Giacomo Oberto

 

DIRITTI DI CREDITO, FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO

E COMUNIONE LEGALE

 

ABSTRACT: La Cassazione si pronuncia per la prima volta ex professo sul tema della caduta in comunione delle quote di fondi comuni di investimento. La conclusione positiva viene raggiunta nel contesto di una motivazione che prende lo spunto dal tema della riferibilità all’art. 177, lett. A), c.c. dei diritti di credito, in relazione ai quali viene riproposta la distinzione tra crediti aventi e crediti non aventi una componente patrimoniale «suscettibile di acquisire un valore di scambio». Così, mentre tra i primi rientrerebbero, oltre ai titoli obbligazionari, i titoli di partecipazione azionaria e le quote di fondi d’investimento, ai secondi sarebbero ascrivibili quelli derivanti da un contratto preliminare di compravendita, dalla partecipazione ad una cooperativa edilizia a contributo erariale, o da un deposito bancario. Il presente commento tenta di effettuare una sommaria rivisitazione in chiave critica delle varie posizioni espresse da dottrina e giurisprudenza su questi temi.

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La civilistica italiana di fronte al tema della caduta in comunione dei diritti di credito. Impostazione del problema. – 3. Gli argomenti addotti in senso contrario alla caduta in comunione dei crediti e le relative critiche. In particolare: gli argomenti fondati sulla lettera della legge. – 4. Segue. In particolare: gli argomenti relativi alla posizione del debitore, nonché all’inscindibilità tra lato attivo e lato passivo del rapporto obbligatorio. – 5. Segue. In particolare: gli argomenti relativi al carattere «relativo e personale» del rapporto obbligatorio. Conclusione. – 6. Le oscillazioni della Cassazione: le decisioni anteriori al revirement dell’ottobre 2007. – 7. Il revirement dell’ottobre 2007 e gli ulteriori sviluppi, sino alla decisione qui in commento. – 8. I fondi comuni di investimento di fronte alla comunione legale. I precedenti. – 9. I fondi comuni di investimento di fronte alla comunione legale. Le ragioni di applicabilità dell’art. 177, lett. a), c.c. – 10. Fondi comuni di investimento e dichiarazione di esclusione dalla comunione ex art. 179, lett. f), c.c.

 

1. Premessa.

 

Con la decisione in esame la S.C. ritorna sul tema della caduta dei diritti di credito in comunione legale. Nella specie si trattava di quote di fondi comuni d’investimento acquistate dal marito in costanza di regime legale con i proventi della sua attività professionale. Tali quote sono state ritenute in tutti i gradi del giudizio (divisorio del patrimonio comune) come facenti parte della comunione, ex art. 177 lett. a), c.c.

La motivazione contiene in parte qua alcune argomentazioni calate sul problema specifico della sorte dei fondi comuni di investimento, che vengono peraltro (correttamente) prospettate dopo la trattazione dei temi generali attinenti alla vexata quaestio della sorte dei crediti in comunione.

Rinviando ad una diversa sede per l’approfondimento delle molte e complesse questioni coinvolte, così come per la presentazione di un più completo apparato di rinvii dottrinali [1], potranno qui passarsi velocemente in rassegna le varie teorie che si contendono il campo, per poi tentare di esporre la posizione della Cassazione nel contesto delle varie decisioni in cui l’argomento predetto è stato affrontato.

 

 

2. La civilistica italiana di fronte al tema della caduta in comunione dei diritti di credito. Impostazione del problema.

 

Iniziando dalla disamina della dottrina formatasi a partire dalla Riforma del 1975 sul problema della caduta in comunione dei diritti di credito, potrà dirsi che, quanto meno in prima approssimazione, tre diversi indirizzi appaiono individuabili. Per il primo cadrebbero in comunione, indistintamente, tutti i diritti di credito [2]. Secondo un’altra opinione, l’art. 177, lett. a), c.c. sarebbe invece applicabile ai soli crediti aventi carattere «finale» e non «strumentale», divenendo quindi comuni quei soli crediti che realizzino veri investimenti [3] e non costituiscano meri mezzi per l’acquisto di diritti reali (si pensi ad es. all’impegno in cui si sostanzia il contratto preliminare). Ad avviso di un terzo gruppo di Autori, infine, i rapporti obbligatori non cadrebbero mai in comunione [4].

La seconda soluzione, tra le tre appena prospettate, è quella che ad oggi ha avuto minor seguito, forse perché legata in qualche modo all’idea – pure sostenuta da una parte della dottrina – secondo la quale, per uscire dalla impasse creata dall’alternativa tra diritti reali e diritti di credito, ed evitare gli inconvenienti dell’una o dell’altra tesi, sarebbe opportuno spostare l’attenzione sul concetto di «investimento» [5]. Secondo alcuni studiosi, dunque, cadrebbero in comunione i (soli) crediti (così come, ovviamente, i diritti reali) in grado di rappresentare un «investimento», come nel caso di titoli obbligazionari, buoni del tesoro, cartelle fondiarie, ecc. [6].

Ma sul punto è stato agevole controbattere, già svariati anni or sono, che, con il ricorso alla nozione di «investimento», non si fa che spostare il problema sul piano economico, senza portare alcun positivo contributo alla sua soluzione [7]. Invero, secondo le dottrine economiche, il termine «investimento» esprime qualsiasi impiego produttivo di beni; il che si può realizzare mediante l’acquisto di beni durevoli o di titoli, ma anche, secondo un’opinione assai autorevole, attraverso il mero deposito bancario [8], che invece, per l’avviso qui criticato, genererebbe un diritto personale del depositante nei confronti dell’azienda di credito.

 

 

3. Gli argomenti addotti in senso contrario alla caduta in comunione dei crediti e le relative critiche. In particolare: gli argomenti fondati sulla lettera della legge.

 

Posto quanto sopra, ineludibile sembra dunque l’alternativa «secca» tra la tesi che include e quella che esclude, nella loro globalità, i diritti di credito. Al riguardo, se la dottrina appare nella sua prevalenza, come detto, schierata per la prima soluzione, mentre oscillante risulta la posizione dei giudici di merito [9], la Cassazione si è per molti anni, più e più volte, dichiarata apertamente favorevole alla seconda [10]. A ben vedere, però (come del resto si avrà modo di dire a suo tempo), non sono mai mancate le prese di posizione del Supremo Collegio in situazione di (molte volte inconsapevole) contrasto con siffatta conclusione [11], fino al revirement attuato nel 2007, con il quale si è apertamente dichiarata superata la giurisprudenza contraria alla caduta in comunione dei crediti [12]: non senza contraddizioni e ripensamenti, come si vedrà.

Venendo ad una disamina critica delle argomentazioni variamente prospettate pro e contro la tesi della caduta in comunione dei crediti, va subito detto che una prima serie di obiezioni mosse alla tesi favorevole vorrebbe ricevere alimento da una lettura dell’art. 177, lett. a), c.c., tesa a porre in evidenza alcuni (discutibilissimi e reversibili) argomenti letterali. Tali impostazioni, come si avrà subito modo di vedere, potranno essere senz’altro accantonate.

Ciò vale, in primo luogo, per l’avviso che vorrebbe trarre argomenti dall’espressione «acquisti compiuti», contenuta nell’art. 177 c.c. Si sostiene, invero, che siffatta terminologia avrebbe il significato di «far compere» [13], così rendendo evidente la sfera di applicabilità della citata disposizione ai soli diritti reali. L’argomentazione – che ricorda singolarmente l’avviso di quella certa giurisprudenza di legittimità in materia di acquisti a titolo originario, secondo cui il verbo «compiere» non potrebbe denotare se non un’attività di tipo negoziale [14] – è stata efficacemente contrastata da altra dottrina, che, pur convenendo con il rilievo critico circa la atecnicità dell’espressione normativa, ha correttamente contestato che all’espressione possa essere attribuito un significato tanto riduttivo, coincidente con il solo compimento di atti d’acquisto a titolo derivativo [15]. E ciò a tacere del fatto che, se anche si volesse interpretare in tal modo il dettato normativo, non si riuscirebbe a comprendere perché mai il concetto di «far compere» non potrebbe estendersi anche all’acquisto di crediti [16].

Neppure sembra potersi trarre argomenti dal ricorso al sostantivo «beni» che troviamo sia nell’inciso della citata lett. a) dell’art. 177 (che esclude dalla caduta in comunione gli acquisti «relativi ai beni personali»), così come negli artt. 178 e 179 c.c., nonché in svariate norme sull’amministrazione, sui rapporti con i creditori e sullo scioglimento (cfr. artt. 180, 184-190, 192-197 c.c.), per non dire poi del fatto che la stessa comunione legale [17] viene chiamata «comunione legale dei beni» (corsivo d.a.) dall’art. 210 c.c. In proposito potrà obiettarsi come il linguaggio legislativo sia compendioso, per non dire impreciso. Come più volte si è detto, si acquista non il bene, ma il diritto sul bene (il bene rappresenta l’oggetto del diritto che viene acquistato). La stessa legge, del resto, non menziona acquisti di beni, bensì «relativi ai beni». Non v’è allora un’affidabile base testuale per distinguere gli acquisti di diritti di credito dagli acquisti di diritti reali, né per circoscrivere la portata della disposizione a questi ultimi, in quanto «relativi – essi soltanto – ai beni». Se per assurdo così non fosse, si potrebbe allora dubitare che appartengano alla comunione persino gli acquisti «compiuti dai due coniugi insieme (...) durante il matrimonio», ove si trattasse di acquisti «relativi» non a «beni» ma a diritti di credito. Si tratta del caso dei coniugi che si rendano congiuntamente cessionari di un credito, sulla cui appartenenza immediata alla comunione non è davvero consentito dubitare [18].

Non si dimentichi poi quanto positivamente stabilito dall’art. 813 c.c. [19]: disposizione dalla quale non pare poi così azzardato ricavare il principio secondo cui – anche senza accedere alle non condivisibili posizioni estremistiche di chi tende a sopprimere ogni «profilo creditizio» nelle partecipazioni societarie, riscontrandovi una vera e propria (e sola) relazione reale – «bene» possa ritenersi anche un mero rapporto creditizio, tanto più ove si ponga mente al principio che assegna alla norma circa la caduta in comunione immediata il ruolo di regola generale e dunque di criterio di giudizio, rispetto alla quale le eccezioni vanno singolarmente poste da specifiche norme (o da appositi, distinti principi, come, ad esempio, quello della salvaguardia dell’autonomia privata). Per non dire, poi, del fatto che lo stesso termine «beni», come l’omologo «cose», forma ormai da tempo oggetto di una lettura aperta all’inclusione di sempre nuove «entità» dematerializzate e proiettate verso forme di new properties, sovente assai più vicine alla forma «creditizia» che non a quella «reale» [20].

Per nulla condivisibile appare poi l’obiezione secondo cui l’inclusione in comunione legale dei crediti finirebbe con l’ «abrogare di fatto» le lett. b) e c) dell’art. 177 c.c. «poiché quei frutti e proventi non cadrebbero mai in comunione de residuo, se l’altro coniuge acquistasse immediatamente il diritto alla metà del credito agli stessi» [21]: l’appartenenza, invero, alla comunione residuale non è legata al carattere reale o personale del rapporto giuridico, ma alla sua riconducibilità (o meno) al concetto di «frutto» (di bene personale) o di «provento» (di attività separata).

 

 

4. Segue. In particolare: gli argomenti relativi alla posizione del debitore, nonché all’inscindibilità tra lato attivo e lato passivo del rapporto obbligatorio.

 

Venendo ora a considerare ulteriori argomenti utilizzati dalla dottrina per contrastare la caduta in comunione dei diritti di credito, occorrerà farsi carico di quell’opinione secondo cui l’interpretazione estensiva dell’art. 177, lett. a), c.c. finirebbe con il coinvolgere, con sicuri inconvenienti, nella vicenda acquisitiva anche la posizione del debitore, il quale rimarrebbe esposto alle pretese dell’altro coniuge, rischiando di non rimanere liberato, qualora adempisse nelle mani del creditore originario [22]. Sul punto la dottrina ha sin dall’inizio rappresentato i timori degli istituti di credito di vedersi esposti a richieste di adempimento o di risarcimento danni da parte dei coniugi dei depositanti o correntisti, che potrebbero contestare la legittimità di prelievi pur effettuati dal solo depositante o correntista, formalmente risultante verso la banca quale unico creditore [23]. Non per nulla fu proprio la rappresentazione di (asseriti) seri ostacoli per il commercio e la circolazione dei beni ad indurre l’Associazione Bancaria Italiana ad assumere, all’indomani stesso della approvazione della riforma del 1975, una posizione rigidamente contraria all’ingresso dei crediti in comunione legale [24].

Al riguardo si è obiettato [25] che, in seguito alla caduta in comunione legale, il debitore non viene coinvolto nella vicenda traslativa più di quanto non lo sia in un’ordinaria cessione del credito. In particolare, l’adempimento nelle mani dell’originario creditore avrà certamente effetto liberatorio se questi, senza colpa, ignorava che l’acquisto era caduto in comunione legale o se, in virtù dei principi sull’amministrazione, l’adempimento costituisce atto di ordinaria amministrazione. Si è così affermato che il debitore non resta liberato, pertanto, solo nel caso in cui l’adempimento configuri un atto di straordinaria amministrazione ed a condizione che egli conoscesse sia la sottoposizione del creditore al regime di comunione legale, sia la natura comune dell’acquisto. D’altra parte si è anche posto in evidenza che il debitore può invocare la tutela propria dell’adempimento al creditore apparente [26]. In proposito si è fatto notare che l’art. 1189 cpv. c.c. va coordinato con il disposto dell’art. 184, terzo comma, c.c. e pertanto, non potendosi ricostituire la comunione, stante l’irreversibile estinzione del credito, il coniuge che ha ricevuto il pagamento dovrebbe procedere alla restituzione della quota di spettanza dell’altro «secondo i valori correnti all’epoca della ricostituzione della comunione» [27].

Ora, come chiarito in altra sede [28], l’esazione del credito in comunione legale deve ritenersi, ex art. 180 c.c., atto di ordinaria amministrazione, con la conseguenza che da questo non sembra potersi far comunque discendere (a prescindere, dunque, dalla ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 1189 c.c.) conseguenze negative: né per i coniugi, né per i terzi.

Un’altra critica che è stata avanzata alla proposta di ritenere (anche) i crediti compresi nel regime legale attiene al fatto che il credito non costituirebbe un bene in senso proprio, ma un rapporto strumentale volto al conseguimento di un bene. Quest’ultimo e non il credito sarebbe allora oggetto della comunione legale, altrimenti verrebbe pregiudicata la discrezionalità del creditore circa il modo più appropriato per esercitare il proprio diritto [29]. Anche questa tesi risulta però strettamente legata a quella, già criticata, della caduta in comunione degli investimenti. Essa inoltre, come esattamente rilevato [30], non tiene conto del fatto che il credito costituisce un «valore» già prima ed a prescindere dal successivo conseguimento della prestazione, onde il coniuge potrebbe subire un pregiudizio dal mancato riconoscimento dei diritti che sorgono con riferimento alla posizione creditoria.

Ancora, si è affermato che, rispetto alla caduta in comunione dei crediti, si porrebbe come ostativo il rilievo per cui il coniuge dell’acquirente subentrerebbe inevitabilmente anche nella posizione debitoria, perché in comunione ricadrebbe l’intero rapporto obbligatorio, essendo questo l’oggetto dell’acquisto [31]. Ma l’arbitrarietà di questa conclusione è stata correttamente contestata da chi ha rilevato che al coniuge dell’acquirente si trasmettono solo gli effetti favorevoli dell’operazione economica, così come accade nel contratto a favore del terzo, con la conseguenza che egli subentra solo nel lato attivo del rapporto obbligatorio [32]. Il concetto d’acquisto indica infatti solo l’incremento patrimoniale, mentre la ratio del regime legale [33] conferma che intento del legislatore è quello di spartire gli incrementi patrimoniali e non certo le passività.

 

 

5. Segue. In particolare: gli argomenti relativi al carattere «relativo e personale» del rapporto obbligatorio. Conclusione.

 

Andrà poi ricordato che uno degli argomenti utilizzati dai primi commentatori della riforma del 1975 contro la caduta dei diritti di credito in comunione è che gli stessi avrebbero carattere «relativo e personale» [34].

Peraltro, è chiaro che la «relatività» e la «personalità» dei diritti di credito, così come contrapposte alla «realità» dei diritti reali, indicano solo l’assenza di quella caratteristica dell’inerenza alla res che contraddistingue, per l’appunto, i diritti disciplinati dal libro terzo dell’attuale codice civile [35], differenziandoli da quelli di credito, con conseguente esclusione di ogni diritto di seguito o di sequela [36]. Tali elementi, dunque, nulla hanno a che vedere con la possibilità o meno che un diritto personale e relativo, quale quello di credito, si comunichi ope legis ad altri, come reso del resto evidente dal fatto che, di regola, ogni credito è liberamente cedibile (cfr. artt. 1260 ss. c.c.), ad eccezione, naturalmente, di quei rapporti caratterizzati dalla «personalità», nel senso (diverso da quello testé esaminato) di «stretta inerenza alla persona» e di rilevanza del c.d. intuitus personae: si pensi, ad esempio, al credito agli alimenti. E la conclusione pare confermata dalle svariate ipotesi di trasferimento ex lege di rapporti di credito conosciute dal nostro ordinamento: dalla regola fissata dall’art. 1203 c.c. (surrogazione nei diritti del creditore, nei casi, per l’appunto, di pagamento con surrogazione) a quella scolpita nell’art. 1705 c.c. (sostituzione del mandante al mandatario nell’esercizio dei crediti derivanti dall’esecuzione del mandato) [37].

Concludendo sul punto, nessuna delle obiezioni mosse in dottrina pare scalfire la tesi che afferma la tendenziale caduta in comunione anche dei crediti,  la quale trova fondamento, innanzi tutto, nella lettera dell’art. 177, lett. a), c.c., che, parlando di acquisti, non legittima un’interpretazione restrittiva della nozione, limitata ai soli diritti reali, nonché, in secondo luogo, nella ratio del regime, in quanto anche il credito costituisce ricchezza volta ad accrescere il valore del patrimonio: una ricchezza di cui, in  una società caratterizzata dalla sempre maggiore rilevanza economica dei rapporti obbligatori appare assurdo ed anacronistico non tenere conto [38].

Come esattamente posto in luce da un’Autrice, anche da un punto di vista pratico, l’esclusione dei diritti di credito dal patrimonio comune rappresenta una forte compromissione delle potenzialità solidaristiche dell’istituto della comunione legale, in considerazione del fatto che nella società moderna la titolarità di posizioni soggettive personali e relative può costituire una componente rilevantissima del patrimonio individuale e una forma privilegiata di investimento. Ne deriva l’irragionevole conseguenza per cui la scelta del coniuge percettore di reddito di impiegare i propri guadagni in un modo piuttosto che in un altro si riverbererebbe sulla condivisione delle ricchezze con il partner: il bene immobile acquistato con i proventi del proprio lavoro confluirebbe immediatamente nella comunione legale tra i coniugi; al contrario, l’investimento mobiliare, estrinsecantesi ad esempio nella sottoscrizione di obbligazioni, rimarrebbe, secondo questa teoria, nella titolarità esclusiva del coniuge investitore [39].

 Estremamente significativo, del resto, l’autorevole revirement operato in dottrina da chi ha osservato che «Sebbene gli argomenti invocati non possano considerarsi decisivi, tuttavia deve ammettersi – re melius perpensa – che una esclusione radicale dei crediti dal novero dei diritti cui può applicarsi l’acquisto automatico in favore della comunione legale non troverebbe una sufficiente giustificazione nella pur doverosa opportunità di proteggere la controparte del coniuge che abbia negoziato ‘separatamente’; e che, soprattutto, non si vede come e perché potrebbe conciliarsi con i principi ispiratori della riforma qualificare ‘personale’ (escludendone l’altro coniuge) l’acquisto a titolo oneroso di un credito idoneo ad assicurare un ‘incremento’ patrimoniale» [40].

 

 

6. Le oscillazioni della Cassazione: le decisioni anteriori al revirement dell’ottobre 2007.

 

Le conclusioni di cui sopra ricevono conferma da una considerazione critica dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità.

Secondo la tesi seguita a più riprese e per molti anni dalla Corte di cassazione, invero, l’art. 177, lett. a), c.c. non potrebbe riferirsi ai diritti di credito, perché il vigente ordinamento conoscerebbe solo la comunione dei diritti reali, non dei diritti relativi [41]. L’argomento fa il pari con quello, di fonte dottrinale, secondo cui il nostro ordinamento non applica al credito spettante a più persone la disciplina della comunione, ma quella della solidarietà attiva, onde sarebbe scorretto ritenere che il medesimo possa essere ricompreso nella comunione legale [42]. Ora, se è vero che l’art. 1100 c.c. si riferisce testualmente ai soli diritti reali, è altrettanto vero che tale disposizione si limita ad enunciare le regole applicabili qualora si versi in una situazione di contitolarità di diritti di tal genere («Quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone, se il titolo o la legge non dispone diversamente, si applicano le norme seguenti»), non escludendo in alcun modo che anche diritti diversi da questi ultimi possano ricadere sotto la titolarità di più soggetti. A ben vedere, infatti, lo stesso codice dà per scontato che possano esistere obbligazioni con pluralità di soggetti, sia ex latere debitoris che ex latere creditoris [43] e il fenomeno della solidarietà o della parziarietà attiva (quest’ultima, tra l’altro, da presumersi tra creditori: arg. ex art. 1294 c.c.) non entra qui in gioco, di fronte alla disciplina sicuramente speciale determinata dal fatto che quei due particolari creditori sono, per l’appunto, coniugati in regime di comunione.

Da un punto di vista più generale, poi, sembra addirittura contestabile che non sia configurabile un rapporto di vera e propria comunione per i diritti di credito [44].

Basti pensare a quanto disposto dall’art. 727, primo comma, c.c. [45], da cui appare agevolmente desumibile che i crediti del de cuius entrano a far parte della comunione ereditaria, ciò che del resto è pacificamente e con costanza ammesso dalla stessa Corte di cassazione [46], la quale, oltre tutto, in almeno un’occasione, precedente al revirement del 2007 (sulla caduta in comunione immediata dei rapporti obbligatori), non ha avuto difficoltà ad affermare espressamente la ricaduta in comunione de residuo di taluni crediti [47]. E che la comunione legale possa abbracciare crediti è confermato dall’espressa previsione circa la caduta in comunione immediata delle aziende di cui all’art. 177, lett. d), c.c., atteso che la contitolarità dell’azienda non può realizzarsi se non attraverso la contitolarità delle situazioni soggettive in cui quest’ultima si articola: situazioni soggettive in cui trovano sicuramente un posto d’onore i diritti di credito. Ulteriore conferma deriva, poi, dall’art. 179, lett. b), c.c., che ammette la possibilità che i cespiti oggetto di donazione o testamento possano essere attribuiti dal disponente alla comunione. E che oggetto di donazione e successione possano essere i crediti pare del tutto incontroverso. Pertanto non sembra dubitabile che il credito cada in comunione quando è acquistato dai coniugi per effetto di donazione o successione e nell’atto sia stata fatta menzione della comunione legale.

Si rileva poi che ulteriore spunto a favore della tesi che include il credito nel patrimonio comune si può trarre dall’art. 177, lett. d), c.c., in quanto si osservi che i crediti fanno di certo parte dei beni dell’azienda comune [48], nonché dall’art. 177 cpv. c.c., ove si rilevi che si possono concretare in un diritto di credito gli utili e gli incrementi oggetto di comunione, nel caso di azienda appartenente ad uno dei coniugi prima del matrimonio, ma gestita da entrambi gli sposi durante il matrimonio [49].

La comunione legale è comunione di patrimonio: che nella comunione di patrimoni possano rientrare anche crediti sembra confermato, almeno con riguardo ai diritti personali di godimento, da un preciso dato testuale, ove si consideri che la norma dell’art. 180 c.c. contempla, fra gli atti di amministrazione dei beni della comunione, i contratti con cui questi diritti vengono acquistati dai coniugi [50]. La tesi criticata non ha tenuto nella dovuta considerazione che, con la caduta in comunione legale, non si verifica solo la costituzione della contitolarità dei coniugi sul bene, ma anche la sua sottoposizione ad una particolare disciplina, certamente diversa da quella propria della comunione ordinaria. Di conseguenza, bisogna prescindere da aprioristiche concezioni sulla natura dell’obbligazione soggettivamente complessa e verificare se la posizione creditoria possa appartenere ad ambedue i coniugi, tenuto conto della natura del diritto.

L’affermazione di quella giurisprudenza secondo cui l’art. 1100 c.c. non sembrerebbe riconoscere cittadinanza alla contitolarità di diritti di credito ha senso, quindi, solo se con essa s’intende dire che la contitolarità dei crediti non è regolata dal complesso di norme degli artt. 1100 ss. c.c., dettato in contemplazione esclusiva della contitolarità di diritti reali. Così precisata, l’affermazione stessa non offre alcun argo­mento contro la caduta dei crediti in comunione legale dei coniugi; giacché quest’ultima è espressione che designa un complesso normativo non coincidente con quello degli artt. 1100 ss. c.c. [51].

Peraltro, come già accennato in precedenza, la giurisprudenza di legittimità non si è sempre mostrata coerente nella negazione della caduta in comunione dei diritti di credito. Così, ad esempio, essa ha sempre affermato la riconducibilità all’art. 177, lett. a), c.c. dell’acquisto di partecipazioni societarie [52], senza farsi troppo carico di giustificare la distonia in tal modo apportata al sistema: un sistema che, nelle declamazioni teoriche, sino al revirement del 2007, era però quasi univocamente orientato all’affermazione dell’idoneità dei soli diritti reali a cadere in comunione.

 

 

7. Il revirement dell’ottobre 2007 e gli ulteriori sviluppi, sino alla decisione qui in commento.

 

Alla luce di quanto illustrato nel § precedente, non può non destare stupore l’understatement con cui, proprio nel citato revirement dell’ottobre 2007 [53], la Cassazione attribuisce il precedente orientamento, contrario alla caduta in comunione dei crediti, solo ad «alcune decisioni di questa Corte», senza far menzione, tra l’altro, della sentenza delle Sezioni Unite, di neppure due mesi prima, in cui viene espressamente data per pacifica in giurisprudenza la tesi opposta [54]. 

Nel merito, la pronuncia dell’ottobre 2007 [55], dopo aver riconosciuto che l’art. 177, lett. a), c.c. non contiene «alcuna specificazione delimitativa» in ordine ai «beni», da intendersi quali «oggetto di ogni tipo di diritti» [56], richiama per l’ennesima volta (e, ancora una volta, del tutto inutilmente, visto che alle medesime conclusioni sarebbe stato possibile pervenire per ben altre vie) la tesi della comunione senza quote [57], al fine di contestare l’assunto – più e più volte sbandierato in passato – secondo il quale la comunione legale potrebbe avere ad oggetto solo diritti reali, essendo l’istituto di cui agli artt. 1100 ss. c.c. collocato dal codice nel libro della proprietà.

Segue un discutibile richiamo alla diversità di finalità della comunione legale, rispetto a quella ordinaria; richiamo che compare pure nella decisione del 2012 qui in commento: di tali due forme di comunione, invero, mentre la seconda sarebbe volta «alla tutela della proprietà individuale», la prima tenderebbe alla «tutela dalla famiglia attraverso particolari forme di protezione della posizione dei coniugi nel suo ambito».

Francamente, riesce difficile comprendere per quali ragioni tutelerebbe più la famiglia e meno la proprietà individuale ritenere che i crediti siano compresi in comunione, specie se si pensa alla posizione del coniuge non titolare «originario» dei crediti oggetto di lite, il quale, nella specie, agiva (non certo nell’interesse della famiglia) proprio far valere una sua pretesa alla metà di quel «bene». La verità è che, come in altra sede più volte detto [58], il regime legale attiene al momento distributivo e dunque ad un profilo che ha assai più a che vedere con l’interesse del singolo (e, come si è visto, con un tendenziale pareggiamento della sua posizione rispetto a quella del partner in relazione alle ricchezze acquisite post nuptias), che con quello di un allegato, ma indimostrato, «interesse superiore della famiglia». 

A ben vedere, la vera ratio decidendi della decisione in oggetto (cioè, appunto, quella dell’ottobre 2007, resa dalla prima sezione della Cassazione), coincidente con la stessa ratio decidendi della sentenza qui in commento, è contenuta poche righe oltre, nell’enunciazione della ratio dell’art. 177, lett. a), c.c., che viene individuata in quella di «far entrare nella comunione, in linea generale e salvo le specifiche eccezioni, ogni tipo di “bene” che ciascun coniuge acquisti nel corso del matrimonio, e tenuto conto che nella realtà economica moderna i valori mobiliari – tra i quali rientrano i titoli obbligazionari – costituiscono una delle forme più diffuse e significative d’investimento della ricchezza». La già illustrata idea che ha spinto il riformatore del 1975 a prevedere come legale il regime di comunione, vale a dire quella di far partecipare entrambi i coniugi agli incrementi patrimoniali conseguiti manente communione, viene dunque correttamente e finalmente adottata dalla Cassazione, al fine di superare un’impostazione non aderente alla realtà. L’idea è quindi quella secondo cui oggetto di comunione sono i «beni», intesi come quegli stabili incrementi patrimoniali derivanti tanto dall’acquisto di diritti reali, che dall’acquisto di diritti di credito.

Ma l’impostazione giurisprudenziale precedente alla sentenza del 2007 appena richiamata, impostazione contraria alla caduta in comunione del «bene» costituito dal diritto di credito, torna nuovamente a far capolino in una decisione di pochi mesi successiva, in cui, per escludere la necessità di integrazione del contraddittorio con il coniuge del promissario acquirente, in relazione alla domanda proposta ex art. 2932 c.c. dal promittente venditore che aveva stipulato con uno solo dei due, la Corte torna a ribadire che la comunione legale «riguarda gli acquisti, ovvero gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima e non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all’acquisizione di una res non sono suscettibili di cadere in comunione, con la conseguenza che, nel caso di contratto preliminare stipulato da uno solo dei coniugi, nessun diritto può accampare l’altro coniuge, il quale non è neppure legittimato a proporre domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c.» [59].

Che il revirement attuato dalla Cassazione nell’ottobre 2007 abbia avuto vita difficile è poi confermato da un’altra decisione, resa nel 2009 [60], con la quale si è stabilito che il credito per l’indennizzo, dovuto, ai sensi dell’art. 936 c.c., dal proprietario del suolo per opere fatte dal terzo con materiali propri, non costituisce un acquisto che cade in comunione legale ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c., «dovendo escludersi che la comunione degli acquisti provenienti da attività separata possa comprendere tutti indistintamente i diritti di credito, in quanto, posto che l’atto deve avere ad oggetto l’acquisizione di un “bene” ai sensi degli articoli 810, 812 e 813 c.c., restano esclusi i meri diritti di credito che non abbiano una componente patrimoniale suscettibile di acquisire un valore di scambio».

Due anni dopo la S.C. [61] ribadisce l’esclusione dalla caduta in comunione dei diritti di godimento derivanti al socio assegnatario di cooperativa edilizia, mentre, nel medesimo anno 2011, in tema d’imposta sulle successioni, la Corte ribadisce, invece, che il saldo attivo di un conto corrente bancario, intestato – in regime di comunione legale dei beni – soltanto a uno dei coniugi e nel quale siano affluiti proventi dell’attività separata svolta dallo stesso, se ancora sussistente entra a far parte della comunione legale dei beni, ai sensi dell’art. 177 c.c., comma primo, lett. c), al momento dello scioglimento della stessa, determinato dalla morte, con la conseguente insorgenza, solo da tale epoca, di una titolarità comune dei coniugi sul predetto saldo [62].

Nel periodo testé esaminato si prepara dunque il terreno per la decisione del 2012 qui in commento, pure essa fondata sul discrimen, piuttosto opinabile, tra quello che la Corte chiama un «mero diritto di credito», ovvero, in alternativa, un diritto caratterizzato da una «componente patrimoniale suscettibile di acquisire un valore di scambio». Nel primo caso, vale a dire in relazione a diritti derivanti da un contratto preliminare di vendita, dalla partecipazione a una cooperativa edilizia a contributo erariale o dal deposito bancario, cioè di fronte ad entità prive di «una componente patrimoniale suscettibile di acquisire un valore di scambio», l’idoneità a cadere in comunione sarebbe esclusa. Idoneità che andrebbe invece affermata per i titoli obbligazionari, i titoli di partecipazione azionaria e le quote di fondi d’investimento.

L’interrogativo che sorge qui spontaneo attiene alla correttezza di una distinzione fondata  sulla presenza o meno della citata «componente patrimoniale»: elemento, quest’ultimo, che, a ben vedere, è addirittura sempre necessariamente inerente al rapporto obbligatorio (cfr. art. 1174 c.c.). Anche questa distinzione finisce dunque per confermare la convinzione che, in realtà, i crediti siano idonei a cadere in comunione tout court. 

 

 

8. I fondi comuni di investimento di fronte alla comunione legale. I precedenti.

 

Passando alle questioni peculiari ai fondi comuni di investimento, va detto in primo luogo che il tema venne sfiorato da una decisione del 2006 della Cassazione, secondo cui il denaro ottenuto a titolo di prezzo per l’alienazione di un bene personale rimane nella esclusiva disponibilità del coniuge alienante anche quando esso venga dal medesimo accantonato sotto forma di deposito bancario sul proprio conto corrente, con la conseguenza che il coniuge può utilizzare quelle somme ai fini della surrogazione reale di cui all’art. 179, lett. f), c.c. [63]. Il fatto è che [64] la Corte ammise in quell’occasione che il successivo impiego del denaro per l’acquisto personale potesse obiettivamente determinare l’esclusione dalla comunione del nuovo bene (tra l’altro, anche in assenza della dichiarazione di esclusione richiesta dall’art. 179, lett. f), c.c.), rappresentato, nella specie, proprio da quote di fondi comuni di investimento, senza peraltro trattare della questione «preliminare» concernente l’idoneità in astratto di tale tipo di beni a cadere in comunione, e dunque senza chiedersi se per caso l’acquisto di tali fondi non avesse potuto determinare l’applicazione della regola ex art. 177, lett. a), c.c.

La questione è esattamente colta dalla pronunzia di legittimità ora in commento, la quale afferma che argomenti contrari alla caduta in comunione dei fondi comuni di investimento non possono trarsi dalla citata sentenza del 2006, «che, nel confermare l’orientamento secondo cui il denaro depositato su un conto corrente intestato ad un coniuge in regime di comunione legale non entra a far parte di tale comunione, non ha preso in considerazione la circostanza che nel caso di specie il denaro era stato successivamente reinvestito in quote di fondi comuni e non ha quindi affrontato il problema dell’eventuale caduta in comunione legale immediata delle quote di partecipazione a fondi comuni d’investimento».

La ragione di tale omissione va rinvenuta non già nel fatto che la Corte, nel 2006, ritenesse che la sottoscrizione di quote di fondi comuni d’investimento non desse luogo ad acquisto suscettibile di rientrare nella comunione legale a norma dell’art. 177, comma primo, lett. a), c.c., bensì dalla circostanza, risultante dalla stessa sentenza di legittimità predetta, che in quel giudizio il giudice di appello «aveva escluso che l’acquisto di quote di fondi comuni fosse caduto in comunione legale, trattandosi di surrogazione di un bene personale ai sensi dell’art. 179, comma 1, lett. f) c.c., e che tale statuizione non era stata censurata dalla ricorrente, che aveva invece dedotto che il denaro ricavato dalla vendita di bene personale era stato depositato, prima del reinvestimento in quote di fondi comuni, su un conto corrente del coniuge in comunione legale, cadendo per ciò solo nella comunione legale». Ciò spiega perché, nel giudizio di legittimità definito con la menzionata sentenza n. 1197 del 2006, il tema dell’eventuale caduta in comunione legale immediata delle quote di partecipazione a fondi comuni d’investimento era estraneo ai motivi di impugnazione e non costituiva oggetto del giudizio medesimo [65].

L’interrogativo sulla caduta o meno in comunione dei fondi era stato invece affrontato e risolto in senso negativo, in precedenza, da una decisione di merito, secondo cui i diritti di credito nascenti dall’investimento in gestioni patrimoniali non potrebbero ontologicamente entrare a far parte della comunione legale, giacché «il capitale impiegato non vede alterata in alcun modo la sua natura di denaro, che viene semmai semplicemente surrogata da un diritto di credito, senza determinare un acquisto inteso come operazione finalizzata al mutamento effettivo nell’assetto patrimoniale dei coniugi» [66].

 

 

9. I fondi comuni di investimento di fronte alla comunione legale. Le ragioni di applicabilità dell’art. 177, lett. a), c.c.

 

Si è rilevato al riguardo che i fondi comuni di investimento, nonostante la varietà della loro tipologia, sono tutti riconducibili ad una medesima struttura: si tratta di un patrimonio separato, composto dalle contribuzioni di una pluralità di partecipanti, ciascuno dei quali possiede tante quote, tutte di uguale valore, in proporzione all’importo di danaro che ha versato [67]. Tale patrimonio è autonomo da quello della società che lo gestisce e la partecipazione ad esso si sostanzia nell’attribuzione, a ciascuno, del diritto al rimborso della quota posseduta, secondo la quotazione del giorno, predeterminato o a mera richiesta del partecipante [68]. All’esercizio del diritto di voto inerente agli strumenti finanziari di pertinenza del fondo provvede, invece, in veste discussa di mandataria o di proprietaria (a seconda della tesi seguita in ordine alla titolarità dei beni del fondo), esclusivamente la società di gestione del risparmio che lo ha istituito o che comunque se ne occupi. Quest’ultimo aspetto rende la problematica della caduta in comunione delle quote di partecipazione al fondo comune di investimento assai vicina a quella delle azioni e degli strumenti di partecipazione al capitale di rischio nelle società di capitali: il profilo squisitamente patrimonialistico e la finalità di puro investimento che il coniuge acquirente persegue dovrebbero, dunque, condurre, in coerenza con l’orientamento espresso in materia dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso della inclusione di tali fattispecie nella nozione di «acquisto» ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c. [69].

A quest’impostazione sembra aderire, sostanzialmente, anche la sentenza qui in commento, la quale rileva l’utilità, per l’accoglimento della tesi favorevole, dell’orientamento giurisprudenziale che ravvisa nel fondo stesso «un patrimonio separato, in cui la separazione “garantisce adeguatamente la posizione dei partecipanti, i quali sono i proprietari sostanziali dei beni di pertinenza del fondo, lasciando però la titolarità formale di tali beni in capo alla società di gestione che lo ha istituito” (Cass. 2010/16605), restando così evidenziata, in forza di tale pronuncia, la componente patrimoniale insita nella quota di partecipazione al fondo».

       Alla possibile obiezione secondo cui l’acquisto di quote di fondi comuni di investimento altro non sarebbe se non una mera operazione di «parcheggio di capitali», come tale non produttivo di maggiore (o comunque diversa) consistenza patrimoniale per l’acquirente, con la conseguenza che la somma rimborsata al partecipante al fondo non potrebbe che conservare la medesima natura di quella impiegata, si è replicato [70] osservando che occorrerebbe in primo luogo individuare quale sia la natura del diritto vantato dai partecipanti al fondo comune di investimento. Tale natura andrebbe così riconosciuta in quella, non già di un semplice insieme di diritti di credito verso la società di gestione (proprietaria, secondo alcuni, del fondo), bensì di una vera e propria comunione pro indiviso fra i partecipanti sui beni e gli strumenti finanziari del fondo, gestita, comunque, dalla società che ha istituito il fondo o da altra competente. Da quanto sopra deriverebbe quindi che  l’argomento solitamente addotto per escludere dalla comunione legale i rapporti di credito verrebbe qui posto senz’altro fuori gioco dal fatto che l’acquirente di quote del fondo sarebbe in realtà acquirente di un diritto reale [71].

A chi scrive sembra che, comunque si voglia inquadrare la posizione dell’acquirente di una quota di fondi comuni di investimento, i diritti incorporati in titoli di massa ed altri strumenti di investimento rappresentano l’obiettivo finale di un’operazione, il cui significato economico e giuridico è quello di mutare l’oggetto del credito in un quid novi: in una forma di acquisto che, come del resto ricavabile dal testo dell’art. 192, comma terzo, c.c., viene equiparato ad ogni altro tipo di spesa «per la comunione» e che pertanto non può che fruttare a suo favore. A conclusioni opposte perviene chi, pur insistendo sul concetto di quid novi, interpreta siffatto concetto in chiave più economica che giuridica, richiedendo che il bene acquistato comporti l’ingresso di «risorse patrimoniali nuove» [72]: irrilevante sarebbe dunque il fatto che il denaro si tramuti in un titolo, il quale attribuisca il diritto ad ottenere quella somma di denaro e a tale titolo sarebbero equiparabili alcune delle fattispecie qui esaminate: dalle obbligazioni societarie, ai titoli di Stato e ai fondi di investimento [73].

Se la conclusione vale senz’altro per titoli quali la cambiale e l’assegno, la cui emissione non muta la natura del rapporto originario (non per nulla l’emissione di essi lascia sopravvivere l’azione causale: cfr. artt. 58, r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736; 66, r.d. 5 dicembre 1933, n. 1669), essa non può invece estendersi alle altre fattispecie sopra menzionate, in cui il credito che viene a maturare con il debitore non coincide con quello di restituzione, puro e semplice, del tantundem. 

 

 

10. Fondi comuni di investimento e dichiarazione di esclusione dalla comunione ex art. 179, lett. f), c.c.

 

Un’ultima questione peculiare al tema della caduta in comunione delle quote di fondi comuni potrebbe essere costituita dall’individuazione dei requisiti formali della dichiarazione richiesta dall’art. 179, lett. f), c.c., in relazione al caso in cui un coniuge intendesse conservare il carattere personale della titolarità dell’investimento.

Sul punto va rilevato, in linea generale che non sussiste, in linea di principio, alcun motivo per disconoscere la validità di una dichiarazione di esclusione effettuata verbalmente o anche solo per facta concludentia [74]. Il discorso non vale per le ipotesi (riconducibili per lo più all’ambito applicativo del capoverso dell’art. 179 c.c.) dei negozi traslativi assoggettati a prescrizioni di forma (art. 1350 c.c.), posto che, avuto riguardo all’indispensabilità del requisito in discorso, appare opportuno ritenere che la dichiarazione del coniuge acquirente, almeno per gli acquisti di beni immobili per i quali è richiesta la forma scritta a pena di nullità, debba possedere lo stesso vestimentum, così da divenire parte integrante dell’atto. Si noti che, a prescindere dalle contingenti difficoltà probatorie, la regola potrà trovare applicazione solo nelle vicende relative a rapporti tra coniugi, perché, nei confronti dei terzi, il disposto dell’art. 197 c.c. rende comunque necessaria la formazione di un atto scritto dotato di data certa.

Nel caso specifico delle formalità da seguire al fine di rendere la dichiarazione di personalità per l’acquisto di quote in fondi comuni di investimento si è fatto presente che siffatti fondi vengono offerti al pubblico dalle società di gestione del risparmio attraverso moduli di sottoscrizione o anche, secondo quanto prevede la più recente normativa del d. lg. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della l. 6 febbraio 1996, n. 52), via Internet, per cui potrebbe porsi un problema in ordine al contesto in cui rendere la dichiarazione.

La risposta al problema potrebbe rinvenirsi o nell’inserimento nei moduli in questione di apposite clausole relative allo status dell’acquirente o, laddove queste manchino, in una pratica fondata anche sull’art. 1342 c.c., che prevede espressamente la possibile aggiunta alle clausole predisposte nel modulo di quelle volte ad adeguare la contrattazione standardizzata alle esigenze del caso concreto, pur non realizzandosi nell’ipotesi in esame un contrasto fra clausole standard e clausole oggetto di trattativa individuale [75]. Più semplicemente, si potrebbe anche ipotizzare un’apposita dichiarazione su documento a parte, inviata con atto avente data certa al proponente, purché in data (anteriore o) contestuale a quella di sottoscrizione del modulo.

Quanto al momento in cui la dichiarazione va effettuata, dubbi sono stati affacciati circa la legittimità di una dichiarazione rilasciata antecedentemente all’acquisto. Il problema nasce per effetto della formulazione letterale della lett. f), la quale fa riferimento esclusivamente al momento perfezionativo della vicenda acquisitiva. Appare però più ragionevole, al fine di alleggerire il più possibile gli oneri posti a carico dell’acquirente, optare per la legittimità di una dichiarazione emessa antecedentemente alla vicenda acquisitiva. Non appare invece ammissibile il rilascio della dichiarazione in via successiva [76].

In merito al profilo contenutistico della dichiarazione in esame – che forma oggetto di dispute e contrasti anche all’estero [77] – si ritiene dai più necessaria l’indicazione specifica e dettagliata dei beni personali costituenti (direttamente, ovvero previa alienazione) la risorsa dell’acquisto che si intende sottrarre alla comunione tramite la surrogazione. La tesi viene giustificata per le esigenze di certezza di cui il requisito formale in commento è espressione, rilevandosi altresì che, a ben vedere, essa non comporta un eccessivo sacrificio per il coniuge acquirente che, ben conoscendo la provenienza dei beni utilizzati, li può indicare senza particolari remore o difficoltà qualora sussistano realmente i presupposti per l’esclusione dalla comunione.

Malgrado le osservazioni di cui sopra, la soluzione non pare trovare sufficiente supporto normativo; d’altro canto, esigenze di semplificazione dell’esercizio del diritto soggettivo del coniuge di mantenere la titolarità individuale dei propri cespiti inducono a considerare sufficiente una dichiarazione di contenuto generico. Si è rilevato che, da un punto di vista pratico, una maggiore specificità dovrebbe rendere più agevole per il dichiarante l’assolvimento dell’onere della prova della personalità dell’acquisto in caso di contestazione, così contemporaneamente predeterminando il fatto costitutivo della sua pretesa, oggetto della prova in formazione, posto che la dichiarazione potrebbe venire a formare, ove accompagnata da ulteriori elementi indiziari, un indice presuntivo ex art. 2727 s. c.c. Ma non bisogna nascondersi che talora quello stesso più intenso grado di specificità potrebbe anche trasformarsi in un’arma a doppio taglio, insita in questa sorta di anticipata discovery a tutto vantaggio di una futura, possibile, controparte processuale [78].

 

HOME PAGE

INIZIO NOTA

SOMMARIO

 

 



[1] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, nel Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, I, Milano, 2010, p. 518 ss.

[2] Cfr. Costi, Nuovo diritto di famiglia e operazioni bancarie, in Aa. Vv., Le operazioni bancarie, a cura di Portale, I, Milano, 1978, p. 178; Gatti e Scardaccione, Titolarità delle partecipazioni sociali in regime di comunione legale, in Vita not., 1978, p. 268; Mazzola e Re, Proposta di un diverso modo d’intendere la comunione dei beni tra coniugi, in Riv. not., 1978, p. 774, nt. 8; Perlingieri, Profili istituzionali del diritto civile, Napoli, 1979, p. 254 s.; Saccà e Mollura, Impresa collettiva societaria e comunione legale tra coniugi, Milano, 1981, p. 174 ss.; G. Gabrielli, Comunione coniugale ed investimento in titoli, Milano, 1979, p. 10 ss.; Id., voce Regime patrimoniale della famiglia, in D. disc. priv. sez. civ., XVI, Torino, 1997, p. 347; C.M. Bianca, La famiglia, Le successioni, in Diritto civile, II, Milano, 1981, p. 71 ss.; Prosperi, Sulla natura della comunione legale, Napoli, 1983, p. 76 ss.; Venturini, Comunione legale e diritti di credito, Nota a Trib. Trani, 28 febbraio 1983, in Giur. it., 1983, I, 2, c. 627 ss.; La Rocca, Comunione legale tra coniugi e diritti di credito, in Rass. dir. civ., 1984, p. 810 ss.; Di Martino, Gli acquisti in regime di comunione legale fra coniugi, Milano, 1984, p. 61 ss.; Ead., L’acquisto dei crediti in regime di comunione legale tra coniugi, in Quadrimestre, 1985, p. 30 ss.; Nuzzo, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, Milano, 1984, p. 47 ss., 54 ss.; Id., Le situazioni strumentali: titoli di credito e opere dell’ingegno, in Aa. Vv., La comunione legale, a cura di C.M. Bianca, I, Padova, 1989, p. 117 ss.; Gionfrida Daino, La posizione dei creditori nella comunione legale tra coniugi, Padova, 1986, p. 107 ss.; Ead., Nota a Trib. Ferrara, 21 maggio 1985, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, p. 509; De Falco, Nota a Cass., 23 luglio 1987, n. 6424, in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, p. 459 ss.; Majello, voce Comunione dei beni tra coniugi, I), Profili sostanziali, in Enc. giur., VII, Roma, 1988, p. 3; Gerbo, Le operazioni bancarie, in Aa. Vv., La comunione legale, a cura di C.M. Bianca, I, cit., p. 163; Vitucci, I diritti di credito, ivi, p. 38; Lazzara, Il regime patrimoniale della famiglia, Catania, 1991, p. 182 ss.; Regine, Comunione legale fra coniugi e diritti di credito, Nota Cass., 11 settembre 1991, n. 9513, in Dir. e giur., 1992, II, p. 625; Id., Questioni in tema di contratto preliminare e comunione legale, in Nuova giur. civ. comm., 1995,1, p. 900 ss.; Santini, Comunione legale tra coniugi e procedimento di vendita di alloggi di edilizia economica e popolare, in Dir. fam., 1995, p. 319 ss.; Barbiera, La comunione legale, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 3, II, Torino, 1986, p. 466; Id., Il matrimonio, Milano, 2006, p. 508 s.; E. Quadri, L’oggetto della comunione legale tra coniugi: i beni in comunione immediata, in Fam. dir., 1996, p. 188 ss.; G. Gabrielli e Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, p. 57; D’Adda, I buoni ordinari del tesoro cadono in comunione legale, Nota a Trib. Milano, 21 maggio 1997, in Fam. dir., 1998, p. 553 ss.; T. Auletta, La comunione legale, in  Trattato di diritto privato diretto da Bessone, IV, Il diritto di famiglia, II, Torino, 1999, p. 84 ss.; Scacchi, Il credito come oggetto della comunione legale tra coniugi, Nota a Cass., 18 febbraio 1999, n. 1363, in Vita not., 2000, p. 162 ss.; Saporito, Conti correnti cointestati, valori mobiliari e comunione legale dei coniugi, Nota a Trib. Palermo, 9 luglio 2001, in Fam. dir., 2002, p. 306 ss.; Galasso, Del regime patrimoniale della famiglia, I, Del regime patrimoniale della famiglia, I, Art. 159-230, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2003, p. 209 s.; Cerolini, I rapporti patrimoniali della famiglia tra specialità e principi generali, I rapporti patrimoniali della famiglia tra specialità e principi generali, Milano, 2005, p. 81 ss.; Riva, La comunione legale, Padova, 2007, p. 104 ss.; Gorini, Diritti di credito e comunione legale, Nota a Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, in Fam. pers. succ., 2008, p. 596 ss.; Timpano, La comunione ereditaria si apre ai crediti: le Sezioni Unite sanciscono il superamento del principio «Nomina ipso iure dividuntur», Nota a Cass., Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24657, in Riv. not., II, 2008, p. 947 ss. (la quale pone in luce la mancanza di un «chiaro indice normativo da cui desumere l’esclusione dei crediti dalla comunione legale e che operi contro il principio generale di cui all’art. 177, comma 1, l. a, c.c.»). Alcuni degli Autori sopra citati (cfr. ad es. G. Gabrielli e Cubeddu, op. loc. ultt. citt.; Galasso, op. loc. ultt. citt.) precisano peraltro correttamente che vanno esclusi i rapporti caratterizzati dall’intuitus personae (sul punto specifico cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 540 s.).

Peculiare la posizione di Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 1992, p. 106 s., favorevole alla caduta in comunione dei crediti, sebbene con svariate limitazioni, così rivedendo la posizione precedentemente espressa in Id., Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 374 s. (su cui v. anche infra, § 5). Per la situazione anteriore alla riforma del 1975 v., nel senso della caduta in comunione dei diritti di credito, Busnelli, voce Comunione dei beni fra coniugi, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 273.

[3] Cfr. Oppo, Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 110, il quale, pur ammettendo la caduta in comunione dei crediti, esclude, però, la legittimazione di ambedue i coniugi a far valere il diritto, riconoscendola solo al soggetto del rapporto; Buonocore, Comunione legale tra i coniugi e partecipazione a società per azioni e società cooperative, in Riv. not., 1977, I, p. 1140 ss.; Coltro Campi, Comunione legale e operazioni sui titoli: considerazioni, in Banca, borsa, tit. cr., 1977, p. 364; Pavone La Rosa, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Riv. soc., 1979, p. 6; Cian e Villani, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. dir. civ., 1980, I,  p. 392; Busnelli, La «comunione legale» nel diritto di famiglia riformato, in Riv. not., 1976, I, p. 42.

[4] Cfr. Detti, Oggetto, natura, amministrazione della comunione legale dei coniugi, in Riv. not., 1976, I, p. 1176, 1183 e 1193; Celona, Matrimonio e patrimonio, Milano, 1977, p. 55; A. Pino, Il diritto di famiglia, Padova, 1977, p. 108; Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 374 ss. (ma v. Id., Della comunione legale, 1992, cit., p. 106 ss, anche se con diverse limitazioni); Tamburrino, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia, Torino, 1978, p. 236; De Paola e Macrì, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978, pp. 140; Furgiuele, Libertà e famiglia, Milano, 1979, p. 204; Comporti, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. not., 1979, I, p. 74 ss., 87 s.; Fragali, La comunione, II, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1978, p. 91, 123; F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, Il regime patrimoniale della famiglia, I, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1979, p. 84; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, Il regime patrimoniale della famiglia, in Commentario del codice civile, redatto a cura di magistrati e docenti, I, 1, III, Torino, 1983, p. 164 s.; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, p. 870 ss.; M. Finocchiaro, La comunione legale dei beni tra coniugi. Cenni introduttivi, Relazione presentata all’incontro di studio sul tema: « Settimana di formazione professionale dedicata al diritto civile - Diritto di famiglia », organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, tenutasi a Frascati, 15-19 nov. 1993, p. 22 ss.; Selvaggi, La comunione legale tra coniugi, in Nuova giur. civ. comm., 1987, II, p. 6; Cosentini, Assegnazione di alloggio con patto di futura vendita prima del matrimonio, in Fam. dir., 1994, p. 299; E. Russo, Ancora sull’oggetto della comunione legale: favor communionis o favor personae coniugis?, in Dir. fam., 1998, p. 206 ss.; Id, L’oggetto della comunione legale e i beni personali, Artt. 177-179, in Il codice civile, Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 1999, p.p. 251 ss.; Galgano, Diritto civile e commerciale, IV, Padova, 1999, p. 99 ss.; Rimini, Acquisto immediato e differito nella comunione legale fra coniugi, Padova, 2001, p. 157 ss., 163 ss.; Spitali, [Il regime legale]. L’oggetto, in AA.VV., Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2002, p. 111 ss., 115 ss.; Pascali, Il deposito sul conto corrente bancario non costituisce acquisto ai sensi dell’art. 177, comma 1, lett. a), Nota a Cass., 20 gennaio 2006, n. 1197, in Riv. not., 2006, II, p. 1035 ss. Osservando l’evoluzione dottrinale non si può fare a meno di concordare con chi ha rimarcato (cfr. T. Auletta, La comunione legale, cit., p. 84) che, in un primo tempo, l’opinione degli Autori era stata influenzata dall’autorevole parere espresso da Schlesinger in senso sostanzialmente negativo verso la caduta in comunione dei crediti. In seguito, il mutamento d’opinione espresso dall’Autore e il comparire di voci di dissenso tanto tra gli studiosi che tra i giudici hanno portato ad un ribaltamento della situazione, per cui può dirsi che oggi sia prevalente la tesi che non vede ostacoli all’applicabilità dell’art. 177, lett. a), c.c. ai rapporti di credito.

[5] Cfr. ad es. Busnelli, La «comunione legale» nel diritto di famiglia riformato, cit., p. 41 s.

[6] V. ad esempio Oppo, op. loc. ultt. citt.; Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 374; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 164 s.; F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, cit., p. 85.

[7] Cfr. G. Gabrielli, Comunione coniugale ed investimento in titoli, Milano, 1979, p. 6 ss.

[8] G. Ferri, voce Deposito bancario, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 280. Nello stesso senso Molle, I contratti bancari, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1978, p. 86.

[9] In senso favorevole alla caduta in comunione dei diritti di credito cfr. Trib. Trani, 28 febbraio 1983, in Giur. it., 1983, I, 2, c. 628; Trib. Catania, 28 aprile 1986, in Dir. fam., 1987, p. 188 (entrambe con riferimento alla stipula di un preliminare di acquisto); Trib. Catania, 16 marzo 1993, in Dir. fam., 1993, p. 1157 (assegnazione in locazione di un alloggio di edilizia popolare con patto di futura vendita); Trib. Milano, 21 maggio 1997, in Fam. dir., 1998, p. 551, con riferimento all’acquisto di titoli di Stato. Contra, Pret. Sorrento, 3 giugno 1978, in Dir. giur., 1979, p. 820 (contratto di locazione); App. Napoli, 15 maggio 1981, in Giur. merito, 1984, p. 98; Trib. Monza, 25 ottobre 1983, in Giust. civ., 1984, I, p. 583 (contratto preliminare); Trib. Roma, 17 maggio 1984, in Giust. civ., 1985, I, p. 1212 (contratto di locazione). Si vedano inoltre, nell’uno e nell’altro senso, tutte le pronunzie citate e commentate in relazione ai singoli casi di diritto di credito affrontati in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 558 ss.

[10] Cass., 18 luglio 1983, n. 4969, in Giur. it., 1984, I, 1, c. 286 (locazione); Cass., 24 febbraio 1986, n. 1136, in Vita not., 1986, p. 289 (locazione); Cass., 23 luglio 1987, n. 6424, in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, p. 456 (locazione e diritto di riscatto di un alloggio di edilizia popolare); Cass., 11 settembre 1991, n. 9513, cit. (preliminare); Cass., 9 luglio 1994, n. 6493, in Giust. civ., 1995, I, p. 455 (preliminare); Cass., 27 gennaio 1995, n. 987, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, p. 889, con nota di Regine (preliminare); Cass., 1° febbraio 1996, n. 875, in Dir. fam., 1997, p. 888; in Fam. dir., 1996, p. 543, con nota di Schlesinger; in Giust. civ., 1996, I, p. 1652; in Società, 1996, p. 661, con nota di Fiale; in Corr. giur., 1996, n. 392, con nota di R. Ambrosini (quote di cooperativa edilizia a r.l.); Cass., 12 maggio 1998, n. 4757, in Fam. dir., 1998, p. 569 (credito al trasferimento di un alloggio realizzato in cooperativa); Cass., 18 febbraio 1999, n. 1363, in Gius, 1999, p. 1704; in Vita not., 2000, p. 162, con nota di Scacchi (preliminare); Cass., 22 settembre 2000, n. 12554 (preliminare); Cass., 4 marzo 2003, n. 3185, in Giust. civ., 2004, I, p. 2832; in Giur. it., 2005, p. 958, con nota di Garda (preliminare); Cass., 24 gennaio 2008, n. 1548, in Contratti, 2008, p. 1014, con nota di Veltri (preliminare). Questo orientamento è stato, seppure solo incidentalmente, richiamato da Cass., Sez. Un., 24 agosto 2007, n. 17952, citata e commentata in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 772 ss., la quale si è pronunciata sulla presenza di un litisconsorzio necessario nel caso di azione promossa ex art. 2932 c.c. dal promissario acquirente contro il promittente venditore di un bene in comunione legale (sul tema cfr. pure Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 268 ss.). Per la giurisprudenza di merito orientata in questa direzione si può far rinvio alle decisioni citate relativamente al contratto di locazione in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 627 ss.).

[11] Si vedano in particolare le decisioni in materia di partecipazioni societarie dei coniugi e di altre situazioni particolari legate all’acquisto di crediti (su cui cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 558 ss.). La Corte aveva però omesso, in quelle occasioni, di trarre dalle specifiche soluzioni offerte principi di carattere generale sul tema della natura delle situazioni soggettive idonee a cadere in comunione.

[12] Cfr. Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, in Fam. dir., 2008, p. 5, con nota di Rimini; in Corr. giur., 2007, p. 1645, con nota di V. Carbone; ivi, 2008, p. 957, con nota di Finelli; in Fam. pers. succ., 2008, p. 596, con nota di Gorini; in Giur. it., 2008, p. 851, con nota di Riva; ivi, 2008, p. 1704, con nota di Luoni e Cavanna; in Riv. not., 2008, II, p. 411, con nota di Toscano; ivi, p. 620, con nota di Musolino; in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 320, con nota di Rinaldi; in Notariato, 2008, p. 148, con nota di Scotti.

[13] Cfr. E. Russo, L’oggetto della comunione legale e i beni personali, cit., p. 252 ss.

[14] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 421 ss.

[15] Cfr. T. Auletta, La comunione legale, cit., p. 86.

[16]  Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 530.

[17] La definizione «comunione legale» compare nella rubrica della Sezione III (del Capo VI del Titolo VI del Libro I del c.c.). Cfr. inoltre gli artt. 168, 171, 194, 210, 2825 c.c.

[18] Così testualmente Vitucci, I diritti di credito, in La comunione legale, a cura di C.M. Bianca, I, cit., p. 38.

[19] Secondo cui «Salvo che dalla legge risulti diversamente, le disposizioni concernenti i beni immobili si applicano anche ai diritti reali che hanno per oggetto beni immobili e alle azioni relative; le disposizioni concernenti i beni mobili si applicano a tutti gli altri diritti».

[20] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 535.

[21] In questo senso v. invece Pascali, Il deposito sul conto corrente bancario non costituisce acquisto ai sensi dell’art. 177, comma 1, lett. a), loc. ult. cit.

[22] V. in questo senso Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 375; Furgiuele, Libertà e famiglia, cit., p. 204; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 165 s.; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, p. 873; Musolino, Note in tema di comunione familiare, Nota a Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, in Riv. not., 2008, II, p. 621. In giurisprudenza v. Cass., 11 settembre 1991, n. 9513, cit.

[23] Sul tema v. per tutti Alagna, Regime patrimoniale della famiglia e operazioni bancarie, Padova, 1988, p. 39 ss.; Gerbo, Le operazioni bancarie, in Aa. Vv., La comunione legale, a cura di C.M. Bianca, I, cit., p. 159 ss. Pone l’accento sul «timore inespresso» di operatori del settore, banche e notai in primo luogo, di incorrere, una volta riconosciuta come possibile l’inclusione dei diritti obbligatori nella comunione, «in seri ostacoli per il commercio e la circolazione dei beni» Autorino Stanzione, Diritto di famiglia, Torino, 1997, p. 372.

[24] Cfr. la circolare n. 63 del 21 ottobre 1975, in Riv. not., 1975, I, p. 1386 ss.

[25] Cfr. T. Auletta, La comunione legale, cit., p. 87.

[26] Cfr. G. Gabrielli, Comunione coniugale ed investimento in titoli, cit., p. 14 s.; in senso conforme cfr. anche Cian e Villani, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), cit., p. 392.

[27] Cfr. Regine, Comunione legale fra coniugi e diritti di credito, cit., p. 631, nt. 16.

[28] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 553 ss.

[29] Cfr. Comporti, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, cit., p. 74 s.; F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, cit., p. 87 s.

[30] Da T. Auletta, La comunione legale, cit., p. 89.

[31] E. Russo, L’oggetto della comunione legale e i beni personali, cit., p. 256 ss.; nello stesso senso cfr. Id., Ancora sull’oggetto della comunione legale: favor communionis o favor personae coniugis?, cit., p. 209 s.

[32] Cfr. T. Auletta, La comunione legale, cit., p. 90.

[33]  Sul tema cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 349 ss.

[34] Cfr. ad es. Schlesinger, Della comunione legale, 1977, cit., p. 375; F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, cit., p. 87; A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, cit., p. 870 s.; Scotti, Comunione legale e titoli di credito, Nota a Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, in Notariato, 2008, p. 148 ss.

[35] L’origine del concetto è sostanzialmente pandettistica: cfr. per tutti Windscheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, II, Frankfurt a. M., 1882, p. 1 s.: «Die Forderungsrechte bilden eine Unterart der persönlichen Rechte. Persönliche Rechte sind diejenigen Rechte, welche zum unmittelbaren Inhalt die Unterwerfung fremden Willens haben (…). Das heiβt näher, sie gebieten, daβ eine Person, zu Gunsten einer andern ihren Willen in gewisser Weise zu einem äuβeren Verhalten bestimme, daβ sie in gewisser Weise handele».

[36] Cfr. ad es. Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, I, Torino, 1955, p. 685 ss.

[37] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 541.

[38] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 541.

[39] Così Riva, Comunione legale tra coniugi e diritti di credito, cit., p. 852 ss. 

[40] Schlesinger, Della comunione legale, 1992, cit., p. 107 s.

[41] Cfr. le pronunzie di legittimità citate supra, § 3.

[42] Cfr. per tutti Fragali, La comunione, II, cit., p. 119 ss.

[43] Cfr. artt. 1292 ss. c.c.; nel senso che parte della dottrina da tempo ammette la comunione di diritti di credito e per i necessari richiami v. anche Nuzzo, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, cit., p. 57 ss.

[44] L’argomento è posto in luce da T. Auletta, La comunione legale, cit., p. 88.

[45] «Salvo quanto è disposto dagli articoli 720 e 722, le porzioni devono essere formate, previa stima dei beni, comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità, in proporzione dell’entità di ciascuna quota». Per questo argomento cfr. G. Gabrielli e Cubeddu, op. cit., p. 59 s. V. inoltre, diffusamente, Di Martino, Gli acquisti in regime di comunione legale fra coniugi, in Aa.Vv., Studi in onore di Cesare Grassetti, Milano, 1980, p. 70 ss.; Ead., La comunione legale tra coniugi. L’oggetto, in Aa.Vv., Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, II, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1997, p. 62.

[46] Cfr. Cass., 13 ottobre 1992, n. 11128, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 583, con nota di Regine; in Vita not., 1993, I, p. 804; Cass., 21 gennaio 2000, n. 640; Cass., Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24657, in Corr. giur., 2008, p. 1100, con nota di Militerni; in Riv. not., II, 2008, p. 944, con nota di Timpano. In particolare, quest’ultima decisione ha affermato il principio secondo cui i crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, sicché ciascuno dei partecipanti ad essa può agire singolarmente per far valere l’intero credito ereditario comune o anche la sola parte di credito proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi; la partecipazione al giudizio di costoro può essere richiesta dal convenuto debitore in relazione ad un concreto interesse all’accertamento, nei confronti di tutti, della sussistenza o meno del credito.

[47] Cfr. Cass., 5 marzo 2004, n. 4532.

[48] Cfr. Regine, Comunione legale e diritti di credito, cit., p. 633; Di Martino, La comunione legale tra coniugi. L’oggetto, cit., p. 64.

[49] Cfr. Regine, Comunione legale e diritti di credito, cit., p. 633; Di Martino, La comunione legale tra coniugi. L’oggetto, cit., p. 64. In giurisprudenza v. Trib. Trani, 28 febbraio 1983, cit.

[50] Svaluta questo richiamo invece Schlesinger, Della comunione legale, 1992, cit., p. 107, il quale pone in evidenza il fatto che tale norma «si riferisce proprio ad un acquisto da effettuare “congiuntamente” e, quindi, nulla dice in ordine all’acquisto di un diritto personale compiuto “separatamente” da uno solo dei coniugi, e sulla conseguente rilevanza riconoscibile ad un siffatto acquisto ai fini dell’art. 177, lett. a».

[51] Cfr. G. Gabrielli e Cubeddu, op. cit., p. 59 s.

[52] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 558 ss.

[53] Cfr. Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, cit.

[54] Cfr. Cass., Sez. Un., 24 agosto 2007, n. 17952: «La comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177 c.c., attiene agli ‘acquisti’, id est agli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all’acquisizione di una res, non sono suscettibili di cadere in comunione (Cass. 1.4.03 n. 4959, 4.3.03 n. 3185, 13.12.99 n. 13941, 18.2.99 n. 1363, 27.1.95 n. 987, 11.9.91 n. 9513)». La pronunzia, come già detto, si è espressa sulla presenza di un litisconsorzio necessario nel caso di azione promossa ex art. 2932 c.c. dal promissario acquirente contro il promittente venditore di un bene in comunione legale.

[55] Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, cit.

[56] Il richiamo all’assenza di «specificazioni delimitative» compariva già in Cass., 27 maggio 1999, n. 5172, su cui cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 573 s.

[57] Per una critica alla quale cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 272 ss.

[58] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 343 ss.

[59] Cass., 24 gennaio 2008, n. 1548, cit. In una decisione resa nel 2008 dalla Sezione Tributaria (cfr. Cass. 16 luglio 2008, n. 19567), la Corte ha ribadito che la comunione legale «riguarda gli acquisti, vale a dire gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà di un bene o la costituzione di diritti reali sullo stesso, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro natura “relativa e personale, pur se strumentali e finalizzati all’acquisto di un bene, non sono suscettibili di rientrare in una comunione legale di beni”, di tal che “è da escludersi la ... comprensione nella comunione legale” del “saldo attivo” di un conto corrente bancario perché tale contratto è “fonte” solo di un “diritto di credito”». Ciò premesso, la decisione ha stabilito che tale saldo attivo «non può essere ricompresso nella nozione di “acquisti”», soggiungendo che siffatta conclusione sarebbe stata avallata dal precedente del 2007, senza peraltro tener conto del fatto che, in tale sentenza, l’affermata (a livello peraltro di mero obiter) non applicabilità dell’art. 177, lett. a), c.c. al saldo del conto corrente non era stata legata alla posizione che nega in astratto l’idoneità dei crediti a cadere in comunione, bensì alla circostanza che l’accantonamento di denaro sul conto non è idoneo a far mutare a questo peculiare tipo di bene la natura sua propria di denaro personale (se tale ai sensi dell’art. 179 c.c.), ovvero «proprio», perché destinato alla comunione de residuo (se tale ai sensi dell’art. 177, lett. b) o c), oppure ex art. 178 c.c.).

[60] Cfr. Cass., 15 gennaio 2009, n. 799, in Fam. dir., 2009, p. 571, con nota di Rimini.

[61] Cfr. Cass., 26 luglio 2011, n. 16305: «In tema di assegnazione di alloggi di cooperative edilizie, il momento determinativo dell’acquisto della titolarità dell’immobile da parte del singolo socio, onde stabilire se il bene ricada, o meno, nella comunione legale tra coniugi, è quello della stipula del contratto di trasferimento del diritto dominicale (contestuale alla convenzione di mutuo individuale), poiché solo con la conclusione di tale negozio il socio acquista, irrevocabilmente, la proprietà dell’alloggio (assumendo, nel contempo, la veste di mutuatario dell’ente erogatore), mentre la semplice qualità di socio, e la correlata “prenotazione”, in tale veste, dell’alloggio, si pongono come vicende riconducibili soltanto a diritti di credito nei confronti della cooperativa, inidonei, come tali, a formare oggetto della communio incidens familiare».

[62] Cass., 23 febbraio 2011, n. 4393: «In tema di imposta sulle successioni, siccome al momento della morte del coniuge si scioglie la comunione legale sui titoli (quali azioni, obbligazioni, titoli di stato, quote di fondi di investimento etc.) in deposito presso banche (c.d. dossier) ed anche la comunione differita – o de residuo – sui saldi attivi dei depositi in conto corrente, l’attivo ereditario, sul quale determinare l’imposta, è costituito soltanto dal 50% delle disponibilità bancarie, pure se intestate al solo de cuius». Cfr. inoltre Cass., 6 maggio 2009, n. 10386, richiamata dalla citata sentenza del 2011.

[63] Cfr. Cass., 20 gennaio 2006, n. 1197, in Riv. not., 2006, II, 1033, con nota di Pascali; in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, p. 942, con nota di De Casamassimi; in Giur. it., 2007, p. 601, con nota di Pugliese; in Riv. dir. privato, 2007, p. 189, con nota di Romoli; in Fam. pers. succ., 2006, p. 12, con nota di Polimeno e Tonzuso; ibidem, p. 695, con nota di Castelli. Per la caduta in comunione dei fondi comuni di investimento si era espressa invece chiaramente la sentenza di merito (della corte di Firenze) oggetto del ricorso deciso dalla pronunzia di legittimità appena citata.

[64] Come illustrato da chi scrive in altra sede, nel contesto della trattazione del fenomeno della surrogazione dei beni personali: cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, Milano, 2010, p. 1037.

[65] Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 606 s.

[66] Cfr. Trib. Palermo, 9 luglio 2001, in Fam. dir., 2002, p. 306, con nota di Saporito.

[67] Cfr. per tutti De Casamassimi, Deposito in conto corrente di danaro personale del coniuge e relativa utilizzazione per l’acquisto di quote di partecipazione ad un fondo comune di investimento, Nota a Cass., 20 gennaio 2006, n. 1197, in Nuova giur. civ. comm., 2006, p. 942 ss.

[68] Sul tema della natura dei fondi comuni di investimento cfr. Costi, La struttura dei fondi comuni di investimento mobiliare nell’ordinamento giuridico italiano e nello schema di riforma delle società commerciali, in Riv. soc., 1968, p. 269 ss.; Nigro, I fondi comuni di investimento mobiliari, Milano, 1970; Picardi, Impresa e contratto nella gestione del risparmio, Milano, 2004, p. 78 ss.

[69] Così De Casamassimi, op. loc. ultt. citt.; Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 607 s.

[70] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 607 s.

[71] Cfr., anche per i rinvii, De Casamassimi, op. loc. ultt. citt., la quale rileva tra l’altro che la quota di partecipazione al fondo entra effettivamente nel patrimonio di ciascuno dei partecipanti, tanto che, come prescrive l’art. 36, comma sesto, d. lg. 24 febbraio 1998, n. 58 («Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52»), le azioni dei creditori personali dei singoli partecipanti sono ammesse sulle quote ad essi appartenenti. Sul tema, per le medesime conclusioni, v. anche Rimini, Acquisto immediato e differito nella comunione legale fra coniugi, cit., p. 185, il quale pone altresì in luce come l’art. 201, sedicesimo comma, d. lg. cit., si riferisca espressamente alla nomina di un commissario preposto alla «restituzione dei patrimoni di proprietà dei clienti». Da notare ancora che Cass., 28 maggio 1997, n. 10031, in Giur. comm., 1998, II, p. 299, con nota di Di Maio, ha affermato che, nel rapporto con la società fiduciaria, al fiduciante è riconosciuto lo status di «“effettivo proprietario”, in virtù del quale gli è attribuita una tutela di carattere reale, azionabile in via diretta ed immediata nei confronti di ogni consociato»; negli stessi termini cfr. anche Cass., 23 settembre 1997, n. 9355.

[72] Cfr. Schlesinger, Della comunione legale, 1992, cit., p. 104, che richiama sul punto anche l’avviso di Luminoso, Accessione e altre vicende delle cose nella comunione coniugale, in Riv. not., 1985, p. 787.

[73] Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 607 s.

[74] Sul tema in generale cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1046.

[75] Cfr. De Casamassimi, Deposito in conto corrente di danaro personale del coniuge e relativa utilizzazione per l’acquisto di quote di partecipazione ad un fondo comune di investimento, cit., p. 942 ss.

[76] Sul punto si rinvia a Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1048.

[77] Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1048 s.

[78] Per approfondimenti e richiami cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1050 ss.