DIRITTI DI CREDITO, FONDI COMUNI DI
INVESTIMENTO
E COMUNIONE LEGALE
ABSTRACT: La
Cassazione si
pronuncia per la prima volta ex professo
sul tema della caduta in comunione delle quote di fondi comuni di investimento.
La conclusione positiva viene raggiunta nel contesto di una motivazione che
prende lo spunto dal tema della riferibilità all’art. 177, lett. A), c.c. dei
diritti di credito, in relazione ai quali viene riproposta la distinzione tra
crediti aventi e crediti non aventi una componente patrimoniale «suscettibile
di acquisire un valore di scambio». Così, mentre tra i primi rientrerebbero,
oltre ai titoli obbligazionari, i titoli di partecipazione azionaria e le quote
di fondi d’investimento, ai secondi sarebbero ascrivibili quelli derivanti da
un contratto preliminare di compravendita, dalla partecipazione ad una
cooperativa edilizia a contributo erariale, o da un deposito bancario. Il
presente commento tenta di effettuare una sommaria rivisitazione in chiave
critica delle varie posizioni espresse da dottrina e giurisprudenza su questi
temi.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2.
La civilistica italiana di fronte al tema della caduta in comunione dei diritti
di credito. Impostazione del problema. – 3. Gli argomenti
addotti in senso contrario alla caduta in comunione dei crediti e le relative
critiche. In particolare: gli argomenti fondati sulla lettera della legge. – 4. Segue. In
particolare: gli argomenti relativi alla posizione del debitore, nonché
all’inscindibilità tra lato attivo e lato passivo del rapporto obbligatorio. – 5. Segue. In
particolare: gli argomenti relativi al carattere «relativo e personale» del
rapporto obbligatorio. Conclusione. – 6. Le oscillazioni
della Cassazione: le decisioni anteriori al revirement
dell’ottobre 2007. – 7. Il revirement dell’ottobre 2007 e gli ulteriori sviluppi, sino alla
decisione qui in commento. – 8. I fondi comuni di
investimento di fronte alla comunione legale. I precedenti. – 9.
I fondi comuni di investimento di fronte alla comunione legale. Le ragioni di
applicabilità dell’art. 177, lett. a), c.c. – 10. Fondi
comuni di investimento e dichiarazione di esclusione dalla comunione ex art. 179, lett. f), c.c.
1. Premessa.
Con la decisione in esame la S.C. ritorna sul tema
della caduta dei diritti di credito in comunione legale. Nella specie si
trattava di quote di fondi comuni d’investimento acquistate dal marito in costanza
di regime legale con i proventi della sua attività professionale. Tali quote
sono state ritenute in tutti i gradi del giudizio (divisorio del patrimonio
comune) come facenti parte della comunione, ex
art. 177 lett. a), c.c.
La motivazione contiene in parte qua alcune argomentazioni calate sul problema specifico
della sorte dei fondi comuni di investimento, che vengono peraltro
(correttamente) prospettate dopo la trattazione dei temi generali attinenti
alla vexata quaestio della sorte dei
crediti in comunione.
Rinviando ad una diversa sede per l’approfondimento
delle molte e complesse questioni coinvolte, così come per la presentazione di
un più completo apparato di rinvii dottrinali [1], potranno qui passarsi velocemente in rassegna le
varie teorie che si contendono il campo, per poi tentare di esporre la
posizione della Cassazione nel contesto delle varie decisioni in cui
l’argomento predetto è stato affrontato.
2. La
civilistica italiana di fronte al tema della caduta in comunione dei diritti di
credito. Impostazione del problema.
Iniziando dalla disamina della dottrina formatasi a
partire dalla Riforma del 1975 sul problema della caduta in comunione dei
diritti di credito, potrà dirsi che, quanto meno in prima approssimazione, tre diversi indirizzi appaiono individuabili. Per il primo cadrebbero in
comunione, indistintamente, tutti i diritti di credito [2]. Secondo un’altra opinione, l’art. 177, lett. a),
c.c. sarebbe invece applicabile ai soli crediti aventi carattere «finale» e non
«strumentale», divenendo quindi comuni quei soli crediti che realizzino veri
investimenti [3] e non costituiscano meri mezzi per l’acquisto di
diritti reali (si pensi ad es. all’impegno in cui si sostanzia il contratto
preliminare). Ad avviso di un terzo gruppo di Autori, infine, i rapporti
obbligatori non cadrebbero mai in comunione [4].
La seconda soluzione, tra le tre appena prospettate, è
quella che ad oggi ha avuto minor seguito, forse perché legata in qualche modo
all’idea – pure sostenuta da una parte della dottrina – secondo la quale, per
uscire dalla impasse creata
dall’alternativa tra diritti reali e diritti di credito, ed evitare gli
inconvenienti dell’una o dell’altra tesi, sarebbe opportuno spostare l’attenzione
sul concetto di «investimento» [5]. Secondo alcuni studiosi, dunque, cadrebbero in
comunione i (soli) crediti (così come, ovviamente, i diritti reali) in grado di
rappresentare un «investimento», come nel caso di titoli obbligazionari, buoni
del tesoro, cartelle fondiarie, ecc. [6].
Ma sul punto è stato agevole controbattere, già
svariati anni or sono, che, con il ricorso alla nozione di «investimento», non
si fa che spostare il problema sul piano economico, senza portare alcun
positivo contributo alla sua soluzione [7]. Invero, secondo le dottrine economiche, il termine
«investimento» esprime qualsiasi impiego produttivo di beni; il che si può
realizzare mediante l’acquisto di beni durevoli o di titoli, ma anche, secondo
un’opinione assai autorevole, attraverso il mero deposito bancario [8], che invece, per l’avviso qui criticato, genererebbe
un diritto personale del depositante nei confronti dell’azienda di credito.
3. Gli argomenti addotti in senso contrario
alla caduta in comunione dei crediti e le relative critiche. In particolare:
gli argomenti fondati sulla lettera della legge.
Posto quanto sopra, ineludibile sembra dunque
l’alternativa «secca» tra la tesi che include e quella che esclude, nella loro
globalità, i diritti di credito. Al riguardo, se la dottrina appare nella sua
prevalenza, come detto, schierata per la prima soluzione, mentre oscillante
risulta la posizione dei giudici di merito [9], la Cassazione si è per molti anni, più e più volte,
dichiarata apertamente favorevole alla seconda [10]. A ben vedere, però (come del resto si avrà modo di
dire a suo tempo), non sono mai mancate le prese di posizione del Supremo
Collegio in situazione di (molte volte inconsapevole) contrasto con siffatta conclusione
[11], fino al revirement
attuato nel 2007, con il quale si è apertamente dichiarata superata la
giurisprudenza contraria alla caduta in comunione dei crediti [12]: non senza contraddizioni e ripensamenti, come si
vedrà.
Venendo ad una disamina critica delle argomentazioni
variamente prospettate pro e contro la tesi della caduta in comunione dei
crediti, va subito detto che una prima serie di obiezioni mosse alla tesi
favorevole vorrebbe ricevere alimento da una lettura dell’art. 177, lett. a),
c.c., tesa a porre in evidenza alcuni (discutibilissimi e reversibili)
argomenti letterali. Tali impostazioni, come si avrà subito modo di vedere,
potranno essere senz’altro accantonate.
Ciò vale, in primo luogo, per l’avviso che vorrebbe
trarre argomenti dall’espressione «acquisti compiuti», contenuta nell’art. 177
c.c. Si sostiene, invero, che siffatta terminologia avrebbe il significato di
«far compere» [13], così rendendo evidente la sfera di applicabilità
della citata disposizione ai soli diritti reali. L’argomentazione – che ricorda
singolarmente l’avviso di quella certa giurisprudenza di legittimità in materia
di acquisti a titolo originario, secondo cui il verbo «compiere» non potrebbe
denotare se non un’attività di tipo negoziale [14] – è stata efficacemente contrastata da altra
dottrina, che, pur convenendo con il rilievo critico circa la atecnicità
dell’espressione normativa, ha correttamente contestato che all’espressione
possa essere attribuito un significato tanto riduttivo, coincidente con il solo
compimento di atti d’acquisto a titolo derivativo [15]. E ciò a tacere del fatto che, se anche si volesse
interpretare in tal modo il dettato normativo, non si riuscirebbe a comprendere
perché mai il concetto di «far compere» non potrebbe estendersi anche
all’acquisto di crediti [16].
Neppure sembra potersi trarre argomenti dal ricorso al
sostantivo «beni» che troviamo sia nell’inciso della citata lett. a) dell’art.
177 (che esclude dalla caduta in comunione gli acquisti «relativi ai beni
personali»), così come negli artt. 178 e 179 c.c., nonché in svariate norme
sull’amministrazione, sui rapporti con i creditori e sullo scioglimento (cfr.
artt. 180, 184-190, 192-197 c.c.), per non dire poi del fatto che la stessa
comunione legale [17] viene chiamata «comunione legale dei beni» (corsivo d.a.) dall’art. 210 c.c. In proposito potrà
obiettarsi come il linguaggio legislativo sia compendioso, per non dire
impreciso. Come più volte si è detto, si acquista non il bene, ma il diritto
sul bene (il bene rappresenta l’oggetto del diritto che viene acquistato). La
stessa legge, del resto, non menziona acquisti di beni, bensì «relativi ai
beni». Non v’è allora un’affidabile base testuale per distinguere gli acquisti
di diritti di credito dagli acquisti di diritti reali, né per circoscrivere la
portata della disposizione a questi ultimi, in quanto «relativi – essi soltanto
– ai beni». Se per assurdo così non fosse, si potrebbe allora dubitare che
appartengano alla comunione persino gli acquisti «compiuti dai due coniugi
insieme (...) durante il matrimonio», ove si trattasse di acquisti «relativi»
non a «beni» ma a diritti di credito. Si tratta del caso dei coniugi che si
rendano congiuntamente cessionari di un credito, sulla cui appartenenza
immediata alla comunione non è davvero consentito dubitare [18].
Non si dimentichi poi quanto positivamente stabilito
dall’art. 813 c.c. [19]: disposizione dalla quale non pare poi così azzardato
ricavare il principio secondo cui – anche senza accedere alle non condivisibili
posizioni estremistiche di chi tende a sopprimere ogni «profilo creditizio»
nelle partecipazioni societarie, riscontrandovi una vera e propria (e sola)
relazione reale – «bene» possa ritenersi anche un mero rapporto creditizio,
tanto più ove si ponga mente al principio che assegna alla norma circa la
caduta in comunione immediata il ruolo di regola generale e dunque di criterio
di giudizio, rispetto alla quale le eccezioni vanno singolarmente poste da
specifiche norme (o da appositi, distinti principi, come, ad esempio, quello
della salvaguardia dell’autonomia privata). Per non dire, poi, del fatto che lo
stesso termine «beni», come l’omologo «cose», forma ormai da tempo oggetto di
una lettura aperta all’inclusione di sempre nuove «entità» dematerializzate e
proiettate verso forme di new properties,
sovente assai più vicine alla forma «creditizia» che non a quella «reale» [20].
Per nulla condivisibile appare poi l’obiezione secondo
cui l’inclusione in comunione legale dei crediti finirebbe con l’ «abrogare di
fatto» le lett. b) e c) dell’art. 177 c.c. «poiché quei frutti e proventi non
cadrebbero mai in comunione de residuo,
se l’altro coniuge acquistasse immediatamente il diritto alla metà del credito
agli stessi» [21]: l’appartenenza, invero, alla comunione residuale non
è legata al carattere reale o personale del rapporto giuridico, ma alla sua
riconducibilità (o meno) al concetto di «frutto» (di bene personale) o di
«provento» (di attività separata).
4. Segue. In particolare: gli argomenti
relativi alla posizione del debitore, nonché all’inscindibilità tra lato attivo
e lato passivo del rapporto obbligatorio.
Venendo ora a considerare ulteriori argomenti
utilizzati dalla dottrina per contrastare la caduta in comunione dei diritti di
credito, occorrerà farsi carico di quell’opinione secondo cui l’interpretazione
estensiva dell’art. 177, lett. a), c.c. finirebbe con il coinvolgere, con
sicuri inconvenienti, nella vicenda acquisitiva anche la posizione del
debitore, il quale rimarrebbe esposto alle pretese dell’altro coniuge,
rischiando di non rimanere liberato, qualora adempisse nelle mani del creditore
originario [22]. Sul punto la dottrina ha sin dall’inizio
rappresentato i timori degli istituti di credito di vedersi esposti a richieste
di adempimento o di risarcimento danni da parte dei coniugi dei depositanti o
correntisti, che potrebbero contestare la legittimità di prelievi pur
effettuati dal solo depositante o correntista, formalmente risultante verso la
banca quale unico creditore [23]. Non per nulla fu proprio la rappresentazione di
(asseriti) seri ostacoli per il commercio e la circolazione dei beni ad indurre
l’Associazione Bancaria Italiana ad assumere, all’indomani stesso della
approvazione della riforma del 1975, una posizione rigidamente contraria
all’ingresso dei crediti in comunione legale [24].
Al riguardo si è obiettato [25] che, in seguito alla caduta in comunione legale, il
debitore non viene coinvolto nella vicenda traslativa più di quanto non lo sia
in un’ordinaria cessione del credito. In particolare, l’adempimento nelle mani
dell’originario creditore avrà certamente effetto liberatorio se questi, senza
colpa, ignorava che l’acquisto era caduto in comunione legale o se, in virtù
dei principi sull’amministrazione, l’adempimento costituisce atto di ordinaria
amministrazione. Si è così affermato che il debitore non resta liberato,
pertanto, solo nel caso in cui l’adempimento configuri un atto di straordinaria
amministrazione ed a condizione che egli conoscesse sia la sottoposizione del
creditore al regime di comunione legale, sia la natura comune dell’acquisto.
D’altra parte si è anche posto in evidenza che il debitore può invocare la
tutela propria dell’adempimento al creditore apparente [26]. In proposito si è fatto notare che l’art. 1189 cpv.
c.c. va coordinato con il disposto dell’art. 184, terzo comma, c.c. e pertanto,
non potendosi ricostituire la comunione, stante l’irreversibile estinzione del
credito, il coniuge che ha ricevuto il pagamento dovrebbe procedere alla
restituzione della quota di spettanza dell’altro «secondo i valori correnti
all’epoca della ricostituzione della comunione» [27].
Ora, come chiarito in altra sede [28], l’esazione del credito in comunione legale deve
ritenersi, ex art. 180 c.c., atto di
ordinaria amministrazione, con la conseguenza che da questo non sembra potersi
far comunque discendere (a prescindere, dunque, dalla ricorrenza dei
presupposti di cui all’art. 1189 c.c.) conseguenze negative: né per i coniugi,
né per i terzi.
Un’altra critica che è stata avanzata alla proposta di
ritenere (anche) i crediti compresi nel regime legale attiene al fatto che il
credito non costituirebbe un bene in senso proprio, ma un rapporto strumentale
volto al conseguimento di un bene. Quest’ultimo e non il credito sarebbe allora
oggetto della comunione legale, altrimenti verrebbe pregiudicata la
discrezionalità del creditore circa il modo più appropriato per esercitare il
proprio diritto [29]. Anche questa tesi risulta però strettamente legata a
quella, già criticata, della caduta in comunione degli investimenti. Essa
inoltre, come esattamente rilevato [30], non tiene conto del fatto che il credito costituisce
un «valore» già prima ed a prescindere dal successivo conseguimento della
prestazione, onde il coniuge potrebbe subire un pregiudizio dal mancato
riconoscimento dei diritti che sorgono con riferimento alla posizione
creditoria.
Ancora, si è affermato che, rispetto alla caduta in
comunione dei crediti, si porrebbe come ostativo il rilievo per cui il coniuge
dell’acquirente subentrerebbe inevitabilmente anche nella posizione debitoria,
perché in comunione ricadrebbe l’intero rapporto obbligatorio, essendo questo
l’oggetto dell’acquisto [31]. Ma l’arbitrarietà di questa conclusione è stata
correttamente contestata da chi ha rilevato che al coniuge dell’acquirente si
trasmettono solo gli effetti favorevoli dell’operazione economica, così come
accade nel contratto a favore del terzo, con la conseguenza che egli subentra
solo nel lato attivo del rapporto obbligatorio [32]. Il concetto d’acquisto indica infatti solo
l’incremento patrimoniale, mentre la ratio
del regime legale [33] conferma che intento del legislatore è quello di
spartire gli incrementi patrimoniali e non certo le passività.
5. Segue. In particolare: gli argomenti
relativi al carattere «relativo e personale» del rapporto obbligatorio.
Conclusione.
Andrà poi ricordato che uno degli argomenti utilizzati
dai primi commentatori della riforma del 1975 contro la caduta dei diritti di
credito in comunione è che gli stessi avrebbero carattere «relativo e
personale» [34].
Peraltro, è chiaro che la «relatività» e la
«personalità» dei diritti di credito, così come contrapposte alla «realità» dei
diritti reali, indicano solo l’assenza di quella caratteristica dell’inerenza
alla res che contraddistingue, per l’appunto, i diritti disciplinati dal
libro terzo dell’attuale codice civile [35], differenziandoli da quelli di credito, con
conseguente esclusione di ogni diritto di seguito o di sequela [36]. Tali elementi, dunque, nulla hanno a che vedere con
la possibilità o meno che un diritto personale e relativo, quale quello di
credito, si comunichi ope legis ad
altri, come reso del resto evidente dal fatto che, di regola, ogni credito è
liberamente cedibile (cfr. artt. 1260 ss. c.c.), ad eccezione, naturalmente, di
quei rapporti caratterizzati dalla «personalità», nel senso (diverso da quello
testé esaminato) di «stretta inerenza alla persona» e di rilevanza del c.d. intuitus personae: si pensi, ad esempio,
al credito agli alimenti. E la conclusione pare confermata dalle svariate
ipotesi di trasferimento ex lege di
rapporti di credito conosciute dal nostro ordinamento: dalla regola fissata
dall’art. 1203 c.c. (surrogazione nei diritti del creditore, nei casi, per
l’appunto, di pagamento con surrogazione) a quella scolpita nell’art. 1705 c.c.
(sostituzione del mandante al mandatario nell’esercizio dei crediti derivanti
dall’esecuzione del mandato) [37].
Concludendo sul punto, nessuna delle obiezioni mosse
in dottrina pare scalfire la tesi che afferma la tendenziale caduta in
comunione anche dei crediti, la quale
trova fondamento, innanzi tutto, nella lettera dell’art. 177, lett. a), c.c.,
che, parlando di acquisti, non legittima un’interpretazione restrittiva della
nozione, limitata ai soli diritti reali, nonché, in secondo luogo, nella ratio del regime, in quanto anche il
credito costituisce ricchezza volta ad accrescere il valore del patrimonio: una
ricchezza di cui, in una società
caratterizzata dalla sempre maggiore rilevanza economica dei rapporti obbligatori
appare assurdo ed anacronistico non tenere conto [38].
Come esattamente posto in luce da un’Autrice, anche da
un punto di vista pratico, l’esclusione dei diritti di credito dal patrimonio
comune rappresenta una forte compromissione delle potenzialità solidaristiche
dell’istituto della comunione legale, in considerazione del fatto che nella
società moderna la titolarità di posizioni soggettive personali e relative può
costituire una componente rilevantissima del patrimonio individuale e una forma
privilegiata di investimento. Ne deriva l’irragionevole conseguenza per cui la
scelta del coniuge percettore di reddito di impiegare i propri guadagni in un
modo piuttosto che in un altro si riverbererebbe sulla condivisione delle
ricchezze con il partner: il bene immobile
acquistato con i proventi del proprio lavoro confluirebbe immediatamente nella
comunione legale tra i coniugi; al contrario, l’investimento mobiliare,
estrinsecantesi ad esempio nella sottoscrizione di obbligazioni, rimarrebbe,
secondo questa teoria, nella titolarità esclusiva del coniuge investitore [39].
Estremamente
significativo, del resto, l’autorevole revirement
operato in dottrina da chi ha osservato che «Sebbene gli argomenti invocati non
possano considerarsi decisivi, tuttavia deve ammettersi – re melius perpensa – che una esclusione radicale dei crediti dal
novero dei diritti cui può applicarsi l’acquisto automatico in favore della
comunione legale non troverebbe una sufficiente giustificazione nella pur
doverosa opportunità di proteggere la controparte del coniuge che abbia
negoziato ‘separatamente’; e che, soprattutto, non si vede come e perché
potrebbe conciliarsi con i principi ispiratori della riforma qualificare
‘personale’ (escludendone l’altro coniuge) l’acquisto a titolo oneroso di un
credito idoneo ad assicurare un ‘incremento’ patrimoniale» [40].
6. Le
oscillazioni della Cassazione: le decisioni anteriori al revirement dell’ottobre 2007.
Le conclusioni di cui sopra ricevono conferma da una considerazione
critica dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità.
Secondo la tesi seguita a più riprese e per molti anni
dalla Corte di cassazione, invero, l’art. 177, lett. a), c.c. non potrebbe
riferirsi ai diritti di credito, perché il vigente ordinamento conoscerebbe
solo la comunione dei diritti reali, non dei diritti relativi [41]. L’argomento fa il pari con quello, di fonte
dottrinale, secondo cui il nostro ordinamento non applica al credito spettante
a più persone la disciplina della comunione, ma quella della solidarietà
attiva, onde sarebbe scorretto ritenere che il medesimo possa essere ricompreso
nella comunione legale [42]. Ora, se è vero che l’art. 1100 c.c. si riferisce
testualmente ai soli diritti reali, è altrettanto vero che tale disposizione si
limita ad enunciare le regole applicabili qualora si versi in una situazione di
contitolarità di diritti di tal genere («Quando la proprietà o altro diritto
reale spetta in comune a più persone, se il titolo o la legge non dispone
diversamente, si applicano le norme seguenti»), non escludendo in alcun modo
che anche diritti diversi da questi ultimi possano ricadere sotto la titolarità
di più soggetti. A ben vedere, infatti, lo stesso codice dà per scontato che
possano esistere obbligazioni con pluralità di soggetti, sia ex latere debitoris che ex latere creditoris [43] e il fenomeno della solidarietà o della parziarietà
attiva (quest’ultima, tra l’altro, da presumersi tra creditori: arg. ex art. 1294 c.c.) non entra qui in
gioco, di fronte alla disciplina sicuramente speciale determinata dal fatto che
quei due particolari creditori sono, per l’appunto, coniugati in regime di
comunione.
Da un punto di vista più generale, poi, sembra
addirittura contestabile che non sia configurabile un rapporto di vera e
propria comunione per i diritti di credito [44].
Basti pensare a quanto disposto dall’art. 727, primo
comma, c.c. [45], da cui appare agevolmente desumibile che i crediti
del de cuius entrano a far parte della
comunione ereditaria, ciò che del resto è pacificamente e con costanza ammesso
dalla stessa Corte di cassazione [46], la quale, oltre tutto, in almeno un’occasione,
precedente al revirement del 2007
(sulla caduta in comunione immediata dei rapporti obbligatori), non ha avuto
difficoltà ad affermare espressamente la ricaduta in comunione de residuo di taluni crediti [47]. E che la comunione legale possa abbracciare crediti
è confermato dall’espressa previsione circa la caduta in comunione immediata
delle aziende di cui all’art. 177, lett. d), c.c., atteso che la contitolarità
dell’azienda non può realizzarsi se non attraverso la contitolarità delle
situazioni soggettive in cui quest’ultima si articola: situazioni soggettive in
cui trovano sicuramente un posto d’onore i diritti di credito. Ulteriore
conferma deriva, poi, dall’art. 179, lett. b), c.c., che ammette la possibilità
che i cespiti oggetto di donazione o testamento possano essere attribuiti dal
disponente alla comunione. E che oggetto di donazione e successione possano
essere i crediti pare del tutto incontroverso. Pertanto non sembra dubitabile
che il credito cada in comunione quando è acquistato dai coniugi per effetto di
donazione o successione e nell’atto sia stata fatta menzione della comunione legale.
Si rileva poi che ulteriore spunto a favore della tesi
che include il credito nel patrimonio comune si può trarre dall’art. 177, lett.
d), c.c., in quanto si osservi che i crediti fanno di certo parte dei beni
dell’azienda comune [48], nonché dall’art. 177 cpv. c.c., ove si rilevi che si
possono concretare in un diritto di credito gli utili e gli incrementi oggetto
di comunione, nel caso di azienda appartenente ad uno dei coniugi prima del
matrimonio, ma gestita da entrambi gli sposi durante il matrimonio [49].
La comunione legale è comunione di patrimonio: che
nella comunione di patrimoni possano rientrare anche crediti sembra confermato,
almeno con riguardo ai diritti personali di godimento, da un preciso dato
testuale, ove si consideri che la norma dell’art. 180 c.c. contempla, fra gli
atti di amministrazione dei beni della comunione, i contratti con cui questi
diritti vengono acquistati dai coniugi [50]. La tesi criticata non ha tenuto nella dovuta
considerazione che, con la caduta in comunione legale, non si verifica solo la
costituzione della contitolarità dei coniugi sul bene, ma anche la sua
sottoposizione ad una particolare disciplina, certamente diversa da quella
propria della comunione ordinaria. Di conseguenza, bisogna prescindere da
aprioristiche concezioni sulla natura dell’obbligazione soggettivamente
complessa e verificare se la posizione creditoria possa appartenere ad ambedue
i coniugi, tenuto conto della natura del diritto.
L’affermazione di quella giurisprudenza secondo cui
l’art. 1100 c.c. non sembrerebbe riconoscere cittadinanza alla contitolarità di
diritti di credito ha senso, quindi, solo se con essa s’intende dire che la
contitolarità dei crediti non è regolata dal complesso di norme degli artt.
1100 ss. c.c., dettato in contemplazione esclusiva della contitolarità di
diritti reali. Così precisata, l’affermazione stessa non offre alcun argomento
contro la caduta dei crediti in comunione legale dei coniugi; giacché
quest’ultima è espressione che designa un complesso normativo non coincidente
con quello degli artt. 1100 ss. c.c. [51].
Peraltro, come già accennato in precedenza, la
giurisprudenza di legittimità non si è sempre mostrata coerente nella negazione
della caduta in comunione dei diritti di credito. Così, ad esempio, essa ha
sempre affermato la riconducibilità all’art. 177, lett. a), c.c. dell’acquisto
di partecipazioni societarie [52], senza farsi troppo carico di giustificare la
distonia in tal modo apportata al sistema: un sistema che, nelle declamazioni
teoriche, sino al revirement del
2007, era però quasi univocamente orientato all’affermazione dell’idoneità dei
soli diritti reali a cadere in comunione.
7. Il revirement dell’ottobre 2007 e gli
ulteriori sviluppi, sino alla decisione qui in commento.
Alla luce di quanto illustrato nel § precedente, non
può non destare stupore l’understatement
con cui, proprio nel citato revirement
dell’ottobre 2007 [53], la Cassazione attribuisce il precedente
orientamento, contrario alla caduta in comunione dei crediti, solo ad «alcune
decisioni di questa Corte», senza far menzione, tra l’altro, della sentenza
delle Sezioni Unite, di neppure due mesi prima, in cui viene espressamente data
per pacifica in giurisprudenza la tesi opposta [54].
Nel merito, la pronuncia dell’ottobre 2007 [55], dopo aver riconosciuto che l’art. 177, lett. a),
c.c. non contiene «alcuna specificazione delimitativa» in ordine ai «beni», da
intendersi quali «oggetto di ogni tipo di diritti» [56], richiama per l’ennesima volta (e, ancora una volta,
del tutto inutilmente, visto che alle medesime conclusioni sarebbe stato
possibile pervenire per ben altre vie) la tesi della comunione senza quote [57], al fine di contestare l’assunto – più e più volte
sbandierato in passato – secondo il quale la comunione legale potrebbe avere ad
oggetto solo diritti reali, essendo l’istituto di cui agli artt. 1100 ss. c.c.
collocato dal codice nel libro della proprietà.
Segue un discutibile richiamo alla diversità di
finalità della comunione legale, rispetto a quella ordinaria; richiamo che
compare pure nella decisione del 2012 qui in commento: di tali due forme di
comunione, invero, mentre la seconda sarebbe volta «alla tutela della proprietà
individuale», la prima tenderebbe alla «tutela dalla famiglia attraverso
particolari forme di protezione della posizione dei coniugi nel suo ambito».
Francamente, riesce difficile comprendere per quali
ragioni tutelerebbe più la famiglia e meno la proprietà individuale ritenere
che i crediti siano compresi in comunione, specie se si pensa alla posizione
del coniuge non titolare «originario» dei crediti oggetto di lite, il quale,
nella specie, agiva (non certo nell’interesse della famiglia) proprio far
valere una sua pretesa alla metà di quel «bene». La verità è che, come in altra
sede più volte detto [58], il regime legale attiene al momento distributivo e
dunque ad un profilo che ha assai più a che vedere con l’interesse del singolo
(e, come si è visto, con un tendenziale pareggiamento della sua posizione
rispetto a quella del partner in
relazione alle ricchezze acquisite post
nuptias), che con quello di un allegato, ma indimostrato, «interesse
superiore della famiglia».
A ben vedere, la vera ratio decidendi della decisione in oggetto (cioè, appunto, quella
dell’ottobre 2007, resa dalla prima sezione della Cassazione), coincidente con
la stessa ratio decidendi della
sentenza qui in commento, è contenuta poche righe oltre, nell’enunciazione
della ratio dell’art. 177, lett. a),
c.c., che viene individuata in quella di «far entrare nella comunione, in linea
generale e salvo le specifiche eccezioni, ogni tipo di “bene” che ciascun
coniuge acquisti nel corso del matrimonio, e tenuto conto che nella realtà
economica moderna i valori mobiliari – tra i quali rientrano i titoli
obbligazionari – costituiscono una delle forme più diffuse e significative
d’investimento della ricchezza». La già illustrata idea che ha spinto il
riformatore del
Ma l’impostazione giurisprudenziale precedente alla
sentenza del 2007 appena richiamata, impostazione contraria alla caduta in
comunione del «bene» costituito dal diritto di credito, torna nuovamente a far
capolino in una decisione di pochi mesi successiva, in cui, per escludere la
necessità di integrazione del contraddittorio con il coniuge del promissario
acquirente, in relazione alla domanda proposta ex art. 2932 c.c. dal promittente venditore che aveva stipulato con
uno solo dei due, la Corte torna a ribadire che la comunione legale «riguarda
gli acquisti, ovvero gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della
proprietà della res o la costituzione
di diritti reali sulla medesima e non quindi i diritti di credito sorti dal
contratto concluso da uno dei coniugi, i quali per la loro stessa natura
relativa e personale, pur se strumentali all’acquisizione di una res non sono suscettibili di cadere in
comunione, con la conseguenza che, nel caso di contratto preliminare stipulato
da uno solo dei coniugi, nessun diritto può accampare l’altro coniuge, il quale
non è neppure legittimato a proporre domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c.» [59].
Che il revirement
attuato dalla Cassazione nell’ottobre 2007 abbia avuto vita difficile è poi
confermato da un’altra decisione, resa nel 2009 [60], con la quale si è stabilito che il credito per
l’indennizzo, dovuto, ai sensi dell’art. 936 c.c., dal proprietario del suolo
per opere fatte dal terzo con materiali propri, non costituisce un acquisto che
cade in comunione legale ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c., «dovendo
escludersi che la comunione degli acquisti provenienti da attività separata
possa comprendere tutti indistintamente i diritti di credito, in quanto, posto
che l’atto deve avere ad oggetto l’acquisizione di un “bene” ai sensi degli
articoli 810, 812 e 813 c.c., restano esclusi i meri diritti di credito che non
abbiano una componente patrimoniale suscettibile di acquisire un valore di
scambio».
Due anni dopo la S.C. [61] ribadisce l’esclusione dalla caduta in comunione dei
diritti di godimento derivanti al socio assegnatario di cooperativa edilizia,
mentre, nel medesimo anno 2011, in tema d’imposta sulle successioni, la Corte
ribadisce, invece, che il saldo attivo di un conto corrente bancario, intestato
– in regime di comunione legale dei beni – soltanto a uno dei coniugi e nel
quale siano affluiti proventi dell’attività separata svolta dallo stesso, se ancora
sussistente entra a far parte della comunione legale dei beni, ai sensi
dell’art. 177 c.c., comma primo, lett. c), al momento dello scioglimento della
stessa, determinato dalla morte, con la conseguente insorgenza, solo da tale
epoca, di una titolarità comune dei coniugi sul predetto saldo [62].
Nel periodo testé esaminato si prepara dunque il
terreno per la decisione del 2012 qui in commento, pure essa fondata sul discrimen, piuttosto opinabile, tra
quello che la Corte chiama un «mero diritto di credito», ovvero, in
alternativa, un diritto caratterizzato da una «componente patrimoniale
suscettibile di acquisire un valore di scambio». Nel primo caso, vale a dire in
relazione a diritti derivanti da un contratto preliminare di vendita, dalla
partecipazione a una cooperativa edilizia a contributo erariale o dal deposito
bancario, cioè di fronte ad entità prive di «una componente patrimoniale
suscettibile di acquisire un valore di scambio», l’idoneità a cadere in
comunione sarebbe esclusa. Idoneità che andrebbe invece affermata per i titoli
obbligazionari, i titoli di partecipazione azionaria e le quote di fondi
d’investimento.
L’interrogativo che sorge qui spontaneo attiene alla
correttezza di una distinzione fondata
sulla presenza o meno della citata «componente patrimoniale»: elemento,
quest’ultimo, che, a ben vedere, è addirittura sempre necessariamente inerente
al rapporto obbligatorio (cfr. art. 1174 c.c.). Anche questa distinzione
finisce dunque per confermare la convinzione che, in realtà, i crediti siano
idonei a cadere in comunione tout court.
8. I fondi
comuni di investimento di fronte alla comunione legale. I precedenti.
Passando alle questioni peculiari ai fondi comuni di
investimento, va detto in primo luogo che il tema venne sfiorato da una
decisione del 2006 della Cassazione, secondo cui il denaro ottenuto a titolo di
prezzo per l’alienazione di un bene personale rimane nella esclusiva
disponibilità del coniuge alienante anche quando esso venga dal medesimo
accantonato sotto forma di deposito bancario sul proprio conto corrente, con la
conseguenza che il coniuge può utilizzare quelle somme ai fini della
surrogazione reale di cui all’art. 179, lett. f), c.c. [63]. Il fatto è che [64] la Corte ammise in quell’occasione che il successivo
impiego del denaro per l’acquisto personale potesse obiettivamente determinare
l’esclusione dalla comunione del nuovo bene (tra l’altro, anche in assenza
della dichiarazione di esclusione richiesta dall’art. 179, lett. f), c.c.),
rappresentato, nella specie, proprio da quote di fondi comuni di investimento,
senza peraltro trattare della questione «preliminare» concernente l’idoneità in
astratto di tale tipo di beni a cadere in comunione, e dunque senza chiedersi
se per caso l’acquisto di tali fondi non avesse potuto determinare
l’applicazione della regola ex art.
177, lett. a), c.c.
La questione è esattamente colta dalla pronunzia di
legittimità ora in commento, la quale afferma che argomenti contrari alla
caduta in comunione dei fondi comuni di investimento non possono trarsi dalla
citata sentenza del 2006, «che, nel confermare l’orientamento secondo cui il
denaro depositato su un conto corrente intestato ad un coniuge in regime di
comunione legale non entra a far parte di tale comunione, non ha preso in
considerazione la circostanza che nel caso di specie il denaro era stato
successivamente reinvestito in quote di fondi comuni e non ha quindi affrontato
il problema dell’eventuale caduta in comunione legale immediata delle quote di
partecipazione a fondi comuni d’investimento».
La ragione di tale omissione va rinvenuta non già nel
fatto che la Corte, nel 2006, ritenesse che la sottoscrizione di quote di fondi
comuni d’investimento non desse luogo ad acquisto suscettibile di rientrare
nella comunione legale a norma dell’art. 177, comma primo, lett. a), c.c.,
bensì dalla circostanza, risultante dalla stessa sentenza di legittimità
predetta, che in quel giudizio il giudice di appello «aveva escluso che
l’acquisto di quote di fondi comuni fosse caduto in comunione legale, trattandosi
di surrogazione di un bene personale ai sensi dell’art. 179, comma 1, lett. f)
c.c., e che tale statuizione non era stata censurata dalla ricorrente, che
aveva invece dedotto che il denaro ricavato dalla vendita di bene personale era
stato depositato, prima del reinvestimento in quote di fondi comuni, su un
conto corrente del coniuge in comunione legale, cadendo per ciò solo nella
comunione legale». Ciò spiega perché, nel giudizio di legittimità definito con
la menzionata sentenza n. 1197 del 2006, il tema dell’eventuale caduta in
comunione legale immediata delle quote di partecipazione a fondi comuni
d’investimento era estraneo ai motivi di impugnazione e non costituiva oggetto
del giudizio medesimo [65].
L’interrogativo sulla caduta o meno in comunione dei
fondi era stato invece affrontato e risolto in senso negativo, in precedenza,
da una decisione di merito, secondo cui i diritti di credito nascenti
dall’investimento in gestioni patrimoniali non potrebbero ontologicamente
entrare a far parte della comunione legale, giacché «il capitale impiegato non
vede alterata in alcun modo la sua natura di denaro, che viene semmai
semplicemente surrogata da un diritto di credito, senza determinare un acquisto
inteso come operazione finalizzata al mutamento effettivo nell’assetto
patrimoniale dei coniugi» [66].
9. I fondi
comuni di investimento di fronte alla comunione legale. Le ragioni di
applicabilità dell’art. 177, lett. a), c.c.
Si è rilevato al riguardo che i fondi comuni di investimento,
nonostante la varietà della loro tipologia, sono tutti riconducibili ad una
medesima struttura: si tratta di un patrimonio separato, composto dalle
contribuzioni di una pluralità di partecipanti, ciascuno dei quali possiede
tante quote, tutte di uguale valore, in proporzione all’importo di danaro che
ha versato [67]. Tale patrimonio è autonomo da quello della società
che lo gestisce e la partecipazione ad esso si sostanzia nell’attribuzione, a
ciascuno, del diritto al rimborso della quota posseduta, secondo la quotazione
del giorno, predeterminato o a mera richiesta del partecipante [68]. All’esercizio del diritto di voto inerente agli
strumenti finanziari di pertinenza del fondo provvede, invece, in veste
discussa di mandataria o di proprietaria (a seconda della tesi seguita in
ordine alla titolarità dei beni del fondo), esclusivamente la società di
gestione del risparmio che lo ha istituito o che comunque se ne occupi.
Quest’ultimo aspetto rende la problematica della caduta in comunione delle quote
di partecipazione al fondo comune di investimento assai vicina a quella delle
azioni e degli strumenti di partecipazione al capitale di rischio nelle società
di capitali: il profilo squisitamente patrimonialistico e la finalità di puro
investimento che il coniuge acquirente persegue dovrebbero, dunque, condurre,
in coerenza con l’orientamento espresso in materia dalla giurisprudenza di
legittimità, nel senso della inclusione di tali fattispecie nella nozione di
«acquisto» ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c. [69].
A quest’impostazione sembra aderire, sostanzialmente,
anche la sentenza qui in commento, la quale rileva l’utilità, per
l’accoglimento della tesi favorevole, dell’orientamento giurisprudenziale che
ravvisa nel fondo stesso «un patrimonio separato, in cui la separazione
“garantisce adeguatamente la posizione dei partecipanti, i quali sono i
proprietari sostanziali dei beni di pertinenza del fondo, lasciando però la
titolarità formale di tali beni in capo alla società di gestione che lo ha
istituito” (Cass. 2010/16605), restando così evidenziata, in forza di tale
pronuncia, la componente patrimoniale insita nella quota di partecipazione al
fondo».
Alla possibile obiezione secondo cui
l’acquisto di quote di fondi comuni di investimento altro non sarebbe se non
una mera operazione di «parcheggio di capitali», come tale non produttivo di
maggiore (o comunque diversa) consistenza patrimoniale per l’acquirente, con la
conseguenza che la somma rimborsata al partecipante al fondo non potrebbe che
conservare la medesima natura di quella impiegata, si è replicato [70] osservando che occorrerebbe in primo luogo
individuare quale sia la natura del diritto vantato dai partecipanti al fondo
comune di investimento. Tale natura andrebbe così riconosciuta in quella, non già
di un semplice insieme di diritti di credito verso la società di gestione
(proprietaria, secondo alcuni, del fondo), bensì di una vera e propria
comunione pro indiviso fra i
partecipanti sui beni e gli strumenti finanziari del fondo, gestita, comunque, dalla
società che ha istituito il fondo o da altra competente. Da quanto sopra
deriverebbe quindi che l’argomento
solitamente addotto per escludere dalla comunione legale i rapporti di credito
verrebbe qui posto senz’altro fuori gioco dal fatto che l’acquirente di quote
del fondo sarebbe in realtà acquirente di un diritto reale [71].
A chi scrive sembra che, comunque si voglia inquadrare
la posizione dell’acquirente di una quota di fondi comuni di investimento, i
diritti incorporati in titoli di massa ed altri strumenti di investimento
rappresentano l’obiettivo finale di un’operazione, il cui significato economico
e giuridico è quello di mutare l’oggetto del credito in un quid novi: in una forma di acquisto che, come del resto ricavabile
dal testo dell’art. 192, comma terzo, c.c., viene equiparato ad ogni altro tipo
di spesa «per la comunione» e che pertanto non può che fruttare a suo favore. A
conclusioni opposte perviene chi, pur insistendo sul concetto di quid novi, interpreta siffatto concetto
in chiave più economica che giuridica, richiedendo che il bene acquistato
comporti l’ingresso di «risorse patrimoniali nuove» [72]: irrilevante sarebbe dunque il fatto che il denaro si
tramuti in un titolo, il quale attribuisca il diritto ad ottenere quella somma
di denaro e a tale titolo sarebbero equiparabili alcune delle fattispecie qui
esaminate: dalle obbligazioni societarie, ai titoli di Stato e ai fondi di
investimento [73].
Se la conclusione vale senz’altro per titoli quali la
cambiale e l’assegno, la cui emissione non muta la natura del rapporto
originario (non per nulla l’emissione di essi lascia sopravvivere l’azione
causale: cfr. artt. 58, r.d. 21
dicembre 1933, n. 1736; 66, r.d. 5 dicembre 1933, n. 1669), essa non può
invece estendersi alle altre fattispecie sopra menzionate, in cui il credito
che viene a maturare con il debitore non coincide con quello di restituzione,
puro e semplice, del tantundem.
10.
Fondi comuni di investimento e dichiarazione di esclusione dalla comunione ex art. 179, lett. f), c.c.
Un’ultima questione peculiare al tema della caduta in
comunione delle quote di fondi comuni potrebbe essere costituita
dall’individuazione dei requisiti
formali della dichiarazione richiesta dall’art. 179, lett. f), c.c., in
relazione al caso in cui un coniuge intendesse conservare il carattere
personale della titolarità dell’investimento.
Sul punto va rilevato, in
linea generale che non sussiste, in linea di principio, alcun motivo per
disconoscere la validità di una dichiarazione di esclusione effettuata verbalmente
o anche solo per facta concludentia [74]. Il discorso non vale per
le ipotesi (riconducibili per lo più all’ambito applicativo del capoverso
dell’art. 179 c.c.) dei negozi traslativi assoggettati a prescrizioni di forma
(art. 1350 c.c.), posto che, avuto riguardo all’indispensabilità del requisito
in discorso, appare opportuno ritenere che la dichiarazione del coniuge
acquirente, almeno per gli acquisti di beni immobili per i quali è richiesta la
forma scritta a pena di nullità, debba possedere lo stesso vestimentum, così da divenire parte integrante dell’atto. Si noti
che, a prescindere dalle contingenti difficoltà probatorie, la regola potrà
trovare applicazione solo nelle vicende relative a rapporti tra coniugi,
perché, nei confronti dei terzi, il disposto dell’art. 197 c.c. rende comunque
necessaria la formazione di un atto scritto dotato di data certa.
Nel caso specifico delle
formalità da seguire al fine di rendere la
dichiarazione di personalità per l’acquisto di quote in fondi comuni di investimento
si è fatto presente che siffatti fondi vengono offerti al pubblico dalle
società di gestione del risparmio attraverso moduli di sottoscrizione o anche,
secondo quanto prevede la più recente normativa del d. lg. 24 febbraio 1998, n.
58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria,
ai sensi degli articoli 8 e 21 della l. 6 febbraio 1996, n. 52), via Internet, per cui potrebbe porsi un
problema in ordine al contesto in cui rendere la dichiarazione.
La risposta al problema potrebbe rinvenirsi o
nell’inserimento nei moduli in questione di apposite clausole relative allo status dell’acquirente o, laddove queste
manchino, in una pratica fondata anche sull’art. 1342 c.c., che prevede
espressamente la possibile aggiunta alle clausole predisposte nel modulo di
quelle volte ad adeguare la contrattazione standardizzata alle esigenze del
caso concreto, pur non realizzandosi nell’ipotesi in esame un contrasto fra
clausole standard e clausole oggetto
di trattativa individuale [75]. Più semplicemente, si potrebbe anche ipotizzare
un’apposita dichiarazione su documento a parte, inviata con atto avente data
certa al proponente, purché in data (anteriore o) contestuale a quella di
sottoscrizione del modulo.
Quanto al momento in cui la
dichiarazione va effettuata, dubbi sono stati affacciati circa la legittimità
di una dichiarazione rilasciata antecedentemente all’acquisto. Il problema
nasce per effetto della formulazione letterale della lett. f), la quale fa
riferimento esclusivamente al momento perfezionativo della vicenda acquisitiva.
Appare però più ragionevole, al fine di alleggerire il più possibile gli oneri
posti a carico dell’acquirente, optare per la legittimità di una dichiarazione
emessa antecedentemente alla vicenda acquisitiva. Non appare invece ammissibile
il rilascio della dichiarazione in via successiva [76].
In merito al profilo
contenutistico della dichiarazione in esame – che forma oggetto di dispute e
contrasti anche all’estero [77] – si ritiene dai più
necessaria l’indicazione specifica e dettagliata dei beni personali costituenti
(direttamente, ovvero previa alienazione) la risorsa dell’acquisto che si
intende sottrarre alla comunione tramite la surrogazione. La tesi viene
giustificata per le esigenze di certezza di cui il requisito formale in
commento è espressione, rilevandosi altresì che, a ben vedere, essa non
comporta un eccessivo sacrificio per il coniuge acquirente che, ben conoscendo
la provenienza dei beni utilizzati, li può indicare senza particolari remore o
difficoltà qualora sussistano realmente i presupposti per l’esclusione dalla
comunione.
Malgrado le osservazioni di
cui sopra, la soluzione non pare trovare sufficiente supporto normativo;
d’altro canto, esigenze di semplificazione dell’esercizio del diritto soggettivo
del coniuge di mantenere la titolarità individuale dei propri cespiti inducono
a considerare sufficiente una dichiarazione di contenuto generico. Si è
rilevato che, da un punto di vista pratico, una maggiore specificità dovrebbe
rendere più agevole per il dichiarante l’assolvimento dell’onere della prova
della personalità dell’acquisto in caso di contestazione, così
contemporaneamente predeterminando il fatto costitutivo della sua pretesa,
oggetto della prova in formazione, posto che la dichiarazione potrebbe venire a
formare, ove accompagnata da ulteriori elementi indiziari, un indice presuntivo
ex art. 2727 s. c.c. Ma non bisogna
nascondersi che talora quello stesso più intenso grado di specificità potrebbe
anche trasformarsi in un’arma a doppio taglio, insita in questa sorta di
anticipata discovery a tutto
vantaggio di una futura, possibile, controparte processuale [78].
[1] Cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, nel Trattato di diritto civile e commerciale
Cicu-Messineo, I, Milano, 2010, p. 518 ss.
[2] Cfr. Costi,
Nuovo diritto di famiglia e operazioni bancarie, in Aa. Vv., Le operazioni bancarie, a cura di Portale, I, Milano, 1978, p. 178;
Gatti e Scardaccione, Titolarità
delle partecipazioni sociali in regime di comunione legale, in Vita not., 1978, p. 268; Mazzola e Re, Proposta di un
diverso modo d’intendere la comunione dei beni tra coniugi, in Riv. not.,
1978, p. 774, nt. 8; Perlingieri, Profili istituzionali del diritto civile,
Napoli, 1979, p. 254 s.; Saccà e Mollura, Impresa collettiva
societaria e comunione legale tra coniugi, Milano, 1981, p. 174 ss.;
G. Gabrielli, Comunione coniugale ed investimento in titoli, Milano, 1979, p. 10
ss.; Id., voce Regime
patrimoniale della famiglia, in D. disc. priv. sez. civ., XVI,
Torino, 1997, p. 347; C.M. Bianca,
La famiglia, Le successioni, in Diritto civile, II, Milano, 1981, p. 71
ss.; Prosperi, Sulla natura della comunione legale,
Napoli, 1983, p. 76 ss.; Venturini,
Comunione legale e diritti di credito,
Nota a Trib. Trani, 28 febbraio 1983, in Giur.
it., 1983, I, 2, c. 627 ss.; La Rocca,
Comunione legale tra coniugi e diritti di credito, in Rass. dir. civ.,
1984, p. 810 ss.; Di Martino, Gli
acquisti in regime di comunione legale fra coniugi, Milano, 1984, p. 61
ss.; Ead., L’acquisto dei
crediti in regime di comunione legale tra coniugi, in Quadrimestre,
1985, p. 30 ss.; Nuzzo, L’oggetto della comunione legale tra
coniugi, Milano, 1984, p. 47 ss., 54 ss.; Id.,
Le situazioni strumentali: titoli di
credito e opere dell’ingegno, in Aa.
Vv., La comunione legale, a
cura di C.M. Bianca, I, Padova, 1989, p. 117 ss.; Gionfrida Daino, La
posizione dei creditori nella comunione legale tra coniugi, Padova, 1986,
p. 107 ss.; Ead., Nota a Trib.
Ferrara, 21 maggio 1985, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, p. 509; De Falco, Nota a Cass., 23 luglio 1987,
n.
Peculiare la posizione di Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario
al diritto italiano della famiglia,
diretto da Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 1992, p. 106 s., favorevole
alla caduta in comunione dei crediti, sebbene con svariate limitazioni, così
rivedendo la posizione precedentemente espressa in Id., Della comunione legale, in Commentario alla riforma del
diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1,
Padova, 1977, p. 374 s. (su cui v. anche infra,
§ 5). Per la situazione anteriore alla riforma del 1975 v., nel senso della
caduta in comunione dei diritti di credito, Busnelli,
voce Comunione dei beni fra coniugi,
in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 273.
[3] Cfr. Oppo,
Responsabilità patrimoniale e nuovo
diritto di famiglia, in Riv. dir. civ.,
1976, I, p. 110, il quale, pur ammettendo la caduta in comunione dei crediti,
esclude, però, la legittimazione di ambedue i coniugi a far valere il diritto,
riconoscendola solo al soggetto del rapporto; Buonocore,
Comunione legale tra i coniugi e
partecipazione a società per azioni e società cooperative, in Riv. not., 1977, I, p. 1140 ss.; Coltro Campi, Comunione legale e operazioni sui titoli: considerazioni, in Banca, borsa, tit. cr., 1977, p. 364; Pavone La Rosa, Comunione coniugale e
partecipazioni sociali, in Riv. soc.,
1979, p. 6; Cian e Villani, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. dir. civ., 1980, I, p. 392; Busnelli,
La «comunione legale» nel diritto di famiglia riformato, in Riv. not., 1976, I, p. 42.
[4] Cfr. Detti,
Oggetto, natura, amministrazione della
comunione legale dei coniugi, in Riv.
not., 1976, I, p. 1176, 1183 e 1193; Celona,
Matrimonio e patrimonio, Milano,
1977, p. 55; A. Pino, Il diritto di famiglia, Padova, 1977, p.
108; Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p.
374 ss. (ma v. Id., Della comunione legale, 1992, cit., p.
106 ss, anche se con diverse limitazioni); Tamburrino,
Lineamenti del nuovo diritto di famiglia, Torino, 1978, p. 236; De Paola e Macrì, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia,
Milano, 1978, pp. 140; Furgiuele, Libertà e famiglia, Milano, 1979, p.
204; Comporti, Gli acquisti dei coniugi in regime di
comunione legale, in Riv. not.,
1979, I, p. 74 ss., 87 s.; Fragali,
La comunione, II, in Trattato di diritto civile e commerciale,
diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1978, p. 91, 123; F.
Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, Il regime patrimoniale
della famiglia, I, in Trattato di diritto civile e commerciale,
diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1979, p. 84; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, Il
regime patrimoniale della famiglia, in Commentario del codice civile,
redatto a cura di magistrati e docenti, I, 1, III, Torino, 1983, p. 164 s.; A. e M. Finocchiaro,
Diritto di famiglia, I, Milano, 1984,
p. 870 ss.; M. Finocchiaro, La comunione legale dei beni tra coniugi.
Cenni introduttivi, Relazione presentata all’incontro di studio sul tema: «
Settimana di formazione professionale dedicata al diritto civile - Diritto di
famiglia », organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, tenutasi a
Frascati, 15-19 nov. 1993, p. 22 ss.; Selvaggi,
La comunione legale tra coniugi, in Nuova giur. civ. comm., 1987,
II, p. 6; Cosentini, Assegnazione
di alloggio con patto di futura vendita prima del matrimonio, in Fam.
dir., 1994, p. 299; E. Russo, Ancora sull’oggetto della comunione legale: favor
communionis o favor personae coniugis?, in Dir. fam., 1998, p. 206 ss.; Id,
L’oggetto della comunione legale e i beni
personali, Artt. 177-179,
in Il codice civile, Commentario diretto da Schlesinger,
Milano, 1999, p.p. 251 ss.; Galgano,
Diritto civile e commerciale, IV, Padova, 1999, p. 99 ss.; Rimini, Acquisto immediato e differito nella comunione legale fra coniugi,
Padova, 2001, p. 157 ss., 163 ss.; Spitali, [Il regime legale]. L’oggetto, in AA.VV., Trattato di diritto di
famiglia, diretto da Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia,
Milano, 2002, p. 111 ss., 115 ss.; Pascali,
Il deposito sul conto corrente bancario
non costituisce acquisto ai sensi dell’art. 177, comma 1, lett. a), Nota a
Cass., 20 gennaio 2006, n.
[5] Cfr. ad es. Busnelli,
La «comunione legale» nel diritto di
famiglia riformato, cit., p. 41 s.
[6] V. ad esempio Oppo,
op. loc. ultt. citt.; Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 374; Santosuosso, Delle
persone e della famiglia, Il regime
patrimoniale della famiglia, cit.,
p. 164 s.; F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia,
I, cit., p. 85.
[7] Cfr. G.
Gabrielli, Comunione coniugale ed
investimento in titoli, Milano, 1979, p. 6 ss.
[8] G. Ferri,
voce Deposito bancario, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 280.
Nello stesso senso Molle, I contratti bancari, in Trattato di diritto civile, diretto da
Cicu e Messineo, Milano, 1978, p. 86.
[9] In senso favorevole alla caduta in comunione dei
diritti di credito cfr. Trib. Trani, 28 febbraio
[10] Cass., 18 luglio 1983, n.
[11] Si vedano in particolare le decisioni in materia di
partecipazioni societarie dei coniugi e di altre situazioni particolari legate
all’acquisto di crediti (su cui cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 558 ss.). La Corte aveva però omesso, in quelle occasioni, di trarre
dalle specifiche soluzioni offerte principi di carattere generale sul tema
della natura delle situazioni soggettive idonee a cadere in comunione.
[12] Cfr. Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, in Fam. dir., 2008, p. 5, con nota di Rimini; in Corr. giur., 2007, p. 1645, con nota di V. Carbone; ivi,
2008, p. 957, con nota di Finelli;
in Fam. pers. succ., 2008, p. 596,
con nota di Gorini; in Giur. it., 2008, p. 851, con nota di Riva; ivi, 2008, p. 1704, con nota di Luoni
e Cavanna; in Riv. not., 2008, II, p. 411, con nota di Toscano; ivi, p.
620, con nota di Musolino; in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 320,
con nota di Rinaldi; in Notariato, 2008, p. 148, con nota di Scotti.
[13] Cfr. E. Russo,
L’oggetto della comunione legale e i beni
personali, cit., p. 252 ss.
[14] Cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I, cit.,
p. 421 ss.
[15] Cfr. T. Auletta,
La comunione legale, cit., p. 86.
[16] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 530.
[17] La definizione «comunione legale» compare nella
rubrica della Sezione III (del Capo VI del Titolo VI del Libro I del c.c.).
Cfr. inoltre gli artt. 168, 171, 194, 210, 2825 c.c.
[18] Così testualmente Vitucci,
I diritti di credito, in La comunione legale, a cura di C.M.
Bianca, I, cit., p. 38.
[19] Secondo cui «Salvo che dalla legge risulti
diversamente, le disposizioni concernenti i beni immobili si applicano anche ai
diritti reali che hanno per oggetto beni immobili e alle azioni relative; le
disposizioni concernenti i beni mobili si applicano a tutti gli altri diritti».
[20] Cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I, cit.,
p. 535.
[21] In questo senso v. invece Pascali, Il deposito
sul conto corrente bancario non costituisce acquisto ai sensi dell’art. 177,
comma 1, lett. a), loc. ult. cit.
[22] V. in questo senso Schlesinger,
Della comunione legale, 1977, cit.,
p. 375; Furgiuele, Libertà e famiglia, cit., p. 204; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, Il
regime patrimoniale della famiglia, cit.,
p. 165 s.; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, p.
873; Musolino, Note in tema di comunione familiare, Nota
a Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, in Riv.
not., 2008, II, p. 621. In giurisprudenza v. Cass., 11 settembre 1991, n.
9513, cit.
[23] Sul tema v. per tutti Alagna,
Regime patrimoniale della famiglia e
operazioni bancarie, Padova, 1988, p. 39 ss.; Gerbo, Le operazioni
bancarie, in Aa. Vv., La comunione legale, a cura di C.M.
Bianca, I, cit., p. 159 ss. Pone l’accento sul «timore inespresso» di operatori
del settore, banche e notai in primo luogo, di incorrere, una volta
riconosciuta come possibile l’inclusione dei diritti obbligatori nella
comunione, «in seri ostacoli per il commercio e la circolazione dei beni» Autorino Stanzione, Diritto di famiglia, Torino, 1997, p. 372.
[24] Cfr. la circolare n. 63 del 21 ottobre 1975, in Riv. not., 1975, I, p. 1386 ss.
[25] Cfr. T. Auletta,
La comunione legale, cit., p. 87.
[26] Cfr. G.
Gabrielli, Comunione coniugale ed investimento in titoli,
cit., p. 14 s.; in senso conforme cfr. anche Cian
e Villani, La comunione dei beni tra coniugi (legale e
convenzionale), cit., p. 392.
[27] Cfr. Regine,
Comunione legale fra coniugi e
diritti di credito, cit., p. 631, nt. 16.
[28] Cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 553 ss.
[29] Cfr. Comporti,
Gli acquisti dei coniugi in regime di
comunione legale, cit., p. 74 s.; F. Corsi,
Il regime patrimoniale della famiglia,
I, cit., p. 87 s.
[30] Da T. Auletta,
La comunione legale, cit., p. 89.
[31] E. Russo,
L’oggetto della comunione legale e i beni
personali, cit., p. 256 ss.; nello stesso senso cfr. Id., Ancora
sull’oggetto della comunione legale: favor communionis o favor personae coniugis?,
cit., p. 209 s.
[32] Cfr. T. Auletta,
La comunione legale, cit., p. 90.
[33] Sul tema cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 349 ss.
[34] Cfr. ad es. Schlesinger,
Della comunione legale, 1977, cit.,
p. 375; F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia,
I, cit., p. 87; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, cit., p. 870 s.; Scotti, Comunione
legale e titoli di credito, Nota a Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, in Notariato, 2008, p. 148 ss.
[35] L’origine del concetto è sostanzialmente
pandettistica: cfr. per tutti Windscheid,
Lehrbuch des Pandektenrechts, II,
Frankfurt a. M., 1882, p. 1 s.: «Die Forderungsrechte bilden eine Unterart der
persönlichen Rechte. Persönliche Rechte sind diejenigen Rechte, welche zum
unmittelbaren Inhalt die Unterwerfung fremden Willens haben (…). Das heiβt näher, sie gebieten, daβ eine Person, zu Gunsten einer andern ihren Willen in
gewisser Weise zu einem äuβeren Verhalten
bestimme, daβ sie in gewisser
Weise handele».
[36] Cfr. ad es. Barbero,
Sistema istituzionale del diritto privato
italiano, I, Torino, 1955, p. 685 ss.
[37] Cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 541.
[38] Cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 541.
[39] Così Riva,
Comunione legale tra coniugi e diritti di credito, cit., p. 852 ss.
[40] Schlesinger,
Della comunione legale, 1992, cit.,
p. 107 s.
[41] Cfr. le pronunzie di legittimità citate supra, § 3.
[42] Cfr. per tutti Fragali,
La comunione, II, cit., p. 119 ss.
[43] Cfr. artt. 1292 ss. c.c.; nel senso che parte della
dottrina da tempo ammette la comunione di diritti di credito e per i necessari
richiami v. anche Nuzzo, L’oggetto della comunione legale tra coniugi,
cit., p. 57 ss.
[44] L’argomento è posto in luce da T. Auletta, La comunione legale, cit., p. 88.
[45] «Salvo quanto è disposto dagli articoli 720 e 722, le
porzioni devono essere formate, previa stima dei beni, comprendendo una
quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità, in
proporzione dell’entità di ciascuna quota». Per questo argomento cfr. G. Gabrielli e Cubeddu, op. cit.,
p. 59 s. V. inoltre, diffusamente, Di
Martino, Gli acquisti in regime di
comunione legale fra coniugi, in Aa.Vv., Studi in onore di Cesare
Grassetti, Milano, 1980, p. 70 ss.; Ead.,
La comunione legale tra coniugi.
L’oggetto, in Aa.Vv., Il diritto di famiglia,
Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, II, Il regime patrimoniale della
famiglia, Torino, 1997, p. 62.
[46] Cfr. Cass., 13 ottobre 1992, n. 11128, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 583,
con nota di Regine; in Vita not., 1993, I, p. 804; Cass., 21
gennaio 2000, n. 640; Cass., Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24657, in Corr. giur., 2008, p. 1100, con nota di Militerni; in Riv. not., II, 2008, p. 944, con nota di Timpano. In particolare, quest’ultima decisione ha affermato
il principio secondo cui i crediti del de
cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle
rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, sicché
ciascuno dei partecipanti ad essa può agire singolarmente per far valere
l’intero credito ereditario comune o anche la sola parte di credito
proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il
contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi; la partecipazione al
giudizio di costoro può essere richiesta dal convenuto debitore in relazione ad
un concreto interesse all’accertamento, nei confronti di tutti, della
sussistenza o meno del credito.
[47] Cfr. Cass., 5 marzo 2004, n. 4532.
[48] Cfr. Regine,
Comunione legale e diritti di credito,
cit., p. 633; Di Martino, La comunione legale tra coniugi. L’oggetto,
cit., p. 64.
[49] Cfr. Regine,
Comunione legale e diritti di credito,
cit., p. 633; Di Martino, La comunione legale tra coniugi. L’oggetto,
cit., p. 64. In giurisprudenza v. Trib. Trani, 28 febbraio 1983, cit.
[50] Svaluta questo richiamo invece Schlesinger, Della comunione legale, 1992, cit., p. 107, il quale pone in
evidenza il fatto che tale norma «si riferisce proprio ad un acquisto da
effettuare “congiuntamente” e, quindi, nulla dice in ordine all’acquisto di un
diritto personale compiuto “separatamente” da uno solo dei coniugi, e sulla
conseguente rilevanza riconoscibile ad un siffatto acquisto ai fini dell’art.
177, lett. a».
[51] Cfr. G.
Gabrielli e Cubeddu, op. cit., p. 59 s.
[52] Cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 558 ss.
[53] Cfr. Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, cit.
[54] Cfr. Cass., Sez. Un., 24 agosto 2007, n. 17952: «La
comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177 c.c., attiene agli
‘acquisti’, id est agli atti
implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i
diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali,
per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali
all’acquisizione di una res, non sono
suscettibili di cadere in comunione (Cass. 1.4.03 n. 4959, 4.3.03 n. 3185,
13.12.99 n. 13941, 18.2.99 n. 1363, 27.1.95 n. 987, 11.9.91 n. 9513)». La
pronunzia, come già detto, si è espressa sulla presenza di un litisconsorzio
necessario nel caso di azione promossa ex
art. 2932 c.c. dal promissario acquirente contro il promittente venditore di un
bene in comunione legale.
[55] Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, cit.
[56] Il richiamo all’assenza di «specificazioni
delimitative» compariva già in Cass., 27 maggio 1999, n. 5172, su cui cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 573 s.
[57] Per una critica alla quale cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 272 ss.
[58] Cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 343 ss.
[59] Cass., 24 gennaio 2008, n. 1548, cit. In una
decisione resa nel 2008 dalla Sezione Tributaria (cfr. Cass. 16 luglio 2008, n.
19567), la Corte ha ribadito che la comunione legale «riguarda gli acquisti,
vale a dire gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà di un
bene o la costituzione di diritti reali sullo stesso, non quindi i diritti di
credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro
natura “relativa e personale, pur se strumentali e finalizzati all’acquisto di
un bene, non sono suscettibili di rientrare in una comunione legale di beni”,
di tal che “è da escludersi la ... comprensione nella comunione legale” del
“saldo attivo” di un conto corrente bancario perché tale contratto è “fonte”
solo di un “diritto di credito”». Ciò premesso, la decisione ha stabilito che
tale saldo attivo «non può essere ricompresso nella nozione di “acquisti”»,
soggiungendo che siffatta conclusione sarebbe stata avallata dal precedente del
2007, senza peraltro tener conto del fatto che, in tale sentenza, l’affermata
(a livello peraltro di mero obiter)
non applicabilità dell’art. 177, lett. a), c.c. al saldo del conto corrente non
era stata legata alla posizione che nega in astratto l’idoneità dei crediti a
cadere in comunione, bensì alla circostanza che l’accantonamento di denaro sul
conto non è idoneo a far mutare a questo peculiare tipo di bene la natura sua
propria di denaro personale (se tale ai sensi dell’art. 179 c.c.), ovvero
«proprio», perché destinato alla comunione de
residuo (se tale ai sensi dell’art. 177, lett. b) o c), oppure ex art. 178 c.c.).
[60] Cfr. Cass., 15 gennaio 2009, n. 799, in Fam. dir., 2009, p. 571, con nota di Rimini.
[61] Cfr. Cass., 26 luglio 2011, n. 16305: «In tema di
assegnazione di alloggi di cooperative edilizie, il momento determinativo
dell’acquisto della titolarità dell’immobile da parte del singolo socio, onde
stabilire se il bene ricada, o meno, nella comunione legale tra coniugi, è
quello della stipula del contratto di trasferimento del diritto dominicale
(contestuale alla convenzione di mutuo individuale), poiché solo con la
conclusione di tale negozio il socio acquista, irrevocabilmente, la proprietà
dell’alloggio (assumendo, nel contempo, la veste di mutuatario dell’ente
erogatore), mentre la semplice qualità di socio, e la correlata “prenotazione”,
in tale veste, dell’alloggio, si pongono come vicende riconducibili soltanto a
diritti di credito nei confronti della cooperativa, inidonei, come tali, a
formare oggetto della communio incidens
familiare».
[62] Cass., 23 febbraio 2011, n. 4393: «In tema di imposta
sulle successioni, siccome al momento della morte del coniuge si scioglie la
comunione legale sui titoli (quali azioni, obbligazioni, titoli di stato, quote
di fondi di investimento etc.) in deposito presso banche (c.d. dossier) ed anche la comunione differita
– o de residuo – sui saldi attivi dei
depositi in conto corrente, l’attivo ereditario, sul quale determinare
l’imposta, è costituito soltanto dal 50% delle disponibilità bancarie, pure se
intestate al solo de cuius». Cfr.
inoltre Cass., 6 maggio 2009, n. 10386, richiamata dalla citata sentenza del
2011.
[63] Cfr. Cass., 20 gennaio 2006, n.
[64] Come illustrato da chi scrive in altra sede, nel
contesto della trattazione del fenomeno della surrogazione dei beni personali:
cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, Milano, 2010, p. 1037.
[65] Oberto, La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 606 s.
[66] Cfr. Trib. Palermo, 9 luglio 2001, in Fam. dir., 2002, p. 306, con nota di Saporito.
[67] Cfr. per tutti De
Casamassimi, Deposito in conto
corrente di danaro personale del coniuge e relativa utilizzazione per
l’acquisto di quote di partecipazione ad un fondo comune di investimento,
Nota a Cass., 20 gennaio 2006, n. 1197, in Nuova
giur. civ. comm., 2006, p. 942 ss.
[68] Sul tema della natura dei fondi comuni di
investimento cfr. Costi, La struttura dei fondi comuni di
investimento mobiliare nell’ordinamento giuridico italiano e nello schema di
riforma delle società commerciali, in Riv.
soc., 1968, p. 269 ss.; Nigro,
I fondi comuni di investimento mobiliari,
Milano, 1970; Picardi, Impresa e contratto nella gestione del
risparmio, Milano, 2004, p. 78 ss.
[69] Così De
Casamassimi, op. loc. ultt. citt.;
Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 607 s.
[70] Cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 607 s.
[71] Cfr., anche per i rinvii, De Casamassimi, op.
loc. ultt. citt., la quale rileva tra l’altro che la quota di
partecipazione al fondo entra effettivamente nel patrimonio di ciascuno dei
partecipanti, tanto che, come prescrive l’art. 36, comma sesto, d. lg. 24
febbraio 1998, n. 58 («Testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6
febbraio 1996, n. 52»), le azioni dei creditori personali dei singoli
partecipanti sono ammesse sulle quote ad essi appartenenti. Sul tema, per le
medesime conclusioni, v. anche Rimini,
Acquisto immediato e differito nella
comunione legale fra coniugi, cit., p. 185, il quale pone altresì in luce
come l’art. 201, sedicesimo comma, d. lg. cit., si riferisca espressamente alla
nomina di un commissario preposto alla «restituzione dei patrimoni di proprietà
dei clienti». Da notare ancora che Cass., 28 maggio 1997, n. 10031, in Giur. comm., 1998, II, p. 299, con nota
di Di Maio, ha affermato che, nel rapporto
con la società fiduciaria, al fiduciante è riconosciuto lo status di «“effettivo proprietario”, in virtù del quale gli è
attribuita una tutela di carattere reale, azionabile in via diretta ed
immediata nei confronti di ogni consociato»; negli stessi termini cfr. anche
Cass., 23 settembre 1997, n. 9355.
[72] Cfr. Schlesinger,
Della comunione legale, 1992, cit.,
p. 104, che richiama sul punto anche l’avviso di Luminoso, Accessione e
altre vicende delle cose nella comunione coniugale, in Riv. not., 1985, p. 787.
[73] Oberto, La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 607 s.
[74] Sul tema in
generale cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II,
cit., p. 1046.
[75] Cfr. De
Casamassimi, Deposito in conto
corrente di danaro personale del coniuge e relativa utilizzazione per
l’acquisto di quote di partecipazione ad un fondo comune di investimento,
cit., p. 942 ss.
[76] Sul punto si
rinvia a Oberto, La comunione legale tra coniugi, II,
cit., p. 1048.
[77] Oberto, La comunione legale tra coniugi, II,
cit., p. 1048 s.
[78] Per
approfondimenti e richiami cfr. Oberto,
La comunione legale tra coniugi, II,
cit., p. 1050 ss.