l’angolo visuale, però, della revocatoria fallimentare, ai sensi degli artt.
67, comma primo, n. 1, e
Infine, nel
2008,
I TRASFERIMENTI PATRIMONIALI IN FAVORE DELLA PROLE
15. I trasferimenti in favore della prole.
Il problema dell’ammissibilità dell’erogazione del mantenimento della prole
mediante prestazione una tantum.
Nel sempre più vasto ambito
delle questioni relative ai trasferimenti patrimoniali effettuabili in
occasione di separazione o di divorzio un capitolo di un certo rilievo è
costituito dalle attribuzioni in favore della prole. Tra i vari interventi sul
punto, di cui si darà atto a tempo debito, una decisione di merito del 2006 [238] si segnala per aver affrontato, in sede di reclamo ex art. 2674-bis c.c. – 113-ter disp.
att. c.c. avverso trascrizione con riserva [239], alcuni temi cruciali in questa materia: dalla natura
e dalla causa di simili atti (a prescindere dalla terminologia usata dalle
parti; nella specie: «donazione»), alla compatibilità degli stessi con la
struttura del contratto a favore di terzo, al contenuto (necessario, così come
quello non necessario) degli accordi di separazione, al carattere di atto
pubblico del verbale di separazione consensuale e all’idoneità di quest’ultimo
a fungere da titolo idoneo per la trascrizione [240]. Una successiva pronuncia, sempre di merito, si è
incaricata di tornare sui medesimi argomenti, ancorchè in sede più di obiter dicta, che di rationes decidendi, avendo essa
principalmente ad oggetto la possibilità di vincolare ex art. 2645-ter c.c.
nell’interesse della prole determinati cespiti immobiliari trasferiti da un
coniuge (non già alla prole, ma) all’altro [241].
I provvedimenti citati
forniscono dunque lo spunto per una rivisitazione di alcuni profili attinenti
al tema dei trasferimenti in favore della prole [242]. Meno dibattuta – ma certo di non minore rilevanza
teorica e pratica – è la questione dell’ammissibilità e delle peculiarità
proprie di un analogo tipo di negozio rivolto, questa volta, a vantaggio della
prole naturale, magari nel contesto di un accordo destinato a sciogliere i nodi
patrimoniali di una pregressa convivenza more
uxorio. A questo particolare tema verrà dedicata una specifica parte del
presente scritto [243].
Iniziando, dunque, dal campo
dei trasferimenti in favore della prole legittima, nell’ambito di un contratto
della crisi coniugale, va in primo luogo rilevato che, come noto, per quanto
attiene alle modalità di adempimento dell’obbligo di contribuire al
mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli minorenni, i tribunali,
prima della riforma dell’art. 155 c.c. disposta dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54
(«Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso
dei figli»), erano soliti imporre al genitore non affidatario l’obbligo di
corrispondere all’altro una somma periodica di denaro [244].
La dottrina si era però
interrogata sulla possibilità per il giudice di prevedere modalità divergenti
da questa, spingendosi ad ammettere, per esempio, la «destinazione dei frutti
di beni e capitali al mantenimento del minore» [245]. A questa conclusione si era obbiettato che qualche
difficoltà sarebbe stata prospettabile, allorché si fosse trattato di
determinare «un criterio di adeguamento automatico» in riferimento ai frutti di
un capitale, criterio che il tribunale aveva l’obbligo di fissare – e di
fissare in misura non inferiore agli indici di svalutazione monetaria – ai
sensi dell’art. 6, undicesimo comma, l.div. [246], ora sostituito dall’art. 155, quinto comma, c.c. [247], applicabile anche al divorzio (oltre che ai
procedimenti di nullità del matrimonio, nonché a quelli relativi ai figli di
genitori non coniugati), ai sensi dell’art. 4 cpv., l. 8 febbraio 2006, n. 54.
Ma a siffatta osservazione si sarebbe potuto replicare che, in concreto, il
sistema così adottato avrebbe potuto anche assicurare un adeguamento superiore
(e magari di gran lunga) a quello conseguente all’applicazione degli indici
ISTAT.
Peraltro, oggi il quarto comma
dell’art. 155 c.c. non sembra lasciare adito a dubbi sul fatto che la sola
modalità di fonte giudiziale per la determinazione del contributo di uno dei
genitori al mantenimento della prole sia costituita dalla previsione, «ove
necessario», della «corresponsione di un assegno periodico al fine di
realizzare il principio di proporzionalità». Ben diverso è il discorso per ciò
che attiene alle intese delle parti: intese in relazione alle quali il giudice
deve limitarsi ad una mera «presa d’atto», ove, beninteso, le medesime non
appaiano in contrasto con l’inderogabile principio dell’interesse del minore.
Sotto questo profilo non
sembra esservi dubbio sul fatto che i genitori
ben potrebbero introdurre accorgimenti idonei a riconoscere, ad esempio,
al genitore beneficiario della prestazione un «minimo garantito»,
predeterminato in modo da assicurare per il futuro non solo il mantenimento, in
termini nominali, del medesimo livello delle prestazioni inizialmente erogate,
ma anche la conservazione, in valore reale, del relativo potere d’acquisto.
Più delicato appare il
problema dell’ammissibilità della corresponsione, sempre sulla base
dell’accordo delle parti, del contributo in un’unica soluzione. In proposito si
sono sollevate obiezioni fondate sul silenzio del legislatore, di fronte alla
esplicita previsione, invece, della liquidabilità una tantum dell’assegno per l’ex coniuge [248].
Ora, come premessa di carattere generale
sull’argomento, va subito detto che – in considerazione del carattere
inderogabile del criterio di proporzionalità espresso dall’art. 148 c.c. [249], nonché del principio generale dell’interesse della
prole – nessun effetto preclusivo potrebbe comunque collegarsi all’effettuazione
di una prestazione una tantum [250], neppure in caso di espressa clausola al riguardo;
clausola che, ove prevista, andrebbe sicuramente ritenuta tamquam non esset. Diversamente da quanto illustrato in altra sede
in relazione alla possibilità di derogare – per ciò che attiene ai rapporti tra
le parti – al diritto di chiedere una modifica delle condizioni della
separazione o del divorzio [251], qui nessuna rinunzia (espressa o tacita) potrebbe
escludere la facoltà per il genitore interessato (vale a dire l’affidatario,
nel caso di affido disgiunto, ovvero quello che debba sopportare gli esborsi
maggiori, in caso di affidamento condiviso), o per lo stesso figlio, divenuto
maggiorenne, ma non ancora autosufficiente, di far valere le eventuali
sopravvenienze per effetto delle quali la prestazione effettuata – vuoi
periodicamente, vuoi una tantum – non
dovesse più rispondere ai canoni ex
art. 148 c.c.
16. Le posizioni della giurisprudenza di
merito sul tema dei trasferimenti in favore della prole.
Il problema fondamentale è
dunque quello di vedere se dalla prestazione del mantenimento in unica
soluzione possa farsi derivare l’estinzione – anche se solo con efficacia rebus sic stantibus – dell’obbligo di
cui qui si discute in capo al genitore che sarebbe altrimenti tenuto alla
corresponsione di un assegno. La questione si pone, come è chiaro, in stretta
correlazione con quella concernente l’ammissibilità del trasferimento e della
costituzione, a titolo di contributo gravante sul genitore, di diritti (per lo
più reali) in capo alla prole minorenne. La giurisprudenza di merito che ha
avuto modo di occuparsi in maniera specifica del problema del trasferimento o
della costituzione di diritti in favore della prole in sede di crisi coniugale
ha assunto svariate posizioni, che possono così sommariamente riassumersi.
Una prima decisione ha
negato tout court l’ammissibilità di
tali accordi, partendo dal presupposto del carattere necessariamente pecuniario
e periodico della prestazione, desumibile dal silenzio del legislatore sulla
liquidabilità una tantum della
prestazione gravante sul genitore non affidatario e sul carattere indisponibile
dei diritti in questione [252].
Sarà interessante notare al
riguardo che la pronunzia testé citata, dopo avere proclamato l’invalidità, per
avere trattato di diritti indisponibili, della convenzione con cui il padre si
era impegnato a «donare» [253] ai figli la proprietà di una casa, sembra voler
imprimere una brusca «sterzata» alla motivazione verso la considerazione del
carattere non preclusivo dell’accordo stesso in ordine a pretese future. La
questione della validità del trasferimento operato viene così immediatamente
messa da parte e vi è veramente da dubitare che fosse nell’intenzione del
giudicante porre le premesse per una distinta azione di accertamento da parte
del padre della nullità della «donazione», così consentendo a quest’ultimo di
recuperare il bene già destinato al mantenimento della prole.
Alla sentenza testé riferita
se ne contrappongono altre che, al contrario, ammettono la validità di accordi
traslativi e/o costitutivi di diritti reali, dando per scontata la soluzione
positiva. Così, per esempio,
Uno sforzo ermeneutico
maggiore è dato rinvenire in altre decisioni di merito, che hanno inquadrato
l’impegno a trasferire un immobile in favore della prole nello schema del
contratto a favore di terzi. Così, per esempio, il Tribunale di Vercelli [255] ha stabilito che, costituendo un contratto a favore
di terzi (e non promessa di donazione) l’accordo con il quale un coniuge,
nell’àmbito della regolamentazione dei rapporti patrimoniali posta in essere in
sede di separazione personale, si obblighi nei confronti dell’altro, al
trasferimento gratuito in favore della prole di un immobile (casa familiare)
successivamente all’omologa degli accordi di separazione, spetta soltanto ai
figli (e non anche allo stipulante) la legittimazione ad agire in giudizio per
ottenere l’attuazione coattiva della prestazione da parte del coniuge
promittente inadempiente.
In precedenza
In tempi meno remoti un
tribunale siciliano [260]
ha stabilito che l’accordo con cui venga pattuito il trasferimento di un
diritto reale al figlio minorenne, per provvedere una tantum al suo
mantenimento, si può configurare come un contratto a favore di terzi, ex
art. 1411 c.c. realizzante una liberalità indiretta, con conseguente non applicabilità
dell’art. 782 c.c.
17. Le posizioni della giurisprudenza di
legittimità sul tema dei trasferimenti in favore della prole e la natura
contrattuale delle obbligazioni in discorso.
Venendo ora ad illustrare la
posizione della giurisprudenza di legittimità, andrà subito notato come
l’attenzione della medesima, tra i tanti profili coinvolti dalla problematica
in esame, sia stata immediatamente attratta dal tema della riconducibilità o
meno delle intese in discorso allo schema del contratto a favore di terzi. Al
riguardo, una ormai remota pronunzia della Cassazione ebbe a negare
l’applicazione della disciplina ex
artt. 1411 ss. c.c., rifiutandosi di riconoscere nelle intese in oggetto la
natura contrattuale, in relazione alla clausola inserita all’interno di un
accordo di separazione consensuale tra coniugi, secondo la quale il marito si
era obbligato a mettere a disposizione del figlio e della moglie, per tutta la
durata della loro vita, un’abitazione, ad integrazione dell’assegno di
mantenimento dovuto agli stessi [261].
Il principio venne però
smentito nove anni dopo, proprio con riferimento ad una fattispecie per molti
versi analoga, e in relazione alla quale
Quest’ultima decisione ha
ricevuto un successivo avallo – per ciò che attiene all’affermazione della
natura contrattuale dell’impegno in questione – all’inizio degli anni Novanta,
quando
Poste queste premesse, deve
dunque ritenersi rimosso il principale ostacolo alla astratta riconducibilità
dei trasferimenti (e, più in generale, dei contratti della crisi coniugale)
dispieganti effetti nei confronti della prole alla figura del contratto a
favore di terzi, ostacolo risiedente nella (asserita) non riferibilità delle
intese d’ordine patrimoniale in sede di crisi coniugale al paradigma
contrattuale [265].
L’atteggiamento favorevole
della giurisprudenza di legittimità circa l’ammissibilità di trasferimenti
patrimoniali in favore della prole prosegue con alcune pronunzie degli ultimi
anni. Così, nel 2004,
La medesima decisione ha
altresì fissato il principio secondo cui la pattuizione, intervenuta in sede di
separazione consensuale, contenente l’impegno di uno dei coniugi, al fine di
concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in favore di
quest’ultimo, la piena proprietà di un bene immobile, non è soggetta né alla
risoluzione per inadempimento, a norma dell’art. 1453 c.c., né all’eccezione
d’inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c., «non essendo ravvisabile, in un
siffatto accordo solutorio sul mantenimento della prole, quel rapporto di
sinallagmaticità tra prestazioni che è fondamento dell’una e dell’altra, atteso
che il mantenimento della prole costituisce obbligo ineludibile di ciascun
genitore, imposto dal legislatore e non derivante, con vincolo di
corrispettività, dall’accordo di separazione tra i coniugi, tale accordo
potendo, al più, regolare le concrete modalità di adempimento di quell’obbligo»
[267].
L’anno successivo la stessa Corte ha ribadito che
l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole può essere adempiuto con
l’attribuzione definitiva di beni, o con l’impegno ad effettuare detta
attribuzione, piuttosto che attraverso una prestazione patrimoniale periodica,
sulla base di accordi costituenti espressione di autonomia contrattuale, con i
quali vengono, peraltro, regolate solo le concrete modalità di adempimento di
una prestazione comunque dovuta. Da tali premesse si è derivata la conseguenza
secondo cui la pattuizione conclusa in sede di separazione personale dei
coniugi non esime il giudice chiamato a pronunciare nel giudizio di divorzio
dal verificare se essa abbia avuto ad oggetto la sola pretesa azionata nella
causa di separazione, ovvero se sia stata conclusa a tacitazione di ogni
pretesa successiva, e, in tale seconda ipotesi, dall’accertare se, nella sua
concreta attuazione, essa abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto
l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo
emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento [268].
18. I trasferimenti in favore della prole
come contratti a favore di terzi.
Una volta accertata
l’impossibilità di contestare il richiamo allo schema del contratto a favore di
terzi negando natura contrattuale alle intese d’ordine patrimoniale in sede di
crisi coniugale, la soluzione del problema non può dirsi ancora raggiunta, dal
momento che altre difficoltà potrebbero prospettarsi.
Il primo problema è
costituito dalla posizione di «terzo» in capo al figlio destinatario
dell’attribuzione. Al riguardo, infatti, già nel 1978
In realtà, il fatto che i
genitori si accordino su diritti di cui essi stessi sono soggetti attivi e
passivi non esclude ancora che le medesime parti attribuiscano direttamente ai
figli posizioni giuridiche soggettive. Posizioni giuridiche che, proprio in
quanto direttamente previste a vantaggio della prole – in adempimento, si badi,
di obbligazioni che vedono (ex artt.
30 Cost., 147 e 148 c.c.) quali soggetti attivi i figli e soltanto essi –
escludono (in tutto o in parte) quelle pretese che l’affidatario (o comunque,
oggi, quello dei coniugi che affronta gli esborsi proporzionalmente maggiori,
in caso di affido condiviso) vanta iure proprio a titolo, sostanzialmente,
di rimborso per spese personalmente effettuate. Il tutto, ovviamente, a
condizione che i criteri di proporzionalità espressi dall’art. 148 c.c. [271] e di rispetto dell’interesse del minore siano
pienamente osservati. Nulla sembra opporsi, dunque, a che il figlio, in quanto
soggetto di diritto autonomo, sia dai genitori individuato quale titolare di
uno o più diritti reali, trasferiti al medesimo, oppure costituiti ad hoc in capo allo stesso, con
conseguente estinzione, totale o parziale, dell’obbligo di cui qui si discute.
Praticamente, poi, il
trasferimento della proprietà direttamente in capo al minore di un immobile
locato a terzi o di un pacchetto azionario, o di quote di fondi di investimento
o di titoli di stato potrebbe, a conti fatti, risultare assai più conveniente
della previsione d’un assegno mensile, magari parametrato in relazione ad un
reddito «apparente» (e documentabile) modesto dell’obbligato, dotato invece di
un cospicuo patrimonio «nascosto» [272].
19. Questioni in tema di rappresentanza legale
del minore.
Il richiamo alla figura del
contratto a favore di terzi consente di risolvere anche il problema,
prospettato in dottrina [273], dell’eventuale necessità dell’autorizzazione ex art. 320 c.c. in ordine all’acquisto
in capo al minore. L’acquisto, in effetti, si pone quale effetto immediato e
diretto del contratto (art. 1411 cpv. c.c.), come rilevato da una pronunzia di
legittimità, secondo cui «Nel contratto a favore di terzo, secondo la
previsione dell’art. 1411 cod. civ., la validità ed operatività della
convenzione medesima postula soltanto la ricorrenza di un interesse dello
stipulante (art. 1411 citato, primo comma), senza che si richieda l’osservanza
delle norme sulla rappresentanza dei minori, ove stipulato dal genitore a
vantaggio del figlio minore» [274]. Ne consegue che, non essendo richiesta alcuna
dichiarazione d’accettazione da parte del terzo beneficiario, nessuna
autorizzazione ai sensi dell’art. 320 c.c. dovrà ritenersi necessaria [275].
Al terzo beneficiario,
d’altro canto, è attribuito il diritto di paralizzare l’eventuale revoca o
modifica della stipulazione in suo favore mediante dichiarazione di voler
profittare della medesima oppure, al contrario, il diritto di rinunziare a
questa mediante «rifiuto di profittarne» (art. 1411 cpv. c.c.). A questi
particolari atti dovrà riconoscersi il carattere di straordinaria
amministrazione, come stabilito dalla Cassazione in un’altra vicenda, avente ad
oggetto la rinunzia di un inabilitato, senza l’assistenza del curatore, alla
stipulazione in suo favore [276].
L’autorizzazione ad emettere
la dichiarazione di «voler profittare» della stipulazione in favore del minore
è regolata dall’art. 320 c.c. e non potrà ritenersi «assorbita» dal controllo
giudiziale in sede di omologazione [277], posto che nessuna deroga al riguardo è desumibile
dall’ordinamento, né l’effettuazione di un identico tipo di controllo da parte
di un distinto organo giudiziario costituisce di per sé motivo per fondare
un’interpretazione abrogatrice di una precisa disposizione codicistica. Si noti
poi – per rimanere ancora un istante su questo tema – che la sovrapposizione
degli interventi in discorso non è perfetta, nel senso che mentre il controllo
della convenienza della stipulazione in favore del minore e della rispondenza
al canone del suo esclusivo interesse è comune ad entrambi i giudizi, solo in
quello ex art. 158 c.c. è consentito
un sindacato sul rispetto del criterio di proporzionalità previsto dall’art.
148 c.c.
Alla luce di quanto sopra
esposto non appare condivisibile quanto stabilito da una non remota decisione
di merito che, pur riconducendo la situazione in esame allo schema del
contratto a favore di terzo, ha poi negato che il trasferimento immobiliare a favore del figlio, previsto in un accordo
di separazione tra coniugi, sia trascrivibile, in mancanza dell’adesione del
terzo beneficiario; tale adesione costituirebbe, infatti, indefettibile condicio iuris sospensiva, fino al suo
verificarsi, dell’acquisizione del diritto in modo irrevocabile. Dovrebbe
pertanto ritenersi corretta la riserva apposta dal conservatore alla
trascrizione dell’accordo traslativo di bene immobile, contenuto nell’intesa di
separazione consensuale dei coniugi, a favore di un figlio minorenne, in caso
di mancata previa manifestazione del consenso, in nome e per conto del minore,
da parte del legale rappresentante nominato e autorizzato dal giudice tutelare ex art. 320 c.c. [278].
La
conclusione non appare convincente. Se è infatti vero che, secondo alcune
pronunzie di legittimità, l’adesione del terzo – nello schema ex art. 1411 c.c. – si configurerebbe
alla stregua di una «condicio iuris
sospensiva dell’acquisizione del diritto (rilevabile per facta concludentia), restando la dichiarazione del terzo di
voler profittare del contratto necessaria soltanto per renderlo irrevocabile ed
immodificabile» [279], è altrettanto innegabile
che, come pure rilevato in dottrina [280], questa interpretazione
forza il testo della norma citata, la quale non attribuisce al terzo la veste
di parte, né in senso formale, né in senso sostanziale rispetto alla
convenzione negoziale in suo favore. Ne consegue che, nel caso di specie, come
già ricordato, l’accordo concluso tra i genitori non richiede l’osservanza
delle norme sulla rappresentanza dei minori. Tale intesa sarà dunque
trascrivibile a prescindere dall’eventuale adesione [281], che viene ad incidere non
già sulla produzione degli effetti (reali od obbligatori che siano), ma solo
sulla possibilità di revoca da parte dello stipulante o di rifiuto da parte del
terzo, non più possibile dopo l’adesione [282].
Per quanto attiene, poi, al
contenuto del diritto costituito o trasferito, sarà il caso di aggiungere che
esso potrà concernere situazioni connotate dalla realità (proprietà, usufrutto,
uso, superficie, ecc.), non ostando all’uopo la riconduzione della fattispecie
alla figura del contratto a favore di terzi. E’ noto infatti che, secondo la
tesi prevalente (e preferibile), l’istituto ex
art. 1411 c.c. ben può avere ad oggetto effetti di carattere reale [283]. Altre volte esso si riferirà ad una mera obbligazione
di trasferire un diritto reale, magari espressa (erroneamente) tramite il
ricorso ad una «promessa di donazione», secondo quanto si avrà modo di vedere
più avanti [284].
20. I trasferimenti in favore della prole e
i rapporti con la donazione.
Si è già avuto modo di
vedere che il richiamo delle parti alla donazione costituisce un Leitmotiv di molti trasferimenti a
vantaggio della prole minorenne o maggiorenne e non autosufficiente [285].
Al riguardo si è proposta in
dottrina una distinzione tra due ipotesi, a seconda che il trasferimento
costituisca il corrispettivo del maggior onere assunto dall’affidatario (e oggi
dovremmo dire: del genitore a favore del quale verrebbe previsto un assegno,
pur in ipotesi di affidamento condiviso), ovvero che l’intento delle parti sia
quello di evitare una eventuale comunione ereditaria con altri figli: la causa
liberale andrebbe negata nel primo caso ed affermata nel secondo [286].
Altra dottrina [287] ha invece ritenuto di potere superare ogni difficoltà
spostando il discorso sul piano delle posizioni dei genitori, tra i quali la
causa liberale non potrebbe mai sussistere. L’opinione testé riferita si
scontra però con l’ostacolo costituito dalla considerazione che destinatario
della prestazione e titolare dei diritti così trasferiti o costituiti è pur
sempre il figlio.
Ad avviso di chi scrive, la
prestazione di cui si discute, proprio in quanto satisfattiva (in tutto o in
parte) dell’obbligo di cui agli artt. 30 Cost., 147 e 148 c.c. nell’ambito di
un negozio tipico della crisi coniugale, dotato, come tale, di una sua propria
e ben precisa causa, sembra esulare dallo schema della donazione [288]. In altri termini, il prius, di fronte alle norme citate, è costituito dall’obbligo dei
genitori – di entrambi i genitori – di fornire direttamente al figlio i mezzi
necessari per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione. Lo ius proprium di un genitore verso
l’altro nasce solo in considerazione del fatto che è il genitore affidatario o
prevalente «collocatario» a provvedere in prima persona all’attuazione degli
obblighi anzidetti. Ove invece, conformemente all’interesse del minore, le
parti reputino di consentire ad una di esse di soddisfare in tutto o in parte
il dovere di contribuire al mantenimento della prole a mezzo del trasferimento
o della costituzione di uno o più diritti in capo al figlio, nessun diritto (o
un diritto dal contenuto più limitato) nascerà in capo ad un genitore
(l’affidatario o il prevalente «collocatario») verso l’altro, non dovendo più
(ovvero dovendo solo in parte) il primo «avanzare» quanto dovuto dall’altro
genitore per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli.
D’altro canto
l’impossibilità per il figlio – che non è «parte» nel processo di separazione –
di comparire (anche a mezzo di un curatore speciale) all’udienza ex art. 711 c.p.c. o 4, sedicesimo
comma, l.div., non consente di perfezionare all’udienza stessa il trasferimento
in capo al medesimo, quando tale translatio
formi oggetto di un obbligo assunto da uno dei coniugi. Quindi, delle due
l’una: o si ritiene il trasferimento già perfezionato per effetto dell’intesa
tra i genitori [289], oppure si attribuisce all’atto il valore di semplice
obbligo a trasferire [290]. In quest’ultima ipotesi si legittima allora il
figlio (minorenne) ad agire, tramite l’altro genitore, ex art. 2932 c.c., nel caso in cui il genitore obbligato si dovesse
rifiutare di porre in essere l’atto traslativo [291].
Proprio sul problema dei
rapporti con la donazione sarà utile richiamare anche una già citata decisione
di merito, che nega valore di promessa, per l’appunto, di «donazione» [292] all’obbligazione assunta da un marito – in seno ad
una «scrittura privata di transazione», redatta con la moglie in fase di
separazione ed allegata al verbale presidenziale – di «donare» un immobile di
sua proprietà ai figli con la concessione dell’usufrutto alla moglie. Come già
ricordato, la corte subalpina [293] è andata contro il tenore letterale delle espressioni
usate dalle parti, rilevando che, nel caso di specie, faceva difetto l’animus donandi, con conseguente validità del predetto impegno ed
accoglimento della domanda diretta, ex
art. 2932 c.c., all’esecuzione coattiva del medesimo [294].
Le considerazioni di cui
sopra sono estensibili al caso della prole maggiorenne ma non autosufficiente,
con la sola precisazione che, nel caso di impegno avente carattere meramente
obbligatorio, il figlio sarebbe legittimato ad agire in proprio (arg. ex art. 155-quinquies c.c.).
Diverso è il discorso per quanto
attiene alla prole maggiorenne autosufficiente. Qui, in effetti, l’assenza di
un obbligo di mantenimento fa sì che a tali figli non possano applicarsi le
disposizioni di cui ai più volte citati artt. 711 c.p.c. e 4, sedicesimo comma,
l.div., con la conseguenza che un atto traslativo in loro favore non potrà
essere considerato se non quale estrinsecazione d’un intento liberale e
pertanto alla stregua di una donazione. Peraltro, proprio le disposizioni da
ultimo citate potrebbero tornare in considerazione, non più come concernenti le
«condizioni inerenti alla prole» (che non può essere, nell’ottica delle norme
citate, se non la prole minorenne o maggiorenne e non autosufficiente), ma
sotto il profilo delle condizioni relative ai rapporti tra i coniugi stessi. In
altre parole, la donazione, pur non avendo causa nella crisi coniugale,
potrebbe trovare in essa un motivo, costituendo la medesima una delle
condizioni in presenza delle quali (e nel contesto di una serie di più ampie
intese sui reciproci rapporti di dare-avere) i coniugi decidono di addivenire
ad una separazione consensuale (o ad un divorzio su domanda congiunta).
Ci si potrebbe così trovare
di fronte ad una vera e propria donazione con motivo postmatrimoniale [295], che in questo caso presenterebbe la particolarità di
non vedere quale beneficiario uno dei coniugi, bensì un terzo (il figlio, per
l’appunto, maggiorenne ed autosufficiente). Quest’ultimo, peraltro, come
soggetto estraneo al processo di separazione o di divorzio, non potrebbe
intervenire nell’atto a manifestare l’accettazione. Né sarebbe comunque
immaginabile qui il ricorso al meccanismo di cui all’art. 1411 c.c., posto che
farebbe difetto in tale ipotesi quell’interesse dello stipulante che, nel caso
di prole minorenne o maggiorenne ma non autosufficiente, è rappresentato dal
contributo che l’attribuzione del promittente porta all’adempimento di
un’obbligazione (quella, appunto, di mantenimento) che grava anche sullo
stipulante medesimo e che lo stipulante sarebbe tenuto ad adempiere per intero,
in caso di mancata (o insufficiente) contribuzione da parte del promittente.
A differenza, dunque, del
caso di donazione con motivo postmatrimoniale inter coniuges, il cancelliere non potrà ricevere questo tipo di
negozio, che andrà necessariamente rogato da notaio, in presenza di testimoni [296].
21. I
trasferimenti in favore della prole naturale nell’ambito della crisi della
famiglia di fatto.
Le considerazioni di cui al paragrafo che precede
introducono alla trattazione del tema dei trasferimenti in favore dei figli naturali nell’ambito della crisi della
famiglia di fatto. Problematica, questa, strettamente legata all’argomento,
piuttosto delicato, dei rapporti con un profilo strettamente personale,
come quello della procreazione, nonché della gestione della potestà. Per quanto
attiene al primo aspetto dovrà senz’altro affermarsi la nullità di ogni impegno
che preveda l’esecuzione di prestazioni di carattere sessuale – in relazione al
quale emergerebbe anche l’aspetto della contrarietà al buon costume [297] – o,
ancora, l’assunzione di un determinato cognome [298], la procreazione (eventualmente mediante il ricorso a
metodi di fecondazione artificiale), o la non procreazione, per mezzo
dell’imposizione dell’obbligo di far uso di sistemi contraccettivi [299].
Nella monografia sui regimi patrimoniali della
famiglia di fatto lo scrivente aveva espresso l’opinione secondo cui sarebbe
stato impossibile regolare sotto qualsiasi forma anche gli aspetti involgenti i
rapporti di filiazione e l’esercizio della potestà dei genitori, che risultano
già disciplinati da norme di carattere imperativo [300]. La conclusione va sicuramente ribadita per tutto
quanto attiene al momento costitutivo del rapporto di filiazione (o comunque di
un rapporto para-familiare). Pertanto, oltre alla già illustrata nullità di
ogni promessa avente a oggetto la procreazione ovvero l’astensione dalla
procreazione, va affermata l’invalidità dell’obbligo che i conviventi
eventualmente assumessero di manifestare la propria disponibilità
all’affidamento familiare, o al compimento di un’eventuale adozione, nei limiti
in cui, ovviamente, essa possa ritenersi consentita ai soggetti non coniugati.
Lo stesso è a dirsi per l’impegno, da parte di uno o di entrambi, a effettuare,
o ad astenersi dall’effettuare, il riconoscimento della prole generata
dall’unione, o, ancora, a far precedere uno dei due riconoscimenti all’altro,
strumento che altrimenti potrebbe servire (con le limitazioni, beninteso,
fissate dall’art. 262 c.c.) a conseguire lo scopo di far assumere ai figli il
cognome di uno piuttosto che dell’altro dei genitori.
Diverse appaiono invece le conclusioni per ciò che
attiene agli aspetti attinenti all’esercizio della potestà sui figli comuni.
Invero, come dimostrato in dottrina [301], dall’art. 317-bis
c.c. sembra potersi ricavare per implicito il riconoscimento da parte del
legislatore della validità di intese dirette a regolare tale aspetto, sia in
relazione alla coppia in situazione «fisiologica» (mercé il rinvio all’art. 316
c.c.), sia a quella in situazione «patologica» (in cui l’intervento del giudice
è previsto in funzione meramente suppletiva). La giurisprudenza sembra del
resto secondare questa interpretazione, ammettendo la validità di accordi
aventi ad oggetto l’affidamento della prole naturale [302]. Nessun
dubbio dovrebbe poi porsi sull’ammissibilità dell’eventuale regolamentazione
pattizia della misura in cui ciascuno dei conviventi contribuirà al
mantenimento dei figli (eventualmente anche non minorenni).
Questi risultati ricevono conferma dalle disposizioni
della normativa in tema di affidamento condiviso, estensibili, come noto, anche
alla famiglia di fatto, per effetto dell’art. 4, cpv., l. 8 febbraio 2006, n.
Il vero problema è, semmai, quello di trovare un
sistema che possa «inchiodare» le parti alle loro responsabilità, ed ottenere
uno strumento che garantisca contro il rischio che una di esse cambi
successivamente idea.
La mancanza di un siffatto meccanismo rende evidente
la disparità di trattamento rispetto alla situazione della rottura della coppia
coniugata: in quest’ultimo caso, infatti, si arriva a un atto (il verbale di
separazione consensuale) munito di forza esecutiva; nel caso invece della
famiglia di fatto l’intesa, sottoscritta dalle parti, è racchiusa in un
documento che – ancorché vincolante per le parti – non può essere posto alla
base di un’azione esecutiva. Ciò, ovviamente, a meno che il tribunale non
intenda in qualche modo recepire l’accordo in un suo provvedimento o emanare
una decisione che assuma i caratteri di una sorta di decreto di omologa analogo
a quelli che il tribunale ordinario emana ai sensi dell’art. 158 c.c.
La questione pone un problema di legittimità
costituzionale.
A ben vedere, la questione potrebbe invece essere
(ri)proposta sotto questo altro angolo visuale: un medesimo tipo di accordo,
caratterizzato dalla vincolatività scaturente dall’art. 1372 c.c. (e poco importa
se la norma sia espressamente dettata solo per i rapporti patrimoniali, atteso
che, come si è visto, il principio è sicuramente estensibile anche ai negozi
familiari non patrimoniali), può essere garantito dalla presenza di un titolo
esecutivo (il verbale ex art. 158
c.c.), se concerne la prole legittima, laddove ciò non accade se quello stesso
tipo d’intesa riguarda invece la prole naturale. Naturalmente si potrà
obiettare che esistono dei rimedi, miranti a determinare la creazione di un
titolo esecutivo: l’accordo sulla prole naturale può (almeno per ciò che
concerne i profili patrimoniali) essere fatto valere in sede di procedimento
contenzioso ordinario, ovvero essere posto alla base di una richiesta per
decreto ingiuntivo. L’intesa potrebbe poi anche essere recepita da un atto
notarile (o, secondo quanto disposto dalla l. 80/2005, essere racchiusa in una
scrittura privata autenticata), così acquistando efficacia di titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., per le obbligazioni
aventi ad oggetto pagamento di somme di denaro. Peraltro, tutti quelli appena
indicati sono strumenti costosi, che presuppongono una parte ben assistita ed
avvisata, e che comunque marcano una ingiustificata disparità di trattamento,
fondata sul solo fatto di appartenere alla categoria dei figli legittimi,
piuttosto che a quella dei figli naturali.
La soluzione pratica potrebbe essere reperita
sfruttando addirittura alcune indicazioni date dalla stessa Corte
costituzionale che, per almeno due volte, ha respinto domande dirette ad ottenere
l’estensione – per via di pronunzie di accoglimento – ai figli naturali di
rimedi concessi a tutela di quelli legittimi, affermando poi, in buona sostanza
(cioè per via di decisioni interpretative di rigetto), l’applicabilità ai primi
di norme dettate per i secondi [304]. Una volta tracciata la via dell’«interpretazione
adeguatrice» degli artt. 155 c.c. (ora art. 155-quater, direttamente applicabile, tra l’altro, alla famiglia di
fatto ex art. 4, cpv., l. 8 febbraio
2006, n. 54, cit.), relativamente al diritto di abitazione nella casa
familiare, e 156 c.c., sullo strumento del sequestro, non si vede perché non si
potrebbe ipotizzare una ripetizione del medesimo ragionamento anche per la
procedura di cui all’art. 158 c.c., riconoscendone la riferibilità anche alla
«separazione» della famiglia di fatto ed in tal modo avallando una prassi che
nei tribunali ha già preso piede.
A tutto ciò s’aggiunga, infine, che il già mentovato
dovere del giudice (anche nel caso di procedure relative alla famiglia di
fatto) di «prendere(re) atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli
accordi intervenuti tra i genitori» (cfr. art. 155, secondo comma, c.c.) viene
a munire di ulteriore, difficilmente discutibile, fondamento una siffatta
operazione ermeneutica.
Ora, il problema sin qui esaminato attiene più che
altro al profilo della pattuizione di
obbligazioni aventi ad oggetto la corresponsione di somme di denaro a
titolo di mantenimento. Nessun dubbio sembra peraltro potersi porre sulla
possibilità di inserire, nell’ambito di questo tipo di negozi della crisi
para-coniugale, anche trasferimenti immobiliari, ad instar di ciò che avviene, come si è visto, in seno alla crisi
della famiglia fondata sul matrimonio. In proposito, poi, l’operatività
immediata della translatio dominii,
nel caso di accordi ad efficacia reale, dovrebbe addirittura consentire di
superare le difficoltà sopra esaminate concernenti il difetto di un titolo
esecutivo. Gli ostacoli sorgono invece con riguardo al profilo formale, posto
che l’accordo in esame appare difficilmente inseribile in un verbale che, come
tale, costituisca titolo idoneo per la pubblicità immobiliare, come invece
avviene nella procedura ex art. 158
c.c.
Il richiamo ai principi generali sul verbale di
conciliazione giudiziale potrebbe però forse presentare una via d’uscita.
Come dimostrato in altra sede [305], in un procedimento contenzioso ordinario questo
verbale (artt. 185 c.p.c., 88 disp. att. c.p.c.) ben può contenere, per
esempio, una transazione con cui si disponga l’immediato trasferimento di
diritti su di uno o più beni: esso, come atto (pubblico) immediatamente
traslativo, ben può costituire titolo per la trascrizione [306]. Né in
proposito si potrebbe obiettare che l’art. 185 c.p.c. sarebbe una norma
concernente il solo procedimento contenzioso ordinario. La norma predetta,
invero, trova collocazione nell’àmbito delle disposizioni del libro secondo del
codice di rito, di quelle norme, cioè, che, in quanto dettate per il processo
di cognizione, devono ritenersi costituire, proprio per il loro carattere
generale, il necessario punto di riferimento per porre rimedio alle smagliature
e alle lacune del tessuto normativo – spesso troppo fragile – dei singoli
procedimenti speciali. Le considerazioni di cui sopra dovrebbero valere a
prescindere dal «contesto processuale» nel quale i trasferimenti si vengono ad
attuare e, in particolare, dal fatto che il rito si svolga di fronte al
tribunale ordinario, ovvero di fronte a quello per i minorenni [307].
Nulla esclude, poi, dal punto di vista pratico, che,
per evitare ogni problema, le parti trasfondano il trasferimento verso la prole
in un atto per scrittura privata autenticata, o in un atto pubblico notarile,
Per quanto attiene poi al caso del trasferimento
meramente promesso in sede giudiziale (o, se si preferisce, in sede di accordo
para-giudiziale e a latere), non
sembra potersi dubitare della possibilità di ricorrere anche in questo caso al
rimedio ex art. 2932 c.c., in caso di
inadempimento del promittente.
22. Profili fiscali dei trasferimenti in
favore della prole (legittima e naturale).
Secondo la giurisprudenza di legittimità [308], nell’ipotesi di trasferimento di immobili in
adempimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale dei
coniugi, l’art.
Di diverso avviso risulta invece una risoluzione
dell’Agenzia delle Entrate [311], che ha escluso dal beneficio di cui all’art. 19 cit.
la cessione di una quota di un immobile al figlio della coppia all’interno di
un procedimento di divorzio, perché tale cessione «non sembra trovare causa
giuridica nella sistemazione dei rapporti patrimoniali fra i coniugi al momento
dello scioglimento del matrimonio, bensì in un intento di liberalità nei
confronti di un soggetto terzo (nella fattispecie uno dei figli), circostanza
che non appare strettamente e funzionalmente collegata con lo scioglimento del
matrimonio e che, peraltro, avrebbe potuto essere realizzata in qualunque
momento».
Ad avviso dello scrivente, alla conclusione
diametralmente opposta deve invece condurre il rilievo per cui il contenuto
eventuale degli accordi di separazione e divorzio può essere costituito non
solo da contratti caratterizzati dalla causa postmatrimoniale tipica, ma anche
da un semplice «motivo postmatrimoniale» [312]. E’ pertanto incontestabile che pure siffatti tipi di
negozi – anche se effettuati nei confronti di prole maggiorenne e
autosufficiente, ma, ovviamente, a
fortiori se compiuti nei riguardi di prole minorenne o maggiorenne non
autosufficiente e pertanto caratterizzati, in quest’ultima ipotesi, da causa
non liberale, bensì postmatrimoniale tipica – vadano qualificati alla stregua
di «atti relativi ai procedimenti» di separazione o di divorzio e che pertanto
debbano beneficiare dell’esenzione fiscale in discorso [313].
Per quanto attiene poi ai trasferimenti relativi ai
figli naturali, andrà tenuto conto del fatto che
Appare dunque evidente che siffatta ratio decidendi sia estensibile anche ai
trasferimenti operati da un genitore naturale in favore del proprio figlio, a
titolo di contributo al mantenimento di quest’ultimo. Altrimenti opinando,
invero, si verrebbe a ricreare (per quel particolare aspetto) una del tutto
ingiustificata disparità di trattamento, in contrasto con i cennati parametri
costituzionali.
[1] Per i richiami e le relative critiche si rinvia ad Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, Milano, 1999, p. 129 ss. Per successive prese di posizione in
senso contrario (o comunque cariche di perplessità) rispetto alla piena
esplicazione dell’autonomia contrattuale dei coniugi cfr. ad es. Bargelli, L’autonomia privata nella
famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio,
in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 303 ss.;
Auletta, Gli accordi sulla crisi coniugale, in Familia,
2003, p. 43 ss.; E. Russo, Le convenzioni matrimoniali, Artt. 159-166-bis, in Il codice civile, commentario diretto da
Schlesinger, Milano, 2004, p. 31 s., 95 ss., 288 ss., 324 ss.; Id., Gli
«effetti inderogabili del matrimonio» (contributo allo studio dell’art. 160
c.c.), in Riv. dir. civ., 2004,
I, p. 569 ss.; Quadri, Autonomia dei coniugi e intervento
giudiziale nella disciplina della crisi familiare, in Familia, 2005, p. 1 ss., 14 ss. (per ragguagli sulle posizioni di
tali Autori e per le relative, ulteriori, critiche cfr. Oberto, Contratto e
famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Roppo,
VI, Interferenze, a cura di Roppo, Milano,
2006, p. 127 ss., 147 ss., 242 ss.).
[2] Cfr. Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 242
ss.
[3] Per una disamina dell’argomento della disponibilità
del diritto al contributo per il mantenimento del coniuge separato e
all’assegno di divorzio cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 388 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano,
2000, p. 3 ss.
[4] Sul punto cfr. per tutti
H., L. e J. Mazeaud, Leçons de
droit civil, I, 2, Paris, 1967, p. 49 s.; Hauser
e Huet-Weiller, Traité de droit civil, La famille, Fondation
et vie de la famille, Paris, 1993, p. 13 s.; Benabent, Droit civil, La famille, Paris,
1994, p. 53; Gaudemet, Le
mariage, un contrat ?, in Rev. sc. mor. et pol., 1995, p. 161 ss.
[5] Rilevava già il Venzi,
Manuale di diritto civile italiano, Torino, 1933, p. 557: «Si discute
tra gli scrittori se il matrimonio sia un contratto. Non pare che la questione
sia seria: se si ha riguardo al concetto del contratto qual è presupposto e
disciplinato nel codice, solo la concezione più materialista del matrimonio può
indurre a considerarlo alla stessa stregua di una compra‑vendita o di una
locazione; se invece si ha riguardo a un concetto più vasto del contratto,
comprendente qualsiasi atto formato col consenso di due persone, allora può
anche dirsi che il matrimonio sia un contratto. Ma, intesa in tal senso,
l’affermazione che il matrimonio è un contratto ha scarsa, se non nulla,
importanza giuridica». Cfr. anche Benabent, Droit
civil, La famille, cit., p. 53, secondo cui «Le mariage apparaît
ainsi comme un accord de volontés en vue d’adhérer à un modèle légal. Un débat
s’est alors instauré sur sa nature juridique, contrat ou institution : un peu
vain, ce débat est resté en suspens, bien que la récente admission du divorce
par consentement mutuel ait rapproché le mariage du contrat. En réalité, tout
comme le mariage catholique est indivisiblement contrat et sacrement, le
mariage civil participe à la fois du contrat et de l’institution».
[6] Sul punto cfr. per tutti Jemolo, Il matrimonio, in Trattato di diritto
civile, diretto da Vassalli,
Torino, 1950, p. 35 ss.; Gangi, Il
matrimonio, Torino, 1969, p. 27 ss. Per un richiamo ai precedenti storici del
dibattito in Francia e in Germania cfr. Oberto,
La promessa di matrimonio tra passato e presente, Padova, 1996, p. 185
ss.
[7] Per tutti si veda Ferrando,
Il matrimonio, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da
Schlesinger, Milano, 2002, p. 175 ss.; Ead.,
Matrimonio e famiglia, in Trattato di diritto di famiglia,
diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, 1, Milano, 2002, p. 161 ss.
[8] V. sul punto Rescigno,
Consenso, accordo, convenzione, patto (la terminologia legislativa nella
materia dei contratti), in Riv. dir. comm., 1988, I, p. 7.
[9] Cfr. Messineo,
Dottrina generale del contratto, Milano, 1952, p. 30; Id., Convenzione (dir. priv.), in
Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 510 ss.; v. inoltre Carresi, Gli effetti del contratto,
in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 490; Pugliatti, I fatti giuridici, Revisione e
aggiornamento di Falzea, Milano, 1996, p. 138 s.; tutti questi Autori avvertono
peraltro che l’impiego del termine «convenzione» in relazione alle convenzioni
matrimoniali andrebbe inteso in senso «improprio» o «non tecnico». Nel senso
che il termine «convenzione» acquista all’interno della materia del diritto di
famiglia una precisa accentuazione di ordine patrimoniale e si contrappone a quello
di «accordo», privilegiato dalla legge in tutti i casi in cui i riflessi
d’indole patrimoniale (ad es. a seguito della fissazione dell’indirizzo della
vita familiare) non sono apparsi al Legislatore suscettibili di tradursi in
essenziale connotazione dell’accordo cfr. Rescigno,
Consenso, accordo, convenzione, patto (la terminologia legislativa nella
materia dei contratti), cit., p. 7; S. Patti,
Regime patrimoniale della famiglia e autonomia privata, in Familia,
2002, p. 285 ss.
[10] Cfr. per esempio il sito web seguente:
http://www.infoleges.it/service1/scheda.aspx?id=32807&service=1&ordinal=&fulltext=&sommario=true
[11] Più esattamente si tratta degli artt. 90, 159, 162, 163, 164,
165, 166-bis, 193, 210, 211, 388, 458, 534, 792, 886, 1049, 1123, 1138,
1182, 1273, 1283, 1469-ter, 1522, 1658, 1740, 1774, 1826, 1838, 1865,
2102, 2143, 2146, 2147, 2151, 2152, 2153, 2163, 2164, 2172, 2178, 2184, 2187, 2240,
2352, 2647, 2655, 2745, 2820, 2873 c.c.
[12] Cfr. per tutti Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 147 ss.
[13] Cfr. D., 2. 14. 1. Secondo Bartolo da Sassoferrato, In primam ff. Veteris partem,
Venetiis,
[14] Cfr. Oberto,
I precedenti storici del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni
matrimoniali, in Dir. fam. pers., 2003, p. 535 ss.
[15] Il richiamo legislativo, ad avviso dello scrivente,
deve intendersi effettuato tanto alle convenzioni matrimoniali, quanto ai
contratti della crisi coniugale che, come si vedrà anche oltre (cfr. infra,
§ 7), rinvengono il loro fondamento causale in specifiche disposizioni giusfamiliari.
[16] Su cui cfr. Roppo,
Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano,
2001, p. 60 s.
[17] Nel senso che, a fronte di accordi stipulati in
occasione della crisi familiare, della separazione, del divorzio, il termine
contratto possa ritenersi «congruo e conveniente, per situazioni in cui si
regolano rapporti di carattere patrimoniale, per modificarli o estinguerli o
costituirli» cfr. Rescigno, Il
diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, in Riv. dir. civ.,
1998, I, p. 112.
[18] Oberto, I
contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 38 s.
[19] Cfr. per es. Devoto
e Oli, Il dizionario
della lingua italiana, Edizione per CD-ROM, Firenze, 1992.
[20] Cass., 4 febbraio 1993, n. 2270; Cass., 22 gennaio
1994, n. 657. Successivamente v. anche Cass. 20 novembre 2003, n. 7607, che
espressamente richiama i due precedenti; Cass., 20 ottobre 2005, n.
[21] Il riferimento è a Zatti,
I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei
coniugi, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 3, Torino, 1982, p. 125 s., da cui
l’estensore della motivazione delle due sentenze citate ha tratto la frase
testé riportata; v. inoltre, per un impiego del termine «negozialità» nel senso
qui indicato, Zatti e Mantovani, La separazione personale
dei coniugi (artt. 150-158), Padova, 1983, p. 382; Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p. 491; Mantovani, Separazione personale dei
coniugi. I) Disciplina sostanziale, in Enc. Giur. Treccani,
XXVIII, Roma, 1992, ad vocem, p. 28; Zatti,
I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei
coniugi, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 3, Torino, 1996,
p. 135, 137, 138, nota 12; Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 38 s.; Bocchini, Autonomia negoziale e
regimi patrimoniali familiari, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 434.
[22] Betti, Teoria
generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile diretto da
Vassalli, Torino, 1950, p. 38 ss., 41; sull’autonomia privata v.
inoltre, tra i tanti, Santi Romano, Frammenti
di un dizionario giuridico, Milano, 1947, p. 14 ss.; Pugliatti, Autonomia privata, in Enc.
dir., IV, Milano, 1959, p. 366 ss.; Rescigno,
Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1975, p. 267 ss.; Mirabelli, Dei contratti in generale
(Artt. 1321-1469), in Commentario del codice civile a cura di magistrati e docenti,
Torino, 1980, p. 27 ss.; Carresi, Il
contratto, I, 1987, p. 97 ss., 321 ss.; Sacco,
Autonomia nel diritto privato, in Dig. disc. priv., sez. civ.,
II, Torino, 1987, p. 517 ss.; Galgano, Il
negozio giuridico, cit., p. 43 ss.; Barcellona,
Libertà contrattuale, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p.
487 ss.; sul carattere non «proprio» degli interessi qui in gioco cfr. Donisi, Limiti
all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, in Famiglia
e circolazione giuridica, a cura di Fuccillo, Milano, 1997, p. 7 e la
relativa critica in Oberto, I
contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 129 ss.
[23] Per l’equivalenza tra le espressioni «autonomia
privata» e «autonomia contrattuale» v. già
[24] Per una esposizione dei dati di tipo sociologico
sulla negozialità relativa al fenomeno della crisi coniugale cfr. Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, cit., p. 38 ss.
[25] Per riferimenti storici alla negozialità tra coniugi
in crisi nel diritto romano e intermedio cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 66 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze
patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella
prospettiva storica, Nota a Cass., 20 marzo 1998, n.
[26] Su tale concezione v., anche per gli ulteriori rinvii, Sesta, Il diritto di famiglia tra le due guerre e la dottrina di Antonio Cicu, in Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Lettura di Michele Sesta, Momenti del pensiero giuridico moderno. Testi scelti a cura di Pietro Rescigno. Redattore Enrico Marmocchi, Sala Bolognese, 1978, p. 1 ss., 47 ss.; cfr. inoltre, per ulteriori richiami alle opere del Cicu e agli Autori intervenuti nel dibattito sulla «concezione istituzionale» della famiglia, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 103 ss.
[27] Sul tema cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 116 ss. Ora v. anche Bocchini, Autonomia negoziale e
regimi patrimoniali familiari, cit., p. 437 ss.
[28] Santoro-Passarelli,
L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Saggi di
diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 381 ss. (già in Dir. giur.,
1945, p. 3 ss.). Per un’illustrazione del pensiero di tale Autore cfr. Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, cit., p. 113 ss.; per una successiva riscoperta dello scritto
di Santoro-Passarelli cfr. anche Zoppini,
L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv.
dir. civ., 2001, I, p. 213 ss.
[29] Cfr. Santoro-Passarelli,
L’autonomia privata nel diritto di famiglia, cit., p. 381 ss.
Tenta invece di sminuire l’importanza e l’innovatività del contributo di
Santoro-Passarelli E. Russo, Le convenzioni matrimoniali, cit., p. 31
s., il quale asserisce che la proposta applicazione ai negozi giuridici
familiari delle disposizioni codicistiche di cui alla parte generale del
contratto non implicherebbe un superamento delle posizioni di Cicu, ma si
limiterebbe ad indicare l’ «adozione di una nozione più ampia di negozio
giuridico». Peraltro, per confutare tali osservazioni, sarà sufficiente pensare
al carattere sicuramente rivoluzionario della (da Santoro-Passarelli) proposta
tendenziale applicazione al negozio giuridico familiare della disciplina
generale del contratto. E tanto basta per segnare un decisivo «salto di
qualità», una netta rottura rispetto al passato, che avrebbe generato negli
anni a seguire una sterminata messe di frutti nel campo della negozialità tra
coniugi, come dimostrato nel testo.
[30] Cfr. Santoro-Passarelli,
Il governo della famiglia, in Saggi di diritto civile, I, cit., p.
400 (lo scritto in questione venne per la prima volta pubblicato in Iustitia,
1953, p. 377 ss.).
[31] Kelsen, La dottrina pura del diritto, Traduzione di Treves, s.l., 1956, p. 57. Si deve però registrare al riguardo la persistenza di una larga convergenza dottrinale e giurisprudenziale sull’ammissibilità di tale figura: cfr. – tra i contributi comparsi, o ricomparsi, più di recente – oltre agli Autori che verranno citati in questo §, G.B. Ferri, Negozio giuridico, in Dig. disc. priv., sez. civ., XII, Torino, 1995, p. 74 ss., duramente critico nei confronti della «moda» che «alla fine degli anni ‘70» negava con «spensierata sicurezza» la valenza ricostruttiva della categoria concettuale del negozio giuridico; Pugliatti, I fatti giuridici, cit., p. 55 ss. Per una sintesi in chiave critica delle varie posizioni cfr. Galgano, Negozio giuridico (dottrine generali), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 932 ss.; Mirabelli, Negozio giuridico (teoria), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 1 ss.; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1987, p. 8 ss.; Galgano, Il negozio giuridico, cit., p. 27 ss.; per un’eco della disputa tra le varie concezioni in materia, con i suoi risvolti sulle voci in tema di negozio giuridico dell’Enciclopedia del diritto, v. anche Lipari, Presentazione del volume di Giuseppe Mirabelli «L’atto non negoziale nel diritto privato italiano», in Corr. giur., 1998, p. 595 s.; per ulteriori richiami v. Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, cit., p. 23 s.; G.B. Ferri, Il negozio giuridico tra ordinamento e autonomia, in Aa. Vv., Autonomia negoziale tra libertà e controlli, Bari, 2001, p. 25 ss.
[32] E. Russo,
Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti
«matrimoniali» di separazione, di divorzio, di nullità (a proposito del disegno
di legge n. 1831/1987 per l’applicazione dell’Accordo 18.2.1984 tra l’Italia e
[33]
Si noti poi ancora che la figura in esame – e sia consentito qui ribadirlo
(cfr. Oberto, Le cause in
materia di obbligazioni, Milano, 1994, p. 215) – è stata presa
espressamente in considerazione anche dal nostro Legislatore. Non ci si intende
qui riferire, ovviamente, al richiamo di cui all’art. 1324 c.c., richiamo
implicito, e per questo contestato, sebbene inequivocabile (cfr. per esempio
[34] Cfr. per es. Pacchioni,
Delle leggi in generale e della loro retroattività e teoria generale
delle persone, cose e atti giuridici, Padova, 1937, p. 403; Messineo, Manuale di diritto civile e
commerciale, I, Milano, 1946, p. 270; De
Ruggiero e Maroi, Istituzioni
di diritto civile, I, Messina, 1965, p. 100; Cariota Ferrara, Il
negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d., p. 181 s.
[35] Così Scognamiglio,
Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile a cura di
Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 16 s.; contra Gangi, Il matrimonio, cit., p. 29
ss., che riconduce i negozi giuridici familiari ad «un concetto più ampio e
generale di contratto, conforme al concetto tradizionale», da cui sarebbe
assente il requisito della patrimonialità.
[36] Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 496.
[37] Cfr. Santoro-Passarelli,
L’autonomia privata nel diritto di famiglia, cit., p. 382 s.; v.
inoltre Gangi, Il matrimonio,
cit., p. 28 s.; contra Scognamiglio,
Dei contratti in generale, cit., p. 16 s.; Cariota Ferrara, Il
negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 182; per
l’applicabilità, di volta in volta, ai negozi giuridici familiari dei principi
contrattuali «congrui con l’atto di autonomia familiare posto in essere» v. Bianca, Diritto civile, II, Famiglia
e successioni, Milano, 1981, p. 18.
[38] Fondamentale al riguardo per i particolari profili
dei rapporti patrimoniali tra coniugi lo studio di Bin, Rapporti patrimoniali tra coniugi e principio di uguaglianza,
Torino, 1971. L’argomento è stato sviluppato in Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 121 ss. ed è ripreso
anche da Bocchini, Autonomia
negoziale e regimi patrimoniali familiari, cit., p. 432 ss.
[39] Sulla funzione della famiglia nel quadro
istituzionale v. per tutti Rescigno, Persona
e comunità, Il Mulino, 1966, p. 3 ss.; Bessone,
Rapporti etico-sociali (artt. 29-31), in Commentario della
Costituzione, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1976, p. 1 ss.; con specifico
riguardo ai rapporti patrimoniali tra coniugi cfr. Bin, Rapporti patrimoniali tra coniugi e principio di
uguaglianza, cit., p. 318 ss.; Furgiuele,
Libertà e famiglia, Milano, 1979, p. 140 ss.; Alagna, Famiglia e rapporti tra
coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, p. 150 ss.; Paradiso, La comunità familiare,
Milano, 1984, p. 168 ss.; Quadri, Famiglia
e ordinamento civile, Torino, 1997, p. 153 ss.; per i riflessi in tema di
rapporti patrimoniali nella famiglia di fatto e per ulteriori richiami cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della
famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 53 ss.; per una panoramica più recente
circa l’evoluzione dei principi fondamentali del diritto di famiglia cfr. Bonilini, Il matrimonio - La nozione,
in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, I, Famiglia e
matrimonio, Torino, 1997, p. 63 ss.; Cattaneo,
Introduzione, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto
da Bonilini e Cattaneo, I, cit.,
p. 8 ss., 16 ss.; Bonilini, Manuale
di diritto di famiglia, Torino, 1998, p. 28 s.
[40] Sottolinea il rilievo che la l.div. ha avuto in
relazione al tramonto della concezione istituzionale del matrimonio anche Lipari, Il matrimonio, in Famiglia
e diritto a vent’anni dalla riforma, a cura di Belvedere e Granelli,
Padova, 1996, p. 8; per un’illustrazione dell’evoluzione che ha portato
l’autonomia negoziale a divenire un «criterio determinante nell’àmbito della
famiglia» cfr. Rescigno, I
rapporti personali fra coniugi, in Famiglia e diritto a vent’anni dalla
riforma, a cura di Belvedere e Granelli, Padova, 1996, p. 25 ss., 34 ss.;
sul tema cfr. anche Quadri, Autonomia
negoziale e regolamento tipico nei rapporti patrimoniali tra coniugi, in Giur.
it., 1997, IV, c. 229 ss.; per i richiami alla dottrina che, sia prima che
dopo la riforma ha espressamente aderito all’orientamento che nega l’esistenza
di un interesse superiore della famiglia, esaltando il ruolo dell’autonomia dei
coniugi v. per tutti Sala, La
rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella
separazione di fatto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, p. 1037,
nota 18; per una persuasiva confutazione della tesi della soggettività
giuridica della famiglia e dell’esistenza in questa di interessi
«superindividuali» cfr. Barcellona, Famiglia
(dir. civ.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 782 ss.; contra,
per una riaffermazione dell’esistenza di un interesse, nella famiglia,
trascendente quello dei singoli componenti e dunque – in buona sostanza –
«superiore», Donisi, Limiti all’autoregolamentazione
degli interessi nel diritto di famiglia, cit., p. 7 ss., secondo cui
persino l’uso dell’espressione «autonomia privata» sarebbe inaccettabile nel
campo familiare.
[41] Corte cost., 27 giugno 1973, n. 91. L’argomento è
giustamente enfatizzato anche da Doria, Autonomia
privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione
della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 12, 182 s.,
nonché da Angeloni, Autonomia
privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, p.
215.
[42] Doria, Autonomia
privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione
della separazione personale e del divorzio, cit., p. 182 s. Prima ancora v.
Sacco, Regime patrimoniale e
convenzioni, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia a
cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 334.
[43] Cfr. Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 147
ss.
[44] Cfr. in particolare Corte cost., 31 maggio 1983, n.
144; Corte cost., 19 gennaio 1987, n. 5; Corte cost., 18 febbraio 1988, n. 186;
Corte cost., 6 luglio 1994, n. 278.
[45]
«Io non vedo come possa parlarsi di un’autonomia della volontà riconosciuta
dalla legge nel matrimonio, di fronte al principio dell’indissolubilità che con
quell’autonomia e con l’interesse individuale degli sposi è assolutamente
inconciliabile» (Cicu, Il
diritto di famiglia nello stato fascista, in Scritti minori di Antonio
Cicu, I, 1, Milano, 1965, p. 165; Id.,
Matrimonium seminarium rei publicae, Prolusione al corso di diritto civile
nella R. Università di Bologna, tenutavi il giorno 6 dicembre
[46] Così Doria, Autonomia
privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione
della separazione personale e del divorzio, cit., p. 70.
[47] Sul tema v. per tutti Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 233
ss.
[48] Oberto, I
contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in
contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti
connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 171
ss. Id., Contratto e famiglia, cit., p. 251 ss.
[49] Oberto, Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., c. 1306 ss.; Id., I precedenti storici del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni matrimoniali, cit., p. 535 ss.
[50] «Die Ehegatten können ihre
güterrechtlichen Verhältnisse durch Vertrag (Ehevertrag) regeln, insbesondere
auch nach der Eingehung der Ehe den Güterstand aufheben oder ändern».
[51] Cfr. Planck, Entwurf eines Familienrechts für das deutsche Reich, Berlin,
[52] Cfr. Mugdan, Die gesammten Materialien zum Bürgerlichen Gesetzbuch für das Deutsche
Reich, IV, Goldbach (rist. dell’ediz. di Berlino, 1899), 2004, p. 796.
[53] Théry, Le
démariage. Justice et vie privée, Paris, 1993, p. 69, che riprende sul
punto una definizione di Gérard Cornu.
[54]
La legge n° 2004-439 del 26 maggio
[55] Hauser e Huet-Weiller,
Traité de droit civil, La famille. Fondation et vie de la famille,
cit., p. 30.
[56] Cfr. la riforma di cui
alla Ley 15/2005, de 8 de julio, por la
que se modifican el Código Civil y
[57] «Esta ley persigue
ampliar el ámbito de libertad de los cónyuges en lo relativo al ejercicio de la
facultad de solicitar la disolución de la relación matrimonial. (…) No
obstante, y de conformidad con el artículo 32 de
[58] Così, tra i tanti, Cian,
Sui presupposti storici e sui caratteri generali del diritto di
famiglia riformato, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia,
a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 47 ss.; Santoro-Passarelli, Libertà e
autorità nel diritto civile, Padova, 1977, p. 221 ss.; Zatti e Mantovani,
La separazione personale dei coniugi (artt. 150-158), cit., p.
382; E. Russo, Gli atti
determinativi di obblighi legali nel diritto di famiglia, in Le
convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia,
Milano, 1983, p. 221 ss.; D’Anna, Note
in tema di autonomia negoziale e poteri del giudice in materia di separazione
dei coniugi, Nota a Cass., 5 gennaio 1984, n.
[59] Così E. Russo, Le
idee della riforma del diritto di famiglia, in Le convenzioni
matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, p.
45 ss.; Id., Negozio giuridico
e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di
separazione, di divorzio, di nullità (a proposito del disegno di legge n.
1831/1987 per l’applicazione dell’Accordo 18.2.1984 tra l’Italia e
[60] Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in
assenza di omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali
vengono modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione
relative al mantenimento dei figli, in Questioni di diritto patrimoniale
della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi,
Padova, 1989, p. 505 s.
[61] Trabucchi,
Matrimonio (diritto civile), in Noviss. dig. it., App.,
IV, Torino, 1983, p. 1189.
[62] Cfr. Bianca,
Commento all’art.
[63]
Sul carattere negoziale di tale intesa cfr. per tutti Santoro-Passarelli, Note introduttive agli articoli 24-28
Nov., in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di
Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 241; Zatti e Mantovani, La
separazione personale dei coniugi (artt. 150-158), cit., p. 380; Paradiso, La comunità familiare,
cit., p. 177 ss.; Galgano, Il
negozio giuridico, cit., p. 491; Mantovani,
Separazione personale dei coniugi. I) Disciplina sostanziale,
cit., p. 28; Doria, Autonomia
dei coniugi in occasione della separazione consensuale ed efficacia degli
accordi non omologati, Nota a Cass., 24 febbraio 1993, n.
[64] Così Rescigno, Appunti
sull’autonomia negoziale, in Giur. it., 1978, IV, c. 117.
[65] Così Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, p. 614.
[66] Doria, Autonomia
privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione
della separazione personale e del divorzio, cit., p. 76 ss.; cfr. anche F. Finocchiaro, Del matrimonio, II,
in Commentario del codice civile,
a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1993, p. 464; Sala, La rilevanza del consenso dei
coniugi nella separazione consensuale e nella separazione di fatto, cit.,
p. 1105.
[67] Cfr. l’articolo dal titolo Grandi spese? La scelta
si fa in coppia, in
[68] Cfr. per tutti Moscarini,
Convenzioni matrimoniali in generale, in Aa. Vv., La
comunione legale, a cura di Bianca, II, Padova, 1989, p. 1012 s.; sul tema
v. anche Falzea, Il dovere di
contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, cit., 609 ss., p. 614
ss.
[69] Cfr. Oberto, Contratto e
famiglia, cit., p. 187 ss.
[70] Cfr. per esempio Bianca,
Diritto civile, II, Famiglia e successioni, cit., p. 18.
[71] A titolo d’esempio potranno qui ricordarsi un paio di
decisioni (Cass.. 24 febbraio 1993, n. 2270; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, su
cui cfr. Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 236 ss.),
nelle quali
[72] Jemolo, La
famiglia e il diritto, 1957, riportato in Aa.
Vv., «Verso la terra dei figli»,
Milano, 1994, p. 69.
[73] Jemolo, Convenzioni in vista di annullamento di matrimonio, in Riv. dir. civ., 1967, II, p. 530.
[74] Sacco, Il
contratto, Torino, 1975, p. 493 s.
[75] Rescigno, Manuale
del diritto privato italiano, cit., p. 274: «Ma negozi atipici sembrano
ammissibili anche nell’area degli interessi non patrimoniali, se pensiamo ai
patti che possono accompagnare il divorzio o la separazione (per quest’ultima
come negozi autonomi, o incorporati nell’accordo che viene omologato dal
tribunale in sede di separazione consensuale): ad esempio, patti relativi
all’educazione dei figli, o alle modalità di visita o di soggiorno col genitore
che non li ha in affidamento, o all’uso del nome maritale (v. gli artt. 155, c.
7, per la separazione giudiziale, e 158, secondo comma per la separazione
consensuale, e quanto al nome, arg. dall’art. 156 bis). Patti del genere
sono possibili anche all’inizio del matrimonio e durante la piena persistenza
del vincolo. Nel nostro ambiente sociale sono un fenomeno raro, mentre sono
noti ed usati con risultati positivi in paesi dove le differenze di religione o
di costume consigliano agli sposi di affidare allo strumento contrattuale la
definizione di futuri problemi o di conflitti già insorti circa l’educazione
dei figli o su altre materie di comune interesse».
[76] Roppo, Il
giudice nel conflitto coniugale, Bologna, 1981.
[77] Rescigno, Contratto
in generale, in Enc. Giur. Treccani, IX, Roma, 1988, ad vocem, 10; per analoghe considerazioni cfr. E. Russo, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà
relative ai procedimenti «matrimoniali» di separazione, di divorzio, di nullità
(a proposito del disegno di legge n. 1831/1987 per l’applicazione dell’Accordo
18.2.1984 tra l’Italia e
[78] Cass., 13 gennaio 1993, n.
[79] Sul punto v. infra, §§ 6 ss.; per
constatazioni analoghe a quelle di cui al testo v. anche G. Ceccherini, Separazione
consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 378 s.; Longo, Trasferimenti immobiliari a
scopo di mantenimento del figlio nel verbale di separazione: causa,
qualificazione, problematiche, Nota a App. Genova, 27 maggio
[80] Cass., 25 ottobre 1972, n.
[81] Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione
di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1975, p. 475 ss.
[82] Cfr. Cass., 5 luglio
1984, n.
[83] Cfr. Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e
divorzio, in Fam. dir., 1995, p. 155 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi
in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 85 ss.
[84] Cfr. Oberto, Contratto e famiglia, p.
236 ss.
[85] Su questo concetto cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, cit., p. 215 ss.
[86] Nello stesso senso cfr. anche Barbiera, Disciplina dei casi di scioglimento del
matrimonio, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1971, p. 147 s.; A.
Finocchiaro, Sulla pretesa
inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime della
separazione consensuale, in Giust. civ., 1985, I, p. 1659 s.;
Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in assenza di omologazione
– gli accordi tra i coniugi separati con i quali vengono modificate le
condizioni stabilite nella sentenza di separazione relative al mantenimento dei
figli, cit., p. 505 s.; Metitieri,
La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, in Riv. notar., 1995, I, p. 1177; G. Ceccherini, Separazione
consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 407; Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione
consensuale per incapacità naturale, Nota a App. Milano, 18 febbraio
[87] Sul punto cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, cit., p. 215 ss.
[88] Cass., 15 marzo 1991, n.
[89] Cass., 12 maggio 1994, n.
[90] Cfr. Cass., 29 aprile 1983, n.
[91] Cass., 14 luglio 2003, n. 10978.
[92] Cass., 8 novembre 2006, n.
[93] Cfr. Cass., 6 febbraio 2009, n. 2997. Nella specie
[94] Cass., 5 marzo 2001, n. 3149, cit. Sul tema cfr. amplius
Oberto, Simulazioni e frodi
nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti
europei), Nota a Cass., 5 marzo 2001, n.
[95] Cass., 4 settembre 2004, n.
[96] Così Cass., 23 luglio 1987, n.
[97] Sui timori di un ritorno «dal contratto allo status» v. anche Oberto, Contratto e
famiglia, cit., p. 265 ss.
[98] Cfr. Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 236
ss.
[99] Doria, Autonomia
privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione
della separazione personale e del divorzio, cit.; cfr. anche Palmeri, Il contenuto atipico dei negozi familiari, Milano, 2001, passim, p. 30 ss.
[100] Angeloni,
Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, cit.
[101] Oberto, I
contratti della crisi coniugale, I e II, Milano, 1999; Auletta, Gli accordi sulla crisi
coniugale, cit., p. 43 ss.
[102] Comporti, Autonomia
privata e convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento
del matrimonio, in Foro it., 1995, I, c. 105 ss. (e sul tema v.
anche gli Autori citati in Oberto,
Contratto e famiglia, cit., p. 251
ss.).
[103] V. Carbone, Autonomia
privata e rapporti patrimoniali tra coniugi (in crisi), Nota a Cass., 22
gennaio 1994, n.
[104] Oberto, I
trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 155 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit.; T.V. Russo, I
trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio,
Napoli, 2001 (e sul tema v. anche gli Autori citati infra, §§ 6 ss.).
[105] Sala, La
rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella
separazione di fatto, cit.
[106] G. Ceccherini,
Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit.
[107] Ovviamente le indicazioni testé effettuate hanno carattere
assolutamente parziale e vanno integrate con i rinvii contenuti nella
monografia più volte citata dello scrivente su I contratti della crisi
coniugale, nonché, per i lavori successivi, con le citazioni relative agli
specifici aspetti trattati nei vari capitoli in cui si articola il presente
lavoro. In questa sede potranno segnalarsi, a livello bibliografico, in vario
senso, sul tema specifico dell’autonomia dei coniugi nella fase della crisi
coniugale, i seguenti contributi (oltre a quelli già citati): per il periodo
anteriore alla riforma del
[107] Trabucchi,
Matrimonio (diritto civile), cit., p. 510 ss.; Marti, Accordi non omologati tra coniugi separati, in
Nuova giur. civ. comm., 1989, II, p. 71; Zoppini,
Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare nella
separazione personale dei coniugi, cit., p. 1319 ss.; L. Giorgianni, Sui patti aggiunti alla
separazione consensuale e sulla famiglia di fatto, Nota a Trib. Genova, 2
giugno
[108] cfr. Roppo, Per
una riforma del divieto dei patti successori, in Riv. dir. priv.,
1997, p. 5 ss.; per un interessante studio in quest’ottica, nonché per gli
ulteriori richiami, si fa rinvio a Caccavale
e Tassinari, Il divieto
dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma, in Riv.
dir. priv., 1997, p. 74; sul tema v. inoltre Ieva, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione
successoria: patto di famiglia e patto d’impresa. Profili generali di revisione
del divieto dei patti successori, in Riv. notar., 1997, p. 1371 ss.;
Dogliotti, Rapporti
patrimoniali tra coniugi e patti successori, in Fam. dir., 1998, p.
293 ss. Giudica «inevitabile alla luce del quadro europeo» l’abolizione del divieto
dei patti successori anche S. Patti,
Regime patrimoniale della famiglia e autonomia privata, cit., p. 312.
[109] Sul patto di famiglia v., ex multis, Amadio, Divieto dei patti successori e attualità
degli interessi tutelati, in Aa. Vv.,
I patti di famiglia per l’impresa,
Fondazione italiana per il Notariato (a cura di), Milano, 2006; Id.,
Patto di famiglia e funzione
divisionale, in Riv. notar.,
2006; Andrini, Il patto di famiglia: tipo contrattuale e
forma negoziale, in www.filodiritto.com;
Angeloni, Nuove cautele per rendere
sicura la circolazione dei beni di provenienza donativa nel terzo millennio, in Contratto
e impresa, 2007; Balestra, Attività d’impresa e rapporti familiari,
Padova, 2009, p. 461 ss.; Baralis,
L’attribuzione ai legittimari non
assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni sociali, in Aa. Vv., I patti di famiglia per l’impresa, cit.; Bolano, I patti
successori e l’impresa alla luce di una recente proposta di legge, in Contratti, 2006; Bonilini, Manuale di
diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006; Id., Manuale di
diritto di famiglia, Torino, 2006; Id.,
Patto
di famiglia e diritto delle successioni mortis causa, in Fam. pers. succ., 2007; Busani e Lucchini
Guastalla, Imprese di famiglia:
dal 16 marzo più facili i passaggi generazionali, in Guida al dir., n. 13 del 1 aprile 2006; Busani e Lucchini
Guastalla, La portata degli
effetti del patto di famiglia inducono a ritenere che l’atto vada inquadrato
tra quelli di straordinaria amministrazione e che sia necessaria
l’autorizzazione per gli incapaci, in Guida
al dir., 2006, n. 13 del 1 aprile 2006; Buffone,
Patto di famiglia: le modifiche al codice
civile, in www.altalex.com; Caccavale, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati,
in Aa. Vv., I patti di famiglia per l’impresa, cit.; Id., Il patto di
famiglia, in Contratto e successioni,
in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Vincenzo Roppo, VI, Interferenze, a cura di Vincenzo Roppo,
Milano, 2006; Calò, Patto
di famiglia e norme di conflitto, in Fam. pers. succ., 2006; Casu,
I patti successori, in Aa. Vv., Testamento e patti successori, Torino, 2006; De Marzo, Patti di famiglia,
trasferimento di partecipazioni societarie e legge finanziaria, in Fam. e dir., 2007; De Nova, Delfini, Rampolla e Venditti, Il patto di famiglia: legge 14 febbraio 2006 n. 55, Milano, 2006; Delle Monache, Spunti ricostruttivi e
qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. notar., 2006; Delfini,
Il patto di famiglia introdotto dalla
legge n. 55/2006, in Contratti,
2006; Di Sapio, Osservazioni sul patto di famiglia
(brogliaccio per una lettura disincantata), in Dir. fam. pers., 2006; Id.,
Costruzione, decostruzione e ricostruzione
del patto di famiglia dalla prospettiva notarile, in Vita notar., 2008, p. 1633 ss.; Fietta,
Divieto dei patti successori e attualità
degli interessi tutelati, in Aa. Vv., I patti di famiglia per l’impresa,
cit.; Gazzoni, Appunti e spunti in tema di patto di
famiglia, in www.judicium.it; Id., Competitività
e dannosità della successione necessaria, in www.judicium.it; Inzitari, Il patto di
famiglia: negoziabilità del diritto successorio con
[110] Sul tema cfr. per tutti Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in
occasione di separazione e divorzio, cit., p. 155 ss.; Id., I contratti della crisi
coniugale, II, cit., p. 1211 ss.; Id.,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 3 ss.; Id.,
I trasferimenti patrimoniali in occasione
della separazione e del divorzio, cit., p. 181 ss.; Id., Contratto e
famiglia, cit., p. 323 ss.; T.V. Russo,
I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio,
Napoli, 2001; P. Carbone, I trasferimenti immobiliari in occasione
della separazione e del divorzio, in Notar.,
2005, p. 622 ss.
[111] V. infra, §
22, per quanto attiene ai trasferimenti in favore della prole. Più in generale
cfr. Oberto, Prestazioni «una
tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 283 ss.
[112] Oberto, Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 3 ss.; sul tema v. in precedenza Id.,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e
divorzio, cit., p. 155 ss.; Id.,
I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1211 ss.; T.V. Russo, I trasferimenti patrimoniali
tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001.
[113] Cfr. art. 5, comma ottavo, l. 898/1970, introdotto
dall’art.
[114] Cfr. art. 8, lett. f, della tariffa allegata al
d.p.r. 131/1986 (approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti
l’imposta di registro).
[115] Occorre riflettere sul fatto che il carattere «a
parte» del procedimento di divorzio su domanda congiunta (su cui v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 306 ss.) dovrebbe
dissuadere l’interprete dall’estendervi la disciplina dettata in relazione al
divorzio contenzioso, specie laddove, come nel caso di specie, nessun riferimento,
neppure per implicito, possa ritenersi compiuto, nel tessuto normativo di cui
all’art. 4, tredicesimo comma, l.div., ad un istituto disciplinato in una
distinta parte della legge sullo scioglimento e sulla cessazione degli effetti
civili del matrimonio. D’altro canto, nel caso di divorzio contenzioso,
ancorché pronunziato su una o più conclusioni conformi delle parti, la
struttura stessa del procedimento, non presentando alcuna delle caratteristiche
proprie del rito camerale, non consente di affermare che la decisione del
tribunale si limiti a svolgere una mera efficacia omologativa dell’accordo
delle parti. In questo caso, infatti, la sentenza – diversamente da quanto
accade con riguardo alla procedura su domanda congiunta – conserva tutto il
valore determinativo e costitutivo che le è proprio, anche in relazione alle
clausole economiche. Ora, l’inserimento di un «elemento spurio», di un aspetto
di negozialità, come l’accordo sulla corresponsione una tantum nel quadro di una determinazione complessivamente
giudiziale, non poteva attuarsi senza pagare un prezzo; un prezzo che tenesse
conto, tra l’altro, del fatto che, in sede contenziosa, il tribunale è chiamato
ad emettere una serie talora complessa di statuizioni su pretese patrimoniali
che non coinvolgono solo l’assegno, ma che possono estendersi anche ad altri
campi, dalla divisione della comunione legale, a richieste di restituzioni ex mutuo, a domande risarcitorie e (last but not least) a questioni
concernenti il contributo per il mantenimento della prole. Dunque, il giudizio
di equità di cui all’art. 5, ottavo comma, l.div. sembra giustificarsi proprio
in ordine alla necessità di valutare la correttezza della determinazione
operata dai coniugi alla luce del più vasto quadro costituito dal complesso delle
statuizioni d’ordine patrimoniale che il tribunale effettuerà in sentenza (o
comunque delle altre intese eventualmente raggiunte nel frattempo dai coniugi
stessi su altri aspetti d’ordine patrimoniale) e di inserirla, recependola, in
un assetto di rapporti che trova la propria fonte nella determinazione del
giudice, anziché nella volontà delle parti. Ciò spiega perché, nel momento in
cui il legislatore ha deciso di imporre il giudizio di equità (come «prezzo
della giurisdizionalizzazione» dell’intesa dei coniugi) si è visto poi anche
costretto a prevedere expressis verbis
un effetto preclusivo in ordine alla esperibilità di azioni ex art.
[116] Corte cost., 10 maggio 1999, n.
[117] Sul tema si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 3 ss.
[118] Cass., 25 ottobre 1972, n. 3299, cit.
[119] Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione
di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, p. 483 s.; nello stesso ordine di
idee v. anche Manzini, Spirito di liberalità e controllo
giudiziario sull’esistenza della causa donandi, in Contr. impr., 1985, p. 409 ss. e, successivamente, Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi
in occasione della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 5
ss.; Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia,
in Famiglia e circolazione giuridica,
cit., p. 19 s.
[120] Cfr.
Giorgianni, Causa, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 573.
[121] Si vedano al riguardo, a titolo d’esempio, le due
seguenti decisioni: Cass., 21 giugno 1965, n.
[122] Torrente,
La donazione, Milano, 1956, p. 243; contra
v. però Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale,
IV, Milano, 1954, p. 21; Sacco e De Nova, Il contratto, in Tratt. Sacco, I, Torino, 1993, p. 268.
[123] Cass., 12 giugno 1979, n.
[124]
Del resto, proprio ad una «funzione solutoria» riconnessa all’adempimento
dell’obbligo legale di mantenimento fanno richiamo alcune pronunzie della
Cassazione. Tra queste, Cass., 17 giugno 1992, n.
[125] Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli
accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del
divorzio, cit., p. 279 s.
[126] A identiche conclusioni giunge Bianca, Commento all’art.
[127]
In stretto collegamento con la teoria del negozio solutorio e delle possibili
obiezioni a questo va vista la tesi di chi ha proposto di ricorrere ad
un’apposita categoria negoziale, costituita dai «negozi determinativi del
contenuto di obblighi legali». Con tali atti, in particolare, le parti
dovrebbero: (a) verificare ed accertare situazioni di fatto e circostanze
considerate rilevanti nel diritto; (b) prendere atto che le predette
circostanze danno luogo al concretizzarsi di obblighi legali puntualizzati
verso le loro persone; (c) determinare il contenuto di tali obblighi legali,
assumendo la posizione del debitore e del creditore e specificando il contenuto
della prestazione (Russo, Negozio
giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di
separazione, di divorzio, di nullità (a proposito del disegno di legge n.
1831/1987 per l’applicazione dell’Accordo 18 febbraio 1984 tra l’Italia e
Naturalmente, nulla esclude che, in presenza dei requisiti sopra illustrati, anche tra coniugi in fase di crisi coniugale il contratto postmatrimoniale acquisti una valenza solutoria di determinate obbligazioni preesistenti e predeterminate, come avverrebbe, per esempio, nel caso in cui un coniuge, obbligato per sentenza di separazione a corrispondere un certo assegno all’altro, s’accordasse con quest’ultimo per la consegna mensile di beni di valore corrispondente alle prestazioni pecuniarie: ben si potrà parlare dunque, in questa ipotesi, di negozio solutorio (o di contratto con funzione solutoria, o di datio in solutum, a seconda dei casi) postmatrimoniale, ovvero di negozio solutorio caratterizzato da un «motivo postmatrimoniale» (per approfondimenti sui temi accennati nella presente nota si rinvia a Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 160; Id., I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 667 ss.).
[128] Nel senso che sulla presenza della res dubia ovvero della res litigiosa si dovrebbe fondare la distinzione
tra negozio d’accertamento e transazione cfr., anche per ulteriori riferimenti,
Costanza, Della transazione, in Commentario del codice civile, diretto da Cendon, IV, 2,
Torino, 1991, p. 1791.
[129] In una pronunzia di legittimità emessa nel 1991 l’oggetto
della decisione concerneva un accordo traslativo inserito dai coniugi
separandi in un insieme di pattuizioni (definite, complessivamente, come
transazione) relative ad un procedimento di separazione personale e ad altri
procedimenti giudiziari connessi. A tale negozio viene attribuita la natura di
«modalità del più ampio accordo transattivo raggiunto tra i coniugi
nell’àmbito della loro discrezionale ed autonoma determinazione» (Cfr. Cass.,
15 marzo 1991, n.
[130] Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in
occasione di separazione e divorzio, cit., p. 160; per un approfondimento
del concetto di «concessioni reciproche» si rinvia per tutti a D’Onofrio, Della transazione, in Commentario
del codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1959, p. 192
ss.; Palazzo,
[131] Quanto sopra esposto non impedisce che in concreto, caso per caso, un contratto concluso in occasione della crisi coniugale possa rivelare la presenza della causa transactionis, come ammesso dalla stessa dottrina che pure nega la possibilità di ravvisare in linea di massima la presenza di una siffatta ragione giustificatrice nei negozi traslativi di diritti in sede di separazione o di divorzio (così Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 270), purché gli estremi della figura negoziale disciplinata dagli artt. 1965 ss. siano riconoscibili (per approfondimenti sul tema cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 106 ss.).
[132] Jemolo, Convenzioni in vista di annullamento di matrimonio, in Riv. dir. civ., 1967, II, p. 530.
[133] Per i richiami cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 696 ss.
[134] Cfr. per esempio Cass., 5 luglio 1984, n. 3940, cit.;
Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, cit.; Cass., 24 febbraio 1993, n.
[135] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 709 s.
[136] Si noti che aderire
alla tesi della causa tipica (giusfamiliare) comporta, tra l’altro, che i
contratti della crisi coniugale vadano ascritti al novero di quelli che, ex
art. 11, d.lgs. 70/2003, sono sottratti alla disciplina che ha recepito la
normativa comunitaria in tema di commercio elettronico, dal momento che l’art.
cit. richiama espressamente i «contratti disciplinati dal diritto di famiglia».
[137] Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n.
[138] Cass., 8 novembre 2006, n.
[139] Così invece P. Carbone,
I trasferimenti immobiliari in occasione
della separazione e del divorzio, in Notariato,
2005, p. 627.
[140] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 473 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 45 ss., 203 ss.
[141] Profili, questi, su cui v. per tutti Oberto, I trasferimenti mobiliari e
immobiliari in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 163 ss., 166 ss.;
Id., I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1267 ss., 1327 ss.;
Id., Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p.
167 ss., 195 ss., 283 ss.; Id., I trasferimenti patrimoniali in occasione
della separazione e del divorzio, in Familia,
2006, p. 181 ss. e ora anche P. Carbone,
I trasferimenti immobiliari in occasione
della separazione e del divorzio, cit., p. 622 ss.
[142] Naturalmente il termine «giudiziale» è qui inteso non
nel senso in cui la separazione giudiziale viene contrapposta a quella
consensuale, ma unicamente per denotare il particolare tipo di occasione in cui
l’atto traslativo si opera, caratterizzata dalla presenza del giudice (sul
carattere comunque giurisdizionale dell’attività di volontaria giurisdizione,
tema che non può essere qui sviluppato, si fa rinvio per tutti a Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv.
dir. civ., 1990, I, p. 393 ss.), fermo restando che non è il provvedimento
giurisdizionale, bensì la volontà delle parti ad operare gli effetti traslativi
dalle stesse perseguiti. Si noti poi che, anche con riguardo ai trasferimenti
non effettuati di fronte al giudice può porsi una successiva fase giudiziale (e
questa volta l’aggettivo «giudiziale» denota veramente la presenza di un
procedimento contenzioso!), allorquando l’obbligato si rifiuti di adempiere
all’impegno traslativo in precedenza assunto.
[143] Oberto, Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 69 ss.
[144] Contrariamente a quanto asserito da Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari,
Padova, 1997, p. 391.
[145] Cass., 4 febbraio 1941, n. 345.
[146] Cass., 12 giugno 1963, n. 1594.
[147] Cass., 7 giugno 1966, n. 1495.
[148] Cass., 11 novembre 1992, n. 12110.
[149] La massima della pronunzia recita pertanto: «Il patto fra coniugi con il quale si prevedano trasferimenti immobiliari a regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali ed a tacitazione dell’obbligo di mantenimento non integra donazione stante la predetta funzione solutoria; tale patto peraltro deve ritenersi valido ed operante anche quando sia inserito in accordi di separazione di fatto alla stregua della liceità di tali accordi pur se non idonei a produrre gli effetti della separazione legale» (Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, cit.).
[150] Cass., 15 maggio 1997, n.
[151]
La lettura della motivazione per esteso evidenzia che i temi affrontati dalla
Corte Suprema vanno ben al di là di ciò che la massima ufficiale lascia
trasparire. Sintetizzando per sommi i capi i molteplici punti trattati, può
dirsi che
[152] Cfr. Oberto, Prestazioni «una
tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 85 ss.
[153] Cfr. Cass., 30 agosto 1999, n. 9117: «E’ valida ed
efficace la clausola di accordo di separazione sia che riconosca a uno o a
entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di singoli beni mobili o immobili,
sia che ne operi il trasferimento in favore di uno di loro al fine di
assicurarne il mantenimento, e sia, ancora, che impegni uno dei coniugi a
compiere quel trasferimento al fine di provvedere al mantenimento della prole.
(Nel caso di specie la moglie aveva chiesto la divisione di un immobile la cui
quota di comproprietà essa si era però in precedenza, in sede di verbale di
separazione consensuale, impegnata a trasferire alla figlia, maggiorenne, ma
non autosufficiente.
[154] Cfr. ad es. Cass., 12 maggio 1999, n. 4716; Cass., 12 maggio 2000, n. 6065; in Fam. dir., 2000, p. 437; Cass., 17 febbraio 2001, n. 2347; Cass., 3 dicembre 2001, n. 15231; Cass., 22 maggio 2002, n. 7493; Cass., 14 maggio 2003, n. 7437.
[155] Cfr. Cass.,5 settembre 2003, n.
[156] Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5741, cit.
[157] Cfr. Cass., 17 giugno 2004, n. 11342, su cui v. § 17.
[158] Cfr. Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, su cui v. § 17.
[159] Il tema è stato sviluppato in Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit.,
p. 1143 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 149 ss.
[160] Sul punto cfr. Trib. Bolzano, 15 dicembre
[161] Così, in particolare, una prima pronunzia di
legittimità (Cass., 29 marzo 1956, n.
[162] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 321 ss., II, cit., p. 1407 ss.
[163] Cass., 15 maggio 1997, n. 4306, cit.
[164]
In particolare, dagli artt. 1350, 1376 e 2932 c.c. discenderebbe che con tali
atti i soggetti potrebbero soltanto obbligarsi a trasferire la proprietà di
beni, mentre l’effetto reale potrebbe prodursi o a seguito della stipula di
apposito negozio traslativo, in ottemperanza alle obbligazioni assunte, ovvero
mediante sentenza costitutiva, a norma dell’art. 2932 c.c. Proprio sulla base
di tale assunto un giudice di merito ha ritenuto di dover respingere l’istanza
di omologazione della separazione consensuale dei coniugi contenente
trasferimenti di diritti reali immobiliari (cfr. Trib. Bergamo, 19 ottobre
[165] Cfr. Brienza,
Attribuzioni immobiliari nella
separazione consensuale, in Riv.
notar., 1990, I, p. 1412; Id., Attribuzioni
immobiliari nella separazione e nel divorzio consensuali, in Riv. notar., 1992, I, p. 604; cfr.
inoltre Vaglio, Imposta di registro: un caso di evasione di
imposta legalizzata, in Riv. dir.
tribut., 1993, p. 436 s.; Id., Atto
giudiziario di assegnazione della casa familiare al coniuge separato o
divorziato e imposta di registro, in Fisco,
1994, p. 1933.
[166] Per la critica cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 167 ss.
[167] In questo senso cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile,
II, 1, Milano, 1966, p. 80; Tondo,
Sull’idoneità dei verbali di
conciliazione alle formalità pubblicitarie, in Foro it., 1987, I, c. 3134; per il carattere di atto pubblico e di
titolo esecutivo di un verbale di conciliazione giudiziale tra coniugi v. Trib.
Firenze, 26 agosto
[168] Per quanto attiene alle peculiarità del verbale
dell’udienza collegiale di divorzio cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 232 ss.
[169] Andrioli,
Diritto processuale civile, I,
Napoli, 1979, p. 216 s.; cfr. inoltre, con specifico riferimento al caso del
verbale d’udienza presidenziale in sede di separazione consensuale, Id.,
Commento al codice di procedura
civile, IV, Napoli, 1964, p. 343; contra
Gazzoni, La trascrizione immobiliare, I, Artt. 2643-2645-bis, c.c., Milano, 1998, p. 688, secondo
cui il cancelliere «non è di certo il pubblico ufficiale che riceve l’atto, sol
perché lo scrive sotto dettatura»: ma l’opinione sembra risentire della
confusione – stigmatizzata in altre sedi da chi scrive (cfr. Oberto, Il giudizio di primo grado dopo la riforma del processo civile, in Giur. it., 1991, IV, c. 320; Id.,
Les éléments de fait réunis par le juge :
l’administration judiciaire de la preuve dans le procès civil italien, in Rev. int. dr. comp., 1998, p. 801) – tra
direzione, secondo quanto stabilito ex art. 130 c.p.c. e dettatura, secondo una prassi che,
sebbene invalsa per effetto della ben nota e sciagurata penuria di mezzi che
affligge la giustizia civile, si pone manifestamente contra legem.
[170] Andrioli, Commento
al codice di procedura civile, cit., p. 343.
[171] Cass., 25 maggio 1966, n.
[172] Su cui v. per una critica Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in
occasione di separazione e divorzio, cit., p. 181 ss.
[173] Per i richiami dottrinali e giurisprudenziali cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p.
195 ss.
[174] Su cui v. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 154 ss.
[175] Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento
dei diritti reali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, p. 966.
[176] «Si devono rendere pubblici…», così esordisce la
norma citata.
[177] Su cui v. approfonditamente, anche per gli ulteriori
richiami, Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento
dei diritti reali, cit., p. 967 ss.
[178] Per ciò che attiene ai soggetti tenuti ad effettuare la trascrizione ex artt. 2671, ma anche ex artt. 6, d.lgs. 347/1990 e 1176 (notaio, cancelliere ed eventualmente avvocato) si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 196 ss.
[179] Per una trattazione dettagliata della questione cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p.
225 ss.
[180] Su cui v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 303 ss.
[181] In questo senso cfr. Trib. Roma, 18 dicembre
[182] Per questa soluzione cfr. Trib. Mantova, 26 gennaio
[183] Per una disamina di ulteriori profili circa gli inconvenienti ed i rischi cui possono andare incontro i trasferimenti «fai da te», quali la c.d. «funzione di adeguamento» e l’eventuale responsabilità per il mancato conseguimento dell’effetto traslativo, l’identificazione dei soggetti e dell’oggetto del trasferimento, gli incombenti imposti dalla disciplina urbanistica (quelli relativi alla disciplina fiscale sono invece stati eliminati dalla l. 29 luglio 2003, n. 229), l’eventuale «pubblicità sanante», i timori di strumentalizzazione dei trasferimenti in questione ai fini di frode alla legge, frode ai creditori o elusione fiscale, nonché sul paventato «conflitto di competenza» tra magistratura e notariato, cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 239 ss.
[184] V. supra, §
7.
[185] Sull’ammissibilità di negozi traslativi a causa esterna, cui perviene da tempo la più autorevole dottrina (cfr. Giorgianni, Causa, cit., p. 564 ss.; Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio. Appunti dalle lezioni, II, Milano, 1967, p. 42 ss.; Mengoni, Gli acquisti a non domino, Milano, 1975, p. 200 ss.), cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 266 ss.
[186] Si pensi ai diritti di usufrutto, uso o abitazione. Naturalmente, l’accertamento della conclusione dell’uno o dell’altro tipo di negozio (immediatamente traslativo, cioè, oppure meramente obbligatorio) costituisce una quaestio facti, da valutarsi caso per caso alla luce degli usuali criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 ss. c.c., applicabili agli accordi di cui qui si discute, dotati di natura contrattuale, per quanto attiene agli aspetti patrimoniali.
[187] Cfr. Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi
causa, in Riv. dir. civ., 1989, II,
p. 246 ss.; Id., Obbligazioni di dare e trasferimento della
proprietà, Milano, 1990, p. 48 ss.
[188] Cfr. V. Mariconda, Il pagamento traslativo, in Contr. impr., 1988, p. 736 s.; Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi causa, cit., p.
244; A. Ceccherini, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali,
cit., p. 132; Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in
occasione di separazione e divorzio, cit., p. 165 s.
[189] Cfr. Metitieri,
La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 1166.
[190] Cfr. Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi
causa, cit., p. 244; Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in
occasione di separazione e divorzio, cit., p. 166.
[191] Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, su cui v. infra, § 17: «Allorché taluno, in sede di
separazione coniugale consensuale, assume l’obbligo di provvedere al
mantenimento di una figlia minore, impegnandosi a tal fine a trasferirle un
determinato bene immobile, pone in essere con il coniuge un contratto
preliminare a favore di terzo. Quando poi in esecuzione di detto obbligo,
dichiara per iscritto di trasferire alla figlia tale bene, avvia il processo
formativo di un negozio che, privo della connotazione dell’atto di liberalità,
esula dalla donazione ma configura una proposta di contratto unilaterale,
gratuito e atipico, che, a norma dell’art. 1333 c.c., in mancanza del rifiuto
del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell’affare, e stabilito
dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi,
l’irrevocabilità della proposta».
[192] Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi
causa, cit., p. 238: «Il padre si obbliga verso il coniuge a trasferire un bene
alla figlia, per adempire l’obbligo legale del suo mantenimento; questo sarebbe
un preliminare a favore del terzo. Ma preliminare di che cosa? Risponde
[193] Oberto, Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 267 ss.
[194] Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, su cui v. infra, § 17.
[195] In questo senso cfr. V. Mariconda, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari,
cit., p. 149 ss.; Id., Il
pagamento traslativo, cit., p. 758 s.; Camardi,
Principio consensualistico, produzione e
differimento dell’effetto reale, in Contr.
impr., 1998, p. 595 ss.; cfr. anche Dogliotti,
Separazione e divorzio, Torino, 1995,
p.
[196] Sacco, Il contratto, cit., p. 44 ss.; Bianca, Diritto civile, III, Il
contratto, Milano, 1987, p. 264; Sacco
e De Nova, Il contratto, I, cit., p. 75 ss.; cfr. anche Rimini, Il problema della sovrapposizione dei contratti e degli atti dispositivi,
Milano, 1995, p. 288 s.; Sesta, Contratto a favore di terzo e trasferimento
dei diritti reali, cit., p. 956; Maccarone,
Considerazioni d’ordine generale sulle
obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contr. impr., 1998, p. 665 ss.
[197] Cfr. Sciarrone
Alibrandi, Pagamento traslativo e
art. 1333 c.c., cit., p. 535 ss.,
cui si fa rinvio per gli ulteriori richiami dottrinali.
[198] Proposto da V.
Mariconda, Art. 1333 e trasferimenti immobiliari,
cit., p. 151; Id., Il
pagamento traslativo, cit., p. 764.
[199] L’obiezione vale anche, ad avviso di chi scrive, a
contrastare l’opinione secondo la quale il ricorso all’art. 1333 c.c. in
relazione agli effetti reali sarebbe ammesso «quando il consenso all’acquisto è
espresso in sede di programmazione dell’acquisto medesimo, mediante un
contratto che lo prevede quale effetto di un futuro atto di trasferimento, a
sua volta previsto come dovuto, e che nella stessa sede si provvede a
giustificare sul piano della causa» (così Camardi,
Principio consensualistico, produzione e
differimento dell’effetto reale, cit., p. 596), dal momento che in tal caso
verrebbe meno l’ostacolo che si frappone all’utilizzo della procedura
semplificata per l’acquisto dei diritti reali, costituito dal fatto che
l’acquisizione di un diritto su di un bene può accompagnarsi ad oneri e rischi
in capo al titolare (Camardi, op. loc. ultt. citt.). Il problema,
invero, non è costituto tanto dalla possibilità che l’acquisto si dimostri
oneroso, quanto dall’assoluta impossibilità di documentare (e, prima ancora, di
costituire) con la certezza dello scritto (e il discorso vale, ovviamente,
tanto per la scrittura privata che per l’atto pubblico) l’an e il quando
dell’acquisto stesso.
[200] Costanza,
Art. 1333 e trasferimenti immobiliari solutionis
causa, cit., p. 1242 s.; Maccarone,
Obbligazione di dare e adempimento
traslativo, cit., p. 1329.
[201] Sciarrone
Alibrandi, Pagamento traslativo e
art. 1333 c.c., cit., p. 525 ss.,
544 ss.; Gazzoni, Babbo Natale e l’obbligo di dare, cit.,
p. 2900; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia
coniugale, I, Milano, 1991, p. 238, nota 242, il quale non esclude peraltro
neppure la via contrattuale; Gazzoni,
Trascrizione del preliminare di vendita e
obbligo di dare, in Riv. notar., 1997, p. 42 ss., che trae argomenti
dal termine atto impiegato dall’art.
2645-bis, c. 2 e 3, c.c.; per una
rassegna delle variegate opinioni in tema di atto traslativo solutionis causa si rinvia a V. Mariconda,
Il pagamento traslativo, cit., p. 740
ss.; sui rapporti tra pagamento traslativo e condictio indebiti cfr. Gallo,
Arricchimento senza causa e quasi
contratti (i rimedi restitutori),
in Tratt. Sacco, Torino, 1996, p. 124
ss.
[202] In senso contrario cfr. Carresi, Il contratto
con obbligazioni del solo proponente, in Riv. dir. civ., 1974, I, p. 393 ss.; Sacco, Il contratto,
cit., p. 46 ss.; Maccarone, Considerazioni d’ordine generale sulle
obbligazioni di dare in senso tecnico, cit., p. 660 ss.; favorevoli invece
alla struttura unilaterale dell’atto traslativo solvendi causa appaiono L. Ferri, Della trascrizione immobiliare, in Commentario del codice civile, diretto da Scialoja e Branca,
Bologna-Roma, 1955, p. 80 s.; Benatti,
Il pagamento con cose altrui, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, p. 480
ss.; Moscati, Pagamento dell’indebito, in Commentario
del codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, p.
200; Gazzoni, Babbo Natale e l’obbligo di dare, cit., p. 2900; Sacco e De
Nova, Il contratto, I, cit.,
p. 80 s. (peraltro a condizione che sussista «un interesse precostituito e
tipico dell’oblato all’appropriazione»); Gazzoni,
Trascrizione del preliminare di vendita e
obbligo di dare, cit., p. 19 ss., 41 ss.
[203] In questo senso cfr. A. Ceccherini, Crisi
della famiglia e rapporti patrimoniali, cit., p. 132; Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e
divorzio, cit., p. 166.
[204] Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi
causa, cit., p. 238; A. Ceccherini,
Crisi della famiglia e rapporti
patrimoniali, cit., p. 132; Rimini,
Il problema della sovrapposizione dei
contratti e degli atti dispositivi, cit., p. 291; Dogliotti, Separazione
e divorzio, cit., p. 11; A. Ceccherini, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento,
Milano, 1996, p. 211; per la giurisprudenza v., ancorché in obiter, Cass., 2 dicembre 1991, n.
[205] Sul tema si fa rinvio a Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in
occasione di separazione e divorzio, cit., p. 277 ss., anche per i
necessari approfondimenti in tema di esecuzione in via coattiva dell’impegno a
trasferire in favore della prole.
[206] Sulla funzione dell’omologazione e sui suoi rapporti
con l’intesa di separazione consensuale cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit.,
p. 258 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 227 ss.
Per alcuni rilievi di carattere storico sul tema cfr. Id., I contratti della
crisi coniugale, I, cit., p. 90 ss., 246 ss.; cfr. inoltre Id., Gli
accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello
scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, cit., c. 1317 ss.
[207] Nel senso che «In tema di separazione consensuale, il
regolamento concordato fra i coniugi ed avente ad oggetto la definizione dei
loro rapporti patrimoniali, pur trovando la sua fonte nell’accordo delle parti,
acquista efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione»
v. da ultimo Cass., 9 aprile 2008, n. 9174. Sul tema dei rapporti tra
omologazione e volontà delle parti v. per tutti Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 179 ss., 246 ss., 267; Id.,
Volontà dei coniugi e intervento del giudice nelle procedure di separazione
consensuale e di divorzio su domanda congiunta, in Dir. fam. pers.,
2000, p. 771 ss.
[208] Trib. Bergamo, 15 novembre
[209] Cass., 15 maggio 1997, n. 4306, cit.
[210] Metitieri,
op. cit., p. 1162 s.; nello stesso
senso Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e
divorzio, cit., p. 173; sostiene l’opportunità di condizionare
espressamente il regolamento patrimoniale della separazione consensuale
all’efficacia del provvedimento di omologazione anche Briganti, op. cit.,
p. 7.
[211] Già esposte in Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari
in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 173; Idem, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 710 ss.
[212] De Paola,
I trasferimenti immobiliari nella crisi
familiare, relazione presentata all’incontro di studio sull’argomento:
«Temi attuali del diritto di famiglia», organizzato dal Consiglio Superiore
della Magistratura e tenuto a Frascati dal 28 al 30 ottobre 1999, (testo
dattiloscritto), p. 36 s.
[213] Cass., 23 giugno 1998, n. 6234; in dottrina sul
carattere indisponibile della quota in regime di comunione legale v. per tutti Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e
Messineo, continuato da Mengoni, I, 1, Milano, 1979, p. 121 s., 126 che però
ammette la donazione della quota in favore dell’altro coniuge; il problema, che
non può certo essere sviluppato in questa sede, appare strettamente connesso a
quello delle rinunzie preventive al coacquisto e degli atti di estromissione di
singoli beni dalla comunione (su cui v. per tutti Gabrielli, Scioglimento
parziale della comunione legale fra coniugi. Esclusione dalla comunione di
singoli beni e rifiuto preventivo del coacquisto, in Riv. dir. civ., 1988, I, , p. 341 ss., 356 ss., nonché,
successivamente, Surdi, Sull’estromissione di singoli beni dalla
comunione legale tra coniugi, in Dir.
fam. pers., 1999, p. 1454 ss.): se è vero, infatti, che l’indisponibilità
della quota – non espressamente sancita da alcuna norma del vigente ordinamento
– può desumersi dalla constatazione secondo cui la ammissibilità di un negozio
dispositivo di tal fatta verrebbe a configurare un’ipotesi non prevista
dall’art. 191 c.c. di scioglimento del regime legale, che non può sussistere se
non tra i coniugi, è altrettanto vero che l’obiezione non vale più nei rapporti
tra coniugi, i quali in ogni momento possono – ovviamente, se d’accordo –
optare per il regime di separazione dei beni (per analoghe considerazioni cfr. Gabrielli, Scioglimento parziale della comunione legale fra coniugi. Esclusione
dalla comunione di singoli beni e rifiuto preventivo del coacquisto, cit.,
p. 358 s.).
[214] Così De Paola,
I trasferimenti immobiliari nella crisi
familiare, cit., p. 37, nota 82.
[215] Sul punto v. per tutti Schlesinger, Della
comunione legale, in Commentario alla
riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1,
Padova, 1977, p. 438 s.; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia,
I, 1, cit., p. 198 s.
[216] Sulla disposizione citata cfr. per tutti Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario
del codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 364
ss., secondo cui la norma si riferisce soprattutto ai contratti ad efficacia
reale, i cui effetti si realizzeranno nel momento in cui la cosa viene ad
esistenza.
[217] Cass., 25 ottobre 1972, n. 3299, cit.
[218]
Trib. Pistoia, 1° febbraio
[219] Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in
occasione di separazione e divorzio, cit., p. 165.
[220] Un’opinione assai simile è espressa da Dogliotti, Separazione e divorzio, cit., p. 20: «Vi è un termine di efficacia per gli accordi extragiudiziali? Le clausole del verbale presidenziale vengono meno con la riconciliazione (…), che fa cessare ogni effetto della separazione; così il divorzio detta una nuova regolamentazione. E da ritenere che anche gli accordi esterni al verbale seguano tale sorte, essendo stati conclusi in vista della separazione, salvo che le parti intendessero (ma la loro volontà dovrebbe essere accertata con particolare rigore) la permanenza della regolamentazione al di là delle vicende del rapporto coniugale. In maniera differente vanno invece considerati gli accordi relativi ad atti traslativi, con attribuzioni reciproche da un coniuge all’altro, dal genitore al figlio, ecc. (…). In tal caso il contenuto stesso e gli effetti dell’accordo fanno presumere che le parti abbiano inteso procedere ad una regolamentazione definitiva. Un diverso intendimento (limitazione dell’efficacia al permanere delle medesime condizioni di fatto, cessazione con la riconciliazione od il divorzio, ecc.) dovrebbe emergere con chiarezza (e ancora una volta l’eventuale accertamento dovrebbe essere molto rigoroso)»; sostanzialmente nello stesso senso Briguglio, Separazione personale dei coniugi (diritto civile), 1970, cit., p. 11 (il quale fa al riguardo l’esempio della donazione conclusa in favore dei figli contestualmente all’accordo di separazione, che resta in vita anche dopo la fine dello stato di separazione conseguente alla riconciliazione); Alpa e Ferrando, op. cit., p. 509 s.; v. inoltre Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, cit., p. 340 ss. (secondo cui «la riconciliazione, anche per il suo carattere ‘informale’, opera sul piano personale e non sui rapporti patrimoniali tra i coniugi»; il medesimo autore rileva inoltre che gli accordi traslativi rimangono «pienamente efficaci perché il presupposto di efficacia (separazione personale) da cui sono (possono essere) ‘dipendenti’ si è verificato» ed inoltre perché tali negozi «in quanto connessi ai noti principi della certezza del traffico giuridico e della tutela dei terzi, hanno (debbono avere) un carattere di stabilità che non può essere condizionato alla (potestativa) volontà di riconciliazione tra i coniugi»). Contra, Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, 1982, cit., p. 128 nota 18, secondo cui nel caso di specie occorrerebbe «pensare ad atti di restituzione».
[221] Nel senso che l’accordo di riconciliazione è una
convenzione di diritto familiare, cui sono applicabili le norme in tema di
contratto, cfr. Cass., 29 aprile 1983, n.
[222] Nello stesso senso cfr. Dogliotti, Separazione e divorzio, cit., p. 10 «Ma sarebbero valide clausole di trasferimento che limitassero la loro efficacia alla permanenza immutata delle condizioni economiche delle parti o magari al perdurare dello stato di separazione, senza che sopraggiungesse una riconciliazione o, sul versante opposto, un divorzio? Anche in tal caso non si potrebbe escludere, in linea di massima, la loro validità: si tratterebbe di contratti, o comunque di patti sottoposti a condizione; ma tale condizione dovrebbe essere espressa ben chiaramente o quanto meno ricavarsi con sicurezza, magari secondo i criteri dell’ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 ss. c.c. In ogni altra ipotesi, gli effetti dovrebbero ritenersi permanenti». E’ evidente che, con queste considerazioni, si viene a toccare la materia degli accordi preventivi in vista del divorzio, che non può essere sviluppata in questa sede (per approfondimenti al riguardo e per i necessari rinvii cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit., p. 171 ss.).
[223] Da notare che, dalla motivazione della sentenza di
legittimità, emerge che il contenuto di tale pattuizione – così definita:
«scrittura privata allo scopo di regolare i loro [i.e.: dei coniugi] rapporti economici» – aveva ad oggetto il riconoscimento,
in favore della moglie, della proprietà di un immobile, oltre all’impegno del
marito di corrispondere a quest’ultima la somma di £. 30.000.000, concordato
per la cessione onerosa del 50% delle quote di proprietà di un’imbarcazione.
Dalla predetta motivazione si apprende poi anche che la scrittura era volta a
definire (non si sa, però, in che modo) i rapporti patrimoniali con i figli
maggiorenni (non si sa se economicamente autosufficienti o meno).
[224] Sul tema del rilievo della presupposizione con
riferimento ad attribuzioni patrimoniali tra coniugi o conviventi e sulla
impossibilità di ravvisare la sussistenza di una Geschäftsgrundlage in avvenimenti che dipendono dalla volontà delle
parti (separazione, divorzio, rottura del faux
ménage, o, al contrario, persistenza del vincolo matrimoniale o del
rapporto di fatto, etc.) v. per tutti Oberto,
I regimi patrimoniali della famiglia di
fatto, cit., p. 139 ss.; Id., Le prestazioni lavorative del convivente
more uxorio, Padova, 2003, p. 83 ss.; Id.,
Il regime di separazione dei beni tra
coniugi. Artt. 215-
[225] Cfr. la già citata Cass., 9 aprile 2008, n. 9174.
[226] Cass., 22 novembre 2007, n.
[227] Cass., 29 marzo 2007, n. 7784.
[228] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 90 ss., 246 ss.; cfr. inoltre Id.,
Gli accordi sulle conseguenze
patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella
prospettiva storica, cit., p. 1317 ss.
[229] Per i richiami cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1425 ss.
[230] Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, cit. Si noti poi che,
successivamente,
[231] Cfr. Corte cost., 7 aprile 1988, n.
[232] Sul punto si fa rinvio per tutti a Oberto, Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p.
127 ss.
[233] Cfr. Cass., 15 maggio 1997, n. 4306, cit.
[234] Ai sensi dell’art. 741 c.p.c. il decreto
d’omologazione acquista efficacia una volta decorsi i termini di cui agli artt.
739 e 740 c.p.c. (dieci giorni dalla
comunicazione) senza che le parti legittimate abbiano interposto reclamo alla
corte d’appello. Il decreto della corte d’appello non è impugnabile in
Cassazione: cfr. Cass., 30 aprile 2008, n. 10932.
[235] Cfr. Cass., 26 luglio 2005, n. 15603.
[236] Cfr. Cass., 12 aprile 2006, n. 8516.
[237] Da notare che in questa pronunzia viene riproposto il
parallelismo tra la sequenza «verbale di separazione – rogito notarile» e
quella «contratto preliminare – contratto definitivo», che, per le ragioni a
suo tempo esposte (v. supra, § 11)
non può essere accolta; ma la conclusione non dispiega influenza sulla
correttezza della soluzione proposta dalla Corte di cassazione in merito al
tema della revocatoria.
[238] Cfr. Trib.
Salerno, 4 luglio 2006, in Fam. dir.,
2007, p. 64, con nota di Oberto,
disponibile al sito web seguente: https://www.giacomooberto.com/trasferimenti/figli/tribunale_salerno.htm.
[239]
Sul tema della trascrizione con riserva v. per tutti Oberto, Rifiuto di trascrizione e trascrizione con
riserva nel sistema della legge 27 febbraio 1985, n.
[240] Rimane invece in ombra, nella testé citata decisione
di merito (Trib. Salerno, 4 luglio 2006, cit.) un elemento che pure avrebbe
potuto giocare un notevole ruolo nell’iter
argomentativo dei giudici salernitani. Ci si intende qui riferire alla
circostanza se la figlia destinataria dell’attribuzione dominicale fosse o meno
maggiorenne. A favore della maggiore età depone la circostanza che la stessa
abbia proposto il reclamo ex artt.
2674-bis c.c. – 113-ter disp. att. c.c. in proprio e non già
a mezzo dei propri genitori (o di curatore speciale); tanto, almeno, sembra
potersi arguire dalle prime righe della motivazione («visto il reclamo proposto
da M.M. ex art. 2674-bis c.c….»), che non contengono alcun
richiamo a situazioni di rappresentanza legale. Di contro sembrerebbero porsi,
invece, i due espressi richiami, nella parte finale della motivazione, al
concetto di «mantenimento» (cfr., nel penultimo capoverso della motivazione, il
cenno al «trasferimento di un diritto reale al figlio per provvedere “una
tantum” al suo mantenimento», nonché, nell’ultimo capoverso, alla «clausola
dell’accordo di separazione che attribuisca ad un figlio la proprietà esclusiva
di beni immobili, al fine evidentemente di assicurarne il mantenimento»), onde
sembra lecito supporre che si trattasse, nella specie, di figlia magari
maggiorenne, ma certamente non autosufficiente.
[241] Cfr. Trib. Reggio Emilia, 26 marzo
[242] Sul tema v. anche Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 149 ss.; Id.,
I trasferimenti patrimoniali in occasione
della separazione e del divorzio, cit., p. 196 ss.; Id., Trasferimenti
patrimoniali in favore della prole operati in sede di crisi coniugale, nota
a Trib. Salerno, 4 luglio
[243] V. infra, §
21.
[244] Basini, I provvedimenti relativi alla prole, in Aa. Vv.,
Lo scioglimento del matrimonio, a
cura di Bonilini e Tommaseo, in Il codice
civile, Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 1997, p. 638.
[245] Scannicchio,
Commento all’art.
[246] Basini, op. cit., p. 638 s., nota 116.
[247] Disposizione secondo la quale «L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in
difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice». Devesi peraltro
ritenere che il diverso parametro, tenuto conto del principio fondamentale
dell’interesse del minore, non possa essere tale da determinare in concreto una
rivalutazione in misura inferiore rispetto a quella calcolata in base agli
indici ISTAT.
[248] Basini, op. cit., p. 643.
[249] Si noti peraltro il nuovo comma quarto dell’art. 155
c.c., a mente del quale ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei
figli in misura proporzionale al proprio reddito «salvo accordi diversi,
liberamente sottoscritti dalle parti». La derogabilità del criterio di
proporzionalità scolpito nell’art. 148 c.c. potrebbe forse porre un problema di
conformità all’art. 30 Cost.
[250] In questo senso v. anche Basini, op. cit.,
p. 643. Nel senso che circostanze sopravvenute legittimino il genitore, anche
quando l’obbligo di mantenimento del minore sia stato soddisfatto con una
attribuzione patrimoniale una tantum,
ad agire nell’interesse del minore per una revisione delle condizioni di
separazione relative alla misura e modalità di tale mantenimento, si veda App.
Milano, 6 maggio
[251] Cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione
e divorzio, cit., p. 203 ss.
[252] Cfr. Trib. Catania, 1° dicembre
[253] Ma… fu vera donazione? Cfr. sul tema cfr. quanto
verrà illustrato infra, § 20.
[254] App. Milano, 6 maggio
[255] Trib. Vercelli, 24 ottobre
[256] App. Torino, 9 maggio
[257] Come tale nulla, per lo meno nel pensiero della
giurisprudenza e di una parte della dottrina. Sull’inammissibilità di un preliminare di donazione v. per tutti Torrente, La donazione, cit., p. 243;
Mirabelli, Dei contratti in genere (artt. 1321-1469), nel Commentario del codice civile, a cura di magistrati e docenti,
Torino, 1980, p. 212 ss.; Scognamiglio,
Dei contratti in generale, nel Commentario del codice civile, diretto
da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 438 ss. (contra v. però Messineo,
Manuale di diritto civile e commerciale,
IV, Milano, 1954, p. 21; Biondi, Le donazioni, Torino, 1961, p. 1004 ss.;
Di Lalla, Incertezze in tema di promessa di donazione, in Foro it., 1981, I, 1, c. 1702 ss.; Bertusi Nanni, Note sul contratto preliminare di donazione, in Riv. notar., 1984, p. 123 ss.; Sacco e De
Nova, Il contratto, nel Trattato di diritto civile, diretto da
Sacco, I, Torino, 1993, p. 268). La
ragione di questa inammissibilità viene reperita nel fatto che il carattere
della spontaneità, implicito nella nozione legale della donazione (attraverso
il riferimento allo spirito di liberalità: art. 769 c.c.), è incompatibile con
l’adempimento e quindi con la natura di «atto dovuto», propria del definitivo.
In giurisprudenza per questa soluzione cfr. Cass., 12 giugno 1979, n.
[258] App. Torino, 9 maggio 1980, cit.
[259] Per una fattispecie analoga, nella quale,
riconosciuta la figura di contratto a favore di terzo, il giudice ha però
rigettato la domanda ex art. 2932
c.c., perché proposta dalla madre a nome proprio, anziché dei figli minori ad
essa affidati, cfr. Trib. Vercelli, 24 ottobre 1989, cit. Il ricorso alla
donazione, con riguardo ad un trasferimento immobiliare in favore della prole,
è stato rifiutato più di recente anche da App. Roma, 4 giugno
[260] Cfr. Trib. Siracusa, 14 dicembre
[261] Cass., 25 settembre 1978, n.
[262] Venne così stabilito che «Allorché taluno, in sede di
separazione coniugale consensuale, assume l’obbligo di provvedere al
mantenimento di una figlia minore, impegnandosi a tal fine a trasferirle un
determinato bene immobile, pone in essere con il coniuge un contratto
preliminare a favore di terzo. Quando poi in esecuzione di detto obbligo,
dichiara per iscritto di trasferire alla figlia tale bene, avvia il processo
formativo di un negozio che, privo della connotazione dell’atto di liberalità,
esula dalla donazione ma configura una proposta di contratto unilaterale,
gratuito e atipico, che, a norma dell’art. 1333 c.c., in mancanza del rifiuto
del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell’affare, e stabilito
dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi,
l’irrevocabilità della proposta»: Cass., 21 dicembre 1987, n.
[263] Il principio è stato così applicato al caso di una
transazione in cui, a fronte dell’impegno della moglie a trasferire un’unità
immobiliare al marito, quest’ultimo rinunziava alla richiesta di addebito a
carico della moglie oltre a pretese d’ordine reale relativamente alla casa
coniugale e ad un negozio: cfr. Cass., 15 marzo 1991, n.
[264] Sulla natura contrattuale degli accordi di
separazione, nella parte relativa alle intese d’ordine economico cfr., anche
per gli ulteriori rinvii dottrinali e giurisprudenziali, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 28 ss.; Id., La
natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso
applicabili (I), in Fam. dir., 1999, p. 601 ss.; Id., La
natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso
applicabili (II), ivi, p. 86 ss.
[265]
In senso favorevole alla possibilità di applicare alla fattispecie il disposto
dell’art. 1411 c.c. v. anche Longo, Trasferimenti immobiliari a scopo di
mantenimento del figlio nel verbale di separazione: causa, qualificazione,
problematiche, nota a App. Genova, 27 maggio
[266] Cfr. Cass., 17 giugno 2004, n.
[267] Nella specie il padre, che aveva assunto tale impegno
di trasferimento, convenuto in giudizio per l’esecuzione specifica ai sensi
dell’art. 2932 c.c., aveva chiesto la risoluzione della pattuizione, deducendo
l’inadempimento della madre all’obbligazione, da costei assunta nel medesimo
accordo di separazione tra coniugi, di consentire che la figlia vedesse e
frequentasse esso genitore.
[268] Cfr. Cass., 2 febbraio 2005, n. 2088. Da segnalare
inoltre Cass., 30 maggio 2005, n.
[269] Cass., 25 settembre 1978, n. 4277, cit.
[270] Jannarelli,
Nota a Cass., 25 settembre 1978, n.
[271] Ma sul tema della derogabilità del criterio di
proporzionalità cfr. quanto illustrato supra,
§ 15.
[272] In dottrina, per la possibilità di soddisfare il
mantenimento dei figli anche con l’attribuzione di beni in caso di separazione
consensuale cfr. A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I,
Milano, 1984, p. 406; Dogliotti, Separazione e divorzio, cit., p. 11 s.; Metitieri, La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione
di separazione e divorzio, cit., p. 1167; Briganti,
Crisi della famiglia e attribuzioni
patrimoniali, in Riv. notar.,
1997, I, p. 7 s. (lo scritto è stato pubblicato anche in Aa. Vv.,
Famiglia e circolazione giuridica, a
cura di Fuccillo, Milano, 1997, p. 33 ss.); Mantia,
La rappresentanza dei minori nei
trasferimenti in loro favore effettuati in adempimento di accordi di
separazione consensuale dei coniugi, nota a Pret. Trapani, 19 febbraio
[273] Briganti,
op. cit., p. 7 s.
[274]
Cass., 5 gennaio 1985, n.
[275] Cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 155 s.
[276] Cass., 14 dicembre 1978, n.
[277] In senso dubitativo al riguardo cfr. Briganti, op. cit., p. 8, nota 23.
[278] Cfr. Trib. Siracusa, 14 dicembre 2001, cit.
[279] Cfr. Cass., 4
febbraio 1988, n. 1136; Cass., 24 dicembre 1992, n.
[280] Cfr. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, p. 927.
[281] Andranno
invece annotati l’eventuale revoca, così come l’eventuale rifiuto: cfr. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in Il
codice civile, Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 1998, p. 356.
[282] In senso
conforme v. anche
[283] Cfr. in giurisprudenza Cass., 9 luglio 1966, n. 1807;
Cass., 16 gennaio 1973, n.
[284] Cfr. infra,
§ 20.
[285] Cfr. ex multis Trib.
Salerno, 4 luglio 2006, cit.
[286] Metitieri,
op. cit., p. 1167.
[287] A. Ceccherini,
I rapporti patrimoniali nella crisi della
famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, p. 494 s.
[288] Il ricorso alla donazione è stato ripudiato anche da
App. Roma, 4 giugno 1997, cit., nonché da App. Genova, 27 maggio 1997, cit.;
quest’ultima decisione è stata confermata, proprio in parte qua, da Cass., 30 agosto 1999, n. 9117, cit. (nella specie
la figlia destinataria del trasferimento era maggiorenne, ma non
autosufficiente).
[289] In tal caso l’accettazione da parte del figlio non
appare necessaria, secondo quanto illustrato supra, § 19.
[290] Ancora una volta, la soluzione dipende
dall’interpretazione da dare, caso per caso, all’intesa, così come essa viene
concretamente concepita e formalizzata dalle parti.
[291] Sull’applicabilità del rimedio alle promesse di
trasferimento concluse durante la crisi coniugale, sia nei rapporti tra i
coniugi, che in favore della prole, cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 277 ss. In caso di irreperibilità del
genitore affidatario potrebbe agire un curatore speciale: cfr. Cass., 29
ottobre 1963, n.
[292] Come tale nulla, secondo l’opinione dominante (quanto
meno in giurisprudenza): cfr. supra,
§ 6.
[293] App. Torino, 9 maggio 1980, cit.
[294] Decisione assai simile a quella testé illustrata è
App. Genova, 27 maggio 1997, cit., che sul punto ha osservato quanto segue: «Nella
specie, l’appellante afferma che nessun contratto, ancorché preliminare, è
stato concluso, e che, a tutto concedere, l’impegno assunto non potrebbe che
qualificarsi come promessa di donazione, come tale radicalmente nulla. E’ da
ritenersi che le clausole con cui i coniugi regolamentano i propri interessi in
sede di separazione consensuale, soprattutto qualora diano luogo, come si è
visto, a veri e propri contratti, siano soggette alle regole generali di
ermeneutica contrattuale. In particolare, nel caso che ci occupa, vengono in
considerazione i principi dell’interpretazione complessiva delle clausole
(art. 1363 c.c.), per cui esse si interpretano le une per mezzo delle altre,
attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto, nonché
della conservazione del contratto (art. 1367 c.c.), per cui contratto e singole
clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto,
anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno. Sono poste, nel verbale
di separazione, l’una accanto all’altra, la clausola con la quale il padre si
impegna al mantenimento esclusivo della figlia, e quella con cui la madre si
impegna a trasferire alla figlia stessa la propria quota di proprietà
dell’immobile de quo: si tratta evidentemente dell’adempimento
del suo obbligo di mantenimento della figlia, che ancora sussisteva, stante la
non autosufficienza economica di questa. Nessun riferimento, al contrario, si
rinviene ad una intenzione della convenuta di donare la sua quota (di un animus donandi non vi è alcuna traccia,
ed esso, tra l’altro, apparirebbe contraddetto dal comportamento successivo
della parte)».
[295] Su cui v. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 653 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 99 ss.
[296] Sulla forma della donazione postmatrimoniale inter coniuges e sulla possibilità che
la stessa sia ricevuta da cancelliere nel contesto di un contratto della crisi coniugale
cfr. Oberto, Prestazioni «una
tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 188 ss.
[297] Nello stesso senso v. Kunigk, Die Lebensgemeinschaft, Rechtliche Gestaltung von ehelichem und eheähnlichem Zusammenleben, Stuttgart, 1978, p. 119
s.
[298] Si immagini l’impegno di uno o di entrambi i
conviventi a esperire il ricorso al Ministero dell’interno per ottenere il
cambiamento o la modifica del cognome ex
artt. 84 ss. d.p.r. 3 novembre 2000, n.
396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2,
comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), al fine assumere un
cognome identico. Contraria alla validità di un impegno del genere è anche la
dottrina tedesca (cfr. Strätz, Rechtsfragen des Konkubinats im Überblick,
in FamRZ, 1980, p. 306).
[299] V. BGH, 17
April
Preoccupazioni analoghe a quelle sopra illustrate non
paiono invece assolutamente sussistere nell’ambito della dottrina di common law, ove le considerazioni di public
policy non sembrano porre alcun
ostacolo alla pattuizione di clausole regolanti aspetti di carattere
strettamente personale, quali:
a) obbligo di fissazione della residenza in comune (o
di mutare l’attuale residenza comune); eventuale previsione di una «residenza
alternata» per determinati periodi di tempo;
b) termini di durata del rapporto, identificati con
una data ben precisa, ovvero con un certo avvenimento che funge, per così dire,
da condizione risolutiva (per esempio: manterremo la nostra convivenza almeno
sin tanto che mi sarò laureato in giurisprudenza, o finché i figli avranno
terminato le scuole);
c) relazioni personali o interpersonali, dal cognome
che ciascuno dei partners assumerà,
alla fedeltà, all’«apertura» della coppia a terzi, all’uso di sistemi per il
controllo delle nascite, all’impegno ad adottare uno o più figli;
d) fissazione degli scopi della relazione, aspirazioni
dei conviventi, priorità di carriera, impegni di carattere sociale e a
beneficio di determinate comunità, scelta della confessione religiosa da
seguire e dell’insegnamento da impartire ai figli (cfr. Weitzman, Legal Regulation of Marriage: Tradition and Change, in California Law Review, 62, 1974, p. 1250
ss.; l’unico impegno che l’Autore individua come contrario all’ordine pubblico,
sulla base di alcuni precedenti giurisprudenziali, è quello dei conviventi di
non sposarsi, tra di loro così come con terze persone).
[300] Cfr. Oberto,
I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 205 ss..
[301] Cfr. Gigliotti,
Rottura della convivenza more uxorio e
affidamento del figlio naturale: rilevanza dell’accordo parentale sulle
condizioni della «separazione», Nota a Trib. Min. Reggio Calabria, 17
ottobre
[302] Cfr. Trib. Palermo, 18
febbraio
Un accenno in proposito sembra essere
contenuto anche nella motivazione di una pronunzia di legittimità, secondo cui
«l’art. 317-bis pone alcuni criteri attributivi dell’esercizio della
potestà e prevede come meramente eventuale e successivo l’intervento del
giudice, costruendolo come preordinato a correggere il cattivo funzionamento
dei criteri predetti ed eventualmente a stabilire regole alternative, secondo
un ampio spettro di ipotesi che arriva fino alla possibilità di escludere
entrambi i genitori dall’esercizio della potestà» (cfr. Cass., sez. Un., 25
maggio 1993, n. 5847).
[303] Cfr. Corte cost., 5 febbraio 1996, n.
[304] Cfr. Corte cost., 13 maggio 1998, n.
[305] Cfr. Oberto,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 174.
[306] In questo senso cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile,
II, 1, Milano, 1966, p. 80; Tondo,
Sull’idoneità dei verbali di
conciliazione alle formalità pubblicitarie, in Foro it., 1987, I, c. 3134; per il carattere di atto pubblico e di
titolo esecutivo di un verbale di conciliazione giudiziale tra coniugi v. Trib.
Firenze, 26 agosto
[307] E’ noto che Cass., 3 aprile 2007, n.
Come rilevato in dottrina (cfr. Padalino, Nota a Cass., 3 aprile 2007,
n.
Tale precisazione ha rilevanza, in particolar modo, in
tema di procedimento monitorio ex
art. 148 c.c., che rimarrà di esclusiva competenza del tribunale ordinario.
In relazione, poi, al tema del mantenimento e del
rimborso delle spese, una questione interpretativa legata all’attrazione, in
capo al giudice minorile, della competenza a provvedere, contestualmente
all’affidamento, sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori deve
contribuire al mantenimento dei figli naturali è quella dell’individuazione
dell’autorità giudiziaria competente a decidere sull’eventuale richiesta di
rimborso pro quota delle spese di
mantenimento, istruzione ed educazione della prole sostenute esclusivamente da
uno dei genitori. Sul punto la dottrina (cfr. Padalino,
op. loc. ultt. citt.) ha richiamato,
in chiave sistematica, il principio di diritto espresso dalla Corte di
cassazione in tema di dichiarazione giudiziale di paternità dei figli minori,
in base al quale il giudice minorile è stato ritenuto competente a decidere, in
via consequenziale alla pronuncia sulla dichiarazione di paternità, oltre che
sulla corresponsione dell’assegno di mantenimento a favore del minore, anche
sul rimborso della quota di mantenimento al genitore che vi abbia provveduto sino
alla declaratoria di paternità (si vedano, tra le altre, Cass. 22 dicembre
2006, n. 27488; Cass. 30 giugno 2005, n. 14029). Segnatamente, i giudici di
legittimità hanno sostenuto che, al di fuori della connessione con la domanda
di declaratoria di paternità e dell’operatività dell’art. 277 c.c. (a norma del
quale «il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per il
mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela degli
interessi patrimoniali di lui»), competente a conoscere in via autonoma della
domanda relativa alla condanna del genitore naturale al rimborso delle spese
sostenute per il suo mantenimento dall’altro è il tribunale ordinario (così
Cass. n. 27488/2006, cit.: nella specie è stata dichiarata la competenza del
tribunale ordinario sul rilievo che la madre aveva agito, ad intervenuta
dichiarazione giudiziale di paternità naturale, per ripetere, a titolo di
arricchimento senza causa, la parte dell’obbligazione che gravava sul padre
inadempiente, trattandosi, quindi, di un procedimento contenzioso tra due
persone maggiorenni, estraneo alla competenza del tribunale per i minorenni).
Applicando tale principio di diritto anche all’ipotesi
della richiesta di rimborso delle spese sostenute da uno dei genitori nei
confronti del figlio naturale ed argomentando dal disposto dell’art. 155, comma
secondo, c.c. (a norma del quale il giudice fissa, altresì, la misura ed il
modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura,
all’istruzione e all’educazione dei figli), può ritenersi che, anche
nell’ambito dei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati ex art. 317-bis c.c., il tribunale per i minorenni è contestualmente competente
a decidere, in via consequenziale alla pronuncia relativa all’affidamento dei
figli naturali, oltre che sull’assegno di mantenimento a titolo di contributo
per il mantenimento del minore, anche sul rimborso pro quota delle spese di mantenimento sostenute da uno dei genitori
dalla nascita della prole sino alla pronuncia di affidamento della stessa (cfr.
Padalino, op. loc. ultt. citt.).
Viceversa, la domanda di mantenimento del figlio
naturale, ovvero di rimborso delle spese sostenute da uno dei genitori,
proposta indipendentemente da una richiesta di affidamento della prole rimarrà
di competenza del tribunale ordinario, in quanto, anche a seguito della
pronuncia dell’ordinanza in esame, il tribunale per i minorenni non ha una
competenza generale in materia di figli naturali minorenni corrispondente a
quella che ha il tribunale ordinario in materia di figli legittimi dopo la
separazione e il divorzio (cfr. Arceri,
L’affidamento condiviso, Nuovi diritti e
nuove responsabilità nella famiglia in crisi, Milano, 2007, p. 269; Padalino, op. loc. ultt. citt.; Facchini,
Quale giudice e quale rito per i figli
naturali?, in Facchini, Fissore, Naggar,
Oberto, Ronfani, Il nuovo rito
del contenzioso familiare e l’affidamento condiviso – Le riforme del diritto di
famiglia viste dagli avvocati – Commenti, formulari e documenti, a cura di
Giacomo Oberto, Padova, 2007,
Parte III, Cap. I).
[308] Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, cit.
[309] Anche alla luce di quanto stabilito da Corte cost.,
10 maggio 1999, n.
[310] Cfr. Cass., 30 maggio 2005, n. 11458, cit.
[311] Cfr.
http://www.finanzaefisco.it/agenziaentrate/cir_ris_2005/ris151-05.htm.
[312] Cfr. Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari
in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 161; Id., I
contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 699 ss., II, cit., p. 1255
ss.; Id., Prestazioni «una
tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 167 ss.
[313] Si noti che, nel caso prospettato dalla citata
risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, il figlio era minorenne, per cui l’atto
traslativo era sicuramente caratterizzato, per le ragioni sopra esposte, dalla
causa postmatrimoniale tipica desumibile dall’art. 711 c.p.c. e, come tale, ben
avrebbe potuto e dovuto essere qualificato alla stregua di un «atto relativo al
procedimento» di separazione dei genitori.
[314] Cfr. Corte cost., 11 giugno 2003, n.
- Per la dichiarazione di illegittimità costituzionale
dell’art. 19 della legge n. 74 del 1987, nella parte in cui non estendeva
l’esenzione ivi prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti
relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, citata la
sentenza n. 154/1999.
- Per la dichiarazione di illegittimità costituzionale
dello stesso art. 19 della legge n. 74 del 1987, nella parte in cui non
comprendeva nell’esenzione dal tributo anche le iscrizioni di ipoteca
effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di
separazione, richiamata la sentenza n. 176/1992.
- In tema di estensione di agevolazioni e benefici
tributari, generalmente affidata alle scelte discrezionali del legislatore, ma
consentita quando lo esiga la ‘ratio’ dei benefici stessi, menzionate le
sentenze n. 431/1997 e n. 86/1985; nonché le ordinanze n. 27/2001 e n.
10/1999».
Questo è il dispositivo della decisione: «Dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, lettera b), della Tariffa, parte
prima, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione delle
disposizioni concernenti l’imposta di registro), nella parte in cui non esenta
dall’imposta ivi prevista i provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 148
cod. civ. nell’ambito dei rapporti fra genitori e figli. Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno
2003».