Giacomo Oberto

 

GLI OBBLIGHI DI MANTENIMENTO

E IL RECUPERO DEI CREDITI ALIMENTARI

IN DIRITTO COMUNITARIO:

LA NOZIONE COMUNITARIA DI «ALIMENTI»

E I PRINCIPI IN TEMA DI COMPETENZA GIURISDIZIONALE

Sommario:

·       1. Le norme attualmente vigenti a livello comunitario: il Regolamento n. 44/2001 e le obbligazioni alimentari. Generalità.

·       2. La nozione di «obbligazione alimentare» nel Regolamento n. 44/2001 e nel Regolamento n. 4/2009.

·       3. La nozione di obbligazione alimentare «derivante da rapporti di famiglia…» nel Regolamento n. 4/2009.

·       4. La competenza giurisdizionale nel regolamento n. 44/2001 e nel regolamento n. 4/2009. I criteri generali.

·       5. La competenza in caso di domanda accessoria alle azioni di stato delle persone.

·       6. Gli altri fori previsti dagli artt. 4, 5, 6 e 7 del nuovo regolamento.

·       7. Limitazione dell’azione. Il problema della competenza per la modifica delle decisioni in materia alimentare.

·       8. Momento in cui l’autorità giurisdizionale può dirsi adita.

·       9. Verifica della competenza e della ricevibilità della domanda.

·       10. Litispendenza e connessione.

·       11. Provvedimenti provvisori e cautelari.

·       12. Rilevanza dei criteri giurisdizionali sopra indicati ai fini del diritto internazionale privato e processuale italiano.

·       13. Testi e documenti di riferimento in tema di obbligazioni alimentari.

 

1. Le norme attualmente vigenti a livello comunitario: il Regolamento n. 44/2001 e le obbligazioni alimentari. Generalità.

 

Da più parti si è esattamente posto in luce che la questione del soddisfacimento delle pretese alimentari nell’ambito dell’Unione Europea è essenziale per il benessere di molti cittadini europei. Essa, inoltre, è destinata (come, del resto, un po’ tutte le problematiche a carattere potenzialmente familiare transnazionale) ad assumere un sempre maggiore rilievo a seguito della possibilità di fruire sempre più della libera circolazione e dello stabilimento delle persone, così come per via del progressivo deterioramento dei vincoli familiari.

 

Ciò determina l’esigenza di nuovi strumenti comunitari volti a semplificare ed accelerare la soluzione di controversie transfrontaliere riguardanti tali pretese. Oggi come oggi, il Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (detto regolamento «Bruxelles I»), contiene norme relative alla competenza speciale dei tribunali per le obbligazioni alimentari, nonché di riconoscimento ed esecuzione delle relative decisioni giudiziarie. Le disposizioni del regolamento sono direttamente applicabili dal 1° marzo 2002, mentre in precedenza trovavano applicazione le (in parte qua analoghe) previsioni della Convezione di Bruxelles del 1968.

 

Dal 29 giugno 2007 il regolamento (così come quello n. 1348/2000 in tema di notificazioni) si applica anche alla Danimarca, che sino a tale data era rimasta estranea al sistema comunitario dei regolamenti in tema di cooperazione giudiziaria civile, restando invece vincolata ancora alle disposizioni della Convenzione di Bruxelles del 1968 (le cui disposizioni sono peraltro, come detto, sostanzialmente analoghe a quelle del regolamento n. 44/2001).

 

In materia di obbligazioni alimentari, il Regolamento (CE) n. 44/2001 prevede, dunque, all’art. 5, paragrafo 2, che la persona domiciliata nel territorio dello Stato membro possa essere convenuta in un altro Stato membro:

·       davanti al giudice del luogo in cui il creditore di alimenti ha il domicilio o la residenza abituale

·       o, qualora si tratti di una domanda accessoria ad un’azione relativa allo stato delle persone, davanti al giudice competente a conoscere quest’ultima secondo la legge nazionale, salvo che tale competenza si fondi unicamente sulla cittadinanza di una delle parti.

 

Inoltre, le decisioni emesse in uno Stato membro in materia di obbligazioni alimentari sono riconosciute negli altri Stati membri (art. 33 del regolamento) e sono eseguite in un altro Stato membro dopo che vi siano state dichiarate esecutive su istanza della parte interessata (art. 38 del regolamento).

 

Da notare che, rispetto alla Convenzione di Bruxelles del 1968, che sostituisce, il regolamento n. 44/2001 (art. 34) non consente che sia respinto il riconoscimento di una decisione contraria al diritto internazionale privato dello Stato richiesto, quando la decisione del tribunale d’origine risolve una questione sullo stato e la capacità delle persone. Allo stato attuale, una decisione straniera può non essere riconosciuta soltanto se tale riconoscimento

·       è manifestamente contrario all’ordine pubblico o

·       in contrasto con una decisione emessa precedentemente, o

·       se la domanda giudiziale od un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile.

 

Da tempo peraltro si era avvertita la necessità di dedicare alla materia degli alimenti un apposito strumento comunitario. Per questo la Commissione varò dapprima (il 15 aprile 2004) un libro verde sul tema delle obbligazioni alimentari. Successivamente, il 15 dicembre 2005, venne presentata dalla Commissione la Proposta di Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari (presentata dalla Commissione) {SEC(2005) 1629}, assieme ad una Comunicazione della Commissione al Consiglio che invita il Consiglio ad assoggettare all’articolo 251 del trattato che istituisce la Comunità europea le misure adottate ai sensi dell’articolo 65 del trattato in materia di obbligazioni alimentari - COM(2005) 648 def. (sul tema v. anche il Comunicato stampa e MEMO/05/484).

 

La proposta conservava la già esistente possibilità per il creditore alimentare di adire un’autorità a lui vicina. Una volta che tale autorità avesse reso la sua decisione, venivano però previste misure perché essa fosse riconosciuta automaticamente e senza formalità in qualsiasi Stato membro. Infine, e questa costituiva certamente una grande novità, il creditore avrebbe dovuto beneficiare di provvedimenti di aiuto e assistenza per recuperare il credito, che nel sistema del regolamento Bruxelles I fanno difetto.

 

Dalla citata proposta è successivamente scaturito (non senza una serie di modifiche) il nuovo Regolamento (CE) N. 4/2009 del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari. Tale ultimo regolamento diverrà applicabile, ai sensi del relativo art. 76, dal 18 giugno 2011 (a condizione che il protocollo dell’Aia del 2007 sia applicabile nella Comunità in tale data; in caso contrario, esso sarà applicabile a decorrere dalla data di applicazione di detto protocollo nella Comunità). Prevede infatti il considerando n. 44 del nuovo regolamento che «Il presente regolamento dovrebbe modificare il regolamento (CE) n. 44/2001 sostituendo le disposizioni di quest’ultimo applicabili in materia di obbligazioni alimentari. Fatte salve le disposizioni transitorie del presente regolamento, in materia di obbligazioni alimentari gli Stati membri dovrebbero applicare le disposizioni del presente regolamento sulla competenza, il riconoscimento, l’esecutività e l’esecuzione delle decisioni e sul patrocinio dello Stato invece di quelle del regolamento (CE) n. 44/2001 a decorrere dalla data di applicazione del presente regolamento».

 

Da notare che, a norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, la Danimarca (cui è ora applicabile, come detto, il regolamento n. 44/2001) non partecipa all’adozione del nuovo regolamento n. 4/2009 e non è da esso vincolata né è soggetta alla sua applicazione, fatta salva la possibilità per tale Paese di applicare il contenuto delle modifiche apportate al regolamento (CE) n. 44/2001 a norma dell’articolo 3 dell’accordo del 19 ottobre 2005 tra la Comunità europea e il Regno di Danimarca concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, come disposto dal considerando n. 48 del regolamento n. 4/2009.

 

Conformemente a tale indicazione, l’art. 68 del nuovo regolamento stabilisce, al primo comma, che «1. Fatto salvo l’articolo 75, paragrafo 2, il presente regolamento modifica il regolamento (CE) n. 44/2001 sostituendone le disposizioni applicabili in materia di obbligazioni alimentari». Sarà opportuno rimarcare poi che tale nuovo strumento, ai sensi del secondo comma del citato art. 68, «sostituisce, in materia di obbligazioni alimentari, il regolamento (CE) n. 805/2004, tranne per i titoli esecutivi europei riguardanti obbligazioni alimentari emessi in uno Stato membro non vincolato dal protocollo dell’Aia del 2007».

 

Il nuovo regolamento comunitario del 2009 tiene conto del fatto che nel quadro della Conferenza dell’Aia di diritto internazionale privato, la Comunità e gli Stati membri hanno partecipato a negoziati che sono sfociati il 23 novembre 2007 nell’adozione della convenzione sull’esazione internazionale di prestazioni alimentari nei confronti di figli e altri membri della famiglia («convenzione dell’Aia del 2007») e del protocollo relativo alla legge applicabile alle obbligazioni alimentari («protocollo dell’Aia del 2007»). Il nuovo regolamento presuppone dunque questi due recenti strumenti. Inoltre, oltre ad affrontare il tema «classico» della competenza giurisdizionale, del riconoscimento e dell’esecuzione (con abolizione della necessità dell’exequatur), il regolamento si occupa (a differenza del regolamento n. 44/2001) del diritto applicabile e detta una serie piuttosto cospicua di norme sulla cooperazione tra autorità centrali per lo scambio di informazioni, atte ad assicurare un’efficace e completa realizzazione dei crediti alimentari. 

 

 

2. La nozione di «obbligazione alimentare» nel Regolamento n. 44/2001 e nel Regolamento n. 4/2009.

 

Il già citato Regolamento (CE) n. 44/2001, agli artt. 5, paragrafo 2, e 57 cpv., si esprime in termini di «obbligazioni alimentari» e di «alimenti». Pur non fornendo tali disposizioni una definizione al riguardo, non vi è dubbio che la nozione «europea» di «obbligazioni alimentari» e di «alimenti» sia assai diversa dalla corrispondente nozione del nostro ordinamento interno.

 

E’ infatti noto che il concetto di alimenti, nel sistema italiano, si riferisce all’istituto disciplinato dagli artt. 433 ss. c.c. In conseguenza di ciò, occorre (secondo il nostro diritto positivo) tracciare una netta linea di demarcazione tra

·       «alimenti», nel senso (stretto) testé precisato, da un lato, e, dall’altro:

·       altri doveri contributivi e di mantenimento nell’ambito delle relazioni familiari, quali:

§      «dovere di contribuzione tra coniugi» (art. 143 c.c.),

§      «mantenimento, istruzione ed educazione dei figli», anche se nati fuori dal matrimonio (artt. 30 Cost., 147, 148 c.c.);

§      «mantenimento in favore del coniuge separato» (art. 156 c.c.),

§      «mantenimento della prole» nella fase patologica del rapporto (art. 155 c.c., applicabile tanto alla separazione, che al divorzio, che all’annullamento del matrimonio, così come alle relazioni con i figli naturali), 

§      «assegno di divorzio» (art. 5, l.div.),

essendo invero del tutto pacifico che le disposizioni di cui agli artt. 433 ss. c.c. non trovano applicazione con riguardo a questi ulteriori e ben distinti istituti, governati da norme loro proprie. Ciò al punto che, tanto per fare un esempio, la giurisprudenza nega che alle controversie in tema di mantenimento tra coniugi separati trovino applicazione le norme che prevedono la sospensione dei termini durante il periodo feriale, ex art. 3, l. 742/1969: cfr. Cass., 14 giugno 1999, n. 5862. Sarà appena il caso di rilevare che alle medesime conclusioni si perviene, ad esempio, anche in Francia, ove i rapporti rilevanti ai fini delle citate disposizioni comunitarie abbracciano per opinione unanime ogni prestazione di mantenimento legata alla vita matrimoniale: dal devoir de secours et de contribution tra coniugi (il nostro dovere di contribuzione ex art. 143 c.c. it.), alla prestation compensatoire ed alla pension alimentaire tra ex coniugi e nei confronti dei figli.

 

Ora, già da epoca ben precedente all’approvazione del regolamento n. 4/2009, non è mai stato dubitato che l’espressione «alimenti», in diritto comunitario, andasse intesa – in corrispendenza di quella inglese maintenance, di quella americana alimony, di quella francese obligation (o prestation) alimentaire, o, ancora, di quella tedesca Unterhalt – come comprensiva di tutte le prestazioni che, nell’ambito di vincoli di tipo familiare o parafamiliare, tendono ad assicurare il sostentamento del beneficiario.

 

In quest’ottica, a mio avviso, può dirsi che tale nozione abbracci, ad esempio, anche quell’assegno periodico da alcuni anni previsto anche in Italia in favore delle persone conviventi more uxorio che rimangano «prive di mezzi adeguati» a seguito dell’allontanamento del partner ordinato dall’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 342-ter c.c., introdotto dall’art. 2, l. 154/2001 («Misure contro la violenza nelle relazioni familiari»).

 

Sul tema qui allo studio è stato osservato in dottrina (Viarengo) che, nella ricostruzione autonoma della nozione in discorso, vengono in primo luogo in linea di conto le questioni emerse in sede di interpretazione da parte della Corte di giustizia dell’art. 5 n. 2 della Convenzione di Bruxelles del 1968. Come ricorda il considerando n. 19 del citato Regolamento (CE) n. 44/2001, infatti, vi è piena continuità tra la convenzione e il regolamento e le soluzioni interpretative fornite dalla Corte per la prima si estendono anche alla disciplina contenuta nel secondo. Del resto, per quanto riguarda le obbligazioni alimentari, l’art. 5, paragrafo 2 del regolamento del 2001 riproduce sostanzialmente la stessa disciplina già contenuta nella convenzione e ne mantiene inalterato l’ambito di applicazione, oltre alla numerazione dell’articolo. E tali conclusioni, che tra poco illustreremo, ben potranno riferirsi anche al nuovo regolamento n. 4/2009.

 

Dunque, la Corte di giustizia CEE ha dato del concetto di alimenti di cui alla Convenzione di Bruxelles del 1968 un’interpretazione assai ampia, riferendo tale espressione senz’altro anche all’assegno di divorzio, ed addirittura alla decisione che, nel contesto di una procedura divorzile, condanni al pagamento di una somma forfettaria o disponga il trasferimento di un diritto reale su di un immobile (cfr. la decisione 27 febbraio 1997, n. 220/95, van den Boogaard c. Laumen, in Giust. civ., 1998, I, p. 308; in Fam. dir., 1997, p. 205; il testo è anche disponibile ai seguenti indirizzi web: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:61995J0220:IT:HTML; http://giacomooberto.com/testiregolamentiue/cortecee220-95.htm).

 

Dello stesso avviso sembra essere anche la nostra Cassazione, la quale non ha avuto difficoltà ad applicare le norme della Convenzione di Bruxelles del 1968 del 1968 (nella specie: l’art. 6, n. 1, secondo il quale, in caso di pluralità di convenuti, il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato davanti al giudice nella cui circoscrizione è situato il domicilio di uno di essi) al caso di una domanda di revisione delle disposizioni contenute nella sentenza di divorzio (ex art. 9, l. n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 13, l. n. 74 del 1987) con riferimento all’obbligo di mantenimento per il figlio maggiorenne, proposta nei confronti sia dell’ex coniuge che del figlio, soltanto uno dei quali domiciliato in Italia (riconoscendo la giurisdizione del giudice italiano: cfr. Cass., 24 luglio 2003, n. 11526).

 

L’impostazione di cui sopra risulta poi definitivamente accolta dalle Sezioni Unite: Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2009, n. 21053, ha infatti stabilito che «In tema di obbligazioni alimentari, il criterio di collegamento previsto dall’art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, resa esecutiva con legge 21 giugno 1971, n. 804, ai sensi del quale il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato davanti al giudice del luogo in cui il creditore ha il domicilio o la residenza abituale, trova applicazione anche in riferimento alla domanda di pagamento dell’assegno di mantenimento dovuto al coniuge separato, avuto riguardo alla nozione di alimenti emergente dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE (cfr. sent. 17 marzo 1979, in causa 143/78; 6 marzo 1980, in causa 120/79; 27 febbraio 1997, in causa 220/95), la quale, sostanziandosi in una formulazione sopranazionale ed autonoma rispetto alle categorie proprie delle legislazioni nazionali, va interpretata in senso ampio, e quindi comprensivo dei diversi istituti dell’obbligazione di mantenimento e di quella di alimenti previste dall’ordinamento italiano».

 

E’ poi da ricordare che la Corte di giustizia  delle Comunità europee, nelle sue sentenze del 27 marzo 1979 (in causa 143/78, de Cavel c. de Cavel, in Raccolta, 1979, p. 1055) e del 31 marzo 1982 (in causa 25/81 C.H.W. c. G.J.H., in Raccolta, 1982, p. 1189) ha chiarito che la nozione di regime patrimoniale tra i coniugi di cui all’art. 1 della Convenzione di Bruxelles (e, ora, del Regolamento n. 44/2001, nel senso che, per l’appunto le relative disposizioni non trovano applicazione con riguardo, tra l’altro, agli argomenti seguenti: «lo stato e la capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale fra coniugi, i testamenti e le successioni») comprende non solo il regime dei beni specificamente ed esclusivamente contemplato da determinate legislazioni nazionali, ma anche tutti i rapporti patrimoniali che derivano direttamente dal vincolo coniugale o dallo scioglimento di esso. Tali rapporti – ad eccezione di quelli alimentari e comunque attinenti al profilo degli assegni relativi alla crisi coniugale – rimangono pertanto al di fuori dell’ambito di operatività del regolamento n. 44/2001. Essi, non essendo del resto coperti (almeno per il momento) da alcun regolamento comunitario, saranno pertanto disciplinati, in tutte le questioni che presentino un elemento di estraneità, dal diritto internazionale privato e processuale dei vari Paesi. Sarà peraltro il caso di menzionare sul punto l’esistenza di una una Convenzione internazionale dell’Aja sulla legge applicabile ai rapporti patrimoniali tra coniugi (14 marzo 1978), ratificata peraltro solo da Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi.

 

Come esattamente rilevato in dottrina (Viarengo): «In buona sostanza la Corte di giustizia ha stabilito che tale nozione comprende obbligazioni ex lege e obbligazioni stabilite dal giudice, indipendentemente dalla forma del pagamento (pagamento periodico o somma forfettaria). Lo scopo di tale obbligazione che è quello di garantire un determinato livello di reddito del beneficiario sulla base del reddito e delle risorse rispettive delle parti, gioca il ruolo principale. Di conseguenza, laddove tale prestazione sia diretta a garantire il sostentamento del coniuge bisognoso oppure siano le esigenze e le risorse di ciascun coniuge prese in considerazione per stabilirne l’ammontare può qualificarsi come obbligazione alimentare».

 

L’art. 5 n. 2 non viene in considerazione, invece, nel caso in cui la prestazione attenga unicamente alla ripartizione dei beni tra i coniugi, trattandosi in tal caso di questione attinente al regime patrimoniale, al quale il Regolamento non si applica. In base a questa giurisprudenza risultano inoltre riconducibili alla nozione di obbligazioni alimentari anche la costituzione di garanzie reali, come contemplato, ad esempio, dall’art. 8 della legge italiana sul divorzio, e il trasferimento di elementi patrimoniali, sempre che perseguano appunto la finalità di costituire un capitale dal quale il coniuge meno abbiente possa ricavare il proprio sostentamento.

 

Per quanto attiene poi al regolamento n. 4/2009, se è vero che esso non offre alcuna definizione del concetto «alimenti» all’interno dell’art. 2, è altrettanto vero che il medesimo si colloca, sotto questo profilo, chiaramente nel solco del regolamento n. 44/2001. Invero, come previsto dal già citato considerando n. 44, «Il presente regolamento dovrebbe modificare il regolamento (CE) n. 44/2001 sostituendo le disposizioni di quest’ultimo applicabili in materia di obbligazioni alimentari. Fatte salve le disposizioni transitorie del presente regolamento, in materia di obbligazioni alimentari gli Stati membri dovrebbero applicare le disposizioni del presente regolamento sulla competenza, il riconoscimento, l’esecutività e l’esecuzione delle decisioni e sul patrocinio dello Stato invece di quelle del regolamento (CE) n. 44/2001 a decorrere dalla data di applicazione del presente regolamento».

 

Il nuovo regolamento contiene inoltre una serie di elementi idonei a far ritenere che la nozione sopra individuata sia stata mantenuta. Ciò appare, innanzi tutto, confermato dal considerando n. 11, a mente del quale «Ai fini del presente regolamento, la nozione di “obbligazione alimentare” dovrebbe essere interpretata in maniera autonoma». Inoltre, basterà pensare a quanto stabilito, ad esempio, dall’art. 4, paragrafo primo, lett. c), che espressamente richiama «le obbligazioni alimentari tra coniugi o ex coniugi», laddove è noto che gli alimenti «italiani» tra ex coniugi non sono dovuti e pertanto la norma comunitaria non può riferirsi se non all’assegno divorzile. Ancora, potrà ricordarsi che l’art. 3, lett. d), richiama espressamente la responsabilità genitoriale: concetto, quest’ultimo, nell’ambito del quale si iscrive il dovere al mantenimento (cfr. ad es. gli artt. 147 e 148 c.c. italiano).

 

In ogni caso assume poi rilievo la nozione di alimenti sviluppata nell’ambito del diritto internazionale, con particolare riferimento alle varie convenzioni dell’Aja su questa materia, con riguardo alle quali non vi è dubbio che siffatta espressione non può certo ritenersi limitata al concetto cui fanno richiamo gli artt. 433 ss. c.c. Si noti ad es. quanto stabilito dall’art. 1 della convenzione dell’Aja del 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, secondo cui «This Convention shall apply to maintenance obligations arising from a family relationship, parentage, marriage or affinity, including a maintenance obligation in respect of a child who is not legitimate».

 

A questo proposito sarà il caso di osservare come erroneamente il Tribunale di Firenze (decreto 20 maggio 2003, in Riv. dir. int. priv. proc., 2005, p. 737 ss.) abbia ritenuto di non applicare il reg. n. 44/2001, in favore del reg. n. 2001/2003, in relazione ad una domanda di modifica delle condizioni di separazione consensuale in punto determinazione dell’ammontare di un assegno a titolo di contributo per il mantenimento del coniuge separato (art. 156 c.c.), argomentando, inter alia, in base alla differenza esistente nel nostro ordinamento tra mantenimento ed alimenti. La relativa ratio decidendi appare invero espressa nella seguente considerazione, per le ragioni sopra esposte, non condivisibile: «Nè si può ritenere che la questione concernente la modifica dell’assegno di mantenimento rientri nella materia di obbligazioni alimentari a cui fa riferimento l’art. 5 n. 2 del regolamento n. 44/2001, stante la differenza esistente tra mantenimento ed alimenti, consistendo, il primo, nella prestazione di ciò che è necessario per la conservazione del tenore di vita corrispondente alla posizione economico-sociale dei coniugi, là dove la prestazione degli alimenti presuppone uno stato di totale assenza di mezzi di sostentamento».

 

 

3. La nozione di obbligazione alimentare «derivante da rapporti di famiglia…» nel Regolamento n. 4/2009.

 

Come esistono prestazioni non qualificate come alimentari dal diritto italiano, ma che ricadono nella sfera di operatività del nuovo regolamento n. 4/2009 (ed anzi costituiscono la stragrande maggioranza delle ipotesi, ove solo si ponga mente ai crediti da mantenimento del coniuge separato o della prole minorenne o maggiorenne e non autosufficiente o all’assegno di divorzio), così, per converso, esistono prestazioni (in diritto italiano) prettamente alimentari cui il nuovo regolamento non è applicabile. A differenza, invero, del citato all’art. 5, paragrafo 2, del Regolamento (CE) n. 44/2001, che parla genericamente di «obbligazioni alimentari», il regolamento n. 4/2009 stabilisce, all’art. 1, che esso «si applica alle obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità». Lo strumento non dovrebbe quindi trovare applicazione con riguardo, ad esempio, agli alimenti (italiani) dovuti dal donatario (neanche nel caso in cui costui fosse legato da rapporti di parentela con il donante, se il titolo dell’obbligazione fosse quello derivante dalla sola donazione e non dal rapporto di sangue).

 

Con riguardo poi all’inciso appena ricordato (secondo cui, cioè, esso «si applica alle obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità»), va detto che il regolamento n. 4/2009 segna un netto regresso rispetto alla Proposta di Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari recante la data del 15 dicembre 2005, nel senso che ne risultano esclusi gli alimenti derivanti da rapporti di coppia non coniugali, compresi, invece, nella citata proposta. I passi indietro compiuti dal legislatore comunitario sul punto sono resi evidenti dalle seguenti tabelle di raffronto:

 

Proposta di regolamento del Consiglio del 2005, considerando n. 9:

Regolamento n. 4/2009, considerando n. 11:

L’ambito d’applicazione del regolamento deve estendersi a tutte le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti familiari o rapporti che producono effetti simili, e ciò al fine di garantire la parità di trattamento tra tutti i creditori di alimenti.

 

L’ambito di applicazione del regolamento dovrebbe estendersi a tutte le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, al fine di garantire la parità di trattamento tra tutti i creditori di

alimenti.

 

 

Proposta di regolamento del Consiglio del 2005, art. 1, primo comma:

Regolamento n. 4/2009, art. 1, primo comma:

Il presente regolamento si applica alle obbligazioni alimentari derivanti dai rapporti familiari o dai rapporti che, in forza della legge ad essi applicabile, producono effetti simili.

 

1. Il presente regolamento si applica alle obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità.

 

Inutile dire che l’inciso del considerando n. 9 della proposta, così formulato: «al fine di garantire la parità di trattamento tra tutti i creditori di alimenti», pateticamente mantenuto nel considerando n. 11 del nuovo regolamento, perde qualsiasi significato, nel momento in cui l’esclusione dei creditori alimentari sulla base di rapporti di convivenza, ancorchè eventualmente riconosciuta dalla legge nazionale (ed in svariati ordinamenti europei sostanzialmente equiparata al matrimonio), viene a privare migliaia di creditori alimentari del nostro Continente dei vantaggi del nuovo strumento, così riproponendo sul piano comunitario una discriminazione che diversi legislatori nazionali si sono ormai lasciati da tempo alle spalle.

 

E’ vero, indiscutibilmente, che l’inciso «rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità» potrebbe prestarsi anche ad una lettura diversa e più «liberal»: una lettura in cui al concetto di «famiglia», pur sempre menzionato ed affiancato a quelli di «parentela, di matrimonio o di affinità», viene attribuito un significato più ampio rispetto a questi ultimi, idoneo a comprendere in sé anche tutti i rapporti derivanti dalla convivenza more uxorio. E’ però anche vero che, in difetto di strumenti comunitari sulla disciplina della convivenza e di fronte ad un testo della proposta assai esplicito sul punto, dal quale il regolamento ha chiaramente inteso discostarsi, sembra assai difficile poter attribuire al predetto sostantivo famiglia una portata più estesa di quella semplicemente riassuntiva delle espressioni che ad essa fanno immediatamente seguito («parentela, matrimonio, affinità»).

 

A ciò s’aggiunga che l’articolo 22 del nuovo regolamento (cfr. anche il considerando n. 25) stabilisce testualmente quanto segue: «Il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione in materia di obbligazioni alimentari a norma del presente regolamento non implicano in alcun modo il riconoscimento del rapporto di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità alla base dell’obbligazione alimentare che ha dato luogo alla decisione». La previsione (assente nella proposta del 2005) sembra dettata dal timore delle conseguenze possibili del riconoscimento e dell’esecuzione di pronunce su obblighi alimentari nascenti da rapporti di coniugio tra persone dello stesso sesso, ammessi dalle legislazioni di Belgio, dei Paesi Bassi e della Spagna. E’ chiaro infatti che il riconoscimento di tali obblighi alimentari non può essere impedito dalla citata limitazione di cui all’art. 1, poiché non vi è dubbio che i crediti alimentari tra coniugi omosessuali ai sensi degli ordinamenti nazionali citati siano a tutti gli effetti «obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia» e «di matrimonio».

 

Il timore che sembra trasparire dalla lettura del nuovo regolamento è dunque quello che il riconoscimento delle prestazioni alimentari tra persone del medesimo sesso possa essere utilizzato in altri sistemi europei per riconoscere diversi ed ulteriori effetti a tali unioni, anche se, a tal fine, già dovrebbe venire in considerazione la norma relativa all’ordine pubblico (art. 24 del nuovo regolamento).

 

Sul punto vi è anzi da chiedersi se per caso lo stesso riconoscimento del solo «limitato» effetto alimentare di un’unione omosessuale non possa ritenersi in determinati ordinamenti europei (si pensi a quelli più arretrati, quali quelli della Grecia o dell’Italia) come impedito dalla clausola dell’ordine pubblico. Ciò che per altro verso (a sommesso avviso dello scrivente) non dovrebbe ritenersi possibile, atteso che la nozione di matrimonio e di famiglia cui si deve accedere è, per l’appunto, quella europea, nell’ambito della quale non si può non tenere conto della presenza di numerossimi ordinamenti che o ammettono il matrimonio tra persone del medesimo sesso, ovvero prevedono forme di unione che del matrimonio producono i medesimi (o pressochè i medesimi) effetti.

 

Sarà il caso di aggiungere che, in quest’ottica, il già citato caso dell’assegno periodico da alcuni anni previsto anche in Italia in favore delle persone conviventi more uxorio che rimangano «prive di mezzi adeguati» a seguito dell’allontanamento del partner ordinato dall’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 342-ter c.c., introdotto dall’art. 2, l. 154/2001 («Misure contro la violenza nelle relazioni familiari»), continuerà a godere a livello comunitario del «trattamento» previsto dal regolamento n. 44/2001, a meno che non si voglia (auspicabilmente) accedere ad una nozione di «rapporti di famiglia», ex art. 1 del nuovo regolamento che abbracci anche la famiglia di fatto. Quest’ultima soluzione, lo si ripete, sebbene auspicabile, sembra però cozzare con le conclusioni che si sono tratte dal raffronto con la precedente proposta, ove i «rapporti familiari» venivano espressamente affiancati ai «rapporti che, in forza della legge ad essi applicabile, producono effetti simili».

 

Una possibile alternativa ermeneutica – per così dire, «di compromesso» – è quella che trae spunto dalla disciplina del ricongiungimento familiare dei cittadini comunitari di cui alla direttiva recepita in Italia con D. L.vo 6 febbraio 2007, n. 30: l’art. 2, 1° co., lett. b) n. 2), infatti, esclude dalla nozione di familiare rilevante ai fini della libera circolazione il partner che abbia contratto con il cittadino europeo un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, se la legislazione dello Stato membro ospitante non equipara l’unione registrata al matrimonio (cfr. art. 2, n. 2), lett. b), della Direttiva 2004/38 del 29 aprile 2004). Ciò significa che anche agli effetti della disciplina in materia di alimenti, in base al nuovo regolamento, si potrebbe attribuire rilievo al rapporto di convivenza a condizione che la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio. A questo suggerimento potrebbe però obiettarsi (probabilmente, a ragione) che non appare congruo riferirsi ad una disciplina dettata per favorire la ricostituzione di rapporti familiari, al fine di risolvere questioni che attengono invece (per lo più) alla regolamentazione delle conseguenze patrimoniali di una relazione affettiva ormai non più esistente.

 

Peraltro, se dovesse ritenersi il nuovo regolamento inapplicabile ad ogni prestazione alimentare relativa ad un rapporto di convivenza non matrimoniale, la questione della (eventualmente) persistente applicabilità (per le obbligazioni alimentari nascenti nell’ambito delle convivenze more uxorio) del regolamento n. 44/2001 dovrebbe superare ancora il vaglio del disposto dell’art. 68 del nuovo regolamento. Esso, invero, stabilisce che «Fatto salvo l’articolo 75, paragrafo 2, il presente regolamento modifica il regolamento (CE) n. 44/2001 sostituendone le disposizioni applicabili in materia di obbligazioni alimentari». La norma potrebbe dunque essere letta nel senso che tutte le norme del regolamento n. 44/2001 relative ai crediti alimentari sono ipso facto abrogate e pertanto non trovano applicazione neppure più con riguardo a quei casi che, invece, come quello in esame, non appaiono più idonei a ricadere sotto il diposto della disciplina novellamente introdotta, pur ricadendo ipoteticamente sotto il regolamento del 2001.

 

Purtroppo il citato testo dell’art. 68 del nuovo regolamento appare assai poco chiaro e si presta ad essere letto anche alla stregua di una disposizione che abbia efficacia e valore per ogni tipo di obbligazione alimentare tout court e non solo per quelle cui è applicabile il nuovo strumento. In tal caso si perverrebbe alla (assurda) conclusione per cui alle obbligazioni alimentari relative ai rapporti tra conviventi europei, pur se vincolati da Pacs o partnerships registrate (si pensi alla Civil Partnership inglese o alla eingetragene Lebenspartnerschaft tedesca), non potrebbe applicarsi alcun regolamento comunitario.

 

Passando ad un’altra questione, va ripetuto in questa sede quanto già osservato in dottrina in relazione al regolamento n. 44/2001, vale a dire il rilievo per cui sulla base delle relazioni che accompagnano l’elaborazione della disciplina in esame – ed in particolare della c.d. Relazione Schlosser (cfr. Schlosser, Relazione sulla Convenzione di adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e dell’irlanda del Nord alla Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, nonché al protocollo relativo alla sua interpretazione da parte della Corte di giustizia, firmata a Lussemburgo il 9 ottobre 1978, in G.UC.E., C59 del 5 marzo 1979, par. 92 e 93) – pur in assenza di giurisprudenza, si ritengono esclusi dall’ambito di operatività della norma gli obblighi alimentari di natura successoria, nonché le obbligazioni volontarie agli alimenti che derivano da negozio giuridico, ad esempio contratto, donazione, legato alimentare, anche laddove, sembra doversi ritenere, abbiano per oggetto il sostentamento di un membro della famiglia nei confronti del quale non esistono obbligazioni alimentari legali.

 

Ricadono invece nell’ambito di applicazione del regolamento le obbligazioni legali semplicemente precisate per contratto, gli accordi cioè comunque connessi ad una obbligazione alimentare già esistente. In altri termini si possono ritenere rilevanti ai fini del regolamento n. 44/2001, ma anche del regolamento n. 4/2009, quelli che lo scrivente ha definito «contratti della crisi coniugale», nella parte in cui prevedono prestazioni o assegni di mantenimento postmatrimoniale, eventualmente liquidati anche in unica soluzione, ovvero anche a mezzo trasferimento di diritti patrimoniali dall’uno all’altro. Significativo quanto disposto al riguardo dall’art. 48 del regolamento n. 4/2009, a mente del quale «1. Le transazioni giudiziarie e gli atti pubblici esecutivi nello Stato membro d’origine sono riconosciuti in un altro Stato membro e hanno la stessa esecutività delle decisioni ai sensi del capo IV. 2. Le disposizioni del presente regolamento sono applicabili, se del caso, alle transazioni giudiziarie e agli atti pubblici. 3. L’autorità competente dello Stato membro d’origine rilascia, su istanza di qualsiasi parte interessata, un estratto della transazione giudiziaria o dell’atto pubblico utilizzando, a seconda dei casi, il modulo di cui agli allegati I e II ovvero agli allegati III e IV».

 

 

4. La competenza giurisdizionale nel regolamento n. 44/2001 e nel regolamento n. 4/2009. I criteri generali.

 

Come si diceva, la competenza giurisdizionale nel Regolamento (CE) n. 44/2001 viene disciplinata dall’art. 5, paragrafo 2, a mente del quale la persona domiciliata nel territorio dello Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro:

·       davanti al giudice del luogo in cui il creditore di alimenti ha il domicilio o la residenza abituale

·       o, qualora si tratti di una domanda accessoria ad un’azione relativa allo stato delle persone, davanti al giudice competente a conoscere quest’ultima secondo la legge nazionale, salvo che tale competenza si fondi unicamente sulla cittadinanza di una delle parti.

 

Si tratta però non di un foro esclusivo, bensì concorrente, rispetto a quello di cui all’art. 2, a mente del quale, in linea generale, «le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro. Alle persone che non sono in possesso della cittadinanza dello Stato membro nel quale esse sono domiciliate si applicano le norme sulla competenza vigenti per i cittadini».

 

Il forum actoris di cui al citato 5, paragrafo 2, certo inusuale rispetto all’intento al quale è ispirato il regolamento n. 44/2001, di limitare i casi in cui il convenuto possa essere citato presso il foro dell’attore, si giustifica, come evidente, al fine di proteggere la parte più debole dei rapporti da cui originano crediti alimentari, garantendo ad essa non solo un’alternativa rispetto al criterio generale del domicilio del convenuto, ma anche una localizzazione della controversia in una sede particolarmente vantaggiosa, anche in ragione della particolare idoneità di tale sede a valutare le esigenze effettive del soggetto richiedente (cfr. Viarengo).

 

In questa prospettiva, rivolta ad agevolare la posizione del creditore di alimenti ed al tempo stesso a favorire la concentrazione di domande connesse dinanzi allo stesso giudice al fine di evitare giudicati contraddittori, anche se una di esse non rientra nelle materie comprese nell’ambito di operatività della disciplina in esame, è riconosciuta altresì la competenza del giudice dell’azione di stato delle persone con riguardo alle domande alimentari proposte in tale sede come accessorie, con la sola eccezione del caso in cui tale competenza trovi titolo unicamente nella cittadinanza di una delle parti.

 

L’eccezione alla regola d’accessorietà rispetto ad un’azione relativa allo stato delle persone, eccezione fondata sul fatto che la competenza per l’azione di stato si fondi unicamente sulla cittadinanza di una delle parti, si spiega alla luce della protezione dovuta al convenuto, in qualche misura «vittima» dell’impiego dell’altra parte di una regola di competenza esorbitante. Come osservato in dottrina (Viarengo), il criterio di «connessione» opera invece nei confronti dei procedimenti sullo stato delle persone riguardo ai quali la competenza del giudice sia per altri motivi ritenuta esorbitante dal regolamento. In particolare il criterio della cittadinanza comune, di regola escluso dal regolamento n. 44/2001, in virtù dell’art. 3 n. 2 per le cause ordinarie in materia civile e commerciale, non sembra possa essere considerato esorbitante e quindi inammissibile quando si tratta di procedimenti attinenti allo stato delle persone e alle prestazioni alimentari; così come non si applica l’eccezione, qualora la competenza dell’organo giurisdizionale derivi dal verificarsi di più condizioni di fatto, fra le quali figuri anche la cittadinanza di una delle parti, non potendosi ritenere che la competenza si fondi esclusivamente su di essa.

 

Nella medesima logica si colloca anche il nuovo regolamento n. 4/2009, che alla materia della competenza dedica un intero capo (il secondo). In particolare, l’art. 3 stabilisce che:

«Sono competenti a pronunciarsi in materia di obbligazioni alimentari negli Stati membri:

a) l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il convenuto risiede abitualmente; o

b) l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il creditore risiede abitualmente; o

c) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti; o

d) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti».

 

Regolamento n. 44/2001

Regolamento n. 4/2009

Articolo 5, paragrafo 2:

la persona domiciliata nel territorio dello Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro: (…)

 

davanti al giudice del luogo in cui il creditore di alimenti ha il domicilio o la residenza abituale

 

o, qualora si tratti di una domanda accessoria ad un’azione relativa allo stato delle persone, davanti al giudice competente a conoscere quest’ultima secondo la legge nazionale, salvo che tale competenza si fondi unicamente sulla cittadinanza di una delle parti.

Articolo 3

Disposizioni generali

Sono competenti a pronunciarsi in materia di obbligazioni alimentari negli Stati membri:

a) l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il convenuto risiede abitualmente; o

b) l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il creditore risiede abitualmente; o

c) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti; o

d) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti.

 

Il nuovo regolamento contiene, all’art. 3, rispetto al regolamento n. 44/2001, una serie di fori concorrenti posti su un piano di perfetta uguaglianza ed alternatività l’uno rispetto all’altro, che nella sostanza differiscono di poco dall’art. 5 n. 2 (e dall’art. 2) del regolamento n. 44/2001. Essi si basano essenzialmente sulla residenza abituale del convenuto o del creditore, ed è negli stessi termini stabilita la competenza del giudice dell’azione di stato delle persone con riguardo alle domande accessorie.

 

Come osservato in dottrina (Viarengo), la preferenza accordata al criterio della residenza abitualescomparso invece ogni riferimento a quello del domicilio – ben si comprende in considerazione sia delle ragioni che già hanno determinato la sua adozione per le obbligazioni alimentari nel regolamento n. 44/2001, nell’ambito del quale rappresenta peraltro un’eccezione, sia del suo largo impiego in altri strumenti internazionali e comunitari, quali le convenzioni dell’Aja e il regolamento n. 2201 del 2003, operanti in materia familiare.

 

Per quanto attiene, dunque, al concetto di residenza abituale, sebbene con riferimento alla convenzione di Bruxelles sia stato suggerito in dottrina che alla sua definizione si estenda la norma di cui all’art. 59 della convenzione stessa, dandone di conseguenza un’interpretazione secondo la lex fori, è piuttosto da privilegiare un’interpretazione uniforme, utilizzando proficuamente anche per il futuro regolamento il concetto delineatasi grazie al suo sempre più vasto impiego in tempi recenti, anche se con riferimento ad ambiti normativi differenti.

 

Rileva al riguardo la definizione offerta dagli organi di giustizia comunitaria in una serie di controversie relative a questioni sollevate dal personale della Comunità stessa. La Corte di giustizia nella sentenza del 15 settembre 1994 in causa C-452/93, Pedro Magdalena Fernandez c. Commissione, in Raccolta, 1993, p. I-4295 ss., ha chiarito che «la residenza abituale è il luogo in cui l’interessato ha fissato, con voluto carattere di stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi, fermo restando che, ai fini della determinazione del luogo di residenza abituale, occorre tener conto di tutti gli elementi di fatto che contribuiscono alla sua costituzione» (par. 22). La continuità della presenza in un determinato luogo per collocare in esso la sua residenza abituale non va peraltro intesa in termini assoluti, potendosi al contrario ammettere dei periodi di interruzione della permanenza materiale senza che ciò coniprometta il perdurare della residenza (cfr. in proposito la decisione del Tribunale di primo grado nella sentenza del 25 ottobre 2005, in causa T-298/02, Anna Herrero Romeu e. Commissione, par. 51).

 

Non è richiesta – e ciò rappresenta una significativa differenza rispetto al sistema di competenza previsto nel regolamento n. 44/2001 – la presenza della residenza del convenuto in uno Stato comunitario al fine di rendere nei suoi confronti necessariamente operante la disciplina comunitaria, di modo che non residua alcuno spazio per l’applicazione delle regole che delimitano la competenza giurisdizionale proprie di ciascuno Stato membro.

 

 

5. La competenza in caso di domanda accessoria alle azioni di stato delle persone.

 

Come si è visto, stabiliscono le lett. c) e d) dell’art. 3 del nuovo regolamento n. 4/2009 la competenza, rispettivamente:

 

c) dell’ «autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti»; o

d) dell’ «autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti».

 

Con riferimento alla competenza dell’organo giurisdizionale in materia di stato delle persone a giudicare anche rispetto alle prestazioni alimentari, l’unico elemento di modifica rispetto al regolamento n. 44/2001 è dato dall’enucleazione della specifica ipotesi dell’accessorietà rispetto ad un’azione relativa alla responsabilità genitoriale, come reso evidente dalla tabella seguente:

 

Regolamento n. 44/2001

Regolamento n. 4/2009

Articolo 5, paragrafo 2:

o, qualora si tratti di una domanda accessoria ad un’azione relativa allo stato delle persone, davanti al giudice competente a conoscere quest’ultima secondo la legge nazionale, salvo che tale competenza si fondi unicamente sulla cittadinanza di una delle parti.

Articolo 3

c) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti; o

d) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti.

 

La precisazione appare quanto mai ragionevole, essendo volta ad evitare dubbi interpretativi, posto che non tutte le azioni riguardanti la responsabilità genitoriale possono essere tecnicamente qualificate alla stregua di «azioni di stato» (si pensi ad una domanda diretta alla modifica di condizioni di affidamento della prole minorenne). Tali questioni comunque sono già da ritenersi incluse nel campo di applicazione dell’art. 5 n. 2 del regolamento n. 44/2001, come peraltro sembra indicare l’undicesimo considerando del regolamento n. 2201 del 2003 che chiarisce che «i giudici competenti ai sensi del presente regolamento saranno in genere competenti a statuire in materia di obbligazioni alimentari in applicazione dell’articolo 5 paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 44/2201».

 

In seguito all’entrata in vigore del regolamento n. 2201 del 2003, tale competenza negli Stati membri si determina quindi in base alle disposizioni del regolamento, e non più, come in passato, in base alla lex fori, consentendo quindi di riunire le azioni relative allo scioglimento del matrimonio, alla responsabilità genitoriale e alle pretese alimentari e di risolvere la questione della competenza ad esse relativa a livello comunitario. Questo obiettivo è peraltro favorito dalla molteplicità dei fori (alternativi) previsti nel regolamento n. 2201 del 2003.

 

Il rischio è, evidentemente, quello di un incentivo al forum shopping, non solo ai fini della riacquisizione da parte dei coniugi dello status di libero, ma anche per conseguire vantaggi patrimoniali laddove il giudice adito sia competente a pronunciarsi su tali profili ai sensi dell’art. 5 n. 2 del regolamento n. 44/2001 e, in futuro, ai sensi delle norme del regolamento n. 4/2009. Tale conseguenza può però anche essere positivamente considerata (in questo senso cfr. ad es. Viarengo) se in concreto favorisce la parte più debole del rapporto, ossia, ad esempio, il coniuge creditore.

 

 

6. Gli altri fori previsti dagli artt. 4, 5, 6 e 7 del nuovo regolamento.

 

Gli altri fori previsti dal nuovo regolamento sono i seguenti:

Articolo 4

Foro eletto dalle parti

Articolo 5

Foro determinato sulla base della comparizione del convenuto

Articolo 6

Foro di competenza sussidiaria

Articolo 7

Forum necessitatis

 

Foro eletto dalle parti

Stabilisce l’art. 4 (Elezione del foro) che le parti possono convenire che siano competenti a conoscere delle controversie tra di esse in materia di obbligazioni alimentari la o le autorità giurisdizionali seguenti di uno Stato membro:

a) la o le autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui una delle parti risiede abitualmente;

b) la o le autorità giurisdizionali dello Stato membro di cittadinanza di una delle parti;

c) per quanto riguarda le obbligazioni alimentari tra coniugi o ex coniugi:

i) l’autorità giurisdizionale competente a conoscere delle loro controversie in materia matrimoniale; o

ii) la o le autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui essi hanno avuto l’ultima residenza abituale comune per un periodo di almeno un anno.

Le condizioni di cui alle lettere a), b) o c) devono risultare soddisfatte al momento della conclusione dell’accordo relativo all’elezione del foro o nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale.

La competenza conferita dall’accordo è esclusiva, salvo che le parti non dispongano diversamente.

2. L’accordo relativo all’elezione del foro è concluso per iscritto. Si considera forma scritta qualsiasi comunicazione elettronica che consenta una registrazione durevole dell’accordo.

3. Il presente articolo non si applica nelle controversie concernenti un’obbligazione alimentare nei confronti di un minore di diciotto anni.

 

Foro determinato sulla base della comparizione del convenuto

Stabilisce l’art. 5 (Competenza fondata sulla comparizione del convenuto) che, oltre che nei casi in cui la sua competenza risulta da altre disposizioni del presente regolamento, è competente l’autorità giurisdizionale dello Stato membro dinanzi alla quale compare il convenuto. Tale norma non è applicabile se la comparizione è intesa a eccepire l’incompetenza.

 

Foro di competenza sussidiaria

Ai sensi dell’art. 6 (Competenza sussidiaria) se nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro è competente ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 e nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato parte della convenzione di Lugano che non sia uno Stato membro è competente in virtù delle disposizioni di detta convenzione, sono competenti le autorità giurisdizionali dello Stato membro di cittadinanza comune delle parti.

 

Forum necessitatis

Stabilisce poi l’art. 7 (Forum necessitatis) che, qualora nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli 3, 4, 5 e 6, in casi eccezionali le autorità giurisdizionali di uno Stato membro possono conoscere della controversia se un procedimento non può ragionevolmente essere intentato o svolto o si rivela impossibile in uno Stato terzo con il quale la controversia ha uno stretto collegamento. La controversia deve però «presentare un collegamento sufficiente con lo Stato membro dell’autorità giurisdizionale adita».

 

La soluzione diverge da quella ricavabile dagli artt. 7 e 14 del regolamento n. 2201 del 2003, come appare evidente dallo schema seguente:

 

Regolamento n. 2201 del 2003:

Regolamento n. 4/2009:

Articolo 7

Competenza residua

 

1. Qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli 3, 4 e 5, la competenza, in ciascuno Stato membro, è determinata dalla legge di tale Stato.

2. Il cittadino di uno Stato membro che ha la residenza abituale nel territorio di un altro Stato membro può, al pari dei cittadini di quest’ultimo, invocare le norme sulla competenza qui in vigore contro un convenuto che non ha la residenza abituale nel territorio di uno Stato membro né ha la cittadinanza di uno Stato membro o che, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, non ha il proprio "domicile" nel territorio di uno di questi Stati membri.

 

Articolo 14

Competenza residua

Qualora nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli da 8 a 13 la competenza, in ciascuno Stato membro, è determinata dalla legge di tale Stato.

 

Articolo 6

Competenza sussidiaria

 

Se nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro è competente ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 e nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato parte della convenzione di Lugano che non sia uno Stato membro è competente in virtù delle disposizioni di detta convenzione, sono competenti le autorità giurisdizionali dello Stato membro di cittadinanza comune delle parti.

 

 

Articolo 7

Forum necessitatis

Qualora nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli 3, 4, 5 e 6, in casi eccezionali le autorità giurisdizionali di uno Stato membro possono conoscere della controversia se un procedimento non può ragionevolmente essere intentato o svolto o si rivela impossibile in uno Stato terzo con il quale la controversia ha uno stretto collegamento.

La controversia deve presentare un collegamento sufficiente con lo Stato membro dell’autorità giurisdizionale adita.

 

 

Il nuovo regolamento non contempla quindi la possibilità per i giudici degli Stati membri di invocare le norme giurisdizionali interne per fondare la propria competenza, come è stato invece previsto nel regolamento n. 2201 del 2003 agli artt. 7 e 14. La soluzione sembra preferibile poiché, pur incidendo, in misura comunque marginale, sull’attribuzione in concreto della competenza ad un giudice all’interno dell’Unione Europea, consente comunque di coprire tutte le ipotesi in cui esiste un «collegamento sufficiente» tra la situazione delle parti e uno Stato membro, con vantaggi evidenti sotto il profilo del principio della prevedibilità e certezza dei criteri di giurisdizione.

 

 

7. Limitazione dell’azione. Il problema della competenza per la modifica delle decisioni in materia alimentare.

 

Prevede l’art. 8 (Limitazione dell’azione) che, qualora sia emessa una decisione in uno Stato membro o uno Stato contraente della convenzione dell’Aia del 2007 in cui il creditore risiede abitualmente, il debitore non può promuovere un’azione per modificare la decisione o ottenere una decisione nuova in un altro Stato membro, fintantoché il creditore continui a risiedere abitualmente nello Stato in cui è stata emessa la decisione.

 

La regola però non trova applicazione:

a) qualora le parti si siano accordate sulla competenza delle autorità giurisdizionali dell’altro Stato membro in conformità dell’articolo 4;

b) qualora il creditore si sottoponga alla competenza delle autorità giurisdizionali dell’altro Stato membro di cui all’articolo 5;

c) qualora l’autorità competente dello Stato d’origine contraente della convenzione dell’Aia del 2007 non possa o rifiuti di esercitare la competenza a modificare la decisione o a emetterne una nuova; o

d) qualora la decisione emessa nello Stato d’origine contraente della convenzione dell’Aia del 2007 non possa essere riconosciuta o dichiarata esecutiva nello Stato membro in cui è prevista l’azione per modificare la decisione o ottenerne una nuova.

 

Da un punto di vista più generale può dirsi per il regolamento n. 4/2009 ciò che è valido anche per il regolamento n. 44/2001, vale a dire che esso accoglie il principio, comune alla maggior parte dei paesi membri, secondo cui il problema relativo all’adattamento periodico delle sentenze in materia di alimenti va trattato non in relazione ai mezzi di impugnazione delle decisioni, ma piuttosto in una prospettiva di diritto sostanziale. Si prescinde quindi dal criterio – che sebbene non espressamente enunciato informa di sé il regolamento – in virtù del quale le decisioni emanate dagli organi giurisdizionali di uno Stato possono essere ivi impugnate mediante tutti i mezzi previsti nello Stato stesso, anche se i presupposti di fatto della competenza sono, nel frattempo, venuti a mancare. Ciò significa, in buona sostanza, che, per le azioni di modifica dei crediti alimentari (si pensi, per ciò che attiene al diritto italiano, ad una domanda ex art. 710 c.p.c. o ai sensi dell’art. 9, l.div.) la relativa competenza giurisdizionale va determinata nuovamente in base alle disposizioni generali del regolamento (cfr. per tutti Viarengo).

 

A conferma di ciò si consideri che in sede di lavori preparatori della convenzione di Bruxelles non era stata accolta la proposta di stabilire, allo scopo di evitare decisioni contrastanti, che soltanto il tribunale che avesse fissato l’ammontare di un’obbligazione alimentare fosse competente a modificare tale importo, poiché ciò avrebbe obbligato le parti ad adire la giurisdizione iniziale anche nel caso di sopravvenuto difetto di qualsiasi collegamento con quest’ultima, in assenza, oltre tutto, di un rischio concreto della possibilità di un contrasto di decisioni, atteso che la decisione del secondo giudice deve essere, per modificare quella del primo, fondata su di un fatto nuovo. Ne consegue che gli organi giurisdizionali dello Stato in cui è stata pronunciata la decisione originaria perdono la competenza in materia di adattamento quando sono venute a mancare le condizioni che tale competenza determinavano. Una revisione del credito può pertanto essere richiesta solo davanti agli organi giurisdizionali competenti a norma dell’art. 2 o dell’art. 5 n. 2 del regolamento n. 44/2001, ovvero (una volta che sarà divenuto applicabile il nuovo strumento) ai sensi degli artt. 3 ss. del regolamento n. 4/2009.

 

Ciò significa che, se il creditore degli alimenti chiede un adattamento, commisurato ad esempio ai rincari nel frattempo intervenuti, egli può scegliere tra il foro del domicilio del debitore ed il foro del proprio domicilio o della propria residenza abituale. Se è invece il debitore ad agire, motivato ad esempio dal peggioramento delle sue condizioni economiche, può solo rivolgersi al foro competente di cui all’art. 2, ovvero quello del domicilio del creditore, anche nel caso in cui la decisione originaria sia stata pronunciata, in applicazione della stessa norma, nello Stato del proprio domicilio.

 

Rispetto a questo stato di cose viene dunque a porsi la regola dell’art. 8 (Limitazione dell’azione) del regolamento n. 4/2009, a mente del quale, come si è detto, qualora sia emessa una decisione in uno Stato membro o uno Stato contraente della convenzione dell’Aia del 2007 in cui il creditore risiede abitualmente, il debitore non può promuovere un’azione per modificare la decisione o ottenere una decisione nuova in un altro Stato membro, fintantoché il creditore continui a risiedere abitualmente nello Stato in cui è stata emessa la decisione. La regola conferma, quindi, che i criteri determinativi della competenza continuano ad essere quelli dettati per le cause alimentari, chiarendo che la competenza in relazione al giudice che ha emesso la decisione di cui si chiede la modifica sussiste solo fin tanto che  il creditore (convenuto, in questo caso) non abbia trasferito all’estero la sua residenza abituale: il criterio è e rimane dunque sempre quello scolpito nell’art. 3 del regolamento n. 4/2009.

 

 

8. Momento in cui l’autorità giurisdizionale può dirsi adita.

 

Ai sensi dell’art. 9 (Adizione dell’autorità giurisdizionale) un’autorità giurisdizionale è considerata adita:

a) alla data in cui la domanda giudiziale o un atto equivalente è depositato presso l’autorità giurisdizionale, a condizione che il ricorrente non abbia in seguito omesso di prendere le misure che era tenuto a prendere affinché l’atto fosse notificato o comunicato al convenuto; o,

b) qualora l’atto debba essere notificato o comunicato prima di essere depositato presso l’autorità giurisdizionale, alla data della sua ricezione da parte dell’autorità incaricata della notificazione o comunicazione, a condizione che il ricorrente non abbia in seguito omesso di prendere le misure che era tenuto a prendere affinché l’atto fosse depositato presso l’autorità giurisdizionale.

 

La previsione ricalca sostanzialmente i principi di cui al Regolamento Bruxelles II bis:

 

Regolamento Bruxelles II bis:

Regolamento n. 4/2009:

Articolo 16

Adizione di un’autorità giurisdizionale

1. L’autorità giurisdizionale si considera adita:

a) alla data in cui la domanda giudiziale o un atto equivalente è depositato presso l’autorità giurisdizionale, purché successivamente l’attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché fosse effettuata la notificazione al convenuto;

o

b) se l’atto deve essere notificato prima di essere depositato presso l’autorità giurisdizionale, alla data in cui l’autorità competente ai fini della notificazione lo riceve, purché successivamente l’attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché l’atto fosse depositato presso l’autorità giurisdizionale.

 

Articolo 9

Adizione dell’autorità giurisdizionale

 

Ai fini del presente capo, un’autorità giurisdizionale è considerata adita:

a) alla data in cui la domanda giudiziale o un atto equivalente è depositato presso l’autorità giurisdizionale, a condizione che il ricorrente non abbia in seguito omesso di prendere le misure che era tenuto a prendere affinché l’atto fosse notificato o comunicato al convenuto;

 

o,

 

b) qualora l’atto debba essere notificato o comunicato prima di essere depositato presso l’autorità giurisdizionale, alla data della sua ricezione da parte dell’autorità incaricata della notificazione o comunicazione, a condizione che il ricorrente non abbia in seguito omesso di prendere le misure che era tenuto a prendere affinché l’atto fosse depositato presso l’autorità giurisdizionale.

 

Si noti poi che il criterio della prevenzione è fissato dalla normativa comunitaria in maniera conforme rispetto a quella italiana. E’ noto infatti che la posizione della giurisprudenza italiana, dopo alcune incertezze iniziali (v. le sentenze qui di seguito riportate:

 

  * EDITA *  VEDI:RIFMC

 SEZ. 1 SENT. 02845 DEL 29/04/1980  RV. 406587

 PRES. DORSI V  REL. DORSI V COD.PAR.263

 PM. NICITA FP (CONF)

 RIC. MASOLO

 RES. SARONIO

 

QUALORA LA MEDESIMA CAUSA DI SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI VENGA INTRODOTTA DAVANTI A GIUDICI DIVERSI, CON LA NOTIFICA NELLO STESSO GIORNO, DEI RICORSI INTRODUTTIVI E DEI PEDISSEQUI DECRETI PRESIDENZIALI DI FISSAZIONE DELL’UDIENZA DI COMPARIZIONE, SENZA CHE SIA POSSIBILE STABILIRE LA PRIORITA DELL’UNA O DELL’ALTRA NOTIFICAZIONE IN BASE ALLE ORE INDICATE NELLE RISPETTIVE RELATE, LA PREVENZIONE, AI SENSI ED AGLI EFFETTI DELL’ART 39 COD PROC CIV, VA DETERMINATA AVVALENDOSI DEL CRITERIO SUSSIDIARIO DELLA DATA DI COMPARIZIONE, NEL SENSO CHE QUELLA PIU PROSSIMA COMPORTA LA PRIORITA DELLA LITE, RESTANDO IRRILEVANTE CHE TALE DATA DI COMPARIZIONE DERIVI DALL’ANTICIPAZIONE DI UN’UDIENZA PIU REMOTA. ( V 1603/62; ( V 333/59).*

 

), si è venuta assestando sulla regola della prevenzione determinata dal deposito del ricorso:

 

VEDI:RIFMC

 SEZ. 1    SENT. 04686 DEL 30/03/2001             RV. 546196

   PRES. Baldassarre V       REL. Luccioli MG      COD.PAR.263

   PM. Velardi M (Conf.)

   RIC. Bettamio

   RES. Scalfi

 

Se la stessa causa di separazione personale dei coniugi viene introdotta davanti a giudici diversi, per individuare, ai fini della litispendenza, il giudice preventivamente adito occorre avere riguardo non già alla data di notifica degli atti introduttivi dei due giudizi ma a quella del deposito dei relativi ricorsi in cancelleria. Ha, infatti, rilievo generale il principio, affermato con particolare riferimento al processo del lavoro, nonchè ai giudizi d’impugnazione da proporre non con citazione, ma con ricorso, secondo il quale nei procedimenti che s’instaurano con ricorso (ad eccezione del rito monitorio per il quale vige la diversa regola di cui all’art. 643 ultimo comma cod. proc. civ.) la pendenza della lite è determinata dalla data di deposito del ricorso stesso in cancelleria.

 VEDI SU 199204676 476841

 

SEZ. 1 SENT. 07433 DEL 21/05/2002  RV. 554584

 PRES. De Musis R  REL. Adamo M COD.PAR.233

 PM. Golia A (Parz. Diff.)

 RIC. Saliva

 RES. Com. Roma

 

Al fine di stabilire la pendenza del giudizio, mentre nei procedimenti che si introducono con citazione occorre avere riguardo alla notifica della citazione, in quelli che iniziano con ricorso deve farsi riferimento al deposito del ricorso. Pertanto, al fine di valutare la tempestività dell’opposizione alla cartella esattoriale contenente richiesta di pagamento di sanzioni amministrative, proposta ai sensi della legge n. 689 del 1981, deve aversi riguardo al deposito del ricorso in cancelleria, a decorrere dal quale il giudizio pende a tutti gli effetti, a nulla rilevando il momento della successiva notifica del ricorso alla controparte o la data dell’eventuale riassunzione del giudizio, ovvero il passaggio della causa dalla sezione lavoro ad altra sezione civile del medesimo ufficio giudiziario, che non involve questioni di competenza (nella specie, il giudice del lavoro irritualmente adito, anzichè procedere al mutamento del rito a norma dell’art. 427 cod. proc. civ., aveva rimesso la causa al dirigente della sezione, che a sua volta l’aveva rimessa al dirigente dell’ufficio, il quale l’aveva assegnata ad una sezione ordinaria; il giudice designato ometteva di decidere il merito della causa, ritenendo l’opposizione tardiva a seguito di errato riferimento alla data di riassunzione del giudizio conseguente a cancellazione dal ruolo -, o in alternativa a quella della notifica del ricorso alla controparte).   

 

 

9. Verifica della competenza e della ricevibilità della domanda.

 

Ai sensi dell’art. 10 (Verifica della competenza), l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro investita di una controversia per la quale non è competente in base al presente regolamento dichiara d’ufficio la propria incompetenza.

 

La disposizione è analoga a quella di cui all’art. 17 del regolamento Bruxelles II bis, anche se diverge per il fatto di non contenere l’inciso «e per la quale, in base al presente regolamento, è competente un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro». Ciò signfica che il giudice adito in base al regolamento n. 4/2009 dovrà d’ufficio dichiararsi incompetente per il semplice difetto di una qualsiasi situazione che ancori in quello Stato membro la competenza, senza doversi peritare di individuare quale altro Stato sia eventualmente competente.

 

Bruxelles II bis:

Regolamento n. 4/2009:

Articolo 17

 

Verifica della competenza

 

L’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, investita di una controversia per la quale il presente regolamento non prevede la sua competenza e per la quale, in base al presente regolamento, è competente un’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro, dichiara d’ufficio la propria incompetenza.

 

Articolo 10

 

Verifica della competenza

 

L’autorità giurisdizionale di uno Stato membro investita di una controversia per la quale non è competente in base al presente regolamento dichiara d’ufficio la propria incompetenza.

 

 

Dispone poi l’art. 11 (Verifica della ricevibilità) che, se il convenuto che ha la residenza abituale nel territorio di uno Stato diverso dallo Stato membro in cui l’azione è stata proposta non compare, l’autorità giurisdizionale competente deve compiere alcune attività preliminari, volte ad accertare la regolare costituzione del contraddittorio.

 

In particolare, il giudice deve «sospendere il procedimento finché non sia accertato che il convenuto è stato messo nelle condizioni di ricevere la domanda giudiziale o atto equivalente in tempo utile a consentirgli di presentare le proprie difese o che sono stati effettuati tutti gli adempimenti in tal senso».

 

Inoltre, dovrà trovare applicazione l’art. 19 del regolamento (CE) n. 1393/2007, qualora sia stato necessario trasmettere da uno Stato membro ad un altro la domanda giudiziale o un atto equivalente a norma di tale regolamento. Ove non siano applicabili le disposizioni del regolamento (CE) n. 1393/2007, si applica l’articolo 15 della convenzione dell’Aja del 15 novembre 1965 relativa alla notificazione e alla comunicazione all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale qualora sia stato necessario trasmettere all’estero la domanda giudiziale o un atto equivalente a norma di tale convenzione.

 

 

10. Litispendenza e connessione.

 

Per risolvere le questioni di litispendenza e connessione si applicano poi gli stessi meccanisimi propri dei regolamenti Bruxelles I, Bruxelles II e Bruxelles II bis. Così, ai sensi dell’art. 12 (Litispendenza) del regolamento n. 4/2009, «Qualora davanti ad autorità giurisdizionali di Stati membri differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza dell’autorità giurisdizionale adita in precedenza. Ove sia accertata la competenza dell’autorità giurisdizionale adita per prima, l’autorità giurisdizionale successivamente adita dichiara la propria incompetenza a favore della prima.

 

Stabilisce poi l’art. 13 (Connessione) che, ove più cause connesse siano pendenti dinanzi ad autorità giurisdizionali di diversi Stati membri, l’autorità giurisdizionale successivamente adita può sospendere il procedimento. Se tali cause sono pendenti in primo grado, l’autorità giurisdizionale successivamente adita può parimenti dichiarare la propria incompetenza su richiesta di una delle parti a condizione che l’autorità giurisdizionale adita per prima sia competente a conoscere delle domande proposte e la sua legge consenta la riunione dei procedimenti.

 

L’ultimo paragrafo dell’art. 13 fornisce poi una definizione di connessione, stabilendo che «Ai sensi del presente articolo sono connesse le cause aventi tra di loro un legame così stretto da rendere opportune una trattazione e una decisione uniche per evitare soluzioni tra loro incompatibili ove le cause fossero trattate separatamente».

 

 

11. Provvedimenti provvisori e cautelari.

 

Ai sensi dell’art. 14 del nuovo regolamento, i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro possono essere richiesti alle autorità giudiziarie di tale Stato anche se, in forza del predetto regolamento, la competenza a conoscere nel merito è riconosciuta all’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro. Il regolamento n. 4/2009 riprende così integralmente il contenuto dell’art. 31 del regolamento n. 44/2001, venendo in tal modo a porre sostanziali divergenze rispetto all’analoga disposizione del Regolamento Bruxelles II bis:

 

Bruxelles II bis:

Regolamento n. 4/2009:

Articolo 20

 

Provvedimenti provvisori e cautelari

 

1. In casi d’urgenza, le disposizioni del presente regolamento non ostano a che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro adottino i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati, anche se, a norma del presente regolamento, è competente a conoscere nel merito l’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro.

2. I provvedimenti adottati in esecuzione del paragrafo 1 cessano di essere applicabili quando l’autorità giurisdizionale dello Stato membro competente in virtù del presente regolamento a conoscere del merito abbia adottato i provvedimenti ritenuti appropriati.

 

Articolo 14

 

Provvedimenti provvisori e cautelari

 

I provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro possono essere richiesti alle autorità giudiziarie di tale Stato anche se, in forza del presente regolamento, la competenza a conoscere nel merito è riconosciuta all’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro.

 

 

il quale, com’è noto, legittima il diritto interno degli Stati a prevedere criteri di giurisdizione rilevanti per la concessione di misure provvisorie e cautelari alternativa rispetto alla competenza del giudice investito della decisione del merito della lite.

 

 

12. Rilevanza dei criteri giurisdizionali sopra indicati ai fini del diritto internazionale privato e processuale italiano.

 

L’art. 3 della l. n. 218 del 1995 stabilisce quanto segue:

 

Art. 3.

Ambito della giurisdizione.

 

1. La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista dalla legge.

 

2. La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi con la legge 21 giugno 1971, n. 804 e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorchè il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio.

 

Ora, la dottrina unanime (v. per tutti Vassalli di Dachenhausen), rilevato che la disposizione di cui all’art. 5, n. 2, della Convenzione di Bruxelles, è transitata, con minimi aggiustamenti redazionali, nell’art. 5, n. 2, del regolamento n. 44/2001, che, a far data dal 10 marzo 2002 ha sostituito la Convenzione, reputa che proprio alla citata norma del regolamento n. 44/2001 debba oggi intendersi il rinvio dell’art. 3, secondo comma, della legge italiana di riforma del sistema di diritto internazionale privato, considerando che il legislatore della riforma, avendo indirizzato tale rinvio alla Convenzione di Bruxelles «e successive modificazioni in vigore per l’Italia» ha voluto sottolineare che «nelle materie indicate e quanto ai criteri di giurisdizione contenuti nelle Sezioni 2, 3 e 4 del Titolo II della convenzione stessa, il cammino del diritto comune interno dovrà proseguire lungo la strada segnata dal diritto comunitario» (così Trocker). Ciò significa, allora, che, a partire dal momento in cui il regolamento n. 4/2009 diverrà applicabile, saranno le norme di cui agli artt. 3 ss. del citato strumento che occorrerà fare riferimento.

 

La conclusione appare del resto conforme all’idea di favor creditoris cui, come già osservato, è improntata la normativa richiamata, tanto a livello nazionale che sovranazionale, così attuando «la duplice esigenza di dare rilievo ai valori cui si ispira la disciplina del diritto sostanziale applicabile e di offrire tutela ai soggetti più deboli (...) implicati nelle relative controversie» (cfr. Trocker).

 

Il risultato pratico di tale operazione è dunque quello di ritenere i criteri ex art. 5, paragrafo 2, del regolamento n. 44/2001 ed ex artt. 3 ss. del regolamento n. 4/2009 riferibili anche alle persone domiciliate all’esterno della Comunità, con conseguente «ampia possibilità di esercizio della giurisdizione italiana in materia alimentare» (così Vassalli di Dachenhausen). Le regole provenienti dalla Convenzione (e ora dal regolamento n. 44/2001 e successivamente dal regolamento n. 4/2009) vi funzionano, infatti, come avviene nel loro sistema di appartenenza, in aggiunta e in alternativa alla norma generale di giurisdizione contenuta nell’art. 3, primo comma, l. n. 218 del 1995, che fonda la giurisdizione italiana sulla regola tradizionale actor sequitur forum rei, sicché essa sussiste in materia nel caso di domicilio o residenza in Italia del debitore di alimenti o della presenza in Italia di un suo rappresentante autorizzato a stare in giudizio.

 

La recezione nell’art. 3, l. n. 218 del 1995 delle norme sulla competenza del regolamento n. 44/2001 comporta, in secondo luogo, che le nozioni impiegate in queste disposizioni, nonostante la loro «nazionalizzazione», mantengano il senso e la portata che hanno nel sistema di origine. E’ questa, infatti, la prospettiva consolidatasi in dottrina con riguardo, in generale, all’interpretazione delle norme nazionali in tema di giurisdizione mutuate dalla Convenzione.

 

In particolare, l’interpretazione lege fori delle medesime viene esclusa richiamandosi alla «coerenza dei principi di determinazione della sfera della giurisdizione nelle sue dimensioni intra ed extracomunitaria» (Luzzatto), nonché all’esigenza di non disperdere il patrimonio di nozioni comuni offerto dalla giurisprudenza comunitaria, grazie alla sua attività di interpretazione «autonoma» delle espressioni della Convenzione di Bruxelles e dei successivi regolamenti che – come è noto – si avvale dei principi generali comuni agli Stati membri per l’elaborazione di nozioni proprie e funzionali all’ordinamento comunitario (cfr. Vassalli di Dachenhausen).

 

 

13. Testi e documenti di riferimento in tema di obbligazioni alimentari.

 

 

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