PROBLEMI DI COPPIA,
OMOSESSUALITÀ E FILIAZIONE*
1. Premessa. Crisi del rapporto di coppia e
omogenitorialità. 2. Il divieto, sul piano sovranazionale, di discriminazioni
basate sull’orientamento sessuale e la sua proiezione sulle vicende del
rapporto di coppia eterosessuale. 3. L’irrilevanza dell’orientamento sessuale del genitore nell’affidamento
del minore ai sensi degli artt. 155 ss. c.c. 4. Il rilievo delle «accuse» di omosessualità mosse da un
genitore all’altro. 5. Crisi della coppia omosessuale e conseguenze per la prole:
impostazione del problema. 6. Crisi della coppia omosessuale e conseguenze per la
prole: il rilievo degli accordi sui profili patrimoniali. 7. Crisi della coppia omosessuale e conseguenze per la prole:
il rilievo degli accordi sui profili personali ed i rimedi in caso di
disaccordo. 8. Crisi della coppia omosessuale e conseguenze per la
prole: cenni su alcuni problemi di diritto internazionale privato relativi
alle obbligazioni alimentari. |
1.
Premessa. Crisi del rapporto di coppia e omogenitorialità.
L’argomento dell’incidenza che, nell’ambito della
crisi del rapporto di coppia, l’orientamento sessuale dei genitori può dispiegare
sulle relazioni con i figli minori deve trovare svolgimento su due versanti
distinti: (a) quello delle conseguenze per la prole della crisi di una coppia
eterosessuale, allorquando uno dei due genitori abbia dato vita ad una
relazione omosessuale con un nuovo partner;
(b) quello delle conseguenze per la prole della fine un rapporto di coppia
omosessuale, nel corso del quale (nei modi più vari) sia sorto un rapporto di
filiazione, o si siano sviluppate relazioni privilegiate tra il/la compagno/a e
il figlio dell’altro/a.
Le questioni appena enunciate attengono al vasto tema
dell’omogenitorialità [1], a sua volta strettamente legato ai temi della
procreazione medicalmente assistita, nonché dell’adozione e dell’affido
familiare, che hanno formano oggetto di apposite e distinte relazioni
nell’ambito del convegno cui il presente contributo è destinato e che pertanto
non evocherò [2]; mi concentrerò, invece, sui soli profili relativi,
non già all’instaurazione del rapporto omogenitoriale, ma – come detto – alle
conseguenze che la crisi della coppia può determinare nei rapporti con la
prole.
Il primo caso da prendere in considerazione è dunque
quello di una coppia eterosessuale – coniugata o meno, ma convivente e con
prole minorenne – la quale si venga a trovare in una situazione di crisi,
mentre uno dei suoi componenti inizia un rapporto di tipo omosessuale, che
magari sfocia anche in una convivenza con il nuovo/la nuova partner. Si tratta di vedere, innanzi
tutto, se siffatta situazione possa dispiegare effetti di sorta
sull’affidamento della prole conseguente alla separazione dei genitori.
Porre una questione del genere a seguito della riforma
sull’affidamento condiviso di cui alla l. 8 febbraio 2006, n. 54 [3] significa domandarsi se l’omosessualità di uno dei
due genitori, ovvero l’esistenza di una situazione di convivenza con un/una partner del medesimo sesso,
costituiscano ragioni per derogare al principio dell’affidamento ad entrambi i
genitori, ovvero per influire sul concreto regime di gestione dello stesso (e
in particolare sul c.d. «collocamento» presso l’uno o l’altro dei membri della
coppia ormai disciolta).
Come si è esattamente rimarcato [4], la disciplina dell’affidamento condiviso è venuta,
nel 2006, a mutare radicalmente il rapporto tra genitori separati e figli; lo
spirito di questa novella pone i figli al centro dell’attenzione di entrambi i
genitori attraverso la realizzazione di rapporti «significativi e continuativi»
[5] con essi e con la realizzazione comune di entrambi
del progetto educativo relativo alla crescita della prole. Questo concetto, che
è stato definito con il termine di «bigenitorialità» [6], si pone in controtendenza rispetto alla pratica
realizzatasi in precedenza alla riforma, ovvero l’affidamento disgiunto del
minore, generalmente alla madre, con una regolamentazione del diritto di visita
al genitore non affidatario e della somministrazione di un assegno periodico di
contributo al mantenimento.
Sul punto dobbiamo constatare – ai fini che qui
interessano – l’esistenza di un basilare principio, sul piano sia
sovranazionale, che interno, di divieto di discriminazioni basate
sull’orientamento sessuale (sexual
orientation discrimination).
Affrontando innanzi tutto il problema del divieto di
discriminazioni basate sull’orientamento sessuale nella sua proiezione
sovranazionale, andrà tenuto presente che il Trattato di Lisbona, la cui
entrata in vigore, intervenuta la ratifica da parte degli Stati membri, è
prevista nel corso del corrente anno 2009, richiama, all’art. 6 [7], la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea (c.d. Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000, la quale condanna
espressamente la discriminazione fondata, tra l’altro, sull’orientamento
sessuale [8].
Più complessa (ma, in relazione al problema qui
discusso, caratterizzata da una soluzione assolutamente identica) appare invece
la questione che si pone sul piano della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. L’art. 8 di
tale strumento tutela, come noto, i diritti derivanti da rapporti di famiglia,
sancendo genericamente il diritto di ogni persona al «rispetto della propria
vita privata e familiare». D’altro canto, l’art. 12, con riguardo diritto al
matrimonio, fa riferimento esplicito alla famiglia originata dal vincolo
coniugale [9].
E’ noto che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha,
in un primo momento, privilegiato un’interpretazione unitaria delle due norme,
nel senso della tutela dell’unica forma di vita familiare quale è quella
fondata sul matrimonio, inteso come unione di persone di sesso diverso [10]. Successivamente, in considerazione della natura
della Convenzione quale strumento vivente, da interpretare cioè in modo
evolutivo alla luce delle concezioni prevalenti negli Stati partecipanti, la
Corte ha orientato la propria lettura delle norme convenzionali in maniera più
ampia. Ha ritenuto cioè che alla base della famiglia di cui all’art. 8 della
Convenzione vi sia la cellula uomo-donna costituente un rapporto coniugale od
altra relazione affettiva che, pur se non riconducibile al matrimonio, ne
condivida gli aspetti essenziali. In applicazione del principio di effettività,
la Corte ha poi ritenuto di far rientrare nell’ambito di applicazione dell’art.
8, primo comma, oltre alle relazioni fondate sul matrimonio, soltanto i
rapporti affettivi costituiti da persone di diverso sesso conviventi more uxorio per un certo periodo di
tempo e connotati da un sufficiente carattere di stabilità – desumibile, ad
esempio, dalla coabitazione durevole e dalla nascita di figli – nonché dalla
volontà di costituire una famiglia [11].
Simile evoluzione nella giurisprudenza della Corte
europea rinviene del resto il suo parallelo nel percorso che lo stesso giudice
di Strasburgo ha compiuto in materia di rapporti genitori-figli, laddove esso
ha, fin da anni lontani, assicurato, in base all’art. 8, protezione ai rapporti
tra genitori e figli naturali [12], estendendo inoltre la tutela della vita familiare
oltre lo stretto ambito delle relazioni tra genitori e figli per abbracciare
quelle con i parenti [13].
Analogo percorso evolutivo non può dirsi ancora integralmente
compiuto dalla Corte europea, con riguardo alle coppie composte da soggetti del
medesimo sesso [14]
Il Parlamento europeo ha, al contrario, indirizzato
raccomandazioni agli Stati membri sulla parità di diritti degli omosessuali
nella Comunità, nonché sul rispetto dei diritti umani nell’Unione Europea,
affinché si garantiscano alle coppie non sposate e a quelle omosessuali la
parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in
particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti
sociali [15]. Ha inoltre sollecitato i Paesi che non vi abbiano
ancora provveduto a modificare i propri ordinamenti in modo da introdurre la
convivenza registrata e riconoscere giuridicamente le unioni di fatto, senza
discriminazioni basate sul sesso [16]. E’ noto che, a differenza del nostro Paese, altri
hanno prestato ascolto a tali inviti. Così, ad esempio, in ottemperanza al
principio di eguaglianza, il ministero del pubblico impiego del Belgio ha
recentemente (novembre 2009) raggiunto un accordo con i sindacati per
permettere alla partner omosessuale di una madre di usufruire del congedo
parentale, in precedenza riservato soltanto al padre [17].
Quanto detto sopra circa la Corte europea dei diritti
dell’uomo va però subito integrato e corretto con le seguenti riflessioni,
attinenti proprio alla materia in esame. Se è vero infatti che la Corte di
Strasburgo si è (per lo meno sino ad ora) rifiutata di estendere alle coppie
omosessuali i principi attinenti alla legislazione matrimoniale, con le
conseguenti norme «di favore» verso i nubendi, essa ha chiaramente preso
posizione in senso contrario all’applicazione di principi «di sfavore» (e
dunque discriminatori) verso genitori omosessuali.
Intendo riferirmi, in primo luogo, alla sentenza del
21 dicembre 1999, nel caso Salgueiro da
Silva Mouta v. Portugal [18].
Sul punto la Corte europea ha ritenuto che una
decisione della Corte d’appello di Lisbona, la quale aveva negato l’affidamento
della figlia minorenne al padre, motivando sulla base dell’omosessualità di
quest’ultimo e della sua convivenza con un altro uomo, costituisse violazione
degli artt. 8 e 14 della Convenzione [19]. A dire la verità, questa condanna da parte di
Strasburgo, la pronunzia lusitana sembrava veramente «essersela andata a
cercare». La decisione oggetto di contestazione era, invero, ricorsa ad
espressioni quali: «la figlia deve vivere all’interno (…) di una famiglia
tradizionale portoghese», oppure: «qui non è il caso di accertare se
l’omosessualità sia o meno una malattia o se essa sia un orientamento sessuale
verso le persone del medesimo sesso. In entrambi i casi si è in presenza di una
anormalità e un minore non deve crescere all’ombra di situazioni anormali».
Di fronte a questi rilievi la Corte europea ha avuto
partita facile nell’affermare che «ces passages de l’arrêt litigieux, loin de
constituer de simples formules maladroites ou malheureuses, comme le soutient
le Gouvernement, ou de simples obiter
dicta, donnent à penser, bien au contraire, que l’homosexualité du
requérant a pesé de manière déterminante dans la décision finale». Siffatta
conclusione risultava poi confermata dal fatto che la corte d’appello di
Lisbona, decidendo sul diritto di visita del padre, lo aveva messo in guardia
dal tenere un comportemento che consentisse alla minore di comprendere «che suo
padre viveva con un altro uomo in condizioni simili a quelle di due coniugi».
La Corte europea ha quindi stabilito che il giudice portoghese aveva operato
una «distinction dictée par des considérations tenant à l’orientation sexuelle
du requérant, distinction qu’on ne saurait tolérer d’après la Convention», così
negando «l’existence d’un rapport raisonnable de proportionnalité entre les
moyens employés et le but visé» e facendo tra l’altro riferimento al caso Hoffmann v. Austria, nel quale si era
ritenuta la violazione del combinato disposto degli artt. 8 e 14 della
Convenzione da parte di una decisione della Corte Suprema austriaca, che aveva
ritenuto rilevanti nella decisione sull’affidamento di un minore considerazioni
di tipo religioso (nella specie, l’appartenenza della madre ai Testimoni di
Geova).
Sarà interessante notare, poi, che il riscontro della
medesima violazione dell’art. 14 cit., «combiné avec l’article 8» si pone alla
base del successivo arresto del 22 gennaio 2008, con il quale i giudici di
Strasburgo hanno condannato la Francia nel caso E.B. v. France, dichiarando contrario alla Convenzione il diniego
dell’idoneità all’adozione deciso dalle autorità di uno Stato membro che
consente per legge al singolo di adottare, qualora tale diniego sia motivato
con la mancanza di un riferimento genitoriale del sesso opposto a quello
dell’aspirante genitore adottivo celibe o nubile [20].
Tale ultima decisione costituisce un’importante
novità, atteso che, nel precedente caso Fretté
v. France [21], la medesima Corte europea dei diritti dell’uomo
aveva ritenuto, con una maggioranza di soli quattro voti contro tre, che il
rifiuto al ricorrente dell’idoneità all’adozione non integrasse un trattamento
ingiustificatamente discriminatorio poiché, sebbene l’esclusione fosse avvenuta
a causa della sua omosessualità, tale trattamento differenziato perseguiva il
fine legittimo di proteggere il benessere e i diritti dei minori adottandi e
non eccedeva il margine di apprezzamento da riconoscere agli Stati contraenti,
in assenza di un orientamento comune tra gli ordinamenti giuridici europei e
anche all’interno della comunità scientifica in questa materia.
Si è esattamente rilevato in dottrina che le
differenze tra tale affaire, giunta a
decisione nel 2002 e quella E.B. v.
France, del 2008, «non sono tali da giustificare di per sé una decisione
opposta» [22].
Concordo con tale giudizio, ritenendo però
personalmente erronea la decisione del caso Fretté.
Sul tema, se la decisione del 2008 costituisca o meno un avallo della Corte
europea all’omogenitorialità andrei cauto nel fornire, come pure è stato fatto
in dottrina [23], una risposta negativa. Nessuna affermazione, certo,
arriva da Strasburgo sul diritto di un omosessuale, in quanto partner del genitore biologico, ad
adottare il figlio dell’altro, in forza del rapporto di convivenza
(formalizzata o meno) con quest’ultimo.
Una vigorosa affermazione, invece, discende dal
«combinato disposto» delle sentenze Salgueiro
da Silva Mouta ed E.B., circa la non
rispondenza ai principi della Convenzione europea di pratiche discriminatorie
che trovino la propria «giustificazione» sull’orientamento sessuale del
genitore (attuale o «potenziale» che sia).
In una battuta, il messaggio che arriva dalla Corte di
Strasburgo, se non può ricondursi ad una affirmative
action in favore dell’omogenitorialità, contiene pur sempre un chiaro e
netto fin de non recevoir opposto ad
ogni tentativo di considerare l’omosessualità e il desiderio di
omogenitorialità come ragione di trattamento deteriore. Dunque, in questi
termini, ed in questi limiti, parlare di «riconoscimento» e di «avallo» (nel
senso, per l’appunto, di accoglimento di rilevanti istanze di pari
trattamento), da parte della Corte europea, del fenomeno dell’omogenitorialità
non sembra poi così fuori luogo [24].
Passando all’esame della situazione italiana sul punto
qui in discussione, va ricordato che, in base ai principi sanciti agli artt.
155 ss. c.c. (così come risultanti dalla già ricordata riforma sull’affidamento
condiviso), l’affidamento ad un solo genitore è previsto alla stregua di una
situazione eccezionale e postula un giudizio non solo di «valore» nei riguardi
dell’affidatario, bensì anche un corrispondente giudizio di «disvalore»
(beninteso non in termini assoluti, bensì in relazione alle capacità educative
ed al possesso delle qualità tali da rendere quel soggetto idonea figura
genitoriale di riferimento) nei confronti del non affidatario [25]. Ma è chiaro che, nell’ambito di tali giudizi, nessun
rilievo può giocare la considerazione dell’orientamento sessuale del genitore,
sia esso o meno accompagnato da una situazione di convivenza con un partner del medesimo sesso.
Diverse sono ormai le decisioni italiane che si
collocano sulla linea tracciata dalla sentenza della Corte di Strasburgo nel
caso Salgueiro da Silva Mouta (di cui
si è detto nel § precedente) e quanto mai lontani appaiono i tempi in cui, ad
esempio, un genitore poteva essere escluso dall’affidamento perché ateo [26].
Così, nel 2006 il tribunale di Napoli [27] ha preso chiaramente posizione in favore
dell’idoneità di un genitore omosessuale ad essere affidatario della prole
minorenne, utilizzando espressioni assai decise e che non hanno mancato di
suscitare reazioni (ingiustificatamente) perplesse di una parte della dottrina [28]. Come è dato leggere nella motivazione della
decisione partenopea, «L’atteggiamento di ostilità, più o meno velata, nei
confronti dell’omosessualità, nel settore in oggetto, è ormai frutto di meri
stereotipi pseudoculturali, espressione di moralismo e non di principi etici
condivisi, privi peraltro di un fondamento normativo. Soprattutto non vi è, nè
può esservi, alla base di siffatta prevenzione, alcun fondamento normativo (ed
è appena il caso di ricordare che in altri ordinamenti, anche nell’ambito
dell’Unione europea, è ormai riconosciuto lo stesso matrimonio omosessuale)».
Di contro, prosegue la citata sentenza, l’art 3 Cost. «protegge l’individuo da
qualunque discriminazione legata all’orientamento sessuale; cfr. anche gli
artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali e l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, nonché la Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 febbraio 1994
sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità».
Sempre ad avviso dei giudici napoletani, «Va anzi
ribadito che siffatta neutralità della condizione e delle relazioni omosessuali
di un genitore si pone in termini di ben maggior forza rispetto alle
condizioni-condotte “borderline”, se non francamente illecite o “a rischio”,
sopra esaminate, e che pure di per sé non ostano al riconoscimento
dell’idoneità genitoriale e all’affidamento. L’omosessualità, infatti, e
beninteso, è una condizione personale, e non certo una patologia, così come le
condotte-relazioni omosessuali non presentano, di per sé, alcun fattore di
rischio o di disvalore giuridico rispetto a quelle eterosessuali.
L’omosessualità del genitore si pone – ai fini che qui interessano – in termini
non diversi dalle opzioni politiche, culturali e religiose, che pure sono di
per sé irrilevanti ai fini dell’affidamento. Ciò è tanto più vero con
riferimento a contesti socio-culturali elevati, quale è quello delle parti, in
cui le antiche prevenzioni verso l’omosessualità dovrebbero essere superate».
Beninteso, la relazione omosessuale del genitore potrà
in concreto, vale a dire in casi specifici, fondare un giudizio negativo
sull’affidamento o sull’idoneità genitoriale solo allorquando sia posta in
essere con modalità pericolose per l’equilibrato sviluppo psico-fisico del
minore. Tanto, però, può affermarsi anche per una relazione eterosessuale. A
tal proposito il tribunale di Napoli richiama opportunamente alcuni precedenti
giurisprudenziali, in cui la relazione extraconiugale (eterosessuale) del
genitore è stata valutata negativamente quanto alle conseguenze sulla prole [29].
Proprio questi rilievi consentono, a mio avviso, di
superare le preoccupazioni espresse in dottrina da chi teme che la discussione
sui temi in esame «rischi talvolta di trasformare i minori in un mezzo per la
promozione dei diritti degli adulti
omosessuali» [30]. In realtà, è più che evidente che la sacrosanta
rivendicazione di una parità di trattamento tra genitori (etero- o omosessuali
che siano) e di una perfetta indifferenza, sul piano delle caratteristiche
della genitorialità, dell’orientamento sessuale delle figure parentali, non può
attentare all’altrettanto sacrosanta affermazione del principio di assoluta primauté della tutela dell’interesse dei
minori coinvolti, ponendosi, anzi, quale strumento per un’effettiva
realizzazione, nel caso concreto, di questa tutela [31].
Una successiva decisione di merito del tribunale di
Bologna [32] ha deciso che la condizione omosessuale di uno dei
genitori non giustifica e non consente di motivare la scelta restrittiva
dell’affidamento esclusivo all’altro. Nella specie, dopo otto anni di
matrimonio e la separazione consensuale, avvenuta nel 2006 perché il marito si
era scoperto gay, la bambina era
stata affidata alla madre, con la facoltà per il padre di vederla quando lo desiderava,
previo accordo. Allorquando il padre propose di portare la figlia in vacanza
sull’isola di Samos, in Grecia, la madre si oppose, affermando che quella
località sarebbe «notoriamente frequentata quasi esclusivamente da omosessuali»
(sic), con la conseguenza che la
figlia avrebbe potuto scoprire «l’omosessualità del padre senza una graduale e
adeguata preparazione». Da qui la decisione del padre di chiedere l’affido
condiviso, poi concesso dal tribunale. Per il tribunale felsineo, «non vi è
alcuna prova che l’isola di Samos costituisca meta privilegiata del turismo
omosessuale» e comunque «il Tribunale non ha motivo – in assenza di pregiudizio
per la figlia – di imporre al padre una località di vacanza diversa da quella
prescelta».
Il caso deciso dal Tribunale di Bologna presenta la
peculiarità della richiesta della modificazione dell’affidamento della bambina:
da esclusivo alla madre a condiviso insieme al genitore omosessuale.
Applicando le norme sull’affidamento condiviso al caso
in questione, i giudici bolognesi hanno evidenziato come l’omosessualità del
genitore non sia un elemento ostativo al raggiungimento degli obiettivi della
riforma. Infatti, per derogare alla regola dell’affidamento condiviso, occorre,
secondo quanto del resto stabilito anche dai supremi giudici di legittimità,
«che risulti nei confronti di uno dei genitori una sua condizione di manifesta
carenza o inidoneità educativa o comunque tale da rendere quell’affidamento in
concreto pregiudizevole per il minore» [33]. L’orientamento sessuale, dunque, non è
ricollegabile, di per sé, a condizione di carenza o inidoneità educativa,
mentre nel caso concreto, i giudici di merito hanno verificato la presenza di
interesse del genitore nei confronti della figlia [34], nonostante la difficile comunicazione tra i
genitori.
Poiché unico criterio che deve orientare la
valutazione giudiziale è quello rappresentato dal best interest del minore, anche riguardo alla sfera delle scelte
personali e più intime del genitore – al pari di altri aspetti, legati alle
opzioni politiche, culturali o religiose – deve affermarsi la rigorosa
neutralità del giudice rispetto agli opposti sistemi di valori cui si ispiri la
condotta educativa dei genitori, con l’ovvio limite costituito dal pregiudizio
per la persona del figlio (artt. 330 e 333 c.c.) [35].
4.
Il rilievo delle «accuse» di omosessualità mosse da un genitore all’altro.
Per altro verso, rispetto al profilo
esaminato nei §§ precedenti, le «accuse» [36] di omosessualità rivolte da un genitore all’altro, al
fine di sollecitare interventi giurisdizionali restrittivi dell’esercizio dei
diritti inerenti alla posizione genitoriale (sul piano, cioè, dell’affidamento,
del collocamento della prole, dei diritti di visita, ecc.), non solo non
risultano essere state prese in considerazione ai fini dell’imposizione di
misure limitative nei confronti del genitore «accusato», bensì, tutto al
contrario, sono state talora valutate come elemento idoneo, in concorso con
altri, a determinare provvedimenti negativi nei confronti del genitore
«accusatore».
Sul punto è intervenuta la Cassazione [37], in relazione ad un caso in cui a sostegno della
propria richiesta di affidamento esclusivo (e, in subordine, di quello
condiviso), il padre aveva allegato l’inidoneità educativa della moglie, sul
presupposto di una pretesa relazione omosessuale dalla stessa intrattenuta con
un’amica. La richiesta del marito non ha però trovato accoglimento, in ragione
della assoluta infondatezza e del difetto di prova circa l’asserita relazione
intima della donna. Ma le meditate e assai condivisibili argomentazioni del
giudice del merito – corredate dai richiami all’art. 3 Cost., agli artt. 8 e 14
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
nonché all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE – inducono a
ritenere che l’esito del giudizio non sarebbe stato diverso, ove quella
relazione fosse stata adeguatamente e compiutamente dimostrata [38].
Nella fattispecie, il padre è risultato di per sé
(ovvero: senza che la conflittualità fra i genitori abbia interferito sulla
decisione di affidamento esclusivo), inidoneo alla condivisione dell’esercizio
della potestà genitoriale in termini compatibili con la tutela dell’interesse
primario del minore. La Cassazione ha infatti avallato il ragionamento seguito
dalla decisione d’appello, fondato sul «comportamento gravemente screditatorio
[da parte del padre] della capacità educativa della madre, adottato dal marito
con non provate accuse anche di sue relazioni omosessuali». Tale atteggiamento
è stato ritenuto fonte «di oggettiva inidoneità del padre alla condivisione
dell’esercizio della potestà genitoriale in termini compatibili con la tutela
dell’interesse primario del minore, mentre la madre aveva mostrato, invece,
disponibilità a favorire rapporti tra il padre e il figlio che allo stato
appare sereno e ben integrato scolasticamente».
Il principio risulta tanto più condivisibile, ove si
ponga mente al fatto che, secondo quanto dimostrato dalla prassi, nei casi di
alto tasso di conflittualità tra i genitori, la condizione di omosessualità di
uno dei partners è sempre invocata
dall’altro come fattore idoneo a perturbare l’equilibrio psicofisico del minore
e dunque tale da giustificare l’affidamento esclusivo al genitore eterosessuale
[39].
Sulla stessa linea della Cassazione si pone un decreto
del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, con il quale il minore è stato
affidato esclusivamente alla madre, in quanto il padre, pregiudicato ed
alcolista, non avrebbe costituito un modello educativo per il figlio, non solo
per la condanna per omicidio volontario, ma anche per aver più volte dimostrato
atteggiamenti discriminatori e razzisti contro omosessuali e drogati [40].
5.
Crisi della coppia omosessuale e conseguenze per la prole: impostazione del problema.
Si tratta ora di esaminare il punto – sopra
individuato [41] sub (b) –
concernente le conseguenze per la prole della fine un rapporto di coppia
omosessuale, nel corso del quale (nei modi più vari) fosse sorto un rapporto di
filiazione, o si fosse sviluppato un rapporto privilegiato tra il/la compagno/a
e il figlio dell’altro/a.
Al riguardo dovrà subito dirsi che un rapporto di
filiazione bilaterale rispetto ad entrambi i membri della coppia omosessuale
potrebbe darsi soltanto qualora si trattasse di prole adottiva di entrambi,
ovvero di prole biologica di uno di essi (ovviamente vuoi legittima, in quanto
derivante da precedente unione matrimoniale, vuoi naturale riconosciuta o
dichiarata), successivamente adottata dall’altro; ciò sempre a condizione,
beninteso, che la creazione di questo secondo vincolo non avesse «cancellato»
il preesistente rapporto, ma vi avesse aggiunto, per così dire, il secondo al
primo, come avviene, ad es., in base all’art. 44, lett. b), l. n. 184 del 1983:
cosa che, peraltro, è da noi consentita soltanto al coniuge e pertanto non al
convivente, tanto dell’opposto, come del medesimo sesso, del genitore [42].
Le uniche adozioni legittimanti, in relazione ad un
minore abbandonato, da parte di un single
ammesse oggi dal nostro ordinamento sono quella della separazione personale tra
i coniugi aspiranti adottanti nel corso dell’affidamento preadottivo (art. 25,
quinto comma, l. n. 184/1983) e quella dell’adozione pronunciata in un Paese
straniero che consente ai singolo l’adozione, a istanza di un cittadino
italiano, il quale dimostri al momento della pronuncia di aver soggiornato
continuativamente e risieduto da almeno due anni in tale Paese, ai sensi
dell’art. 36, comma quarto, l. n. 184/1983 [43]. A favore del singolo possono inoltre essere
pronunciate, come detto, le adozioni in casi particolari di cui all’art. 44, l.
n. 184/1983.
Ben diversa la situazione in svariati altri Paesi,
anche europei, i quali consentono l’adozione del figlio biologico o adottivo
del partner indipendentemente
dall’orientamento sessuale [44]. Altri sistemi ammettono l’esercizio condiviso della
potestà genitoriale tra i partners.
Così, ad esempio, in Francia la l. 4 marzo 2002, n. 2002-305, relativa
all’autorità parentale, consente al genitore la delega a terzi di parte o tutta
la potestà genitoriale [45]. Proprio tale istituto ha ricevuto applicazione in
taluni casi di omogenitorialità: così, ad esempio, la Corte d’appello di
Montpellier ha confermato una decisione di primo grado, in relazione alla
posizione di due fratelli minorenni, figli biologici di genitori entrambi
omosessuali, concepiti «dans le cadre du projet d’enfant» della madre con la
sua convivente. Dopo la morte della madre biologica i figli avevano continuato
a vivere con la ex convivente di questa, sulla base di un documento redatto
dalla madre tre anni prima di morire, nel quale la stessa aveva espresso «sa
volonté de voir ses enfants confiés en cas de décès à Mademoiselle Valérie
F...[la convivente, per l’appunto, della madre biologica]». In proposito la
Corte d’appello ha rilevato che sebbene tale lettre d’intention della madre non fosse stata «enregistrée devant
un notaire, elle constitue néanmoins un élément devant être pris en
considération», unitamente all’accordo del padre biologico, unico titolare
della potestà genitoriale, a seguito del decesso della madre. Da tali premesse
ne ha derivato la validità di una delega parziale «des droits de l’autorité
parentale des droits de Monsieur A... à l’égard des enfants Hugo et Adrien»,
così respingendo la domanda dei nonni materni dei due ragazzi, che si
opponevano a che costoro vivessero con la ex convivente della madre dei minori [46].
Similmente, in Germania, una sentenza recentissima del
Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale) ha riaffermato che le
persone omosessuali hanno il diritto di adottare la prole (biologica) del partner, rigettando la questione di
costituzionalità sollevata da un tribunale sulla legge che consente tale tipo
di adozione. La Corte ha spiegato che la genitorialità sociale deve essere
considerata alla stregua di quella biologica [47]. Si desume, quindi, che il ruolo sociale ed affettivo
del partner stabile del genitore
costituisce la ratio alla quale fare
riferimento, e dà diritto ad un riconoscimento formale nell’ordinamento tedesco.
In Germania, quindi, l’ipotesi di bi-genitorialità omosessuale (con conseguente
potestà genitoriale esercitata da entrambi i partner) viene ammessa in quanto si riconosce espressamente che il
compagno omosessuale o eterosessuale del genitore biologico può effettivamente
affiancarsi a quello dello stesso, previo accertamento dell’interesse dal
minore.
E’ chiaro, quindi, per tornare all’Italia, che,
nell’ipotesi (fantagiuridica, per quanto attiene al sistema italiano,
nonostante diverse e rilevanti esperienze straniere stiano a dimostrare
l’arretratezza del nostro Paese) di previsione di matrimonio tra persone del
medesimo sesso, ovvero di predisposizione di forme di adozione legittimante
aperte alle coppie del medesimo sesso, il caso qui appena descritto verrebbe a
ricadere, in tutto e per tutto, sotto le regole che si è tentato di illustrare
in precedenza sub (a) [48], con integrale applicazione dei principi scolpiti
agli artt. 155 ss. c.c. Si potrebbe allora parlare a pieno titolo di
«bigenitorialità omosessuale».
Così non stando le cose, è comunque innegabile che un
rapporto di «genitorialità de facto»
della coppia omosessuale possa darsi: basti pensare al caso dell’unico genitore
biologico (o adottivo, o al genitore biologico o adottivo affidatario a seguito
di allentamento o scioglimento di un precedente legame di coppia eterosessuale)
che inizi uno stabile rapporto di coppia con una persona del medesimo sesso, la
quale di fatto venga ad assumere, agli occhi della prole, un ruolo
«co-genitoriale» (si usa al riguardo talora il termine «genitore intenzionale»
proprio per designare il convivente del genitore biologico e/o legale). Il
tutto con l’ulteriore particolarità costituita dalla circostanza che il minore
in questione (il quale ha il sacrosanto diritto di infischiarsi delle etichette
che i giuristi possono voler appiccicare alla situazione in esame) ben può aver
sviluppato un rapporto affettivo verso entrambi i partners omosessuali, assolutamente identico a quello che i suoi
coetanei nutrono verso i propri genitori (biologici o adottivi) eterosessuali.
Il problema è che la crisi della coppia omosessuale,
in assenza di un idoneo quadro normativo (rectius:
in assenza di un quadro normativo tout
court), rischia di essere consegnata a strumenti di tutela (e sovente di
autotutela) incongrui rispetto alla delicatezza richiesta dalla situazione in
cui sono comunque coinvolti minori.
A ben vedere, il problema non appare così grave nelle
ipotesi in cui sussista accordo tra gli ex
partners e questi (come del resto, fortunatamente, sovente accade) siano
dotati di un adeguato grado di maturità e serietà.
Ancora una volta, infatti, esattamente come succede
nel caso della crisi della famiglia fondata sul matrimonio (così come in quella
della coppia convivente eterosessuale), un rilievo decisivo potrà e dovrà
assumere la negozialità. Non è questa la sede per trattare del rilievo che la
concorde volontà delle parti può svolgere anche con riguardo alle questioni
attinenti alla gestione del rapporto genitoriale [49], fatti salvi, beninteso, i fondamentali canoni della
tutela dell’interesse del minore e della salvaguardia dei principi dettati
dalle norme imperative, dall’ordine pubblico e dal buon costume. Si potrà solo
dire che tutti gli strumenti negoziali a disposizione dei genitori legittimi e
naturali per la tutela della prole minorenne sono anche utilizzabili nel quadro
di una situazione del genere di quella qui supposta.
Nulla esclude, quindi, che una coppia omosessuale che
intenda separarsi «civilmente» s’accordi pure per i profili attinenti alla
gestione del rapporto con la prole, ancorchè si tratti di figli (biologicamente
e/o giuridicamente) di uno solo di essi. Ciò vale innanzi tutto, ad avviso di
chi scrive, per i profili patrimoniali, la cui causa ha natura contrattuale ed
è legata al principio di autonomia riferibile agli artt. 1321 e 1322 c.c., in
una situazione di sicura meritevolezza di protezione da parte dell’ordinamento [50]. Ne deriva che l’assunzione di eventuali impegni ad
effettuazioni di prestazioni pecuniariamente valutabili dovrà ritenersi valida:
dall’obbligo di corrispondere un assegno, all’impegno a contribuire al
mantenimento in natura, all’assunzione del vincolo ad effettuare trasferimenti
di beni, alla messa a disposizione di un’unità abitativa, alla creazione di
vincoli di destinazione nell’interesse della prole, ex art. 2645-ter c.c. [51], alla creazione di un trust [52].
Potrà qui aggiungersi che attribuzioni, obbligazioni
ed esborsi di provenienza del «genitore de
facto» (cioè del «non-genitore» biologico e/o giuridico, ma considerato come
vero e proprio genitore dal minore) dovrebbero essere rivestiti della forma
solenne, per evitare ogni contestazione legata ad un loro supposto carattere
donativo.
Ma si tratterebbe comunque di un consiglio a fini di
mero tuziorismo. A ben vedere, infatti, l’interprete potrebbe sovente ravvisare
(pur dovendosi modulare la valutazione di volta in volta sulle particolarità
del caso concreto) in questi atti i connotati dell’adempimento di
un’obbligazione naturale. Ben potrebbe dirsi, invero, che, nell’ambito di un
rapporto di omogenitorialità, le relazioni tra i membri di tale famiglia e
l’«affidamento» ingenerato nella prole dalla creazione di un rapporto de facto dotato di (quanto meno
apparente) solidità giustificano l’esistenza di «doveri» rilevanti ai sensi
dell’art. 2034 c.c., non dissimilmente da quanto avviene nel contesto della
procreazione biologica naturale non dichiarata né riconosciuta (se non
addirittura non riconoscibile) [53], o dalla convivenza more uxorio nei rapporti tra i partners
[54].
Dalla citata configurazione derivebbe, come noto,
l’esonero, per le attribuzioni in discorso, dal rispetto delle formalità ex artt. 782 c.c. e 48 l. notar.; ne
discenderebbero inoltre ulteriori, rilevanti, conseguenze d’altro genere. Si pensi alla non applicabilità all’atto di
adempimento di un’obbligazione naturale di istituti che vanno dalla
revocabilità per ingratitudine o per sopravvenienza di figli (artt. 800 ss.
c.c.), alla garanzia per evizione (art. 797 c.c.), all’obbligo di prestare gli
alimenti in caso di bisogno del donante (art. 437 c.c.) [55], a quello di collazione
(artt. 737 ss. c.c.), o di imputazione (art. 564, secondo comma, c.c.). Regole
speciali sussistono poi anche sotto il profilo della capacità richiesta per la
validità dell’atto (cfr. artt. 774 ss. c.c.) [56].
Per quanto attiene, invece, ai profili personali, è
indiscutibile che il fondamento normativo circa l’ammissibilità di intese
sull’affidamento (condiviso o esclusivo) e sulle relative modalità di gestione
del rapporto genitoriale non appare riferibile al caso in cui la potestà
risulti giuridicamente in capo ad una sola persona. Sarà opportuno ricordare
che tale fondamento, nel caso di bigenitorialità, legittima o naturale che sia,
va riscontrato vuoi nella disciplina in materia di separazione personale tra
coniugi (cfr. art. 711 c.p.c., laddove si fa riferimento alle «condizioni della
separazione consensuale»), vuoi in quella del divorzio (cfr. art. 4, sedicesimo
comma, l.div., laddove si fa riferimento alle «condizioni inerenti alla prole e
ai rapporti economici») [57], vuoi, infine, nell’estensione del riconoscimento
della validità ed efficacia delle intese sulla prole anche al campo della
filiazione fuori dal matrimonio (cfr. i riferimenti agli «accordi» tra i
coniugi, rinvenibili negli artt. 155, secondo, terzo e quarto comma, 155-quater cpv. e 155-sexies cpv. c.c. e applicabili alla filiazione naturale per effetto
dell’art. 4 cpv., l. n. 54/2006) [58].
Nulla esclude, però, che, nell’ambito dei
poteri/doveri che costituiscono l’essenza della potestà genitoriale, il
titolare di tale situazione decida di riconoscere comunque un ruolo al proprio
ex partner, a condizione che ciò non
venga in conflitto (cela va sans dire)
con il fondamentale e già richiamato principio della tutela dell’interesse
esclusivo del minore. Con l’ulteriore precisazione che eventuali deleghe della
potestà non potrebbero avere effetto verso i terzi, in assenza di una normativa
analoga a quella che, come si è ricordato, esiste Oltralpe. Per completezza
potrà ancora aggiungersi che, ad esempio, nel regime del civil partnership britannico, la dissoluzione delle unioni
omosessuali in cui sono sorti rapporti di filiazione va accompagnata da uno
«Statement of arrangements» [59]. Questo documento, dunque, dispone, su accordo dei
partner, le conseguenze per la prole in caso di separazione.
Nel caso di contrasto tra le parti è invece evidente
che il partner non genitore non potrà
far valere alcun diritto (e corrispondentemente, non sarà sottoposto ad alcun
dovere giuridico) verso il minore figlio dell’altro. Non va però dimenticato
che il criterio cardine per la soluzione dei problemi in cui un minore può
essere coinvolto nella crisi della coppia è pur sempre quello del suo esclusivo
interesse. In nome di tale interesse, a mio avviso, il giudice [60] è legittimato a disporre un affidamento anche a
favore di un estraneo e tale «estraneo» ben potrebbe essere proprio il
«genitore di fatto».
Come del resto riconosciuto in dottrina [61], per quanto paradossale possa sembrare, l’unica
tutela della genitorialità omosessuale è assicurata proprio nel caso di
contrasto tra i partners o di
dissenso dell’altro genitore del minore [62]: in tali casi, infatti, può essere chiesto al
tribunale per i minorenni un provvedimento limitativo della potestà del
genitore che con il suo comportamento pregiudichi l’interesse del figlio
minore. A sostegno dell’illustrata soluzione può invocarsi mutatis mutandis quell’orientamento giurisprudenziale che utilizza
l’art. 333 c.c. per consentire i contatti tra nipoti e nonni cui il genitore
esercente la potestà (perché unico genitore vivente o affidatario esclusivo) o
il parente affidatario del minore impedisca di frequentare i nipoti [63]. In applicazione degli amplissimi poteri concessi al
tribunale per i minorenni, nel contesto della citata procedura, il partner potrebbe addirittura richiedere
l’affidamento del minore, posto che, come riconosciuto dalla stessa
giurisprudenza di legittimità, l’intervento ai sensi del ricordato articolo del
codice civile consente l’eventuale affidamento a terze persone, diverse da un
genitore biologico [64].
E’ da notare, infine, che una soluzione del genere
rinviene un suo preciso pendant
nell’ambito della disciplina della rottura della coppia eterosessuale
(coniugata o meno), in merito ai rapporti rispetto ai figli di entrambi i
membri della coppia stessa.
Ritengo infatti che la scomparsa del previgente sesto
comma dell’art. 155 c.c. (secondo cui «In ogni caso il giudice può per gravi
motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o, nella
impossibilità, in un istituto di educazione»), decretata dalla riforma del
2006, non impedisce al giudice – chiamato comunque ad adottare i provvedimenti
relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale
di essa (art. 155, comma secondo, prima parte, c.c.) – di disporre il
collocamento dei figli minori presso terze persone, per esempio i nonni o altri
parenti nell’eventualità che nessimo dei genitori sia in grado di occuparsi
adeguatamente dei figli.
Come stabilito in precedenza dalla giurisprudenza di
legittimità, si tratta del resto di un affidamento che il giudice può disporre
utilizzando quei larghi poteri che la legge gli attribuisce in contemplazione
dell’esclusivo e superiore interesse del minore [65]. Del resto, nonostante le discordi opinioni
dottrinali sul punto [66], la giurisprudenza intervenuta dopo l’entrata in
vigore della l. 2006/54, ha fatto talvolta applicazione dell’affidamento a
terze persone, conformemente, a tacer d’altro, alla locuzione contenuta
nell’art. 155 c.c. che consente al giudice di adottare «ogni altro
provvedimento relativo alla prole». Così, ad esempio, una pronunzia di merito
ha valorizzato la costruzione di una categoria di provvedimenti atipici che il
giudice è abilitato ad assumere nell’interesse del minore, ai sensi del secondo
comma dell’art. 155 c.c., affidando il minore ai nonni [67].
Anche sotto questo profilo, quindi, omo- ed
etero-genitorialità mostrerebbero di essere null’altro che due facce della
stessa medaglia.
Non è questa la sede per trattare dei risvolti di tipo
internazionalprivatistico legati alle convivenze più o meno formalizzate tra
persone del medesimo sesso [68]. Vorrei però qui solo porre in luce un profilo, dalle
conseguenze pratiche di una certa evidenza, legato all’omogenitorialità. E’
chiaro, infatti, che, comunque si voglia
inquadrare il rapporto omogenitoriale, il riconoscimento di siffatta situazione
postula l’esistenza di doveri di mantenimento, istruzione ed educazione della
prole in tutto e per tutto identici a quelli che esistono nell’ambito di un
rapporto (per utilizzare un’espressione cara, come si è visto, alla corte
d’appello di Lisbona…) «tradizionale».
Orbene, vi è da chiedersi quale rilievo sia stato
attribuito, nelle situazioni considerate, al profilo dell’obbligazione
alimentare dallo strumento che di recente è venuto a regolamentare tale materia
a livello comunitario. Intendo riferirmi al Regolamento (CE) N. 4/2009 del 18
dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al
riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia
di obbligazioni alimentari [69], ribadendo, a scanso di equivoci, che la nozione comunitaria
di «alimenti» è assai più ampia di quella da noi tecnicamente desumibile dagli
artt. 433 ss. c.c., abbracciando anche le prestazioni contributive
endo-matrimoniali, così come quelle di mantenimento nascenti dalla crisi del
rapporto di coppia sia tra gli ex partners
(coniugati o meno che siano o fossero), che verso i figli (legittimi o
naturali) [70].
Sarà il caso di notare che, a differenza dell’art. 5,
paragrafo 2, del Regolamento (CE) n. 44/2001 (attualmente in vigore e
contenente oggi l’unica disciplina comunitaria delle obbligazioni alimentari,
destinata ad essere sostituita dalla disciplina novellamente approvata), il
quale parla genericamente di «obbligazioni alimentari», il Regolamento n.
4/2009 stabilisce, all’art. 1, che esso «si applica alle obbligazioni
alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di
affinità».
Ora, proprio in relazione a questo inciso, va
registrato un netto regresso rispetto alla precedente Proposta di Regolamento del Consiglio relativo
alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione
delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari recante
la data del 15 dicembre 2005 (da cui il Regolamento n. 4/2009 è poi scaturito),
nel senso che ne sembrano risultare escluse proprio le obbligazioni alimentari
derivanti da rapporti di coppie non coniugate, esplicitamente compresi, invece,
nella citata Proposta [71]. Inutile dire al riguardo che l’inciso del
considerando n. 9 della Proposta, così formulato: «al fine di garantire la
parità di trattamento tra tutti i creditori di alimenti», pateticamente
mantenuto nel considerando n. 11 del nuovo Regolamento, perde oggi qualsiasi
significato, nel momento in cui l’esclusione dei creditori alimentari sulla base
di rapporti di convivenza, ancorchè eventualmente riconosciuta dalla legge
nazionale (ed in svariati ordinamenti europei sostanzialmente equiparata al
matrimonio), viene a privare migliaia di creditori alimentari del nostro
Continente dei vantaggi del nuovo strumento, così riproponendo sul piano
comunitario una discriminazione che diversi legislatori nazionali si sono ormai
lasciati da tempo alle spalle.
E’ vero, indiscutibilmente, che l’inciso «rapporti di
famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità» potrebbe prestarsi anche
ad una lettura diversa e più «liberal»: una lettura in cui al concetto di
«famiglia», pur sempre menzionato ed affiancato a quelli di «parentela, di
matrimonio o di affinità», viene attribuito un significato più ampio rispetto a
questi ultimi, idoneo a comprendere in sé anche tutti i rapporti derivanti
dalla convivenza more uxorio. E’ però
anche vero che, in difetto di strumenti comunitari sulla disciplina della
convivenza e di fronte ad un testo della proposta assai esplicito sul punto,
dal quale il regolamento ha chiaramente inteso discostarsi, sembra assai
difficile poter attribuire al predetto sostantivo «famiglia» una portata più
estesa di quella semplicemente riassuntiva delle espressioni che ad essa fanno
immediatamente seguito («parentela, matrimonio, affinità»).
Sin qui, naturalmente, si è discorso in questo § dei
soli profili attinenti ai rapporti tra partners.
Quid, allora, delle obbligazioni
attinenti alla prole? La risposta più ovvia sembrerebbe quella legata al riscontro
della presenza, comunque, di un rapporto di «parentela» tra genitori e figli e
non vi è il minimo dubbio che ciò valga con riguardo a tutti i casi in cui
all’estero si sia costituito (vuoi sulla base della generazione biologica, vuoi
per effetto di forme di adozione legittimante) un rapporto definibile come, per
l’appunto, di genitorialità e, dunque, di «parentela». Qualche interrogativo
potrebbe però porsi per una situazione di omogenitorialità non rispondente ai
«canoni» che caratterizzano la genitorialità nel nostro sistema: intendo
riferirmi al genitore (es.: convivente omosessuale del genitore biologico) che
tale sia in base alle regole dell’ordinamento straniero, ma che non potrebbe
esserlo secondo l’ordinamento italiano.
Sul punto non andrà trascurato che l’art. 22 del nuovo
Regolamento (e cfr. anche il considerando n. 25) stabilisce testualmente quanto
segue: «Il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione in materia di
obbligazioni alimentari a norma del presente regolamento non implicano in alcun
modo il riconoscimento del rapporto di famiglia, di parentela, di matrimonio o
di affinità alla base dell’obbligazione alimentare che ha dato luogo alla
decisione». La previsione (assente nella Proposta del 2005) sembra dettata dal
timore delle conseguenze possibili del riconoscimento e dell’esecuzione di
pronunce su obblighi alimentari nascenti da rapporti di coniugio tra persone
dello stesso sesso, ammessi dalle legislazioni di Paesi europei comunitari
quali quelle del Belgio, dei Paesi Bassi, della Spagna e della Svezia [72]. E’ chiaro infatti che il riconoscimento di tali
obblighi alimentari non può essere impedito dalla citata limitazione di cui
all’art. 1, poiché non vi è dubbio che i crediti alimentari tra coniugi
omosessuali ai sensi degli ordinamenti nazionali citati siano a tutti gli
effetti «obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia» e «di
matrimonio».
Il timore che sembra trasparire dalla lettura del
nuovo Regolamento è dunque quello che il riconoscimento delle prestazioni alimentari
tra persone del medesimo sesso possa essere utilizzato in altri sistemi europei
per riconoscere diversi ed ulteriori effetti a tali unioni, anche se, a tal
fine, già dovrebbe venire in considerazione la norma relativa all’ordine
pubblico (art. 24 del nuovo regolamento).
Sul punto vi è anzi da chiedersi se per caso lo stesso
riconoscimento del solo «limitato» effetto alimentare di un’unione omosessuale
non possa ritenersi in determinati ordinamenti europei (si pensi a quelli più
arretrati, quali quelli della Grecia o dell’Italia) come impedito dalla
clausola dell’ordine pubblico [73]. Ciò che per altro verso (a sommesso avviso dello
scrivente) non dovrebbe ritenersi possibile, atteso che la nozione di
«matrimonio» e di «famiglia» cui si deve accedere è, per l’appunto, quella
europea, nell’ambito della quale non si può non tenere conto della presenza di
numerossimi ordinamenti che o ammettono il matrimonio tra persone del medesimo
sesso, ovvero prevedono forme di unione che del matrimonio producono i medesimi
(o pressochè i medesimi) effetti.
Se quanto sopra è vero, i timori di contrarietà
rispetto all’ordine pubblico dovrebbero ritenersi fugati anche con riguardo al
caso qui in esame. In altre parole, i provvedimenti e gli atti relativi alle
obbligazioni alimentari di cui si occupa il nuovo Regolamento, di provenienza
di Paesi in cui la relazione omogenitoriale si è legalmente costituita,
dovrebbero liberamente circolare ed essere eseguibili (oltre tutto, secondo le
regole del nuovo strumento, senza necessità di exequatur), anche se, in ipotesi, afferenti ad obbligazioni
alimentari gravanti sull’omogenitore che tale non potrebbe legalmente essere in
base al nostro ordinamento, senza tema di incorrere negli strali di una
possibile violazione delle regole d’ordine pubblico.
Diverso, probabilmente, il discorso per le
obbligazioni tra i partners: ma
questa, come detto, è un’altra storia [74].
(*) Testo della relazione presentata al convegno sul
tema «Rapporto di filiazione e omosessualità», organizzato dall’associazione
«Avvocatura per i diritti LGBT» a Roma nei giorni 27 e 28 novembre 2009.
[1] La letteratura sul tema è quanto mai vasta. A titolo
d’esempio, per quella in lingua italiana cfr. Caggia,
Convivenze omosessuali e genitorialità:
tendenze, conflitti e soluzioni nell’esperienza statunitense, in Aa. Vv.,
I contratti di convivenza, a cura di
Moscati e Zoppini, Torino, 2002, p. 243 ss.; Bottino
e Danna, La gaia famiglia, Trieste, 2005. Per quella in lingua francese cfr.
Bach-Ignasse, « Familles » et homosexualité, in Aa.
Vv., Homosexualités et droit, sotto la direzione di Borrillo, Paris,
1999, p. 122 ss.; Leroy-Forgeot, Les enfants du PACS : réalités de l’homoparentalité,
Vendôme, 1999; Mécary, Droit et homosexualité, Paris, 2000, p.
80 ss.; Aa.Vv., Homoparentalités,
approches scientifiques et politiques : actes de la IIIe conference
internationale sur l’homoparentalité, a cura di Cadoret, Gross, Mécary, Perreau
e Salvador-Ferrer, Paris, 2006. Per quella in lingua inglese cfr. Bozett, Gay and Lesbian Parents, New York, London, 1987; Maxwell, Mattijssen e Smith, Legal Protection for all the Children: Dutch-American Comparison of
Lesbian and Gay Parent Adoptions, (testo disponibile online al seguente sito web:
http://www.docstoc.com/docs/14398440/LEGAL-PROTECTION-FOR-ALL-THE-CHILDREN-DUTCH-AMERICAN-COMPARISON);
Marzano-Lesnevich e Moskowitz,
In the Interest of Children of Same-Sex
Couples, 19 J. Am. Acad. Matrim. Law.
255 (2005), p. 256 ss. (testo disponibile online
al seguente sito web: http://docs.google.com/gview?a=v&q=cache:xxDrZYB2D2YJ:www.aaml.org/tasks/sites/default/assets/File/docs/journal/Journal_vol_19-2-4_Children_of_Same-Sex_Couples.pdf+%22In+the+Interest+of+Children+of+Same-Sex+Couples%22&hl=it&gl=it&sig=AFQjCNGk13Rf2Xtp0e4XwHRugBe7C-Dtxw);
Anderson, Protecting Parent-Child Relationships: Determining Parental Rights of
Same-Sex Parents Consistently Despite Varying Recognition of Their Relationship,
5 Pierce L. Rev. 1 (2006), p. 10 ss.;
Maternach, Where is my Other Mommy? Applying the Presumed Father Provision of the
Uniform Parentage Act to Recognize the Rights of Lesbian Mothers and Their
Children, 9 J. Gender Race & Just.
385 (2005), p. 407 ss. Per la letteratura tedesca cfr. Wendler, Entwicklung
von Kindern gleichgesclechtlicher Eltern, testo disponibile (non
gratuitamente) al seguente sito web: http://www.grin.com/e-book/52096/entwicklung-von-kindern-gleichgeschlechtlicher-eltern;
Fthenakis, Gleichgeschlechtliches Lebensgemeinschaften und kindlischer Etwicklung,
in Aa. Vv., Die
Rechtsstellung gleichgeschlectlicher Lebensgemeinschften, a cura di
Basedow, Hopt, Kötz e Dopffel, Tübingen, 2000, p. 385 ss.
In generale sulle questioni attinenti alle famiglie e
convivenze omosessuali in Italia cfr. Menzione,
Manuale dei diritti degli omosessuali,
Milano, 1996 (in partic. p. 19 ss. per i temi relativi alla genitorialità); Ferrando, Convivenze e modelli di disciplina, in Aa. Vv., Matrimonio, matrimonii, a cura di
Brunetta d’Usseaux e D’Angelo, Milano, 2000, p. 309 ss.; Bonini Baraldi, Le nuove convivenze tra discipline straniere e diritto interno,
Milano, 2005, p. 223 ss.; Pignatelli,
I livelli europei di tutela delle coppie
omosessuali tra «istituzione» matrimoniale e «funzione» familiare, in Riv. dir. costit., 2005, p. 295 ss.; Aa. Vv.,
Le unioni tra persone dello stesso sesso.
Profili di diritto civile, comunitario e comparato, a cura di F. Bilotta,
Milano – Udine, 2008. Sui temi d’ordine patrimoniale v. anche Oberto, Le prestazioni lavorative del convivente more uxorio, Padova, 2003,
spec. p. 125 ss.
[2] Per i richiami in merito alla procreazione
medicalmente assistita in relazione a coppie omosessuali, così come al tema
dell’adozione da parte di coppie omosessuali, cfr. ad es. Caggia, Convivenze omosessuali e genitorialità: tendenze, conflitti e soluzioni
nell’esperienza statunitense, cit., p. 255 ss., 263 ss.; Long, I giudici di Strasburgo socchiudono le porte dell’adozione agli
omosessuali, Nota a Corte europea dei diritti dell’uomo, 22 gennaio 2008,
in Nuova giur. civ. comm., 2008, I,
p. 676 ss.
[3] Su cui v. per tutti Facchini,
Fissore, Naggar, Oberto
e Ronfani, Il nuovo rito del contenzioso familiare e l’affidamento condiviso – Le
riforme del diritto di famiglia viste dagli avvocati – Commenti, formulari e
documenti, a cura di G. Oberto, Padova, 2007.
[4] Cfr. Falletti,
Genitore
omosessuale e affidamento condiviso, Nota a Trib. Bologna, 15 luglio 2008, in Giur. it., 2009, p. 1164 ss.
[5] Cfr. Morello,
Quale applicazione per la legge 54/2006,
in www.personaedanno.it.
[6] La giurisprudenza di legittimità ha recentemente
affermato che «Nel quadro della nuova disciplina relativa ai “provvedimenti
riguardo ai figli” dei coniugi separati, di cui ai citati artt. 155 e 155 bis c.p.c., come modificativamente e
integrativamente riscritti dalla legge n. 54/2006, improntata alla tutela del
diritto del minore (già consacrato nella Convenzione di New York del 20
novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge n. 176/1991) alla c.d.
“bigenitorialità” (al diritto, cioè, dei figli a continuare ad avere un
rapporto equilibrato con il padre e con la madre anche dopo la separazione),
l’affidamento “condiviso” (comportante l’esercizio della potestà genitoriale da
parte di entrambi ed una condivisione, appunto, delle decisioni di maggior
importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore) non si
pone non più (come nel precedente sistema) come evenienza residuale, bensì come
regola; rispetto alla quale costituisce, invece, ora eccezione la soluzione
dell’affidamento esclusivo. Alla regola dell’affidamento condiviso può infatti
derogarsi solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse
del minore”» (Cass., 18 giugno 2008, n. 16593, in Fam. dir., 2008, p. 1106, con nota di Amram; in Nuova giur.
civ. comm., 2009, I, p. 68, con
nota di Mantovani).
[7] Art. 6: «1. L’Unione riconosce i diritti, le libertà
e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo
stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono
in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati. I diritti, le
libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle
disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua
interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si
fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
2. L’Unione
aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze
dell’Unione definite nei trattati.
3. I diritti
fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in
quanto principi generali».
[8] Cfr. art. 21, primo comma: «(Non discriminazione). 1.
È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul
sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le
caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali,
le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una
minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le
tendenze sessuali».
[9] Art. 8: «- Diritto al rispetto della vita privata e
familiare.
1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita
privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica
nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge
e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la
sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del
paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la
protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle
libertà altrui».
Art. 12: «- Diritto al matrimonio.
Uomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto
di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano
l’esercizio di tale diritto».
[10] L’insegnamento tradizionale della Corte europea dei
diritti dell’uomo è che «In the Court’s opinion, the right to marry guaranteed
by Article 12 (Art. 12) refers to the traditional marriage between persons of
opposite biological sex. This appears also from the wording of the Article
which makes it clear that Article 12 (Art. 12) is mainly concerned to protect
marriage as the basis of the family» (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo,
Rees v. United Kingdom, 17 ottobre
1986, par. 49-51).
[11] Con riferimento all’equiparazione delle coppie
conviventi more uxorio con quelle
coniugate, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa nel senso che
«Article 8 applies to the “family life” of the “illegitimate” family as well as
to that of the “legitimate” family. (…) it is clear that the applicants, the
first and second of whom have lived together for some fifteen years (…)
constitute a “family” for the purposes of article 8. They are thus entitled to
its protection, notwithstanding the fact that their relationship exists outside
marriage. The notion of the “family” (…) is not confined solely to
marriage-based relationships and may encompass other the de facto “family” ties where the parties are living together
outside of marriage»: cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 13 giugno 1979,
Marckx v. Belgium, par. 31 e par. 56;
Corte europea dei diritti dell’uomo, Johnston
and Others Case, 18 dicembre 1986, par. 55; Corte europea dei diritti
dell’uomo, 26 maggio 1994, Keegan v.
Ireland, par. 44.
[12] Sul principio di eguaglianza tra figli legittimi e
naturali cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 13 giugno 1979, Marckx v. Belgium, cit.; v. inoltre
Corte europea dei diritti dell’uomo, 29 novembre 1991, Vermeire v. Belgium; Corte europea dei diritti dell’uomo, 18
dicembre 1986, Johnston et al. v. Ireland;
Corte europea dei diritti dell’uomo, 28 ottobre 1987, Inze v. Austria; Corte europea dei diritti dell’uomo, 1° febbraio
2000, Mazurek v. France, in D., 2000, p. 332, con nota di Thierry; tale ultima decisione ha
censurato – per violazione degli artt. 8 e 14 – la discriminazione a danno dei
figli adulterini contenuta nell’art. 760 c.c. fr., che attribuiva ad essi un
quota ereditaria pari alla metà di quella spettante ai figli legittimi. A questa
sentenza ha risposto il legislatore francese con la l. n. 2001/1135 del 3
dicembre 2001, che ha eliminato ogni residua differenza tra figli legittimi e
naturali. Sul tema v. in dottrina per tutti Ferrando,
Genitori e figli nella giurisprudenza
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Fam. dir., 2009, p. 1049 ss.
[13] Il citato caso Markx
v. Belgium (1979) è esemplare in quanto in esso erano in questione non solo
le norme del codice civile belga che subordinavano l’accertamento della
filiazione nei confronti della madre nubile ad un riconoscimento da parte di
questa e quelle che limitavano i diritti successori del figlio, ma anche le
norme che limitavano gli effetti del riconoscimento ai soli rapporti tra la
madre ed il figlio (con l’esclusione dei parenti). La Carta di Nizza
espressamente indica la «nascita» tra le circostanze che non consentono un
trattamento giuridicamente differenziato dei figli (art. 21). Su questo punto,
nella perdurante inerzia del legislatore, Ferrando,
op. loc. ultt. citt., si augura, più
che condivisibilmente, che, nel nuovo clima di collaborazione tra Corti europee
e nazionali, la Corte costituzionale si interroghi sulla perdurante validità
dell’orientamento fino ad ora seguito in tema di parentela naturale. Se ciò
avvenisse, ben potrebbe, tra l’altro, evidenziarsi ulteriormente quel ruolo dei
giudici, quali «costruttori di passerelle tra i diversi ordinamenti», ben posto
in luce da Cassese, I tribunali di Babele. I giudici alla
ricerca di un nuovo ordine globale, Roma, 2009, p. 3 ss., 41 ss. (cfr.
anche Id., Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Torino,
2009, p. 136 ss., 146).
[14] Cfr. Fantetti,
Famiglia, individui e convivenza, in Fam. pers. succ., 2009, p. 342. Osserva Long, Il diritto italiano della famiglia alla prova delle fonti
internazionali, Milano, 2006, p. 187 che sia la Corte europea dei diritti
dell’uomo, sia la Corte di Giustizia CE manifestano una grande cautela
nell’estendere ai conviventi omosessuali i diritti riconosciuti alle coppie
eterosessuali. Secondo la Corte del Lussemburgo, infatti, «allo stato attuale
del diritto nella Comunità, le relazioni stabili tra due persone dello stesso
sesso non sono equiparate alle relazioni tra persone coniugate o alle relazioni
stabili fuori del matrimonio tra persone di sesso opposto» (cfr. Corte di
Giustizia CE, 17 febbraio 1998, Lisa
Grant v. South-West Trains, http://www.hrcr.org/safrica/equality/Grant_South-West%20Trains.htm,
par. 38). La consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo rifiuta, dal
canto suo, di riconoscere l’esistenza di una «vita familiare» tra omosessuali,
ritenendo invece sempre applicabile alle questioni concernenti gli omosessuali
l’art. 8 sotto il profilo del diritto al rispetto della «vita privata».
[15] In tal senso, la Risoluzione del Parlamento europeo
dell’8 febbraio 1994 sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità
e la Risoluzione del Parlamento europeo del 16 marzo 2000 sul rispetto dei
diritti umani nell’Unione Europea. Sul tema cfr. Lowe, The Growing
Influence of the EU on Family Law, in M.D.A. Freeman, Current Legal
Problems, 56, Oxford, 2004, p. 439 ss. Da notare che la risoluzione del
1994 ha invitato gli Stati a rimuovere gli ostacoli «a qualsiasi limitazione
degli omosessuali di essere genitori ovvero di adottare o di avere in
affidamento dei bambini». Per la dottrina italiana cfr. D’Angeli, Il fenomeno
delle convivenze omosessuali: quale tutela giuridica?, in I quaderni della Riv. dir. civ., Padova,
2003, p. 6 ss.; Long, Il diritto italiano della famiglia alla
prova delle fonti internazionali, cit., p. 183 (anche per l’indicazione di
ulteriori documenti e risoluzioni dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa);
Bonini Baraldi, Lo spazio europeo di libertà, sicurezza e
giustizia: pluralismo di valori e pregiudizi nazionali a confronto, in Aa. Vv.,
Le unioni tra persone dello stesso sesso.
Profili di diritto civile, comunitario e comparato, cit., p. 223 ss.
[16] V. la Risoluzione del Parlamento europeo del 16 marzo
2000 sul rispetto dei diritti umani nell’Unione europea, in cui si rileva la
necessità di compiere rapidi progressi nell’ambito del riconoscimento reciproco
delle varie forme di convivenza legale a carattere non coniugale e dei
matrimoni legali tra persone dello stesso sesso esistenti nell’UE; sul tema v.
anche Boele-Woelki, Perspectives for the Unification and
Armonisation of Family Law in Europe, Antwerp, 2000, p. 462 ss.; Pignatelli, Nozione di matrimonio e disciplina delle coppie omosessuali in Europa,
in Foro it., 2005, V, c. 260; Schlesinger, La risoluzione del parlamento europeo sugli omosessuali, in Corriere giur., 1994, p. 333 ss.; Balletti, Le coppie omosessuali, le istituzioni comunitarie e la Costituzione
italiana, in Rass. dir. civ.,
1996, p. 241 ss.; Balestra, Un recente convegno francese sulle
convivenze fuori dal matrimonio, in Familia,
2002, p. 439 ss.
[17] Per la notizia dell’accordo tra il ministro
(democristiano) ed i sindacati cfr. http://www.deredactie.be/cm/vrtnieuws.english/news/091124_lesbians.
[18] Corte europea dei diritti dell’uomo, 21 dicembre
1999, ricorso n. 33290/96, in JCP,
2000, I, p. 203, n. 11, Chron., con
nota di Sudre.
[19] Art. 14: «- Divieto di discriminazione.
Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti
nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna
discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore,
la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine
nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la
nascita o ogni altra condizione».
[20] Corte europea dir. uomo, 22 gennaio 2008, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, p. 667,
con nota di Long. Rimarca Long, I giudici di Strasburgo socchiudono le porte dell’adozione agli
omosessuali, cit., p. 672 s., lamentando che tale decisione sia stata
fraintesa dai media, che il thema decidendum, come nel precedente
caso Fretté v. France, era costituito
«dal diritto a essere valutati idonei all’adozione e non il diritto
all’adozione, cioè a essere abbinati a un bambino adottabile dopo
l’accertamento dell’idoneità: l’inesistenza di tale diritto indifferentemente
dalle modalità scelte per vivere la propria vita di coppia costituisce infatti
principio ormai consolidato in tutti i Paesi dell’Europa occidentale». Sta però
di fatto che ciò che appare (gravemente) discriminatorio verso l’orientamento
omosessuale è proprio la negazione del diritto ad essere valutati idonei
all’adozione, per via di tale orientamento.
[21] Corte europea dei diritti dell’uomo, 26 febbraio
2002, parr. 38, 42.
[22] Long, I giudici di Strasburgo socchiudono le porte
dell’adozione agli omosessuali, cit., p. 673.
[23] Così Long,
op. loc. ultt. citt.
[24] Inutile dire che il profilo delle discriminazioni in
base alla sexual orientation tocca
non solo l’aspetto della genitorialità. Si pensi, ad esempio, al tema del
ricongiungimento familiare, sia nei casi riguardanti cittadini extraeuropei
soggiornanti in Italia, sia in relazione alle ipotesi che vedono protagonisti
cittadini comunitari o italiani, laddove la vigente disciplina italiana
espressamente esclude le coppie non unite in matrimonio dall’esercizio di tale
diritto. Nel primo caso, infatti, l’art. 29, d.lgs. 286/1998 (T.U. in materia
di immigrazione e trattamento dello straniero), espressamente limita al
«coniuge» dello straniero residente la possibilità di ottenere il
ricongiungimento familiare, escludendo dai beneficiari il partner non coniugato. Analoga impostazione si desume dalla
disciplina del ricongiungimento familiare dei cittadini comunitari di cui alla
direttiva recepita con d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30: l’art. 2, 1° co., lett.
b) n. 2), infatti, esclude dalla nozione di familiare rilevante ai fini della
libera circolazione il partner che
abbia contratto con il cittadino europeo un’unione registrata sulla base della
legislazione di uno Stato membro, se la legislazione dello Stato membro ospitante
non equipara l’unione registrata al matrimonio; a quanto pare, il medesimo
principio riguarda anche i familiari di cittadini italiani non aventi la
cittadinanza italiana, in forza del disposto dell’art. 23 d.lgs. 30/2007.
Sul punto potrà rilevarsi che la Corte d’appello di
Firenze, con provvedimento del 6 dicembre 2006, ha stabilito che poiché il
nostro ordinamento subordina il rilascio del permesso di soggiorno per motivi
familiari alla qualità di «familiare» del soggetto richiedente, il provvedimento
dell’autorità neozelandese che riconosce a due persone del medesimo sesso la
qualifica di partners di fatto, cioè
di conviventi, e non di familiari, non costituisce titolo idoneo perché possa
essere rilasciato il permesso di soggiorno ai sensi del d.lgs. n. 286/1998
(cfr. App. Firenze, 6 dicembre 2006, in Fam.
dir., 2007, p. 1040, con nota di Pascucci).
La predetta decisione è stata confermata dalla Suprema
Corte (cfr. Cass., 17 marzo 2009, n. 6441, in Fam. dir., 2009, p. 454, con nota di Acierno). Secondo, invero, la Cassazione, «In tema di
diritto dello straniero al ricongiungimento familiare, il cittadino
extracomunitario legato ad un cittadino italiano ivi dimorante da un’unione di
fatto debitamente attestata nel paese d’origine del richiedente, non può essere
qualificato come “familiare” ai sensi dell’ art. 30, primo comma, lettera c),
del d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto tale nozione, delineata dal legislatore
in via autonoma, agli specifici fini della disciplina del fenomeno migratorio,
non è suscettibile di estensione in via analogica a situazioni diverse da
quelle contemplate, non essendo tale interpretazione imposta da alcuna norma
costituzionale. Nè tale più ampia nozione può desumersi dagli artt. 8 e 12
della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo o dall’art. 9 della Carta di
Nizza (…) in quanto tali disposizioni escludono il riconoscimento automatico di
unioni diverse da quelle previste dagli ordinamenti interni, salvaguardando
l’autonomia dei singoli Stati nell’ambito dei modelli familiari. Infine, non
può trovare applicazione la più recente normativa di derivazione comunitaria,
in quanto il d.lgs. n. 5 del 2007 si applica soltanto ai familiari di
soggiornanti provenienti da paesi terzi e il d.lgs. n. 30 del 2007 tutela la
libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini UE e dei loro familiari
nel territorio di uno stato membro diverso da quello di appartenenza, e non il
diritto al ricongiungimento familiare con un cittadino di uno Stato membro
regolarmente residente e dimorante nel suo paese d’origine».
Quanto mai deludente appare la presa di posizione
della Suprema Corte con riguardo al contenuto ed agli effetti della Carta di
Nizza. Secondo la Cassazione, infatti, al fine di accedere ad una nozione di
«familiare» comprensiva anche del convivente omosessuale, non varrebbero le
disposizioni dell’art. 9 del predetto documento sovranazionale («Il diritto di
sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le
leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio»), posto che, «Se è vero che la
formulazione del citato art. 9 da un lato conferma l’apertura verso forme di
relazioni affettive di tipo familiare diverse da quelle fondate sul matrimonio
e, dall’altro, non richiede più come requisito necessario per invocare la garanzia
dalla norma stessa prevista la diversità di sesso dei soggetti del rapporto,
resta fermo che anche tale disposizione, così come l’art. 12 CEDU, rinvia alle
leggi nazionali per la determinazione delle condizioni per l’esercizio del
diritto, con ciò escludendo sia il riconoscimento automatico di unioni di tipo
familiare diverse da quelle previste dagli ordinamenti interni che l’obbligo
degli stati membri di adeguarsi al pluralismo delle relazioni familiari, non
necessariamente eterosessuali». Del tutto ignorato è rimasto, invece, l’art. 21
della predetta Carta, che, come noto, fonda un chiaro divieto di trattamenti
discriminatori, a ragione, tra l’altro, delle «tendenze sessuali». Quest’ultimo
profilo viene, invece, velocemente sfiorato dalla Cassazione con riguardo agli
artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in relazione alla
(dai ricorrenti) lamentata «arbitraria ingerenza nelle scelte del modello
familiare, avente anche portata discriminatoria sulla base degli orientamenti
sessuali». Ma siffatto peculiare aspetto viene invece espressamente scartato
dalla Corte, «in quanto la mancata equiparazione al coniuge è prevista in
relazione a qualsiasi tipo di convivenza non matrimoniale, e non soltanto per
quelle tra persone dello stesso sesso». Peraltro, che la via del matrimonio sia
(da noi) irrimediabilmente sbarrata agli omosessuali non sembra sfiorare
neppure per un attimo le menti dei Supremi Giudici. In senso contrario
all’invocabilità del principio di non discriminazione (sub specie, però,
dell’art. 3 Cost.) si esprime anche D’Angeli,
Il fenomeno delle convivenze omosessuali:
quale tutela giuridica?, cit., p. 18 ss., pervenendo alla non condivisibile
conclusione per cui la convivenza omosessuale, pur se formazione sociale
rilevante ex art. 2 Cost., non
potrebbe assurgere al rango di «famiglia» (cfr. in partic. p. 18). Ora, se si
pone mente al fatto che il termine «famiglia» non può ormai essere negato alla
convivenza more uxorio tra persone di
sesso diverso (sul tema v. per tutti Oberto,
I regmi patrimoniali della famiglia di
fatto, Milano 1991, p. 21 ss.), appare più che lampante come la negazione
della medesima qualifica alla stabile unione affettiva tra persone del medesimo
sesso non tragga altra origine se non da una (preconcetta e gratuita)
discriminazione non basata su altra «ragione», che non sia proprio
l’orientamento sessuale. Negare la presenza di una discriminazione rilevante ai
sensi dell’art. 21 della Carta di Nizza (ma, quasi altrettanto certamente,
anche ex art. 3 Cost.) significa,
dunque, negare l’evidenza (ed infatti cfr. Trib. Venezia, 3 aprile 2009,
disponibile al sito web seguente: http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/014238.aspx).
[25] Cass., 18 giugno 2008, n. 16593, cit.: «In tema di
separazione personale dei coniugi, alla regola dell’affidamento condiviso dei
figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per
l’interesse del minore”, con la duplice conseguenza che l’eventuale pronuncia
di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più
in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla
inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore, e che
l’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso dalla mera
conflittualità esistente tra i coniugi, poiché avrebbe altrimenti una
applicazione solo residuale, finendo di fatto con il coincidere con il vecchio
affidamento congiunto».
[26] Trib. Ferrara, 31 agosto 1948, in Giur. it., 1948, I, 2, 592.
[27] Trib. Napoli, 28 giugno 2006, in Giur. merito, 2007, p. 1572 ss., con nota di Fava; in Foro it., 2007, I, c. 138; in Fam.
dir., 2007, p. 621 ss., con nota di Iannaccone;
in Dir. fam. pers., 2007, p. 1691,
con nota di Manera.
[28] Cfr. ad es. Manera,
Se un’elevata conflittualità tra i
genitori (uno dei quali tacciato di omosessualità) escluda l’applicazione in
concreto dell’affidamento condiviso, Nota a Trib. Napoli, 28 giugno 2006,
in Dir. fam. pers., 2007, p. 1677, il
cui pensiero viene qui di seguito testualmente riportato: «non può, infine,
condividersi l’affermazione secondo cui una famiglia omosessuale avrebbe la
stessa valenza educativa di una famiglia eterosessuale, essendo agevole
replicare che, per una corretta ed armoniosa evoluzione della personalità e per
una normale socializzazione, il minore ha bisogno di identificarsi in validi
modelli genitoriali di riferimento, della necessaria compresenza di una figura
educatrice materna e paterna, perché l’assenza di una sola di tali figure
educative non favorisce il normale sviluppo della personalità, ma genera
disturbi psichici, confusioni, vuoti psicologici e profondi traumi, spesso irreversibili,
o irrisolti anche dopo molti decenni. Il minore ha, cioè, necessità d’un padre
e di una madre (e non di due padri o di due madri): la realtà proverà
l’esattezza di tale assunto, dopo che il legislatore avrà consentito il
matrimonio e l’adozione alle coppie omosessuali». In senso diametralmente
opposto v. invece Caggia, Convivenze omosessuali e genitorialità:
tendenze, conflitti e soluzioni nell’esperienza statunitense, cit., p. 248
ss.
[29] E’ il caso della madre affidataria convivente con partner che impone la sua personalità
invadente (Trib. Velletri, 25 novembre 1977, in Dir. fam. pers., 1978, p.
886), così come è stata ritenuta scorretta la condotta del genitore affidatario
che cerca di spostare l’amore dei figli verso il proprio convivente (Cass., 12
febbraio 1971, n. 364, in Rep. Foro it.,
1973, voce Separazione di coniugi, n.
60); del pari, suscita allarme – per i possibili riflessi negativi sulla prole
– la relazione che si risolva in compagnie occasionali o nella frequenza di
alberghi malfamati (Cass., 22 dicembre 1976, n. 4706, in Dir. fam. pers., 1977, p. 113).
[30] Così Long,
I giudici di Strasburgo socchiudono le
porte dell’adozione agli omosessuali, cit., p. 672.
[31] Sull’idoneità de
facto di numerose coppie omosessuali a svolgere un ruolo genitoriale v. le
ponderate e documentate riflessioni di Caggia,
Convivenze omosessuali e genitorialità:
tendenze, conflitti e soluzioni nell’esperienza statunitense, cit., p. 248
ss.
[32] Trib. Bologna, 15 luglio 2008, in Fam. e min., 2008, n. 9, p. 78 ss., con
nota di Vaccaro; in Giur. it., 2009, p. 1164, con nota di Falletti, secondo cui «Il semplice fatto
che uno dei genitori sia omosessuale non giustifica – e non consente di
motivare – la scelta restrittiva dell’affidamento esclusivo della figlia minore
di genitore omosessuale».
[33] Cass., 19 giugno 2008, n. 16593, cit.
[34] Sul punto la giurisprudenza di merito ha statuito che
«in tema di separazione giudiziale dei coniugi, va escluso l’affidamento condiviso
dei figli minori a fronte del totale disinteresse mostrato da uno dei genitori
per i figli stessi (nella specie, è stato disposto l’affido esclusivo alla
madre della figlia quindicenne, essendo emerso nel giudizio che il padre non la
vedeva da oltre due anni, disinteressandosi completamente di lei, non versando
il contributo per il mantenimento e tenendo condotte elusive e di ostacolo alle
iniziative della madre)» (Trib. Bologna, 17 aprile 2008, in Foro it., 2008, I, c. 1914).
[35] Così Mantovani,
(Presunta) omosessualità di un genitore,
idoneità educativa e rilievo della conflittualità ai fini dell’affidamento,
Nota a Cass., 18 giugno 2008, n. 16593, in Nuova
giur. civ. comm., 2009, I, p. 70.
[36] Il virgolettato è qui d’obbligo, essendo, come noto,
il concetto di «accusa» intimamente legato a quello di «colpa».
[37] Cass., 18 giugno 2008, n. 16593, cit.
[38] Così Mantovani,
(Presunta) omosessualità di un genitore,
idoneità educativa e rilievo della conflittualità ai fini dell’affidamento,
cit., p. 70 ss.; Amram, Corte di Cassazione e giurisprudenza di
merito: alla ricerca di un contenuto per l’interesse superiore del minore,
Nota a Cass., 18 giugno 2008, n. 16593, in Fam.
dir., 2008, p. 1106 ss.
[39] Così Long,
I giudici di Strasburgo socchiudono le
porte dell’adozione agli omosessuali, cit., p. 676.
[40] Trib. Min. Catanzaro, 27 maggio 2008, in Fam. e
minori, 2008, 10, p. 86.
[41] V. supra, §
1.
[42] Rileva Long,
I giudici di Strasburgo socchiudono le
porte dell’adozione agli omosessuali, cit., p. 675, che «Tutti i Paesi dell’Europa
occidentale, a eccezione del Lussemburgo e dell’Italia, equiparano la coppia
coniugata e il singolo nell’accesso all’adozione. L’obiettivo è di favorire
quanto più possibile le adozioni al fine di offrire una protezione stabile e
definitiva ai minori abbandonati (…). La Francia, in particolare, consente al
singolo sia l’adozione legittimante (adoption
plénière) sia l’adozione non legittimante (adoption simple). Il singolo e i coniugi che desiderino adottare un
minore con adozione plénière devono
essere preventivamente dichiarati idonei dal président du Conseil général du Département di loro residenza. La
dichiarazione di idoneità (agrément)
è emanata a seguito di un’istruttoria svolta interamente ed esclusivamente dai
servizi socio-assistenziali territoriali (in Italia invece, com’è noto,
l’istruttoria è condivisa tra i servizi e l’autorità giudiziaria e a
quest’ultima spetta la decisione finale). Sebbene la legge non contenga alcuna
norma che regoli espressamente l’adozione da parte della persona omosessuale, i
servizi rifiutano quasi sistematicamente l’agrément
ai singoli che si dichiarino omosessuali: il loro choix de vie, infatti, sarebbe contrario all’interesse del minore
in quanto lo priverebbe di un riferimento geniroriale dell’altro sesso (…).
L’operato dei servizi sociali è confermato dalla giurisprudenza amministrativa
consolidata (che decide l’impugnazione contro il provvedimento del président du Conseil général) con
l’autorevole avallo del Conseil d’Etat.
[43] Per un esempio v. App. Torino, 30 ottobre 2000, in Minorigiustizia, 2001, n. 1, p. 162.
[44] Cfr. Long,
I giudici di Strasburgo socchiudono le
porte dell’adozione agli omosessuali, cit., p. 675.
[45] Cfr. artt. 377, 377-1, 377-2, 377-3 del Code Civil:
«Article 377.
Les père et mère, ensemble ou séparément, peuvent,
lorsque les circonstances l’exigent, saisir le juge en vue de voir déléguer
tout ou partie de l’exercice de leur autorité parentale à un tiers, membre de
la famille, proche digne de confiance, établissement agréé pour le recueil des
enfants ou service départemental de l’aide sociale à l’enfance.
En cas de désintérêt manifeste ou si les parents sont
dans l’impossibilité d’exercer tout ou partie de l’autorité parentale, le
particulier, l’établissement ou le service départemental de l’aide sociale à
l’enfance qui a recueilli l’enfant peut également saisir le juge aux fins de se
faire déléguer totalement ou partiellement l’exercice de l’autorité parentale.
Dans tous les cas visés au présent article, les deux
parents doivent être appelés à l’instance. Lorsque l’enfant concerné fait
l’objet d’une mesure d’assistance éducative, la délégation ne peut intervenir
qu’après avis du juge des enfants.
Article 377-1.
La délégation, totale ou partielle, de l’autorité
parentale résultera du jugement rendu par le juge aux affaires familiales.
Toutefois, le jugement de délégation peut prévoir,
pour les besoins d’éducation de l’enfant, que les père et mère, ou l’un d’eux,
partageront tout ou partie de l’exercice de l’autorité parentale avec le tiers
délégataire. Le partage nécessite l’accord du ou des parents en tant qu’ils
exercent l’autorité parentale. La présomption de l’article 372-2 est applicable
à l’égard des actes accomplis par le ou les délégants et le délégataire.
Le juge peut être saisi des difficultés que l’exercice
partagé de l’autorité parentale pourrait générer par les parents, l’un d’eux,
le délégataire ou le ministère public. Il statue conformément aux dispositions
de l’article 373-2-11.
Article 377-2.
La délégation pourra, dans tous les cas, prendre fin
ou être transférée par un nouveau jugement, s’il est justifié de circonstances
nouvelles.
Dans le cas où la restitution de l’enfant est accordée
aux père et mère, le juge aux affaires familiales met à leur charge, s’ils ne
sont indigents, le remboursement de tout ou partie des frais d’entretien.
Article 377-3.
Le droit de consentir à l’adoption du mineur n’est
jamais délégué».
[46] Cfr. App. Montpellier, 1 décembre 2006, disponibile
al sito web seguente: http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriJudi.do?oldAction=rechExpJuriJudi&idTexte=JURITEXT000007633168&fastReqId=1865519338&fastPos=1.
[47] Cfr.
BverfG, 10 agosto 2009, disponibile
al seguente sito web: http://www.bundesverfassungsgericht.de/entscheidungen/lk20090810_1bvl001509.html;
per il comunicato stampa cfr. http://www.bundesverfassungsgericht.de/pressemitteilungen/bvg09-098.html;
per un’informazione in lingua inglese cfr. http://www.ilga-europe.org/europe/guide/country_by_country/germany/important_steps_towards_common_adoption_for_homosexual_parents_in_germany.
[48] V. supra,
§§ 1-4.
[49] Cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale,
II, Milano, 1999, p. 1091 ss.; Id.,
Gli accordi concernenti la prole nella
crisi coniugale, in Dir. fam. pers.,
1999, p. 271 ss.; Id., Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di Roppo, VI, Interferenze, a cura di Roppo, Milano, 2006, p. 304 ss.
[50] Per i necessari richiami ed approfondimenti cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 627 ss., II,
p. 1085 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 272 ss.,
304 ss.
[51] Per questo peculiare profilo cfr. Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e
differenze, in Contratto e
impresa/Europa, 2007, p. 351 ss.; Id.,
Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi, in Fam. dir., 2007, p. 202 ss.
[52] Ovviamente solo se e nella misura in cui si ritenga
ammissibile, secondo il nostro diritto interno, il ricorso a tale figura: per approfondimenti
cfr. per tutti Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, in
Fam. dir., 2004, p. 201 ss., 310 ss.;
Id., Il trust familiare,
disponibile al seguente indirizzo web:
https://www.giacomooberto.com/milano11giugno2005trust/relazionemilano.htm;
Id., Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e
differenze, cit., p. 351 ss.; Bartoli,
Riflessioni sul «nuovo» art. 2645 ter c.c. e sul rapporto fra negozio di
destinazione di diritto interno e trust, in Giur. it., 2007, p. 1297 ss.; Galluzzo,
Crisi coniugale e mantenimento della
prole: trasferimenti una tantum e
art. 2645-ter c.c., Nota a Trib.
Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Fam. dir.,
2008, p. 619 ss.; Monteleone, I vincoli di destinazione ex art. 2645 ter c.c. in sede di accordi di separazione, Nota a Trib. Reggio Emilia,
26 marzo 2007, in Giur. it., 2008, p.
629 ss.; Partisani, L’art. 2645 ter c.c.: le prime applicazioni nel diritto di famiglia, Nota a Trib.
Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Famiglia,
pers., succ., 2007, p. 779 ss.; Severi,
Obbligo di mantenimento del minore e
destinazione dei beni, in Fam. pers.
succ., 2008, p. 2536 ss.
[53] Su tale fenomeno quale causa di obbligazioni naturali
cfr. per tutti Balestra, Le obbligazioni naturali, in Trattato di diritto civile, già diretto
da Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2004, p. 80 s.
[54] Sul tema v. per tutti Oberto,
I regimi patrimoniali della famiglia di
fatto, Milano, 1991, p. 83 ss.
[55]
Si tenga però presente la diversa regolamentazione, in punto revocabilità (art.
805 c.c.), evizione (art. 797, n. 3 c.c.) e obbligo alimentare (art. 437 c.c.),
che contraddistingue le donazioni rimuneratorie dalle comuni donazioni.
[56] Per
l’applicazione di siffatti principi ai rapporti inter coniuges cfr. Oberto, Il regime di separazione dei
beni tra coniugi. Artt. 215-219, in Il codice civile. Commentario
fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Milano,
2005, p. 224.
[57] Sul punto v. per tutti Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 696 ss.
[58] Sul punto cfr. per tutti Oberto, Accordi tra
conviventi e diritti del minore alla luce della riforma sull’affidamento
condiviso, in Facchini, Fissore, Naggar,
Oberto e Ronfani, Il nuovo rito
del contenzioso familiare e l’affidamento condiviso – Le riforme del diritto di
famiglia viste dagli avvocati – Commenti, formulari e documenti, cit., p.
274 ss.
[59] «In a civil partnership where children are involved within the family, a
“Statement of Arrangements”, should be filed. This should include any plans for
the children after the dissolution has taken place»: cfr. http://www.civilpartnershipinfo.co.uk/#Dissolution.
La norma di riferimento è il Par. 43 del Civil
Partnership Act 2004, su cui v. http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2004/ukpga_20040033_en_3#pt2-ch2-pb2-l1g44.
[60] In tal caso si tratterebbe del Tribunale per i
minorenni: cfr. Cass., 7 maggio 2009, n. 10569, in Fam. dir., 2009, p. 992, con nota di Vullo.
[61] Cfr. Long,
Il diritto italiano della famiglia alla
prova delle fonti internazionali, cit., p. 677.
[62] Anche se in tal caso, a ben vedere, non è certo la
genitorialità omosessuale ad essere di per sé tutelata, quanto, ancora una
volta, l’interesse del minore, mentre l’«omogenitore» si rende mero strumento
di tale interesse.
[63] Dispongono una limitazione della potestà dei genitori
ex art. 333 c.c. per consentire i
contatti tra nipoti e nonni cui il genitore esercente la potestà o
l’affidatario del minore impediva di frequentare i nipoti minorenni Cass., 24
febbraio 1981, n. 1115, in Foro it.,
1982, I, c. 1144 e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Min. Perugia, 12
giugno 1979, in Giur. merito, 1980,
p. 6; Trib. Min. Torino, 11 maggio 1988, in Giur.
it., 1989, I, 2, p. 234; Trib. Min. Bari, 10 gennaio 1991, in Giur. merito, 1992, p. 571; Trib. Min.
Messina, 19 marzo 2001, in Dir. fam.
pers., 2001, p. 1522.
[64] Cfr. ad es. Cass., 13 agosto 1999, n. 8633; v.
inoltre Cass., 15 novembre 1989, n. 4862; Cass., 4 maggio 1996, n. 4147; Cass.,
29 marzo 1999, n. 2998.
[65] Cfr. Cass., 7 febbraio 1995, n. 1401, in Giur. it., 1996, I, 1, c. 538 ss., con
nota di A. Gabrielli; cfr. inoltre
Cass., 8 maggio 2003, n. 6970, in Fam.
dir., 2003, p. 319 ss.
[66] Su cui v. per tutti Arceri,
Commento agli artt. 155-155-ter c.c., in Codice della famiglia, a cura di M. Sesta, I, Milano, 2009, p. 706
s.
[67] cfr. Trib Salerno, 20 giugno 2006, citata da Pappalardo, L’affidamento condiviso, disponibile al sito web seguente: http://www.giustizia.catania.it/formazione/190407/pappalardo.pdf,
p. 14. V. inoltre Trib. min. Milano, 12 luglio 2006, in Fam. pers. succ., 2007, p. 82, che, in una controversia ex art. 317-bis c.c. tra genitori naturali, ha affidato i minori, collocati
presso la madre, ai servizi sociali; Trib. Bologna, l° ottobre 2007, ined. (ma
menzionata da Arceri, op. loc. ultt. citt.), ha del pari
disposto l’affidamento dei minori ai servizi sociali.
[68] Per una panoramica e per gli ulteriori rinvii cfr. Bonini Baraldi, Le nuove convivenze tra discipline straniere e diritto interno,
cit., p. 199 ss., 223 ss.
[69] Tale strumento diverrà applicabile, ai sensi del
relativo art. 76, dal 18 giugno 2011 (a condizione che il protocollo dell’Aia
del 2007 sia applicabile nella Comunità in tale data; in caso contrario, esso
sarà applicabile a decorrere dalla data di applicazione di detto protocollo
nella Comunità). Per alcune informazioni di carattere generale si fa rinvio a Oberto, Gli obblighi di mantenimento e il recupero dei crediti alimentari in
diritto comunitario: la nozione comunitaria di «alimenti» e i principi in tema
di competenza giurisdizionale, disponibile al sito web seguente: http://giacomooberto.com/milano2009/relazione.htm.
[70] Per un’illustrazione si fa rinvio a Oberto, Gli obblighi di mantenimento e il recupero dei crediti alimentari in
diritto comunitario: la nozione comunitaria di «alimenti» e i principi in tema
di competenza giurisdizionale, cit., § 2.
[71] I passi indietro compiuti dal legislatore comunitario
sul punto sono resi evidenti dalle seguenti tabelle di raffronto:
Proposta di regolamento del Consiglio del 2005,
considerando n. 9: |
Regolamento n. 4/2009, considerando n. 11: |
«L’ambito d’applicazione del regolamento deve
estendersi a tutte le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti familiari
o rapporti che producono effetti simili, e ciò al fine di garantire la parità
di trattamento tra tutti i creditori di alimenti». |
«L’ambito di applicazione del regolamento dovrebbe
estendersi a tutte le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di
famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, al fine di garantire la
parità di trattamento tra tutti i creditori di alimenti». |
Proposta di regolamento del Consiglio del 2005, art.
1, primo comma: |
Regolamento n. 4/2009, art. 1, primo comma: |
«Il presente regolamento si applica alle
obbligazioni alimentari derivanti dai rapporti familiari o dai rapporti che, in
forza della legge ad essi applicabile, producono effetti simili». |
«1. Il presente regolamento si applica alle
obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di
matrimonio o di affinità». |
[72] Curiosamente, tutte monarchie… A tali ordinamenti va
poi anche aggiunto quello della Norvegia, Regno che però non fa parte, come
noto, dell’U.E.
[73] Sulla reiezione, da parte di un giudice di merito,
dell’istanza di trascrizione dell’adozione di un minore effettuata da una
coppia omosessuale coniugata negli Stati Uniti cfr. Trib. Brescia, 26 settembre
2006, citata da Lollini, L’importanza della visibilità,
disponibile al seguente sito web: http://zibalblog.wordpress.com/2007/10/02/limportanza-della-visibilita/.
Nel senso, invece, della riconoscibilità
in Italia (per assenza di contrasto con l’ordine pubblico) di un parental order emesso da un giudice
britannico e relativo ad un caso di maternità surrogata realizzato (da una
coppia italiana coniugata) all’estero cfr. App. Bari, 13 febbraio 2009,
disponibile al seguente sito web: http://www.dirittoefamiglia.it/Docs/Giuridici/Sentenze/Merito/msurrogata.htm.
[74] Per un tentativo di soluzione cfr. Oberto, Gli obblighi di mantenimento e il recupero dei crediti alimentari in
diritto comunitario: la nozione comunitaria di «alimenti» e i principi in tema
di competenza giurisdizionale, cit., § 3.