IL MATRIMONIO È MORTO:
EVVIVA LA PROMESSA DI MATRIMONIO!
Abstract: La Cassazione torna a
distanza di poco più di un anno sul tema del risarcimento del danno da rottura
di promessa di matrimonio risultante da richiesta di pubblicazioni
matrimoniali, confermando la tesi dell’obbligazione ex lege ed escludendo la
risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale. La pronuncia fornisce così
l’occasione di fare il punto sullo stato attuale di dottrina e giurisprudenza
sull’art. 81 c.c., passando in rassegni temi quali l’inquadramento della
fattispecie in relazione alle categorie tradizionali dell’illecito, la capacità
dei soggetti, la forma degli sponsali, il giusto motivo del rifiuto, il danno
risarcibile (con particolare riguardo al nocumento non patrimoniale), i
legittimati attivi all’azione, il termine per la proposizione della stessa, i
rapporti con l’art. 2043 c.c. (e l’impossibilità di configurare una
«responsabilità civile prematrimoniale»), la seduzione con promessa di
matrimonio.
Sommario: 1. Introduzione. La
fattispecie oggetto del giudizio.
– 2. La responsabilità per rottura della
promessa di matrimonio come obbligazione ex lege. – 3. Segue. La reale
portata della diatriba sulla natura della responsabilità in discorso. – 4. La capacità dei soggetti. – 5. La
forma degli sponsali e la loro natura vicendevole. – 6. Il
«giusto motivo» di rifiuto. – 7. Il danno risarcibile:
limitazioni di tipo qualitativo e quantitativo. – 8. Segue. I danni non patrimoniali. – 9. L’azione per il risarcimento dei danni: la legittimazione
attiva. – 10. Segue.
Il termine di proponibilità della domanda. – 11. Rapporti
tra gli artt. 81 e 2043 c.c., ovvero dell’impossibilità di configurare una
«responsabilità civile prematrimoniale». – 12. Segue. La seduzione con promessa di
matrimonio.
1. Introduzione. La fattispecie oggetto del giudizio.
Da un po’ di tempo a questa parte i dati statistici
segnalano una caduta quasi verticale del numero dei matrimoni, l’impennata
delle crisi coniugali e l’incremento galoppante delle unioni libere [1]:
può destare stupore, pertanto, il fatto che, proprio in questi ultimissimi
anni, il numero di sentenze sulla promessa di matrimonio registri un repentino
ed inaspettato incremento [2].
A ben vedere, però, l’ampliamento della casistica giurisprudenziale, più che
mostrare un persistente attaccamento all’istituto matrimoniale, sembra
riflettere la generale intensificazione del contenzioso su tutti i profili del
viver civile, che – in una distorta e delirante visione panprocessualistica
della società – vede sempre più il giudice trasformato, secondo l’efficace
immagine dell’amico e collega Antoine Garapon [3], in una sorta di «muro del pianto», al
cui cospetto un numero crescente di persone vengono a reclamare la garanzia
delle aspettative più varie.
Per questa ragione chi scrive non può che confermare
quanto notato sedici anni or sono, e cioè che un’apposita disciplina
codicistica di un istituto «vetusto», quale la promessa di matrimonio, continua
a mantenere una sua utilità [4].
Per quanto attiene alla fattispecie oggetto della
decisione qui in commento, trattasi di un’azione risarcitoria ex art. 81 c.c. proposta dalla fidanzata
contro l’ex fidanzato, che, a due giorni dal dì del fatidico «sì», aveva deciso
di cambiare idea. I giudici di merito condannano il mancato sposo al
risarcimento del danno, determinato nella misura di poco meno di diecimila
euro, a titolo di spese sostenute per la cerimonia andata in fumo, oltre a trentamila
euro per i danni morali. In parziale accoglimento del ricorso, la Cassazione
elimina invece la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, in
quanto non riconducibile alla previsione dell’art. cit.
2. La responsabilità per rottura della promessa di
matrimonio come obbligazione ex lege.
La decisione in commento riconduce espressamente
la fattispecie risarcitoria descritta dall’art. 81 c.c. in relazione alla
rottura della promessa di matrimonio non già ad «una piena responsabilità per
danni», bensì ad «un’obbligazione ex lege
a rimborsare alla controparte quanto meno l’importo delle spese affrontate e
delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio». Sul punto la sentenza
riprende esattamente il decisum di un
precedente di legittimità del 2010, secondo cui la responsabilità nascente
dalla rottura della promessa di matrimonio non è né una responsabilità
extracontrattuale, in quanto il recesso dalla promessa di matrimonio non può
essere considerato condotta antigiuridica, né una responsabilità contrattuale,
in quanto gli sponsali non sono un contratto. Si tratta, invece, di una
singolare obbligazione ex lege, a
carico della parte che si avvale del diritto di recesso dalla promessa di
matrimonio, che «costituisce una particolare forma di riparazione riconosciuta
al di fuori di un presupposto di illiceità, essendo ricollegata direttamente
dalla legge alla rottura della promessa di matrimonio senza giusto motivo» [5].
La conclusione deve essere senz’altro condivisa.
A seguito dell’introduzione del requisito della
patrimonialità della prestazione oggetto dell’obbligazione e del contratto, ad
opera degli artt. 1174 e 1321 c.c. del 1942, dottrina e giurisprudenza
abbandonarono in Italia la tesi che, in precedenza, aveva riconosciuto nella
promessa di matrimonio l’esistenza di un vero e proprio contratto, orientandosi
piuttosto verso la categoria dell’«atto giuridico in senso stretto», vale a
dire quel comportamento, volontario e consapevole, capace di rilevare quale
mero presupposto di effetti rigidamente preordinati dalla legge, come un
elemento, cioè, integrante fattispecie più complesse. Parallelamente si è
operato il definitivo superamento della concezione contrattuale della
responsabilità per rottura della promessa [6].
È evidente che questa seconda conclusione non è
completamente legata alla prima, ben potendo sussistere una responsabilità
«contrattuale» per inadempimento di un’obbligazione di fonte legale [7].
Il fatto è che qui l’impossibilità di un richiamo all’art. 1218 c.c., prima
ancora che un effetto della mancanza del requisito della patrimonialità, è il
portato di quella regola (art. 79 c.c.) che chiaramente esclude che dalla
promessa possa sorgere un obbligo di celebrare le nozze. Né d’altro canto
l’ostacolo appare superabile immaginando che l’obbligazione violata sia non già
quella di celebrare il matrimonio, bensì quella di non recedere dalla promessa
senza un giusto motivo: anche siffatta costruzione è categoricamente esclusa
dall’art. 79 c.c., che non pone alcuna distinzione tra rifiuto giustificato o
meno, ma salvaguarda in ogni caso, anche nell’ipotesi di più sfacciato
capriccio, la libertà matrimoniale. Prova ne è il fatto che, se fosse vera la
tesi qui criticata, cioè se esistesse, in assenza di un giusto motivo di
recesso, un vero e proprio dovere giuridico di celebrare le nozze, dovrebbe
allora ritenersi valida la penale pattuita per tale eventualità, ciò che non
può ammettersi, in presenza del chiaro tenore dell’art. cit. [8].
Sul fronte opposto a quello della
responsabilità ex contractu, la tesi della responsabilità aquiliana, pur
annoverando autorevoli sostenitori [9], si scontra subito con un’obiezione
difficilmente superabile: ci si chiede, cioè, come sia possibile ravvisare gli
estremi di un illecito nell’esercizio di un potere espressamente concesso dalla
legge.
Il rilievo non può essere
superato affermando che l’illiceità risiederebbe non già nel rifiuto di per se
stesso (che, in linea di massima, costituirebbe invece un fatto lecito), bensì
nel rifiuto ingiustificato [10]. Se, infatti, illecito è quel
comportamento che si pone in violazione di un dovere giuridico, occorre
ammettere che, per effetto dell’art. 79 c.c., un dovere giuridico non esiste: e
ciò, come si è appena visto, sia in presenza che in assenza (anche la più
clamorosa!) di un giusto motivo. A ciò s’aggiunga ancora la difficoltà di
ricondurre al paradigma ex art. 2043 ss. c.c. una fattispecie in cui il
rapporto giuridico non nasce dalla violazione del precetto del neminem laedere,
ma dalla lesione di una situazione giuridica precostituita, tra soggetti
individuati [11].
Di fronte a queste premesse era
dunque inevitabile che tra gli interpreti si formasse un «terzo partito»,
coalizzato intorno al rifiuto dell’alternativa secca tra responsabilità
contrattuale e aquiliana, ma a sua volta diviso tra i fautori della tesi della
natura precontrattuale [12], per violazione della buona fede nelle
trattative [13], da un lato, e i sostenitori della
dottrina della responsabilità ex lege, dall’altro. La prima
ricostruzione si è però vista obbiettare [14]
che, mentre le trattative sono un mutuo rivelarsi di approvazioni, gli
sponsali, al contrario, sono un risultato bilateralmente acquisito e che,
inoltre, la parificazione delle trattative matrimoniali a quelle contrattuali,
dirette a costituire un rapporto di natura patrimoniale, urta contro
l’intenzione del legislatore ed è contraria alla disciplina normativa della
promessa di matrimonio, dalla quale è dato ricavare testualmente il principio
secondo cui la fase prematrimoniale non conosce quei vincoli che sono invece
caratteristici delle trattative contrattuali [15].
La tesi prevalente nella dottrina contemporanea,
interpretazione che peraltro ha trovato l’avallo della Cassazione [16],
è pertanto proprio quella che riconosce all’obbligo risarcitorio da
ingiustificato recesso dagli sponsali la natura di responsabilità ex lege
[17].
Muovendosi in quest’ottica qualche autore ha anzi
ravvisato nella promessa di matrimonio gli estremi dell’atto lecito dannoso [18], categoria cui si è anche tentato di
fornire un inquadramento più generale [19].
Altri, infine, ponendo in luce come il legislatore non abbia neppure usato al
riguardo il termine «responsabilità», ne hanno concluso che, nel caso in esame,
ci si troverebbe di fronte non già ad una sanzione, ma ad una «riparazione
riconosciuta al di fuori di un presupposto di illiceità» [20].
D’altro canto, la lettura della disposizione in esame fornisce piuttosto
l’impressione che l’intento perseguito non sia tanto quello di predisporre una
forma di «punizione» nei confronti del responsabile della rottura, quanto
piuttosto quello di tutelare l’affidamento incolpevole della parte che, in
vista della celebrazione delle nozze, abbia in buona fede affrontato una serie
di spese.
Sembra dunque ragionevole concludere sul punto
sottolineando che il fenomeno descritto dall’art. 81 c.c. altro non costituisce
se non una di quelle variae causarum figurae in presenza delle quali
l’ordinamento determina, ex art. 1173 c.c., l’insorgere di un’obbligazione
(dal contenuto, tra l’altro, non troppo dissimile da quello descritto dall’art.
2031 c.c.) in capo ad un determinato soggetto [21].
3. Segue. La
reale portata della diatriba sulla natura della responsabilità in discorso.
Potrebbe essere interessante, a
questo punto, interrogarsi sulla reale portata di una diatriba, quale quella
sulla natura della forma di responsabilità descritta dall’art. 81 c.c., che
sembra avere tutto il gusto d’altri tempi. La conclusione non può che essere
nel senso della sostanziale inutilità di ogni discussione al riguardo. Una
volta constatato, infatti, che questioni quali l’individuazione del termine di
decadenza e dell’onere della prova in punto elemento soggettivo [22]
sono state espressamente risolte dal legislatore, occorre prendere atto della
difficoltà di individuare almeno un effetto in relazione al quale una scelta di
campo in merito alla natura della responsabilità potrebbe rivelarsi
determinante [23].
Tanto per cominciare, con riferimento al problema del
danno risarcibile, rilevato che la legge ha appositamente circoscritto il
diritto del danneggiato alle spese effettuate ed alle obbligazioni assunte in
vista della celebrazione delle nozze, nei limiti in cui esse corrispondono alla
condizione delle parti, la stessa distinzione tra danno prevedibile (da parte
dell’«inadempiente») e danno non prevedibile contemplata dall’art. 1225 c.c.
sembra perdere di concreto significato: non pare infatti che delle ipotesi di
pregiudizio imprevedibile al momento dello scambio delle promesse siano idonee
a superare il vaglio dell’art. 81 c.c.
Altre due questioni in relazione alle quali si suole
(erroneamente, ad avviso di chi scrive) attribuire rilievo alla scelta di campo
operata con riguardo alla questione della natura del fenomeno in esame sono
quelle della capacità dei soggetti e della forma della promessa presupposta
dall’art. 81 c.c.: qui si entra però nel campo dei requisiti per l’applicazione
dell’art. ult. cit., cui appare opportuno dedicare una trattazione a parte.
Cominciando dalla capacità dei soggetti, andrà
subito rilevato che l’art. 81 c.c. richiede espressamente che il promittente
abbia raggiunto la maggiore età o sia stato ammesso a contrarre matrimonio ai
sensi dell’art. 84 c.c. La disposizione, che faceva originariamente richiamo al
«minore autorizzato da chi deve dare l’assenso per la celebrazione del
matrimonio», venne modificata in parte qua dall’art. 3, legge 19 maggio
1975, n. 151 – Riforma del diritto di famiglia, proprio per adeguarla
alla novellazione subita dall’art. 84 c.c. Appare dunque chiara l’intenzione
del legislatore di creare qui un perfetto parallelismo con la capacità
richiesta per la validità del matrimonio [24].
Andrà dunque esclusa, in primo
luogo, l’applicazione della norma in esame al caso della promessa fatta da un
minore non autorizzato ex art. 84 c.c., sia pure riconosciuto capace di
intendere e di volere [25], anche in presenza dell’adesione dei genitori
o del tutore all’idea delle nozze dallo stesso minore promesse e, poi,
rifiutate [26].
La conclusione appare del resto conforme al principio stabilito dall’art. 16,
legge 14 marzo 1985, n. 132 – Ratifica ed esecuzione della convenzione
sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna,
adottata a New York il 18 dicembre 1979, secondo cui «I fidanzamenti ed i
matrimoni tra fanciulli non avranno effetti giuridici».
Non sussistono invece dubbi circa
la rilevanza ex art. 81 c.c. della promessa effettuata dall’inabilitato,
cui viene riconosciuta la capacità in ordine non solo al matrimonio, ma a tutti
i negozi di diritto familiare [27].
Si discute poi circa la posizione
dell’interdetto che, in un momento di lucido intervallo, si sia impegnato a
contrarre matrimonio.
Tale promessa (il cui contenuto
non dovrebbe essere ritenuto – a differenza delle altre ipotesi di impedimento
– impossibile, potendo lo stato di interdizione cessare in ogni momento)
potrebbe, secondo taluno, ritenersi valida fonte di responsabilità accedendo
alla tesi della natura aquiliana del rapporto disciplinato dall’art. 81 c.c. [28]. In realtà, proprio le constatazioni,
testé riportate, circa il parallelismo che il legislatore ha voluto qui
istituire con l’istituto matrimoniale inducono ad escludere – indipendentemente
dalla riconduzione della figura in esame a categorie generali quali la
responsabilità contrattuale o quella aquiliana – l’applicazione dell’art. 81
c.c. a quel promesso sposo che abbia prestato il consenso pur in presenza di
una propria situazione di incapacità, legale o naturale.
Potrà infine aggiungersi sul tema
che la l. 9 gennaio 2004, n. 6, relativa all’amministrazione di sostegno, ha
tralasciato di disciplinare la condizione dell’incapace assistito da un
amministratore di sostegno, rispetto alla stipulazione di una promessa di
matrimonio [29].
Peraltro va notato che il soggetto assistito conserva una capacità negoziale
generale, salvo che per gli atti espressamente indicati nel decreto di nomina
che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto
del beneficiario (art. 405 n. 3 c.c.), oppure per gli atti che il beneficiario
può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno (art. 405 n.
4 c.c.). Si deve ritenere, pertanto, che il soggetto assistito conservi la
capacità matrimoniale [30]
e quindi la capacità di concludere una promessa di matrimonio, rilevante ai
sensi e per gli effetti di cui all’art. 81 c.c.
5. La forma degli sponsali e la loro natura vicendevole.
Anche in ordine al problema della forma della promessa si
è affermato da più parti che l’adesione alla tesi della responsabilità
extracontrattuale, piuttosto che a quella della responsabilità ex lege,
dovrebbe sortire precise conseguenze pratiche. In particolare il richiamo alla lex
Aquilia dovrebbe indurre a ritenere i tipi di forme menzionati dal codice
(atto pubblico, scrittura privata, richiesta della pubblicazione) come pretesi
dall’art. 81 c.c. meramente ad probationem, sulla base di un
elenco avente carattere esclusivamente esemplificativo. Ne conseguirebbe, da un
lato, l’ammissibilità della prova della promessa per confessione o giuramento,
e, dall’altro, il rilievo della richiesta di pubblicazioni anche soltanto
canoniche [31].
Francamente appare difficile individuare un nesso di
necessaria consequenzialità tra l’adesione alla tesi della responsabilità
extracontrattuale e una siffatta lettura dell’art. 81 c.c. Non riesce invero
facile comprendere perché mai, collocandosi – in ipotesi – in una prospettiva
aquiliana, il legislatore dovrebbe per ciò solo rinunziare ad inserire nella
fattispecie, quali elementi essenziali (e, come tali, non suscettibili di
equipollenti), determinati presupposti di carattere formale.
La dottrina e la giurisprudenza prevalenti reputano
comunque che gli atti indicati dall’art. 81 cit. siano richiesti ad substantiam
[32]. Il richiamo a tale categoria non deve
però evocare suggestioni di tipo contrattuale: da quanto si è detto circa la
natura della promessa appare evidente come nel nostro sistema non abbia senso
porsi il quesito circa la «validità» o meno del fidanzamento; esso sta
piuttosto ad indicare la ritenuta necessità che la fattispecie si completi di
un elemento imprescindibile (lo scritto, appunto) dal quale risulti lo scambio
delle promesse.
Le maggiori controversie sono
sorte, piuttosto, sul modo di intendere la scrittura privata: ci si è chiesti,
in particolare, se si possa prendere in considerazione una promessa contenuta
non in un apposito atto, ma dedotta dalla corrispondenza, ed eventualmente
provata dalle lettere scambiate dai contraenti. La risposta positiva, che va
per la maggiore [33], appare la più aderente al testo della
norma, che, pur richiedendo il carattere vicendevole della promessa, non impone
né un atto ad hoc, né la contestualità delle dichiarazioni [34]. È però evidente che in questa materia
occorrerà essere molto cauti. Non ogni lettera d’amore, magari contenente vaghi
propositi e desideri di contrarre le nozze, potrà ritenersi idonea allo scopo,
occorrendo, al contrario, che la parte esprima in maniera chiara, seria e
precisa, un intendimento idoneo ad ingenerare nella controparte
quell’affidamento che il legislatore ha inteso tutelare [35].
6. Il «giusto motivo» di rifiuto.
Venendo ora all’individuazione del concetto di
«giusto motivo», va detto che, nel sistema dell’art. 81 c.c., questo rileva,
alternativamente, in una duplice maniera. Ai sensi del primo comma esso gioca
come scriminante (elemento «negativo» della fattispecie) in ordine alla
responsabilità dell’autore del rifiuto. Per effetto del capoverso il medesimo
costituisce invece elemento costitutivo (in «positivo») della responsabilità di
colui che, pur non manifestando alcuna forma di rifiuto, ha determinato
colposamente il (giustificato) rifiuto dell’altro. Ne consegue che sarà proprio
la presenza o meno di un giustificato motivo a consentire d’individuare il
soggetto legittimato al risarcimento previsto dalla norma in esame,
rispettivamente, in colui che ha manifestato il rifiuto, ovvero in colui che lo
ha subito.
Le considerazioni di cui sopra, già presentate dallo
scrivente anni or sono [36],
sono state recepite dalla già ricordata decisione di legittimità del 2010, la
quale ha riconosciuto che «Il tenore letterale della norma è chiaro
nell’individuare i presupposti e le condizioni di operatività dell’obbligazione
riparatoria, nonché i limiti della stessa, segnatamente individuando l’assenza
di giustificato motivo quale fatto negativo costitutivo della pretesa
dell’altra parte». L’onere della prova della legittimità del recesso grava in
capo al fidanzato che lo esercita: in caso di mancata prova dell’esistenza di
un giusto motivo vale, dunque, la generale regola di soccombenza della parte
sul punto non provato [37].
Tale distribuzione dell’onere probatorio discende
dalla circostanza, per cui l’assenza di un giustificato motivo rappresenta un
fatto negativo, che non può costituire oggetto di prova in ossequio al
principio espresso dal brocardo «negativa non sunt probanda» [38].
Circa la concreta individuazione dei possibili «giusti
motivi» va innanzitutto rilevato che le principali legislazioni moderne
sembrano aver definitivamente ripudiato il metodo casistico: persino l’amore
tutto tedesco per la tipizzazione delle fattispecie – espresso in subiecta
materia tanto da svariate legislazioni preunitarie (tra cui l’ALR),
che in sede di lavori preparatori del codice germanico [39]
– ha dovuto cedere il passo all’elaborazione di una clausola generale (wichtiger
Grund für den Rücktritt: cfr. § 1298 III BGB), in tutto e per tutto
analoga alla nostra.
La dottrina contemporanea, dal canto suo, cerca di
elaborare i dati provenienti dalla giurisprudenza inquadrandoli all’interno di
una serie di criteri di carattere generale. In particolare, si reputano
rilevanti quei fatti che, se conosciuti al momento degli sponsali, avrebbero
dissuaso il promittente dal concluderli, ritenendosi fondamentale la loro
ignoranza al momento dello scambio della promessa [40].
In quest’ottica un aiuto potrebbe essere fornito dall’art. 122, comma terzo,
c.c., inteso come norma in grado di offrire un catalogo di situazioni la cui
ignoranza, proprio perché rilevante per l’annullamento del matrimonio, dovrebbe
a fortiori costituire buon motivo per il rifiuto della celebrazione (si
pensi ad esempio all’ignoranza circa una grave malattia da cui sia afflitta
l’altra parte) [41].
Peraltro la giurisprudenza è
andata ben oltre, se è vero che essa è giunta ad annoverare a tale categoria i
casi di perdita dell’impiego o del fallimento, il mancato rispetto del tipo di
assetto patrimoniale concordato, l’emergere di un’estrazione sociale diversa da
quella professata o ritenuta, il mancato intervento della dispensa da un
impedimento, purché richiesta [42], o, ancora, «la preesistente mancanza
di una stabile occupazione, sempreché l’impegno di contrarre matrimonio sia
stato subordinato al conseguimento di un’occupazione definitiva oppure allorché
la situazione lavorativa del promittente fosse diversa la momento della promessa
rispetto a quella posta a base del rifiuto» [43].
Il tutto, sempre tenuto conto anche dei principi morali e del ceto sociale dei
promessi sposi, nonché dei costumi e delle usanze del luogo in cui doveva
celebrarsi il matrimonio.
Nel suo complesso, la disamina di
questi casi sembra manifestare la propensione dei giudici per un criterio che,
prescindendo da qualsiasi specifico riferimento normativo, induca il decidente,
sulle orme di autorevole insegnamento, a compiere un giudizio di carattere non
giuridico, ad «attingere fuori del campo del diritto, nell’ambito delle idee
dominanti, dei principii morali più diffusi», applicando «al caso concreto il
giudizio morale più comune» [44].
Eppure, di fronte all’evidente «parentela» dell’istituto
in esame con quello matrimoniale e tenuto altresì conto del fatto che le citate
prese di posizione, tanto a livello dottrinale che giurisprudenziale, si
riferiscono per lo più ad epoca antecedente all’entrata in vigore dell’attuale
testo dell’art. 122, comma terzo, c.c., sembra difficile sbarazzarsi di tale
precisa indicazione normativa, quanto meno a livello di parametro di
riferimento, indicativo di una scelta, per così dire, di campo, operata dal
legislatore in materia matrimoniale, a tutto vantaggio di «valori» quali la
salute fisica e mentale, la moralità e l’incensuratezza delle parti, il
rispetto della fides sponsalicia, e a discapito invece di altri «valori»
(o, se si preferisce, pseudovalori), quali la ricchezza, la nobiltà, la
«posizione», ecc. [45]. Come pure osservato in dottrina, la
nozione di «giusto motivo» appare caratterizzata da una sorta di «relatività»,
per la cui individuazione è spesso opportuno attingere a valori esterni
all’ordinamento giuridico, invadendo le sfere della morale e del costume [46].
Concludendo sul punto non potrà farsi a meno di rilevare
come, di fatto, un’influenza determinante possa essere dispiegata dal momento e
dall’occasione prescelte dalla parte per addivenire alla rottura della
promessa. Così, una decisione di merito del 2006 ha ritenuto non costituire
giusto motivo per il recesso operato dal promesso sposo un concorso di
circostanze, obiettivamente, piuttosto «pesanti» a carico della mancata dolce
metà, quali liti, anche violente, davanti ad estranei e per futili motivi,
come, ad esempio, per il menù delle nozze oppure per l’attribuzione
dell’ufficio di testimone, il tutto accompagnato, talvolta, da «borsettate» da
parte della fidanzata al fidanzato. La profonda conflittualità tra i fidanzati
era nella specie suggellata anche da altri fatti a dir poco inquietanti, come
«il rifiuto da parte di lei di ogni gesto intimo, l’atteggiamento polemico
avuto nei confronti del futuro suocero, l’acquisto avvenuto in autonomia della
camera da letto, il minuzioso controllo delle chiavi delle camere, l’invito
provocatorio a procurarsi la branda».
Ora, pur di fronte ad un simile scenario, il tribunale ha
ritenuto di dover ugualmente sanzionare il convenuto promesso (e mancato)
sposo, escludendo la sussistenza di un giusto motivo nel rifiuto espresso dal
fidanzato due giorni prima del matrimonio. Rilievo determinante è stato svolto
nella specie dal fatto che il convenuto avesse atteso l’imminenza del
matrimonio per prendere atto della situazione; secondo il giudice, infatti, o
la crisi non era così insanabile oppure, se effettivamente lo era, lo sposo non
ha voluto assumersi a tempo debito le responsabilità del caso. In tal modo, si
è – ad avviso di chi scrive correttamente – inteso punire il comportamento del
convenuto, il quale, in alternativa, o aveva alimentato la situazione di
conflittualità al fine di precostituirsi un giusto motivo di rottura, oppure,
con un comportamento particolarmente deprecabile, aveva atteso troppo tempo per
rompere il fidanzamento, in tal modo deludendo l’affidamento comunque
ingenerato nella controparte [47].
7. Il danno risarcibile: limitazioni di tipo qualitativo
e quantitativo.
L’intento che ha mosso il nostro legislatore nella
determinazione del criterio per la quantificazione del danno è stato quello di
tutelare la libertà dei nubendi fino al momento della celebrazione del
matrimonio, escludendo ogni forma, anche indiretta, di coazione [48]. Il risultato è stato perseguito
mediante la creazione di un’accurata serie di limitazioni del danno
risarcibile.
Esse potranno essere sinteticamente individuate come
segue:
a)
esclusione del risarcimento del c.d. interesse (contrattuale) positivo;
b)
contenimento del risarcimento del c.d. interesse negativo alle sole «spese
fatte» ed alle «obbligazioni contratte», con esclusione, pertanto, del
possibile lucro cessante;
c)
necessaria presenza di un preciso collegamento tra le spese fatte (o le
obbligazioni contratte) e la promessa di matrimonio;
d)
necessaria rispondenza delle spese fatte (e delle obbligazioni contratte) alle
«condizioni delle parti».
Di questi quattro ordini di limiti i primi tre rivestono
carattere, per così dire, qualitativo, attenendo ad intere categorie di danno
la cui considerazione viene in linea di principio esclusa. Il quarto, invece,
si limita a fissare un tetto di tipo puramente quantitativo. Di suo, come si
vedrà, la giurisprudenza ha poi ancora aggiunto ulteriori criteri limitativi,
in punto concreta determinazione del quantum.
Procedendo dunque con ordine, andrà innanzitutto
sottolineato come la scelta di politica legislativa circa l’esclusione del
risarcimento dell’interesse positivo si sposi con la premessa da cui prende le
mosse la nostra legislazione sull’inidoneità della promessa di matrimonio a
generare un’obbligazione a celebrare le nozze. È evidente, infatti, che il
ristoro dell’Erfüllungsinteresse, quale surrogato della prestazione
rimasta ineseguita, presuppone la configurabilità di un inadempimento (così
come descritto dall’art. 1218 c.c.), che qui non esiste.
Peraltro l’art. 81 c.c. non copre
nemmeno tutta l’area dell’interesse (negativo) che la parte avrebbe avuto a non
addivenire alla promessa rimasta non adempiuta [49].
L’interesse negativo, così come definito nella materia contrattuale, abbraccia
infatti anche la perdita di ulteriori occasioni per la mancata conclusione, nei
riguardi di altri possibili stipulanti, di un contratto dello stesso oggetto di
quello non stipulato: dunque, nel caso in esame, l’accoglimento di tale
criterio dovrebbe condurre al risarcimento dei vantaggi economici che la
«vittima» della rottura avrebbe conseguito se non avesse tralasciato (e quindi
perduto) altre possibili «sistemazioni» matrimoniali, ciò che invece appare
chiaramente escluso dalla disposizione in commento.
La limitazione alle spese fatte e
alle obbligazioni contratte induce anche ad escludere la risarcibilità dei
danni conseguenti alla rinunzia spontanea ad un impiego o ad una promozione di
carriera, cui il promissario si sia indotto in vista del futuro matrimonio [50]. La conclusione sembra ricevere
conforto, per così dire, a contrariis, dalla comparazione con il sistema
tedesco, ove la soluzione positiva si giustifica unicamente in forza del più
ampio tenore letterale (rispetto a quello dell’art. 81 c.c.) del § 1298 BGB [51].
Un’ulteriore limitazione di tipo qualitativo consegue
alla necessità che le spese e le obbligazioni siano state, rispettivamente,
fatte e contratte «a causa» della promessa. Dottrina e giurisprudenza hanno in
proposito affermato, riconoscendovi l’esistenza di un siffatto nesso
eziologico, la risarcibilità delle spese di viaggio, di preparazione alla
cerimonia nuziale, di redazione di eventuali convenzioni matrimoniali, di
pubblicazione, di acquisto di oggetti destinati a servire solo in occasione del
matrimonio, o per l’arredo della casa [52].
Dalla necessaria premessa di siffatto nesso eziologico deriva che le spese
risarcibili sono solo quelle successive a detta promessa solenne, e non quelle
anteriori [53],
mentre l’onere di provare la sussistenza del citato nesso grava su chi agisce
per il rimborso [54].
Non vi è dubbio poi che a tale
categoria possano ascriversi anche spese più importanti, quali lo stesso
acquisto dell’alloggio destinato a costituire la futura casa familiare, ovvero
la sottoscrizione a tal fine di un mutuo: è evidente, però che al riguardo
opererà comunque il criterio, di cui verrà detto tra poco, della compensatio
lucri cum damno, per cui all’acquirente non potrà che riconoscersi il diritto
a richiedere al suo ex fidanzato l’eventuale differenza tra la somma spesa e
l’effettivo valore dell’immobile, sempre che tale divario non sia invece
ascrivibile a colpa dell’acquirente (piuttosto che, per esempio, alla necessità
di trovare con urgenza una sistemazione abitativa in vista delle nozze
imminenti, poi sfumate).
Nella giurisprudenza di merito si è poi anche affermato
che «l’art. 81 c.c. nello stabilire che la promessa di matrimonio obbliga il
promittente che, senza giusto motivo, ricusi di eseguirlo, a risarcire il danno
cagionato all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a
causa di quella promessa, esclude in capo al promittente inadempiente l’obbligo
del risarcimento di ogni altro ipotizzabile danno, ivi concluso quello relativo
alla eventuale perdita o diminuzione della illibatezza, della possibilità di
contrarre altro matrimonio o della reputazione sociale del destinatario della
promessa. (Nella specie, non sono state ritenute danno risarcibile, le spese
del giudizio di separazione con il marito, l’interruzione di una gravidanza, il
pregiudizio alla salute, la rinuncia ad un posto di lavoro)» [55].
Passando alle limitazioni d’ordine quantitativo andrà
subito osservato che, ai sensi dell’art. 81 c.c., i danni debbono essere
contenuti entro il limite in cui le spese fatte e le obbligazioni assunte
corrispondono alle condizioni delle parti. Anche in questo caso la ratio
è quella di evitare che l’eventualità della liquidazione in misura superiore
possa dar luogo ad una menomazione della libertà dei promittenti e ad una
indiretta coazione a contrarre il matrimonio promesso [56].
Si rileva peraltro in dottrina [57]
che, qualora il responsabile della rottura abbia maliziosamente incoraggiato
l’altra parte a compiere spese eccessive (magari simulando condizioni
economiche particolarmente floride e facendo credere che esse sarebbero state
condivise dopo il matrimonio), questo limite non potrebbe operare.
Nella determinazione del quantum la giurisprudenza
suole poi detrarre dai danni il valore di quella parte dei beni acquistati che
– non essendo usciti dal patrimonio del promittente deluso – risultino ancora
utilizzabili, valutando le utilità economiche che si possono ancora ottenere
dai beni stessi, al fine di non dare luogo ad un ingiustificato arricchimento [58]. La regola sembra giustificarsi in base
ai principi generali in tema di compensatio lucri cum damno [59].
8. Segue. I
danni non patrimoniali.
Venendo al tema dei danni morali (si
pensi, ad es., a quello provocato dal trauma psichico della rottura), va posto
in luce che la decisione in commento, su sollecitazione di un apposito motivo
di ricorso, prende espressamente posizione sul punto, dichiarando che «Non sono
risarcibili voci di danno patrimoniale diverse da [quelle descritte dall’art.
81 c.c.] e men che mai gli eventuali danni non patrimoniali».
Sul punto, dottrina e giurisprudenza fanno riferimento
all’art. 2059 c.c., che áncora il risarcimento del danno non patrimoniale alle
sole ipotesi previste dalla legge, tra le quali non rientra, per ciò solo, la
violazione della promessa di nozze [60].
È chiaro che, ove il richiamo
dovesse essere proprio a tale disposizione, ne conseguirebbe che risposta
positiva all’interrogativo potrebbe essere fornita solo nel caso la rottura
della promessa si accompagnasse ad una violazione penalmente rilevante.
Violazione, beninteso, che non potrebbe comunque coincidere con il mero fatto
della rottura della promessa (che, come noto, non costituisce certo reato). Il
risarcimento del danno non patrimoniale sarebbe quindi conseguenza non già
della violazione dell’impegno a celebrare le nozze, ma del compimento di uno o
più distinti atti (costituenti reato), posti in essere più o meno
contestualmente (ingiurie, diffamazione, minacce, violenza privata, lesioni
personali, ecc.) [61].
In dottrina si fa, tra l’altro, rilevare che con i danni
morali non bisogna confondere i c.d. danni patrimoniali indiretti, come le spese
sopportate per curarsi da una malattia contratta a seguito della rottura del
fidanzamento, purché siano in concreto riconducibili alla (rottura della)
promessa in termini di consequenzialità diretta ed immediata [62].
Appare altrettanto evidente, però, che il richiamo
all’art. 2059 c.c. potrebbe anche prestarsi al tentativo di «recuperare» anche
in questa sede la (ad avviso di chi scrive non condivisibile) lettura che della
norma viene oggi prevalentemente fornita, vale a dire come di una disposizione che
consente il risarcimento del danno non patrimoniale anche in situazioni non
contemplate dalla legge o comunque non costituenti reato, allorquando un
illecito, ancorché puramente civile, colpisca interessi costituzionalmente
rilevanti [63].
Si potrebbe allora ipotizzare una interpretazione costituzionalmente orientata,
volta a garantire i valori della persona umana costituzionalmente protetti.
Peraltro, anche questa discutibile operazione sarebbe votata al fallimento,
atteso che pure la libertà matrimoniale, come si è messo in luce in dottrina [64],
è dotata di garanzia costituzionale.
Ma la via seguita dalla decisione qui in esame appare
essere (condivisibilmente) quella che rifiuta di riconoscere ogni possibile
richiamo all’art. 2059 c.c.: vuoi perché la categoria di riferimento della
fattispecie descritta dall’art. 81 c.c., come si è visto, non è quella
dell’illecito aquiliano, vuoi perché l’art. cit., nella sua «specialità»,
limita espressamente il risarcimento alle «spese fatte» e alle «obbligazioni
contratte» a causa della promessa. Ora, tale previsione, come correttamente
posto in luce dalla Cassazione, non può essere estesa ad altre forme di danno
diverse da quelle ivi espressamente contemplate, atteso che «la legge vuol
salvaguardare fino all’ultimo la piena ed assoluta libertà di ognuno di
contrarre o non contrarre le nozze», laddove il regime di una piena
responsabilità risarcitoria, conseguente all’applicazione dei principi generali
in tema di responsabilità civile, contrattuale od extracontrattuale «potrebbe
tradursi in una forma di indiretta pressione sul promittente nel senso
dell’accettazione di un legame non voluto».
È chiaro,
dunque, che l’esclusione del risarcimento del danno non patrimoniale, e
segnatamente di quello morale, riposa non tanto su argomenti ricavabili
dall’art. 2059 c.c., quanto dalla stessa ragione per cui l’art. 81 c.c. limita
alle situazioni ivi descritte il ristoro del pregiudizio subito: attraverso
l’analitica indicazione delle conseguenze derivanti dalla rottura della
promessa, il legislatore ha voluto tutelare la libertà dei nubendi fino al
momento della celebrazione del matrimonio [65].
9. L’azione per il risarcimento dei danni: la
legittimazione attiva.
Ai sensi dell’art. 81 c.c. è attivamente legittimato
all’esercizio dell’azione per il risarcimento dei danni non solo il promittente
che si è visto opporre il rifiuto (ingiustificato) dell’altro, ma anche quello
che ha manifestato il proprio rifiuto in presenza di un giustificato motivo cui
ha colposamente dato causa la controparte. Si discute se l’azione sia anche
esperibile da parte di quei soggetti che, pur diversi dai promittenti, abbiano
effettivamente sostenuto spese o contratto obbligazioni in vista del matrimonio
(si pensi ai genitori dei fidanzati). Al riguardo, mentre la giurisprudenza
appare divisa [66], la dottrina prevalente sembra voler
legare la soluzione della questione al problema della natura della
responsabilità in esame. Si afferma infatti al riguardo che, mentre una
ricostruzione della fattispecie in termini di responsabilità contrattuale
dovrebbe inevitabilmente condurre a negare ai terzi la legittimazione,
l’inquadramento nell’ambito della lex Aquilia dovrebbe portare al
risultato opposto [67].
Quello della promessa di
matrimonio non è certo l’unico caso in cui l’antinomia tra responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale viene invocata al fine di risolvere il
problema della legittimazione attiva (oltre che passiva) in ordine a situazioni
dubbie. Emblematica è, ad esempio, l’ipotesi dell’azione contemplata dall’art.
1669 c.c. in materia d’appalto, in cui una lettura in chiave di responsabilità
aquiliana della disposizione è servita alla giurisprudenza per estendere la
cerchia dei legittimati attivi e passivi al di là dei limiti tracciati
dall’art. cit. [68].
Ciò non vuol dire, per converso, che la via della
responsabilità extracontrattuale costituisca il percorso obbligato per chi
voglia allargare anche ai terzi la cerchia dei legittimati attivi ex
art. 81 c.c. Per esempio, si è ipotizzata un’azione surrogatoria [69]: ma l’applicazione dell’art. 2900 c.c.
– a prescindere ancora dal carattere personale del credito in discorso [70] – sembra preclusa dal fatto essa
dovrebbe presupporre in capo al terzo (di solito, il genitore) la posizione di
creditore nei confronti del promesso «deluso», circostanza, quest’ultima, che
pare smentita dall’art. 742 c.c. [71]. Ancora, si è ipotizzata una
legittimazione del promittente anche per le spese e le obbligazioni contratte
da terzi, considerando le somme da questi impegnate come se fossero state a lui
donate [72]. In realtà, la situazione in esame
induce a ritenere la presenza di una sorta di donazione indiretta, cosa che
peraltro esclude un transito delle somme spese nel patrimonio del promittente e
dunque una «spesa» da parte di questi. Anche il ricorso alla surrogazione
volontaria [73],
ex art. 1202 c.c., appare
artificioso, presupponendo questo necessariamente un mutuo che i peculiari
rapporti familiari inter partes
tendono invece ad escludere.
Tutto ciò premesso, non è però ancora detto che per riconoscere
la legittimazione in capo ai terzi si debba necessariamente scegliere la teoria
della responsabilità aquiliana [74].
Invero, anche ponendosi nell’ottica della responsabilità speciale ex lege
si può tentare di dare al quesito una risposta all’interno dell’àmbito
dell’art. 81 c.c., soffermandosi sul valore della dizione «danno cagionato all’altra
parte», rimarcandone la contrapposizione rispetto al termine «promittente» [75]. Si è esattamente rimarcato in dottrina
che quest’ultima soluzione, che porta a considerare l’ «altra parte» in senso
ampio, appare maggiormente condivisibile, in quanto si deve decisamente
escludere una concezione contrattuale della promessa di matrimonio che
porterebbe, inevitabilmente, a considerare l’ «altra parte» solo la controparte
del rapporto [76].
Del resto, una diversa interpretazione che limitasse il riconoscimento alle
spese fatte dal mancato sposo verrebbe, nella maggior parte dei casi, a
togliere significato concreto alla norma, in quanto molto spesso sono proprio i
genitori coloro che sopportano gli esborsi prematrimoniali [77].
La conclusione sembra del resto essere stata fatta
propria dalla Corte Suprema che, nel 2010, ha di fatto avallato la
legittimazione del suocero ad agire ai sensi dell’art. 81 c.c. [78].
10. Segue.
Il termine di proponibilità della domanda.
La brevità del termine per la
proposizione della domanda (un anno) evidenzia [79]
l’intenzione del legislatore di limitare nel tempo l’esercizio di un’azione che
ha spesso l’effetto di rendere di pubblica ragione fatti intimi e delicati
della vita familiare [80].
Trattasi di termine di decadenza,
e non di prescrizione, esattamente come nel caso del termine previsto dall’art.
80 c.c. per la richiesta di restituzione dei doni: la conclusione, data
universalmente per scontata [81], sembra più che altro imposta dalla
collocazione della norma nell’ambito di quelle di diritto di famiglia, pur
venendo qui coinvolto un diritto puramente patrimoniale (nel senso, appunto, di
«valutabile in denaro», ancorché trattisi sovente di beni cui le parti possono
collegare un forte valore affettivo) e disponibile.
Per questo la decadenza potrà
essere impedita dal riconoscimento del diritto alla restituzione (cfr. art.
2966 c.c.) [82]: circostanza, questa, che i giudici di legittimità
(con riguardo alla parallela previsione dell’art. 80 c.c.) sembrano non aver
negato sul piano dogmatico, sebbene nel caso concreto abbiano escluso, poiché
non risultante nella sua integrità, valore di riconoscimento del diritto ad una
lettera con la quale in via stragiudiziale si attribuiva una somma al
richiedente [83].
Peraltro, vertendosi anche qui in
materia di diritti patrimoniali e disponibili, la decadenza potrà essere
impedita dal riconoscimento che l’altra parte faccia del diritto della controparte
al risarcimento del danno: in tale caso la domanda potrà essere proposta entro
l’ordinario termine (decennale) di prescrizione (cfr. artt. 2964, 2966-2967
c.c.). Il decorso del termine, inoltre, non sarà rilevabile d’ufficio (cfr.
art. 2965 c.c.), con l’ulteriore conseguenza che la relativa eccezione,
costituendo «eccezione in senso stretto», formerà oggetto di onere probatorio a
carico di colui che eccepisce l’estinzione del diritto dell’attore: l’eventuale
situazione di incertezza in ordine all’accertamento della data della rottura
andrà quindi a detrimento di quest’ultimo [84].
Sotto il profilo processuale
potrà aggiungersi che la domanda risarcitoria di cui si discute deve avere a
fondamento (quale originaria causa
petendi) proprio la promessa (immotivatamente) violata, correttamente
ravvisandosi in giurisprudenza un’inammissibile mutatio libelli nella condotta degli attori che, in primo grado,
facciano valere il diritto alla restituzione di una somma, concessa
asseritamente a prestito al convenuto, e, in sede di appello, invochino la
pretesa risarcitoria (sebbene quantificata nella medesima somma) ai sensi
dell’art. 81 c.c., in ragione della rottura del fidanzamento della propria
figlia con il convenuto (appellato), determinato da allegata colpa di
quest’ultimo [85].
Dottrina e giurisprudenza riconoscono, nel caso di
violazione della promessa di matrimonio, un certo spazio anche alla
responsabilità ex art. 2043 c.c., con conseguente possibilità di
liquidazione del danno al di là dei limiti posti dall’art. 81 c.c. Ciò, in
particolare, è ammesso allorquando il fidanzato abbia «abusato» della sua
condizione che lo pone facilmente in grado di arrecare danno all’altra parte a
causa dei particolari rapporti di influenza reciproca [86].
In queste ipotesi, si afferma, l’approfittare del carattere non vincolante
della propria promessa non rientra nella specifica immunità prevista dall’art.
79 c.c.: le ragioni di tutela della libertà che spiegano le irresponsabilità
per danni causati dal rifiuto del matrimonio non potrebbero essere invocate per
escludere il risarcimento di quanto ottenuto con la promessa usata come mezzo
di illecita pressione [87].
Il risarcimento andrebbe accordato, come si
diceva, senza riguardo ai limiti fissati dall’art. 81 c.c. ed anche in presenza
di una promessa priva dei requisiti formali di cui alla norma citata, purché
avente caratteri di serietà e non equivocità, tali da indurre l’altra parte a
fare affidamento nel matrimonio [88]. Esempi abbastanza correnti al riguardo
sono quello dell’abbandono accompagnato da dichiarazioni offensive, oppure
quelli della fidanzata costretta ad una condizione di vita che le cagioni danni
morali o materiali, ovvero a rinunciare a una donazione o a una eredità o ad
abbandonare un impiego [89].
Su questa linea si è anche arrivati a prospettare
una fattispecie qualificabile alla stregua di una «responsabilità civile
prematrimoniale», consistente nella violazione del dovere di buona fede
nascente dal rapporto che precede la celebrazione del matrimonio [90],
richiamandosi la nota decisione di legittimità che, nel 2005, ha affermato la
presenza di una responsabilità aquiliana in capo al fidanzato che, in
violazione dei doveri di buona fede, avesse omesso di informare l’altra parte
circa le proprie condizioni di salute (nella specie: impotenza) [91].
Ma è chiaro che, per quanto
attiene alle prime ipotesi qui riportate, la responsabilità nasce iure
communi a seguito delle ingiurie, delle percosse, delle violenze e delle
minacce, e a prescindere dalla violazione della promessa [92],
mentre l’ipotesi della rinunzia all’eredità o alla donazione, a parte i suoi
connotati veramente romanzeschi, non può esimere l’interprete (almeno nella
normalità dei casi) dall’imputare al rinunziante le conseguenze di una siffatta
decisione, in applicazione degli ordinari criteri in tema di accertamento del
nesso di causalità, ovvero, a seconda dei casi, ex art. 1227, primo o
secondo comma, c.c. Anche il caso, sempre citato al riguardo in Germania, della
truffa perpetrata a mezzo di promessa di matrimonio (Heiratsschwindel)
non costituisce altro se non un «normale» illecito, nel quale la promessa di
matrimonio è usata quale artificio o raggiro al fine di perseguire i vantaggi
patrimoniali sperati (sottoscrizione di effetti cambiari, appropriazione di
denaro o di altri beni, ecc.): l’applicazione della lex Aquilia viene
dunque qui non tanto a risarcire la parte il cui affidamento nella progettata
unione è andato deluso, quanto piuttosto a punire chi della promessa si sia
servito al fine di carpire la buona fede della propria vittima.
Per quanto attiene, poi,
all’impotenza celata al futuro coniuge, questa situazione causa danno proprio
in quanto il matrimonio viene (invalidamente) celebrato: il pregiudizio non può
dunque riferirsi alla rottura (non avvenuta, nella fattispecie risolta dalla
Cassazione nel 2005) della promessa di matrimonio, laddove la scoperta di tale
condizione personale prima della celebrazione delle nozze fornisce giusto
motivo di rottura alla controparte.
Rimane, dunque, il caso dell’impiego abbandonato in vista
della sperata «sistemazione» coniugale, ovvero (se si preferisce continuare ad
individuare il danneggiato nella fanciulla virtuosa seducta relictaque)
dell’adempimento in natura del dovere di contribuzione ex art. 143 c.c.
Al riguardo, però, si è già visto che tale «voce» di danno non può essere
riconosciuta ex art. 81 c.c., non risolvendosi né in una spesa fatta, né
tanto meno in un’obbligazione contratta a causa della promessa. L’applicazione
dell’art. 2043 c.c. assumerebbe dunque il valore di un escamotage che
finirebbe con il condurre a risultati lontani da quelli che il legislatore ha
chiaramente indicato di voler raggiungere: non occorre infatti dimenticare che
l’intento, pur in sé meritorio, di ampliare l’area del danno risarcibile, cozza
qui inevitabilmente con il principio della salvaguardia della libertà
matrimoniale, il quale non può in alcun modo tollerare limitazioni al di là dei
casi tassativamente stabiliti per legge [93].
Le considerazioni di cui sopra convincono, infine, della
radicale infondatezza della tesi che vorrebbe limitare la situazione descritta
dall’art. 81 c.c. alla condotta colposa, laddove il dolo varrebbe a superare
«l’immunità di cui agli artt. 79 ss. c.c.» [94]
(rectius: la limitazione del danno
alle «voci» descritte dall’art. 81 c.c.) ovvero, più in generale, a «incidere
sulla stessa qualificazione di ingiustizia del danno, rendendo risarcibili
danni che, altrimenti, non potrebbero ricevere tale qualifica, e che quindi
sarebbero irrilevanti se posti in essere con colpa» [95].
Sostegno a questa curiosa lettura del sistema sarebbe dato
dall’art. 81 cpv. c.c., che contiene il sostantivo «colpa».
Ma il testo del primo comma dell’art. 81 c.c. non lascia
adito a dubbi: il verbo usato è «ricusare» e, francamente, un rifiuto non
intenzionale, dovuto a mera «negligenza, imprudenza, imperizia», o ad
inosservanza di «leggi, regolamenti, ordini o discipline» non sembra
logicamente configurabile. Semmai, il richiamo del secondo comma dell’art. cit.
al concetto di colpa va riferito all’imputabilità sul piano eziologico della
rottura della promessa. Del tutto inaccettabile risulta pertanto il tentativo
di ricondurre all’art. 2043 c.c. la responsabilità per rottura della promessa
effettuata con dolo [96]:
il che varrebbe, tra l’altro, a cancellare l’art. 81 c.c. dal sistema, atteso
che, come detto, appare veramente difficile da configurare una rottura
puramente colposa (cioè dovuta a mera negligenza, ecc.) del fidanzamento [97].
12. Segue.
La seduzione con promessa di matrimonio.
Un’ipotesi tutta particolare è
costituita dalla seduzione con promessa di matrimonio, figura un tempo
contemplata anche dal codice penale (art. 526), che comminava la reclusione da
tre mesi a due anni per chiunque «con promessa di matrimonio» avesse sedotto
una donna minore di età, «inducendola in errore sul proprio stato di persona
coniugata» [98]; il capoverso stabiliva poi che «vi è
seduzione quando vi è stata congiunzione carnale». La disposizione è stata
peraltro abrogata dall’art. 1, legge 15 febbraio 1996, n. 66 – Norme contro
la violenza sessuale [99].
La giurisprudenza assolutamente prevalente – in ciò
seguita da una parte della dottrina – ha sempre ammesso, ancora una volta
ancorandosi all’art. 2043 c.c., la possibilità di riconoscere alla donna [100], anche in assenza dei presupposti di
cui all’ora abrogato art. 526 c.p. (minore età della sedotta, stato di persona
coniugata in capo al seduttore, elemento soggettivo limitato al dolo) [101] e al di là dei requisiti formali (così
come dei termini speciali di decadenza) previsti per la promessa dall’art. 81
c.c., il risarcimento dei danni conseguenti alla traditio corporis
causalmente determinata dalla promessa di matrimonio. Secondo questa tesi, poi,
nella valutazione di siffatto pregiudizio, il giudice non si troverebbe
vincolato al rispetto dei limiti imposti dall’art. 81 c.c., al punto da poter
liquidare pure il nocumento derivante dalla perdita di occasioni matrimoniali [102], o dal mantenimento della prole
eventualmente nata dall’unione sessuale [103].
Questo indirizzo dottrinale e giurisprudenziale, ribadito
in sede di legittimità, anche mediante il richiamo al principio della libertà
sessuale, cui la seduzione con promessa di matrimonio attenterebbe [104], ha suscitato vivaci reazioni da parte
della dottrina meno risalente, che ha rimproverato alla tesi tradizionale di
essere troppo ancorata a vecchi stereotipi (quello dell’uomo che, pur di
soddisfare il proprio desiderio, gioca la carta della promessa di matrimonio
nei confronti della donna ingenua e sprovveduta, incapace di determinarsi
liberamente) e di non tenere conto dell’evoluzione della vita sociale, oltre
che del principio di parità tra i sessi sancito dall’art. 3 Cost. [105], riflettendo così posizioni
«vetero-maschilistiche (matrimonio come sistemazione) o al più stilnovistiche» [106]. In particolare, la giurisprudenza di
legittimità ha mostrato di non voler recepire le indicazioni provenienti da
alcune pronunce di merito, che, negando il risarcimento da seduzione, hanno
avuto modo, da un lato, di criticare l’impostazione tradizionale, secondo cui
la donna finirebbe con il diventare una sorta di «soggetto minorato,
catturabile con il miraggio del matrimonio» [107],
e, dall’altro, di constatare come «al di fuori dei limiti stabiliti dal codice
penale, le conseguenze della falsa promessa di matrimonio siano soltanto quelle
di cui agli artt. 80 e 81 c.c.» e come le norme relative alla responsabilità da
atto illecito presuppongano la violazione di obblighi giuridici e non morali [108].
L’analisi storica dell’istituto,
che non è possibile illustrare in questa sede, dimostra che questo, dopo essere
stato sviluppato dall’antica giurisprudenza francese non tanto in funzione di
tutela della fanciulla sedotta, quanto al fine di rafforzare il controllo delle
famiglie sulle unioni matrimoniali dei figli (nell’ambito di un processo che
sarebbe culminato nella comminatoria della nullità dei matrimoni celebrati
senza il consenso dei genitori), venne successivamente utilizzato, in special
modo a partire dal secolo scorso, come una sorta di surrogato di quell’azione
per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale che il codice
Napoleone (art. 340) aveva quasi del tutto soppresso. Appare dunque logico, in
un periodo storico che non conosce limiti alcuni alla ricerca della paternità
(e in cui, tra l’altro, i progressi in campo biologico consentono di pervenire
ad una risposta certa in un numero notevole di casi), cercare per tale via la
soluzione al problema in esame: ogni conseguenza dell’incontro sessuale tra due
persone andrà dunque risolto sul terreno della disciplina della filiazione, con
l’attribuzione ad ognuno dei genitori dei vari pesi ex art. 30 Cost.,
147, 261 e 277 c.c. [109].
Significativo anche l’esempio tedesco, ove il BGB
continuò a prevedere espressamente il risarcimento del danno, anche non
patrimoniale, in favore della unbescholtene Verlobte, fino alla riforma
di cui alla legge 4 maggio 1998 (cfr. § 1300, abrogato dalla legge cit.),
varata sulla scorta delle voci dottrinali che da più parti avevano denunciato
la violazione del principio costituzionale di parità tra i sessi, da parte di
una norma definita come «il relitto di un’epoca in cui la fidanzata sedotta e
abbandonata era colpita dal disprezzo della società e vedeva ridotte le proprie
prospettive matrimoniali» [110].
A tale auspicio fa oggi eco qui in Italia, ormai da
diversi anni, la già ricordata abrogazione dell’art. 526 c.p., nell’ambito di
una legge – quella sulla violenza sessuale – che ha per ratio la tutela
della donna, della sua dignità e libertà sessuale. Per questi motivi non sembra
possibile sbarazzarsi dell’influenza che la citata l. n. 66/1996 è destinata a
dispiegare sul sistema privatistico, magari prendendo a paravento – come pure
si potrebbe essere tentati di fare – la già ricordata diversità della
fattispecie civilistica rispetto a quella descritta dall’art. 526 c.p. per
assumere l’insensibilità della prima all’abrogazione della seconda.
Proprio l’attuale collocazione dei delitti contro la
libertà sessuale tra quelli contro la persona, anziché la moralità pubblica e
il buon costume, conferma che la tutela della libera determinazione degli
individui nei propri comportamenti sessuali deve trovare la sua unica fonte
normativa nella disciplina scolpita negli artt. 609-bis ss. c.p., senza
più alcuno spazio per la costruzione di fattispecie civilistiche autonome
rispetto a quelle individuate dalla legge penale. Le cause che eliminano il
consenso o che lo viziano al punto da sollecitare la reazione dell’ordinamento
sono esaustivamente contemplate dalle norme novellamente introdotte ed appare
assai significativo il fatto che l’unica ipotesi di inganno oggi presa in
considerazione – cfr. art. 609-bis cpv., n. 2), c.p. – sia data da
quella (per il vero assai romanzesca) della sostituzione di persona, senza che
alcun cenno, neppure indiretto, sia effettuato alla promessa di matrimonio.
L’abrogazione dell’art. 526 c.p. rafforza dunque il convincimento che anche
l’istituto civilistico della seduzione con promessa di matrimonio debba ormai
ritenersi del tutto superato [111].
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[1] «Per quanto riguarda la nuzialità, nel 2009 si conferma il trend decrescente dei matrimoni: sono pari a 230.613 contro i 247.740 del 2008. Se si prende in considerazione il rito, il matrimonio religioso, nonostante la tendenza generale alla diminuzione, continua a essere quello preferito dagli sposi: nel 2009 sono stati celebrati con rito religioso il 62,8% dei matrimoni (…). Rispetto al 1995 le separazioni sono aumentate di oltre il 64% ed i divorzi sono praticamente raddoppiati (+ 101%). Tali incrementi sono osservati, come è stato detto, in un contesto in cui i matrimoni diminuiscono e quindi sono imputabili ad un effettivo aumento della propensione alla rottura dell’unione coniugale» (cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto sulla Coesione Sociale – Anno 2011, Volume I, p. 8; il documento è disponibile online al seguente indirizzo web: http://www.istat.it/it/archivio/53075; per i dati concernenti le famiglie, vecchie e nuove, cfr. http://www.istat.it/it/archivio/coppie).
[2] L’ultima decisione di legittimità anteriore a quella qui in esame è, come si dirà tra breve, del 2010 (Cass., 15 aprile 2010, n. 9052), mentre altre decisioni della Corte di Cassazione sulla promessa di matrimonio sono state emesse, come si vedrà, negli anni 2003 (Cass., 23 luglio 2003, n. 11429) e 2005 (Cass., 15 febbraio 2005, n. 2974); per quanto attiene alle sentenze di merito qui citate, quelle pubblicate nel corso degli anni duemila ammontano a undici; più esattamente trattasi, in ordine cronologico, di Trib. Pesaro, 4 febbraio 2002; Trib. Reggio Calabria, 12 agosto 2003; Trib. Genova, 17 gennaio 2004; Trib. Gallarate, 28 gennaio 2005; Trib. Modena, 6 dicembre 2005; Trib. Monza, 6 giugno 2006; Trib. Bari, 28 settembre 2006; App. Roma, 18 ottobre 2006; Trib. Genova, 25 maggio 2007; Trib. Torino, 29 gennaio 2009; Trib. Monza, 31 marzo 2011 (per le rispettive citazioni v. infra).
[3] La pertinente immagine è proposta da Garapon, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, Ed. italiana, Milano, 2007, p. 276.
[4] Cfr. Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, Padova, 1996, p. 4 ss.; Id., voce Promessa di matrimonio, in Digesto quarta ed., Disc. priv., Sez. Civ., XV, Torino, 1997, p. 394 ss.; Id., La promessa di matrimonio, in Aa. Vv., Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, 1, Seconda edizione, Milano, 2011, p. 325 ss.; Id., Della promessa di matrimonio, Commento agli artt. 79-81 c.c., in Aa. Vv., Codice della famiglia, a cura di Sesta, Seconda edizione, Milano, 2009, I, p. 378 ss. A tali scritti si fa rinvio anche per i necessari richiami dottrinali e giurisprudenziali, al di là di quelli inerenti alla specifica questione toccata nel presente lavoro.
[5] Cfr. Cass., 15 aprile 2010, n. 9052, in Fam. dir., 2010, p. 1002, con nota di Gelli; in Giur. it., 2010, p. 2283, con nota di Schepis; in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 1128, con nota di Nassetti; in Fam. pers. succ., 2010, p. 743, con nota di Caricato; in Danno resp., 2011, p. 43, con nota di Siliquini Cinelli; in Riv. notar., 2011, II, p. 407, con nota di Musolino. Per la giurisprudenza di merito v. Trib. Bari, 28 settembre 2006, in Corr. merito, 2007, p. 295.
[6] Cfr., anche per i rinvii,
Oberto, La
promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., p. 185 ss., 201 ss.;
v. inoltre Uccella, Il matrimonio, Padova, 1996, p. 19; ANELLI, Il
matrimonio. Lezioni, Milano, 1998, p. 28; Feola, La promessa di matrimonio, in Aa. Vv.,
Il diritto di famiglia, Trattato
diretto da Bonilini e Cattaneo, I, Famiglia
e matrimonio, 1, Torino, 2007, p. 101 ss.
[7] Sul tema v. per tutti Oberto, La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, Milano, 2006, p. 29 ss.
[8]
In questo senso pare orientata anche
una decisione di merito che, esprimendosi in materia di obbligo di risarcimento
per rottura della promessa di matrimonio, ha affermato che tale obbligo
risarcitorio trova il suo fondamento «non nell’inadempimento a una promessa
vincolante (essendo al contrario pacifico che la promessa di matrimonio non ha
effetti obbligatori), bensì in un comportamento lesivo delle aspettative di
buona fede che nascono tra due persone in un rapporto di fidanzamento»: Trib. Genova, 17 gennaio 2004, in Guida dir., 2004, n. 13, p. 60.
[9] Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Roma,
1914, 223; Jemolo, Il matrimonio, Torino, 1950, p. 54 ss.;
cfr. inoltre De Ruggiero e Maroi, Istituzioni
di diritto civile, I, Milano, 1965, p. 280 s.; F. Finocchiaro, Del
matrimonio, artt. 79-83, nel Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, I,
Bologna-Roma, 1971, p. 141 ss.; Tatarano, Rapporti da promessa di matrimonio e dovere di
correttezza, in Riv. dir. civ., 1979, p. 664 s. In tempi meno remoti
aderisce a tale impostazione, ormai superata, presentandola come prevalente, Feola, op. cit., p. 102.
[10] In questo senso cfr.
invece De Ruggiero e Maroi, op.
loc. ult. cit.
[11] De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità
civile, Milano, 1966, p. 393; De Giorgi, La promessa di matrimonio, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1969, p. 751. Sulla non riconducibilità della
fattispecie in esame all’art. 2043 c.c. v. anche, nella giurisprudenza di
merito, App. Roma, 18 ottobre 2006, in Fam. dir., 2007, p. 476, con nota di Facci; cfr. inoltre Trib. Monza, 6 giugno 2006, in DeJure («Il diritto al risarcimento dei
danni derivanti dalla rottura di un fidanzamento è stato dal legislatore
limitato ai casi di promessa assunta con particolari forme e ridotto, sul piano
quantitativo, alle spese fatte e alle obbligazioni contratte a causa di quella
promessa ex art. 81 c.c.: trattasi di
fattispecie risarcitoria speciale, tale da escludere l’applicazione di altre
fattispecie ipoteticamente applicabili, come l’art. 1337 e l’art. 2043 c.c.).
[12] Cfr. Demogue, Traité
des obligations, II, Paris, 1923, p. 55; Dusi, Istituzioni di diritto civile, I, Torino,
1937, p. 221.
[13] In questo senso (sulle
orme del De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità
civile, Milano, 1946, p. 205) cfr. Novara, La
promessa di matrimonio, Genova, 1950, p. 33 ss., 48 s. Per una persuasiva
critica al riguardo v. F. Finocchiaro, Del matrimonio, cit.,
p. 72 ss.
[14] Cfr. Candian, Gli
sponsali come fonte negoziale di aspettativa, in Temi, 1951, p. 459
s.; Enrietti, Osservazioni critiche su di una recente
costruzione degli sponsali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, p.
672.
[15] Cfr. Trabucchi, Della
promessa di matrimonio, in Aa.
Vv., Commentario al Diritto
Italiano della famiglia, a cura di Cian, Trabucchi, Oppo, II, Milano, 1992,
p. 22; Trib. Monza, 6 giugno 2006, cit.
[16] Cfr., oltre alla decisione qui in commento, Cass., 15 aprile 2010, n. 9052, cit. Per analoghe conclusioni nella giurisprudenza di merito, cfr. App. Milano, 25 giugno 1954, in Riv. dir. matr., 1954, p. 275.
[17] Barassi, Natura ed effetti della promessa di matrimonio, in Nuovo dir., 1940, p. 282; Ferrara Santamaria, La promessa di matrimonio, Napoli, 1940, p. 54 s.; Santoro-Passarelli, Lineamenti della promessa di matrimonio secondo il nuovo codice, in Riv. dir. civ., 1939, p. 12; Loi, voce Promessa di matrimonio, Diritto civile, in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, p. 89 s.; Bonilini, Nozioni di diritto di famiglia, Torino, 1992, p. 35; Id., Manuale di diritto di famiglia, Torino, 1998, p. 49 (che peraltro accosta il fenomeno in esame alla responsabilità precontrattuale); Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., p. 204 s.; Id., voce Promessa di matrimonio, in Digesto quarta ed., Disc. priv., Sez. Civ., XV, cit., p. 405; Id., La promessa di matrimonio, in Aa. Vv., Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, 1, Seconda edizione, cit., p. 345 ss.; Anelli, op. cit., p. 32; Di Rosa, Della promessa di matrimonio, in Commentario del codice civile diretto da Gabrielli, Della famiglia, a cura di Balestra, Torino, 2010, p. 34 s.; Gelli, Rottura della promessa di matrimonio ed obbligazioni ex artt. 2033 e 81 c.c., Nota a Cass., 15 aprile 2010, n. 9052, in Fam. dir., 2010, p. 1005 s.; Schepis, “Prima i confetti poi i difetti...”: le conseguenze della rottura della promessa di matrimonio secondo la Corte di cassazione, Nota a Cass., 15 aprile 2010, n. 9052, in Giur. it., 2010, p. 2283 ss.; Siliquini Cinelli, La promessa di matrimonio: “liberas nuptias esse placuit”, Nota a Cass., 8 marzo 2010, n. 9052, in Danno resp., 2011, p. 43.
[18] G. Mirabelli, L’atto
non negoziale nel diritto privato italiano, Napoli, 1955, p. 283 ss.; Santoro-Passarelli, voce Atto
giuridico, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 208, 213; Tucci, La
risarcibilità del danno da atto lecito nel diritto civile, in Riv. dir.
civ., 1967, I, p. 235 ss. Contra Tatarano, Rapporti
da promessa, cit., 664; Id., La promessa di matrimonio, in Trattato
di diritto privato, diretto da
Rescigno, 2, Torino, 1982, p. 528 s.
[19] In questo senso cfr. TUCCI, op.
loc. ult. cit.
[20] Trabucchi, Della promessa di matrimonio, cit., p. 29;
cfr. inoltre Uccella, Diritto di famiglia, Milano, 1996, p. 10.
[21] Per ulteriori
approfondimenti si fa rinvio a Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e
presente, cit., p. 201 ss.; in senso critico sulla teoria dell’ «atto
lecito dannoso» cfr. Caricato, La promessa di matrimonio, in Aa.Vv., Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, I, Bologna, 2007, p. 98 ss.; Ead.,
Inadempimento della promessa di
matrimonio e risarcimento del danno, Nota a Cass., 15 aprile 2010, n. 9052,
in Fam. pers. succ., 2010, p. 743.
[22] Sul punto si noti che, come verrà meglio chiarito infra, la fattispecie fa espressamente perno sulla rottura della promessa: comportamento, questo, che non può essere se non consapevole e pertanto necessariamente doloso; di ciò non sembra avvedersi Feola, op. cit., p. 102, secondo cui «la qualificazione della fonte dell’obbligazione risarcitoria rileva ai fini dell’onere della prova. Se si tratta di responsabilità contrattuale, l’attore dovrà provare solo il rifiuto del convenuto alle nozze, mentre graverà su costui l’onere di dimostrare che il rifiuto fu sorretto da un legittimo motivo». Peraltro, come si vedrà, il «giusto motivo», quale elemento vuoi costitutivo, vuoi scriminante della «responsabilità» in discorso, nulla ha a che vedere con l’elemento soggettivo, il cui onere probatorio normalmente costituisce, come noto, il discrimen (rectius: uno dei discrimina) tra responsabilità aquiliana e contrattuale.
[23] Sul punto v. già Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., p. 201 ss.
[24] Sul tema si fa rinvio per
tutti a Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e
presente, cit., p. 209 s.
[25] Così Trabucchi, Della
promessa di matrimonio, cit., p. 23.
[26] Così A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, I, Milano, 1984, p. 20.
[27] Cfr. per tutti Novara, op.
cit., 63 s.; Tedeschi, voce Matrimonio (promessa di), Diritto civile,
in Noviss. Digesto it., X, Torino, 1964, p. 420; Uccella, voce Matrimonio.
I) Matrimonio civile, in Enc. giur. Treccani, XIX, Roma,
1990, p. 9.
[28] Il dibattito al riguardo
risale al c.c. 1865: Degni, Del matrimonio, I, Torino, 1926, p. 67 s.
Per l’irrilevanza della promessa dell’interdetto cfr. Santosuosso, Delle
persone e della famiglia. Il matrimonio, in Aa.
Vv., Commentario del codice
civile, redatto a cura di magistrati e docenti, Torino, 1981, p. 37; sul
tema cfr. inoltre Uccella, Diritto di famiglia, cit., p. 11.
[29] Oberto,
Della promessa di matrimonio,
cit., p. 395.
[30]
Oberto, Il
regime di separazione di beni tra coniugi, coniugi. Artt. 215-219,
in Il codice civile. Commentario fondato e già diretto da Schlesinger,
continuato da Busnelli, Milano, 2005, p. 59.
[31] Tatarano, Rapporti da promessa, cit., p. 669 s.; Id., La
promessa di matrimonio, cit., p. 528 s. Nel senso del rilievo delle
pubblicazioni anche soltanto canoniche cfr. anche Trib. Roma, 27 luglio
1963, in Temi rom., 1964, p. 199;
[32] Cass., 31 luglio 1951, n.
2271, in Giur. it., 1951, I, 1, c. 15; App. Palermo, 14 agosto 1958, in Rep.
Giust. civ., 1959, voce Matrimonio, n. 90; Trib. Gallarate, 28
gennaio 2005, in Leggi d’Italia professionale,
archivio Corti di merito, secondo cui
«L’acquisto dell’immobile e della camera da letto non sono fatti equipollenti
ad una promessa che deve essere fatta in forma scritta ad substantiam o risultare dalla richiesta di pubblicazione»; in
questo senso cfr. anche Santosuosso, op. cit., p. 37.
[33] Cfr. Cass., 31 luglio
1951, n. 2271, cit., la quale nega che la corrispondenza di uno solo dei
promittenti sia sufficiente ad integrare il requisito di forma richiesto
dall’art. 81 c.c., ma esclude che la promessa debba essere fatta in forma
rigorosamente documentale «e cioè in unico atto contestualmente sottoscritto da
entrambi» (cfr. anche Cass., 20 maggio 1955, n. 1480, secondo cui, addirittura,
sarebbe sufficiente la produzione delle lettere di uno solo dei promittenti,
allorquando da esse risulti in modo non equivoco che anche l’altro, a sua
volta, aveva manifestato con la propria corrispondenza il proposito di
contrarre matrimonio); per ulteriori richiami giurisprudenziali cfr. De Giorgi, op.
cit., p. 755.
[34] F. Finocchiaro, Del
matrimonio, cit., p. 149.
[35] Cfr. Novara, op.
cit., p. 66; F. Finocchiaro, Del matrimonio, cit.,
p. 148; Cass., 20 maggio 1955, n. 1480.
[36] Cfr. Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e predente, cit., p. 201 ss.
[37] In senso
conforme, in dottrina, cfr. Gelli, Rottura della promessa di matrimonio ed
obbligazioni ex artt. 2033 e 81
c.c., Nota a Cass., 15 aprile 2010, n. 9052, in Fam. dir., 2010, p. 1007; Musolino,
La promessa di matrimonio e il suo scioglimento, Nota a Cass., 15 aprile 2010, n. 9052, in Riv. notar., 2011, II, p. 407 s. Per la
giurisprudenza di merito, nel senso che l’attore che pone a fondamento della
propria domanda l’ingiustificata rottura del fidanzamento dovrà provare solo
l’inadempimento della promessa di matrimonio, spettando al convenuto dimostrare
l’esistenza di un giustificato motivo cfr. Trib. Milano, 12 maggio 1961,
in Giur. it., 1961, I, 2, c. 529;
App. Torino, 31 marzo 1942, in Rep. Foro
it., 1942, voce Matrimonio, n.
27.
[38] Sul punto, cfr. per tutti Patti, Prove. Disposizioni generali, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna - Roma, 1987, p. 52 ss.
[39] Cfr. Planck, Familienrecht,
Teil 1, Eingehung und Wirkungen der Ehe, Eheverträge, in Die Vorlagen der
Redaktoren für die erste Kommission zur Ausarbeitung des Entwurfs eines
Bürgerlichen Gesetzbuches, ristampa dell’edizione di Berlino, 1880, a cura
di W. Schubert, de Gruyter, 1983, p. 215 ss. Per l’ALR v. i §§ da 100 a
111 (II, I).
[40] Tatarano, Rapporti da promessa, cit., p. 671 ss.; Id., La
promessa di matrimonio, cit., p. 530 s.; Schwab, Familienrecht, München, 1991, p. 25; sul
tema v. inoltre Uccella, Diritto di famiglia, cit., p. 11 s.
[41] Tatarano, La promessa di matrimonio, cit., p. 530 s.
[42] V. per i richiami F. Finocchiaro, Del
matrimonio, cit., p. 169 ss.
[43] Trib. Reggio Calabria, 12 agosto 2003, in Dir. fam. pers., 2004, p. 484; in Dejure.
[44] Jemolo, op. cit., p. 51. Avverte F. Finocchiaro, Del
matrimonio, cit., p. 166 ss., che il giudice deve comunque tenere conto del
modo di pensare e di vivere del gruppo sociale in cui si è svolta la vicenda
portata al suo esame.
[45] Sul tema cfr. Oberto, La
promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., p. 222 ss.
[46] Caricato, Inadempimento della promessa di matrimonio e risarcimento del danno, cit., p. 743.
[47] Cfr. Trib. Bari, 28 settembre 2006, cit., p. 295.
[48] De Giorgi, op. cit., p. 759; Oberto, La
promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., p. 238 ss.; cfr. inoltre Uccella, Diritto di famiglia, cit., p.12.
[49] Cfr. per tutti De Giorgi, op.
loc. ult. cit.
[50] Cass., 21 febbraio 1966,
n. 539, in Giust. civ., 1966, I, p. 1561; Trib. Roma, 26 luglio 1961, in
Temi rom., 1962, p. 206; nello stesso senso Trabucchi, Della
promessa di matrimonio, cit., p. 31 s. Per la risarcibilità di tale danno
v. invece Trib. Milano, 29 marzo 1963, in Arch. civ., 1963, p. 742.
[51] «Dem anderen Verlobten hat er auch den Schaden zu ersetzen, den dieser dadurch erleidet, dass er in Erwartung der Ehe sonstige sein Vermögen oder seine Erwerbsstellung berührende Maßnahmen getroffen hat». Proprio per effetto di tale inciso, aggiunto ad una disposizione il cui contenuto sarebbe altrimenti assai simile a quello dell’art. 81 c.c., la dottrina e la giurisprudenza tedesche concordano solo in parte con le conclusioni illustrate nel testo, in relazione all’individuazione del tipo di spese che possono trovare risarcimento. In particolare, la tendenza sembra essere, sotto questo profilo, più liberale che non da noi: così si ammette non solo il rimborso degli acquisti effettuati in vista del futuro ménage, le spese per la prenotazione del viaggio di nozze o quelle per i festeggiamenti o per la locazione della casa, ma anche il risarcimento per la rinunzia al posto di lavoro o allo svolgimento di un’attività imprenditoriale (cfr. Wacke, Verlöbnis, in Aa. Vv., Münchener Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch, V, Familienrecht, München, 1989, p. 97; Lange, Verlöbnis, in Aa. Vv., Bürgerliches Gesetzbuch mit Einführungsgesetz und Nebengesetzen, Stuttgart, Berlin, Köln, Mainz, 1988, p. 37). D’altro canto, si nega la risarcibilità delle spese relative alle cure mediche conseguenti ad una malattia contratta a seguito della rottura del fidanzamento, mentre la pretesa a titolo di compenso per l’attività lavorativa svolta a beneficio del fidanzato trova piuttosto collocazione nelle norme in tema di arricchimento ingiustificato (cfr. per tutti Diederichsen, Verlöbnis, in Aa. Vv., Bürgerliches Gesetzbuch, a cura di Palandt, München, 1988, p. 1318; Schwab, op. cit., p. 25 s.; Grziwotz, Wichtige Rechtsfragen zur Ehe, München, 1992, p. 16). Favorevole alla liquidazione del danno conseguente alla «démission de la fiancée de son emploi pour se consacrer à son foyer» è anche la giurisprudenza francese, che non trova, come ovvio, sulla sua via gli ostacoli posti da norme dal contenuto analogo a quello dell’art. 81 c.c.: cfr. Cass. Civ., 2 luglio 1970, in D., 1970, p. 178.
[52] De Giorgi, op. loc. ultt. citt. (anche per una
rassegna di giurisprudenza al riguardo, a p. 760); Trib. Genova, 25 maggio
2007, in Leggi d’Italia professionale,
archivio Corti di merito, nella quale
si è puntualizzato che, ai fini della quantificazione del risarcimento per le
spese affrontate e per le obbligazioni assunte, bisogna sempre far riferimento
al criterio della proporzionalità, della loro destinazione e dell’indebito
arricchimento. Sui punti rilevanti in fatto, la citata decisione di merito ha
motivato come segue: «Va, innanzitutto, accolta la domanda attrice in relazione
alla richiesta di risarcimento per l’anticipo versato per il viaggio di nozze,
trattandosi evidentemente di spesa connessa alla celebrazione delle nozze, per
la quale è stato riscontrato che i coniugi versarono un anticipo di Euro
1840,00 (doc. 4 del fascicolo di parte attrice) attingendo la somma dal conto
comune, sicché appare congrua la richiesta attorea di risarcimento della metà
della somma versata (Euro 920,00). La domanda di risarcimento per l’acquisto
dei mobili e arredi destinati alla casa coniugale e consistente nella
differenza di valore tra i beni mobili trattenuti dalla sig.ra P. e quelli
trattenuti dal sig. R., andrà, invece, rigettata; in merito parte attrice non
ha fornito elementi sufficienti a riscontrare che gli arredi e gli
elettrodomestici specificamente indicati nella memoria di cui all’art. 183 5°
comma c.p.c. furono acquistati direttamente dai futuri sposi. Unica eccezione
per i divani in relazione ai quali la sig.ra P., nell’interrogatorio formale,
ha riconosciuto essere stati acquistati da entrambi (cap. 5 dell’interrogatorio
formale dedotto da parte attrice) ed essere rimasti nella propria
disponibilità; l’ulteriore circostanza dedotta dalla sig.ra P. che i divani
siano stati una donazione ricevuta dal sig. R. in vista delle nozze è rimasta
priva di riscontro; pertanto, in relazione a tale spesa sopportata
congiuntamente dai coniugi, dovrà essere riconosciuto un risarcimento pari alla
metà del valore ossia Euro 2029,92. Andrà accolta la domanda attorea di
risarcimento in relazione ai canoni di locazione corrisposti dai coniugi
successivamente alla rottura del fidanzamento, trattandosi evidentemente di
spesa conseguente alla rottura ingiustificata del fidanzamento; la domanda
andrà accolta limitatamente alla mensilità del luglio 2002, in relazione alla
quale sussiste uno specifico riscontro (prod. 1 di parte convenuta)
sull’avvenuto pagamento tramite bonifico dal conto corrente comune alle parti;
pertanto il risarcimento in relazione a tale voce di spesa andrà determinato in
Euro 368,43 pari alla metà del canone corrisposto. Appare infondata la domanda
di risarcimento in relazione all’attività prestata dal sig. R. per la
ristrutturazione dell’appartamento, non trattandosi di obbligazione contratto o
spesa sostenuta in vista del matrimonio. Analogamente, priva di fondatezza è la
domanda di risarcimento per la differenza di versamenti effettuati sul conto
corrente comune, trattandosi evidentemente di ipotesi non riconducibile al
contenuto dell’art. 81 c.c. Alla luce di quanto precede il danno risarcibile ai
sensi dell’art. 81 c.c. potrà essere determinato in Euro 3318,35, somma che
andrà rivalutata di anno in anno sulla base degli indici ISTAT dalla data del
danno (riferibile al giugno 2002, quando è stata ricusata la promessa di
matrimonio) alla data della pronuncia passata in giudicato; saranno anche
dovuti gli interessi compensativi dalla data dell’illecito fino all’effettivo
pagamento».
[53] Così, testualmente, Trib. Torino, 29 gennaio 2009, in Leggi d’Italia professionale, archivio Corti di merito, che ha riconosciuto in favore della promessa sposa un risarcimento nella misura complessiva di € 28,89 «pari alla tassa pagata dalla [promessa sposa] per l’occupazione del suolo pubblico nella giornata in cui il mobiliere ha consegnato mobili», destinati alla casa coniugale, riconoscendo che «tra la richiesta di pubblicazioni e la rottura del fidanzamento (vale a dire tra il 21/7/2005 ed il 27/8/2008)» questa era l’unica somma che l’attrice aveva dimostrato come sborsata in relazione alla promessa di matrimonio.
[54] Cfr. Trib. Monza, 31 marzo 2011, in Giur. merito, 2011, p. 1829.
[55] Trib. Pesaro, 4 febbraio 2002, in C.E.D. – Corte di cassazione, Arch. Merito, pd. 1638A3.
[56] De Giorgi, op. cit., p. 759; cfr. inoltre Auletta, Il diritto di famiglia, Torino, 2004, p.
31; Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2010, p. 47.
[57] Feola, op. cit., p. 104.
[58] V. le pronunce riportate
da De Giorgi, op.
cit., p. 760 ss.; cfr. inoltre F. Finocchiaro, Del matrimonio, cit.,
p. 173 s.; Santosuosso, op. cit., p. 42; Loi, op.
cit., p. 93.
[59] Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., p. 238 ss.; in senso conforme v. anche Caricato, Inadempimento della promessa di matrimonio e risarcimento del danno, loc. cit.
[60] De Giorgi, op. cit., p. 762; Tatarano, La
promessa di matrimonio, cit., p. 531 s.; Bonilini, Nozioni di diritto di famiglia, cit., p.
36; Id., Manuale di diritto di famiglia, cit., p.
51; Uccella, Diritto di famiglia, cit., p. 13; Anelli, op.
cit., p. 31; Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, cit. p.
48. In senso favorevole al risarcimento dei danni morali v. invece App. Torino,
22 marzo 1949, in Mon. trib., 1949, p. 168, con nota di Cialente; contra,
ex art. 2059 c.c. Trib. Milano, 29 marzo 1963, cit.; Trib. Roma, 27
luglio 1963, cit.; Trib. Bari, 28 settembre 2006, cit.; Trib. Torino, 29
gennaio 2009, cit. (secondo cui «la formulazione riduttiva dell’art. 81 c.c.
esclude la risarcibilità dei danni alla reputazione o sofferenze morali»).
[61] Nel senso che sarebbe ammissibile il risarcimento del danno da «turbamento della sfera affettiva che di certo ha fatto seguito alla mancata celebrazione delle nozze» solo nell’ipotesi in cui «la fattispecie integri gli estremi di un fatto penalmente rilevante» cfr. Trib. Palermo, 2 giugno 1998, in Danno resp., 1998, p. 1140.
[62] De Giorgi, op. cit., p. 761; Tatarano, La
promessa di matrimonio, cit., p. 532; Anelli, op. cit., p. 31; App. Torino, 22 marzo
1949, cit.
[63]
Rammentare i termini della svolta giurisprudenziale
in tema di danno non patrimoniale risalente alla primavera-estate del 2003 è
senz’altro superfluo. In breve, si ricorderà che le ormai celeberrime «sentenza
gemelle» (Cass., 31 maggio 2003, n. 8827 e Cass., 31 maggio 2003, n. 8828) hanno:
a) rovesciato l’opinione tradizionalmente accolta che identificava il danno non
patrimoniale (art. 2059 c.c.) con il solo danno morale, ossia con la sofferenza
interiore determinata dall’illecito, affermando che «il danno non patrimoniale
deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia
leso un valore inerente alla persona»; b) chiarito che l’unitaria categoria del
danno non patrimoniale è comprensiva di tre distinte voci, quella del danno
biologico, quella del danno morale, quella «dei pregiudizi, diversi ed
ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse
costituzionalmente protetto», pregiudizi, questi ultimi, ormai comunemente
ricondotti alla voce del danno esistenziale; c) stabilito che il risarcimento
del danno arrecato ad interessi dotati di protezione costituzionale è
risarcibile anche se l’illecito non costituisce reato. Nel senso che il
risarcimento del danno non patrimoniale non richiede che la responsabilità
dell’autore del fatto illecito sia stata accertata in un procedimento penale,
in quanto l’interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 2059 c.c.
comporta che il danno ingiusto non sia identificato soltanto nel danno morale
soggettivo, ma anche nel danno derivante da ogni ingiusta lesione di un valore
inerente al soggetto umano, specie se di rilevanza costituzionale (qual era,
nella specie, l’offesa alla reputazione professionale e della dignità di un
medico, che aveva subito una discriminazione ingiustificata con perdita della
clientela che lo aveva scelto), cfr. Cass., 3 luglio 2008, n. 18210 (e v. anche
Cass., 20 ottobre 2009, n. 22190). Sul criterio della «gravità dell’offesa», al fine di selezionare gli
interessi non patrimoniali meritevoli di tutela risarcitoria, si veda Navarretta, Diritti inviolabili e
risarcimento del danno, Torino,
1996, p. 350; Ponzanelli, L’art. 2059 c.c. tra esame di costituzionalità e valutazione di opportunità, in Danno resp.,
2002, p. 878; Bargelli, Danno
non patrimoniale ed interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.
[64] Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2005, p. 44, ove si osserva che la libertà matrimoniale trova valorizzazione «attraverso una pluralità di referenti normativi, che consentono di annoverarla fra le libertà fondamentali della persona, tutelate dall’ordinamento giuridico». Tra le norme che «valorizzano» la libertà matrimoniale, vengono richiamati «l’ art. 2 Cost., che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, e l’art. 29 Cost.; inoltre, l’art. 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata, e resa esecutiva in Italia, con l. 4.8.1955, n. 848, che l’annovera fra le libertà fondamentali, e l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7.12.2000 - riprodotto nell’art. II-69 Cost. europea - ai sensi del quale, il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali, che ne disciplinano l’esercizio».
[65] Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., p. 232 ss.; Id., promessa di matrimonio, in Aa. Vv., Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, 1, Seconda edizione, cit., p. 352 ss.; Tatarano, Rapporti da promessa di matrimonio e dovere di correttezza, cit., p. 675; Facci, La rottura della promessa di matrimonio ed il danno lamentato dai genitori della “sposa mancata”, Nota a App. Roma, 18 ottobre 2006, in Fam. dir., 2007, p. 479.
[66] Per la negativa cfr. App.
Bologna, 2 giugno 1930, in Rep. Foro it., 1931, voce Matrimonio,
n. 30 ss.; Trib. Milano, 21 dicembre 1950, in Foro it., 1951, I, c. 840.
In senso favorevole cfr. invece Trib. Salerno, 3 settembre 1959, in Temi nap., 1960, I, p. 312, con nota di Mazzacane; Trib. Roma, 27 luglio 1963,
cit.
[67] TEDESCHI, op.
cit., p. 420; Novara, op. cit., p. 91; De Giorgi, op.
cit., p. 763 s.; Tatarano, Rapporti da promessa, cit., p. 676; Id., La
promessa di matrimonio, cit., p. 531 s.; Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e
presente, cit., p. 242 ss.
[68] Sull’argomento si fa
rinvio per tutti a Eroli, La responsabilità del costruttore e del progettista
per la rovina e i difetti dell’opera, in Giur. it., 1987, I, 1, p.
643 ss. Si noti peraltro che lo stesso art. 1699 c.c. contiene già in sé un
dato positivo che, a prescindere dall’inquadramento dogmatico della
fattispecie, estende a terzi (nella specie: gli aventi causa dal committente)
la responsabilità in questione.
[69] Cfr. Tatarano, Rapporti
da promessa, cit., p. 676.
[70] Afferma il carattere
personalissimo dell’azione, con conseguente esclusione dell’azione
surrogatoria, Tatarano, La promessa di matrimonio, cit., p. 531
s.; nello stesso senso cfr. Bonilini, Nozioni di diritto di famiglia, loc. cit.;
Id., Manuale
di diritto di famiglia, loc. cit. In senso opposto sembra orientata la
dottrina tedesca, che ammette la cedibilità inter vivos della pretesa in
esame, oltre che la sua trasmissibilità per causa di morte: cfr. per tutti Diederichsen, op.
cit., p. 1318.
[71] Così Jemolo, op.
cit., p. 52.
[72] Novara, op. cit., p. 92; Santosuosso, op.
cit., p. 43.
[73] Feola, op. cit., p. 107.
[74] Per una fattispecie piuttosto curiosa, in cui i mancati suoceri hanno agito dichiarando espressamente di proporre domanda ex art. 2043 c.c. anziché ex art. 81 c.c., ma allegando che la promessa di matrimonio era stata espressa dal mancato genero nei loro confronti, anziché alla figlia, «e che il comportamento di quest’ultimo, con il rifiuto a voler contrarre il matrimonio con la figlia, era stato per loro fonte di un grave pregiudizio economico», cfr. App. Roma, 18 ottobre 2006, cit., secondo cui «Anche a voler ammettere sotto tale profilo la legittimazione attiva degli appellanti, va affermato che la promessa di matrimonio è destituita di qualsiasi effetto vincolante, essendo inconcepibile, prima ancora che nel diritto, nella coscienza sociale, un vincolo a contrarre matrimonio, ed essendo la libertà matrimoniale diritto fondamentale della persona, per cui ne consegue l’impossibilità di attribuire ad essa natura negoziale e quindi di ritenere che il risarcimento sia conseguenza di un inadempimento contrattuale; pertanto il comportamento del nubendo promittente che si scioglie dalla promessa, essendo espressione di quel diritto personale fondamentale che è la libertà matrimoniale, non può mai essere qualificato in termini di illiceità ex art. 2043 c.c., vale a dire che di per sé la rottura della promessa di matrimonio, anche se fatta senza “giusto motivo”, non è mai antigiuridica, perché non è non iure, e quindi non è mai produttiva di danni ingiusti».
[75] Così Trib. Salerno, 3
settembre 1959, cit. In dottrina invocano un’interpretazione estensiva del
concetto di «altra parte» F. Finocchiaro, Del matrimonio, cit.,
p. 177 s.; Trabucchi, Della promessa di matrimonio, cit., p. 33;
Uccella, Diritto
di famiglia, cit., p. 13; Oberto,
La promessa di matrimonio tra passato e
presente, cit., p. 244 s.
[76] Facci, op. cit., p. 478.
[77] Lo sottolinea Trabucchi, Della promessa di matrimonio, cit., p. 33; cfr. inoltre Facci, op. cit., p. 478; Gelli, Rottura della promessa di matrimonio ed obbligazioni ex artt. 2033 e 81 c.c., Nota a Cass., 15 aprile 2010, n. 9052, in Fam. dir., 2010, p. 1006 s. Contra Di Rosa, op. cit., p. 37, secondo cui la legittimazione competerebbe solo ai nubendi, atteso il fatto che l’azione è legata alla rottura, come fatto operante solo tra gli stessi.
[78] Cfr. Cass., 15 aprile 2010, n. 9052, cit. Rileva
sul punto Gelli, Rottura della promessa di matrimonio ed
obbligazioni ex artt. 2033 e 81 c.c.,
Nota a Cass., 15 aprile 2010, n. 9052, in Fam.
dir., 2010, p. 1007, che, sebbene l’argomento non fosse oggetto di un
preciso motivo di impugnazione, nel caso di specie, se la Corte avesse
ravvisato un radicale difetto in tal senso, non avrebbe omesso di rilevarlo,
quanto meno in via di obiter dictum. Contra, Pret. Milano,
2 dicembre 1999, in Giur. milanese,
2000, p. 103, secondo cui «Legittimato alla proposizione dell’azione
risarcitoria di cui all’art. 81 c.c. non è qualunque soggetto che –
spontaneamente ed in considerazione di particolari legami familiari o affettivi
– effettui delle spese in previsione del futuro matrimonio, ma solamente il
soggetto che – in quanto destinatario della promessa – effettui degli esborsi
economici facendo affidamento sull’impegno reciprocamente assunto».
[79] Come del resto in relazione all’art. 80 c.c.: cfr. Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., p. 179 ss.
[80] Così Novara, op.
cit., p. 93; Tatarano, Rapporti da promessa, cit., p. 677.
[81] V. per tutti Novara, op.
cit., p. 97; Santosuosso, op. cit., p. 35; Uccella, voce Matrimonio.
I) Matrimonio civile, cit., p. 9; Trabucchi, Della promessa di matrimonio, cit., p. 19;
Pasquili, Le attribuzioni patrimoniali tra fidanzati in vista del matrimonio,
in Fam. pers. succ., 2006, p. 9 ss. In giurisprudenza, con specifico
riguardo all’art. 81 c.c., v. Trib. Modena, 6 dicembre 2005, in Leggi d’Italia professionale, archivio Corti di merito.
[82] In questo senso cfr. Trabucchi, Della promessa di matrimonio, loc. ult. cit.;
[83] Cass., 15 febbraio 2005,
n. 2974. Sul punto leggesi in motivazione quanto segue: «Inquadrata la domanda
nell’ambito dell’art. 80 c.c., il giudice di merito ha ritenuto di rigettarla
rilevando l’eccepita prescrizione (ndr. decadenza), affermando, a tal fine, che
“la rottura del fidanzamento risaliva al gennaio 1990, come dichiarato non solo
dalla teste […] ma dallo stesso [ricorrente]”, e che l’azione era stata
iniziata nel luglio del 1991, cioè ben oltre l’anno previsto dall’art. 80 c.c.
Né può convenirsi con il ricorrente sul supposto riconoscimento del diritto
proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto
soggetto a decadenza ai sensi dell’art. 2966 c.c., il quale impedisce proprio
la decadenza, posto che dagli atti non si evince alcun riconoscimento. La
lettera 2.7.2001 – invocata a tal fine dal ricorrente – non è stata neppure
riprodotta in ricorso nel suo testo integrale; ciò che comporta la violazione
del principio di autosufficienza, al quale consegue la inammissibilità del
motivo di ricorso».
[84] App. Palermo, 30 maggio
1981, in C.E.D. – Corte di cassazione, Arch. Merito, pd. 810298.
Cfr. inoltre Trib. Roma, 27 luglio 1963, cit.
[85] Cfr. Cass., 23 luglio 2003, n. 11429.
[86] De Giorgi, op. cit., p. 772; Tatarano, La
promessa di matrimonio, cit., p. 532.
[87] F. Finocchiaro, Del
matrimonio, cit., p. 182 ss.; Trabucchi, Della promessa di matrimonio, cit., p. 10
s.
[88] Numerose le decisioni a
riguardo: v. per tutte Cass., 26 giugno 1959, n. 2027, in Foro it.,
1959, I, c. 1587; per una rassegna completa della giurisprudenza cfr. De Giorgi, op.
cit., p. 774 s.
[89] Novara, op. cit., p. 104 ss.; De Giorgi, op.
cit., p. 772 s.; Tatarano, La promessa di matrimonio, cit., p. 532
s.; Auletta, op. cit., p. 32. Per una rassegna della
giurisprudenza sotto il vigore del c.c. 1865 cfr. Degni, Il diritto di famiglia nel nuovo codice
civile italiano, Padova, 1943, p. 44 ss.
[90] Cfr. per tutti Pierri, I rapporti patrimoniali tra fidanzati, in Aa. Vv., Gli aspetti patrimoniali della famiglia, a cura di Oberto, Padova, 2011, p. 22 ss.
[91] È noto che nel 2005 la Corte Suprema (cfr. Cass., 10 maggio 2005, n. 9801, in Dir. fam., 2005, I, p. 1164, con nota di Galluppi; in Familia, 2005, p. 875, con nota di Caricato; in Fam. dir., 2005, p. 365, con note di Sesta e di Facci; in Giust. civ., 2005, I, p. 93, con nota di Morace Pinelli; in Giur. it., 2005, p. 691, con nota di Fraccon) ha stabilito che «è configurabile un danno ingiusto risarcibile allorché l’omessa informazione, in violazione dell’obbligo di lealtà, da parte del marito, prima delle nozze, della propria incapacità coeundi a causa di una malformazione, da lui pienamente conosciuta, induca la donna a contrarre un matrimonio che, ove informata, ella avrebbe rifiutato, così ledendo quest’ultima nel suo diritto alla sessualità». La pronuncia – presentata come una novità assoluta – annovera in realtà Oltralpe precedenti più che remoti. Si pensi alla decisione con la quale il Parlamento di Provenza, il 16 marzo 1634, attribuì un risarcimento pecuniario alla moglie propter amissam et deperditam iuventutem a seguito dell’annullamento per impotentia coeundi di un matrimonio durato otto anni, avuto riguardo all’inganno perpetrato dal marito, che prima delle nozze aveva celato alla moglie il proprio stato (cfr. Boniface, Arrests notables de la Cour du Parlement de Provence, I, Lyon, 1708, p. 343). La decisione era stata a sua volta preceduta da arresti risalenti addirittura al XIV secolo (sul tema della sussistenza della competenza del giudice civile, anziché di quello ecclesiastico, per la soluzione della controversia relativa al risarcimento di tali danni cfr. Papon, Recueil d’arrests notables des cours souveraines de France, Genève, 1648, p. 32) e da altri emessi nello stesso senso dal Parlamento di Parigi il 23 agosto 1601 (cfr. Chenu, Notables et singulières questions de droict, Centurie seconde, Paris, 1620, p. 201 s.; Peleus, Les actions forenses, Paris, 1612, p. 443) e il 22 aprile 1611 (cfr. Despeisses, Traité des contracts, in Les Œuvres de M. Antoine D’Espeisses, I, Lyon, 1696, p. 151).
[92] Su ciò concorda anche Scarso, Violazione dei doveri coniugali... prima del matrimonio ed estinzione del vincolo coniugale, Nota a Cass., 10 maggio 2005, n. 9801, in Fam. pers. succ., 2005, p. 308 ss., rilevando, sulla scia di chi scrive, che «In questi casi non si tratta di risarcire la parte il cui affidamento nella progettata unione sia andato deluso, quanto piuttosto di punire chi della promessa si sia servito al fine di aggirare le difese della propria vittima».
[93] OBERTO, La
promessa di matrimonio tra passato e presente, cit., p. 247 ss.
[94] Così, testualmente, Scarso, op. loc. ultt.
citt.
[95] Così pure Scarso, op. loc. ultt. citt.
[96] Così sempre Scarso, op. loc. ultt. citt., secondo cui, in tale ipotesi, sarebbe risarcibile anche il danno morale.
[97] Anche Nassetti,
Le conseguenze dannose dell’amore: la
rottura della promessa di matrimonio, Nota a Cass., 15 aprile 2010, n.
9052, in Nuova giur. civ. comm.,
2010, p. 1137, rileva che «la fattispecie di cui agli artt. 79 ss. cod. civ. è
oggetto di una disciplina sistematica che sembra non lasciare spazio ad altre
forme di risarcimento del danno che sfuggano dalle previste quanto prevedibili
conseguenze risarcitorie della rottura senza giusto motivo della promessa di
matrimonio».
[98] Per riferimenti di
carattere storico e comparatistico al riguardo cfr. V. Carbone, Seduzione
con promessa di matrimonio: continua il contrasto tra giudici di merito e di
legittimità, in Corr. giur., 1993, p. 1054.
[99] Per uno studio circa gli
effetti civilistici di tale abrogazione cfr. Oberto, La seduzione con promessa di matrimonio al
capolinea, in Danno resp., 1996, p. 416 ss.
[100] Ancorché non sia esclusa
l’ipotesi inversa, nel pieno rispetto del canone ex art. 3 Cost.: cfr.
Cass., 13 novembre 1975, n. 3825.
[101] Per la sufficienza della
colpa cfr. Ondei, In tema di responsabilità civile per seduzione,
in Foro pad., 1950, I, c. 1057; De Giorgi, op. cit., p. 776 s.; Tatarano, La
promessa di matrimonio, cit., p. 532 s.; Longo, Sedotta (con promessa di matrimonio) e
risarcita, Nota a Cass., 8 luglio 1993, n. 7493, in Foro it., 1994,
I, c. 1883; Cass., 26 giugno 1959, n. 2027; Cass., 29 maggio 1965, n. 1105, in Foro
it., 1966, I, c. 141; Cass., 7 maggio 1969, n. 1560; Cass., 14 novembre
1975, n. 3831; Cass., 17 febbraio 1976, n. 510; Cass., 10 agosto 1991, n. 8733,
in Giur. it., 1992, I, 1, c. 1108; in Dir. fam. pers., 1991, p. 546; in Vita notar.,
1992, p. 176; in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, p. 397; Cass., 8
luglio 1993, n. 7493, in Foro it., 1994, I, c. 1883, con nota di Longo.
[102] Cfr., anche per i
richiami alla giurisprudenza, De Giorgi, op. cit., p. 776.
[103] Tatarano, La promessa di matrimonio, cit., p. 532
s.; Cass., 18 giugno 1968, n. 2019.
[104] Cfr. per esempio Cass., 8
luglio 1993, n. 7493, cit.; Cass., 10 agosto 1991, n. 8733, cit.
[105] Cfr. Longo, op.
cit., p. 1878. Nello stesso senso v., prima ancora, Troncone, Seduzione
con promessa di matrimonio, costume sociale e mediazione del giudice, Nota
a Trib. Napoli, 28 dicembre 1979, in Dir. giur., 1980, p. 858 ss.; Caferra, La
seduzione con promessa di matrimonio: una fattispecie in via di estinzione,
nota a Trib. Verona, 29 gennaio 1982, in Giur. it., 1983, I, 2, c. 117.
([106])
Così V. Carbone, op. cit., p. 1056. Definisce «senz’altro
femminista» la giurisprudenza in esame F. Finocchiaro, Del matrimonio, cit.,
p. 186 s.
[107] Trib. Pisa, 3 febbraio
1976, in Foro it., 1976, I, c. 961.
[108] Trib. Verona, 29 gennaio
1982, in Dir. fam. pers., 1982, p. 1313, con nota di Scardulla, È
ancora risarcibile ex art. 2043 c.c. il danno da seduzione con promessa
di matrimonio?; in Giur. it., 1983, I, 2, c. 118, con nota di Caferra, cit.;
in Giur. merito, 1983, p. 936, con nota di De Cupis, In
tema di seduzione con promessa di matrimonio; in Resp. civ. prev.,
1983, p. 531; in Giur. merito, 1984, p. 622, con nota di Dogliotti, La
seduzione con promessa di matrimonio e le ideologie della giurisprudenza.
[109] Nello stesso senso cfr. Cendon, Responsabilità
civile (rassegna di giurisprudenza), in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1989, p. 1046.
[110] V. per tutti Schwab, op.
cit., p. 27.
[111] Per ulteriori
approfondimenti sul tema della responsabilità civile per seduzione con promessa
di matrimonio cfr. Oberto, La promessa di matrimonio tra passato e
presente, cit., p. 250 ss.; Id., La seduzione con promessa di matrimonio al
capolinea, cit., p. 416 ss.; v. inoltre Anelli, op. cit., p. 32 ss.; Feola, op.
cit., p. 107 ss.; Bugetti, La responsabilità per seduzione con promessa
di matrimonio, in Aa. Vv., La responsabilità nelle relazioni familiari,
, a cura di Sesta, Torino, 2008, p. 27 ss. Aderiscono alle conclusioni di cui
al testo anche Ferrando, Il matrimonio, in Trattato di diritto civile, già diretto
da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 2002, p. 271
s. (la quale rileva che «l’illecito da seduzione sembra privo di quei supporti
concettuali che dimostrino l’appartenenza degli interessi in gioco all’area di
quelli giuridicamente protetti e tutelabili con l’azione risarcitoria») e Di Rosa, op. cit., p. 39; contra Monateri, La responsabilità civile, in Trattato
di diritto civile, diretto da Sacco, Le
fonti delle obbligazioni, III, Torino, 1998, p. 462 ss., ad avviso del
quale, testualmente, permarrebbe uno spazio residuo per la responsabilità da
seduzione ingannevole con riferimento sia al particolare disdoro sociale per la
donna (in taluni contesti sociali o culturali), sia al danno da fecondazione
(nel caso in cui cioè la donna sia rimasta incinta: ma, a questa stregua,
diverrebbe interessante porsi il problema della configurabilità di un
eventuale… concorso di colpa della donna, per non aver questa proceduto ad
effettuare l’interruzione volontaria della gravidanza).