VINCOLI DI DESTINAZIONE
NELLE COMUNIONI DI VITA
Sommario: 1. Introduzione sull’istituto
ex art. 2645-ter c.c. – 2. Brevi considerazioni (e
persistenti dubbi) sull’ammissibilità del trust
interno. – Il rilievo meramente internazionalprivatistico della Convenzione
de L’Aja. – 3. Segue. Trust interno e
Convenzione de L’Aja: alcune schematiche considerazioni sulla legge
regolatrice. – 4. Impossibilità di fondare su disposizioni di diritto interno la
segregazione patrimoniale quale
fenomeno generale. – 5. Trust e negozio fiduciario.
– 6. L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. di fronte al trust
interno. – 7. Meritevolezza di tutela degli interessi da
realizzarsi con l’art. 2645-ter
c.c. e causa tipica del trust.
Meritevolezza del motivo del negozio di destinazione. – 8.
Il tipo di meritevolezza di tutela degli interessi da realizzarsi con l’art.
2645-ter c.c. – 9.
Profilo «statico» e profilo «dinamico»: i rapporti tra vincolo di
destinazione ed effetto traslativo dei diritti. – 10. Segue. Vicende traslative disposte
dall’autonomia delle parti in relazione all’art. 2645-ter c.c. – 11. Segue. Il trasferimento alla scadenza del vincolo. – 12. Ulteriori differenze tra la fattispecie descritta
dall’art. 2645-ter c.c. e il trust: beni oggetto del vincolo e
durata di quest’ultimo; beneficiari nascituri e «in catena di successione»; trust e vincolo «di scopo». – 13. Segue. Forma
del trust e forma del vincolo ex art. 2645-ter c.c. – 14. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e fondo patrimoniale. – 15. Vincoli
di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e convenzioni matrimoniali. –
16. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e
regimi patrimoniali della famiglia. Forma dell’atto costitutivo e norme
applicabili. – 17. La costituzione di un vincolo di
destinazione ex art. 2645-ter c.c. su beni in comunione legale o
convenzionale, ovvero su beni costituiti in fondo patrimoniale. – 18. Vincoli di destinazione e crisi coniugale: i rapporti
con il trust nella crisi della
famiglia. – 19. I vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. nel sistema delle garanzie delle prestazioni
postmatrimoniali. – 20. La forma di costituzione dei
vincoli ex art. 2645-ter c.c. nella crisi coniugale. Il leading case di merito in materia. Il
trattamento fiscale dell’atto. – 21. Vincoli di
destinazione e famiglia di fatto. Generalità. Differenze rispetto al fondo
patrimoniale. – 22. Il problema dell’individuazione dei
beneficiari del vincolo di destinazione a favore della famiglia di fatto. – 23. Incapaci e semi-incapaci quali beneficiari del
vincolo. Esclusione della necessità di autorizzazione giudiziale. |
1. Introduzione sull’istituto ex art. 2645-ter c.c.
È noto che il concetto di destinazione patrimoniale ha
trovato espresso riconoscimento con l’art. 39-novies della l. 23
febbraio 2006, n. 51, di conversione con modifiche del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273 («Recante definizione e proroga di termini,
nonché conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi
all’esercizio di deleghe legislative»), che è venuto ad introdurre nel nostro
ordinamento l’art. 2645-ter c.c., volto a consentire «atti di
destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela» [1].
Prima di affrontare i temi
specifici delle multiformi relazioni che siffatto tipo di destinazione (così
come altri, ad esso collegato) viene ad intessere con i tradizionali legami
endofamiliari, andranno svolte alcune osservazioni di carattere più generale.
In primis, andrà rimarcato che chiunque
s’accinga a trattare il tema in questione non può fare a meno di esordire
rivolgendo una severa critica alla tecnica legislativa adottata da quella
novella. Una riforma che, come già è stato osservato in dottrina [2], la nostra cultura giuridica non meritava e che,
oltre a costituire il punto più basso [3] di un drafting
normativo ispirato sempre più a sciatteria e ignoranza dei principi
fondamentali, sembra dischiudere le porte ad una «terza fase» dei rapporti tra
normativa di fattispecie e normativa pubblicitaria.
Dopo una prima «età dell’oro» (almeno tale sembra,
agli osservatori di questo oscuro presente!), nella quale il codice
disciplinava, da un lato, gli istituti concernenti le diverse materie nei vari
libri di rispettiva competenza e forniva poi le regole pubblicitarie nel titolo
primo del libro sesto, venne un’ «età del ferro», nella quale alla creazione di
nuovi istituti sostanziali non corrispondeva una (o corrispondeva una non
adeguata) disciplina pubblicitaria: le note, tormentate e tutt’ora irrisolte
vicende della pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia, così come
riformata nel 1975, e del diritto di abitazione sulla casa familiare (si pensi,
tanto per citare un esempio, alla pubblicità della domanda giudiziale di
assegnazione) sono quanto mai emblematiche al riguardo. Infine, ecco
sopraggiungere una «terza età» (che, per rispetto nei confronti del lettore,
non qualificheremo ulteriormente), nella quale il legislatore fornisce
direttamente la disciplina pubblicitaria di istituti che… si è dimenticato di disciplinare
(o, per lo meno, di disciplinare in maniera minimamente adeguata e nella sede
appropriata)!
Certo, a ben vedere, un abbozzo di regolamentazione
sostanziale sembra essere dato dallo stesso articolo citato, ancorché in forma
assolutamente embrionale e del tutto asistematica, posto che, con una
disposizione, collocata nel libro sesto sulla tutela dei diritti, titolo I
(della trascrizione), capo 1 (della trascrizione degli atti relativi ai beni
immobili), sono state contemporaneamente dettate norme sulla trascrizione
relative, oltre che ai beni immobili, anche ai beni mobili registrati; sui
requisiti sostanziali di legittimità del vincolo di destinazione; sulla forma
dell’atto costitutivo del vincolo; sull’azione a tutela dell’osservanza del
vincolo; sugli utilizzi consentiti dei beni vincolati; sull’effetto di
segregazione rispetto ai creditori, e quindi in tema di espropriazione forzata [4]. Risponde quindi, forse, a verità la constatazione
secondo cui l’art. 2645-ter c.c. è, «prima ancora che norma sulla
pubblicità, e quindi sugli effetti, norma sulla fattispecie, che avrebbe
meritato dunque, previa scissione, di figurare in un diverso contesto, di
disciplina sostanziale» [5].
Ma la fattispecie (e una fattispecie di
tanto rilievo teorico e pratico!) è così male abbozzata da suscitare
immediatamente un’istintiva, viscerale, simpatia per una tesi iconoclasta,
quale quella affacciata dalla prima pronunzia di merito contenente (ancorché in
obiter) un espresso richiamo alla
novella: l’idea, cioè, secondo cui l’art. 2645-ter c.c. non introdurrebbe affatto nel nostro ordinamento un nuovo
tipo di negozio di destinazione, ma soltanto «un particolare tipo di effetto
negoziale, quello di destinazione (…) accessorio rispetto agli altri effetti di
un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi». La norma in esame non
conterrebbe dunque alcun indice da cui desumere l’avvenuta creazione di una
distinta figura negoziale, non essendone chiara né la natura unilaterale o
bilaterale [6], né il carattere oneroso o gratuito, né la presenza
di effetti traslativi o obbligatori [7].
Anche a chi scrive era sembrato di dover prospettare –
a tutta prima e a livello di mera ipotesi – una possibile interpretatio abrogans dell’art. 2645-ter c.c., in quanto diretto all’attribuzione di rilievo sul piano
delle sole formalità pubblicitarie ad un fenomeno (atto di destinazione per la
realizzazione di interessi meritevoli di tutela) che non è regolato dal diritto
«sostanziale» (inteso come contrapposto al «diritto pubblicitario») [8]. In alternativa si era anche pensato di suggerire la
possibilità di individuare quali, tra gli istituti vigenti, sarebbero
astrattamente idonei a dar luogo ad atti qualificabili come «di destinazione
per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela», pur non potendo gli
stessi concretamente produrre tali effetti, per la presenza di disposizioni in
senso contrario. La portata della novella avrebbe dunque potuto essere reperita
nella deroga a quelle disposizioni impeditive [9].
A ben vedere, le due tesi appena prospettate: quella,
cioè, radicalmente «negazionista» e quella «intermedia», che riferisce il
vincolo a figure sostanziali già esistenti, non appaiono però persuasive. Se è
vero, infatti, che la formulazione della norma non é felice né precisa, ciò non
sembra sufficiente a consentire all’interprete di ignorare le tracce di
disciplina sostanziale (dalla regola in tema di oggetto, a quelle sulla forma,
sulla durata, sulla meritevolezza degli interessi, sulla legittimazione ad
agire, sull’impiego dei beni e dei frutti e sui rapporti con i creditori) in
essa disseminate dal legislatore, sì da obliterarne l’evidente intento di
delineare, sia pure in modo tanto rozzo, i contorni di un distinto istituto
giuridico [10].
Se ciò è vero, si pone dunque il problema di raffrontare
l’art. 2645-ter c.c. con l’istituto
che sembra, a tutta prima, ad essa più affine, vale a dire con il trust, tanto più che proprio in questa
direzione sembra puntare la storia della genesi di questo malriuscito scampolo
di prosa legislativa. In questo senso
depone, invero, il fatto che la terminologia pare ispirata ad alcune (peraltro
ben più ponderate) proposte di legge della XIV legislatura, che, sotto il
titolo, rispettivamente, «Disciplina della destinazione di beni in
favore di soggetti portatori di gravi handicap
per favorirne l’autosufficienza» (cfr. la proposta contrassegnata dal N. 3972,
presentata alla Camera dei Deputati il 14 maggio 2003) e «Norme in materia di trust a favore di soggetti portatori di handicap» (cfr. la proposta contrassegnata
dal N. 2377, presentata alla Camera dei Deputati il 10 maggio 2002), miravano ad introdurre, a tutela delle persone
disabili, la possibilità di dar luogo ad un vincolo assai simile a quello che
si attua negli ordinamenti di common law
con il trust, ma allo stesso tempo coerente
con il nostro sistema civilistico e fiscale e, quindi, di più immediata e
agevole fruibilità per i soggetti interessati [11].
2. Brevi considerazioni (e persistenti dubbi)
sull’ammissibilità del trust interno. Il rilievo meramente
internazionalprivatistico della Convenzione de L’Aja.
Non è questa la sede per ripercorrere nel dettaglio le
alterne vicende giurisprudenziali e le accanite dispute dottrinali
sull’ammissibilità del trust interno,
vale a dire di quel trust che non
presenta altri elementi di estraneità al di fuori del mero capriccio del
costituente, costituito dalla scelta dell’ordinamento giuridico di un paese che
conosce, per l’appunto, siffatto istituto. Sono del resto ormai più che noti i
problemi posti dai rapporti con il disposto dell’art. 2740 c.c., con il
principio del numerus clausus dei diritti reali, con quello della
tassatività delle ipotesi in cui è consentito creare enti dotati di autonomia
patrimoniale, con quello della tassatività delle fattispecie soggette a
trascrizione, o al profilo di un’eventuale antiteticità rispetto all’art. 2744
c.c., in relazione alla possibilità di costituire, tramite trust, nuovi
meccanismi di garanzia, alla potenziale frizione con i principi del nostro
sistema successorio, pur nell’àmbito delle clausole c.d. di salvaguardia di cui
agli artt. 15 e ss. della Convenzione: si pensi, in particolare, al divieto dei
patti successori [12] e di sostituzione fedecommissaria [13], all’inapponibilità di pesi e condizioni sulla
legittima e, più in generale, alle norme a tutela della successione necessaria [14].
Questi temi hanno, come noto, scatenato furibondi
dibattiti, sui quali – attesa anche la sconfinata quantità di contributi al
riguardo [15] – non è possibile in questa sede soffermarsi
compiutamente [16]. La controversia ha avuto una grande risonanza anche
nel web: molti sono ormai gli studi
ed i contributi disponibili online
sul tema, mentre alcuni siti sono stati addirittura interamente dedicati
all’argomento del trust in Italia [17].
Sarà sufficiente rammentare sommariamente in questa
sede che la costituzione nel nostro ordinamento di un trust, pur in
assenza di un qualsiasi obiettivo elemento di estraneità, appare immaginabile
solo a condizione che si fornisca alla convenzione de L’Aja del 1985,
ratificata con l. 16 ottobre 1989, n. 364 (entrata in vigore il 1° gennaio
1992) [18] una lettura che ne evidenzi il carattere di regola
non già di conflitto, bensì di diritto interno, applicabile anche ai casi in
cui non siano prospettabili collisioni tra diversi ordinamenti [19].
Ma proprio questa conclusione appare difficilmente
condivisibile. Per comprendere appieno il carattere internazionale della
Convenzione de L’Aja occorre porre mente ai seguenti rilievi. Innanzi tutto
essa è nata in seno alla Conférence de La
Haye de droit international privé, cioè di un’organizzazione
intergovernamentale che «a pour but de travailler à l’unification progressive
des règles de droit international privé» (Art. 1 del relativo statuto) [20]. Al riguardo occorre tenere presente che l’art. 2,
secondo comma, della legge italiana di riforma del sistema di diritto
internazionale privato (l. 31 maggio 1995, n. 218) dispone che
«Nell’interpretazione di tali convenzioni [cioè di quelle internazionali, ndr.]
si terrà conto del loro carattere internazionale e dell’esigenza della loro
applicazione uniforme». A ciò s’aggiunga che lo stesso rappresentante
dell’Italia in seno alla commissione che diede vita alla Convenzione non ha
avuto esitazioni ad ammettere che tale Convenzione «rimane una convenzione in
tema di conflitti di leggi e non ha affatto inteso trasformarsi in una
convenzione di diritto uniforme» [21]. Presupposto necessario per l’applicazione della
Convenzione sarà dunque la presenza, nella fattispecie, di elementi estranei al
sistema italiano [22].
I lavori preparatori della Convenzione
rendono evidente, del resto, come l’intenzione dei redattori non sia mai stata
quella di apprestare norme di diritto materiale uniforme per paesi che, come il
nostro, non conoscevano e non conoscono l’istituto del trust. Così alle obiezioni sollevabili da parte di quegli ordinamenti nei quali si
potrebbe temere «que les principes de leur système juridique ne soient ébranlés
par l’intrusion d’une institution étrangère quelque peu inquiétante» risponde
esplicitamente il rapport explicatif
lapidariamente chiarendo «qu’il n’a jamais été question d’introduire le trust
dans les pays de civil law, mais
simplement de fournir à leurs juges les instruments propres à appréhender cette
figure juridique». Ed è proprio qui, continua il rapport explicatif, che risiede l’interesse della Convenzione per
gli Stati che non conoscono il trust:
«L’institution n’étant pas prévue par leur droit matériel, ils ne possèdent pas
non plus de règles de droit international privé qui puissent la régir et ils en
sont réduits à chercher laborieusement à faire entrer les éléments du trust
dans leurs propres concepts. Au contraire, la Convention met à disposition des
règles de conflit de lois relatives au trust ; puis elle indique en quoi
doit consister la reconnaissance du trust, mais aussi les limites de cette
reconnaissance» [23].
Ulteriore conferma di quanto sopra viene dalla
comparazione con esperienze straniere di paesi di civil law. Si pensi al fatto che la Francia, dopo aver sottoscritto
la Convenzione de L’Aja il 26 novembre 1991, si è ben guardata dal ratificarla
prima di dotarsi di uno strumento legislativo nazionale che assicuri il
coordinamento tra i tratti essenziali dell’istituto di common law ed i principi fondamentali del diritto interno. Ciò è
proprio quanto è avvenuto con l’introduzione nel Code Civil, nell’anno 2007, dell’istituto della fiducie [24]. Si noti che, in uno studio effettuato non molti anni
fa sotto la direzione dell’Institut de droit comparé «Edouard Lambert» presso l’università «Jean
Moulin-Lyon 3» [25] si affermava, ad esempio, prima della novella citata,
non solo che il trust era «une
institution inexistante en France», ma anche che l’eventuale ratifica della convenzione
de L’Aja, sottoscritta dalla Francia il 26 novembre 1991, non avrebbe fatto
altro che «reconnaître le trust seulement comme une matière du droit
international privé sans l’introduire dans leur droit interne» [26].
Significativa appare poi anche l’esperienza
dei Paesi Bassi, che hanno, sì, ratificato la convenzione, ma accompagnando la
ratifica con una legge di applicazione di due norme, con le quali si è
statuito, da un lato, che, in senso negativo, non sono applicabili ai trusts riconosciuti in base alla
Convenzione, le norme interne sul trasferimento di proprietà e quelle a tutela
dei creditori in caso di insolvenza; dall’altro, che, in senso positivo, il trustee può chiedere l’iscrizione della
sua qualità in qualsiasi altro modo, relativamente ai beni del trust, così riproducendosi la formula
dell’art. 12 della Convenzione. Si tratta in effetti proprio della disciplina
di quei due aspetti che ostacolano una normale applicazione della Convenzione [27].
A fronte di tali considerazioni, allegare
[28] che la legittimità dei trusts interni sarebbe «oramai contestata solo da qualche tardo epigono di
una letteratura civilistica che aveva creduto di potere intuire o
precomprendere i trust e che, non volendo o non potendo studiarli, ha smesso di
occuparsene» appare, a dir poco, (oltre che offensivo) superficiale e
semplicistico; né, sul punto, il richiamo all’esistenza di una legislazione
tributaria specificamente indirizzata ai trusts interni vale a superare
i dubbi che sul ben diverso piano civilistico l’istituto in oggetto comporta,
tanto più in assenza di decisioni di legittimità che abbiano mai ex professo
affrontato il tema sul piano della ratio decidendi (e non già su quello
delle più o meno estemporanee premesse di ben altre questioni di diritto).
3. Segue. Trust interno e
Convenzione de L’Aja: alcune schematiche considerazioni sulla legge
regolatrice.
E’ noto che, ai sensi
dell’art. 6 della Convenzione de L’Aja, il
trust è regolato dalla legge scelta
dal costituente. La scelta deve essere espressa, oppure risultare dalle
disposizioni dell’atto che costituisce il trust
o portandone la prova, interpretata, se necessario, avvalendosi delle
circostanze del caso. Qualora la legge scelta dal costituente non preveda
l’istituzione del trust o la
categoria del trust in questione,
tale scelta non avrà valore e verrà applicata la legge di cui all’articolo 7.
Chi scrive ha già avuto modo di chiarire che detta disposizione non comporta
necessariamente il riconoscimento della libertà di scelta di una legge
straniera in difetto di elementi di internazionalità della fattispecie, ma può
interpretarsi, invece, nel senso che detta libertà di scelta può esplicarsi nei
confronti di una legge di un ordinamento con il quale la fattispecie, pur
munita di oggettivi elementi di internazionalità, non presenti alcun
collegamento [29].
Del resto, proprio dall’ambito del
diritto internazionale privato, da cui la Convenzione de L’Aja proviene, sembra
potersi estrapolare la regola generale che fa divieto ai privati di scegliere a
loro arbitrio la legge che disciplinerà i loro rapporti, in assenza di un
elemento di estraneità, che pertanto non può essere costituito dalla sola legge
dalle stesse parti indicata.
Come rilevato in dottrina, l’ambito di
applicazione del diritto internazionale privato va circoscritto alle
fattispecie che presentino elementi di internazionalità sulla base di un
giudizio ex ante, soltanto a seguito
del quale, accertata la ricorrenza del carattere internazionale della
fattispecie, può applicarsi la normativa di diritto internazionale privato e,
quindi la norma che legittima la facoltà di scelta di una legge straniera.
Ritenere, invece, che la legge straniera scelta dalle parti possa da sola
fungere da elemento di internazionalità che giustifica l’applicazione della normativa
di diritto internazionale privato significa operare una inversione concettuale
contraria ai principi della logica [30].
«La mia mente di internazionalprivatista
si ribella – e queste sono le parole di un eminente studioso del diritto
internazionale privato [31] – di fronte ad un simile uso dello strumento di
scelta del diritto applicabile, di fronte ad una fattispecie che non presenti
collegamenti territoriali o personali con diversi ordinamenti giuridici. Lo
strumento della scelta del diritto applicabile, come tutti gli strumenti di
determinazione del diritto applicabile, presuppone l’esistenza di una
fattispecie con collegamenti plurinazionali o internazionali, che dir si
voglia. È la fattispecie internazionale che giustifica il diritto internazionale
privato ed è per questo che le due Convenzioni dell’Aja del 55 e dell’86 hanno
come oggetto la determinazione della legge applicabile non per qualsiasi tipo
di vendita, ma solo per le vendite “internazionali”. La Convenzione dell’86 si
premura di sottolineare che non sono internazionali le vendite il cui unico
elemento di internazionalità risulti dalla scelta del diritto applicabile ad
opera delle parti. Se non vi è un elemento oggettivo di conflitto di leggi non
vi è internazionalità della fattispecie e quindi non si applica la
Convenzione!».
Al riguardo va anche detto che, se è vero
che la Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni
contrattuali, siglata il 19 giugno 1980 e ratificata con legge 18 dicembre
1984, n. 975, entrata definitivamente in vigore il 1° aprile 1991, stabilisce,
all’art. 3, che «il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti», è
altrettanto vero che l’art. 1 della citata Convenzione delimita espressamente
il campo d’applicazione della medesima alle sole «obbligazioni contrattuali
nelle situazioni che implicano un conflitto di leggi» (da notare che la dizione
è mantenuta anche nell’art. 1 del Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008 , sulla legge applicabile alle obbligazioni
contrattuali (Roma I. Il terzo comma dell’art. 3 cit., poi, impedisce
espressamente alle parti di derogare alle disposizioni imperative
dell’ordinamento cui «nel momento della scelta tutti gli altri dati di fatto si
riferiscano». La scelta non potrà dunque sortire l’effetto di eludere
l’applicazione delle norme cogenti (si badi: quelle cogenti e non solo quelle
di ordine pubblico) del paese con cui il contratto è collegato in via
esclusiva, proprio al fine di evitare che i soggetti di un rapporto giuridico
privo di elementi di estraneità possano sfuggire all’applicazione delle norme
imperative attraverso la designazione di una legge straniera.
L’argomento sovente portato dai sostenitori della tesi
della ammissibilità del trust interno
si basa sul rigetto – in sede di lavori preparatori della Convenzione de L’Aja
– di una proposta tendente a legare la scelta della legge straniera
all’esistenza di un «lien [réel] avec la loi choisie», come si legge al
paragrafo 65 del rapport explicatif
più volte citato. Ma proprio la lettura di tale paragrafo nella sua interezza [32] rende evidente che il rigetto di tale proposta
s’accompagnò strettamente al rilievo secondo cui «l’opinion a prévalu qu’il
était préférable de réprimer les choix abusifs dans ce qui allait devenir
l’article 13». E’ chiaro, quindi, che la proposta, lungi dall’essere rigettata,
venne recepita, sebbene in un diverso articolo. Ora, ai sensi dell’art. 13, nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad
eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di amministrazione e
della residenza abituale del trustee,
sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione.
La disposizione, nonostante quanto sopra chiarito, ha
formato l’oggetto di letture diametralmente contrapposte: da un lato si è detto
che essa non impedisce la creazione di trusts
interni, purché essi non si connotino come abusivi. Di contro (ed in maniera
assai più coerente rispetto alla lettera della disposizione ed ai già citati
lavori preparatori) si è posto in luce come la disposizione in esame impedisca,
in realtà, la creazione di un trust
interno in quei paesi la cui legislazione non conosce tale istituto [33]. Tra queste due posizioni estreme può citarsene per
completezza una, per così dire, intermedia, secondo cui l’art. 13 cit.
consentirebbe al giudice, in assenza di una specifica previsione legislativa di
attuazione, come è al momento in Italia, di valutare se rifiutare il riconoscimento
al trust interno in base ai principi generali dell’ordinamento. Questi
principi precluderebbero l’esercizio della scelta di legge qualora essa
contrasti con il principio di buona fede e con la tutela di legittimi
interessi, sia insomma abusiva nel senso che sia finalizzata ad occultare a
legittimi creditori i beni di un patrimonio. Solo in questo caso, da verificare
volta per volta, un trust interno sarebbe certamente inammissibile [34].
Inutile dire che neppure tale ultima tesi sembra
trovare un appiglio letterale. Ecco, infatti, cosa chiarisce il rapport explicatif (ai NN. 123 s.)
relativamente all’art. 13 cit.: «123. La faculté prévue par l’article 13 est ouverte aux
juges de tous les Etats contractants, mais il est évident qu’il s’agit en fait
d’une clause de sauvegarde en faveur des Etats ne connaissant pas le trust. La
clause sera surtout utilisée par les juges qui estiment que la situation a été
abusivement soustraite à l’application de leur propre loi. Mais elle pourrait
également être utilisée par le juge d’un Etat ne connaissant pas le trust par
solidarité avec un autre Etat ne le connaissant pas non plus et auquel la
situation est objectivement rattachée. 124. On notera encore que cette
disposition permet au juge d’un Etat ne connaissant pas le trust de refuser la
reconnaissance du trust parce qu’il estime qu’il s’agit d’une situation
interne. En revanche, cette possibilité n’existe pas dans les Etats connaissant
le trust, mais ceux-ci ne semblent pas en éprouver le besoin».
Appare dunque sfatato il mito secondo cui i lavori
preparatori della Convenzione de L’Aja consentirebbero di riconoscere nella
stessa i caratteri di una norma di diritto sostanziale uniforme, essendo invece
chiara l’intenzione di considerare «abusiva» la scelta del ricorso ad una
legislazione straniera per dare vita ad un trust interno in un paese che
non conosca tale istituto. A conferma dei dubbi sull’accettabilità della tesi
che asserisce la validità dei trusts interni, andrà quindi ribadito che
proprio quei lavori preparatori della Convenzione cui i fautori di tale
opinione fanno richiamo [35] contengono, in realtà, il chiaro riferimento al
potere del giudice di dichiarare la nullità di un trust «parce qu’il
estime qu’il s’agit d’une situation interne» [36].
A ciò s’aggiunga che nemmeno l’argomento [37] fondato sulla disparità di trattamento ingenerata
dalla soluzione che non ammette il trust interno rispetto alle
situazioni caratterizzate da un obiettivo elemento di estraneità (nelle quali
non vi è dubbio che la validità del trust debba essere riconosciuta)
appare convincente. Sembra infatti a chi scrive che scopo delle norme di
diritto internazionale privato sia (e si perdoni l’apparente paradosso) proprio
quello di creare disparità di trattamento, al fine di adattare la
soluzione alle peculiarità di una fattispecie obiettivamente caratterizzata da
elementi di estraneità e dunque obiettivamente diversa da quella in cui tali
elementi di estraneità sono assenti. In altre parole, è proprio l’eventuale
presenza di elementi di estraneità «oggettivi» (e dunque distinti dal mero
capriccio del settlor) ad imporre (ai
sensi del secondo, anziché del primo comma, dell’art. 3 Cost.) un trattamento
differenziato di situazioni obiettivamente diversificate.
Così, tanto per citare qualche caso esemplare, nessuno
dei sostenitori (tra i quali si annovera, in prima fila, e senza esitazioni,
chi scrive) della piena validità degli accordi prematrimoniali in vista del
divorzio, o dell’eliminazione di quell’inutile (rectius: utile solo per gli avvocati) Wartezeit per il divorzio costituita dalla necessaria separazione
legale triennale, si è mai sognato di argomentare l’auspicabilissimo avvento di
una situazione analoga a quella in vigore nei sistemi di common law sulla base della disparità di trattamento rispetto ai
cittadini stranieri, o comunque rispetto alle situazioni caratterizzate dalla
presenza di un obiettivo elemento di internazionalità. Eppure è ben noto che –
come riconosciuto anche dalla nostra Corte Suprema – proprio in questi casi,
tanto i prenuptial agreements in contemplation of divorce [38] che il divorzio immediato [39] sono perfettamente riconoscibili dal giudice
italiano, cioè da quello stesso giudice pronto a stracciarsi le vesti allorquando
la medesima situazione si presenta per un affare «di casa nostra».
D’altro canto, sarà sufficiente
riflettere sul fatto che l’argomento fondato sulla disparità di trattamento,
ove spinto alle sue estreme conseguenze, porterebbe puramente e semplicemente
all’inaccettabile risultato di una declaratoria di incostituzionalità di tutte
le norme di diritto internazionale privato [40].
Ciò premesso, va dato comunque atto della circostanza
che il «diritto vivente» si sta orientando verso un uso sempre più diffuso del trust, anche sulla scorta di talune
pregevoli opere di orientamento delle prassi notarili verso la redazione di
clausole che, pur se tratte da esperienze straniere, appaiano rispettose dell’
«ambiente» normativo nel quale vengono trapiantate [41]. In ogni caso, è chiaro che le disposizioni della
Convenzione trovano sicura applicazione da noi in relazione alle fattispecie di
trusts caratterizzati dall’effettiva
presenza di un elemento di estraneità; situazioni, queste ultime, di cui la
nostra giurisprudenza ha già avuto modo di occuparsi [42].
4. Impossibilità
di fondare su disposizioni di diritto interno la segregazione patrimoniale quale fenomeno generale.
Ugualmente non persuasivo, a sommesso
avviso dello scrivente, appare poi il tentativo di fondare sulla normativa del
codice civile la possibilità di dar luogo a fenomeni di segregazione
patrimoniale al di là dei casi normativamente previsti. Si sono citate al
riguardo, per ricordare solo alcune fattispecie, le situazioni relative agli
acquisti del mandatario senza rappresentanza, la posizione del debitore che ha
costituito in pegno uno o più beni, la c.d. «fiducia statica» (che altro non è
se non il mandato senza rappresentanza fiduciae
causa) o il sequestro convenzionale [43].
Ora, secondo la tesi qui criticata, le
disposizioni relative agli istituti testé menzionati (cfr. artt. 1706, 1707,
1798, 1800 e 2786 c.c.) contemplerebbero la possibilità di dar luogo a fenomeni
molto simili all’effetto segregativo, proprio del trust, in deroga al disposto di cui all’art. 2740 c.c., norma –
come s’è detto – sovente invocata da chi s’oppone alla tesi dell’ammissibilità
dei trusts interni. In tutte queste
ipotesi avremmo situazioni di proprietà «a disposizione» di altri soggetti,
diversi dal proprietario e come tali «insensibili» al fenomeno descritto
dall’art. 2740 c.c. Inoltre si verificherebbe una sorta di «scollamento» tra
proprietà del bene e potere di gestione dello stesso.
Molte appaiono però le perplessità
sollevate da tale impostazione. A partire dal fatto che i fenomeni descritti,
ad esempio, dagli artt. 1706 e 1707 c.c. si spiegano semplicemente in base alla
considerazione per cui gli acquisti (mobiliari) del mandatario sono in realtà
immediatamente soggetti alla proprietà del mandante, alla luce della tesi, vuoi
del trasferimento diretto della proprietà in capo a quest’ultimo, vuoi del c.d.
«doppio trasferimento automatico». Non vi è dunque qui alcuna forma di
«scollamento» tra proprietà e potere di gestione: il mandatario ha quale unico
potere di «gestione» quello di consegnare il bene al mandante, visto che tale
bene è già di proprietà di quest’ultimo. Anche a voler contemplare la posizione
del mandante la situazione non cambia rispetto alle regole ordinarie: se proprietario
è il mandante i suoi creditori potranno soddisfarsi su tali beni e dunque non
vi è alcun fenomeno di segregazione simile a quello che si produce nel caso del
trust.
Per gli acquisti immobiliari vi è invece,
effettivamente, una proprietà (del mandatario: lo si desume dal fatto che egli
è tenuto a trasferire e non già semplicemente ad immettere nel possesso) «a
disposizione» del mandante e per questo il bene è sottratto alla garanzia
generica offerta ai creditori del mandatario dal patrimonio di quest’ultimo.
Peraltro, in questo caso, come negli altri citati, l’effetto sembra invero
porsi quale esclusiva conseguenza di precise disposizioni di legge, in
fattispecie che la legge stessa tassativamente descrive, ricollegandole a ben
precise dichiarazioni negoziali, inestensibili analogicamente. Si noti poi che
tutti i casi qui descritti traggono origine da negozi bilaterali, laddove il trust può dar luogo a segregazione anche
in base a dichiarazioni unilaterali. In altre parole, sembra che l’art. 2740
c.c. non possa subire deroghe se non nei casi tassativamente previsti dalla
legge, come del resto confermato proprio dall’art. 2645-ter c.c.
Un’ulteriore riflessione si impone:
proprio il confronto con le ipotesi sopra indicate dimostra come nel nostro
ordinamento fattispecie lato sensu
assimilabili al trust presentino
rispetto a tale figura una differenza insormontabile: ci si riferisce alla
struttura stessa del trust, che
consiste in un vero e proprio sdoppiamento del diritto di proprietà,
sdoppiamento sconosciuto nel nostro ordinamento e tale da dar luogo ad una
nuova categoria di diritti reali, in contrasto con il principio d’ordine
pubblico della tassatività di questi ultimi [44].
La tesi sull’ammissibilità di un trust (non già «interno», in forza della
Convenzione de L’Aja, ma) «di diritto interno» (cioè in forza del diritto
materiale interno italiano) è stata anche difesa con forza da una pronunzia di
merito che, dopo aver correttamente dimostrato l’inapplicabilità al caso in
esame della Convenzione, riferibile solo al riconoscimento di trust connotati dalla presenza di un
obiettivo elemento di internazionalità, ha ritenuto che l’autonomia negoziale
dei privati sia in grado, ai sensi degli artt. 1322 e 1324 c.c., di dare
origine ad un trust anche in assenza
di un elemento di estraneità, allorquando il negozio istitutivo sia in concreto
preordinato al perseguimento di interessi meritevoli di tutela [45]. Rinviando alla attenta nota di commento per la
dettagliata confutazione di tale assunto [46], potrà sommariamente rilevarsi come, in
considerazione della natura straordinaria ed eccezionale del vincolo di
indisponibilità imposto con il perfezionamento del negozio destinatorio
costitutivo del trust, meritino di
essere condivise le conclusioni di chi ha affermato che il fenomeno della
funzionalizzazione del diritto dominicale può operare nelle sole ipotesi in cui
la destinazione sia stata espressamente autorizzata dal legislatore e non
invece nel caso in cui l’imposizione del vincolo – al di fuori degli schemi
tassativi di proprietà-funzione predisposti dalla legge – costituisca il mero
«precipitato» dell’autonomia privata [47]. Le conclusioni non possono mutare neppure dopo
l’introduzione dell’art. 2645-ter
c.c., posto che la disposizione – come si avrà modo di vedere tra breve –
delinea un fenomeno assai diverso dal trust.
5. Trust e negozio
fiduciario.
A quanto sopra si potranno poi aggiungere i dubbi
prospettati da una decisione di merito [48], nonché da una parte della dottrina, sul piano causale
del negozio traslativo concernente un trust
non autodichiarato [49]. Muovendo, infatti, dalla
constatazione per cui, ai sensi dell’art. 4 della Convenzione de L’Aja, la
convenzione stessa non trova applicazione alle «questioni preliminari relative
alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici, in virtù dei quali
determinati beni sono trasferiti al trusteee»,
e dunque al negozio di trasferimento dei beni in trust, si è osservato che, per la validità di tale atto traslativo,
nel caso di un trust interno,
dovranno comunque trovare applicazione le norme della legge italiana. Si è in
proposito contestato che il nostro ordinamento possa ammettere un negozio
traslativo a causa esterna fiduciaria, e si è sul punto negato che nell’ipotesi
in esame la giustificazione causale dell’atto di trasferimento si possa trovare
nel contratto con il quale il fiduciario si è obbligato ad acquistare la
proprietà del bene che il fiduciante intende trasferirgli, quale mezzo per
adempiere la fiducia [50].
Si è in particolare espressa
opinione contraria, in dottrina, sull’ammissibilità della causa fiduciae quale causa sufficiente a trasferire la proprietà
dal fiduciante al fiduciario, sia con riferimento alla fiducia cum amico, sia con riguardo a quella cum creditore. Sotto entrambi i profili viene in considerazione il
medesimo ostacolo, costituito dal limite che l’autonomia privata incontra nella
costruzione di diritti e vincoli reali diversi da quelli direttamente previsti
dalla legge e nel perseguimento di obiettivi volti ad ostacolare la libera
circolazione dei beni, a porre divieti di alienazione ovvero ad effettuare la
dissociazione permanente tra titolarità del bene e suo godimento (donde, ad
esempio, l’inderogabilità della disciplina relativa alla necessaria temporaneità
dell’usufrutto) [51].
Nella medesima direzione
vanno i rilievi di chi ha osservato che «il trasferimento di un bene che venga
successivamente vincolato ad uno scopo al di fuori delle ipotesi sancite dal
legislatore non sembra ammissibile nel nostro ordinamento. (…) Dunque o la
causa di destinazione si ritiene sussistente ed idonea a sorreggere il
trasferimento (…) ovvero manca una giustificazione al trasferimento del bene
che realizzerebbe una ingiustificata sottrazione dei beni dal patrimonio del
disponente idonea a cagionare una illecita riduzione della garanzia generica
del suo patrimonio» [52]. Il rilievo risponde anche
all’osservazione [53] secondo cui la causa del
trasferimento dei beni al trustee
andrebbe individuata nell’attuazione dello scopo del trust, senza necessità di ricorrere ad alcuna causa esterna. Così,
se fosse vero che esiste una causa unitaria che caratterizza la vicenda che
trae origine dall’istituzione del trust
[54] e se fosse vero che, sotto
il profilo causale, il trust non
ammette una rigida separazione tra atto istitutivo e atto attributivo,
trattandosi (come si evincerebbe, secondo taluno, forse anche dall’art. 2 della
Convenzione de L’Aja) di un rapporto giuridico che può essere anche realizzato
attraverso atti separati ma comunque inscindibili sotto il profilo causale,
allora occorrerebbe ammettere che l’interprete si vedrebbe costretto a tornare…
back to square one e a trovarsi di
fronte nuovamente il problema (questa volta «raddoppiato») dell’idoneità (rectius: dell’inidoneità) della Convenzione
a valere come norma di diritto materiale uniforme, anziché solo come regola di
diritto internazionale privato.
Ma, per tornare
all’impostazione «dualistica», espressa con la nota e immaginifica metafora
della «rampa di lancio» (vale a dire il contratto o il testamento che
trasferisce i beni al trustee, così
permettendo al trust di venire in
essere e lanciandolo nel mondo del diritto) e del «razzo» (cioè del trust in sé, che ha vita autonoma ed
indipendente dal negozio che ha costituito, per così dire, la «provvista» della
sua creazione), conformemente, del resto, agli elementi ricavabili dalla
lettura del rapport explicatif della
Convenzione [55], va ammesso che la
questione appare quanto mai spinosa, anche perché tocca direttamente il
principio del numero chiuso dei diritti reali. Proprio per questa ragione, ad
esempio, Pugliatti escludeva l’ammissibilità della causa fiduciae e della proprietà fiduciaria [56]. Di contro si potrebbe però
obiettare che la causa esterna nella fiducia potrebbe forse rinvenirsi in un
mandato senza rappresentanza tra fiduciante e fiduciario, configurando, quale
negozio che il mandatario-fiduciario si obbliga ad eseguire per conto del
mandante, proprio il successivo (ri)trasferimento al mandante o ad un terzo. A
ciò s’aggiunga che oggi il d. lgs. 21 maggio 2004, n. 170, emanato in
attuazione della direttiva 2002/47/CE relativa ai contratti di garanzia
finanziaria, riconosce espressamente il «trasferimento della proprietà di
attività finanziarie con funzione di garanzia» e ciò addirittura con espressa
deroga al divieto del patto commissorio (cfr. art. 6 d.lgs. cit.).
L’atto traslativo – pur
privo in sé di supporto causale –
s’appoggerebbe, dunque, ad una causa esterna o praeterita. E del resto il negozio traslativo a causa esterna non
pare tout court incompatibile con il
nostro ordinamento. Come si è esattamente rilevato in dottrina, l’art. 1376
c.c. agevola le parti, ma non può vincolarle contro la loro stessa volontà [57]. Del resto, che il
principio consensualistico possa essere derogato si desume anche dal secondo
comma dell’art. 1465 c.c. (in materia di risoluzione del contratto per
impossibilità sopravvenuta della prestazione), che consente che l’effetto
traslativo o costitutivo sia differito fino allo scadere di un termine, nonché dalla
ammissibilità nel nostro ordinamento, della clausola che eleva il pagamento del
prezzo a condizione sospensiva di efficacia del contratto [58].
Varrà però la pena di
ribadire che, se le surriferite argomentazioni possono consentire di
giustificare (anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 4 della
Convenzione de L’Aja) i trasferimenti che s’accompagnano ad un trust non autodichiarato, è la creazione
in sé di tale vincolo che continua a destare perplessità, atteso che la sola autonomia privata non può dar luogo ad
eccezioni rispetto al principio di cui all’art. 2740 c.c., norma che, pur in
presenza di numerose deroghe (e l’art. 2645-ter
c.c., come vedremo, ne rappresenta una vistosa), continua a mantenere il suo
carattere di inderogabilità [59], anche per evidenti motivi d’ordine pubblico. E’
chiaro, infatti, che se ai privati venisse concessa la facoltà di dar vita ad libitum a vincoli di
inespropriabilità, la garanzia patrimoniale generica rischierebbe di vedersi
ridotta ad una mera parvenza, scaricandosi sempre e comunque sui creditori
l’onere di esperire un’azione revocatoria, il cui esito favorevole – avuto
riguardo alle incertezze legate alle prove richieste dall’art. 2901 c.c., anche
in relazione agli atti gratuiti – non potrebbe certo darsi sempre per scontato.
Al riguardo, affermare, come fa una già ricordata
pronunzia di merito [60], che occorrerebbe distinguere tra «atti che mirano
esclusivamente a ridurre la responsabilità dell’individuo sottraendo,
volutamente, i beni alla garanzia dei creditori, ed atti che incidono sul
patrimonio del singolo, dando una specifica destinazione ai beni, senza però
sottrarli ai creditori» significa negare l’evidenza, posto che la riduzione
della garanzia patrimoniale generica è l’inevitabile portato di ogni vincolo di
inespropriabilità, a prescindere dalle intenzioni (magari ottime) che ne
determinano la costituzione e che l’eventus
damni è fenomeno obiettivamente
rilevante, mentre, dal punto di vista dell’elemento soggettivo (consilium fraudis), tutto ciò che conta
è la consapevolezza del pregiudizio (cfr. art. 2901 c.c.): consapevolezza che
ben può concorrere, senza perciò perdere di rilievo, con il più altruistico
degli intenti che possono muovere il costituente.
Nemmeno appare percorribile la via fondata sull’esile
linea di demarcazione che si è ritenuto di dover tracciare tra negozio di
destinazione ed effetto di segregazione patrimoniale. Si è messo in evidenza al
riguardo che, mentre il patrimonio di destinazione sarebbe quella massa di beni
vincolata funzionalmente ad un preciso scopo, la separazione patrimoniale
rappresenterebbe un mero profilo, che pur accede alla destinazione, ma della
quale rappresenta un effetto, peraltro non necessario né coessenziale al suo
profilo funzionale [61]. Ora, se è vero che lo sforzo tendente a fornire
autonoma dignità al negozio di destinazione annovera ormai una discreta serie
di pregevoli studi [62], non pienamente convincenti appaiono i tentativi di
svincolare tale negozio dall’effetto «separatorio» ad esso strettamente
collegato, posti in essere anche al fine di liberarsi dalla necessità di fare i
conti con la regola scolpita dall’art. 2740 c.c. [63].
A parte, invero, il rilievo pratico (inesistente) di
un vincolo di destinazione avulso dalla separazione patrimoniale, non potrà
dimenticarsi che, come pure osservato in dottrina, «il vincolo di destinazione
costituisce la fattispecie rilevante in un doppio senso. Da un alto, viene
posto un limite alla utilizzabilità dei beni facenti capo al titolare, in
quanto destinati a svolgere una particolare funzione, e, dall’altro si crea una
diversità di regimi giuridici, all’interno dei beni costituenti il patrimonio
individuale del soggetto stesso» [64]. E ciò appare tanto più vero se si pensa al fatto che
anche una mera destinazione funzionale, avulsa (in thesi) dall’effetto separativo (o segregativo, che dir si
voglia) appare incompatibile con la norma codicistica più volte citata (art.
2740 c.c.), per la semplice ragione che quest’ultima, a sua volta, contiene in primis una funzionalizzazione del
patrimonio (e dunque un vincolo di destinazione ex lege), nella sua interezza, alla soddisfazione delle ragioni dei
creditori.
E’ dunque vero che, come pure è stato notato, la
creazione di un vincolo di destinazione, al di fuori dei casi normativamente
previsti (e l’introduzione proprio dell’art. 2645-ter c.c. viene al riguardo a presentare un formidabile argomento a contrario), comporterebbe il
frazionamento del patrimonio del disponente, il quale verrebbe a scomporsi in
distinte entità: da un lato, quella formata dall’insieme dei beni destinati
allo scopo; dall’altro lato, quella rappresentata dagli altri beni. I beni
destinati costituirebbero così un patrimonio separato, in deroga all’art. 2740
cpv. c.c. [65]. Né al riguardo vale osservare che contro gli atti
dispositivi idonei a diminuire la garanzia patrimoniale del debitore sarebbe
applicabile il (solo) rimedio dell’azione revocatoria [66], posto che la sussistenza, in una determinata
fattispecie, dei presupposti di applicabilità dell’art. 2901 c.c. non può certo
dar luogo ad una (del tutto anomala ed assolutamente non prevista) esclusione
di operatività per quella stessa fattispecie delle regole generali che
discendono dalla violazione in concreto di una o più norme imperative. Così, tanto
per fare un esempio, nessuno si sognerebbe di sostenere la validità di un atto
costitutivo di fondo patrimoniale ex
artt. 167 ss. c.c. tra conviventi more
uxorio, sol perché finalizzato a frodare le ragioni dei creditori e
pertanto revocabile ex art. 2901 c.c.
6. L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. di fronte al trust interno.
Una parte della dottrina (di quella, in particolare,
favorevole alla tesi del trust
interno), posta di fronte all’art. 2645-ter
c.c., ad opera dell’art. 39-novies, l. 23 febbraio 2006,
n. 51 [67], ha ritenuto di dover immediatamente esaltare le
affinità tra i due istituti qui in esame, concludendo per una coincidenza quasi
totale [68] o, quanto meno, parziale [69] tra gli stessi, evidenziando altresì che
l’introduzione della norma codicistica avrebbe determinato la soluzione in
senso positivo dell’annosa questione della trascrivibilità del trust [70]. Qualche Autore si è addirittura spinto a sostenere
che, a seguito della riforma, il nostro Stato non potrebbe più essere
annoverato tra quelli che «non prevedono l’istituto del trust» e
conseguentemente l’art. 13 della Convenzione de L’Aja non potrebbe più «essere
invocato per negare il riconoscimento ad un trust interno» [71].
Le conclusioni cui il presente scritto tenta di
pervenire sono, come si vedrà, ben diverse. Ma prima di cercare di analizzare
in maniera analitica le differenze tra trust
e atto destinazione ex art. 2645-ter c.c. sarà opportuno gettare un primo
sguardo d’insieme al tenore della disposizione da ultimo citata, che recita
testualmente quanto segue: «Gli atti in
forma pubblica con cui beni immobili
o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni
o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli
di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o
ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma,
possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di
destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la
vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere
impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono
costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915,
primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo».
Nel testo sopra virgolettato si sono evidenziati
in corsivo i punti di divergenza (sicura, o, quanto meno, prospettabile)
rispetto al trust. Appare quindi
evidente che (almeno in termini di numero di caratteri!) oltre la metà della
disposizione in esame risulta incompatibile (o pone seri problemi di
coordinamento) con l’istituto del trust.
Più che giustificata sembra dunque, anche solo sulla base di un’indagine
sommaria e compiuta prima facie, la
posizione di chi, pur collocandosi tra i fautori dell’ammissibilità del trust interno, avverte – invitando alla
prudenza – l’impossibilità di istituire un trust
secondo la legge italiana, costituita dal solo art. 2645‑ter c.c., posto che la norma de qua «non disciplina affatto l’istituto
limitandosi a fornire i requisiti basilari che deve avere un atto di
destinazione (atipico) per essere trascritto e reso opponibile ai terzi».
Diversamente opinando, invero, si dovrebbe concludere che «in una sola norma il
legislatore italiano è riuscito a concentrare secoli di tradizione giuridica di
common law e una moltitudine di leggi e di pronunce giurisprudenziali
che hanno riguardato il trust. In altri termini, un trust retto dalla legge italiana potrà essere variamente
classificato e denominato, ma – nella sostanza – sarà tutto fuorché un trust!» [72].
7. Meritevolezza di tutela degli interessi da
realizzarsi con l’art. 2645-ter c.c. e causa tipica del trust. Meritevolezza del motivo del negozio di
destinazione.
Passando ad esaminare partitamente i diversi profili
di differenza tra i due istituti dovremo concentrare in primo luogo
l’attenzione su quello che di essi appare più evidente: al punto da impedire di
riconoscere all’art. 2645-ter c.c. la
natura anche solo di mero frammento di trust,
e, meno che mai – come pure si è voluto affermare – di instaurare tra la disciplina
internazionalprivatistica del trust e
il vincolo di destinazione previsto dal nostro codice civile «una relazione di
reciproca utilità» [73], ovvero ancora trarre dall’art. 2645-ter c.c. argomenti per la validità del trust interno [74], per l’ontologica ed insanabile diversità tra i due
istituti. Ci si intende qui riferire alla necessaria presenza di uno scopo
coincidente con la «realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili
a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o
persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma», c.c. [75].
Diciamo subito che la sottolineatura in questione
viene a tal punto marcata dal legislatore da non consentire dubbi sul fatto che
l’atto istitutivo del vincolo debba obbligatoriamente contenere espressa
menzione dello scopo, tanto che non manca chi parla al riguardo di una
necessaria expressio finis [76], che fornisce la giustificazione del vincolo di
destinazione impresso ai beni e che come tale deve essere contenuta anche
formalmente nell’atto istitutivo [77].
Né sul punto varrebbe obiettare che l’immeritevolezza,
cui fa richiamo per il contratto in generale l’art. 1322 cpv. c.c., sarebbe
ipotesi ormai di scuola e che il requisito menzionato da tale articolo
verrebbe, in buona sostanza, confuso con l’assenza di illiceità [78].
Sia consentito ribattere, in primo luogo, che non
risponde in alcun modo a verità l’opinione diffusa, secondo cui la
giurisprudenza di legittimità non avrebbe mai dichiarato un contratto atipico
lecito, ma immeritevole di tutela [79]. Una ricerca, anche sommaria, negli archivi della
Cassazione mostra, ad esempio, che non mancano certo le ipotesi in cui la Corte
Suprema ha riconosciuto la nullità di un contratto innominato per
immeritevolezza [80], pur espressamente qualificandolo come non contrario
a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Ne segue
l’inaffidabilità dell’affermazione – pure rinvenibile nella stessa
giurisprudenza di legittimità e, forse, troppo enfatizzata dalla dottrina –
secondo cui la Cassazione avrebbe «finito per abbandonare il requisito autonomo
della meritevolezza per dichiarare meritevole tutto ciò che non è contrario
alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume» [81].
Sul dibattito ha forse troppo pesato, in questi ultimi
anni, quell’indirizzo dottrinale che – predicando la perfetta sovrapponibilità
tra meritevolezza e liceità, sottolineando come sarebbe, anzi, opportuno che i
due giudizi non venissero distinti, potendo altrimenti condurre la valutazione
di meritevolezza ad esiti perigliosi, ovvero ad una eccessiva restrizione
dell’agire dei privati per mezzo del contratto [82] – ha prodotto il risultato di ridurre sovente l’art.
1322 cpv. c.c. a svolgere, in maniera del tutto impropria, un ruolo meramente
ancillare, nelle argomentazioni giurisprudenziali, rispetto agli artt. 1418 e
1343 c.c. [83].
Senza dubbio, contro una valorizzazione dell’art. 1322
cpv. c.c. ha giocato il sospetto dell’esistenza di un’ipoteca sulla norma di
tipo, per così dire, «ideologico»: è nota la posizione al riguardo di Betti,
volta a reclamare un severo controllo sulla causa del contratto non solo in
termini di liceità, bensì anche di funzionalità sociale dell’interesse
perseguito [84], laddove tale funzionalità ben si sarebbe potuta
intendere (per lo meno nel disegno originario del codice) come collegata
proprio alle norme corporative, cui faceva espresso richiamo la versione di
quel medesimo articolo varata nel 1943 [85]. Onde anche ricorrenti timori atteggiamenti dirigisti
[86] o, quanto meno, paternalistici del legislatore [87]. Paradossalmente, il tema della distinzione tra
liceità e meritevolezza del contratto è stato sviluppato, in tutt’altra
direzione, specie negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, nella più
generale direzione della «funzionalizzazione» e comunque dei limiti da porre
all’autonomia privata, sovente di stampo solidaristico, direzione rivolta ad
accreditare una specifica lettura del dettato costituzionale (in particolare
l’art. 41, commi secondo e terzo) riguardo all’autonomia dei privati [88].
Ora, proprio il dato storico di queste contrapposte
letture della norma in esame ne conferma la validità, evidenziando la capacità
di quest’ultima di adattarsi alle evoluzioni sociali e politiche, in modo da assicurare
che l’esplicazione della libertà contrattuale si ponga con queste pur sempre in
sintonia [89].
D’altro canto, può darsi per assodato che il requisito
di cui all’art. 1322 cpv. c.c. si riferisce alla sola materia dei contratti
atipici, posto che la meritevolezza di tutela viene garantita, per i contratti
nominati, dal semplice fatto che il legislatore ha ritenuto di prevederli e
disciplinarli [90]. A questo punto si potrebbe allora rimarcare che
l’art. 2645-ter c.c., ancora a
prescindere dal «tormentone dottrinale» circa la sua riferibilità (anche) allo
schema contrattuale [91], costituisce figura sicuramente tipica [92], giudicata a
priori nel tipo come meritevole di tutela, a condizione che meritevole di
tutela sia l’interesse perseguito in concreto, di volta in volta, dal
costituente (o conferente, che dir si voglia).
L’osservazione sembra dunque rendere evidente la
necessità di riferire la meritevolezza, con riguardo agli atti di destinazione,
non già al tipo negoziale individuato dal legislatore – cioè a dire il vincolo,
così come disciplinato (in maniera certo rozza, illogica, contraddittoria: ma
pur sempre disciplinato) dall’art. 2645-ter
c.c. – bensì allo scopo in concreto e di volta in volta perseguito dal
«conferente». In altri termini, ciò che sembra qui far capolino è, a ben
vedere, il concetto (non già di causa, tipizzata dal legislatore, ma) di
motivo, il quale, a differenza che nella disposizione testamentaria (cfr. art.
626 c.c.) e nella donazione (cfr. art. 788 c.c.), rileva non solo in caso d’illiceità
[93], ma, prima ancora, addirittura nell’ipotesi di sua
immeritevolezza.
Sul punto non deve trarre in inganno l’assonanza di
formulazioni tra gli artt. 1322 cpv. c.c. e 2645-ter c.c., né il fatto che il secondo richiami espressamente il
primo, non potendosi valutare le due disposizioni in modo avulso dai contesti
in cui sono inserite. Da un lato, infatti, si pone la norma generale, che
riferisce la meritevolezza a quei contratti la cui causa, invece di essere
dettata dal legislatore, è «plasmata» dalla volontà delle parti, con la
conseguenza che meritevole dovrà essere proprio lo «schema astratto»,
rispondente vuoi a tipizzazioni esistenti nella prassi – la «tipicità sociale»
evocata soprattutto da Betti [94] – vuoi a quei casi in cui la funzione negoziale viene
«forgiata nella specie dalle parti», allorquando esse agiscono regolando i
propri interessi «attraverso contratti che non trovano riscontro in uno schema
sufficientemente tipizzato» [95].
Di contro si presenta la disposizione in tema di
vincoli, che prevede un negozio la cui causa è già predefinita dal legislatore
(la costituzione, cioè, di un vincolo di destinazione dotato delle
caratteristiche e degli effetti descritti dall’art. 2645-ter c.c.) e per la quale il controllo di meritevolezza va pertanto
effettuato non già sulla funzione negoziale, descritta dalla norma, ma sugli
obiettivi perseguiti in concreto da chi quel vincolo vuole creare.
La considerazione rende ragione – se ancora ve ne
fosse bisogno – della necessità, sopra evidenziata, di un’expressio finis, sulla
base di un giudizio che non può essere demandato se non (in prima istanza) al
pubblico ufficiale che redige l’atto [96] e, in ultima analisi, in caso di contestazione, al
giudice.
Il riferimento alla necessità per il pubblico
ufficiale di valutare la meritevolezza di tutela dell’interesse e di
esplicitare tale profilo nell’atto creò, all’indomani dell’introduzione
dell’art. 2645-ter c.c., non poco
allarme nella classe notarile, la quale paventò riflessi sotto il profilo della
responsabilità ex art.
Ora, non vi è dubbio che l’atto di vincolo rispondente
a interesse non meritevole di tutela sia nullo, con le note conseguenze che
alla nullità la giurisprudenza (forse troppo) meccanicamente riallaccia per ciò
che attiene alla responsabilità disciplinare del notaio [100]. Peraltro esso, a ben vedere, non può dirsi
«espressamente proibito dalla legge», posto che la proibizione, che dal sistema
si ricava, la si ottiene solo per via indiretta, quale portato dell’assenza di
un elemento fondamentale, e non già per effetto di un espresso divieto.
L’asprezza della conclusione ricavabile dall’analisi dei precedenti
giurisprudenziali può peraltro mitigarsi alla luce di quella giurisprudenza che
sembra volere «che la nullità risulti in modo inequivoco» [101]. Si può quindi ragionevolmente affermare che, quanto
meno ogni volta in cui il giudizio di meritevolezza appaia opinabile e legato a
valutazioni soggettive, l’art. 28 cit. non potrà trovare applicazione [102], dovendosi senz’altro condividere l’opinione secondo
cui al notaio spetta non un controllo
di meritevolezza, ma, piuttosto, un controllo di non manifesta immeritevolezza [103], laddove competerà al
giudice, in caso di successiva contestazione, pronunziarsi sulla positiva
sussistenza di una situazione di meritevolezza.
Dunque ecco stagliarsi una prima, fondamentale,
differenza della fattispecie descritta dall’art. 2645-ter c.c. rispetto al trust.
Se, invero, si ammettesse il trust
interno [104], occorrerebbe anche ammettere che ci si troverebbe di
fronte ad una figura tipica, per la quale la valutazione di meritevolezza è
stata effettuata una volta per tutte, «a monte» (come si direbbe oggi), dal
legislatore, il quale avrebbe così ritenuto di conformarsi ai modelli di trust previsti dai vari ordinamenti che
tale figura conoscono, in quanto richiamati dal capriccio dei costituenti nei
rispettivi atti costitutivi. Ma è chiaro che nessun notaio, in sede di stesura
dell’atto, e nessun giudice, in sede di contestazione, una volta data per
ammissibile la costituzione di un trust
interno, potrebbero mai permettersi di vagliare la meritevolezza del motivo per
il quale esso è stato creato (al di là, è ovvio, della liceità della causa,
che, come si è detto, è cosa che si pone su di un piano ben diverso). Così,
tanto per portare un esempio, l’intento del professionista di evitare, mercé la
segregazione del suo patrimonio in trust,
che un giorno eventuali propri clienti insoddisfatti (e vincitori di ipotetiche
cause di responsabilità nei suoi riguardi) si fiondino sul frutto dei suoi
risparmi, sebbene non illecito, appare (quanto meno a chi scrive) del tutto
immeritevole di tutela, epperò inidoneo a determinare per ciò solo una
declaratoria di nullità dell’atto [105].
Tutto al contrario, nel caso dell’art. 2645-ter c.c., il controllo di meritevolezza
del motivo risulta essenziale per la validità del vincolo e ne costituisce un
elemento strutturale.
Non debbono trarre in inganno al riguardo le opinioni
di coloro i quali, nel timore che l’ammissione del trust interno possa essere contrastata da argomenti che fanno perno
sulla frode ai creditori, s’affrettano a precisare che un giudizio di
meritevolezza è comunque necessario in base al disposto dell’art. 13 della
Convenzione de L’Aja [106]. Norma, questa, la cui portata, come si è avuto modo
di vedere, risulta ben diversa, anche alla luce dei menzionati lavori
preparatori [107].
In ogni caso appare – quanto meno a chi scrive –
contraddittorio, per chi ammette la validità del trust interno, sottoporre quest’ultimo ancora a valutazione di
meritevolezza. Una volta che si sia detto che la Convenzione de L’Aja legittima
cittadini italiani a dar luogo ad un trust
anche in assenza di un qualsiasi elemento di estraneità che non sia costituito
dal capriccio delle parti nella scelta della legge straniera applicabile, la
valutazione di meritevolezza deve ritenersi, come già ricordato, compiuta dal
legislatore una volta per tutte. Semmai, la valutazione che è richiesta dalla
legge è, a questo punto, quella di conformità con le regole elencate (non
tassativamente!) all’art. 15 della Convenzione: principi che peraltro impongono
un giudizio di compatibilità con le norme inderogabili dell’ordinamento
designato dalle regole di conflitto del foro e non certo una valutazione di
meritevolezza.
Ne esce confermato, dunque, che l’art.
2645-ter c.c. contiene in sé un primo
elemento (la meritevolezza di tutela degli scopi perseguiti con il vincolo) che
lo rende assolutamente incompatibile con il trust,
posto che per la sussistenza di quest’ultimo, una volta che lo si sia ritenuto
ammissibile nel nostro ordinamento, nessun giudizio di meritevolezza – né del
tipo negoziale, né degli scopi perseguiti – è richiesto [108].
8. Il tipo di meritevolezza di tutela degli interessi
da realizzarsi con l’art. 2645-ter c.c.
La diversità della fattispecie
(malamente) delineata dall’art. 2645-ter
c.c. rispetto al trust emerge ancora
più evidente se si cerca di rispondere alla domanda su quale sia il tipo di meritevolezza
richiesto. Qui va subito detto che la dottrina contraria ad appiattire tale
valutazione su di un mero apprezzamento di non illiceità si divide tra chi
afferma la necessità che lo scopo realizzi un fine di utilità sociale, o di
pubblica utilità, che dir si voglia [109], e chi sostiene, in alternativa, che lo scopo –
ancorché non rispondente a tali ultimi fini – potrebbe limitarsi a meritare un
generico «apprezzamento positivo» [110]. L’unico punto su cui sembra esservi convergenza di
vedute è che la meritevolezza non può
consistere nella pura e semplice salvaguardia del patrimonio del costituente da
azioni esecutive dei propri creditori [111].
Parallelamente, essa non
può consistere nella mera ripetizione di effetti limitativi di atti
dispositivi: effetti limitativi che siano già il portato di una peculiare
situazione a tutela di una persona incapace o semi-incapace. Ci si intende qui
riferire a quel precedente di merito che ha ritenuto ammissibile la
trascrizione del decreto con cui il giudice tutelare, nel disporre a beneficio
di una determinata persona l’amministrazione di sostegno, aveva espressamente
fatto divieto del compimento «di atti di disposizione della proprietà
dell’immobile sito in R., adibito ad abitazione dell’amministrata stessa» [112]. Per pervenire a tale
stravagante conclusione (in contrasto, sarà appena il caso di ricordarlo, con
tutti i principi sulla pubblicità immobiliare, ed in primo luogo su quello
della sua tassatività) la corte d’appello, riformando il decreto emesso in
prime cure, si è proprio riferita all’art. 2645-ter c.c.
Così facendo, essa ha però
trascurato di considerare che, come correttamente posto in luce dalla decisione
emessa nella specie dal tribunale [113], al provvedimento di nomina
dell’amministratore di sostegno sono collegate specifiche forme di pubblicità,
e che le pur comprensibili esigenze cautelari prospettate dall’amministrazione
di sostegno sono comunque già assicurate dalla legge citata, con la possibilità
di annullare gli atti compiuti dal beneficiario in violazione delle pertinenti
disposizioni di legge o del decreto che ha concesso l’amministrazione di
sostegno; possibilità, quest’ultima, che prescinde totalmente dalle formalità
della trascrizione immobiliare e dello stato soggettivo dell’eventuale
acquirente, con conseguente, più che evidente, superfluità ed ultroneità di
ogni richiamo all’art. 2645-ter c.c. Tale superfluità, tra l’altro, ad
avviso dello scrivente, non consente neppure di ravvisare nel caso in esame la
sussistenza del benché minimo interesse meritevole di tutela alla trascrizione
di un «vincolo» che, a ben vedere, altro non è se non il portato di un sistema
normativo predisposto a tutela del beneficiario dell’amministrazione di
sostegno.
La tesi della rispondenza a pubblica
utilità, come chiave di lettura della meritevolezza sottesa al vincolo ex art. 2645-ter c.c., trova un preciso addentellato nel dibattito relativo alle
fondazioni di famiglia e pare confermata dalla durata del vincolo, che,
potendosi estendere fino a novanta anni, riferisce la finalità destinatoria
necessariamente all’interesse di terzi diversi dal conferente [114]. Se ne è così concluso che il vincolo potrà bensì
avvantaggiare anche una singola persona fisica, ma non come tale, quanto
piuttosto a condizione che lo scopo della destinazione sia il mezzo per
realizzare anche una diversa finalità di pubblica utilità, come è, ad esempio,
per le c.d. fondazioni di famiglia di cui all’art. 28, terzo comma, c.c. e per
le erogazioni testamentarie di cui all’art. 699 c.c., là dove il criterio della
pubblica utilità è richiamato, onde deve in ogni caso potersi ravvisare un
interesse mediato della collettività [115].
Si è poi anche osservato in proposito che lo scopo di
pubblica utilità aveva un tempo il fine di giustificare, con il perseguimento di
un interesse superiore, il limite alla libera circolazione dei beni e al libero
sfruttamento delle risorse economiche, che il vincolo di destinazione posto con
l’erezione della fondazione comporta. Egualmente detto scopo nell’art. 699 c.c.
assolve alla funzione di giustificare la limitazione del divieto di annualità
successive posto dall’art. 698 c.c. Pertanto la pubblica utilità può ora, in
punto di meritevolezza pretesa dall’art. 2645-ter c.c., giustificare non
tanto il vincolo di destinazione anche di novanta anni, visto il mutato
orientamento del legislatore, quanto la limitazione della responsabilità e
quindi la soccombenza dell’interesse del creditore in punto azione esecutiva [116].
Ma, a ben vedere, in dottrina vi è chi ha
prospettato una lettura ancora più rigorosa, fondata sulla valorizzazione
dell’espressa menzione dei disabili, da un lato, e delle pubbliche
amministrazioni, dall’altro. In quest’ottica si è rilevato che «La menzione dei
disabili permea di sé l’intera norma e ne costituisce la chiave di lettura,
secondo un parametro di comparazione, un “concetto relazionale”, che richiede una particolare caratura
dell’interesse in esame» [117]. In questo senso sembrano deporre anche i precedenti
della norma, ispirata ad alcune
(peraltro ben più ponderate e già ricordate) proposte di legge della XIV
legislatura, che, sotto il titolo, rispettivamente, «Disciplina della
destinazione di beni in favore di soggetti portatori di gravi handicap per favorirne
l’autosufficienza» (cfr. la proposta contrassegnata dal N. 3972, presentata
alla Camera dei Deputati il 14 maggio 2003) e «Norme in materia di trust a favore di soggetti portatori di handicap» (cfr. la proposta
contrassegnata dal N. 2377, presentata alla Camera dei Deputati il 10 maggio
2002), miravano ad introdurre, a tutela
delle persone disabili, la possibilità di dar luogo ad un vincolo assai simile
a quello che si attua negli ordinamenti di common
law con il trust [118].
Più che legittimo appare quindi il dubbio
che meritevoli di tutela ex art.
2645-ter c.c. possano solo essere,
tra gli scopi di utilità sociale, quelli improntati al canone della solidarietà
[119].
Se è vero come è vero che le osservazioni di cui sopra
costituiscono una forte motivazione «per una rigorosa cernita degli interessi
da tutelare» [120] e che la Costituzione (artt. 41 e 42) «fissa un
criterio di socialità per l’attività economica privata e per la proprietà che
deve servire per modulare il criterio fondante dell’interpretazione della nuova
norma» [121], ne deriva che potranno ritenersi sicuramente
meritevoli di tutela interessi quali quelli legati al dovere di contribuzione
nella famiglia tanto legittima (artt. 143, 167 c.c.) [122], che di fatto [123], all’obbligo di mantenimento della prole, sia nella
fase «fisiologica» (artt. 147, 148 c.c.), che in quella «patologica» (artt. 155
ss. c.c., art.
Accanto a tali ipotesi ben potranno collocarsi quelle
dell’avviamento ad una professione o ad un’arte (arg. ex art. 699 c.c.), o della previdenza o dell’assistenza in ambito
lavorativo (arg. ex art. 2117 c.c.) [127].
Come si è già ricordato, poi, il progetto di legge n.
3972 (Camera Deputati) della XIV Legislatura prevedeva la destinazione
negoziale intesa a favorire l’autosufficienza economica dei soggetti portatori
di gravi handicap, ai sensi della
Legge 5 febbraio 1992 n. 104 e successive modificazioni e il mantenimento,
l’istruzione e il sostegno economico dei discendenti. Del resto, la conferma,
desumibile dall’art. 439, secondo comma, c.c., della rilevanza sociale
dell’educazione e dell’istruzione della prole è data dalla non assoggettabilità
a collazione, ai sensi dell’art. 742 c.c., delle spese di «educazione» e di quelle
per «l’istruzione artistica e professionale» nella misura ordinaria. Ne
consegue che sicuramente meritevole di tutela sarà da ritenersi la destinazione
finalizzata al sostegno dei disabili, nonché all’educazione, istruzione e
avviamento al lavoro di soggetti, anche determinati [128].
Si è poi anche esattamente rilevato che la normativa
sull’impresa sociale (d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155) consente di ampliare le
ipotesi sicure di possibile destinazione negoziale [129]. Del resto, una visione selettiva degli interessi
qualificati da quella meritevolezza che può sorreggere la destinazione, deve
essere coordinata con l’intero corpo ordinamentale. Ne segue che l’art. 10,
d.lgs. 4 dicembre 1997, n.
Ancora, dovrà rimarcarsi che un diverso canone di
approccio, offerto dalla norma, è quello relativo al soggetto beneficiario
della destinazione; in questo caso la semplice riferibilità ad un soggetto con
determinate caratteristiche consente, di per sé sola, la possibilità della
destinazione negoziale; ragionando sui parametri normativi della l. 10 agosto
1991, n. 266 e della l. 8 novembre 1991, n. 381, è sicuramente meritevole
l’interesse teso ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di
condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali e familiari; componenti di
collettività estere non ancora integrate (sans
papiers); invalidi fisici, psichici e sensoriali; ex degenti di istituti
psichiatrici; tossicodipendenti; alcoolisti; minori in età lavorativa in
situazioni di difficoltà finanziarie; condannati ammessi alle misure
alternative al carcere; altri soggetti che si trovano in situazioni di
emarginazione o in condizioni di rischio e di insicurezza sociale come gli ex
detenuti, i giovani in cerca di primo impiego da più di due anni, le persone
escluse dal processo produttivo dopo i quaranta anni, le donne sole con figli a
carico, gli anziani in stato di indigenza, gli extracomunitari, i profughi e
gli esuli politici e così via [131].
Un altro rimarcabile punto di differenziazione tra le
due figure in esame attiene a quella dialettica tra profilo «statico» e profilo
«dinamico» che caratterizza il trust
nei rapporti tra vincolo di destinazione ed effetto traslativo dei diritti. E’
noto infatti che, a meno che si versi in ipotesi di trust autodichiarato [132], l’istituto di matrice anglosassone prevede
usualmente un trasferimento (dal settlor
al trustee) dei beni su cui il
vincolo viene a costituirsi, nonché la previsione di un ulteriore
trasferimento, una volta che le finalità del trust siano state realizzate, ad un soggetto determinato, che potrà
essere il settlor (ed in tal caso si
avrà un vero e proprio ritrasferimento), o, in alternativa, uno o più dei
beneficiari, che acquisteranno così la veste di beneficiari finali [133].
Se volgiamo l’attenzione all’art. 2645-ter c.c., scopriamo che la disposizione
contiene le seguenti espressioni: «atti in forma pubblica con cui beni immobili
o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non
superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica
beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela» e poco
sotto, «vincolo di destinazione». Ora, i concetti di «destinazione per un determinato
periodo» e di «vincolo» sono ben distinti da quello di «trasferimento di un
diritto». Un bene può essere vincolato ad un scopo senza essere trasferito ad
un soggetto diverso dal suo titolare, come avviene, ad esempio, nel fondo
patrimoniale su beni dei coniugi o nel trust
autodichiarato, nel quale è lo stesso costituente a porsi quale trustee. Vincolo di destinazione
significa che il bene può essere amministrato solo in vista della realizzazione
di quello scopo e che risponde ai soli creditori i cui diritti si fondano su
atti di gestione compiuti in vista della realizzazione dello scopo medesimo. Ma
tutto ciò, con il trasferimento dal costituente al trustee, che pure caratterizza il trust non autodichiarato, nulla ha a che vedere.
La prima e provvisoria conclusione alla quale sembra
potersi pervenire sul punto è che l’art. 2645-ter c.c. si limita a prevedere la costituzione di un vincolo in
maniera del tutto avulsa dal fatto che in vista di tale vincolo sia stato
effettuato un trasferimento del diritto sul bene da vincolarsi, ovvero che le
parti pattuiscano un ritrasferimento in capo al trasferente, o un trasferimento
ulteriore, una volta che il vincolo sia giunto a scadenza.
Stupore destano quindi alcuni provvedimenti di merito,
che, partendo dall’erroneo presupposto secondo cui l’art. 2645-ter c.c. sarebbe norma «sugli effetti» e
non «sugli atti», per cui essa disciplinerebbe «esclusivamente gli effetti,
complementari rispetto a quelli traslativi ed obbligatori, delle singole figure
negoziali a cui accede il vincolo di destinazione», sono arrivati alla non
condivisibile conclusione secondo cui la disposizione in esame non
consentirebbe la configurazione di un «negozio destinatorio puro», cioè di una
nuova figura negoziale atipica imperniata sulla causa destinatoria [134]. Ma la lettera della legge, che parla di «atti (…)
con cui» determinati beni «sono destinati (…) alla realizzazione di interessi
meritevoli di tutela» e non già di «atti con cui determinati beni sono
trasferiti per realizzare interessi meritevoli di tutela», costituisce la
migliore smentita di siffatta impostazione, mentre nessun argomento, come si
dimostrerà immediatamente [135], può essere tratto dal richiamo alla figura del
«conferente» [136].
Del tutto condivisibile appare pertanto la conclusione
secondo cui l’intento del legislatore è stato quello d’assegnare ai consociati
maggiori spazi di libertà sul versante della gestione del patrimonio
individuale tramite la dissociazione – variamente modulata – del godimento
dalla titolarità. Di lì l’idea di riconsiderare l’antico principio custodente i
postulanti d’assolutezza e esclusività della proprietà spalancando le porte dei
pubblici registri agli atti di destinazione. Attraverso l’accennato procedere
si è offerto un contributo all’appagamento del bisogno, diffusamente avvertito
nella società contemporanea, di sviluppare nuove forme d’appartenenza
«funzionalizzate» all’attuazione di scopi leciti e predeterminati [137].
Come condivisibilmente osservato in dottrina [138], in buona sostanza, attraverso la pubblicità del
vincolo reale è stata assegnata rilevanza esterna (Aussenwirkung) al vincolo di scopo (Zweckbindung), il cui contenuto non è circoscritto da un numero
chiuso o predefinito di destinazioni.
Nel senso qui indicato risulta orientata anche la
circolare n. 5/2006 della Direzione dell’Agenzia del Territorio, del 7 agosto
2006 [139], la quale rimarca, testualmente, che «Quanto ai
profili di merito, sembra opportuno ribadire preliminarmente la circostanza che
detti atti di destinazione producono soltanto effetti di tipo “vincolativo”.
Come già in parte accennato, infatti, i beni oggetto degli atti di
destinazione, pur venendo “segregati” rispetto alla restante parte del
patrimonio del “conferente” – al fine di garantire la realizzazione degli
interessi meritevoli di tutela cui è preordinato il vincolo – restano comunque
nella titolarità giuridica del “conferente” medesimo» [140].
Fermo restando, dunque, che l’effetto di tipo
vincolativo costituisce la quintessenza della figura qui in esame, molti interpreti
concordano nel ritenere che l’art. 2645-ter
c.c. possa anche prevedere un momento traslativo. Più esattamente, mentre
alcuni sembrano dare tale effetto quasi per scontato [141], altri cercano di fornire dimostrazioni al riguardo,
sovente appoggiandosi alle ambiguità della formulazione normativa.
Così si è affermato che siffatta conclusione trarrebbe
conferma dal fatto che il testo «considera normale l’eccedenza della durata del
vincolo rispetto alla vita del disponente, perché chiama “conferente” il disponente
e, infine, perché consente a terzi interessati di agire per l’attuazione della
finalità dell’ “atto di destinazione” anche dopo la morte del “conferente”».
Non solo. La legge, oltre a parlare di «conferente» e di «beni conferiti»,
attribuisce al conferente il potere di agire per l’adempimento dello scopo,
così facendo chiaramente intendere che, non potendosi immaginare che il
conferente convenga in giudizio se stesso, occorre necessariamente concludere
che la norma dà per scontato l’intervento di un terzo soggetto, cui il diritto
sul bene vincolato viene trasferito [142].
Cominciamo dal termine [143] «conferente» e da quello, ad esso riferito, «beni conferiti». Sotto il profilo strettamente etimologico andrà notato che il verbo confero deriva da cum-ferre: le espressioni in oggetto denotano dunque un atto traslativo (ferre) compiuto con altri soggetti. La conferma balza agli occhi sol che si ponga mente ai conferimenti del diritto societario (cfr. ad es. artt. 2253, 2343 ss., 2440 c.c.), o al conferimento per la costituzione di fondi di garanzia (art. 2548 c.c.), ma anche al conferimento negli ammassi (art. 837 c.c.) o al verbo «conferire» impiegato dalle norme (cfr. artt. 737, 739, 740, 751 c.c.) in tema di collazione (termine che deriva, a sua volta, proprio dal verbo conferre). La giurisprudenza impiega dal canto suo questa medesima terminologia per denotare l’inserimento, in comunione convenzionale tra coniugi, di uno o più beni che, in assenza di convenzione, sarebbero rimasti personali ex art. 179, lett. a), c.c. [144]
.
Come già sottolineato da scrive in altra sede [145], altrettanto sicuramente può però rimarcarsi che, nel
linguaggio corrente, il verbo «conferire» e il sostantivo «conferimento» possono
essere riferiti anche ad una semplice sottoposizione a vincolo, a prescindere
dal fatto che ciò presupponga il trasferimento della proprietà sul bene
vincolato, come dimostrato da una florida messe di pronunzie di legittimità,
che, senza alcuna difficoltà, parlano di «conferimento» (e/o di «beni
conferiti») in fondo patrimoniale [146], come del resto già
si diceva per la dote (che pure si sostanziava in un mero vincolo) [147] e – a quanto pare –
si comincia a dire pure per il trust
autodichiarato [148]. Quanto sopra
dimostra – anche senza supporre lapsus freudiani
del legislatore [149] – che l’impiego dei
termini in discorso non tradisce necessariamente l’intento di richiamare una
vicenda traslativa di diritti, ben potendo riferirsi anche alla sola intenzione
di denotare la costituzione di un vincolo [150].
Per quanto attiene poi al fatto che il legislatore mostrerebbe di considerare normale l’eccedenza della durata del vincolo rispetto alla vita del disponente [151], va detto che non sussistono difficoltà nel riconoscere che il vincolo si trasmetta agli eredi del titolare del diritto vincolato: ma ciò non ha nulla a che vedere con la natura traslativa o meno del fenomeno descritto dall’art. 2645-ter c.c. Del resto non si riesce a comprendere perché un ipotetico trustee all’italiana ex art. 2645-ter c.c. dovrebbe essere dotato di una longevità maggiore di quella del costituente. Proprio l’ipotesi (pure essa «fisiologica») della premorienza di tale soggetto rispetto al momento di cessazione del vincolo, ben lungi dal risolvere il problema adombrato, pone, anzi, il quesito della trasmissibilità agli eredi di quest’ultimo.
Venendo alla legittimazione attiva concessa al
conferente medesimo, si è asserito [152] che anche tale elemento confermerebbe gli effetti
traslativi (o anche traslativi) della vicenda descritta nell’art. 2645-ter c.c., poiché non avrebbe senso
legittimare il costituente ad agire contro se stesso. Ne deriverebbe una
necessaria scissione tra «conferente» ed un soggetto distinto, che finirebbe
con lo svolgere funzioni analoghe a quelle di un trustee. Ma, a parte il rilievo che, negli ordinamenti di common law, il settlor non ha generalmente azione contro il trustee, onde si porrebbe un’ulteriore distinzione tra la figura in
esame ed il trust [153], si può però obiettare, in primis, che il riferimento all’azione del costituente ben può
intendersi come riferita ad un’actio
mandati del costituente stesso contro il mandatario che il medesimo abbia
eventualmente incaricato di attuare lo scopo [154]. D’altra parte, come messo in luce in dottrina, «la
previsione di una sistematica legittimazione attiva del conferente potrebbe (…)
anche indicare che il conferente, essendo sempre altresì gestore del fondo
destinato, ha il potere di attivarsi per la realizzazione del fine di
destinazione contro qualunque soggetto terzo che tenti di impedirla» [155].
Concludendo sul punto, ben può concordarsi con chi
afferma che la norma non pare offrire elementi testuali decisivi in un senso o
nell’altro, poiché utilizza ora termini neutri al riguardo (beni «destinati»;
«vincolo di destinazione»; «fine di destinazione»), ora termini ambivalenti, in
quanto evocano l’immagine di un trasferimento di beni («conferente»; beni
«conferiti») ma vengono inseriti in un contesto in cui mai viene menzionata
l’esistenza di un soggetto gestore che sia diverso dal soggetto autore della
destinazione [156].
10. Segue. Vicende traslative disposte dall’autonomia
delle parti in relazione all’art. 2645-ter c.c.
La conclusione di cui sopra – secondo cui costituzione
di un vincolo e trasferimento del diritto sul bene già vincolato, o da
vincolarsi, sono vicende radicalmente distinte tra di loro, mentre l’art. 2645-ter c.c. sembra far riferimento alla
sola prima delle due, con conseguente differenziazione rispetto al trust – non risolve ancora di per sé
l’ulteriore quesito circa la possibilità che le parti autonomamente e in base
ai principi di autonomia privata prevedano un trasferimento in vista
dell’attuazione del vincolo medesimo. La questione rievoca gli accaniti dibattiti
sull’idoneità del consenso a riprodurre nel diritto italiano questo effetto,
tipicamente conosciuto dagli atti costitutivi di trust (almeno, di quelli non autodichiarati) nel diritto
anglosassone. Ad essa vi si è già fatto cenno [157] e in questa sede non si potrà far altro che rilevare
come l’esistenza di un articolo quale il 2645-ter c.c., ancorché non delineante di per sé una fattispecie
traslativa, può ora porsi quale idonea causa al trasferimento operato in
funzione del vincolo di destinazione meritevole di tutela e costituito con il
rispetto delle regole previste dalla disposizione.
In altre parole, mentre in precedenza il trasferimento
in funzione della costituzione di un vincolo da trust, non coperto dall’operatività della Convenzione de L’Aja, per
effetto del disposto del suo art. 4, non poteva ritenersi sorretto da idonea
causa, se non ricorrendo alla controversa tesi della causa fiduciae, può ora dirsi che la translatio dominii compiuta in funzione della costituzione di un
vincolo quale quello (malamente) descritto dall’art. 2645-ter c.c. sia giustificata, proprio perché diretta a porre in essere
un vincolo (questa volta espressamente) riconosciuto dalla legge. Trattasi
dunque di trasferimento causalizzato dall’art. 2645-ter c.c., in quanto posto in essere per raggiungere lo scopo
meritevole di tutela e perché attuato verso un soggetto incaricato, in base ad
un apposito mandato (e/o di un contratto d’opera, visto che il più delle volte
non si tratterà certo solo di porre in essere atti giuridici) di porre in
essere tutti i comportamenti ritenuti idonei al fine di ottenere il
conseguimento dello scopo sperato [158].
Ammettere che
l’autonomia delle parti possa attuare il trasferimento ad un mandatario
«attuatore del vincolo» ex art. 2645-ter c.c. [159] non significa però ancora che l’istituto qui in
oggetto possa sovrapporsi al trust,
specie se si pone mente all’estensione della separazione patrimoniale che il trust suole produrre nei sistemi di common law. Basti pensare, a titolo
d’esempio, che, una volta ammessa questa forma di trasferimento, non può certo
dirsi che rispetto a tale «attuatore» si producano gli effetti che l’art. 11,
secondo comma, lett. c), della Convenzione de L’Aja prevede in capo al trustee, vale a dire che (secondo quanto
previsto dalla maggior parte delle leggi straniere richiamate nell’atto
costitutivo del trust) «i beni del
trust non facciano parte del regime
matrimoniale o della successione
dei beni del trustee». Come rilevato in dottrina [160], si tratta di un complemento importantissimo del
regime di separazione patrimoniale, a cui consegue l’esclusione del bene vincolato dalla comunione legale dei beni, nonché
dalla successione per causa di morte del trustee, coerentemente con la natura di «proprietà nell’interesse
altrui» di quest’ultimo.
In diritto italiano un
tale effetto non è previsto dalla legge, cosicché – nel caso in cui il vincolo
di destinazione ex art. 2645‑ter
c.c. sia accompagnato dal trasferimento della proprietà, fiduciae
causa, ad un terzo –
si porrà il problema della sua eventuale inclusione nel regime di comunione
legale dei beni del fiduciario, nonché quello della trasmissione agli eredi del
fiduciario medesimo in caso di sua morte. Per quanto concerne il regime
patrimoniale, la dottrina ha sostenuto l’esclusione
della proprietà fiduciaria, ed in genere degli acquisti meramente «strumentali»
e «non definitivi» dalla comunione legale dei beni [161], ma si tratta di opinione
assolutamente non convincente, in assenza di
una disposizione espressa che tale esclusione sancisca, di fronte al principio
generale stabilito dall’art. 177, lett. a), c.c. D’altro canto la
giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare [162] l’inopponibilità dell’interposizione reale al coniuge
dell’interposto in comunione legale con quest’ultimo. Al coniuge è dunque stato
riconosciuto il diritto di esperire proficuamente l’azione di annullamento ex art. 184 c.c. di un preliminare volto
al trasferimento del bene dall’interposto all’interponente [163].
Ancora più grave è il
problema della successione per causa
di morte del fiduciario: in assenza di disposizioni di legge che tale
successione escludano, alla morte del proprietario del bene gli subentreranno i
suoi eredi, i quali saranno tenuti in quanto tali all’osservanza delle
disposizioni del mandato fiduciario, con possibili inconvenienti, connessi se
non altro all’inesistenza di un rapporto di fiducia tra il disponente ed i
suddetti eredi, e salvo il disposto dell’art. 1722, n. 4, c.c. [164].
11. Segue. Il trasferimento alla scadenza del
vincolo.
Strettamente collegato al momento traslativo è quello
dell’eventuale ritrasferimento del diritto dominicale – una volta trascorso il
periodo di durata, o che si sia verificata la morte del beneficiario – dall’
«attuatore» al costituente, o a un terzo, ovvero ancora dallo stesso
costituente (e contemporaneamente «attuatore», o dagli eredi di quest’ultimo)
ad un terzo. E’ noto che questo aspetto è uno dei profili salienti dei trusts, che sovente prevedono proprio la
duplice figura del beneficiario immediato e del beneficiario finale: il primo
dei quali è costituito dal soggetto che s’avvantaggia del vincolo di durata,
mentre il secondo (che può anche coincidere con il primo) è la persona cui
andrà trasferita la proprietà dei beni (già) vincolati [165].
Ancora una volta i sostenitori della ammissibilità del
trust interno non sembrano mostrare
dubbi sulla liceità di una siffatta clausola [166], al punto da spingersi ad ipotizzare la
trascrivibilità immediata, nel caso di mandato senza rappresentanza ad
acquistare, del «vincolo di
destinazione dei beni a beneficio del mandante. Senza, quindi, necessità
di attendere l’eventuale inadempimento del mandatario al fine di trascrivere la
domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di ritrasferimento», così
«assicurando al mandante una tutela reale almeno a partire dal momento in cui
l’acquisto è effettuato ad opera del mandatario» [167].
Ma, a parte il dubbio [168] che la novella si occupi veramente del mandato senza
rappresentanza e della causa fiduciae,
tutto quanto si può ricavare (e con una certa fatica!) dall’art. 2645-ter c.c. – come si è visto – è
l’ammissibilità di un trasferimento strumentale ad un vincolo e non certo
quella di un vincolo strumentale ad un trasferimento. Il vincolo di cui si
discute, infatti, per la sua intrinseca temporaneità non può esaurirsi se non
in un impiego del bene perché il suo reddito realizzi scopi meritevoli di
tutela denunziati nell’atto costitutivo: tale impiego non può dunque risolversi
un un’attribuzione del diritto dominicale (o di altri diritti reali) una volta
esaurita la funzione per cui il vincolo era stato creato.
Rimane pertanto evidenziata un’ulteriore ragione di
distinzione della fattispecie descritta dall’art. 2645-ter c.c. rispetto al trust,
nel quale, come già ricordato, il fenomeno del ritrasferimento al settlor o del trasferimento ad un
soggetto distinto dal trustee
costituisce un elemento naturale del trust
non autodichiarato [169]. Un elemento che peraltro viene sovente a porre, con
riguardo alla nostra legislazione, seri problemi di compatibilità con taluni
istituti del diritto successorio (e di ammissibilità stessa del trust, ai sensi dell’art. 15 della
Convenzione de L’Aja): la clausola di ritrasferimento, se legata alla morte del
trustee, potrebbe invero incorrere in
nullità per violazione del divieto dei patti successori e, se contenuta in una
disposizione mortis causa, per
violazione delle regole che vietano, in linea di massima, la creazione di un ordo successivus.
12. Ulteriori differenze tra la fattispecie descritta dall’art.
2645-ter
c.c. e il trust: beni oggetto del
vincolo e durata di quest’ultimo; beneficiari nascituri e in catena di
successione; trust e vincolo «di
scopo».
Altre notevoli differenze tra la fattispecie descritta
dall’art. 2645-ter c.c. e il trust attengono a svariati profili, che
verranno qui brevemente illustrati.
Il primo concerne l’individuazione dei beni che di
tali istituti possono costituire oggetto. Non si dubita, invero, che il trust consenta di creare vincoli di
destinazione non solo su beni immobili o mobili registrati, ma anche su
qualsiasi altro tipo di cosa [170]. Una certa incertezza sembra regnare sulle modalità
da seguire per pubblicizzare il vincolo di destinazione da trust su beni non registrati, suggerendosi, da parte di taluno, che
alla segregazione giuridica si accompagni anche la «segregazione fisica» [171], laddove da parte di altri si ritiene di far leva
sulle regole che governano l’opponibilità ai terzi nel processo esecutivo [172]: tra queste dovrebbe campeggiare il requisito
dell’atto avente data certa anteriore al pignoramento, secondo quanto disposto
dall’art. 2915 c.c. per i vincoli di indisponibilità su beni diversi da quelli
immobili o mobili registrati [173].
Analogamente si è tentato di estendere la sfera di
applicabilità dell’art. 2645-ter c.c.
anche a beni diversi da quelli indicati dalla norma, sottolineandosi come il
vincolo potrebbe avere ad oggetto pure beni mobili non registrati, purché
idonei ad una qualche forma di pubblicità [174]; a sostegno di questa conclusione si è aggiunto che
«una soluzione che non consentisse di estendere anche ai beni mobili la
ammissibilità dell’assoggettamento al vincolo di destinazione sarebbe
senz’altro da respingere in una realtà come quella odierna in cui la ricchezza
mobiliare svolge un ruolo da sicura protagonista nel traffico dei mercati» [175]. Di contro a queste argomentazioni si pone comunque
il fatto, innegabile, che il proposto ampliamento non potrebbe attuarsi certo
per via di interpretazione estensiva, richiedendo esso invece una vera e propria
estensione analogica, vietata dal carattere eccezionale dell’istituto, che si
pone in deroga all’art. 2740 c.c.
Ulteriore profilo di differenza rispetto al trust è costituito dalla limitazione del
vincolo a novanta anni o alla vita del beneficiario. La ratio di siffatta limitazione nell’art. 2645-ter c.c. va ricercata nell’esigenza – avvertita peraltro, ad
esempio, in tema di disciplina del diritto di usufrutto – di non «intaccare» in
profondità il diritto di proprietà svuotandolo, in concreto, del suo effettivo
contenuto con un vincolo di durata eccessivamente lunga, con grave nocumento
per le esigenze di mercato e della produttività, oltre che della circolazione
della ricchezza in genere [176]. Sembra d’altro canto esservi concordia di opinioni nel ritenere che, nel caso in cui
nell’atto di destinazione sia indicato un limite di durata superiore ai novanta
anni o non sia previsto alcun limite di durata, si assisterà al fenomeno della
sostituzione ex lege della clausola invalida con quella legale [177].
Esaminando ora la
questione sul versante del trust, va
ricordato che, sebbene svariati ordinamenti di common law pongano limiti temporali alla durata del vincolo [178], il fondamento e le ragioni attuali di tali limiti
sono contestati, e proprio per ciò in molte legislazioni straniere il limite di
durata è stato abolito, consentendosi così anche un trust perpetuo [179].
In qualche modo
collegato a questo argomento è l’interrogativo circa la possibilità di
prevedere come beneficiari persone
fisiche che non siano ancora nate nel momento in cui viene creato il vincolo di
destinazione. Qui, mentre per il trust non sembrano sussistere problemi [180], si è prospettata, in
relazione all’art. 2645-ter c.c. l’estensibilità analogica degli artt.
462 e 784 c.c., con la conseguenza che beneficiario potrebbe essere sia una
persona vivente al momento della costituzione del vincolo, sia il nascituro che
risulti concepito a quel momento, sia infine il figlio nascituro non concepito
di persona vivente a quel momento [181]. Ma la conclusione appare
inaccettabile, presupponendo l’estensione analogica di ben due principi
eccezionali: vale a dire, da un lato, quello che, nel campo delle successioni e
delle donazioni, attribuisce la capacità giuridica a soggetti non ancora nati,
in violazione della regola scolpita nell’art. 1 c.c. e, dall’altro, quello che,
mercé l’art. 2645-ter c.c., consente di creare vincoli di destinazione
in violazione dell’art. 2740 c.c.
Un ulteriore problema,
pure collegato all’individuazione dei beneficiari e che evidenzia una sostanziale
differenza della norma codicistica rispetto al trust, concerne l’ammissibilità della designazione di una pluralità
di beneficiari, pacificamente ammessa nell’istituto di common law, ove si concede che l’atto istitutivo contenga
l’indicazione di beneficiari in «catena di successione», in caso di morte dei
precedenti [182], peraltro in violazione del principio del divieto dei
patti successori (se contenuto in un atto inter
vivos) e della sostituzione fedecommissaria (se contenuto in un
testamento), in caso di applicabilità del diritto italiano ex art. 15 della Convenzione de L’Aja. Proprio queste
considerazioni, unitamente al dato letterale, consistente nel fatto che l’art.
2645-ter c.c. si esprime al
singolare, e a quello teleologico (desumibile dall’intento del legislatore di
evitare vincoli perpetui o comunque di durata eccessiva), inducono ad escludere
che la disciplina in tema di atti di destinazione consenta la designazione di
una pluralità di beneficiari in «catena di successione», in caso di morte dei
precedenti [183].
Restando in tema di beneficiari, potrà evocarsi il
quesito circa il «trust di scopo»,
vale a dire quel trust che non è
destinato ad avvantaggiare una o più persone identificate o identificabili: si
tratta, più precisamente, di quei trusts
rispetto ai quali non può esistere, per come il rapporto è configurato, alcun
soggetto legittimato ad agire per tutelare un interesse proprio [184]. L’esempio più classico è costituito nel diritto
inglese dal trust c.d. charitable: l’unico, tra l’altro, tra i trusts ordinari, ad essere esente dal
limite di durata [185]. Ebbene, se osserviamo la situazione sul versante
dell’art. 2645-ter c.c. dobbiamo
concludere che l’espresso riferimento normativo all’azione del soggetto
beneficiario lascia intendere che è necessaria la presenza di un beneficiario
determinato. Ciò impedisce la costituzione di un vincolo a destinazione
generica come, per esempio, la cura dei disabili o dei poveri, a meno che non
sia cura dello stesso conferente individuare un soggetto che si faccia portatore
di questi interessi, per es., la direttrice di un determinato istituto. In
concreto sembra quindi non ammissibile un «atto di destinazione di scopo», che
presenti caratteristiche analoghe ai «trusts
di scopo» [186].
13. Segue. Forma del trust e forma del vincolo ex art.
2645-ter c.c.
Anche in tema di forma
si registrano notevoli differenze tra i due istituti qui a raffronto. E’ noto
infatti che l’art. 3 della Convenzione de L’Aja dichiara riconoscibile un trust contenuto in un mero atto scritto,
senza imporre il ricorso ad un atto pubblico [187], mentre l’art. 2645-ter c.c. richiede, per l’appunto, proprio questa solennità. Potrà
ricordarsi che, al riguardo, si è da taluno prospettato che la forma pubblica
sia richiesta solo per la trascrizione dell’atto e non già per la sua
intrinseca validità [188]. Sembra peraltro intrinsecamente contraddittorio
affermare, da un lato, che si può creare il vincolo con scrittura privata,
mentre, dall’altro, il solo veicolo idoneo a rendere il vincolo opponibile ai
terzi sarebbe la forma pubblica. Se il vincolo potesse, invero, essere
validamente costituito per scrittura privata, il beneficiario potrebbe
ritenersi legittimato a proporre domanda giudiziale ex art. 2652, n. 3 c.c., così comunque ottenendo – mediante questo
barocco artificio – l’effetto costitutivo del vincolo.
Più convincente appare
dunque l’opinione di chi argomenta il carattere ad validitatem della forma scritta sulla base del raffronto con i
principi in tema di pubblicità del contratto preliminare. Si rileva così che
l’art. 2645-bis c.c. prevede, sì, la trascrizione del contratto
preliminare, ma, poiché tale contratto non pretende la forma dell’atto
pubblico, la norma si premura di precisare al primo comma che la trascrizione è
possibile a condizione che esso risulti da atto pubblico o da scrittura privata
con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Di contro, il
silenzio dell’art. 2645-ter c.c. sul punto non può significare che –
essendo questa norma anche norma sulla fattispecie – la previsione dell’atto
pubblico attiene alla forma dell’atto medesimo, onde inutile diventerebbe la
precisazione, contenuta viceversa all’art. 2645-bis, n. 1, c.c., circa
la forma necessaria per la trascrizione» [189].
La questione della
forma sollecita un approfondimento sul carattere necessariamente (o meno)
notarile dell’atto pubblico cui l’art. 2645-ter
c.c. fa richiamo. Il fatto che l’art. cit. non menzioni espressamente
l’intervento di un notaio consente di fare tesoro di quella evoluzione
dottrinale e giurisprudenziale, che, a partire dai lavori dello scrivente, ha
portato a riconoscere natura a tutti gli effetti di atto pubblico ex art. 2699 c.c. al verbale d’udienza
di separazione consensuale o di divorzio su domanda congiunta [190].
Dovrà dunque ritenersi
consentito, nell’ambito di un contratto della crisi coniugale, proporre al
cancelliere, sotto la direzione (art. 130 c.p.c.) del giudice (vuoi
monocratico, vuoi collegiale, a seconda dei casi) la creazione di un vincolo
nell’interesse di uno dei coniugi e/o dei figli (maggiorenni o minorenni che
siano), o anche, a seconda dei casi, di taluni soltanto di essi. Il tutto,
naturalmente, a condizione che il complesso delle condizioni concordate
soddisfi il canone irrinunciabile dell’interesse dei minori eventualmente
coinvolti e sul presupposto (non richiesto tanto dalla legge, quanto dalle
necessità pratiche e dalla complessità del sistema) che le parti stesse siano
sul punto adeguatamente assistite e consigliate. Il relativo verbale costituirà
dunque titolo idoneo per la trascrizione, anche ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. [191].
Da un punto di vista
più generale, anzi, non è escluso che – anche al di fuori dei procedimenti di
separazione e di divorzio – il cancelliere, sotto la direzione del giudice,
possa ricevere la costituzione di un vincolo di destinazione, purché siffatta
costituzione s’inquadri in una di quelle attività negoziali che il cancelliere
è espressamente chiamato dalla legge a documentare. Ci si intende qui riferire
in particolare al verbale di conciliazione giudiziale (e in proposito si noti
che l’art. 185 c.p.c. prevede, al capoverso, che in caso di conciliazione
giudiziale, si formi «processo verbale della
convenzione conclusa»; cfr. inoltre art. 88 disp. att. c.p.c.), il quale
ben potrà contenere un siffatto negozio, nel quadro di un più ampio accordo
transattivo, sempre a condizione, beninteso, che il vincolo risponda ad
interessi meritevoli di tutela, secondo quanto specificato a suo tempo [192]. Così, ad esempio, si potrà stabilire che l’attore
rinunzia agli atti processuali ed all’azione, in cambio dell’impegno del
convenuto a costituire su determinati immobili un vincolo di destinazione in
favore di una certa fondazione benefica o del figlio disabile dell’attore
medesimo.
Analoga facoltà deve
ritenersi concessa ai legali delle parti in forza delle disposizioni in tema di
c.d. «negoziazione assistita» ex art.
6, d.lg. 12 settembre 2014, n. 132, conv. in l. 10 novembre 2014, n. 162,
atteso che, ai sensi del terzo comma dell’art. cit., «L’accordo raggiunto a
seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti
giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di
separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di
scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di
divorzio». Ai fini della produzione degli effetti l’accordo dovrà essere
autorizzato, come previsto dalla norma in esame, dal procuratore della
Repubblica presso il tribunale competente. Una volta intervenuta
l’autorizzazione (cfr. l’inciso finale del capoverso dell’art. cit., a mente
del quale «All’accordo autorizzato si applica il comma 3») l’accordo stesso
sarà trascrivibile ai sensi dell’art. 2645-ter
c.c., dovendosi riconoscere entro tali limiti ai legali delle parti che lo
hanno recepito la funzione di pubblici ufficiali e, conseguentemente, all’atto
stesso, la natura di atto pubblico, ex
art. 2699 c.c.
Ad avviso dello
scrivente, poi, le conclusioni di cui sopra, circa la possibilità di creare un vincolo
di destinazione nel contesto di un contratto della crisi coniugale concluso in
modo alternativo rispetto alla «tradizionale» intesa omologata dal tribunale, o
trasfusa nel contesto di un altro provvedimento giurisdizionale, vanno estese
anche all’accordo raggiunto innanzi al sindaco, quale ufficiale dello stato
civile, ai sensi dell’art. 12 del d.l. citato. Ed invero – ferma restando
l’ovvia inammissibilità di tale tipo di accordo nel caso di presenza di figli
minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5
febbraio 1992, n. 104, ovvero economicamente non autosufficienti (cfr. il
capoverso dell’art. 12 cit.) – va detto che, nel momento in cui la norma in
esame stabilisce, testualmente, che «L’accordo non può contenere patti di
trasferimento patrimoniale», essa implicitamente ammette, in base ad un
semplice ragionamento a contrariis,
l’inseribilità di intese che, come quelle in oggetto, mirano non già ad operare
trasferimenti patrimoniali, bensì a creare situazioni di mero vincolo su beni
destinati a non mutare di titolare.
14. Vincoli
di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e fondo patrimoniale.
L’argomento discusso nella parte conclusiva del paragrafo
precedente, sull’idoneità del verbale di separazione consensuale o di divorzio
su domanda congiunta a costituire l’indispensabile supporto formale di un
vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c., induce inevitabilmente alla
trattazione del ruolo, di un certo interesse teorico e pratico, che l’istituto
in esame può svolgere nell’ambito dei rapporti endofamiliari.
Iniziando dunque dalla funzione che l’art. 2645-ter c.c. può svolgere nella fase
fisiologica del rapporto coniugale, v’è da chiedersi se il vincolo di
destinazione contemplato dalla norma in esame possa costituire una sorta di
succedaneo del fondo patrimoniale, il che comporta necessariamente un raffronto
tra i due istituti.
Preliminarmente non potrà tacersi che una parte, pur
se minoritaria, della dottrina, sembra ravvisare una ragione di inammissibilità
della costituzione del vincolo inter
coniuges nella non condivisibile tesi dell’esclusività (così potremmo
tentare di definire quest’idea) del fondo patrimoniale, ai fini della realizzazione
dell’intento dei coniugi di ottenere la creazione di un patrimonio separato
nell’interesse della famiglia [193].
Niente di più errato.
Nessuna disposizione del vigente ordinamento, né tanto
meno alcuno degli articoli dettati in materia di fondo patrimoniale, assegna
all’istituto ex artt. 167 ss. c.c. il
compito di vietare apporti di tipo diverso ad
onera matrimonii ferenda. Fermo restando l’ovvio divieto sancito dall’art.
166-bis c.c. e tenendo a mente il
principio di libertà negoziale che caratterizza (anche) quei particolari
contratti che vanno sotto il nome di convenzioni matrimoniali, ai coniugi (così
come a qualsiasi altro soggetto) deve ritenersi permesso realizzare qualsiasi
fine meritevole di tutela, ivi compreso quelli più strettamente attinenti alla
gestione del ménage familiare, mercé
lo strumento generale e di diritto comune contemplato dall’art. 2645-ter c.c. Seguendo, invero,
l’insostenibile tesi qui sopra esposta, si dovrebbe concludere nel senso che ad
un coniuge sarebbe vietata la donazione in favore dell’altro di metà del
proprio patrimonio, posto che, per raggiungere il medesimo fine, sussiste lo
strumento «giusfamiliare tipico» del conferimento in comunione convenzionale!
Tornando dunque al raffronto tra fondo patrimoniale e
vincolo di destinazione, va considerato che, per assolvere a funzioni analoghe
a quelle descritte dagli artt. 167 ss. c.c., il vincolo ex art. 2645-ter c.c.
dovrebbe essere creato, dai coniugi o da terzi, a beneficio della famiglia,
cioè a dire di quella determinata famiglia costituita dai coniugi e dai figli
nati e/o nascituri. Peraltro, come appare evidente dalla lettura dell’art.
2645-ter c.c., la destinazione va
necessariamente disposta a favore di uno o più soggetti determinati. Ad avviso
di chi scrive, la meritevolezza dell’interesse, per le ragioni solidaristiche
lumeggiate in altra sede [194], è di tale evidenza da consentire anche di collocare
la famiglia nel suo complesso tra uno di quegli «altri enti» cui fa richiamo la
norma citata, magari valorizzando quell’indirizzo che ormai unanimemente
considera tanto la famiglia legittima come quella di fatto quali «formazioni
sociali» riconosciute dall’art. 2 Cost.
E’ chiaro che la soluzione, la quale individua come
beneficiario del vincolo di destinazione la famiglia nel suo complesso – ed
analogo discorso vale, come si dirà, per la famiglia di fatto [195] – eviterebbe la necessità di un riferimento specifico
ai membri attuali del nucleo in considerazione, e, conseguentemente, il ricorso
a non agevolmente ipotizzabili atti di revoca e/o modifica, qualora il nucleo
medesimo avesse ad ampliarsi o ridursi.
Ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. sarà quindi ipotizzabile la costituzione di un vincolo
nell’interesse della famiglia più «forte» di quello da fondo patrimoniale, per
via dell’opponibilità nei confronti di tutti i creditori dei coniugi, anche a
prescindere dalla ricorrenza delle condizioni, per così dire, «soggettive»
descritte dall’art. 170 c.c., nonché per la diversa ripartizione dell’onus probandi
delle condizioni «oggettive» [196].
La formulazione di tale ultima norma, invero, impone,
per l’opponibilità del vincolo al creditore, non solo l’obiettiva estraneità
del credito ai bisogni della famiglia, ma anche la conoscenza, in capo al creditore,
di tale estraneità. Stato soggettivo, questo, il cui onere probatorio ricade
sul debitore [197]. Al contrario, l’art. 2645-ter c.c. si limita a stabilire che «I beni conferiti e i loro
frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di
destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto
dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo». Ciò
significa, in primo luogo, che sul debitore non graverà l’onere di fornire
alcuna prova (e sovente si tratta di vera e propria probatio diabolica) sullo stato soggettivo del creditore al momento
della nascita del rapporto obbligatorio e, in secondo luogo, che spetta al
creditore dimostrare che il debito è stato contratto «per la realizzazione del
fine di destinazione», posto che qui tale fatto viene descritto in positivo,
quale elemento costitutivo della fattispecie rappresentata dalla realizzazione in executivis della pretesa creditoria,
laddove l’art. 170 c.c. si riferisce ad un elemento impeditivo (descritto in
negativo: «l’esecuzione … non può avere luogo…»), che individua inevitabilmente
il debitore quale soggetto onerato [198].
Per queste ragioni non appaiono condivisibili le
affermazioni di chi sostiene che la norma in tema di destinazione è analoga
all’art. 170 c.c. [199]. Tesi, questa, che può accettarsi, a tutto concedere,
solo limitatamente ai crediti nascenti ex
delicto, in relazione ai quali, come esattamente rilevato in dottrina [200], l’obbligazione nasce indipendentemente dalla
conoscenza o conoscibilità del vincolo di destinazione, oltre che al di fuori
di qualsiasi scelta del creditore, mancando una situazione affidante che giustifichi la limitazione della
responsabilità [201]. Così, pur in assenza di una norma analoga all’art.
2447-quinquies, terzo comma, c.c., dovrà affermarsi che, come per il
fondo patrimoniale [202], così nella fattispecie in esame i beni vincolati
rispondono ove siano fonte di danni, perché, in entrambi i casi, è il vincolo
di destinazione, quale elemento distintivo, a fornire il criterio di
riferimento per stabilire le categorie di creditori interessate dalla vicenda
destinatoria [203].
Altro effetto è sicuramente quello – lasciando da
parte, ovviamente, l’ipotesi della revocatoria – dell’esclusione dei beni
vincolati dalla eventuale massa fallimentare, se non in relazione a quei debiti
contratti «per la realizzazione del fine di destinazione»: ciò in forza del
generale riferimento, nella norma in esame, ai «terzi», a prescindere dalla
sede nella quale (e dalle modalità con cui) essi facciano valere i loro
diritti, nonché avuto riguardo a quella già ricordata parte della disposizione
secondo la quale «I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati
solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto
di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per
debiti contratti per tale scopo». Tale effetto, derivando direttamente
dall’art. 2645-ter c.c., non
abbisogna di alcuna interpretazione analogica dell’art. 46, primo comma, n. 3,
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, così come modificato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n.
5, che, per il fondo patrimoniale, prevede l’inclusione dei relativi beni nella
massa fallimentare nel caso di ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 171
c.c., inapplicabile, come si è detto, al caso di specie. Inapplicabile appare
inoltre, per la sua specialità, l’art. 155, r.d. cit., che attribuisce al
curatore, nel caso di patrimonio
destinato ad uno specifico affare, ex
art. 2447-bis c.c., l’amministrazione
del patrimonio medesimo.
D’altro canto, per ciò che attiene agli eventuali atti
dispositivi, se il vincolo ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. può sembrare a tutta prima più «debole» di quello da fondo
patrimoniale, avuto riguardo alla non necessità di autorizzazione giudiziale
per gli atti ex art. 169 c.c. in
presenza di figli minorenni, è anche vero che la regola appena citata risulta,
quanto meno secondo l’opinione dominante, derogabile [204]. Inoltre, l’effettuazione della pubblicità rende
comunque il vincolo di destinazione ex
art. 2645-ter c.c. opponibile verso
ogni subacquirente, a differenza di quello che accade allorquando i coniugi si
siano riservati la facoltà di alienazione dei beni del fondo patrimoniale senza
autorizzazione (ovvero quando, in presenza della necessità di autorizzazione,
quest’ultima sia stata rilasciata), posto che, in tal caso, il terzo acquista
il bene certamente libero dal vincolo.
L’art. 2645-ter
c.c. permette poi anche la costituzione di un vincolo nell’interesse della
famiglia al di là delle ipotesi in cui l’istituto ex artt. 167 ss. c.c. è consentito: a parte la (in altra sede)
ricordata ammissibilità di un vincolo in favore di un ménage di fatto [205], il conferente potrà, anche in relazione ad una
famiglia fondata sul matrimonio, derogare a quanto stabilito dall’art. 171
c.c., stabilendo ad esempio che il vincolo non cessi (ed anzi, questa sarà la
regola, atteso il principio che autorizza una durata dello stesso per novanta
anni o per tutta la vita della persona fisica beneficiaria) in caso di annullamento,
scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, pur in assenza
di figli minori.
Non solo. Proprio per effetto della citata e
dimostrata «concorrenzialità» tra gli istituti in esame sarà possibile, per una
coppia di coniugi, non solo costituire un fondo patrimoniale su alcuni beni ed
un vincolo di destinazione su altri, ma anche stabilire, nell’atto costitutivo
di un fondo patrimoniale, che lo stesso si trasformerà in vincolo di
destinazione al sopravvenire di uno degli avvenimenti di cui sopra (crisi
coniugale, o comunque scioglimento del vincolo, sopravvenuta incapacità di uno
o più figli, ecc.), così realizzando una forma piuttosto singolare di ideale
contraltare rispetto alla possibilità [206], per un vincolo di destinazione tra conviventi, di
trasformarsi in fondo patrimoniale all’atto della celebrazione delle eventuali
nozze tra i partners.
15. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e convenzioni matrimoniali.
Una volta provata l’idoneità, quanto meno in astratto,
della destinazione di uno o più beni, ai sensi dell’art. 2645-ter c.c., a realizzare gli interessi di
un determinato nucleo familiare, tratteggiate le differenze tra questo tipo di
vincolo e quello creato dal fondo patrimoniale, occorre però inevitabilmente porsi
l’interrogativo sul rapporto tra il negozio istitutivo del vincolo e la
categoria delle convenzioni matrimoniali.
Sul punto sarà appena il caso di premettere che il
problema non avrebbe, con ogni probabilità, neppure ragione di porsi, qualora
si dovesse ritenere di limitare in via tassativa il novero delle convenzioni
matrimoniali a quelle regolate nel capo sesto del titolo sesto del libro primo
del codice. Ma è noto che la tesi ormai prevalente afferma il carattere atipico
delle convenzioni e dei relativi regimi patrimoniali [207]: se dunque all’autonomia negoziale è concesso di
liberamente dar vita a convenzioni matrimoniali disegnanti regimi diversi da
quelli previsti dagli artt. 159 ss. c.c., a maggior ragione sarà consentito ai
coniugi di avvalersi di strumenti negoziali tipici (ancorché non previsti da
norme tipicamente giusfamiliari) per conseguire il risultato di ottenere un
regime divergente da quelli legislativamente nominati come tali.
Non sembra che significative obiezioni possano
insorgere avuto riguardo al carattere essenzialmente unilaterale dell’atto
costitutivo del vincolo. La questione è già stata affrontata dallo scrivente
con riguardo al trust [208], rispetto al quale si era osservato che le più
approfondite trattazioni in materia evidenziano come – a parte la questione
della dinamica contrattuale esistente nel mondo dei trusts – anche per il diritto inglese dall’accettazione del trustee (ancorché eventualmente in forma
implicita) non possa prescindersi, prevedendo del resto l’equity procedure per sostituire un trustee che sia mancato e per nominare un altro trustee qualora quello indicato dal
disponente non abbia accettato [209]. Se ne era quindi concluso che, per
diritto italiano, un accordo che vedesse un coniuge (o un terzo) costituire
beni in trust, nominando trustee l’altro, andrebbe qualificato
alla stregua di un negozio bilaterale e dunque di una «convenzione
matrimoniale», se diretto alla creazione di un regime patrimoniale,
intendendosi per tale (come, del resto, già specificato sopra), non solo l’insieme delle regole che precostituiscono la
sorte di una serie indeterminata
d’acquisti (determinabili unicamente ex
post), compiuti dai coniugi, bensì anche l’insieme di quelle regole che
precostituiscono (e qui il fondo patrimoniale docet) l’eventuale separazione patrimoniale di una certa massa determinata di beni apportati ad onera matrimonii ferenda, oltre che i
principi per la loro amministrazione ed alienazione [210].
Allo stesso modo potrà dunque riconoscersi nella
creazione del vincolo ex art. 2645-ter c.c., alle condizioni predette, la
natura di convenzione matrimoniale, allorquando il negozio costitutivo
nell’interesse della famiglia assuma una struttura bilaterale o plurilaterale
(si pensi alla costituzione di un vincolo su beni di entrambi i coniugi e/o di
terzi, sulla base di un accordo tra tutti i soggetti coinvolti) e pertanto
possa qualificarsi come «convenzione», cioè accordo di due o più soggetti.
Probabilmente alle medesime conclusioni potrà pervenirsi anche in relazione ad
una manifestazione puramente unilaterale di volontà, posto che strettissima
connessione esistente tra i concetti di convenzione matrimoniale e di regime
patrimoniale della famiglia (di cui si dirà tra poco) può forse consentire di
ampliare la prima delle due nozioni, al punto da comprendere ogni tipo di atto
idoneo, secondo la legge, a dar vita ad un regime, a prescindere dalla
struttura unilaterale, bilaterale o plurilaterale dell’atto stesso.
L’ostacolo potrebbe essere, semmai, un
altro. Se, invero, dovesse seguirsi quell’opinione dottrinale secondo cui la
convenzione può dar vita solo ad una scelta tra un regime comunitario o un
regime separatista [211], con assoluta esclusione di qualsiasi altro tipo di
effetto, vuoi reale, vuoi obbligatorio, non potrebbe esservi spazio per una
convenzione matrimoniale che si limitasse invece a porre, nell’interesse della
famiglia, vincoli su beni determinati, che si trovino già nella titolarità
dell’uno e/o dell’altro dei coniugi o di terzi. Ed in effetti i sostenitori di
quella tesi si vedono, per coerenza, costretti a negare la natura di
convenzione matrimoniale del negozio inter
vivos costitutivo di fondo patrimoniale, così come la natura di regime,
propria dell’istituto ex artt. 167
ss. c.c. [212].
Questa tesi, però, appare chiaramente smentita non
solo – se ci si passa l’espressione – dalla «topografia» [213] e dalla «toponomastica» [214] legislative, ma anche dal fatto che, per i beni
sottoposti a tale vincolo, vigono regole (di «regime») difformi rispetto a
quelle valevoli per la comunione legale: il negozio che al fondo dà vita è
pertanto riconducibile alla definizione che del concetto di convenzione
matrimoniale risulta estrapolabile dall’art. 159 c.c., come di quel negozio
idoneo a dar luogo ad un regime patrimoniale della famiglia [215].
16. Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e regimi patrimoniali della famiglia.
Forma dell’atto costitutivo e norme applicabili.
Il fatto è che occorre intendersi sul concetto di regime:
se per tale si dovesse ritenere esclusivamente la regola che assegna alla
proprietà comune o personale dei coniugi i futuri ed eventuali acquisti, è
chiaro che la convenzione ex artt.
167 ss. c.c. non apparirebbe idonea all’uopo, posto che il vincolo del fondo –
e, oggi, quello ex art. 2645-ter c.c. – non può per definizione
costituirsi se non su beni predeterminati. Seguendo dunque il principio secondo
cui la convenzione matrimoniale è necessariamente fonte di un regime
patrimoniale della famiglia (arg. ex
art. 159 c.c.), se ne dovrebbe concludere che tale non potrebbe essere
l’accordo diretto a costituire un fondo patrimoniale. Ma la disciplina della
comunione legale dimostra che il concetto di «regime» non si esaurisce nella
regola del coacquisto; essa si risolve anche in una serie di precetti e di
vincoli che vengono ad influenzare la «vita» stessa dei beni nel corso
dell’unione matrimoniale: dall’amministrazione all’alienazione, al pignoramento
e, più in generale, alle vicende che coinvolgono terzi creditori e/o aventi
causa.
E puntuale giunge, anche sul punto, la conferma
dall’analisi storica, dalla quale si ricava che l’espressione régime (dal latino regere: governare, amministrare), utilizzata per secoli in Francia
per contrapporre il régime en communauté
(proprio delle regioni di droit coutumier)
a quello dotal (caratteristico delle
regioni di droit écrit), e dunque
nell’accezione, generalissima, di «regola», dopo la codificazione napoleonica
venne intesa dalla dottrina come «l’ensemble des règles qui régissent
l’association conjugale quant aux biens» [216]. Regole che, come icasticamente posto in evidenza
dalla dottrina contemporanea d’Oltralpe, attengono non solo ad una question de propriété, ma anche ad una question de pouvoirs [217].
Se così stanno le cose, è evidente che anche la
convenzione costitutiva del fondo patrimoniale, in quanto diretta a dettare
regole speciali di amministrazione, vincoli e «vita» di beni della famiglia, in
(parziale) deroga ai principi propri della comunione (o della separazione dei
beni), viene a costituire proprio uno di quei possibili negozi in deroga al
regime legale che l’art. 159 c.c. raggruppa sotto l’espressione «diversa
convenzione» [218].
Ne discende dunque ulteriormente che, per identiche
ragioni, alle stesse conclusioni deve pervenirsi con riguardo ad un vincolo
costituito ex art. 2645-ter c.c. nell’interesse della famiglia.
Riconosciuta la natura di convenzione
matrimoniale propria dell’atto costitutivo di un vincolo di destinazione in
favore di una determinata famiglia, dovrà ulteriormente concludersi che, ai
sensi dell’art. 48 l. notar. [219], l’atto richiederà, per la sua validità, non solo la
forma dell’atto pubblico, ma anche la presenza di due testimoni. Inoltre, al
negozio saranno applicabili le norme di cui agli artt. da 160 a 166-bis c.c. [220], il che non dovrebbe determinare insormontabili
problemi di coordinamento, se si eccettua la questione, indubbiamente seria,
della «concorrenza» tra il sistema pubblicitario (contraddittoriamente)
disciplinato dagli artt. 162, quarto comma, e 2647 c.c. [221], da un lato, e quello, incontrovertibilmente
imperniato sulla trascrizione con effetti di pubblicità dichiarativa, di cui
all’art. 2645-ter c.c., dall’altro.
17. La costituzione di un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. su beni in comunione legale o
convenzionale, ovvero su beni costituiti in fondo patrimoniale.
Le considerazioni sin qui svolte aprono
la via alla trattazione dei rapporti tra vincolo ex art. 2645-ter c.c. e
comunione legale.
Il primo rilievo da svolgere al riguardo
attiene al fatto che l’eventuale costituzione di vincoli di destinazione (vuoi
nell’interesse della famiglia, vuoi di terzi) su beni in comunione legale
costituisce sicuramente atto di straordinaria amministrazione, con conseguente
applicabilità degli artt. 180 ss. c.c. ed in particolare del rimedio
dell’annullabilità dell’atto, ex art.
184 c.c., se l’atto è compiuto senza il
necessario consenso del coniuge [222]. Qualora, invece, gli atti in oggetto dovessero
colpire la sola quota di pertinenza del disponente, essi sarebbero senz’altro
nulli, in quanto determinativi di una situazione di scioglimento della
comunione non prevista dall’art. 191 c.c. [223].
Si noti, poi, che, per quanto attiene
alla annullabilità comminata in relazione agli atti relativi ai beni immobili o
mobili registrati dall’art. 184, primo e secondo comma, c.c., il negozio su
beni della comunione posto in essere da uno solo dei coniugi in veste di
conferente e dall’altro in veste di beneficiario (o, per il trust, nelle
vesti, rispettivamente, di costituente e di
trustee) dovrebbe comunque ritenersi convalidato dall’accettazione espressa
o tacita di quest’ultimo [224].
Da quanto appena detto deriva, a contrariis, che la costituzione di un trust o di un vincolo ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. su beni della comunione da parte di entrambi i coniugi
nella veste di settlors o,
rispettivamente, di «conferenti», non dovrebbe dar luogo a problemi di
applicazione dell’art. 184 c.c.
Sul piano della validità del negozio potrebbe però
revocarsi in dubbio la stessa ammissibilità di un’operazione diretta a
vincolare beni della comunione legale per effetto di un atto posto in essere da
entrambi i coniugi, nella veste di settlors
o di «conferenti», alla luce della tesi – non condivisa dallo scrivente, ma
comunque affermata da una parte rilevante della dottrina – che contesta la
possibilità di estromettere singoli beni dalla comunione, durante la vigenza di
quest’ultima [225]. Il risultato dell’operazione sarebbe invero
costituito dall’assoggettamento di uno o più beni, destinati a rimanere di
proprietà comune dei coniugi, a regole diverse da quelle proprie della
comunione legale. L’argomento appare, ancora una volta, strettamente connesso
al tema dell’autonomia privata dei coniugi in comunione [226], nonché, più specificamente, alla vexata quaestio
dell’ammissibilità di un rifiuto preventivo del coacquisto ex lege [227], controversia rinfocolata – come pure si è già detto
– da quella decisione di legittimità del 2003 sul tema, che, andando di contrario
avviso rispetto ad un precedente del 1989, si è spinta ad affermare che, manente communione, «il coniuge non può
rinunciare alla comproprietà di singoli beni acquistati durante il matrimonio
(e non appartenenti alle categorie elencate nell’art. 179, co. 1°, c.c.) salvo
che sia previamente o contestualmente mutato, nelle debite forme di legge e nel
suo complesso, il regime patrimoniale della famiglia» [228].
E’ chiaro che, qualora questa non condivisibile teoria
dovesse venire trasposta alla materia qui in esame, dovrebbe ritenersi inibito
ai coniugi in comunione di vincolare uno o più beni del patrimonio comune, se
non previa stipula di convenzione di passaggio al regime di separazione dei
beni. E’ innegabile, infatti, che la sottoposizione di beni al vincolo da trust o da atto di destinazione, pur se
nell’interesse della famiglia e senza espropriare i coniugi della contitolarità
del diritto dominicale sui beni stessi, sottrarrebbe questi ultimi al regime
proprio della comunione legale (si pensi alle norme in tema di amministrazione
e di rapporti con i creditori, tanto comuni che personali dei coniugi), così
determinandone una forma di «estromissione» dalla massa soggetta all’applicazione
degli artt. 177 ss. c.c. [229].
In senso contrario alla tesi proposta da chi scrive si
è sottolineato [230] che il vincolo ex
art. 2645-ter c.c. non sottrarrebbe
il bene al regime della comunione legale, poiché il cespite «resta in comunione
salvo che contestualmente al vincolo esso non sia stato del pari trasferito, ed
il suo modificato regime di aggredibilità da parte dei creditori con la
conseguente prevalenza del disposto dell’art. 2645-ter, ultima parte, c.c. rispetto agli artt. 186-189 c.c. è effetto
stabilito dalla legge senza limitazione alcuna». Tale avviso, a ben vedere,
conferma proprio che il bene, pur rimanendo in contitolarità dei coniugi, non è
più soggetto alla comunione legale: quest’ultima, come più volte chiarito, non
è solo principio di determinazione della co-appartenenza, ma – in quanto regime
patrimoniale legale – è (anche) regola di amministrazione dei cespiti comuni e
di rapporti con in creditori [231]. E non appare contestabile che le proprio tali
basilari regole (quelle, cioè, dettate dagli artt. da 180 a 189 c.c.) risultino
fondamentalmente incompatibili con quelle derivanti dalla creazione del vincolo
da trust o ex art. 2645-ter c.c. [232].
Una soluzione del problema potrebbe essere rinvenuta
mercé il ricorso alla tesi, prospettata dallo scrivente, secondo la quale la
costituzione stessa di un trust
familiare, o di un vincolo di destinazione ex
art. 2645-ter c.c. nell’interesse
della famiglia, costituisce una convenzione matrimoniale atipica, dal momento
che, pur investendo uno o più beni determinati, essa influisce inevitabilmente
sul relativo «regime» di gestione, venendo a plasmarlo in modo difforme
rispetto a quello che esso ordinariamente sarebbe, nei rapporti con i terzi,
aventi causa o creditori che siano [233]. La conclusione, se prospetta un aggravamento delle
formalità da rispettarsi per la validità e per l’opponibilità del vincolo (si
pensi, a tacer d’altro, a quanto disposto dai vari commi dell’art. 162 c.c.),
esonera le parti dalla necessità di prevedere un passaggio «intermedio» al regime
di separazione dei beni: una «tappa», questa, non necessaria, ad avviso dello
scrivente, per le ragioni sopra evidenziate, ma indubbiamente richiesta
dall’opinione prevalente in giurisprudenza, come si è appena chiarito [234].
Sino ad ora si è detto della posizione del coniuge (o
dei coniugi) agente quale conferente, nel negozio di destinazione, o quale settlor nel trust. Vedendo le cose, invece, dal lato del trustee, ed ipotizzando che costui si trovi in regime di comunione,
va osservato come il problema dell’eventuale caduta in regime legale dei
diritti dal trustee acquisiti in
forza del trust possa apparire,
almeno a prima vista, per molti versi analogo a quello, già discusso, del
mandatario per l’acquisto [235]. In realtà la questione è affrontata e risolta dall’art.
11, secondo comma, lett. c), della Convenzione del L’Aja, a mente del quale,
«Qualora la legge applicabile al trust
lo richieda, o lo preveda, tale riconoscimento implicherà, in particolare: (…)
c) che i beni del trust non facciano
parte del regime matrimoniale o della successione dei beni del trustee». Come rilevato in dottrina [236], ci troviamo qui di fronte ad un complemento
importantissimo del regime di separazione patrimoniale, a cui consegue
l’esclusione del bene vincolato dalla comunione legale dei beni, nonché dalla
successione per causa di morte del trustee,
coerentemente con la natura di «proprietà nell’interesse altrui» di
quest’ultimo.
La soluzione a suo tempo prospettata da chi scrive per
gli acquisti del mandatario sarà invece senz’altro valevole nel caso del
vincolo ex art. 2645-ter c.c., qualora il conferente intenda
operare un trasferimento della titolarità del bene vincolato ad un mandatario
«attuatore del vincolo» [237]. In diritto italiano un tale effetto non è previsto
dalla legge, cosicché – nel caso in cui il vincolo di destinazione sia
accompagnato dal trasferimento della proprietà, fiduciae causa, ad un terzo – si porrà il problema della sua
eventuale inclusione nel regime di comunione legale dei beni del fiduciario,
nonché quello della trasmissione agli eredi del fiduciario medesimo in caso di
sua morte.
Per quanto concerne il regime patrimoniale, la
dottrina ha sostenuto l’esclusione della proprietà fiduciaria, ed in genere
degli acquisti meramente «strumentali» e «non definitivi» dalla comunione
legale dei beni [238], ma si tratta di opinione non convincente, in assenza
di una disposizione espressa che tale esclusione sancisca, di fronte al
principio generale stabilito dall’art. 177, lett. a), c.c. D’altro canto la
giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare [239] l’inopponibilità dell’interposizione reale al coniuge
dell’interposto in comunione legale con quest’ultimo. Al coniuge è dunque stato
riconosciuto il diritto di esperire proficuamente l’azione di annullamento ex art. 184 c.c. di un preliminare volto
al trasferimento del bene dall’interposto all’interponente [240].
La costituzione di un vincolo ex art. 2645-ter c.c. su
beni già costituiti in fondo patrimoniale presuppone la previa estinzione del
vincolo ex artt. 167 ss. c.c.
L’operazione necessita dell’autorizzazione ex
art. 169 c.c., qualora essa non sia stata esclusa dal titolo costitutivo [241]. Al riguardo potrà soccorrere la giurisprudenza in
tema di trust, con particolare
riguardo a quella decisione di merito [242] che ha respinto un ricorso tendente a consentire lo
scioglimento anticipato del fondo patrimoniale affinché i beni in esso inclusi
fossero vincolati nel trust. La
decisione poggia sul rilievo secondo cui, nonostante l’analogia di effetti tra trust e fondo patrimoniale, al potere di
disposizione del trustee non veniva
posto alcun limite né, conseguentemente, onere di richiedere autorizzazione
giudiziale (come invece richiesto, nel caso di specie, ai sensi dell’art. 169
c.c. nel caso del fondo patrimoniale). E’ evidente che, in una situazione
analoga, anche la sottoposizione a vincolo di destinazione ex art. 2645-ter
c.c. di beni oggetto di fondo patrimoniale (in caso il titolo costitutivo non
escludesse la necessità dell’autorizzazione ex
art. 169 c.c.) priverebbe il vincolo delle garanzie proprie del regime
autorizzativo previsto dalla norma in esame e pertanto non potrebbe essere
autorizzata.
18. Vincoli di destinazione e crisi coniugale: i
rapporti con il trust nella crisi della famiglia.
Passando dalla fase
fisiologica a quella patologica del rapporto matrimoniale vi è ora da prendere
in considerazione il ruolo che la norma sui vincoli di destinazione potrebbe
giocare nella crisi coniugale. Lo spunto appare avvalorato dalla considerazione
dei rilievi critici che lo scrivente ha avuto modo di rivolgere all’utilizzo
del trust in questo delicato settore [243], secondo quanto invece suggerito da diverse voci.
Così, per esempio, non è mancato chi ha affermato che il trust potrebbe costituire uno strumento di estrema importanza allo
scopo di intervenire efficacemente nella genesi della crisi della coppia, e
quindi, nel momento antecedente l’inizio del procedimento di separazione o
divorzio o in un secondo momento, successivo alla conclusione di questi
procedimenti, una volta che la volontà delle parti (in sede consensuale) o la
determinazione del giudice (in sede contenziosa) abbiano imposto un contributo
di mantenimento o un assegno a carico di un coniuge [244].
L’effetto segregativo
proprio del trust consentirebbe di
opporre il vincolo ai creditori del disponente, così garantendo il pagamento
delle prestazioni periodiche in favore del coniuge e/o alla prole anche di
contro a possibili azioni esecutive di terzi, fatte salve, beninteso, eventuali
domande revocatorie [245]. A ciò s’aggiunga che il trasferimento del bene al trustee, nel caso di immobili, titoli
azionari o altri beni soggetti a forme di pubblicità, comporta formalità che da
sole impediscono atti di disposizione illegittimi: chiunque sia il trustee (il coniuge obbligato o un
terzo) sarebbero pertanto prevenuti atti di disposizione in danno degli
interessi protetti [246].
Ove si dovesse
ammettere il trust interno [247] e, in ogni caso, per il trust creato in
situazioni caratterizzate dalla obiettiva presenza di un elemento di
estraneità, siffatto vincolo potrebbe essere costituito nell’ambito dello
stesso negozio di separazione consensuale, di separazione di fatto, o di
divorzio su domanda congiunta: le parti verrebbero così a porre in essere lo
strumento attraverso il quale determinare le modalità di adempimento degli
obblighi ex artt. 155 ss., 156 c.c.,
5 e 6 l. div. D’altro canto e sempre, ovviamente, sulla base di un accordo inter partes, un trust potrebbe rappresentare il mezzo per garantire l’esecuzione di
obblighi di mantenimento e di assegni già determinati, precedentemente, dalle
parti medesime (in sede, per l’appunto, di separazione consensuale omologata,
di separazione di fatto, ovvero di divorzio su domanda congiunta, ovvero ancora
in sede di crisi coniugale contenziosa). Per questa specifica ipotesi andrà
tenuto presente che, secondo l’opinione ormai prevalente in dottrina e
giurisprudenza [248], le condizioni della separazione e del divorzio ben
possono essere mutate dai coniugi senza dover ricorrere ad alcun tipo
particolare di procedura giudiziale [249].
Si è poi anche
rimarcato che «l’istituzione di un trust
avrebbe una valenza estremamente garantista relativamente ai diritti alimentari
o di mantenimento vantati da coniuge e prole, in quanto consentirebbe di
isolare le risorse del coniuge obbligato al mantenimento, o agli alimenti,
affinché non possano essere distolte dall’adempimento di queste obbligazioni».
Il primo positivo effetto sarebbe infatti quello di evitare qualsiasi conflitto
fra i creditori del coniuge obbligato e i creditori della prestazione
alimentare, posto che questi ultimi sarebbero pienamente garantiti [250]. Siffatte indicazioni sono già state recepite nella
prassi, che annovera verbali di separazione omologati, contenenti la previsione
di trusts [251].
Ora, se non vi è
dubbio che il trust – sempre,
ovviamente, a condizione che lo si ritenga ammissibile nella versione «interna»
e salvo l’eventuale esperimento dei rimedi revocatori – consente il vantaggio
di una separazione patrimoniale, in grado di tutelare adeguatamente i creditori
delle prestazioni postmatrimoniali nei confronti dei possibili creditori
dell’obbligato, altrettanto condivisibile non appare l’affermazione secondo la
quale l’ordinamento civilistico italiano non offrirebbe alternative
all’istituto di matrice anglosassone per il raggiungimento di siffatta finalità
di garanzia del coniuge separato e della relativa prole.
19. I vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. nel sistema delle garanzie delle
prestazioni postmatrimoniali.
Si è avuto modo di evidenziare in altre sedi [252] quanto possa dirsi articolato il complesso sistema di
garanzie apprestato dall’ordinamento per l’adempimento degli obblighi derivanti
dalla separazione o dal divorzio: basti pensare all’obbligo di prestare idonea
garanzia reale o personale, all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi
dell’articolo 2818 c.c., al sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato,
all’ordine ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di
danaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli
aventi diritto (ex artt. 156, quarto, quinto e sesto comma, c.c., 8,
primo, secondo e settimo comma, l. div.), alla distrazione dei redditi ed
all’azione diretta esecutiva ex art. 8, terzo, quarto, quinto e sesto
comma, l. div., al decreto ex art.
148, secondo, terzo, quarto e quinto comma, c.c., ai rimedi (malamente)
apprestati dall’art. 709-ter c.p.c.
In proposito, va detto che il rilievo secondo il quale i limiti del sistema di
garanzia così delineato emergerebbero proprio nelle ipotesi in cui il soggetto
debitore non sia, invece, intestatario di beni, non vale ad attribuire alcuna
specifica ragione di preferenza all’istituto del trust [253]: in mancanza, invero, di una titolarità di beni in capo
al coniuge obbligato, non sarebbe evidentemente possibile neppure l’istituzione
di un trust o il conferimento di beni
da parte di quest’ultimo [254].
A ciò s’aggiunga che nulla esclude che, in considerazione del
carattere negoziale (e, per quanto attiene agli accordi di carattere
patrimoniale, contrattuale), delle intese in discorso, possano trovare
applicazione le garanzie e gli strumenti di induzione all’adempimento previsti
in generale dal codice: dalla fideiussione, all’ipoteca volontaria (si pensi alle
intese concluse nell’ambito di una separazione di fatto, ove l’art. 2818 c.c.
non può, evidentemente, trovare applicazione), alla clausola penale, alla
caparra confirmatoria [255].
Se, dunque, il vero
problema è quello di poter vincolare un determinato patrimonio in vista della
soddisfazione degli obblighi oggetto del contratto della crisi coniugale, va
preso atto che ai «tradizionali» rimedi cui si è appena accennato si è aggiunto
lo strumento delineato dall’art. 2645-ter
c.c., di sicura applicazione (anche nelle situazioni non caratterizzate dalla
presenza di un elemento di internazionalità) ai casi di specie. L’intento di
garantire l’adempimento delle obbligazioni assunte nella predetta sede, o di
sopperire alle necessità abitative del residuo nucleo familiare, appare infatti
senza dubbio meritevole di tutela [256].
A differenza di quanto accade con il trust [257], non sarà però possibile, ad avviso dello scrivente,
prevedere ex art. 2645-ter c.c. un trasferimento del bene al
beneficiario finale. Ciò che del resto, anche rispetto al trust [258] viene sovente a porre, con riguardo alla nostra
legislazione, seri problemi di compatibilità con taluni istituti del diritto
successorio (e di ammissibilità stessa del trust,
ai sensi dell’art. 15 della Convenzione de L’Aja): la clausola di
ritrasferimento, se legata alla morte del trustee,
potrebbe invero incorrere in nullità per violazione del divieto dei patti
successori e, se contenuta in una disposizione mortis causa, per violazione del principio che fa divieto di creare
nelle successioni un ordo successivus.
20. La forma di costituzione dei vincoli ex art. 2645-ter c.c. nella crisi coniugale. Il leading
case di merito in materia. Il trattamento
fiscale dell’atto.
Sarà opportuno
rammentare ora che, come già posto in evidenza trattando delle differenze tra
vincolo di destinazione e trust [259], l’art. 2645-ter
c.c. prevede che il vincolo di destinazione sia costituito per atto pubblico,
senza peraltro specificare che debba necessariamente trattarsi di atto
notarile. Il fatto che l’art. cit. non menzioni espressamente l’intervento di
un notaio consente di fare tesoro di quella evoluzione dottrinale e
giurisprudenziale, che, a partire dai lavori dello scrivente, ha portato a
riconoscere natura a tutti gli effetti di atto pubblico ex art. 2699 c.c. al verbale d’udienza di separazione consensuale o
di divorzio su domanda congiunta [260].
Dovrà dunque ritenersi
consentito, nell’ambito di un contratto della crisi coniugale (e dunque a patto
che le relative intese possano intendersi alla stregua di condizioni della
separazione o del divorzio), proporre al cancelliere, sotto la direzione (art.
130 c.p.c.) del giudice (vuoi monocratico, vuoi collegiale, a seconda dei
casi), la creazione di un vincolo nell’interesse di uno dei coniugi e/o dei figli
(maggiorenni o minorenni che siano), o anche, a seconda dei casi, di taluni
soltanto di essi. Il tutto, naturalmente, a condizione che il complesso delle
condizioni concordate soddisfi il canone irrinunciabile dell’interesse dei
minori eventualmente coinvolti e sul presupposto (non richiesto tanto dalla
legge, quanto dalle necessità pratiche e dalla complessità del sistema) che le
parti stesse siano sul punto adeguatamente assistite e consigliate. Il relativo
verbale costituirà dunque titolo idoneo per la trascrizione, anche ai sensi
dell’art. 2645-ter c.c.
Da un punto di vista
più generale, anzi, non è escluso che – anche al di fuori dei procedimenti di
separazione e di divorzio – il cancelliere, sotto la direzione del giudice,
possa ricevere la costituzione di un vincolo di destinazione, purché siffatta
costituzione s’inquadri in una di quelle attività negoziali che il cancelliere
è espressamente chiamato dalla legge a documentare. Ci si intende qui riferire
in particolare al verbale di conciliazione giudiziale (e in proposito si noti
che l’art. 185 c.p.c. prevede, al capoverso, che in caso di conciliazione
giudiziale, si formi «processo verbale della
convenzione conclusa»; cfr. inoltre art. 88 disp. att. c.p.c.), il quale
ben potrà contenere un siffatto negozio, nel quadro di un più ampio accordo
transattivo, sempre a condizione, beninteso, che il vincolo risponda ad
interessi meritevoli di tutela, secondo quanto specificato altrove [261]. Così, ad esempio, si potrà stabilire che l’attore
rinunzia agli atti processuali ed all’azione, in cambio dell’impegno del
convenuto a costituire su determinati immobili un vincolo di destinazione in
favore di una certa fondazione benefica o del figlio disabile dell’attore
medesimo.
Andrà notato che le
indicazioni di cui sopra, già fornite dallo scrivente nel 2006 [262], oltre ad avere riscosso approvazione in dottrina [263] sono state seguite da una decisione di merito
dell’anno successivo, che costituisce il leading
case in materia.
La prima applicazione
giurisprudenziale di cui si abbia notizia dell’art. 2645-ter c.c. alla crisi coniugale è, invero, costituita da una
decisione resa nel 2007 da un tribunale emiliano [264]. Il giudice era qui stato chiamato a decidere su di
un’istanza ex art. 710 c.p.c. di
modifica delle condizioni di una separazione consensuale. In particolare i
coniugi volevano sostituire il versamento d’un assegno mensile da parte del
marito, pari ad € 400,00, per il contributo al mantenimento dei figli, con il
trasferimento della proprietà per intero o per quota di unità immobiliari, non
già ai figli, ma alla moglie, ancorché a titolo di contributo al mantenimento
dei figli. La soluzione, suggerita dallo stesso collegio, ha previsto, al fine
di salvaguardare l’interesse della prole, l’inserimento nell’intesa traslativa
di una clausola aggiuntiva rispetto
a quella che prevedeva i trasferimenti immobiliari a vantaggio della moglie,
nei termini seguenti: «7) ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-ter c.c. la sig.ra (B) si obbliga ad
impiegare i frutti degli immobili indicati alla condizione n. 1 punti a), b),
e) e d) per il pagamento del mutuo ipotecario iscritto dal Gruppo (K) a carico
degli immobili indicati alla condizione n. 1, punti a), b), c) e, una volta
estinto detto mutuo, ad impiegare i frutti degli immobili per il mantenimento
della prole sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica del più
giovane dei figli; 8) ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-ter cc. la sig.ra (B) si impegna.
altresì, a non alienare gli immobili indicati alla condizione n. 1, punti a),
b), c) e d) sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica del più
giovane dei figli».
Sulla base dei
predetti accordi il tribunale ha reso una decisione con cui ha modificato le
previe intese di separazione consensuale, nei termini sopra descritti.
Ora, a prescindere
dalla circostanza che il tribunale, riconosciuta la rispondenza della clausola
all’interesse della prole, avrebbe dovuto, secondo la costante giurisprudenza
di legittimità, dichiarare non luogo a
provvedere sull’istanza, dal momento che è ormai pacificamente assodato che
le intese modificative delle condizioni della separazione, anche per ciò che
attiene alla gestione del rapporto con i figli minori, sono sottratte al
procedimento ex art. 710 c.p.c. e non
necessitano di alcuna forma di omologazione, è interessante soffermarsi
brevemente sulle distinte prese di posizione della decisione relativamente a
varie questioni connesse all’applicazione dell’art. 2645-ter c.c.
In particolare, sulla
forma, il giudice ha riconosciuto che «Nel caso di specie, il verbale
dell’udienza del 22/3/2007 costituisce atto pubblico ai sensi e per gli effetti
dell’art. 2699 cod. civ. e (previa omologazione dell’accordo) è titolo idoneo
alla trascrizione nei Registri Immobiliari, a norma dell’art. 2657 cod. civ.,
del negozio di trasferimento di diritti reali immobiliari ivi contenuto (…). È
soddisfatto, pertanto, il requisito formale».
In punto meritevolezza
degli interessi perseguiti il tribunale ha poi motivato rilevando come la
giurisprudenza in tema di trasferimenti immobiliari in favore della prole nella
crisi coniugale attenga ad ipotesi di atti traslativi verso i figli, «mentre
nel caso de quo il trasferimento
avviene tra i coniugi, seppure con vincolo di destinazione a favore della prole
e a titolo di mantenimento di questa: deve comunque essere riconosciuta la
meritevolezza degli interessi perseguiti». Più oltre, sullo stesso tema, il
tribunale pone l’accento sulla funzione di garanzia del vincolo rispetto agli
atti di esecuzione (in confronto rispetto al fondo patrimoniale), nei termini
seguenti: «Infine, è prevista una piena ed efficace garanzia sui beni rispetto
agli atti di esecuzione, addirittura superiore alla previsione di
impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale: infatti mentre
l’impignorabilità per debiti contratti per scopi estranei o differenti rispetto
a quelli individuati nell’atto di destinazione dei beni (e dei relativi frutti)
conferiti ai sensi dell’art. 2645-ter
cod. civ. appare assoluta, l’art. 170 cod. civ. assoggetta ad esecuzione i beni
del fondo patrimoniale anche per debiti contratti per scopi estranei ai bisogni
della famiglia, a condizione che il creditore non sia a conoscenza di tale
ultima circostanza.
Più specificamente, si
osserva che il primo vincolo impresso sui beni trasferiti alla (B) riguarda i
loro frutti (che, a norma dell’ari 2645-ter
cod. civ., “possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di
destinazione”) e prevede che gli stessi siano destinati – dopo l’estinzione del
mutuo che grava sugli immobili – al mantenimento della prole sino al
raggiungimento dell’autosufficienza economica. Si tratta, con ogni evidenza, di
una pattuizione favorevole per la prole: dopo la liberazione del bene dai
gravami relativi al mutuo stipulato dai coniugi acquirenti (e proprio a questo
fine devono in primis essere
destinati i frutti), è assicurata ai figli – sino al raggiungimento della loro
autosufficienza economica – una fonte sicura di reddito (peraltro non
aggredibile da eventuali creditori della (B».
A commento della
decisione può dunque dirsi che, in buona sostanza, l’art. 2645-ter c.c. consente una distinta categoria
di trasferimenti: quelli in favore del coniuge o ex tale (cioè dell’altro
genitore: e dunque il principio ben sembra trasferibile alla materia della
crisi della famiglia di fatto), ma nell’interesse della prole, quale contributo
al mantenimento della prole stessa (minorenne o maggiorenne ma non
autosufficiente), laddove sino ad ora la giurisprudenza si era occupata di atti
traslativi in funzione di contributo al mantenimento della prole, ma disposti
in favore della prole medesima [265].
Potrà ancora
aggiungersi sul tema che, due anni dopo, un altro tribunale ha ritenuto di
condividere la stessa ratio decidendi
del precedente appena citato, stabilendo che «In sede di separazione personale,
è valido l’accordo con cui un coniuge si impegna ad apporre un vincolo di
destinazione, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-ter c.c., sugli immobili di sua
esclusiva proprietà, obbligandosi a non cedere l’immobile a terzi per tutta la
durata del vincolo. La costituzione del vincolo sugli immobili e la natura
della finalità perseguita impongono di per sé sole il divieto di alienazione ex art. 2645-ter c.c.» [266].
Come già messo in
evidenza in precedenza (v. supra, §
13, in fine), vincoli di destinazione
ex art. 2645-ter c.c. tra coniugi in crisi potranno essere creati anche nel
contesto di un procedimento di c.d. «negoziazione assisistita», o, in alternativa,
essere anche inseriti nell’accordo di separazione o divorzio ricevuto dal
sindaco quale ufficiale dello stato civile.
Sotto il profilo
fiscale vi è, infine, da ribadire che le attribuzioni patrimoniali operate nel
quadro di un ipotetico trust postconiugale
(ovviamente, sempre a condizione che si ritenga ammissibile – come invece qui
si nega – il trust interno)
ricadrebbero comunque [267], ove «relative» ad un procedimento di separazione o
divorzio, sotto il disposto dell’art. 19, l. 6 marzo 1987, n. 74, esteso, come
noto dalla Corte costituzionale alla separazione legale [268]. Identiche argomentazioni valgono sicuramente anche
per gli atti costitutivi di vincoli ex
art. 2645-ter c.c., nonché per gli
eventuali trasferimenti ad essi collegati, se e nella misura in cui questi si
ritengano ammissibili [269]. Il tutto, naturalmente, a patto che tali negozi
possano dirsi parte delle condizioni della separazione consensuale (o
«consensualizzata»), ovvero del divorzio su domanda congiunta (o su conclusioni
congiunte delle parti) e, come tali, per l’appunto, «relativi» a siffatte
procedure [270].
Avviandoci alla conclusione
della trattazione degli aspetti problematici del vincolo di destinazione nei
rapporti endofamiliari non possiamo fare a meno di occuparci del ruolo che
l’art. 2645-ter c.c. può svolgere
nell’ambito della famiglia di fatto.
Sul punto va subito detto che
numerosi commentatori non esitano a ravvisare nella disposizione la possibilità
di creare vincoli in favore della convivenza more uxorio: da disposizioni sulla casa familiare, alla protezione
del patrimonio destinato ad alimentare le risorse del ménage, alla creazione di un vero e proprio fondo patrimoniale tra
conviventi [271], non
essendo discutibile la meritevolezza di tutela degli scopi perseguiti [272].
Sul piano pratico non appare
del resto condivisibile il rilievo
espresso da una parte della dottrina [273], ad
avviso della quale alcuni notai si sarebbero addirittura «rifiutati di predisporre l’atto
in parola a garanzia dell’adempimento del mantenimento dei figli in seno a una
famiglia di fatto, ritenendo applicabile la disciplina de qua ai soli accordi tra coniugi uniti in matrimonio e i loro figli».
Invero, a chi scrive risulta l’esatto opposto, avendo, anzi ricevuto da diversi
notai proprio il «canovaccio» di possibili intese del genere [274]. Sia inoltre consentito
aggiungere che l’istituto in esame è già stato utilizzato, nella prassi
notarile, non solo per prevedere forme di garanzia alla contribuzione verso i
figli della coppia, ma anche, tutto al contrario, per disporre una forma di
«assicurazione materiale» della contribuzione da parte del figlio della coppia
di fatto alle esigenze dei genitori [275].
Nessuna preoccupazione d’ordine
costituzionale sembra del resto sorgere dalla diversa disciplina della norma in
discorso rispetto a quella delle norme che governano il fondo patrimoniale [276]: la
diversità di trattamento è legata alla diversità degli istituti, ma nulla
esclude che anche nella famiglia fondata sul matrimonio si possa fare ricorso
ad un vincolo di destinazione ex art.
2645-ter c.c., come si è tentato poco
sopra di dimostrare [277].
Anzi, come appare documentato
da alcuni atti costitutivi del vincolo in oggetto tra conviventi pervenuti allo
scrivente, nulla sembra escludere che un’apposita clausola dell’atto stesso
colleghi all’eventuale celebrazione del matrimonio inter partes l’automatica trasformazione del vincolo in fondo
patrimoniale [278]. È
noto che le convenzioni matrimoniali [279] ben
possono essere stipulate in data precedente alle nozze e, del resto, la
condizione legale di celebrazione delle nozze impedisce alle stesse di produrre
effetti in epoca anteriore; il riferimento sarebbe qui comunque ad un
matrimonio ben determinato (quello dei conviventi, per l’appunto), per cui
neppure sotto questo profilo potrebbero sussistere problemi di validità. Il
tutto, ovviamente, a condizione che l’atto in questione soddisfi i requisiti di
forma (art. 162 c.c., 48 l. notar.) e sostanza (artt. 167 ss. c.c.) previsti
per il fondo e, più in generale, per la validità delle convenzioni matrimoniali
(artt. 160 ss. c.c.).
Nei limiti e con le precisazioni di cui sopra, va dunque
ribadito che il vincolo di cui all’art. 2645-ter c.c. potrà essere costituito in favore della famiglia di fatto,
ad instar di quanto accade per la
famiglia fondata sul matrimonio per il fondo patrimoniale [280].
Ciò detto, si stagliano però nette diverse differenze
rispetto all’istituto di cui agli artt. 167 ss. c.c.
Cominciando dalla ragione principale per la quale il
fondo viene costituito [281], vale a dire la costituzione di
una situazione d’insaisissabilité [282] di uno o più beni, va subito
ricordato che il vincolo ex art.
2645-ter c.c. è più «forte» [283] di quello da fondo patrimoniale,
per via dell’opponibilità nei confronti di tutti i creditori dei coniugi, anche
a prescindere dalla ricorrenza delle condizioni, per così dire, «soggettive»
descritte dall’art. 170 c.c., nonché per la diversa ripartizione dell’onus probandi
delle condizioni «oggettive».
Altro effetto – già ricordato con riguardo alla famiglia
fondata sul matrimonio – appare essere quello dell’esclusione dei beni
vincolati dalla eventuale massa fallimentare, se non in relazione a quei debiti
contratti «per la realizzazione del fine di destinazione».
Anche qui, poi, vale il rilievo per cui, per ciò che
attiene agli eventuali atti dispositivi, se il vincolo ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. può sembrare a tutta prima più
«debole» di quello da fondo patrimoniale, avuto riguardo alla non necessità di
autorizzazione giudiziale per gli atti ex
art. 169 c.c. in presenza di figli minorenni, è anche vero che la regola appena
citata risulta, quanto meno secondo l’opinione dominante, derogabile. Inoltre,
l’effettuazione della pubblicità rende comunque il vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. opponibile verso ogni subacquirente, a differenza di
quello che accade allorquando i coniugi si siano riservati la facoltà di
alienazione dei beni del fondo patrimoniale senza autorizzazione (ovvero
quando, in presenza della necessità di autorizzazione, quest’ultima sia stata
rilasciata), posto che, in tal caso, il terzo acquista il bene certamente
libero dal vincolo [284].
Il ricorso all’art. 2645-ter c.c. permette poi anche la costituzione di un vincolo temporale
nell’interesse della famiglia di fatto al di là delle ipotesi in cui l’istituto
ex artt. 167 ss. c.c. è consentito
per la famiglia fondata sul matrimonio. I costituenti, per esempio, potranno
derogare a quanto stabilito dall’art. 171 c.c., stabilendo, sempre a titolo
d’esempio, che il vincolo non cessi (ed anzi, questa sarà la regola, atteso il
principio che autorizza una durata dello stesso per novanta anni o per tutta la
vita della persona fisica beneficiaria) in caso di scioglimento del ménage (e, dunque, di una situazione
speculare rispetto al divorzio), pur in assenza di figli minori.
In quest’ottica il vincolo ex art. 2645-ter c.c. può
prestarsi a fornire garanzie per le prestazioni a favore della prole, una volta
intervenuta la crisi del ménage, in
maniera esattamente speculare rispetto a quanto già consentito da una decisione
di merito in relazione alla separazione personale dei coniugi [285].
Venendo, infine, a trattare del profilo soggettivo, va
subito posto in evidenza che l’art. 167 c.c., in materia di fondo patrimoniale,
individua genericamente «la famiglia» come beneficiaria dell’istituto. Ora,
secondo la dottrina, la famiglia cui la norma fa richiamo possiede
un’estensione che non va oltre la famiglia nucleare, atteso l’evidente
collegamento del fondo con l’obbligo di contribuzione dei coniugi (art. 143
c.c.) e dei figli (art. 315 c.c.), nonché con quello di mantenimento della
prole (artt. 147 e 148 c.c.). Per quanto attiene a quest’ultima, fermo restando
che in tale concetto si debbono far rientrare i figli (di ogni «categoria»,
nonché i minori in affido temporaneo) della coppia a prescindere dalla loro
nascita rispetto al momento di costituzione del fondo, si discute sulla
possibilità di riferire il fondo anche ai figli di un solo coniuge. La tesi
preferibile valorizza l’indispensabilità dell’elemento matrimoniale per la
costituzione del fondo, al fine di ricavarne l’impossibilità di pervenire alla
ventilata estensione. Non manca però chi ritiene di valorizzare il ruolo
dell’eventuale introduzione del minore unilaterale nella famiglia legittima del
proprio genitore. Si discute infine sulla riferibilità dell’istituto ai figli
maggiorenni, pervenendo la tesi prevalente e preferibile alla soluzione di
ritenere compresi i figli maggiorenni non ancora autosufficienti [286].
Ora, a differenza dell’art. 167 c.c. («… bisogni della
famiglia»), l’art. 2645-ter c.c.
sembra presupporre invece l’esatta individuazione di uno o più soggetti
determinati («… altri enti o persone fisiche»).
Ad avviso di chi scrive, peraltro, la meritevolezza dell’interesse,
per le ragioni solidaristiche che ispirano la norma, è di tale evidenza da
consentire anche di collocare la famiglia nel suo complesso (vuoi legittima,
vuoi di fatto) tra uno di quegli «altri enti» cui fa richiamo la disposizione,
magari valorizzando quell’indirizzo che ormai unanimemente considera tanto la
famiglia fondata sul matrimonio, come il ménage
di fatto, quali «formazioni sociali» riconosciute dall’art. 2 Cost. [287]. È chiaro che la soluzione, la quale individua come
beneficiario del vincolo di destinazione la famiglia nel suo complesso
eviterebbe la necessità di un riferimento specifico ai membri attuali del
nucleo in considerazione, e, conseguentemente, il ricorso a non agevolmente
ipotizzabili atti di revoca e/o modifica, qualora il nucleo medesimo avesse ad
ampliarsi o ridursi.
Non vi è dubbio che, dal punto di vista fattuale, tale
soluzione appaia, almeno a prima vista, più problematica per la convivenza more uxorio rispetto all’unione
matrimoniale. Si è infatti rilevato [288] che manca un elemento che consenta d’individuarne i
componenti, come componenti di un gruppo. E ciò in quanto il rapporto tra i
conviventi non è desumibile da un atto formale.
Si è così ulteriormente sottolineato che «mentre la
famiglia legittima contiene in sé l’elemento formale ed unificante che consente
l’immediato riconoscimento di tutti i suoi componenti presenti e futuri
rispetto al momento genetico di un qualunque atto d’autonomia che possa
riguardarli (tali, infatti, sono i coniugi uniti in matrimonio, o i loro
figli), la famiglia di fatto non consente un’identificazione collettiva dei
suoi componenti: i conviventi possono nel tempo cambiare senza alcuna
ripercussione giuridica, e gli stessi figli sono tali, sul piano giuridico, in
relazione a ciascun genitore che effettua il riconoscimento» [289].
Peraltro, come sopra chiarito, neppure nella famiglia
legittima i confini soggettivi appaiono sempre così chiaramente delineati, se è
vero che non manca chi ha inteso fondare proprio sulla convivenza il tratto
identificativo della «famiglia» rilevante ex
artt. 167 ss. c.c. [290], mentre diversi Autori non esitano a riferire il
fondo patrimoniale, come si è visto, anche ai minori in affidamento, ai figli
di uno solo dei coniugi, purché inseriti nel nucleo familiare, e agli stessi
figli maggiorenni della coppia coniugata, purché ancora non autosufficienti e
conviventi con i genitori [291].
Del resto, non è escluso che, nella famiglia di fatto,
l’identificazione dei componenti possa avvenire anche solo per relationem. Una volta
individuati nell’atto costitutivo i due soggetti del cui ménage si tratta, sarà sufficiente indicare, genericamente, la
prole che da tale unione nascerà (e – perché no? – aggiungervi l’astratta
possibilità che il nucleo si estenda, con l’inserimento di fatto di eventuali
figli unilaterali o minori in affido). Quanto all’ulteriore possibile
presupposto, costituito dalla previsione che il rapporto di filiazione sia
legalmente accertato mercé riconoscimento o dichiarazione giudiziale, atteso il
carattere meramente dichiarativo di siffatti atti e la presenza di
un’obbligazione naturale per ciò che attiene al mantenimento di figli
eventualmente non riconosciuti né dichiarati, non sembra possa predicarsi
l’assoluta indispensabilità di tale elemento (ancorché dal punto di vista
pratico il suo inserimento appaia raccomandabile, così come consigliabile
comunque appare la nominativa menzione dei soggetti beneficiari già in vita)[292].
Se è vero che,
come sopra illustrato, la tutela dell’interesse della famiglia, e, all’interno
di questa, delle posizioni più deboli costituisce precipuo campo di
applicazione dell’istituto ex art.
2645-ter c.c., va aggiunto che
proprio il perseguimento di tale scopo potrebbe incontrare un imprevisto
ostacolo «burocratico», qualora si dovesse ritenere l’atto in questione, in
quanto diretto a costituire un vincolo in favore di uno o più soggetti incapaci
o semi-incapaci, soggetto al regime autorizzativo previsto dal codice per i
negozi relativi alla gestione dei patrimoni di minori, interdetti, inabilitati,
beneficiari di amministrazione di sostegno.
Sul punto potrà menzionarsi un provvedimento del 2012 [293], che ha escluso che l’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. a favore di minori d’età necessiti di autorizzazione ex art. 320 c.c., sia per il
conseguimento, sia per il consolidamento della posizione beneficiaria.
Nella specie, il padre e la nonna di due minorenni
intendevano destinare, senza effetti traslativi, la dimora avita, di loro
proprietà, a favore di se medesimi, del coniuge del primo e dei figli minorenni
di entrambi i coniugi. Lo scopo era evidentemente quello di provvedere ai
bisogni fondamentali della loro persona: al bisogno di un’abitazione gratuita e
consona allo status familiare, ai
bisogni sanitari di tutti i beneficiari e alle spese di educazione, istruzione
e formazione professionale dei figli. L’attuazione della destinazione era
riservata, quali primi gestori, ai costituenti con poteri disgiunti di
ordinaria amministrazione e congiunti di straordinaria amministrazione.
Come osservato in dottrina [294], si trattava di un atto di destinazione in parte
autodestinato, in parte eterodestinato. Esso imprimeva sui beni una specifica
destinazione allo scopo, dando vita a una relazione fiduciaria, al cui fascio
di poteri e obblighi faceva pendant
una conformazione della proprietà. Il ricorso era stato proposto per ottenere
l’autorizzazione a rendere la dichiarazione di voler profittare dell’effetto
incrementativo della sfera patrimoniale dei minorenni. Il giudice adito,
peraltro, ha correttamente escluso che vi fosse luogo a provvedere su tale
istanza.
Ed invero, nella fattispecie, quel tipo di atto
destinazione, oltre a non determinare (in quanto tale) trasferimenti di diritti
(come, appunto, nel fondo patrimoniale non traslativo), non involge alcun
preesistente diritto dei minori, posto che il compendio immobiliare in
relazione al quale si prevede di imprimere la destinazione è oggetto della
esclusiva proprietà dei costituenti, maggiorenni e capaci. È poi anche vero
che, come osservato dal citato provvedimento di merito, l’adesione al negozio
(in nome e per conto dei minori) non può (neanche) essere identificata alla stregua
di atto eccedente l’ordinaria amministrazione, non comportando, per gli stessi
minori, alcuna diminuzione patrimoniale, od anche il mero rischio di
diminuzione patrimoniale.
Va poi escluso che, in una situazione del genere,
possa darsi alcun conflitto di interessi tra i minori ed i genitori per conto
dei quali è proposta richiesta di autorizzazione, poiché vi è convergenza di
interessi e vantaggio comune (genitori e figli, pur portatori di interessi
distinti, beneficeranno tutti della destinazione).
Ad avviso dello scrivente, poi, non potrebbe
pervenirsi a conseguenze diverse neppure volendo riconoscere nella situazione
del beneficiario gli estremi della posizione del terzo di un contratto ex art. 1411 c.c. [295]. Ed invero, come illustrato da chi scrive in altra
sede, in relazione ai contratti della crisi coniugale, non essendo richiesta
alcuna dichiarazione d’accettazione da parte del terzo beneficiario, nessuna
autorizzazione ai sensi dell’art. 320 c.c. dovrà ritenersi necessaria [296].
In quest’ottica, incomprensibile, prima ancora che non
condivisibile, appare un’altra decisione [297], di segno opposto rispetto a quella appena citata, la
quale non solo ha ritenuto applicabile nella specie l’art. 320 c.c., ma ha
addirittura negato l’autorizzazione, sulla base del discutibile assunto secondo
il quale, pur essendo l’atto nell’interesse del minore, esso sarebbe stato
contrario ai principi dell’ordinamento, poiché in violazione della riserva di
legge di cui all’art. 2740 c.c., quasi che l’art. 2645-ter c.c. fosse principio tratto da una raccolta di regole prive del
valore di legge (oltre che, ovviamente, successiva e speciale rispetto alla
norma generale in tema di garanzia patrimoniale generica).
[1] Sull’istituto, in generale,
cfr. Bartoli, Prime riflessioni sull’art. 2645 ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e
trust, in Corr. merito, 2006, p. 697
ss.; Id., Riflessioni sul «nuovo» art. 2645 ter c. c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e
trust, in Giur. it., 2007, p. 5 ss.; Id., Mandato
e trust, in Aa. Vv., Il
mandato, opera diretta da Cuffaro, Bologna, 2011, p. 455 ss.; Id., Trust e
atto di destinazione nel diritto di famiglia e delle persone, Milano, 2011,
p. 5 ss.; Mirzia
Bianca, D’Errico, De Donato,
Priore, L’atto notarile di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile, Milano, 2006; Mirzia Bianca, Il nuovo art. 2645-ter c.c.
Notazioni a margine di un provvedimento del Giudice Tutelare di Trieste, in
Giust. civ., 2006, II, p. 187 e ss; Ead., Atto negoziale di destinazione e separazione, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 197 ss.; Ead., La categoria dell’atto negoziale di destinazione: vecchie e nuove
prospettive, in Aa. Vv., Negozi
di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata,
Quaderni della Fondazione Italiana per il
Notariato, Milano, 2007, p. 177 ss.; Ead.,
L’atto di destinazione: problemi
applicativi, testo dattiloscritto agli atti del Convegno sul tema «Atti
notarili di destinazione dei beni: Articolo 2645 ter c.c.», organizzato dal
Consiglio Notarile di Milano il 19 giugno 2006; Ead.,
Il negozio di destinazione e il principio
della responsabilità patrimoniale, relazione al Convegno «Le sistemazioni
patrimoniali “dedicate” tra negozi di destinazione e organizzazione
dell’impresa» organizzato dall’Università degli Studi di Foggia Facoltà di
Giurisprudenza svoltosi a Lucera (30-31 marzo 2007); Ead., Novità e
continuità dell’atto negoziale di destinazione, in Aa. Vv., La trascrizione dell’atto negoziale di
destinazione. L’art. 2645-ter del
codice civile, a cura di M. Bianca (atti della Tavola Rotonda che ha avuto
luogo il 17 marzo 2006 presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università
di Roma «La Sapienza»), Milano, 2007, p. 29 ss.; De Nova, Esegesi
dell’art. 2645 ter cod. civ.,
testo dattiloscritto agli atti del Convegno sul tema «Atti notarili di destinazione
dei beni: Articolo 2645 ter c.c.»,
cit.; D’Errico, Trascrizione del vincolo di destinazione,
testo dattiloscritto agli atti del Convegno sul tema «Atti notarili di
destinazione dei beni: Articolo 2645 ter
c.c.», cit.; Fanticini, L’articolo 2645-ter del codice civile: “Trascrizione di atti di destinazione per la
realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone a persone
con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone
fisiche”, in Aa. Vv., La
tutela dei patrimoni, a cura di Montefameglio, Santarcangelo di Romagna,
2006, p. 327 ss.; Franco, Il nuovo art. 2645-ter cod. civ., in Notariato, 2006, p. 315 ss.; Gazzoni,
Osservazioni sull’art. 2645 ter, già
disponibile alla pagina web seguente:
http://judicium.it/news/ins_08_04_06/Gazzoni,%20nuovi%20saggi.html
(l’articolo, ora
cancellato dal sito predetto, è pubblicato anche in Giust. civ., 2006, II, p. 165 ss.; le citazioni di questo lavoro
nel presente scritto si riferiscono al testo che già fu online, ma il cui contenuto è comunque fedelmente ridprodotto nella
rivista citata); Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art.
2645-ter cod. civ. quale frammento di
trust, in Trusts att. fid., 2006, p.
169 ss.; Manes, La norma sulla trascrizione degli atti di
destinazione è dunque norma sugli effetti, in Contratto e impresa, 2006, p. 626 ss.; Petrelli, La
trascrizione degli atti destinazione, dattiloscritto agli atti del Convegno
organizzato a Firenze dalla Associazione Italiana Giovani Notai il 24 giugno
2006 sul tema «Gli atti di destinazione e la trascrizione dopo la novella»
(l’articolo è pubblicato anche in Riv.
dir. civ., 2006, II, p. 161 ss.; le citazioni di questo lavoro nel presente
scritto si riferiscono al dattiloscritto); Picciotto,
Brevi note sull’art. 2645-ter: il trust e l’araba fenice, in Contratto
e impresa, 2006, p. 1314 ss.; R. Quadri,
L’art. 2645-ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contratto e impresa, 2006, p. 1717 ss.; Vecchio, Il nuovo articolo 2645-ter cod.
civ. Gli atti di destinazione di cui al novellato art. 2645-ter: profili
applicativi, in Quotidiano giuridico,
18 dicembre 2006; Id., Profili applicativi dell’art. 2645-ter c.c. in ambito familiare, in Dir. fam. pers., 2009, II, p. 795 ss.; Baralis, Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c., in Aa. Vv., Negozi
di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata,
cit., p. 131 e ss.; Anzani, Atti di destinazione patrimoniale: qualche
riflessione alla luce dell’art. 2645 ter
cod. civ., in Nuova giur. civ. comm.,
2007, II, p. 398 ss.; Cinque, L’interprete e le sabbie mobili dell’art. 2645-ter c.c.:
qualche riflessione a margine di una prima (non) applicazione giurisprudenziale, in Nuova giur. civ. comm.,
2007, p. 526 ss.; D’Agostino, Il negozio
di destinazione nel nuovo art. 2645-ter c.c.,
in Riv. notar., 2007, p. 1517 ss.; Di Profio, Vincoli di destinazione e crisi coniugale: la nuova disciplina
dell’art. 2645-ter c.c., Nota a
Trib. Reggio Emilia, 26 [erroneamente indicata come 23] marzo 2007, in Giur. merito, 2007, p. 3189 ss.; Di
Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa:
dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione ex art. 2645-ter, in Dir. fam. pers., 2007, p. 1257 ss.; Id., Gli strumenti contrattuali di cura e di protezione dei minori d’età
portatori di handicap: un’esposizione, in Aa.
Vv., Trattato di
diritto di famiglia, diretto da Zatti, VI, a cura di Lenti, Milano, 2012, p. 641 ss.; Di Raimo, Considerazioni
sull’art. 2645-ter c.c.: destinazione di patrimoni e categorie
dell’iniziativa privata, in
Rass. dir. civ., 2007, p. 946 ss.; Doria,
Il patrimonio «finalizzato», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 485 ss.; Fusaro, La posizione dell’accademia nei primi commenti dell’art. 2645-ter c.c., in Aa. Vv., Negozio di destinazione: percorsi verso
un’espressione sicura dell’autonomia privata, cit., p. 30 ss.; G. Gabrielli, Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e
pubblicità nei registri immobiliari, in Riv.
dir. civ., 2007, I, p. 321 ss.; Gentili,
Le destinazioni patrimoniali atipiche.
Esegesi dell’art. 2645-ter c.c.,
in Riv. dir. civ., 2007, p. 1 ss.; La Porta, L’atto
di destinazione di beni allo scopo trascrivibile ai sensi dell’art. 2645-ter c.c., in Riv. notar., 2007, p. 1069 ss.; Lenzi,
Le destinazioni atipiche e l’art. 2645 ter c.c., in Contratto e impresa, 2007, p. 229 ss.; Maggiolo, Il
tipo della fondazione non riconosciuta nell’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c., in Riv. notar., 2007, p. 1047 ss.; Matano, I profili di
assolutezza del vincolo di destinazione. Uno spunto ricostruttivo delle
situazioni giuridiche protette, Nota a Trib. Trieste, 7 aprile 2006, in
Riv. notar., 2007, p. 367 ss.; Merlo, Brevi note in tema di vincolo testamentario di destinazione ai sensi
dell’art. 2645-ter, in Riv. notar.,
2007, p. 509 ss.; Morace Pinelli, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano,
2007; Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e
differenze, in Contratto e
impresa/Europa, 2007, p. 351 ss.; Id.,
Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi, in Fam. dir., 2007, p. 202 ss.; Id.,
Le destinazioni patrimoniali nell’intreccio
dei rapporti familiari, in Aa. Vv., Trattato
dei contratti, diretto da Pietro Rescigno
ed Enrico Gabrielli, 19, I contratti di destinazione patrimoniale,
a cura di Calvo e Ciatti, Torino, 2014, p. 140 ss.; Oppo, Brevi
note sulla trascrizione di atti di destinazione (art. 2645-ter), in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 1 ss.; Partisani,
L’art. 2645 ter c.c.: le prime
applicazioni nel diritto di famiglia, Nota a Trib. Reggio Emilia, 26 marzo
2007, in Fam. pers. succ., 2007, p.
779 ss.; Pini, Gli atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c. e attuali orientamenti, in AIAF, 2007, 2, p. 43 ss.; Roselli, Atti di destinazione del patrimonio e tutela del creditore, in Giur. merito, suppl. n. 1/2007, p. 49
ss.; Spada, Destinazioni patrimoniali e impresa (patrimonio dell’imprenditore e
patrimoni aziendali), ibidem; Astone, L’atto di destinazione: struttura, funzione, tipologia, Milano,
2008; Condò, Rapporto tra istituzione di un trust e normativa in materia di
successione, in Trusts att. fid., 2008, p. 357 ss.; Frezza, Sull’effetto distintivo, e non traslativo, della separazione ex art. 2645-ter c.c., Nota a Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Dir. fam.
pers., 2008, p. 194; Luminoso, Contratto fiduciario, trust e
atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c., in Riv. notar., 2008, p. 993 ss.; Id.,
Atti di destinazione trascrivibili ai sensi
dell’art. 2645-ter c.c., in Id., Appunti
sui negozi traslativi atipici, Milano 2007, p. 70 ss.; Petti, Atto di destinazione
ex art. 2645-ter c.c. e separazione consensuale dei coniugi, in Obbligazioni e contratti, 2008, p. 233 ss.; Stefini, Destinazione patrimoniale ed autonomia negoziale: l’articolo 2645-ter c.c., Padova, 2008; Aa. Vv.,
Atti di destinazione e trust (art. 2645 ter
cod. civ.), a cura di Vettori, Padova, 2008; Bullo, Sub art. 2645-ter c.c., in Commentario breve al codice civile, a cura di Cian, Padova, 2009,
p. 3329 ss.; Ceolin, Regolamenti di condominio e vincoli di
destinazione, anche alla luce del nuovo art. 2645-ter c.c., in Riv. notar.,
2009, p. 873 ss.; Id., Destinazione e vincoli di destinazione nel
diritto privato, Milano, 2010; Id., Il punto sull’art. 2645 ter a cinque anni dalla sua introduzione, in
Nuova giur. civ. comm., 2011, p. 358
ss.; di Landro, L’art. 2645-ter c.c. e il trust. Spunti per una comparazione, in Riv. notar., 2009, I, p. 583 ss.; Ieva, La trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di
interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche
amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche (art. 2645-ter c.c.) in funzione parasuccessoria, in Riv. notar., 2009, III, p. 1289 ss.; Jannarelli, Brevi note a proposito di «soggetto giuridico» e di «patrimoni
separati», in Riv. trim. dir. proc.
civ., 2009, p. 1253 ss.; Marra,
Il vincolo di destinazione a norma
dell’art. 2645 ter c.c. nell’accordo
di separazione fra coniugi, Nota a Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Dir. fam. pers., 2009, p. 1199 ss.; Meucci, La destinazione di beni tra atto e rimedi, Milano, 2009; G.A.M. Trimarchi, Negozio di destinazione nell’ambito familiare e nella famiglia di fatto,
in Notariato, 2009, p. 426 ss.; Valore, Amministrazione di sostegno e vincolo di destinazione, in Corr. merito, 2009, p. 619 ss.; Mastromatteo, La destinazione di un
cespite immobiliare al mantenimento della prole soddisfa un interesse
certamente meritevole di tutela,
Nota a Trib. Bologna, 5 dicembre 2009, in Civilista, 2010, n. 9, p. 93 ss.; Rossi, Alcune riflessioni sulla nozione di meritevolezza dell’art. 1322 del
codice civile. L’art. 2645-ter, in Riv. notar.,
2010, p. 621 ss.; D’Aprea, Negozi di destinazione:ruolo e responsabilità
del notaio, in Riv. notar., 2011,
p. 801 ss.; Ghironi, La
destinazione di beni ad uno scopo nel prisma dell’art. 2645 ter c.c., in Riv.
notar., 2011, p. 1085 ss.; Marzi,
Mantenimento dei figli e atti di
disposizione ex art. 2645-ter c.c., in AIAF, 2011, n. 3, p. 64 ss.; Rispoli, L’applicazione
dell’art. 2645-ter: involuzione ed evoluzione della giurisprudenza, in Giust. civ., 2011, p. 319 ss.; Calvo, Vincoli di destinazione, Bologna, 2012; Cordiano, Nuovi
contesti familiari e nuove esigenze di tutela: strumenti deflattivi e riduzione
dei costi individuali nella crisi familiare, in Fam. pers. succ., 2012, p. 58 ss.; Costanza,
L’atto di destinazione non consente il
concordato preventivo, Nota a Trib. Verona, 13 marzo 2012, in Fall., 2012, p. 972 ss.; Di Sapio e Gianola, Un meccanismo
di protezione che tutela le esigenze primarie comuni alla famiglia, Nota a
Trib. Saluzzo, 19 luglio 2012, in Famiglia
e minori, 22 dicembre 2012; Galluzzo,
Selezione degli “interessi meritevoli di
tutela” nell’applicazione dell’art. 2645-ter c.c., Nota a Trib. Vicenza, 31 marzo 2011, in Corr. giur., 2012, p. 398 ss.; Id.,
L’amministrazione dei beni destinati,
Milano, 2012, passim; Id., Autodestinazione e destinazione c.d. dinamica: l’art. 2645 ter cod. civ. come norma di matrice sostanziale,
in Nuova giur. civ. comm., 2014, II,
p. 128 ss.; Francesca, Le
destinazioni all’interesse familiare: autonomia privata e fondamento
solidaristico, in Riv. notar.,
2012, I, p. 1035 ss.; Leuzzi, I trusts nel diritto di famiglia, Milano, 2012, p. 145 ss.; Mastropietro, L’atto di destinazione tra codice civile italiano e modelli europei di
articolazione del patrimonio, in Riv.
notar., 2012, II, p. 319 ss.; Panzani, Fondo patrimoniale, trust,
patto di famiglia, patrimoni destinati, vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. ed azioni a tutela dei creditori, in Nuovo dir. soc., 2012, vol. 10, fasc. 19, p. 9 ss.; Salvatore, Atto di destinazione e crisi d’impresa: strumento a tutela o contro le
procedure concorsuali?, in Riv. notar.,
2012, I, p. 1086 ss.; Torroni, Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c.: un tentativo d’inquadramento sistematico con lo sguardo rivolto
al codice civile, in Riv. notar.,
2013, p. 471 ss.; Gigliotti, Atto di destinazione e interessi meritevoli
di tutela, in Nuova giur. civ. comm.,
2014, II, p. 362 ss.
[2] Cfr. ad esempio i rilievi
di Schlesinger, Atti istitutivi di vincoli di destinazione.
Riflessioni introduttive, testo dattiloscritto della relazione agli atti
del convegno organizzato da Paradigma a Milano il 22 maggio 2006, p. 1, secondo
cui «Il livello tecnico della disposizione, valutata tra le peggiori degli
ultimi tempi (in una graduatoria particolarmente abbondante di supposti
primati), non richiede commenti, essendo evidente quanto si presenti numerosa
la serie di dubbi ed incertezze delle possibili interpretazioni (per chi non
giunge addirittura a prospettare radicali nullità o illegittimità
costituzionali dell’intera norma). Ad avviso di Gazzoni,
Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 1, la riforma appare «a
tal punto extravagante rispetto ai principi che disciplinano la materia, da
suscitare più problemi di quanti, forse, non ne risolva»; per osservazioni
critiche sulla formulazione della norma v. inoltre Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 2; Fanticini, L’articolo 2645-ter del
codice civile: “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di
interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche
amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche”, cit., p. 327 ss.
Sembra invece voler difendere la formulazione della disposizione in esame,
rilevando, tra l’altro, che «la destinazione per sua natura non può essere
imbrigliata in uno schema procedimentale precostituito» M. Bianca, Il nuovo art. 2645-ter c.c.
Notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste,
cit., p. 187 ss., 189.
[3] Anche Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 2, rileva che la
«novellazione del codice civile (…) sembra davvero, con quest’ultimo
intervento, aver raggiunto il limite più basso».
[4] Così Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, p. 2. Come osserva Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 1: «La fretta con la quale
l’art. 2645 ter c.c. è stato formulato rende ancora più criticabile
l’operazione. Credo che sia ben difficile trovare un giurista disposto a
difendere la norma, almeno sul piano tecnico. Innanzi tutto essa è mal
concepita: nel contesto della trascrizione è stata “paracadutata” una
disciplina che, per quanto riguarda il profilo pubblicitario, si sarebbe dovuta
limitare a dettare una o due regole, del tipo di quelle dettate dall’art. 2649
c.c., norma per certi versi funzionalmente analoga. Viceversa l’art. 2645 ter
c.c. è, prima ancora che norma sulla pubblicità, e quindi sugli effetti, norma
sulla fattispecie, che avrebbe meritato dunque, previa scissione, di figurare
in un diverso contesto, di disciplina sostanziale». Rileva la presenza, nella
norma in esame, di una disciplina di «natura sostanziale» anche M. Bianca, Il nuovo art. 2645-ter c.c.
Notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste,
cit., p. 189.
[5] Così Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 1. Diverso è il parere di Di Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione, Relazione tenuta al convegno di studi su Attualità e problematiche in materia di donazioni, patrimoni separati e fallimento organizzato dal Comitato Regionale fra i Consigli Notarili Distrettuali della Puglia, tenutosi a Pozzo Faceto, Fasano (Brindisi) il 23-24 giugno 2006 (testo dattiloscritto cortesemente inviato dall’Autore), p. 27, ad avviso del quale il legislatore avrebbe «giocato a un gioco diverso da quello che una certa parte della dottrina si aspettava praticasse», dando per presupposta l’ammissibilità degli atti di destinazione e limitandosi a prevedere una norma che «serve solo a superare il principio di tipicità degli atti soggetti a trascrizione». Rimane comunque il fatto che, a sommesso avviso dello scrivente, un legislatore che si rispetti dovrebbe specificamente enunciare l’esistenza degli istituti giuridici che vuole assumersi la responsabilità (anche politica) di creare e non limitarsi a darne per scontata – in forma del tutto ellittica e quasi en passant – l’esistenza. Anche per Ceolin, Il punto sull’art. 2645 ter a cinque anni dalla sua introduzione, cit., p. 358, l’art. 2645-ter c.c. è «norma di fattispecie, relativa agli atti e non norma sulla pubblicità, relativa agli effetti» (assunto che andrebbe, però, ad avviso dello scrivente, corretto come segue: «norma di fattispecie, relativa agli atti, oltre che norma sulla pubblicità, relativa agli effetti»).
[6] Sul punto specifico, in dottrina, cfr. Ceolin, Il punto sull’art. 2645 ter a cinque anni dalla sua introduzione, cit., p. 360 ss.
[7]
Cfr. Trib. Trieste, 7 aprile
[8] Cfr. anche Oberto, Il patto di famiglia, Padova, 2006, p. 13 s., nota 23.
[9] Così Oberto, op. loc. ultt. citt.
[10] Così anche Bartoli, Prime riflessioni sull’art. 2645 ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust, cit., p. 697, nota 4. Per approfondimenti e ulteriori richiami sul punto v. infra, §§ 6 ss. (in partic. § 9).
[11] Per un’analisi di questi
progetti di legge (e di altri riferentisi al trust) si rinvia a Santoro,
Il trust in Italia, Milano, 2004, p.
305 ss. e, nella sezione dedicata ai «materiali», p. 463 ss.
Come osserva Schlesinger, Atti istitutivi di vincoli di destinazione. Riflessioni introduttive,
cit., p. 1 s. «La nuova disposizione in esame era già stata affacciata in una
proposta di legge presentata in Parlamento il 14 maggio 2003, ma con previsione
limitata alla sola destinazione a favore di soggetti portatori di gravi handicap (rimasta poi nel testo finale
solo quale prima ipotesi tra le varie contemplate dalla norma), indirizzata a
favorire l’autosufficienza di persone “disabili”.
Successivamente l’inserimento nel codice civile proprio di un nuovo articolo
2645-ter, come alla fine avvenne,
secondo quanto si è già anticipato, fu proposto nel luglio 2005, con
l’approvazione alla Camera dei Deputati del Disegno di legge governativo n.
5736 (intitolato “Piano di azione per lo
sviluppo economico, sociale e territoriale”, anch’esso costituito da ben 38
articoli su svariatissimi temi, privo di uno specifico baricentro e di
qualsiasi organica finalità), il cui articolo 34, esso pure valutabile come
extravagante (e forse pure … stravagante !), inserito sotto la rubrica “Trascrizione degli atti di destinazione”,
già stabiliva che “Dopo l’articolo 2645-bis
del codice civile” si sarebbe
aggiunto nel codice un nuovo articolo, contrassegnato con il numero 2645-ter, intitolato “Trascrizione di atti di destinazione”, simile, ma ancora ben
diverso dal testo poi divenuto legge, prevedendo allora quali possibili
beneficiari soltanto persone fisiche, ma non più i soli disabili, senza peraltro
la successiva estensione, alla fine, a chiunque, tanto persone fisiche che
giuridiche. Tuttavia, trasmesso al Senato, a luglio 2005, il progetto approvato
dalla Camera, il programmato “Piano di
azione per lo sviluppo” non è divenuto legge ed è quindi decaduto con la
chiusura della legislatura. Ecco perché, in sede di conversione in legge del
D.L. 273/2005, fra le numerose aggiunte fu ripresa anche l’idea di inserire nel
codice un nuovo articolo 2645-ter per
consentire la trascrivibilità “di atti di
destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili
a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o
persone fisiche”, il cui testo, tuttavia, fu ampiamente rimaneggiato
rispetto al precedente disegno di legge che lo contemplava, sebbene,
francamente, sia davvero difficile rendersi conto delle ragioni che hanno
ispirato sia l’intera norma, sia la sua estensione a qualsiasi beneficiario,
individuo o ente, e senza che siano stati previsti solo fini meritevoli di
particolare attenzione (come poteva essere se si fossero contemplati soltanto,
ad es., handicappati o pubbliche amministrazioni)».
[12] Sul rapporto tra trusts e divieto dei patti successori
cfr. Rescigno, Trasmissione della ricchezza e divieto dei
patti successori, in Vita notar.,
1993, p. 1281; Calò, Dal probate al family trust, riflessi ed
ipotesi applicative in diritto italiano, Milano, 1996, p. 101 ss.; Miranda, Trust e patti successori: variazioni sul tema, in Vita not., 1997, p. 1578 ss.; Gambaro,
voce Trusts, in Noviss. dig. it., Torino, 1999, p. 459 ss.; F. Pene Vidari, Trust e divieto dei patti successori, in Riv. dir. civ., 2000, p. 851 ss.; Lupoi,
Trusts, Milano, 2001, p. 663; Bartoli, Il trust, Milano, 2001, p. 667 ss.
[13] Sul rapporto tra trusts
e sostituzione fedecommissaria, cfr., fra gli altri, Palazzo, I trusts in materia successoria, in Vita
not., 1996, p. 671 ss.; Lupoi,
Trusts, cit., p. 553 ss.; Amenta, Trusts a protezione di
disabile, in Trusts att. fid.,
2000, p. 618 ss.
[14] Sul tema cfr., anche per i
richiami dottrinali e giurisprudenziali, di
Landro, Trusts per disabili. Prospettive applicative, in Dir.
fam. pers., 2003, p. 166 ss.
[15] Rileva Lupoi, Perché i trust in Italia, in Aa.
Vv., Il trust nel
diritto delle persone e della famiglia. Atti del convegno. Genova, 15 febbraio
[16] Sul tema cfr. ex multis Lupoi, Il trust nell’ordinamento giuridico italiano
dopo la convenzione dell’Aja del 10 luglio
[17] Il principale è, come noto,
quello dell’associazione «Il trust in Italia», disponibile al sito web seguente: http://www.il-trust-in-italia.it.
Per ulteriori ragguagli si fa rinvio a Oberto,
Il trust familiare, dal 10 giugno 2005 disponibile al seguente indirizzo web: http://giacomooberto.com/milano11giugno2005trust/relazionemilano.htm;
Id., Trust e autonomia negoziale nella famiglia, in Fam. dir., 2004, p. 201 ss., 310 ss.
[18]
Su cui cfr., ex multis, Piccoli, L’avanprogetto di convenzione
sul «trust» nei lavori della Conferenza di diritto internazionale privato de
L’Aja ed i riflessi di interesse notarile, in Riv. not., 1984, p.
844 ss.; Lupoi, Introduzione ai
trusts. Diritto inglese, Convenzione dell’Aja, Diritto italiano,
Milano,
[19] Il dubbio è posto e
superato da Calvo, La tutela dei beneficiari nel «trust» interno, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1998, p. 51 ss., cui si fa rinvio anche per ulteriori
richiami. Per l’ammissibilità del trust
interno cfr. in dottrina Lupoi, Il trust
nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell’Aja del 1° luglio
1985, cit., p. 978 ss.; Id., La
sfida dei trusts in Italia, in Corr. giur., 1995, p. 1205 ss.; Id.,
Legittimità dei trusts interni, in Aa.
Vv., I trusts in Italia oggi, a cura di Beneventi, cit.,
p. 30 ss.; Id., Lettera a un
notaio curioso di trusts, in Riv.notar., 1996, p. 348 ss.; Id.,
Trusts, cit., p. 533 ss.; Id.,
Lettera a un notaio conoscitore dei trusts, cit., 1159 ss.; Id., Il
contratto di affidamento fiduciario, in Trusts
att. fid., 2012, p. 585 ss.; Bartoli, Trusts, Milano, 2001,
597 ss.; Maré, Trust e
scissione del diritto di proprietà, in Corr. giur., 1995, p. 167; Busato, La figura del trust negli ordinamenti di common law
e di diritto continentale, in Riv. dir. civ., 1992, II, p.
341 ss.; A. de Donato, V. de Donato e D’Errico, Trust convenzionale. Lineamenti di teoria e
pratica, Roma, 1999, p. 80 ss.; Risso,
Dibattito sulla legge regolatrice del trust e ruolo del notaro, in Trusts
att. fid., 2001, p. 333 ss.; Id.,
Il libro degli eventi del trust, in Trusts att. fid., 2000, p. 127 ss.; Dolzani,
Un trust azionario, in Trusts
att. fid., 2001, p. 479 ss.; Braun,
Trusts interni, in Riv. dir. civ., 2000, p. 577 ss.; Salvatore, Il trend favorevole all’operatività del trust
in Italia: esame ragionato di alcuni trusts compatibili in un’ottica
notarile, in Contr. e impr., 2000, p. 644 ss.; Iudica, Trust e stock option, in Trusts att. fid., 2000, p. 511 ss.; Cavanna, L’omologazione dell’atto
costitutivo di società di capitali, Milano, 1998, p. 741 ss.; Amati e Piccoli,
Trascritto un immobile in trust,
Notariato, 1999, p. 593 ss.; Piccoli
e Raiti, Atto di
costituzione di trust, in Notariato, 1996, p. 269 ss.; Piccoli, Il trust: questo (sempre
meno) sconosciuto, in Notariato, 1996, p. 391 ss.; Id., Possibilità operative del trust
nell’ordinamento italiano. L’operatività del trustee dopo la Convenzione
dell’Aja, in Riv. not., 1995, p. 66 ss.; Morello, Fiducia e trust: due esperienze a confronto,
in Fiducia, trust, mandato ed agency, Milano, 1991, p. 97 ss.; Id., Fiducia e negozio fiduciario:
dalla riservatezza alla trasparenza, Aa.
Vv., I trusts in Italia oggi,
cit., p. 95 ss.; Lipari, Fiducia
statica e trusts, in Aa. Vv., I trusts in Italia oggi,
cit., p. 75; Di Ciommo, Per una
teoria negoziale del trust (ovvero perché non possiamo farne a meno), in Corr.
giur., 1999, p. 786 ss.; D’Orio,
Un trust a garanzia di un prestito obbligazionario. Percorsi e tendenze
nella dottrina sui trusts, in Giur. comm., 1998, II, p. 239 ss.; Di Virgilio, Appunti in materia di
trusts, in Vita not., 1997, p. 1077 ss.; Lener e Bisogni,
Omologa di prestito obbligazionario, in Società, 1997, p. 586
ss.; Steidl, Prassi italiana in
materia di pubblicità societaria, in Trust, 2000, p. 130 ss.; Luzzatto, Legge applicabile e
riconoscimento di trusts secondo la Convenzione dell’Aja, in Trust, 2000,
p. 14 ss.; S. M. Carbone, Autonomia
privata, scelta della legge regolatrice del trust e riconoscimento dei suoi
effetti nella Convenzione dell’Aja del
[20] Cfr. la pagina web seguente: http://www.hcch.net/index_fr.php?act=text.display&tid=4.
In tale pagina è lo stesso istituto a precisare che
«L’instrument principal utilisé pour atteindre le but poursuivi par la
Conférence est l’établissement de traités multilatéraux, ou Conventions, dans
les différents domaines du droit international privé (entraide judiciaire et
administrative internationale; conflits de lois en matière de contrats, de
délits, d’obligations alimentaires, de statut et de protection des enfants, de
relations entre époux, de successions et de trusts; reconnaissance des
sociétés; compétence internationale et exécution des jugements étrangers). A la
suite de travaux préparatoires effectués par le Secrétariat, des avant-projets
de Conventions sont établis par des Commissions spéciales se composant
d’experts gouvernementaux. Les projets sont ensuite discutés et adoptés par la
Session plénière de la Conférence, session à caractère diplomatique».
[21] Cfr. Gambaro, Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento.
Note introduttive, II, Il trust in
Italia, in Nuove leggi civ. comm.,
1993, p. 1216.
[22] Cfr. in tal senso, tra gli
altri, Malaguti, Il futuro del trust in Italia, in Contr. e impr., 1990, p. 997 ss.; Lenzi, Operatività del trust in Italia, in Riv. not., 1995, 1381 ss.; Broggini,
Il trust nel diritto internazionale
privato, cit., p. 11 ss.; Castronovo, Trust e diritto civile italiano, in Vita
not., 1998, p. 1323 ss.; Id., Trust
e fiducia nel diritto internazionale
privato, in Europa e dir. priv.,
1998, p. 399 e ss.; Saturno, La proprietà nell’interesse altrui,
Napoli, 1999; Rescigno, Notazioni a chiusura di un seminario sul trust,
in Europa e dir. priv., 1998, p. 453
e ss.; Ragazzini, Trust interno e ordinamento giuridico italiano,
in Riv. notar., 1999, p. 296 ss.; De Angelis, Trust e fiducia nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 361; Gazzoni,
Tentativo dell’impossibile (osservazioni
di un giurista non vivente su trust e
trascrizione), cit., p. 11 ss; Id.,
In Italia tutto è permesso, anche quel
che è vietato (lettera aperta a Maurizio Lupoi sul trust e su altre bagattelle), cit., p. 1247
ss.; Id., Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del trust,
cit., p. 1107 ss.; Nuzzo, Il trust interno privo di flussi e formanti, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, p. 427 ss.; Id., E
luce fu sul regime fiscale del trust, cit., p. 248 ss.; Castronovo, Il trust e «sostiene Lupoi», cit., p. 441 ss.; Schlesinger, Il trust nell’ordinamento
giuridico italiano, in Quaderni di
Notariato, n. 7, 2002; Falzea,
Introduzione e considerazioni conclusive, in Aa.
Vv., Destinazione
di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Atti della
giornata di studio, organizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato (Roma, 19 giugno
2003), Milano, 2003, p. 23; V. Mariconda, Contrastanti decisioni sul trust interno: nuovi interventi a favore, ma sono
nettamente prevalenti gli argomenti contro l’ammissibilità, in Corr. giur., 2004, p. 57 ss.; Galluzzo, Autonomia negoziale e causa istitutiva di un trust, Nota a Trib.
Velletri, 29 giugno
Per la giurisprudenza
favorevole a ritenere che la sussistenza di un conflitto di leggi nello spazio costituisca il
presupposto essenziale per il riconoscimento del trust stipulato in
Italia cfr., ad esempio, App. Napoli, 27 maggio
[23] Cfr., testualmente, von Overbeck,
Rapport explicatif sur la Convention de
La Haye du premier juillet 1985 relative à la loi applicable au trust et à sa
reconnaissance, n. 14 (il documento è disponibile in
formato .pdf all’indirizzo web seguente: http://www.hcch.net/index_fr.php?act=publications.details&pid=2949&dtid=3).
[24] Testo reperibile al sito http://www.senat.fr/index.html, digitando la parola fiducie nella finestra «recherche sur le site». Per accedere direttamente al dossier législatif si vada alla pagina http://www.senat.fr/dossier-legislatif/ppl04-178.html; sul progetto di legge cfr. Neri, La via francese al recepimento del trust: un nuovo progetto di legge sulla fiducie, in Trusts att. fid., 2006, p. 69 ss. Sulla Loi 19 février 2007, n° 2007-211, instituant la fiducie, cfr., nella letteratura italiana, Rottoli, La nuova “fiducie”, l’esperimento francese: analisi e commento del modello legislativo, in Riv. notar., 2009, p. 1323 ss.; Ugolini, La fiducie francese sepre più competitiva rispetto al trust?, in Contratto e impresa/Europa, 2010, p. 818 ss.
[25]
Già disponibile all’indirizzo web seguente: http://droitdutrust.online.fr/. L’articolo non è ora più online.
[26] «Cette convention reconnaît la difficulté pour les pays de droit civil
d’adapter leurs concepts juridiques ou de changer leur droit interne pour
appréhender le statut et les pouvoirs du trustee, la nature des intérêts des
bénéficiaires dans les droits du trust et les positions respectives du
constituant, du trustee et des bénéficiaires. Les pays de droit civil risquent
ainsi, en adoptant la convention, de reconnaître le trust seulement comme une
matière du droit international privé sans l’introduire dans leur droit interne.
D’autre part, différents milieux professionnels, spécialement le notariat et
les entrepreneurs privés, réclament l’introduction en droit français de
l’institution du trust ou d’une institution similaire. Ainsi, avec la
ratification de la Convention de la Haye, il sera possible de faire produire en
France des effets juridiques aux trusts étrangers. Face à cette éventualité,
les juristes d’affaires déplorent la perspective d’un système à sens unique
puisqu’ils ne pourront pas proposer à leurs clients une institution offrant des
avantages équivalents».
[27] Sul tema cfr. Moja, Il trust nell’esperienza di alcuni paesi di civil law ed il ruolo della legge di San Marino, disponibile all’indirizzo web seguente:
[28] Come fa Lupoi, Il contratto di affidamento fiduciario, cit.
[29] Cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit., p. 201 ss.; Id., Il trust familiare, cit., §§ 3 ss.
[30] Così Santoro, op. cit., p. 54.
[31] Broggini, Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Eur. dir. priv., 1998, p. 411 ss.
[32] «65. Les experts de la Commission spéciale et les délégations à la
Quinzième session étaient unanimes pour admettre la possibilité d’un choix de
la loi applicable. En revanche, l’exigence d’un lien objectif entre le trust et
la loi choisie, écartée à une faible majorité par la Commission spéciale, a été
reprise lors de la Quinzième session dans les mêmes termes par la délégation
hellénique (Doc. trav. No 32 ; Rapport de la Commission spéciale, No
54) :
Il peut ne pas être tenu compte
de ce choix lorsque il n’y a aucun lien [réel] avec la loi choisie.
Cette idée a rencontré une certaine sympathie, mais on a reproché au texte
de ne pas fournir au juge critères assez précis. L’opinion a prévalu qu’il
était préférable de réprimer les choix abusifs dans ce qui allait devenir
l’article 13 ou encore au moyen d’une réserve selon une proposition dont la
conférence était alors saisie (Doc. trav. No 28). Aussi la proposition précitée
a-t-elle été rejetée à une nette majorité».
[33] Sul tema v. Santoro, op. cit., p. 98 ss.
[34] Così Malatesta, Il trust nel diritto internazionale privato e
processuale italiano, al seguente sito
web: http://www.assotrusts.it/Pagine/trustcast.htm.
[35] Cfr. ad es. Trib. Bologna, 1
ottobre
[36] Cfr. von Overbeck, Rapport explicatif sur la Convention de La Haye du premier juillet 1985
relative à la loi applicable au trust et à sa reconnaissance, cit., n.
[37] Su cui cfr. Calvo, op. loc. ultt. citt.; cfr.
inoltre Lipari, Fiducia statica
e trusts, cit., p. 75; Lupoi, Legittimità dei trusts
interni, ivi, p. 41; Calò, Dal
probate al family trust, riflessi ed ipotesi applicative in
diritto italiano, cit., p. 99, nota 86.
[38] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 483 ss.; Id., «Prenuptial Agreements in Contemplation of Divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, pag. 171 ss.; Id., Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Temi e problemi del contratto, a cura di Roppo, Milano, 2006, p. 251 ss.
[39] Cfr. da ultimo Cass., 25 luglio 2006, n. 16978; v. inoltre Cass., 10 novembre 1989, n. 4769; Cass., 28 maggio 2004, n. 10378.
[40] Cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit., p. 207; a conclusioni analoghe perviene anche Galluzzo, Autonomia negoziale e causa istitutiva di un trust, cit., p. 703 (cui si fa rinvio anche per ulteriori richiami).
[41] Cfr. ad es. Bartoli e Muritano, Le clausole dei trusts interni, Torino, 2008, passim; v. inoltre Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, cit., passim; Bartoli, Trust e atto di destinazione nel diritto di famiglia e delle persone, cit., passim.
[42] Per un significativo caso in proposito v. Trib. Milano, 21 novembre 2002, in Trusts att. fid., 2003, p. 265; il caso trattato dalla sentenza di merito è stato definitivamente risolto a livello di legittimità da Cass., 13 giugno 2008, n. 16022, in Corr. giur., 2009, p. 215, con nota di Galluzzo; in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, p. 78, con commento di Martone; sulla decisione v. anche Rinaldi, Il riconoscimento del trust e i poteri del giudice: primi sforzi della giurisprudenza di legittimità, in Giust. civ., 2011, p. 263 ss.
[43] I rilievi sono stati
presentati da Lupoi nel corso del convegno dal titolo «Autonomia patrimoniale e
segregazione patrimoniale nel trust», organizzato dall’Associazione Avvocati
del Distretto di Torino e dall’Associazione «Il trust in Italia», svoltosi a
Torino il 24 gennaio 2004; per un approccio riconducibile alla stessa ratio cfr. anche Lupoi, Trusts,
cit., p. 551 ss.
[44] Cfr. Ragazzini, Trust «interno» e ordinamento giuridico italiano, in Riv. notar., 1999, p. 279 ss., 299 ss.
[45] Cfr. Trib. Velletri, 29 giugno 2005, cit.
[46] Cfr. Galluzzo, Autonomia negoziale e causa istitutiva di un trust, cit., p. 695 ss., spec. 699 ss.
[47] Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, V, Milano, 1994, p. 412; nello stesso senso v. anche Galluzzo, Autonomia negoziale e causa istitutiva di un trust, cit., p. 701.
[48] Cfr. Trib. Belluno, 25
settembre 2002, cit.
[49] Cfr. in particolare per
tutti gli stringenti rilievi di V. Mariconda,
Contrastanti decisioni sul trust interno:
nuovi interventi a favore, ma sono nettamente prevalenti gli argomenti contro
l’ammissibilità, cit., p. 57 ss.
[50] Cfr. V. Mariconda, op. loc. ultt. citt.
[51] Cfr. V. Mariconda, op. loc. ultt. citt. L’Autore precisa peraltro che altro discorso è
quello del trasferimento che il fiduciario faccia a favore del fiduciante, in
relazione al quale viene in considerazione, quale causa sufficiente a
sorreggere il trasferimento, quella desumibile dagli artt. 1706 cpv., 651, 627,
2034, 2058 c.c.
[52] Così Nivarra, Il trust e l’ordinamento
italiano, in Aa. Vv., Mandato fiducia e trust, esperienze
a confronto, a cura
di Alcaro e Tommasini, Milano, 2003, p. 23; cfr. inoltre Castronovo, Il trust e «sostiene
Lupoi», cit., p. 449; Galluzzo,
Autonomia negoziale e causa istitutiva di
un trust, cit., p. 701.
[53] Cfr. De Nova, Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi, in Trusts att. fid., 2000, p. 162 ss., spec. p. 168. Così anche La Porta, Cause traslative, autonomia privata ed opponibilità nel dibattito in materia di trust, in Quaderni del notariato, 2002, n. 7, secondo cui l’atto attributivo dei beni in trust va inserito tra gli atti ad effetto traslativo, operanti nel nostro ordinamento, in cui il trasferimento non avviene a titolo oneroso né gratuito, bensì risponde a schemi causali atipici, funzionali alla realizzazione degli interessi perseguiti attraverso il negozio. Contra V. Mariconda, Contrastanti decisioni sul trust interno: nuovi interventi a favore, ma sono nettamente prevalenti gli argomenti contro l’ammissibilità, cit., p. 81 ss., che nega la possibilità di ammettere nel nostro ordinamento l’operatività di una causa di trust (così come di una causa fiduciae) in ragione del «limite che l’autonomia privata incontra nella costruzione di diritti e vincoli reali diversi da quelli direttamente previsti dalla legge e nel perseguimento di obiettivi volti ad ostacolare la libera circolazione dei beni, a porre divieti di alienazione, ovvero ad effettuare la dissociazione permanente tra titolarità del bene e suo godimento».
[54]
In questo senso cfr. ad esempio Di Ciommo, Ammissibilità del trust interno e giustificazione causale dell’effetto
traslativo, Nota a Trib. Parma, 21 ottobre 2003 e Trib. Bologna, 1° ottobre
[55] Cfr. in particolare von Overbeck,
Rapport explicatif sur la Convention de La Haye du premier juillet 1985
relative à la loi applicable au trust et à sa reconnaissance, cit., n.
[56] Pugliatti, Fiducia e
rappresentanza indiretta, in diritto civile - Metodo, teoria, pratica,
Milano, 1951, p. 201 ss. Per una rivisitazione della teoria tradizionale
(contraria alla proprietà fiduciaria per il timore di uno «sdoppiamento del
diritto») sulla base di considerazioni legate non già alla pienezza del
diritto, ma alla sicurezza nella circolazione giuridica cfr. Montinaro, Trust e negozio di destinazione allo scopo, Milano, 2004, p. 170
ss.; l’Autrice sottolinea altresì la valenza meramente obbligatoria del pactum fiduciae, con conseguente
irrilevanza della mala fede del terzo, impossibilità di trascrizione e
inestensibilità interpretativa degli artt. 1707 c.c. e
[57] Così Chianale, Obbligazioni
di dare e atti traslativi solvendi causa, in Riv. dir. civ., II, 1989, p. 246 ss.; Id., Obbligazioni di
dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 48 ss., cui si fa
rinvio anche per ulteriori richiami dottrinali; analoghe considerazioni anche
in Sacco, in Sacco e De Nova,
Il contratto, nel Trattato di diritto civile diretto da
Sacco, II, Torino, 1993, p. 56; Di Majo,
Causa e imputazione negli atti solutori,
in Riv. dir. civ., I, 1994, p. 782,
il quale rileva che la causa solvendi
non intende porsi in concorrenza con la «regola consensualistica», che trova il
suo baricentro nell’art. 1376 c.c., ma, anzi, per così dire, affiancarla su
terreni sui quali quella regola non è destinata a trovare applicazione; cfr.
inoltre Scalisi, Negozio astratto, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 52
ss.; Sciarrone Alibrandi, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., in Riv.
dir. civ., II, 1989, p. 525 ss.; Maccarone,
Considerazioni d’ordine generale sulle
obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contr. e impr., 1998, p. 626 ss., 679 ss.; sulla distinzione
storica tra titulus e modus adquirendi cfr. Chianale, Obbligazioni di dare e trasferimento della proprietà, cit., p. 103
ss.; sull’applicazione specifica del tema della causa praeterita ai trasferimenti immobiliari e mobiliari tra coniugi in
crisi cfr. De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia
coniugale, I, Milano, 1991, p. 238, nota 242; Maccarone, Obbligazione
di dare e adempimento traslativo, in Riv.
notar., 1994, I, p. 1330 ss., Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari
in occasione di separazione e divorzio, in Fam. dir., 1995, p. 165 s.; Id., I contratti della
crisi coniugale, II, Milano, 1999, p. 1211 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi
in occasione di separazione e divorzio, Milano, 2000, p. 3 ss.; Id., I
trasferimenti patrimoniali in occasione della separazione e del divorzio, in Familia, 2006, p. 181 ss.; Id.,
Contratto e famiglia, cit., p. 323
ss.
[58] Così Maccarone, Obbligazione di dare e adempimento traslativo, cit., p. 1334; Id., Considerazioni
d’ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, cit., p.
679.
[59] Sul punto, nel medesimo
senso, e anche per approfondimenti e ulteriori rinvii, v. Galluzzo, Autonomia negoziale e causa istitutiva di un trust, cit., p. 704
ss. L’Autore rileva, tra l’altro, che la tesi qui criticata si risolve in una interpretatio
abrogans dell’art. 2740 c.c. che vieta tout court ogni forma di
limitazione della responsabilità che non sia prevista dalla legge: «non si
vede, infatti, per quale motivo, se ai privati fosse davvero concesso di
realizzare liberamente ipotesi di separazione atipiche, venga conservata nel
nostro codice una norma che, invece, chiaramente vieta di realizzare nuove
forme di limitazione di responsabilità al di fuori delle fattispecie ammesse
dalla norma».
[60] Trib. Velletri, 29 giugno 2005, cit.
[61] In questo senso cfr. Franco, op. cit., p. 315 s., nota 3.
[62] Confortini, Vincoli di destinazione, in Dizionario
di diritto privato, a cura di Irti, I, Milano, 1980, p. 871 ss.; Alpa, Destinazione dei beni e struttura della proprietà, in Riv. notar., 1983, I, p. 6 ss.; Fusaro, voce Destinazione (vincoli di), in Dig.
disc. priv., Sez. civ., V, Torino, 1989, p. 321 ss.; Id., Vincoli
temporanei di destinazione e pubblicità immobiliare, in Contr. e impr., 1993, p. 820 ss.; Id., “Affectation”,
“Destination” e vincoli di destinazione, in Aa.
Vv., Scritti in onore di Rodolfo Sacco. La comparazione giuridica alle
soglie del terzo millennio, II, Milano, 1994, p. 455 ss.; Id., I
vincoli contrattuali di destinazione degli immobili, in Aa. Vv.,
I contratti del commercio, dell’industria
e del mercato finanziario, Trattato diretto da Galgano, III, Torino, 1995; La Porta, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1994; M.
Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996; Palermo, Autonomia negoziale e fiducia
(Breve saggio sulla libertà dalle forme), in Riv. giur sarda, 1999, p. 571 ss.; Id., Sulla riconducibilità del «trust
interno» alle categorie civilistiche,
in Riv. dir. comm., 2000, p. 133 ss.; Id., Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione
disciplinati dal diritto italiano,
in Riv. dir. comm., 2001, p. 391 ss.; Aa. Vv., Destinazione di beni allo scopo. Strumenti
attuali e tecniche innovative, Atti della giornata di studio, cit.; Montinaro, Trust e negozio di destinazione allo scopo, cit.; R. Quadri, La destinazione patrimoniale. Profili normativi e autonomia privata,
Napoli, 2004. Con specifico riferimento alla materia familiare cfr. Cesàro, Patrimoni destinati nell’interesse della famiglia tra diritto positivo
e prospettive di disciplina del trust, in Aa.
Vv., Destinazione
di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Atti della
giornata di studio, cit., p. 81 ss.; Tassinari, Patrimoni
privati e destinazioni a tutela della famiglia, ibidem, p. 53 ss.; Viglione, Vincoli di destinazione nell’interesse familiare, Milano, 2005; Di Sapio, Patrimoni
segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto di
destinazione, loc. cit.
[63] Cfr. ex multis Palermo, Ammissibilità e disciplina del negozio di destinazione, in Aa. Vv., Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, cit., p. 243 ss., 250 ss.
[64] Messinetti, Il concetto di patrimonio separato e la c.d. «cartolarizzazione» dei crediti, in Riv. dir. civ., 2002, II, p. 101.
[65] Cfr. Zoppini, Autonomia e separazione del patrimonio nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 545 ss., 561 s.
[66] Così, invece, Palermo, Ammissibilità e disciplina del negozio di destinazione, cit., p. 250 s.
[67] Di conversione con modifiche del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273 («Recante definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi all’esercizio di deleghe legislative»).
[68] Cfr. Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 1 ss., spec. 34 ss. (secondo l’Autore «sembra che gli elementi essenziali, caratterizzanti il trust “convenzionale”, ricorrano anche nella fattispecie in esame»: cfr. p. 35).
[69] Cfr. Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust,
cit. p. 172:
«in breve, direi che l’ “atto di destinazione” è un frammento di trust; tutto
ciò che è nell’ “atto di destinazione” è anche nei trust, ma i trust si
presentano con una completezza di regolamentazione e una collocazione nell’area
della fiducia che l’ “atto di destinazione” non presenta». Lo stesso Autore,
prima dell’entrata in vigore dell’art. 2645-ter
c.c. aveva del resto lucidamente tracciato la linea di demarcazione tra il
fenomeno del trust e la destinazione
ad uno scopo eventualmente posta in essere sulla base dei principi di diritto
interno dell’autonomia privata: «come la giurisprudenza ha perfettamente
compreso, i trust selezionano
interessi meritevoli di tutela e li proteggono meglio di quanto faccia o possa
fare il nostro diritto interno; per questa ragione è destinata a rimanere
esercitazione accademica la pur interessante tesi di chi vorrebbe ricondurre i trust al nostro tradizionale
strumentario, avvalendosi del principio dell’autonomia privata. Infatti, un trust è molto più di un atto di
segregazione. Da un lato, esso vive in un quadro di riferimento che non è
possibile riprodurre convenzionalmente; dall’altro, se si guarda alla selezione
degli interessi, esso è essenzialmente rivoluzionario per la ragione che
sovverte le priorità tipiche del nostro ordinamento, senza tuttavia violarne i
principi fondamentali. Sta qui, a ben vedere, la chiave di lettura dell’enorme
interesse che i trust stanno
suscitando» (cfr. Lupoi, I trust nel diritto civile, Torino,
2004, p. 266).
[70] Cfr. Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 40: «Il nuovo
art. 2645‑ter c.c. non incide
sulla questione dell’ammissibilità del trust interno, cioè del trust regolato
da legge straniera in assenza di altri “elementi di estraneità”: questione di
natura squisitamente internazionalprivatistica, da risolversi alla luce degli
argomenti interpretativi già sviluppati dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Tale disposizione sembra, invece, risolvere definitivamente il problema della
trascrivibilità del trust, contenendo una norma che – oltre a legittimare
espressamente la trascrizione di atti di destinazione – prevede testualmente ed
in linea generale il “fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di
destinazione”, e dispone specificamente la preclusione dell’esecuzione forzata
sui beni oggetto di vincolo, salvo che per debiti contratti per lo scopo di
destinazione». Contra D’Errico, Trascrizione del vincolo di destinazione, cit., p. 2: «le
caratteristiche strutturali, effettuali e rimediali del trust, diverse da
quelle del negozio di destinazione, ne impediscono la riconducibilità nella
categoria generale dell’art. 2645 ter
c.c., e conseguentemente impediscono di ottenerne la trascrizione utilizzando questo
percorso normativo. Trattandosi di vicende incompatibili, – da una parte la
destinazione negoziale tipizzata di cui all’art. 2645 ter c.c., dall’altra il trust disciplinato dalla Convenzione de
L’Aja, – non si potrebbe argomentare dall’una per stabilire quale sia la
disciplina dell’altra, men che meno in punto di trascrizione, là dove il
principio di tipicità (art. 2672 c.c.) osta ad applicazioni analogiche o
interpretazioni estensive, perché, come ammonisce la Corte Costituzionale con
sentenza 111 del
[71]
Cfr. Risso e Muritano, Il trust: diritto interno e
Convenzione de L’Aja. Ruolo e responsabilità del notaio, Studio approvato dal Consiglio
Nazionale del Notariato il 10 febbraio 2006. Nel senso che l’art. 2645-ter c.c. costituirebbe «il completamento
normativo (finora mancante) della previsione dell’art. 12 della convenzione
dell’Aja del 1985 relativa alla legge applicabile ai trusts e al loro
riconoscimento» v. Molinari, Gli effetti della trascrizione dell’atto di
destinazione nei confronti dei creditori e dei terzi aventi causa, testo
dattiloscritto della relazione agli atti del convegno organizzato da Paradigma
a Milano il 22 maggio 2006, cit., p. 2, nota 4. Anche secondo Del Federico, Trust interno e regime fiscale
degli atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di
tutela ai sensi del nuovo articolo 2645-ter del codice civile,
disponibile alla pagina web seguente:
http://www.delfederico.it/ita/pub/pubblicazioni62.htm, «La norma in argomento sembrerebbe configurare la prima applicazione nel nostro ordinamento giuridico dell’Istituto del trust, in quanto si può attribuire un vincolo di destinazione specifico a beni immobili e mobili registrati per destinarli ad interessi meritevoli di tutela. Si può individuare, così, per il nostro ordinamento la prima figura di trust interno, seppur il vincolo di cui all’art. 2645-ter non coincida esattamente con il concetto di trust e si debba ritenere ben più simile a quello del fondo patrimoniale».
[72] Cfr. Fanticini, op. cit., p. 347. Anche M. Bianca, Il nuovo art. 2645-ter c.c. Notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste, cit., p. 187, afferma che «sarebbe non corretto dire che l’art. 2645-ter, anche se non nomina il trust, in realtà lo introduce». Pure Mastropietro, op. loc. ultt. citt. sottolinea la «profonda differenza» dell’istituto in esame rispetto al modello del trust.
[73] Cfr. di Landro, L’art. 2645-ter c.c. e il trust. Spunti per una comparazione, loc. cit. Secondo tale Autrice, l’art. 2645-ter c.c. «abbatte le riserve di compatibilità con l’ordinamento dello strumento convenzionale, in rapporto all’art. 2740 c.c. ed al parametro dell’ordine pubblico, anche interno. In prima conclusione (…) può dirsi che l’art. 2645-ter c.c., come norma generale sulla destinazione allo scopo, può essere invocata per dimostrare la compatibilità con l’ordinamento giuridico e l’ammissibilità (almeno) del suddetto effetto di destinazione [quello, cioè, previsto dalle norme della nota convenzione de L’Aja]. La norma, nel prevedere un istituto sostanzialmente affine al trust convenzionale quanto alla sua “funzione economica”, può essere richiamata proprio quale parametro per l’art. 13 della Convenzione (che fa riferimento a “elementi importanti” del trust da riconoscere, connessi a Stati “che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”), e per fugare ogni riserva sulla compatibilità dell’effetto con l’ordine pubblico».
[74] Cfr. ad es. Trib. Modena, 11 dicembre 2008, in Dir. fam. pers., 2008, p. 1256 ss.; v. inoltre Trib. Brindisi, 28 marzo 2011, in www.mpotrustee.it/tribunale-di-brindisi-sentenza-del-28-marzo-2011.html.
[75] Sul tema della meritevolezza ex art. 2645-ter c.c. cfr. anche Anzani, op. cit., p. 408 ss.; D’Aprea, op. loc. ultt. citt.; Ghironi, op. loc. ultt. citt.; Rossi, op. loc. ultt. citt.
[76] De
Nova, Esegesi dell’art. 2645 ter cod. civ., cit., p. 1: «Lo scopo deve essere necessariamente indicato nell’atto di
destinazione, che non può essere atto astratto (potremmo parlare di expressio finis)».
[77] In questo senso v. anche Fanticini, op. cit., p. 333, secondo cui la forma solenne impone al notaio
rogante di esplicitare nell’atto pubblico l’interesse meritevole di tutela, «il
che fornisce anche la giustificazione del vincolo di destinazione impresso ai
beni». Contra, nel senso che la forma
solenne sarebbe richiesta solamente ai fini dell’opponibilità, v. gli Autori
citati infra, § 13.
[78] In questo senso v. Fanticini, op. cit., p. 335, il quale cita Cass., 5 gennaio 1994, n. 75.
Secondo l’Autore, tale sentenza riporta ad assenza di meritevolezza quella che
sembrerebbe essere l’inidoneità in concreto della causa negoziale. Sempre
secondo l’Autore, Cass., 20 settembre 1995, n. 9975, sanziona con la nullità
per immeritevolezza di tutela un negozio che limitava le possibilità del socio
di liberarsi delle proprie quote, ritenendolo però anche in concreto contrasto
con il principio dell’ordinamento che vieta l’assunzione di obbligazioni di
durata indeterminata.
[79] Cfr. ad es. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 3, secondo il quale dal
1942 ad oggi una sola sentenza avrebbe dichiarato un contratto atipico lecito, ma
immeritevole di tutela; l’Autore cita in proposito App. Milano, 29 dicembre
[80] Cfr. ad esempio Cass., 23
febbraio 2004, n.
[81] Così Cass. 6 febbraio 2004,
n.
Per una sintesi della giurisprudenza in tema di meritevolezza cfr. Urciuoli, Liceità della causa e
meritevolezza dell’interesse nella prassi giurisprudenziale, in Rass.
dir. civ., 1985, p. 752 ss.; Gardani
Contursi-Lisi, Contratti atipici, I, in Giurisprudenza
sistematica di diritto commerciale,
diretta da Bigiavi, Torino, 1997, p. 81 ss.; Breccia, La causa, in Alpa,
Breccia e Liserre, Il
contratto in generale, III, nel Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, XIII, Torino,
1999, p. 97 ss. La tesi di cui al testo è stata già espressa in Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e
differenze, cit., p. 379 ss.; aderisce a tale impostazione, pur non citandola,
anche Rossi, op. loc. ultt. citt., ad avviso della quale non è possibile «appiattire questo giudizio
[cioè quello di meritevolezza, n.d.a.] in quello di illiceità. L’ansia che
indubbiamente tale controllo porta con sé, soprattutto per le conseguenze che
potrebbero derivare da un successivo giudizio di immeritevolezza, compiuto a
posteriori dal giudice, non può condurre a risolvere la stessa valutazione di
meritevolezza in criterio interpretativo. I parametri da seguire devono essere
altri e spetta alla dottrina approfondire il tema e trovare una soluzione
pratica da seguire nel quotidiano». Pure per D’Aprea,
op. loc. ultt. citt., si deve «restituire autonomia al giudizio di
meritevolezza rispetto a quello di liceità, o intendendo la meritevolezza come
parametro di rilevanza della regolamentazione negoziale, o reinterpretando il
canone di utilità sociale attraverso il principio di solidarietà contrattuale».
[82] Secondo Roppo, Il contratto, Trattato di diritto privato, diretto da Iudica e Zatti, Milano, 2001, p. 425: «Si obietterà che in questo modo l’art. 1322, secondo comma, diventa un inutile doppione dell’art. 1343. Se anche fosse, una norma inutile perché ripetitiva sarebbe pur sempre preferibile a una norma con significati ripugnanti al sistema». Nello stesso senso v. anche Ferri, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale, in Riv. dir. comm., 1971, II, p. 81 ss. Sul tema v. anche Velluzzi, Commento a Trib. Brindisi, 21 giugno 2005, cit., p. 888 ss., anche per ulteriori rinvii.
[83] Sul punto cfr. per tutti De Nova, voce Leasing, in Dig. disc. priv., sez. civ., X, Torino, 1993, p. 466.
[84] Betti, Teoria generale
del negozio giuridico, Torino, 1950, p. 190 ss.
[85] Estremamente significative
appaiono sul punto le parole della Relazione al Re del Ministro Guardasigilli
per l’approvazione del testo del codice civile (n. 613), secondo cui la
funzione economico-sociale che caratterizza la causa del contratto dovrebbe
essere «non soltanto conforme ai precetti di legge, all’ordine pubblico e al
buon costume, ma anche per i riflessi diffusi dall’art. 1322, secondo comma,
rispondente alla necessità che il fine intrinseco del contratto sia socialmente
apprezzabile e come tale meritevole della tutela giuridica (n. 603)». E il n.
603, cui fa espresso rinvio il passo appena citato, contiene le affermazioni
seguenti: «603. ‑ Se si traggono le logiche conseguenze dal principio
corporativo che assoggetta la libertà del singolo all’interesse di tutti, si
scorge che, in luogo del concetto individualistico di signoria della volontà,
l’ordine nuovo deve accogliere quello più proprio di autonomia del volere.
L’autonomia del volere non è sconfinata libertà del potere di ciascuno, non fa
del contratto un docile strumento della volontà privata; ma, se legittima nei
soggetti un potere di regolare il proprio intereresse, nel contempo impone ad
essi di operare sempre sul piano del diritto positivo nell’orbita delle
finalità che questo sanziona e secondo la logica che lo governa (art. 1322,
comma primo). Il nuovo codice, peraltro, non costringe l’autonomia privata a
utilizzare soltanto i tipi di contratto regolati dal codice, ma le consente di
spaziare in una più vasta orbita e di formare contratti di tipo nuovo se il
risultato pratico che i soggetti si propongono con essi di perseguire sia
ammesso dalla coscienza civile e politica, dall’economia, nazionale. dal buon
costume e dall’ordine pubblico (art. 1322, comma secondo): l’ordine giuridico
infatti non può apprestare protezione al mero capriccio individuale, ma a
funzioni utili, che, abbiano una rilevanza sociale, e, come tali, meritino di
essere tutelate dal diritto. Si pensi per esempio, ad un contratto col quale alcuno
consenta, dietro compenso, all’astensione da un’attività produttiva o a una
esplicazione sterile della propria
attività, personale o a una gestione antieconomica o distruttiva di un
bene soggetto alla sua libera disposizione, senza una ragione socialmente
plausibile, ma solo per soddisfare il capriccio o la vanità della controparte.
Un controllo della corrispondenza obiettiva del contratto alle finalità
garantite dall’ordinamento giuridico è inutile se le parti utilizzano i tipi contrattuali
legislativamente nominati e specificamente disciplinati: in tal caso la
corrispondenza stessa è stata apprezzata e riconosciuta dalla legge col disciplinare
il tipo particolare di rapporto e resta allora da indagare (…) se per avventura
la causa considerata non esista in concreto o sia venuta meno. Quando il
contratto non rientra in alcuno degli schemi tipici legislativi, essendo
mancato il controllo preventivo e astratto della legge sulla rispondenza del
tipo nuovo di rapporto alle finalità tutelate, si palesa invece necessaria la
valutazione del rapporto da parte del giudice, diretta ad accertare se esso si adegui ai postulati
dell’ordinamento giuridico».
[86] Cfr. Di Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto
di destinazione, cit., p. 27.
[87] Sul tema cfr. Cosentino, Il paternalismo del legislatore nelle norme di limitazione
dell’autonomia dei privati, in Quadrimestre,
1993, p. 119 ss., 132 s.; v. inoltre Caterina,
Paternalismo e antipaternalismo nel
diritto privato, in Riv. dir. civ.,
2005, II, p. 771 ss.
[88] Cfr. ad es. Barcellona, Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti
economici, Milano, 1969, p. 220 ss., 225; Lucarelli,
Solidarietà e autonomia privata,
Napoli, 1970, p. 170 ss.; Nuzzo, Utilità sociale e autonomia privata,
Milano, 1975, p. 97 ss.; Costanza,
Meritevolezza dell’interesse e equilibrio
contrattuale, in Contratto e impresa,
1987, p. 428.
[89] Più che apprezzabili appaiono pertanto i tentativi che la dottrina più recente ha effettuato per dimostrare l’autonomia del giudizio di meritevolezza rispetto a quello di liceità (su cui v., anche per i richiami, Velluzzi, Commento, cit., p. 889 s.). Così, vi è chi sostiene, ad esempio, che la «valutazione di meritevolezza ha la finalità, ben diversa, di escludere dalla tutela espressioni di autonomia privata che mirino a risultati palesemente futili, privi di rilievo» (Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2001, p. 187 s.). Seguendo questa direzione altra dottrina estende il controllo di meritevolezza alle manifestazioni della libertà contrattuale «lecite e ammesse ma sprovviste di tutela (incoercibili) e infine a quelle tutelabili tra le parti ma non anche rispetto ai terzi danneggiati» (Di Marzio, Il contratto immeritevole nell’epoca del postmoderno, in Aa. Vv., Illiceità, meritevolezza, nullità. Aspetti problematici dell’invalidità contrattuale, a cura di Di Marzio, Napoli, 2004, p. 141), con un evidente richiamo al tema del «contratto futile». Non è mancato anche chi ha ritenuto immeritevole il contratto che non si rivela in grado di realizzare gli stessi interessi che esso esprime (cfr. Gentili, Merito e metodo nella giurisprudenza sulle cassette di sicurezza: a proposito della meritevolezza di tutela del contratto «atipico», in Riv. dir. comm., 1989, I, p. 221 ss., 234 s.).
[90] La dottrina limita
tradizionalmente l’ambito di applicazione del controllo di meritevolezza ai
contratti atipici: cfr. al riguardo le riflessioni di Messineo, Dottrina
generale del contratto (artt. 1321 – 1469 cod. civ.), Milano, 1952, p. 225;
Scognamiglio, Dei contratti in generale. Disposizioni preliminari. Dei requisiti del
contratto. Art. 1321-1352, Bologna-Roma, 1970, p. 42 s.; Mirabelli, Dei contratti in generale, Torino 1980, p. 31; Sacco, in Sacco e De Nova,
Il contratto, nel Trattato di diritto civile diretto da
Sacco, II, Torino, 1993, p. 446 ss. Contra C.M. Bianca, Diritto civile, III, Il
contratto, Milano 1984, p. 450.
[91] Sul tema v. per tutti Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 1 ss.; cfr. inoltre De Nova, Esegesi dell’art. 2645 ter cod. civ., cit., p. 1 ss.; M. Bianca, L’atto di destinazione: problemi applicativi, cit., p. 1 ss.; Spada, Il vincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo, cit., p. 1 ss.
[92] Nel senso che «la
fattispecie delineata dal legislatore ha una propria tipicità, sia pure affatto
particolare» v. anche Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., §
2. Il medesimo Autore, peraltro, poco oltre, sembra contestare siffatta
tipicità, affermando che, «Nel nostro caso (…) si assisterebbe ad un ben strano
fenomeno, per cui la tipicità riguarderebbe il modello, ma non il contenuto,
nel senso cioè di tipizzare lo schema, rinviando però poi all’autonomia privata
il compito di riempire lo schema stesso di qualsivoglia regolamento
disciplinare. Questa non è la tipicità dei diritti reali e nemmeno in verità
quella dei contratti, là dove, in virtù dell’art. 1322¹ c.c., i privati possono
bensì liberamente operare all’interno della disciplina del tipo, ma rispettando
le norme imperative e restando comunque vincolati a tutte le norme non
derogate». In realtà, non sembra possibile legare la tipicità di una figura
negoziale al livello di dettaglio della normativa dettata al riguardo,
potendosi riconoscere come tipico quel negozio di cui il legislatore descrive
fattispecie ed effetti, anche se in modo sommario (e, purtroppo, anche confuso,
misterioso e/o contraddittorio), proprio come avviene nel caso in esame. Non
sembra poi possibile operare una distinzione tra atto nominato e atto tipico,
secondo l’avviso di chi propone di ritenere che il negozio in questione sia,
per l’appunto, nominato (in quanto espressamente previsto dal legislatore), ma
non tipico, per il difetto di disciplina al riguardo. Come si è già avuto modo
di vedere (cfr. supra, § 1) un abbozzo di disciplina della fattispecie, per quanto
embrionale, vi è. Il fatto è che bisogna ammettere che il legislatore ha
inserito in un atto tipico, a struttura potenzialmente anche bilaterale, una
valutazione di meritevolezza che normalmente è riservata ai contratti atipici.
Solo che questa valutazione non si riferisce, come si dirà subito nel testo, al
tipo, ma al motivo perseguito dal costituente.
[93] E a condizione che si tratti del solo determinante e che emerga dall’atto; si vedano in proposito anche gli artt. 647, terzo comma, e 794 c.c. in tema di onere illecito e impossibile nelle disposizioni testamentarie e nelle donazioni, nonché l’art. 1345 c.c. in materia di motivo contrattuale illecito.
[94] Cfr. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1950, p. 190 s.,
secondo cui «La configurazione per tipi non si
opera di necessità mediante qualifiche tecnico-legislative: essa può
operarsi anche mediante rinvio a quelle che sono le concezioni dominanti nella coscienza sociale dell’epoca nei vari
campi dell’economia, della tecnica e della morale. Codesta appare infatti la
via preferibile appena il bisogno di tutela giuridica dell’autonomia privata si
faccia sentire in una sfera così ampia da far divenire le denominazioni
tradizionali inadeguate e insufficienti ad esaurirne il campo. Allora, al posto
della rigida tipicità legislativa imperniata sopra un numero chiuso di
denominazioni subentra un’altra tipicità, che adempie pur sempre il compito di
limitare e indirizzare l’autonomia privata, ma, a paragone di quella, è assai
più elastica nella configurazione dei tipi e in quanto si opera mediante rinvio
alle valutazioni economiche o etiche della coscienza sociale, si potrebbe chiamare
tipicità sociale». Aderisce a questa
impostazione anche Scognamiglio, op. loc. ultt. citt.
[95] Così Scognamiglio, op. cit., p. 43. Si noti che tanto questo Autore, come quelli sopra citati (cfr. in particolare Messineo, op. loc. ultt. citt.; Mirabelli, op. loc. ultt. citt.; Sacco, in Sacco e De Nova, op. loc. ultt. citt.) espressamente riferiscono la valutazione di meritevolezza ex art. 1322 cpv. c.c. alla causa del contratto atipico.
[96] Cioè al notaio e, come si
avrà modo di vedere oltre (cfr. infra,
§§ 13 s.), talora anche al cancelliere, sotto la
direzione del giudice. Nel senso che compete al notaio, come pubblico ufficiale
rogante l’atto, la valutazione sulla meritevolezza di tutela, v. Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 16 (secondo cui
«la necessaria valutazione di meritevolezza degli interessi valorizza il ruolo
del notaio. In assenza di meritevolezza l’atto non sarà ricevibile»). Anche
secondo Franco, op. cit., p. 323, il notaio è «il
soggetto deputato naturalmente alla valutazione in ordine alla meritevolezza
degli interessi che si intendono realizzare»; per Nuzzo, Atto di
destinazione, interessi meritevoli di tutela e responsabilità del notaio,
cit., p. 6 «spetta al notaio valutare la meritevolezza dell’interesse alla
destinazione, salvo il successivo controllo del giudice al quale i creditori si
rivolgano contestando la liceità dell’atto o l’esistenza dell’interesse
meritevole di tutela o esercitando le azioni revocatorie».
[97] L’espressione sarebbe stata pronunziata da Busnelli nel corso del convegno su Liberalità e prassi negoziale, organizzato dal Comitato Regionale Notarile della Calabria, tenutosi a Tropea il 9 e 10 giugno 2006, secondo quanto riferito da Di Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione, cit., p. 28, nota 85.
[98] Cfr. Di Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione, cit., p. 29.
[99] Anche per D’Aprea, op. loc. ultt. citt., «Il filtro della meritevolezza, in assenza di una precisa disposizione normativa, è necessariamente rimesso al notaio che viene a ricoprire il delicato ruolo di garante degli equilibri tra le finalità perseguite dai protagonisti dell’operazione negoziale destinatoria e dai terzi. È fondamentale, pertanto, l’individuazione dei compiti a carico del notaio rogante nel ricevimento dell’atto negoziale di destinazione allo scopo prospettato dal richiedente».
[100] Ai sensi dell’art.
[101] Cfr. ad esempio Cass., 11
novembre 1997, n. 11128, cit., secondo cui «In tema di responsabilità
disciplinare dei notai, il divieto, imposto dall’articolo 28 comma primo n. 1
della legge 16 febbraio 1913, n. 89, sanzionato con la sospensione a norma
dell’art. 138 comma secondo di ricevere atti “espressamente proibiti dalla
legge” attiene ad ogni vizio che dia luogo ad una nullità assoluta dell’atto,
con esclusione, quindi, dei vizi che comportano l’annullabilità o l’inefficacia
dell’atto (ovvero la stessa nullità relativa) ed è sufficiente che la nullità
risulti in modo inequivoco».
[102] Secondo Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 16, «Più delicato
e da verificarsi caso per caso è il profilo dell’applicabilità dell’art.
[103] Di Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione, cit., p. 29.
[104] E’ evidente che, in caso contrario, il problema non potrebbe neppure porsi.
[105] Sempre – e non ci si stancherà mai di ripeterlo – che il notaio e il giudice abbiano ritenuto di dover superare positivamente (ciò che chi scrive contesta) il giudizio di ammissibilità in abstracto del trust interno.
[106] Cfr. per tutti Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 16: «Da rilevare
che il riscontro della meritevolezza
degli interessi non costituisce una novità assoluta ai fini di cui
trattasi, posto che analoga incombenza sussisteva, e sussiste, a proposito del trust come
riconosciuto dalla Convenzione dell’Aja del l° luglio 1985: si ritiene,
infatti, che l’art. 13 di tale Convenzione (…) tende ad impedire il
riconoscimento di quei trusts che risultino non meritevoli di tutela. Ciò, del
resto, non deve stupire, posto che l’esigenza del controllo di meritevolezza è
propria di ogni “schema atipico”, si tratti di contratti diversi da quelli
espressamente disciplinati o di una struttura generale come il trust (o vincolo
di destinazione), che rappresenta un “contenitore” suscettibile di essere
“riempito” con i più svariati contenuti».
[108] Di quanto sopra sembrano rendersi conto anche alcuni tra i fautori dell’ammissibilità del trust interno. Così ad es. Fanticini, op. cit., p. 339, dopo aver rilevato che, secondo Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, cit., il legislatore della legge 9 ottobre 1989, n. 364, ratificando la convenzione de L’Aja dell’1 luglio 1985 «ha attribuito al trust amorfo o shapeless (quello risultante dalla generica formulazione dell’art. 2 della Convenzione) una causa tipica riconoscendo la meritevolezza degli interessi tutelati con il trust», conclude che «se la tesi espressa dal Tribunale di Bologna fosse corretta, l’istituto del trust non potrebbe considerarsi atipico e perciò potrebbe ragionevolmente dubitarsi dell’applicabilità dell’art. 2645-ter a tale istituto».
[109] Favorevole a questa tesi è, ad esempio, Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 4; cfr. inoltre gli Autori che verranno citati oltre, nell’ambito di questo §.
[110] In questo senso v. De
Nova, Esegesi dell’art. 2645 ter cod. civ., cit., p. 2: «Credo poi che per ritenere integrato questo requisito non sia
per un verso necessario che lo scopo sia di utilità sociale, e non sia per
altro verso sufficiente che lo scopo non sia illecito (come alla fine ci si
accontenta sia la causa del contratto ex
art. 1322): lo scopo deve meritare apprezzamento positivo».
[111] In questo senso v. per tutti Petrelli,
La trascrizione degli atti destinazione,
cit., p. 17, secondo cui «tale salvaguardia costituisce semmai l’ “effetto” del
vincolo di destinazione, ma non la “causa” del medesimo, che deve rinvenirsi in
un ulteriore interesse del
beneficiario (che può essere il medesimo costituente un terzo),
meritevole di tutela a norma dell’art. 1322 c.c.». Per M. Bianca, Il nuovo art. 2645-ter c.c.
Notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste,
cit., p. 190, «Il giudizio di meritevolezza, inteso non solo quale assenza di
illiceità, ma quale strumento di bilanciamento di valori, dovrebbe condurre a
una selezione delle applicazioni dell’atto negoziale di destinazione, al fine
di realizzare un’attuale competitività dello stesso. Un’utilizzazione
squilibrata di questo strumento porterebbe infatti al paradosso di negare
qualsiasi credito o finanziamento in presenza dell’applicazione dell’art. 2645-ter. Un’applicazione coerente
consentirebbe invece di selezionare i canali di finanziamento sulla base delle
finalità destinatorie».
[112] Cfr. App. Roma, 4 febbraio 2009, in Dir. fam. pers., 2009, p. 665.
[113] Cfr. Trib. Roma, 8 settembre 2008, in Dir. fam. pers., 2009, p. 697; la decisione viene ingiustamente (e immotivatamente) criticata come «a carattere nettamente involutivo» da Rispoli, op. cit., p. 320.
[114] Cfr. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 4.
[115] Così Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 4. Sul rapporto tra fondazioni e pubblica utilità cfr. Cesàro, Patrimoni destinati nell’interesse della famiglia tra diritto positivo e prospettive di disciplina del trust, cit., p. 87 ss.; Tassinari, Patrimoni privati e destinazioni a tutela della famiglia, cit., p. 58 s.
[116] Così Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 4.
[117] Cfr. de Donato, Elementi dell’atto di destinazione, testo dattiloscritto agli atti del Convegno sul tema «Atti notarili di destinazione dei beni: Articolo 2645 ter c.c.», cit., p. 3.
[118] Circa l’espressa menzione
legislativa delle «persone con disabilità» si è rilevato che, poiché costoro
sono certamente da annoverare – senza distinzioni – tra le «persone fisiche»
(pure menzionate dalla norma), non era certo necessario esplicitare a livello
normativo la differenza tra i disabili e gli altri soggetti; anzi, proprio
all’eliminazione di una siffatta discriminazione dovrebbero tendere la l. 5
febbraio 1992, n. 104 («Legge‑quadro per l’assistenza, l’integrazione
sociale e i diritti delle persone handicappate») e la l. 6 marzo 2006, n. 67
(«Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni»).
Si è osservato quindi che nella specie si dovrebbe riconoscere «l’esistenza di
un’imperdonabile gaffe del legislatore, che – a quanto pare – è il primo a
praticare discriminazioni in pregiudizio delle persone con disabilità»: cfr. Fanticini, op. cit., p. 350. Anche Gazzoni,
Osservazioni sull’art. 2645 ter,
cit., § 1, osserva come, sul piano terminologico, appaia «singolare (e
deplorevole) che si parli di persone con disabilità (ennesimo neologismo
per indicare gli handicappati, divenuti poi disabili e poi ancora
diversamente abili) come di soggetti distinti e quindi diversi dalle
altre persone fisiche». Da aggiungere che a tutela di un «soggetto debole», il
giudice tutelare di Genova ha nominato un amministratore di sostegno,
conferendogli tra l’altro l’incarico di istituire un trust in favore della persona beneficiaria della misura prevista
dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6; la motivazione del provvedimento è
espressamente richiamato l’articolo 2645‑ter (cfr. Trib. Genova, 14 marzo
[119] Anche Spada, Il vincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo,
cit., p. 4, è
dell’avviso che «debba prendersi atto che il riferimento ai “disabili” ed alle
pubbliche amministrazioni orienti a sanzionare la separazione da destinazione
solo se manifestazione dell’autonomia della solidarietà; in forza di
questo addentellato testuale resistendo così alla deriva a fare della
destinazione un deforme succedaneo del trust, a servizio di qualsiasi
finalità, con sostanziale abrogazione dell’art. 2740 c.c. e sabotaggio di un
sistema che esibisce destinazioni nominate e variamente vincolate negli scopi».
Nel medesimo senso cfr. poi anche Galluzzo, Selezione degli “interessi meritevoli di tutela” nell’applicazione
dell’art. 2645-ter c.c., cit., p.
404, ad avviso del quale «una lettura sistematica della norma sembrerebbe
suggerire che l’ambito di operatività dell’art. 2645-ter c.c. sia limitato da una parte dalla natura degli interessi perseguibili
per il tramite del relativo negozio di destinazione, che, per rientrare
nell’ambito di meritevolezza di cui alla norma, devono comunque perseguire (…)
scopi “attinenti alla solidarietà sociale” e appartenere a “classi” di
interessi già tutelati dal legislatore; dall’altra parte, al fine di evitare
inutili duplicazioni o eccessive deroghe alla disciplina delle ipotesi di
destinazione specificamente normate dal legislatore, occorre che lo scopo
perseguito attraverso il ricorso alla destinazione ex art. 2645-ter c.c. non
sia esattamente sovrapponibile all’interesse che l’ordinamento consente di
perseguire per mezzo delle ipotesi di destinazione espressamente normate dalla
legge, per le quali – esistendo un istituto già previsto dal legislatore – sarebbe,
secondo parte della dottrina, più difficile giustificare il ricorso a forme di
destinazione sorrette dal più incerto richiamo ai principi di cui all’art. 1322
c.c.». Per un richiamo a concetti quali l’«utilità pubblica» o l’«utilità
sociale» cfr. R.
Quadri, L’art. 2645-ter e la nuova
disciplina degli atti di destinazione, cit., p. 1573 ss.; Anzani, op. cit., p. 408. Per la giurisprudenza v. Trib. Vicenza, 31 marzo
2011, in Corr. merito, 2011, p. 806,
con nota di Rispoli; in Corr. giur., 2012, p. 397, con nota di Galluzzo, secondo cui «Gli interessi
meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 2645 ter c.c. sono quelli
attinenti alla solidarietà sociale e non quelli dei creditori di una società
insolvente perché altrimenti si consentirebbe ad un atto di autonomia privata
d’incidere sul regime legale inderogabile della responsabilità patrimoniale al
di fuori di espresse previsioni normative».
[120] Così de Donato, Elementi dell’atto di destinazione, cit., p. 3.
[121] Così de Donato, Elementi dell’atto di destinazione, cit., p. 3.
[122] Sull’idoneità del vincolo ex art. 2645-ter c.c. a dar vita, per esempio, ad una sorta di fondo
patrimoniale per figli maggiorenni disabili v. Fanticini,
op. cit., p. 343 e nota 45.
[123] Il dovere di contribuzione
nella famiglia di fatto costituisce, pacificamente, oggetto di obbligazione
naturale: sul punto v. per tutti Oberto,
I regimi patrimoniali della famiglia di
fatto, Milano, 1991, p. 83 ss.; Id.,
Le prestazioni lavorative del convivente
more uxorio, Padova, 2003, p. 1 ss. Sull’utilizzo dell’art. 2645-ter c.c. nell’ambito dei rapporti
patrimoniali della famiglia di fatto v. infra,
§§ 21 s.
[124] Sul concetto, introdotto, come è noto, da C.M. Bianca, v. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 448 ss.
[125] Così Francesca, op. cit., p. 1072.
[126] Rileva sul punto
ulteriormente de Donato, Elementi dell’atto di destinazione, loc.
cit., quanto
segue: «Interessante è, infine, la possibilità della destinazione negoziale nei
negozi giuridici della crisi familiare, anche in una prospettiva di rilevanza
della solidarietà post-coniugale. L’assegno di separazione (art. 155 cod. civ.)
e l’assegno di divorzio (art. 6 legge divorzio) svolgono la funzione di
perpetuare, anche nella fase della crisi coniugale, l’obbligo dei genitori di
mantenere, istruire ed educare la prole (art. 147 cod. civ.) nonché il diritto
di ricevere dall’altro coniuge, nella separazione personale, quanto è
necessario al mantenimento, nel caso di inadeguatezza dei propri redditi (art.
156 cod. civ.) e, nel divorzio (art. 5 Legge Divorzio), l’obbligo per un
coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, qualora
quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per
ragioni oggettive. Sia nella separazione personale che nel divorzio,
l’abitazione adibita a residenza familiare spetta al coniuge affidatario dei
figli (art. 155, comma 4, cod. civ. e art. 6, comma 6, legge divorzio). La
destinazione negoziale può coprire, non derogandole ma rendendole più stabili
ed efficienti, le prospettive di tutela di coniuge e figli, già fissate nelle
citate norme sia in relazione agli assegni di separazione o divorzio sia in
relazione alla destinazione della casa adibita a residenza familiare, strutturando
negozialmente, nei limiti di legge, i vari diritti ed obblighi, il loro
contenuto e la loro durata».
[127] Cfr. de Donato, Elementi dell’atto di destinazione, cit., p. 3 ss., il quale rileva che la norma più interessante al riguardo è rappresentata dall’art. 699 c.c., che qualifica espressamente i premi di nuzialità o di natalità e i sussidi per l’avviamento a una professione o a un’arte come fini di pubblica utilità.
[128] Cfr. de Donato, Elementi dell’atto di destinazione, loc. cit. Sui rapporti fra trust, amministrazione di sostegno e interdizione cfr. Spallarossa, Amministrazione di sostegno, interdizione, trust: spunti per un confronto, in Trusts att. fid., 2006, p. 354 ss.
[129] Art. 2, d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155:
«1. Si considerano beni e servizi di
utilità sociale quelli prodotti o scambiati nei seguenti
settori: a) assistenza sociale, ai sensi della legge 8 novembre 2000, n. 328,
recante legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali; b) assistenza sanitaria, per l’erogazione delle prestazioni di
cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 29 novembre
2001, recante «Definizione dei livelli essenziali di assistenza», e successive
modificazioni, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n.
33 dell’8 febbraio 2002; c) assistenza socio-sanitaria, ai sensi del decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 14 febbraio 2001, recante
«Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie»,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001; d) educazione,
istruzione e formazione, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, recante
delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei
livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale; e) tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi della legge
15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e
misure di diretta applicazione, con esclusione delle attività, esercitate
abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e
pericolosi; f) valorizzazione del patrimonio culturale, ai sensi del Codice dei
beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004,
n. 42; g) turismo sociale, di cui all’articolo 7, comma 10, della legge 29
marzo 2001, n. 135, recante riforma della legislazione nazionale del turismo;
h) formazione universitaria e post-universitaria; i) ricerca ed erogazione di
servizi culturali; l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione
della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo; m) servizi
strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al
settanta per cento da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale.
2.
Indipendentemente dall’esercizio della attività di impresa nei settori di cui
al comma 1, possono acquisire la qualifica di impresa sociale le organizzazioni
che esercitano attività di impresa, al fine dell’inserimento lavorativo di
soggetti che siano: a) lavoratori svantaggiati ai sensi dell’articolo 2, primo
paragrafo 1, lettera f), punti i), ix) e x), del regolamento (CE) n. 2204/2002
della Commissione, 5 dicembre 2002, della Commissione relativo all’applicazione
degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore
dell’occupazione; b) lavoratori disabili ai sensi dell’articolo 2, primo
paragrafo 1, lettera g), del citato regolamento (CE) n. 2204/2002.
3. Per attività principale
ai sensi dell’articolo 1, comma 1, si intende quella per la quale i relativi
ricavi sono superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi
dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale. Con decreto del Ministro
delle attività produttive e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali
sono definiti i criteri quantitativi e temporali per il computo della
percentuale del settanta per cento dei ricavi complessivi dell’impresa.
4. I lavoratori di cui al
comma 2 devono essere in misura non inferiore al trenta per cento dei
lavoratori impiegati a qualunque titolo nell’impresa; la relativa situazione
deve essere attestata ai sensi della normativa vigente.
5. Per gli enti di cui
all’articolo 1, comma 3, le disposizioni di cui ai commi 3 e 4 si applicano
limitatamente allo svolgimento delle attività di cui al presente articolo».
Nel medesimo senso di cui al
testo cfr. anche de Donato, Elementi dell’atto di destinazione, loc.
cit.; Spada, Il vincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo, loc. cit.
[130] de Donato, Elementi dell’atto di destinazione, loc. cit.
[131] Cfr. in proposito de Donato, Elementi dell’atto di destinazione, loc. cit., il quale rileva
ulteriormente quanto segue: «Interessante, ai nostri fini, è anche l’art. 25
della Carta Europea dei Diritti Fondamentali, detta Carta di Nizza Approvata dal Parlamento Europeo il 14 novembre 2000
e proclamata ufficialmente dal Consiglio Europeo di Nizza il 7 dicembre 2000 che
riconosce “il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa ed
indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale”, tutelando in
particolar modo gli anziani non autosufficienti. La Carta Europea non contiene
prolusioni astratte e generiche riferibili alle persone senza determinate
qualificazioni soggettive, ma uno specifico riferimento a caratteristiche
fisio-psichiche di persone calate nella concretezza di prefissate dimensioni di
vita, cadenzando bisogni e esigenze esistenziali di soggetti in situazioni
particolari (homme situé). La
Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989 e
ratificata dalla Legge n. 176 del 1991, sancisce il diritto di ogni bambino ad
essere educato, ad essere nutrito, ad avere una casa idonea al proprio sviluppo
psicofisico, il diritto al gioco, alla salute e all’affetto; la Legge n. 149
del 2001, affermata la centralità della famiglia, valorizza le comunità di tipo
familiare caratterizzate da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una
famiglia. In tal senso, la destinazione negoziale può corroborare
patrimonialmente il nuovo istituto dell’affido familiare: l’affido consiste
nell’accogliere temporaneamente un bambino nella propria famiglia, in attesa
che si risolvano le difficoltà della famiglia di origine. La destinazione di
beni può, pertanto, creare un sostegno materiale per la famiglia affidataria».
[132] Che è quello, come noto, in cui settlor e trustee coincidono. Secondo il diritto inglese anche settlor (da solo o con altri) e beneficiario possono coincidere, mentre non è possibile che la stessa persona sia, al tempo stesso, l’unico beneficiario e l’unico trustee: cfr. sul punto Graziadei, Diritti nell’interesse altrui, Trento 1995, p. 289; Id., Il trust nel diritto angloamericano, in Dig. disc. priv., Sez. comm., XVI, Torino, 1999, p. 261. Peraltro, ai sensi dell’art. 2, ult. cpv., della Convenzione de L’Aja, «Il fatto che il costituente conservi alcune prerogative o che il trustee stesso possieda alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust».
[133] Sul punto si fa rinvio per
tutti a Lupoi, I trust nel diritto civile, cit., p. 237
ss., 277 ss. La visione tradizionale del trust
come di un istituto assimilabile (con tutti i distinguo del caso, ovviamente) all’interposizione reale viene
contrastata da Montinaro, Trust e
negozio di destinazione allo scopo, cit., passim, spec. p. 24 ss., 96 ss., la quale riporta l’istituto di
matrice anglosassone al fenomeno dell’interposizione gestoria, in forza della
quale il trustee non acquisterebbe la
titolarità dei diritti sui beni oggetto di trust,
posto che il settlor intende
sottrarre i rapporti giuridici, destinati alla realizzazione dello scopo del trust, alle vicende incidenti sul patrimonio
del trustee-gestore. Ne consegue che
al fiduciario è attribuito un mero «potere di esercizio del diritto»,
comprendente la possibilità di amministrare, di disporre e di stare in
giudizio: fenomeno, questo, designato dalla Convenzione de L’Aja (art. 2) con
il concetto di «controllo». Ora, a prescindere dall’obiettiva opinabilità della
questione, resta peraltro il dubbio su come sia possibile continuare ad
individuare la persistenza del diritto dominicale in capo ad un costituente, il
quale si sia spogliato di quel potere di godere e disporre che della proprietà
costituisce l’essenza.
[134] Trib. Reggio Emilia, 22 giugno 2012, in Giur. it., 2012, p. 2277, con nota di Calvo; in Trusts att. fid., 2013, p. 22, con nota di L.F. e M.S. Risso; Trib. Reggio Emilia, 27 gennaio 2014, in Corr. giur., 2014, p. 1367, con nota di Sgobbo; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 28 novembre 2013, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p. 713, con nota di Azara; in Corr. giur., 2014, p. 1365, con nota di Sgobbo; in questo stesso senso v. peraltro già Trib. Trieste, 7 aprile 2006, cit.
[135] V. infra, in questo stesso §. In senso contrario alla tesi qui criticata v. anche de Donato, Gli interessi riferibili a soggetti socialmente vulnerabili, in Aa. Vv., Negozi di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, Milano, 2006, p. 250; Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, cit., sub § 9; Calvo, Trust e vincoli di destinazione: “conferire” vuol dire trasferire?, Nota a Trib. Reggio Emilia, 22 giugno 2012, in Giur. it., 2012, p. 2277 ss.; Azara, Atto di destinazione ed effetto traslativo, Nota a Trib. Santa Maria Capua Vetere, 28 novembre 2013, in Nuova giur. civ. comm., 2014, p. 722; Galluzzo, L’amministrazione dei beni destinati, cit., p. 30 ss., 80 ss.; Id., Autodestinazione e destinazione c.d. dinamica: l’art. 2645 ter cod. civ. come norma di matrice sostanziale, cit., p. 129 ss.; Sgobbo, Il negozio di destinazione e l’inammissibilità dell’autodestinazione unilaterale, Nota a Trib. Santa Maria Capua Vetere, 28 novembre 2013 e Trib. Reggio Emilia, 27 gennaio 2014, in Corr. giur., 2014, p. 1371 ss.
[136] Anche L.F. e M.S. Risso, Una lettura dell’art. 2645 ter c.c.
Luci ed ombre, Nota a Trib. Reggio Emilia, 22 giugno 2012, in Trusts att. fid., 2013, p. 22 ss.,
osservano che «non si comprende come il Collegio, seppure evidenziando alcuni
principi condivisibili, abbia interpretato la disposizione dell’articolo 2645-ter
cod. civ. in modo così restrittivo».
[137] Cfr. La Porta, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, cit., p. 87 s.; Calvo, Trust e vincoli di destinazione: “conferire” vuol dire trasferire?, loc. cit.
[138] Cfr. Fusaro, Gli atti di destinazione nell’interesse della famiglia e dei disabili, in Riv. dir. priv., 2011, p. 46 s.
[139] Disponibile al seguente indirizzo web:
[140] Anche per Ceolin, Il punto sull’art. 2645 ter a cinque anni dalla sua introduzione, cit., p. 363, all’atto di destinazione è estraneo il concetto di alienazione.
[141] Ad avviso di De Nova, Esegesi dell’art. 2645 ter
cod. civ., cit., p. 3 «Non
sembra vi sia ragione di escludere che l’art. 2645 ter possa applicarsi anche ad un atto con cui il disponente trasferisce
la proprietà dei beni a persona che li amministri a favore di terzi
beneficiari, e così ad un negozio bilaterale»; nello stesso senso cfr. M. Bianca,
L’atto di destinazione: problemi
applicativi, cit., p. 7 ss., secondo cui il costituente può anche
operare un trasferimento della proprietà ad un terzo «attuatore della
destinazione»; D’Errico, Trascrizione
del vincolo di destinazione, loc. cit.; Fanticini,
op. cit., p. 330, che vede nella
nuova figura codicistica il riferimento ai negozi traslativi atipici.
Possibilista al riguardo parrebbe anche Busani,
I notai ammettono il trust interno,
in Il Sole 24-ore del 23 febbraio
2006, per il quale nella nuova norma codicistica «non c’è (...), anche se non
la si può escludere a priori, alcuna
attività traslativa». Contra Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 7, il quale nega che
l’art. 2645-ter c.c. possa riferirsi
a vicende traslative.
[142] Cfr. Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust,
cit., p. 170.
Si noti che, anche prima della novella del 2006, D’Errico, Trust e
destinazione, in Aa. Vv., Destinazione
di beni allo scopo, Milano, 2003, p. 221 sottolineava «la struttura
trinaria del negozio di destinazione: disponente è il soggetto che destina beni
allo scopo, gestore è il soggetto investito dell’amministrazione di beni
finalizzata a quegli scopi, beneficiario è il soggetto nel cui interesse è
disposta la destinazione». Nel senso che l’autodestinazione non sarebbe
consentita a favore del costituente, in considerazione del carattere
eccezionale dell’art. 2645-ter c.c. rispetto al principio generale sancito
dall’art. 2740 c.c. cfr. Torroni, op. cit., p. 498; tale ultima opinione
non sembra tenere peraltro conto del fatto che il principio generale testé
citato non è espresso da norma di carattere sovraordinato rispetto alle
rimanenti disposizioni del codice in cui è contenuto, tra quali compare ora
l’art. 2645-ter c.c., che, pertanto,
ben può statuire (come in effetti statuisce) una regola di tipo difforme
rispetto al principio generale.
[143] «Freudiano», secondo Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 1 («freudiano è il termine conferente,
riferito a chi destina il bene, perché costui, ovviamente, non conferisce un bel
niente rimanendo proprietario, onde è esclusa la nascita di un distinto ente»).
[144]
Cfr. Cass., 4 febbraio 2005, n.
[145] Cfr. Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, cit., p. 400 s.; aderiscono alle conclusioni espresse da chi scrive anche Ceolin, Destinazione e vincoli di destinazione nel diritto privato, cit., p. 168; Calvo, Trust e vincoli di destinazione: “conferire” vuol dire trasferire?, cit., p. 2277 ss.; Galluzzo, L’amministrazione dei beni destinati, cit., p. 30 ss., 80 ss.; Id., Autodestinazione e destinazione c.d. dinamica: l’art. 2645 ter cod. civ. come norma di matrice sostanziale, cit., p. 132, nota 17; Gigliotti, op. cit., p. 369 s., nota 33.
[146] Cfr. Cass., 15 gennaio 1990, n. 107; Cass., 18 marzo 1994, n. 2604; Cass., 9
aprile 1996, n. 3251; Cass., 2 settembre 1996, n. 8013; Cass., 2 dicembre 1996,
n. 10725; Cass., 5 giugno 2003, n. 8991; Cass., 18 luglio 2003, n. 11230;
Cass., 23 settembre 2004, n. 19131; Cass., 7 marzo 2005, n. 4933; Cass., 31
maggio 2006, n. 12998.
[147] Cass., 20 maggio 1977, n.
2096.
[148] Di «beni conferiti in trust» parla anche Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, cit.
[149] Secondo quanto invece ritenuto (come si è appena visto) da Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 1, le cui conclusioni in parte qua appaiono peraltro pienamente condivisibili.
[150] Anche Schlesinger,
Atti istitutivi di vincoli di
destinazione. Riflessioni introduttive, cit., p. 2, perviene a conclusioni analoghe a quelle illustrate nel
testo. Invero, l’insigne Autore, dopo aver osservato che l’utilizzo del termine
«conferente» potrebbe anche indurre a pensare «ad un accessorio
rispetto a contratti traslativi, con cui gravare l’acquirente di un vincolo di
destinazione sul bene trasferito (immobile o mobile iscritto in pubblici
registri)», conclude osservando come appaia «peraltro prevalente l’ipotesi che
la norma si riferisca ad atti istitutivi di vincoli di destinazione considerati
quali negozi autonomi ed aventi come effetto solo proprio la costituzione del
vincolo».
[151] Cfr. Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust, cit., p. 170.
[152] Cfr. Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust, cit., p. 170.
[153] Come ammesso da Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust, cit., p. 171: «Nel diritto dei trust normalmente il disponente non può agire contro il trustee: l’azione spetta ai beneficiari e, quando previsto, al guardiano del trust». Lo stesso Autore peraltro soggiunge che «le numerose leggi straniere, fra le quali il disponente di un trust interno può scegliere, offrono soluzioni variegate fino a consentire al disponente tali e tanti poteri di diretto intervento sullo svolgimento del trust da portarlo, quando questo si voglia, a una posizione di forza molto maggiore che non la semplice legittimazione ad agire».
[154] Secondo Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 7, è possibile «che il
conferente concluda un autonomo contratto di gestione con un terzo, assumendo i
costi e attribuendo i poteri. Si stipulerebbe allora, parallelamente al
contratto di destinazione, un contratto di mandato, onde l’azione che l’art.
2645 ter c.c. attribuisce al conferente per la realizzazione
dell’interesse, sarebbe appunto l’actio mandati».
[155] Cfr. Bartoli, Prime riflessioni sull’art. 2645 ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e
trust, cit., p. 701, il quale rileva ulteriormente che, «Quanto (…) alla previsione
della concorrente legittimazione ad agire di “qualsiasi interessato”, occorre
preliminarmente considerare che il termine “interessato” potrebbe riferirsi sia
ad un soggetto beneficiario in senso tecnico del negozio di destinazione, sia
ad un soggetto che, pur non essendo beneficiario in senso tecnico di detto
negozio, destinato a riceverne vantaggi eventuali, sia ad un soggetto cui il
conferente abbia attribuito, nel negozio di destinazione, il ruolo di
controllore dell’attività del gestore, sia infine al soggetto gestore».
[156] Bartoli, Prime riflessioni sull’art. 2645 ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e
trust, cit., p. 701.
[158] Anche per M. Bianca, Il nuovo art. 2645-ter c.c. Notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste, cit., p. 188, nel caso in cui la destinazione abbia a realizzarsi attraverso un fenomeno attributivo, questo «non è mai l’elemento caratterizzante della figura», la quale «prescinde dal trasferimento a un soggetto terzo dei beni oggetto del vincolo di destinazione»
[159] Sul tema v. per tutti Ceolin, Il punto sull’art. 2645 ter a
cinque anni dalla sua introduzione, cit., p. 368 ss. Un’ampia trattazione è
rinvenibile anche in Galluzzo, L’amministrazione
dei beni destinati, cit., p. 24 ss., 65 ss.
[160] Petrelli, La
trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 6 s.
[161] In questo senso cfr. Luminoso, Mandato, commissione e spedizione, Milano,
1984, p. 322 ss.; Santosuosso, Delle
persone e della famiglia. Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1983, p. 166; Galasso e
Tamburello, Del regime patrimoniale della famiglia, I, in Commentario del codice
civile, diretto da Scialoja e
Branca, Bologna‑Roma 1999,
p. 376; Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione,
cit., p. 6 s. Anche Barbiera, La comunione
legale, nel Trattato di diritto
privato, diretto da Rescigno, Torino, 1996, p. 452 s. esclude dalla comunione gli
acquisti effettuati nell’interesse di terzi, come i negozi fiduciari e simulati
o le interposizioni fittizie o reali. Contra,
in relazione agli acquisti del mandatario senza rappresentanza di beni immobili
o mobili registrati, Oberto, La comunione legale tra coniugi, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu,
Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2010, I, p. 813 ss.; Id., Lezioni
sull’oggetto della comunione legale, § I. 39. 1. 6, disponibile al sito web seguente:
http://giacomooberto.com/lezionisucomunione/lezionisuoggettocomunionesommario.htm.
[162]
Cass.,18 giugno 1992, n.
[163] Si noti poi che, che nei casi in esame, si può vertere in tema di esercizio di attività separata (dell’interposto), per cui l’acquisto andrebbe escluso dalla comunione immediata, ma ricompreso in quella de residuo, ex art. 177, lett. c), c.c.
[164] In questo senso v. Petrelli, op. loc. ultt. citt.
[165] Sul tema v. per tutti Lupoi, I trust nel diritto civile, cit., p. 292 ss., 317 ss.
[166] Cfr. Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust,
cit., p. 172
s., il quale osserva al riguardo quanto segue: «Guardando al momento finale, quando
il vincolo cessa, nel diritto dei trust è perfettamente possibile che i beni in
trust tornino al disponente o ai suoi eredi o comunque a un soggetto diverso da
quello in favore dei quale erano stati vincolati net corso del trust. Questo è
ciò che normalmente avviene nei trust interni per sostenere persone con
disabilità: durante la vita delle persone con disabilità il reddito dei beni è
al loro servizio e, se necessario, lo sono anche i beni stessi (alienabilità
dei beni in trust), ma successivamente il trustee trasferisce i beni o i beni
residui ad altri soggetti (usualmente gli altri figli del disponente) e il
trust cessa. Il vincolo, quindi, non è andato a vantaggio del soggetto,
titolare dei beni vincolati né nella vigenza del vincolo né alla sua cessazione.
Questa configurazione potrebbe non essere necessariamente richiesta per gli “atti di destinazione” perché non
sembra esservi incompatibilità fra il vincolo e la patrimonializzazione, in
capo al soggetto proprietario, alla cessazione del vincolo medesimo. Infatti,
il disponente che vincoli i beni per un breve periodo e, al termine, sia vivo
riacquista la pienezza della posizione dominicale. Lo stesso potrebbe accadere
al diverso soggetto al quale il disponente abbia trasferito i beni con il patto
che, alla cessazione del vincolo, i beni gli appartengano pienamente (vi è una
analogia con il fedecommesso assistenziale)».
[167] Cfr. Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 8.
[168] su cui v. anche Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust, cit., p. 170.
[169] Sul fatto che nel trust vi
possano essere, rispetto ad un medesimo vincolo di destinazione, beneficiari
immediati e beneficiari finali, v. Lupoi,
L’atto istitutivo di trust, Milano,
2005, p. 94 ss.; Petrelli, Formulario notarile commentato, III, 1,
Milano, p. 1024, 1036; Id., La
trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 13.
Considerazioni analoghe a
quelle espresse nel testo sono rinvenibili in Gazzoni,
Osservazioni sull’art. 2645 ter,
cit., § 7, il quale rileva quanto segue: «Ma la gestione può anche inserirsi
nella eventuale vicenda circolatoria. Lo stesso acquirente, così come può
costituire il vincolo destinatorio a favore di terzo, altrettanto può assumere
nei confronti dell’alienante l’obbligo di gestire le vicende relative
all’immobile, a condizione però che si tratti di una gestione meramente
statica, limitata al mantenimento dell’esistente. Una gestione dinamica,
comportando disinvestimenti e reinvestimenti, sarebbe infatti incompatibile con
la vicenda circolatoria, salvo che essa sia l’esito di un patto fiduciario, in
virtù del quale l’acquirente si obblighi ad agire, nei rapporti interni,
secondo le direttive dell’alienante-fiduciante. Vi sarebbe allora bensì un
contratto a favore di terzo, ma basato sulla fiducia. Questa vicenda non
potrebbe però essere accostata al trust, se non, a tutto concedere, sul
piano latamente descrittivo. Il vincolo di destinazione sarebbe infatti
costituito, in via fiduciaria, dall’acquirente, che potrebbe bensì, in teoria,
assumere la veste di trustee, tuttavia il vincolo stesso non potrebbe
avere di per sé ad oggetto il ritrasferimento della proprietà al beneficiario,
visto che il c.d. conferente non la perde e solo la destina non
indefinitamente, come è possibile per il trust, ma per un dato periodo
alla realizzazione immediata dell’interesse non proprio, ma di un terzo, onde,
da un lato, si è al di fuori del c.d. trust autodestinato e, dall’altro,
il ritrasferimento potrebbe essere solo l’esito di un eventuale obbligo assunto
con l’iniziale patto, sotto forma di mandato fiduciario a favore di terzo.
Senza contare che il vincolo comporterebbe una mera limitazione di
responsabilità in relazione ai debiti contratti per la realizzazione stessa e
non la creazione di un patrimonio segregato, nemmeno ipotizzabile in esito al
trasferimento fiduciario, che manterrebbe le proprie caratteristiche di fiducia
romanistica. La posizione del beneficiario è poi, in caso di destinazione, ben
diversa, perché egli è il titolare dell’interesse da realizzare, onde può agire
immediatamente. La sua situazione giuridica soggettiva è infatti quella stessa
del titolare di un credito certo ed esigibile e non già quella del titolare di
una aspettativa, in vista del ritrasferimento, che caratterizza la posizione
del beneficiario del trust. Si tratta allora di vicende non compatibili,
onde non si potrebbe argomentare dall’una per stabilire quale sia la disciplina
dell’altra, men che meno in punto di trascrizione, là dove il principio di
tipicità (art. 2672 c.c.) osta a applicazioni analogiche o interpretazioni
estensive, perché, come ammonisce la Corte costituzionale, “in materia di
pubblicità la certezza è, ovviamente, lo scopo stesso del sistema” (Corte cost.
6 aprile 1995, n.
[170] Cfr. per tutti Bartoli, Prime riflessioni sull’art. 2645 ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e
trust, cit., p. 700: «Ove si aderisca alla tesi contraria al negozio di destinazione mobiliare,
emergono ulteriori profili di divergenza del negozio di destinazione rispetto
al trust, i quali ne comportano,
altresì, una minor competitività rispetto a quest’ultimo istituto. In primo
luogo, infatti, noto che può invece costituire oggetto di trust qualunque bene
suscettibile di valutazione economica: circostanza questa non da poco, in
ispecie ove si consideri che – oggigiorno – la gran parte della ricchezza
appunto quella di natura mobiliare. Occorre poi evidenziare che, come si sopra
accennato, se fosse impossibile destinare beni mobili avvalendosi dell’art.
2645 ter c.c., l’istituto
risulterebbe afflitto da quello stesso limite operativo che caratterizza il
fondo patrimoniale».
[171] Cfr., con particolare riguardo ai conti bancari, Lupoi, I trust nel diritto civile, cit., p. 251 s., 281.
[172] Cfr. Chizzini, Note preliminari in tema di esecuzione mobiliare per debiti del trustee, in Trusts att. fid., 2001, p. 37 ss.
[173]
Sul punto v. anche Fanticini, op. cit., p. 334, il quale cita Trib.
Brescia, 12 ottobre
[174] Così Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 9 s. L’Autore
precisa al riguardo che «L’ordinamento italiano conosce, in realtà, diverse
ipotesi di separazione patrimoniale relative
a beni mobili, accompagnate da idonei meccanismi
pubblicitari: si considerino, in particolare, la disciplina in tema di
cartolarizzazione dei crediti, di fondi pensione, di fondi comuni
d’investimento e Sicav, di dematerializzazione dei titoli di credito, le
disposizioni in tema di vincoli sulle partecipazioni societarie e di patrimoni
destinati ad uno specifico affare (art. 2447‑quinquies,
comma 1, c.c.). La rilevanza ora attribuita, in linea generale, al
vincolo di destinazione induce ad ammettere la pubblicità dello stesso
relativamente ai suddetti beni mobili, come avviene per i vincoli espressamente
contemplati, quali il pegno, il sequestro, il pignoramento. In definitiva,
partendo dalla considerazione della generale “meritevolezza” della causa di
destinazione, e quindi della liceità, validità ed efficacia del negozio che
programma tale destinazione, con riferimento a beni di qualsiasi natura, la disciplina sostanziale del vincolo di
destinazione contenuta nell’art. 2645‑ter
c.c. (e quindi, sul presupposto della destinazione ad un interesse
meritevole di tutela, l’opponibilità del vincolo ai terzi, ed ai creditori in
particolare) deve ritenersi
applicabile, in via estensiva o analogica, anche ai beni mobili non registrati,
a condizione che del vincolo medesimo sia possibile effettuare idonea
pubblicità, in conformità alla legge di circolazione del singolo bene mobile
che ne forma oggetto. Alle suddette condizioni, sembra possano
costituire oggetto di vincolo di destinazione anche i beni futuri: nella misura, quindi, in cui le vicende relative
a tali beni siano suscettibili di evidenza pubblicitaria (come avviene, in
particolare, per i beni immobili e mobili registrati, essendo ormai pressoché
pacificamente ammessa la trascrivibilità dei negozi su beni futuri), nulla osta
alla costituzione del vincolo, ed alla sua trascrizione, sin da un momento anteriore
a quello della materiale venuta ad esistenza del bene (analogamente a quanto
prevalentemente si ritiene a proposito del vincolo di fondo patrimoniale)».
[175] Così Franco, op. cit., p. 319. Secondo l’Autore, all’interprete «non resta che rinvenire
nell’ordinamento, anche con riferimento alle leggi vigenti, un idoneo sistema
di pubblicità che regoli la circolazione del singolo bene mobile coinvolto nel
negozio di destinazione e senza perdere di vista il principio generale della
buona fede come criterio ultimo di riferimento per la soluzione dei conflitti
che potrebbero sorgere con il terzo acquirente ignaro del vincolo di
destinazione. Sarà dunque una rigorosa valutazione del requisito della buona
fede e, soprattutto, di quello della colpa grave, finalizzata a dare rilevanza
ai profili dell’inescusabilità dell’errore e, quindi, della negligenza, a
costituire il terreno su cui l’interprete dovrà operare al fine di conferire
rilevanza ad un vincolo di destinazione costituito su beni mobili».
[176] Nello stesso senso v. Franco, op. cit., p. 319.
[177] Così ad es. Franco, op. cit., p. 319.
[178] Questo è il caso, ad
esempio, dell’ordinamento inglese, che fissa un limite di ottanta anni. Si noti
peraltro che, come osservato da Lupoi,
I trust nel diritto civile, cit., p.
252 ss., non esistono regole di Equity
di diritto inglese sulla durata dei trusts.
Il principio di cui sopra si pone piuttosto come applicazione al trust della rule against perpetuities, che impone un termine entro
il quale ogni estate deve avere un titolare certo; in conseguenza, un trust è nullo se un qualunque diritto (interest) diviene vested
oltre il termine di ventuno anni dalla morte di una persona viva o
concepita al momento dell’istituzione del trust,
ovvero, in alternativa, oltre ottanta anni dalla istituzione del trust. Sul punto v. inoltre Lupoi, Trusts, cit., p. 184 ss.; Bartoli, Il trust, cit., p. 186 ss.; Graziadei, Diritti nell’interesse
altrui, cit., p. 310
ss.; Hayton e Marshall, Commentary and Cases on the
Law of Trusts and Equitable Remedies, London, 2001, p. 198 ss. Ad avviso di Petrelli, La
trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 11, «Nell’ordinamento
italiano, vigente il principio del numerus clausus dei diritti reali, la
ratio del limite può probabilmente ravvisarsi nell’esigenza di non
“svuotare” la proprietà del suo contenuto economico in perpetuo, o comunque per
un periodo lunghissimo, e correlativamente quello di evitare che i beni siano
immobilizzati per periodi eccessivamente lunghi, con il pericolo che siano sottratti
a finalità produttive. Ciò spiega il perché del riferimento alla durata della
vita della sola persona fisica beneficiaria, mentre non è contemplato – quale
possibile parametro – la durata dell’eventuale persona giuridica che sia
anch’essa beneficiaria: quest’ultima durata potrebbe essere estremamente lunga
o comunque essere prorogata, e consentire quindi di eludere il fine della
legge. Si tratta, del resto, della medesima ragione che ha indotto il
legislatore, in tema di diritti reali su cosa altrui, a porre un limite massimo
(trenta anni) di durata dell’usufrutto costituito a favore di persona giuridica
(art. 979, comma 2, c.c.)».
[179] Lupoi, Trusts,
cit., p. 180 ss., 396 ss.; Petrelli,
La trascrizione degli atti destinazione,
cit., p. 11.
[180] Secondo la voce Trust Law,
in Wikipedia, all’indirizzo web seguente: http://en.wikipedia.org/wiki/Trust_law «The beneficiary can be a single
person, multiple persons, or a defined class or group of persons, including
people not yet born at the time of the trust’s creation». Un chiaro riferimento, per il diritto
inglese, è desumibile anche dalla Practice Direction concernente le «applications to the court for directions by
trustees in relation to the administration of the trust», disponibile
all’indirizzo web seguente:
http://www.justice.gov.uk/courts/procedure-rules/civil/pdf/practice_directions/pd_part64b.pdf, secondo cui (cfr. il paragrafo 7.7.): «The evidence must explain what, if any, consultation there has been with beneficiaries, and with what result. In preparation for an application for directions in respect of litigation, the following guidance is to be followed: (…)
(2) If it
is a private trust with a larger number of beneficiaries, including those not
yet born or identified, or children, it is likely that there will nevertheless
be some adult beneficiaries principally concerned, with whom the trustees must
consult». Per quanto attiene
alla realtà italiana potrà citarsi ad esempio il trust che ha formato
oggetto della decisione Trib. Firenze, 23 ottobre
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/TFI-23-10-02.htm.
[181] Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 11 s.; nello stesso senso cfr. M. Bianca, L’atto di destinazione: problemi applicativi, cit., p. 9.
[182] Cfr. per tutti Lupoi, I trust nel diritto civile, cit., p. 252, 317 s.
[183] Nello stesso senso v. Fanticini, op. cit., p. 349 s.
[184] Cfr. sul punto Lupoi, I trust nel diritto civile, cit., p. 330 s.
[185] Cfr. sempre Lupoi, op. loc. ultt. citt.
[186] In questo senso cfr. M.
Bianca, L’atto di destinazione: problemi applicativi, cit., p. 9; nello stesso senso v. Fanticini, op. cit., p. 338 s. (secondo cui anche il riferimento, nell’art.
2645-ter c.c. alla durata della vita
della persona fisica beneficiaria sembra escludere che con tale istituto si
possa raggiungere i fini perseguiti da un trust
di scopo).
[187] L’istituzione di un trust è in diritto inglese a forma libera; solo i trusts riguardanti immobili vanno provati per iscritto: cfr. Lupoi, I trust nel diritto civile, cit., p. 239.
[188] Secondo Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 3, «se è il
carattere reale del vincolo, e quindi la sua maggior “gravità”, a giustificare la
forma pubblica, e dato che (…) l’opponibilità ai terzi discende unicamente
dalla trascrizione, deve concludersi nel senso che la forma dell’atto pubblico
è richiesta unicamente ad transcriptionem: l’atto di destinazione è quindi valido, e produce
effetti obbligatori, anche se concluso in forma di scrittura privata; esso potrà tuttavia essere trascritto, e quindi
creare un vincolo male opponibile a terzi, unicamente ove rivesta la forma
dell’atto pubblico».
[189] Così Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 5. Per la tesi della forma ad substantiam, anche in relazione al compito del notaio di verificare la sussistenza di un interesse meritevole di tutela cfr. inoltre Molinari, Gli effetti della trascrizione dell’atto di destinazione nei confronti dei creditori e dei terzi aventi causa, cit., p. 8. Per ulteriori richiami in tema cfr. Bartoli, Trust e atto di destinazione nel diritto di famiglia e delle persone, cit., p. 50 ss.
[190] Sul tema, cui non è
possibile dedicare neppure un accenno in questa sede, si fa rinvio a Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio,
cit., p. 155 ss.; Id., I
contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1211 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p.
3 ss.; Id., I trasferimenti patrimoniali in occasione della separazione e del
divorzio,
cit., p. 181 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 323 ss.;
cfr. inoltre T.V.
Russo, I trasferimenti
patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001; P. Carbone, I
trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in
Notariato, 2005, p. 627 ss.
[191] Cfr. Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, cit., p. 412 ss.; per le medesime conclusioni ed ulteriori richiami alla dottrina ed alla giurisprudenza che ha aderito all’impostazione dello scrivente cfr. Bartoli, Trust e atto di destinazione nel diritto di famiglia e delle persone, cit., p. 48 s.
[192]
Cfr. supra, § 9.
Nel senso che il verbale di conciliazione giudiziale può contenere una
transazione con cui si disponga l’immediato trasferimento di diritti su di uno
o più beni, e che, come atto (pubblico) immediatamente traslativo, ben può
costituire titolo per la trascrizione cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile,
II, 1, Milano, 1966, p. 80; Tondo,
Sull’idoneità dei verbali di
conciliazione alle formalità pubblicitarie, in Foro it., 1987, I, c. 3134; per il carattere di atto pubblico e di
titolo esecutivo di un verbale di conciliazione giudiziale tra coniugi v. Trib.
Firenze, 26 agosto
[193] In questo senso cfr. ad es. il parere di G. Gabrielli, di cui si tratta infra, nel contesto del § 21.
[194] Cfr. Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, cit., p. 391 ss.
[196] Per
comodità del lettore si pongono qui a raffronto le due disposizioni:
Art. 2645-ter c.c. |
Art. 170 c.c. |
«(…) I beni conferiti e i
loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di
destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto
previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale
scopo». |
«L’esecuzione sui beni del
fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva
essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia». |
[197] Cfr. da ultimo Cass., 15
marzo 2006, n. 5684; Cass., 30 maggio 2007, n. 12730. V. inoltre, per la
giurisprudenza di merito, Trib. Parma, 7 gennaio 1997, in Nuova giur. civ.
comm., 1998, I, p. 31, con nota di Mora.
[198] Anche Di Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione, cit., p. 31, rileva che «L’art. 2645-ter è una disposizione scritta “in positivo” (ci dice chi può rivalersi su quei beni). L’art. 170 è invece una disposizione scritta “in negativo” (ci dice chi non può rivalersi su quei beni). C’è una bella differenza. Manca inoltre ogni riferimento allo stato soggettivo del creditore la cui tutela risulta, dunque, affievolita. Anche il tema dell’onere della prova andrà rivisitato: non si chiede più una prova negativa (non essere stato a conoscenza dell’estraneità del credito rispetto allo scopo: art. 170), ma una prova positiva (l’attinenza del debito rispetto allo scopo). Se non ho preso un abbaglio, mi pare ci siano ampi margini per argomentare che il creditore, prima di contrarre, deve accertarsi se l’obbligazione risponda allo scopo: in sede esecutiva l’onere della prova graverà sul medesimo (art. 2697)».
[199] In questo senso v. invece Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 9.
[200] Cfr. Di Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione, cit., p. 14 s.
[201] Come osserva Di Sapio, op. loc. ultt. citt., «Il creditore non sceglie nulla. Subisce un danno ingiusto. Se potesse scegliere, ragionevolmente sceglierebbe dell’altro: che il fatto illecito non si verifichi». Sul tema dei rapporti tra separazione patrimoniale e creditori c.d. involontari cfr. Antinolfi, Separazione patrimoniale e tutela dei creditori «involontari», in Riv. notar., 2010, p. 1281 ss.
[202] Cfr. Cass., 5 luglio 2003,
n. 8991, in Riv. notar., 2003, p.
1563; Cass., 18 luglio 2003, n. 11230, in Giur. it., 2004, 1615; Trib.
Sanremo, 29 ottobre 2003, in Dir. fam. pers., 2004, p. 101; in dottrina
cfr. Lenzi, I patrimoni
destinati: costituzione e dinamica dell’affare, in Riv. notar.,
2003, p. 566.
[203] Cfr. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., § 9, secondo cui «la limitazione della responsabilità [non] opererà, in caso bene destinato, in favore dei soli crediti risarcitori sorti, ad esempio, da circolazione dell’autoveicolo adibito a trasporto del disabile o da rovina dell’edificio o, sempre nel quadro della destinazione, da uso di un bene mobile registrato di natura pericolosa».
[204] Cfr. per tutti Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 217 ss.
[205] Cfr., anche per i richiami, Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, cit., p. 391 ss.
[207] Sul punto cfr. per tutti Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p. 636 ss.; Id., Contratto e famiglia, p. 167 ss.
[208] Cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit., p. 207 ss.
[209] Cfr. per tutti Lupoi, Trusts, Milano, 2001, p. 155 ss., 161 ss., 164 s. (l’Autore mette
tra l’altro in evidenza come la mancata indicazione del trustee nelle disposizioni inter
vivos sia causa di nullità del trust).
[210] Cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit., 310 ss.
[211] Questa, in pratica, è la tesi di E. Russo, Le convenzioni matrimoniali, in Il codice civile. Commentario, fondato e già diretto da Schlesinger, continuato da Busnelli, Milano, 2004, p. 172 ss.; per una critica al riguardo v. Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 147 ss.
[212] L’assunto è sviluppato da E.
Russo, Le convenzioni matrimoniali, cit., p. 77, 124 ss., 136 ss.
essenzialmente sulla base del rilievo secondo cui il codice non qualifica expressis verbis il negozio costitutivo del
fondo patrimoniale alla stregua di una convenzione matrimoniale.
[213] Il fondo patrimoniale si trova collocato nel
codice tra la parte generale delle convenzioni matrimoniali e la comunione
legale, all’interno di una sezione posta sullo stesso piano di quelle dedicate
alla comunione legale, alla comunione convenzionale, alla separazione dei beni
e all’impresa familiare.
[214] Gli artt. 167 ss. fanno pur sempre parte del
capo sesto (del titolo sesto del libro primo del codice), intitolato «del
regime patrimoniale della famiglia», dopo una parte generale che, come si è
appena detto, è interamente dedicata alle convenzioni matrimoniali.
[215] Per uno sviluppo dell’argomento cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 332 ss. Sulla definizione di convenzione matrimoniale e sull’inscindibile legame tra i concetti di convenzione matrimoniale e di regime patrimoniale della famiglia cfr. per tutti Id., Le convenzioni matrimoniali: lineamenti della parte generale, in Fam. dir., 1995, p. 596 ss.; Id., L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p. 617 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 147 ss.; Bargelli e Busnelli, voce Convenzione matrimoniale, in Enc. Dir., Agg., IV, Milano, 2000, p. 436 ss., 442 ss.; Ieva, Le convenzioni matrimoniali, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2002, p. 27 ss.
[216] Così Laurent, Principes de droit civil, XXI, Bruxelles, 1878, p. 8.
[217] Cfr. Flour e Champenois,
Les régimes matrimoniaux, Paris,
1995, p. 5.
[218] Per non dire poi che una conferma della natura di convenzione matrimoniale propria del negozio inter vivos costitutivo del fondo patrimoniale sembra venire dalla riforma dell’art. 48, l. not., di cui all’art. 12, lett. b) e c), l. 28 novembre 2005, n. 246 («Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005»), laddove la disposizione novellata si limita a menzionare, tra gli «atti familiari» bisognosi dell’assistenza di due testimoni, le convenzioni matrimoniali e le dichiarazioni di scelta del regime di separazione dei beni, così rendendo evidente che il fondo patrimoniale non può ascriversi se non alla prima delle due tipologie, apparendo altrimenti assurda l’esclusione del negozio in esame (che ex art. 167 c.c., deve stipularsi per atto pubblico), dalla sfera di operatività della disposizione.
[219] Così come riformato dall’art. 12, lett. b) e c), l. 28 novembre 2005, n. 246, cit.
[220] Con particolare riferimento
all’applicazione al trust familiare
di siffatte disposizioni cfr. Oberto,
Trust e autonomia negoziale nella famiglia, in
Fam. dir., 2004, p. 201 ss., 310 ss.;
Id., Il trust familiare, cit., §§ 15 ss.
[221] Su cui v., ex multis e per ulteriori richiami, Oberto, Annotazione e trascrizione delle convenzioni matrimoniali: una difficile coesistenza, in Riv. dir. ipotecario, 1982, 127 ss., 148 ss.; v. inoltre Id., Comunione legale, regimi convenzionali e pubblicità immobiliare, in Riv. dir. civ., 1988, II, 187 ss., 206 ss.; Id., Pubblicità dei regimi matrimoniali, in Riv. dir. civ., 1990, II, 236 ss.; Id., La pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia (1991-1995), ivi, 1996, II, 229 ss.; cfr. inoltre, per ulteriori approfondimenti, Barchiesi, Il sistema della pubblicità nel regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 25 ss.; Bocchini, Rapporto coniugale e circolazione dei beni, Napoli, 1995, p. 193 ss.; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano, 1995, p. 108 ss.; Santosuosso, Beni ed attività economica della famiglia, Torino, 1995, p. 216 ss.; Ieva, La pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia, in Riv. notar., 1996, p. 413 ss.; Feola, La pubblicità del regime patrimoniale dei coniugi, in, Aa. Vv., Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, II, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1997, p. 411 ss.; Gabrielli, voce Regime patrimoniale della famiglia, in Digesto disc. priv., Sez. civile, XVI, Torino, 1997, p. 396 ss.; Gabrielli e Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, p. 321 ss.; Bocchini, La pubblicità delle convenzioni matrimoniali, in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 439 ss.; Ieva, Le convenzioni matrimoniali e la pubblicità dei regimi patrimoniali della famiglia, in Riv. notar., 2001, I, p. 1259 ss.
[222] Per un’applicazione della disposizione citata al caso del trust costituito da un solo coniuge su beni comuni cfr. Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, in Trusts att. fid., 2004, p. 67.
[223] Contra (in relazione alla costituzione di beni in trust) Trib. Bologna, 1° ottobre 2003, cit., che afferma l’applicabilità dell’art. 184 c.c. non solo nel caso in cui un coniuge alieni diritti su beni della comunione, bensì anche qualora si limiti ad alienare la propria quota in comunione legale su beni di quest’ultima, rilevando in proposito che «sarebbe illogico ritenere che – mentre l’alienazione di un intero bene, da parte di uno solo dei coniugi, è valida ed efficace (salve, in ipotesi, le conseguenze dell’art. 184 c.c.) – l’alienazione di una quota di quello stesso bene sia, al contrario, assolutamente inefficace; peraltro, nulla impedisce ai coniugi di essere comproprietari di beni insieme a terzi, salva l’applicazione del regime di comunione legale relativamente alla quota posseduta». La questione è stata trattata in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 315 ss.; in questo senso (e cioè per la nullità dell’alienazione della quota su singoli beni in comunione legale) viene da chi scrive rivista l’opinione espressa (per l’applicabilità dell’art. 184 c.c.), in Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit., p. 313, nt. 105.
[224] Cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit., p. 313, nt. 106.
[225] Sull’argomento cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, p. 1688 ss.
[226] Su cui cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, p. 2105 ss.
[227] Su cui cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 1102 ss.
[228] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 1102 s.
[229] Lo stesso discorso dovrebbe valere anche in relazione alla comunione convenzionale, per lo meno con riguardo ai beni che formerebbero comunque oggetto della comunione legale. Con riferimento a questi ultimi, infatti, l’art. 210 c.c. vieta che si predispongano norme d’amministrazione difformi da quelle ex artt. 180 ss. c.c. Il risultato sarebbe quindi ottenibile solo mediante estromissione di tali beni dalla comunione. Per questo motivo sarebbe con ogni probabilità nulla una convenzione che volesse sottoporre al vincolo ex art. 2645-ter c.c. i beni (immobili o mobili registrati) di futura acquisizione destinati a ricadere in comunione legale o convenzionale (per ulteriori richiami e approfondimenti cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit., p. 207). Per quanto riguarda invece i beni già caduti in comunione convenzionale, ma non interessati dal limite posto dall’art. 210 c.c. (si pensi a quelli, per esempio, di cui all’art. 179, lett. a), c.c.), non dovrebbero sussistere problemi di sorta, non potendosi paventare qui la possibilità – prospettata in relazione al trust familiare – di una violazione dell’art. 166-bis c.c. per la convenzione che, ampliando l’oggetto della comunione convenzionale, attribuisca, in relazione a beni diversi da quelli che avrebbero formato oggetto di comunione legale, il potere di amministrazione al coniuge che non sia il proprietario del bene conferito nella comunione convenzionale. La costituzione di un vincolo ex art. 2645-ter c.c. su beni già costituiti in fondo patrimoniale presuppone la previa estinzione del vincolo ex artt. 167 ss. c.c. L’operazione necessita dell’autorizzazione ex art. 169 c.c., qualora essa non sia stata esclusa dal titolo costitutivo (cfr. per tutti Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 217 ss.). Al riguardo potrà soccorrere la giurisprudenza in tema di trust, con particolare riferimento a quella decisione di merito (cfr. Trib. Firenze, 23 ottobre 2002, in Trusts att. fid., 2003, p. 406) che ha respinto un ricorso tendente a consentire lo scioglimento anticipato del fondo patrimoniale affinché i beni in esso inclusi fossero vincolati nel trust. La decisione poggia sul rilievo secondo cui, nonostante l’analogia di effetti tra trust e fondo patrimoniale, al potere di disposizione del trustee non veniva posto alcun limite né, conseguentemente, onere di richiedere autorizzazione giudiziale (come invece richiesto, nel caso di specie, ai sensi dell’art. 169 c.c. nel caso del fondo patrimoniale). E’ evidente che, in una situazione analoga, anche la sottoposizione a vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. di beni oggetto di fondo patrimoniale (in caso il titolo costitutivo non escludesse la necessità dell’autorizzazione ex art. 169 c.c.) priverebbe il vincolo delle garanzie proprie del regime autorizzativo previsto dall’art. 169 cit. e pertanto non potrebbe essere autorizzata.
[230] Da G.A.M. Trimarchi, op. cit., p. 440.
[231] V., anche per gli ulteriori richiami, Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 329 ss.
[232] Per un’analoga questione relativamente al fondo patrimoniale cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, II, Milano, 2010, p. 1681 ss. In senso contrario afferma Bartoli, Trust e atto di destinazione nel diritto di famiglia e delle persone, cit., p. 543, che «Appare (…) plausibile ritenere che beni in comunione legale possano essere oggetto, altresì, di un siffatto trust o negozio di destinazione autodichiarato, ferma la permanenza in vita della comunione legale e della sua disciplina inderogabile: in questo caso, pertanto, l’atto istitutivo non potrà prevedere regole gestorie divergenti da quelle indicate dagli artt. 180 ss. c.c., né la futura amministrazione dei beni da parte di un trustee e gestore diverso dai coniugi, se non per il periodo successivo all’avvenuto scioglimento della comunione legale». Ma il perseguimento degli scopi meritevoli di tutela ben potrebbe postulare la previsione di regole di gestione diverse da quelle delineate dagli artt. 180 ss. c.c. (che in ogni caso tutelano interessi non necessariamente coincidenti – o non sempre perfettamente coincidenti – con lo scopo per cui il vincolo è creato: si pensi alla protezione della posizione di un figlio colpito da disabilità); non si dimentichi, poi, che come già posto in luce dallo scrivente, la disciplina dei rapporti con i creditori scolpita nell’art. 2645-ter c.c. è radicalmente diversa da quella prevista dagli artt. 186-190 c.c.
[233] Cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit., p. 420 ss.; Id., Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi, cit., p. 205 ss.; Id., La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 329 ss., II, cit., p. 1131 ss., 1694 ss.
[234] E’ però vero che i sostenitori della tesi che ritiene impossibile l’estromissione di beni dalla comunione se non tramite la stipula di una convenzione di separazione dei beni potrebbero a loro volta obiettare che l’art. 210 c.c. non permette comunque di derogare alle regole in tema di amministrazione per i beni che farebbero parte della comunione legale non solo nell’ambito di un regime comunitario, bensì con riguardo a qualsiasi assetto patrimoniale che non sia quello della separazione dei beni, non essendo concepibile la coesistenza di un perdurante regime di comunione e di regole difformi sull’amministrazione di beni che già formavano oggetto della comunione stessa, prima di venire sottoposte ad un regime «parziale» atipico. Ne deriverebbe quindi, pur sempre, la necessità di una formale estromissione, possibile solo mercé la stipula di una convenzione di separazione. Come detto più volte, però, è proprio tale ultimo postulato che, a chi scrive, non pare sostenibile, con la conseguenza che la sottoposizione a trust o a vincolo di destinazione, rilevando di per sé come causa di applicazione di regole difformi a quelle di cui agli artt. 180 ss. c.c., causerà un’estromissione dei relativi beni dal regime legale, da ritenersi senz’altro ammissibile (cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 1102 ss., 1688 ss., 2159 ss., 2164 ss.), senza che la coppia debba necessariamente e previamente optare per il regime di separazione
[235] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 812 ss.
[236] Cfr. Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, loc. ult. cit.
[237] Sul tema v. per tutti Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, cit., p. 403 ss.; cfr. inoltre supra, § 10.
[238] In questo senso cfr. Luminoso, Mandato, commissione e spedizione, Milano, 1984, p. 322 ss.; Santosuosso, Delle persone e della famiglia. Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1983, p. 166; Galasso e Tamburello, op. cit., p. 376; Petrelli, La trascrizione degli atti destinazione, loc. ult. cit. Anche Barbiera, La comunione legale, 1996, p. 452 s. esclude dalla comunione gli acquisti effettuati nell’interesse di terzi, come i negozi fiduciari e simulati o le interposizioni fittizie o reali. Contra, in relazione agli acquisti del mandatario senza rappresentanza di beni immobili o mobili registrati, cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 812 ss.
[239] Cfr. Cass.,18 giugno 1992, n. 7524, su cui cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 461, nota 161, p. 776, nota 175, p. 779, nota 224, p. 816, nota 265, p. 817, nota 268, II, cit., p. 1171, p. 148.
[240] Si noti poi che, che nei casi in esame, si può vertere in tema di esercizio di attività separata (dell’interposto), per cui l’acquisto andrebbe escluso dalla comunione immediata, ma ricompreso in quella de residuo, ai sensi dell’art. 177, lett. c), c.c.
[241] Cfr. per tutti Oberto, Contratto e famiglia, cit., p. 217 ss.
[242] Cfr. Trib. Firenze, 23
ottobre 2002, in Trusts att. fid., 2003, p. 406. In senso contrario cfr.
Trib. Padova, 2 settembre 2008, in Trusts
att. fid., 2008, p. 628. Sul tema v. anche Bartoli, La “conversione” del fondo patrimoniale in trust, in Aa. Vv.,
Il trust nel diritto delle persone e della famiglia. Atti del convegno. Genova,
15 febbraio 2003, cit., p. 207 ss.; Franceschini, Fondo patrimoniale e trust, in Trusts
att. fid., 2009, p. 19 ss. Da segnalare anche Trib. Milano, 7 giugno 2006,
in Trusts att. fid., 2006, p. 575,
secondo cui «può essere omologato il verbale di separazione personale dei
coniugi nel quale sia inserita l’istituzione di un trust autodichiarato dagli stessi coniugi separandi, in favore dei
loro figli, con la finalità di segregare in trust
i beni costituiti in fondo patrimoniale anche dopo la cessazione del vincolo
coniugale». L’atto peraltro non sembra adeguatamente chiarire quali siano gli
effetti della singolare forma di overlapping
tra i due istituti nel periodo di «interregno» tra la separazione dei coniugi e
lo scioglimento del matrimonio.
[243] Cfr. Oberto, Il trust familiare, cit.; Id., Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit.
[244] Cfr. Nassetti, Il trust: applicazioni pratiche (Aggiornamento in pillole per il
consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna – Relazione tenuta a Bologna il
16 febbraio 2001), già disponibile
all’indirizzo web seguente:
http://www.filodiritto.com/diritto/privato/civile/IlTrustApplicazionipratiche.htm
(il contributo non è ora più disponibile online).
[245] Ai fini dell’esperibilità
dell’actio pauliana è necessaria, ovviamente, una corretta qualificazione
dell’atto quale atto a titolo gratuito, a titolo oneroso ovvero atto dovuto,
che si sottrae, in quanto tale, al rimedio revocatorio. Sul punto, le soluzioni
prospettate sono assai diversificate e dipendono dalle differenti individuazioni
della causa che caratterizza questa categoria di negozi. Sul tema della causa
dei contratti della crisi coniugale cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 634 ss., 709
ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 272 ss.; sulla revocatoria degli
atti traslativi tra coniugi in crisi cfr. per tutti Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi
in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 214 ss.; in
giurisprudenza, sulla tesi dello scrivente della causa tipica dei contratti
della crisi coniugale, cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5741, in Arch.
civ., 2004, 1026; Cass., 12 aprile 2006, n. 8516.
[246] Così Lupoi, Trusts, cit., p. 643.
[248] Cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 328 ss.; Id., Gli accordi a latere nella separazione e nel divorzio, in Fam. dir., 2006, p. 150 ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 236 ss.
[249] Un altro vantaggio offerto dal trust viene poi indicato in quello di evitare «l’interferenza indebita degli interessati e le spiacevoli situazioni, anche psicologiche e morali, che spesso vengono a crearsi» (pure questo profilo è messo in luce da Nassetti, op. loc. ultt. citt.): un vantaggio che, peraltro, le parti pagherebbero assai caro, posto che appare assai difficile reperire un trustee disposto a prestare gratuitamente la propria attività, specie in siffatte situazioni, normalmente, dal punto di vista dei rapporti umani, assai poco gradevoli. Vi è del resto da chiedersi se siffatto ruolo di «intermediario» non possa essere svolto (come lo è stato per anni con successo, per lo meno in presenza di operatori caratterizzati da professionalità e da un sufficiente grado di distacco rispetto all’emotività delle parti) dagli stessi legali e/o da strutture di mediazione familiare. D’altro canto, la prassi mostra come sovente sia designato quale trustee uno dei coniugi: il che comprova come la necessità della presenza di siffatto «mediatore» non sia, a ben vedere, avvertita con assoluta urgenza. Su quest’ultimo punto rileva Viglione, Vincoli di destinazione nell’interesse familiare, Milano, 2005, p. 128, che appare assai discutibile che i beni del trust siano amministrati dallo stesso obbligato in favore dell’altra parte; è ben evidente, infatti, che la patologia della relazione coniugale coincide generalmente con l’instaurarsi di difficili situazioni di conflittualità, tali da sconsigliare il totale affidamento al coniuge obbligato dei poteri di gestione dei beni (vede con favore, invece, questa ipotesi F. Patti, I trusts: utilizzo nei rapporti di famiglia, in Vita notar., 2003, p. XIV, secondo il quale «la istituzione del trust potrebbe trovare una più facile realizzazione con riguardo alla circostanza che potrà essere nominato trustee lo stesso coniuge proprietario dei beni e obbligato alla prestazione, giacché la natura del trust e la trascrizione del provvedimento giudiziale non consentiranno atti di disposizione in danno degli interessi tutelati»).
[250] Così Nassetti, op. loc. ultt. citt.; nello stesso senso cfr. anche Lupoi, Trusts, cit., p. 641 ss.; F. Patti,
I trusts: problematiche connesse all’attività notarile, in Vita
not., 2001, p. 548.
[251] Per una disamina critica di taluni di questi v. Oberto, Il trust familiare, cit., § 21.
[252] Cfr. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, cit., p. 317; Id., Il trust familiare, cit., § 21.
[253] in questo senso, invece, Dogliotti e Piccaluga, I trust nella
crisi della
famiglia, in Aa. Vv., Il trust nel diritto
delle persone e della famiglia. Atti del convegno. Genova, 15 febbraio 2003,
a cura di Dogliotti e Braun, Milano, 2003, p. 138, i quali, al fine di individuare uno spazio di
operatività del trust al di là degli
strumenti tradizionali, sostengono che il sequestro, benché più agile di quello
conservativo, è pur sempre assai macchinoso e comunque inefficace quando il
soggetto non sia intestatario di beni.
[254] Cfr. Viglione, op. cit., p. 127 s.
[255] Per una proposta diretta ad applicare la penale non solo alle intese di carattere patrimoniale, ma anche a quelle di tipo personale relative all’affidamento della prole e ai diritti di visita cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1112 ss. Sia quindi consentito rinnovare in questa sede l’invito ai pratici a provare ad inserire siffatto genere di clausole negli accordi diretti a disciplinare le conseguenze della crisi coniugale con riguardo alla prole minorenne. L’operazione potrebbe, quanto meno, assumere il valore d’un ballon d’essai per saggiare le reazioni al riguardo della giurisprudenza, mentre è sicuro che le statistiche registrerebbero un assai più diffuso rispetto delle intese raggiunte e, forse, anche una diminuzione dei procedimenti esecutivi in un campo così delicato. Per la risposta ad una critica dottrinale al riguardo cfr. Oberto, La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, Milano, 2006, p. 61 s., nota 18.
[256] Contra D’Amico, La proprietà «destinata», in Riv. dir. civ., 2014, p. 525 ss., ad avviso del quale «lo strumento dell’art. 2645 ter non potrà essere utilizzato – ad es. – per la composizione dei rapporti patrimoniali tra coniugi (o tra genitori e figli) in occasione della crisi familiare (separazione, divorzio), perché in tal caso si tratta di interessi meramente patrimoniali e “privati”, che non sono sufficienti a giustificare una sottrazione del bene alle ordinarie regole di mercato (ivi comprese le norme poste a tutela dei creditori). Come pure esso non potrà essere utilizzato per costituire un “fondo patrimoniale” a vantaggio dei componenti di un nucleo familiare “di fatto”». La posizione, oltre che isolata, appare veramente sconcertante. In primo luogo, invero, a fronte di una chiarissima, espressa e speciale (nonché successiva al 1942…) deroga all’art. 2740 c.c., non vi è dubbio che i più che sacrosanti interessi dei creditori siano comunque adeguatamente tutelati dagli ordinari strumenti di garanzia patrimoniale (revocatoria, surrogatoria, ecc.), conosciuti da secoli dal nostro ordinamento, mentre risulta assolutamente insostenibile pensare che, ad es., il contributo per il mantenimento della prole minorenne risponda ad un interesse meramente «privato» e patrimoniale, in ogni caso «inferiore» rispetto a quello dell’imperante «Dio Mercato» e all’interesse dei creditori, quasi che i figli non fossero, a tale titolo e a loro volta, veri e propri creditori dei propri genitori!
[257] Sul fatto che nel trust vi
possano essere, rispetto ad un medesimo vincolo di destinazione, beneficiari
immediati e beneficiari finali, v. Lupoi,
L’atto istitutivo di trust, Milano,
2005, p. 94 ss.; Petrelli, Formulario notarile commentato, III, 1,
Milano, p. 1024, 1036; Id., La trascrizione degli atti destinazione, cit., p. 13.
[258] E a prescindere, lo si ripete ancora una volta, dai seri dubbi sull’ammissibilità dell’istituto, qualora si sia in assenza di elementi di estraneità, diversi dal mero capriccio del costituente nella scelta di una legge straniera
[260] Sul tema, cui non è
possibile dedicare neppure un accenno in questa sede, v. alcuni accenni supra, § 13; si fa inoltre rinvio a Oberto,
I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio,
in Fam. dir., 1995, p. 155 ss.; Id., I contratti della crisi
coniugale, II, cit., p. 1211 ss.; Id.,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di
separazione e divorzio, cit., p. 3 ss.; Id.,
I trasferimenti patrimoniali in occasione della
separazione e del divorzio, in Familia, 2006, p. 181
ss.; Id., Contratto e famiglia, cit., p. 323 ss.; cfr. inoltre T.V. Russo, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella
separazione e nel divorzio, Napoli, 2001; P. Carbone,
I trasferimenti immobiliari in occasione
della separazione e del divorzio, in Notariato,
2005, p. 627 ss.
[261] Cfr. Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, cit., p. 391 ss. Nel senso che il verbale di conciliazione giudiziale può contenere una transazione con cui si disponga l’immediato trasferimento di diritti su di uno o più beni, e che, come atto (pubblico) immediatamente traslativo, ben può costituire titolo per la trascrizione cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1966, p. 80; Tondo, Sull’idoneità dei verbali di conciliazione alle formalità pubblicitarie, in Foro it., 1987, I, c. 3134; per il carattere di atto pubblico e di titolo esecutivo di un verbale di conciliazione giudiziale tra coniugi v. Trib. Firenze, 26 agosto 1987, in Giur. merito, 1988, p. 756, con nota di Pazienza. Nel senso che «Quanto (...) all’atto documentato, il contenuto sostanziale del processo verbale può essere il più vario: può essere dato, indifferentemente da attività materiali che vengono descritte, ovvero da osservazioni che vengono riportate, ovvero da dichiarazioni aventi o meno contenuto negoziale. E’ altresì indifferente che le attività siano state compiute dallo stesso pubblico ufficiale che forma il processo verbale, ovvero da altri soggetti, anche privati» cfr. anche Massari, Processo verbale (diritto processuale civile), in Noviss. dig. it., XIII, Torino, 1966, p. 1221. Il tema è sviluppato, con riguardo ai contratti della crisi coniugale, nelle opere citate alla nota precedente, cui si fa rinvio anche per la determinazione del concetto di «condizioni della separazione e del divorzio».
[262] Cfr. Oberto, Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi, dal 15 dicembre 2006 al
sito web seguente: https://www.giacomooberto.com/2645ter/2645ter_e_rapporti_patrimoniali.htm
(cfr. § 6).
[263] Cfr. ad es. Di Profio, op. loc. ultt. citt.; Petti, op. cit., p. 233 ss.; Bartoli, Trust e atto di destinazione nel diritto di
famiglia e delle persone, cit., p. 48 s.; Ceolin, Il punto sull’art. 2645 ter a cinque
anni dalla sua introduzione, cit., p. 372; Rispoli, op. cit., p. 323, nota 13;
[264] Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Guida dir., 2007, n. 18, p. 58; in Dir. fam. pers., 2007, p. 1726; ivi, 2008, p. 194, con nota di Frezza; ivi, 2009, p. 1199, con nota di Marra; in Fam. pers. succ., 2007, p. 779 ss., con nota di Partisani; in Giur. merito, 2007, p. 3189, con nota di Di Profio.
[265] Sul punto v. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 149 ss.; Id., Trasferimenti patrimoniali in favore della prole operati in sede di crisi coniugale, Nota a Trib. Salerno, 4 luglio 2006, in Fam. dir., 2007, p. 64 ss.; Id., Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione o divorzio tra contratto e giurisdizione: il caso delle intese traslative, disponibile alla pagina web seguente: http://giacomooberto.com/bologna2011/relazione_oberto_bologna_8_aprile_2011.htm; sulla decisione di merito sopra citata v. anche Marra, op. cit., p. 1199 ss.
[266] Cfr. Trib. Bologna, 5 dicembre 2009, in Civilista, 2010, n. 9, p. 93, con nota di Mastromatteo.
[267] E a prescindere dalle
questioni circa l’applicabilità o meno agli atti istitutivi di trusts dell’imposta di registro a tassa
fissa, su cui v. Nassetti, op. loc. ultt. citt.; più in generale
sui profili tributari dei trusts cfr.
Lupoi, Trusts, cit., p. 753 ss.
[268]
Cfr. Corte cost., 10 maggio 1999, n. 154, in Foro it., 1999, I, c. 2168; in Giur.
it., 1999, p. 2187; in Riv. notar.,
2000, II, p. 657, con nota di Lucariello.
[269] Sul tema cfr. Oberto, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, cit., p. 397 ss.
[270] Sull’interpretazione di tale espressione cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 299 ss.; Id., Trasferimenti patrimoniali in favore della prole operati in sede di crisi coniugale, cit., p. 64 ss.
[271] Cfr. Fanticini, L’articolo
2645-ter del codice civile:
“Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi
meritevoli di tutela riferibili a persone a persone con disabilità, a pubbliche
amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche”, cit., p. 343; de Donato, Elementi dell’atto di destinazione, cit., p. 6 s.; Oberto, Famiglia di fatto e convivenze: tutela dei soggetti interessati e
regolamentazione dei rapporti patrimoniali in vista della successione,
cit., p. 668 ss.; Id., Atti di
destinazione (art. 2645-ter c.c.)
e trust: analogie e differenze, cit., p. 351 ss.; Id., Vincoli
di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi,
cit., p. 202 ss.; Id., I diritti dei conviventi. Realtà e
prospettive tra Italia ed Europa, Padova, 2012, p. 133 ss.; Muritano, Trust e atto di destinazione negli accordi fra conviventi more uxorio, in
Trusts e attività fiduciarie, 2007,
p. 199 ss.; Cinque, L’atto di destinazione per i bisogni della
famiglia di fatto: ancora sulla meritevolezza degli interessi ex art. 2645 ter cod. civ., Nota a Trib. Trieste, 19 settembre 2007, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 692
ss.; G.A.M. Trimarchi, op. cit., p. 426 ss.; Bartoli, Trust e atto di destinazione nel diritto di
famiglia e delle persone, cit., p. 701 ss.; Falletti,
La famiglia di fatto: la disciplina dei
rapporti patrimoniali tra i conviventi, in Aa.
Vv., Gli aspetti patrimoniali della famiglia. I rapporti patrimoniali tra
coniugi e conviventi nella fase fisiologica ed in quella patologica, a cura
di Oberto, Padova, 2011, p. 83 ss.
In giurisprudenza v. la prima
decisione sul tema, che ha affermato non doversi procedere in relazione
all’istanza dei genitori esercenti la potestà su tre figli minori, diretta
all’emissione, ove ritenuta necessaria dal giudice tutelare, di autorizzazione
all’alienazione di beni sottoposti a vincolo ex art. 2645-ter c.c. in favore del nucleo di fatto costituito dai genitori
stessi, conviventi more uxorio, e dai
tre predetti figli minori della coppia. In motivazione il giudice tutelare,
rilevato che l’atto costitutivo del vincolo prevedeva la possibilità di libera
alienazione pur in presenza di figli minori senza autorizzazione giudiziale, ha
ritenuto l’applicabilità al caso di specie dell’art. 169 c.c. per «l’identità
di ratio alla base dell’accordo di
cui all’atto Notaio (…) rispetto alla disciplina del fondo patrimoniale, per
l’estensione alla famiglia di fatto della tutela derivante dalla destinazione
di determinati beni per far fronte ai bisogni della famiglia». La predetta
clausola è stata reputata conforme al disposto dell’art. 169 cit.,
interpretato, secondo la prevalente e preferibile giurisprudenza, come
favorevole alla possibilità di derogare al requisito dell’autorizzazione per il
compimento di atti di straordinaria amministrazione su beni del fondo
patrimoniale (cfr. Trib. Torino, 6 maggio 2011, decreto inedito, ma disponibile
nell’appendice giurisprudenziale di Oberto,
I diritti dei conviventi. Realtà e
prospettive tra Italia ed Europa, cit., Appendice A, Cap. VI, p. 288 s.). Nel caso di specie, peraltro, senza
ricorrere ad improbabili estensioni analogiche, sarebbe stato sufficiente
considerare il rilievo da attribuire alla libertà negoziale, non prevedendo
l’art. 2645-ter c.c. in alcun modo
l’intervento del giudice tutelare, né trattandosi, a tacer d’altro, di gestire
beni ricadenti nella titolarità dei minori.
[272] Sul
profilo della meritevolezza di tutela v. supra,
§§ 7 s.; cfr. inoltre Oberto,
Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze, cit., p.
351 ss.; in giurisprudenza cfr. Trib. Vicenza, 31 marzo 2011, cit., secondo cui
(come già ricordato: v. supra, § 8), «Gli interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art.
2645 ter c.c. sono quelli attinenti alla solidarietà sociale e non
quelli dei creditori di una società insolvente perché altrimenti si consentirebbe
ad un atto di autonomia privata d’incidere sul regime legale inderogabile della
responsabilità patrimoniale al di fuori di espresse previsioni normative».
Questo specifico profilo è stato collegato in dottrina (cfr. Galluzzo, Selezione degli “interessi meritevoli di tutela” nell’applicazione
dell’art. 2645-ter c.c.,
cit., p. 403) a quello dell’utilizzo del trust
liquidatorio a tutela dei creditori (su cui v. ad es. Trib. Milano ord., 16
giugno 2009, in Corr. giur., 2010, p.
522; in dottrina cfr. Lo Cascio, Proposta di concordato preventivo mediante
trust, in Fallimento, 2009, p. 325; Demarchi, Il trust postfallimentare e
l’apparente chiusura del fallimento, in Giur.
merito, 2008, p. 741). In realtà, come spiegato a suo tempo dallo scrivente
(v. supra, § 7),
il trust non presuppone alcun
controllo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti in concreto dal
costituente, dal momento che la valutazione sulla meritevolezza dell’istituto
sarebbe stata effettuata (ovviamente, per chi volesse seguire la tesi che
postula la validità del trust
interno) in astratto, una volta per tutte, dal legislatore. Non vi è
dubbio, poi, che su questo specifico tema (che esula dalla presente
trattazione) non può non influire la L. 27 gennaio 2012, n. 3 («Disposizioni in
materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovra
indebitamento»), il cui art. 7 prevede che gli accordi con i creditori per la
soluzione delle situazioni di sovraindebitamento possano «anche prevedere
l’affidamento del patrimonio del debitore ad un fiduciario per la liquidazione,
la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori». In senso contrario
all’ammissibilità di un vincolo di destinazione a tutela della famiglia di
fatto cfr. la già citata ed insostenibile tesi di D’Amico, op. loc. ultt. citt., per una critica alla quale si fa rinvio a
quanto illustrato supra, § 19.
[273] Così Marzi, op. cit., p. 66.
[274] Per un modello di atto istitutivo di vincolo di destinazione a beneficio di una famiglia di fatto cfr. Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 387 ss.
[275] Così ad esempio, in un modello inviato allo scrivente, si stabilisce che,
contestualmente alla donazione di un compendio immobiliare da padre al figlio,
si costituisca da parte del donatario un vincolo di destinazione dei citati
beni a beneficio dei bisogni del padre e della madre (conviventi more uxorio) e principalmente al
soddisfacimento delle loro esigenze abitative. Ecco come viene concretamente
strutturato il vincolo. «ART. 8 - Il sig. C F [figlio donatario del compendio
immobiliare] destina, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2645 ter Cod. Civ. a favore del padre sig. C
V e della madre P R, che accettano e
prendono atto della destinazione a loro favore, allo scopo di realizzare
l’interesse indicato in premessa, e precisamente di assicurare ai genitori una
esistenza decorosa, garantendo loro una abitazione idonea alle necessità e ciò
anche in considerazione del rapporto di stabile convivenza fra di essi
intercorrente, interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento in
quanto rinviene la sua ragione nella tutela e nel riconoscimento di tale
rapporto, quale nucleo portatore di valori di assistenza e sostegno reciproci,
trovando il suo fondamento nel principio di solidarietà dei rapporti affettivi
e nel solenne riconoscimento che a tale rapporto è dato, quale istituzione
sociale, dall’art. 2 della Costituzione, la quota di comproprietà pari ad 1/2
(un mezzo) indiviso dei beni immobili indicati al precedente art. 1, alle
seguenti condizioni:
- la destinazione ha la durata
della vita dei benificiari, fermo rimanendo quanto più avanti specificato;
- i beni in oggetto restano
nella titolarità del conferente;
- a seguito della trascrizione
il vincolo è opponibile a terzi ex
art. 2645 ter Cod. Civ.;
- gli immobili in oggetto
costituiscono pertanto patrimonio separato dal residuo patrimonio di C F;
- per effetto della separazione
patrimoniale i beni in oggetto sono suscettibili di azioni esecutive solo per
debiti contratti per la destinazione, salvo quanto previsto dall’art. 2915
primo comma Cod. Civ.;
- l’immissione in possesso è
regolata in funzione della destinazione;
- i beni in oggetto sono
destinati alle esigenze abitative del nucleo familiare composto dai
beneficiari, in modo completo, senza limitazione alcuna;
ove l’esigenza abitativa di
tutti i beneficiari della destinazione non sia immediata, l’immobile potrà
essere locato a terzi o comunque concesso in altre forme di godimento con
corrispettivo; tuttavia i frutti e ogni altra utilità economica ritraibili dal
bene destinato, dedotto quanto appresso indicato, spettano ai Beneficiari della
destinazione per i loro bisogni di vita. In tal caso gli “Attuatori” del
vincolo, come sotto specificati, procederanno all’accensione di un conto
corrente, sul quale verranno fatti confluire frutti derivanti dalle locazioni
dei beni oggetto del vincolo.
Il conferente potrà procedere
all’alienazione degli immobili destinati solo per necessità relative allo stato
di conservazione degli stessi ed a un prezzo non inferiore da quello risultante
da una perizia giurata di stima che sarà redatta, almeno 120 (centoventi)
giorni prima della prospettata alienazione, da un esperto stimatore nominato
dal Presidente della Camera di commercio di … su istanza del conferente
medesimo; verificandosi tale ipotesi il vincolo ex art. 2645 ter Cod.
Civ. sull’immobile alienato verrà a cessare ed il conferente procederà
all’impiego delle somme riscosse nell’acquisto di un altro immobile da
vincolarsi al medesimo scopo. In caso di permuta s’intende che il vincolo si
trasferirà automaticamente sul bene ricevuto dal conferente, che dovrà
procedere alla relativa formalità pubblicitaria.
Il sig. C F nomina i beneficiari sig.ri C V e P R
“Attuatori” per la soddisfazione del suddetto interesse;
- l’amministrazione e la
gestione dei beni vincolati, in vista del soddisfacimento degli scopi di
destinazione, spetta disgiuntamente ad entrambi gli Attuatori per gli atti di
ordinaria amministrazione, mentre spetta congiuntamente per gli atti di
straordinaria amministrazione; l’alienazione del bene potrà essere compiuta
solo dal conferente, peraltro alle condizioni specificate in precedenza.
Gli Attuatori si obbligano:
- ad amministrare i beni
vincolati con la diligenza del buon padre di famiglia, nel rispetto degli scopi
di destinazione, come sopra specificati;
- al compimento di ogni
attività necessaria per tutelare la consistenza fisica, l’integrità materiale e
il valore dei beni vincolati, il titolo di appartenenza e, se del caso, il
possesso;
E’ consentita, altresì, agli
Attuatori la stipula di contratti che prevedano la costituzione di diritti
reali o personali di godimento, di ipoteca o di qualsiasi altro vincolo sopra i
beni in oggetto, ma solo in quanto si tratti di atti diretti al soddisfacimento
degli scopi di destinazione. In questo caso la direzione dell’atto
all’attuazione dello scopo di destinazione deve essere in esso espressamente
dichiarata;
- la destinazione cesserà al
verificarsi del primo dei seguenti eventi:
1. decorsi .... anni dalla
stipulazione del presente atto;
2. una volta defunti tutti i
Beneficiari della destinazione;
3. dichiarazione di cessazione
della destinazione, resa per atto pubblico o autenticato da notaio, da tutti i
Beneficiari della destinazione di età non inferiore ad anni diciotto e non
incapaci, esistenti in tale momento, con il necessario consenso, se in vita,
del conferente;
In caso di premorienza del
conferente rispetto ai Beneficiari della destinazione, gli immobili destinati
si devolvono agli eredi del conferente gravati dal vincolo di destinazione
costituito col presente atto, ove esso non sia ancora cessato.
In tale ipotesi l’attuazione della destinazione continua con il soggetto che il conferente si riserva di indicare in separato documento o testamento».
[276] Il
dubbio è sollevato da G. Gabrielli,
Vincoli di destinazione importanti
separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari, in Riv. dir. civ., 2007, p. 321 ss.,
secondo cui «Certamente lecita è la
destinazione di beni a fare fronte esclusivamente ai bisogni di una famiglia di
fatto, non fondata sul matrimonio dell’autore della destinazione stessa. La destinazione
esclusiva ai bisogni di una famiglia fondata sul matrimonio, che è per certo la
sola contemplata dalle norme degli artt. 167 ss. c.c., si configura come
costituzione di un fondo patrimoniale; ma, secondo la disciplina propria di
quest’ultimo, la separazione dei beni vincolati dal residuo patrimonio del
proprietario di essi è regolata in modo ben diverso – e, ben può dirsi, meno
perfetto – di quello che risulta dalle norme dell’art. 2645-ter c.c. in relazione ai vincoli non
direttamente individuati dalla legge, come potrebbe essere, se bastasse la
liceità del fine, quello comportato dalla destinazione ai bisogni della
famiglia di fatto. Invero, dei beni costituiti in fondo patrimoniale si può
efficacemente disporre, purché con il consenso di entrambi i coniugi e con
l’aggiuntiva autorizzazione giudiziale, necessaria peraltro nel solo caso in
cui vi siano figli minori (art. 169 c.c.): può efficacemente disporsene, si
noti, anche a fini diversi da quello cui sono destinati. Dalla norma dell’art.
2645-ter risulta, per contro, che i
beni vincolati – per esempio, se lo si consentisse, anche al fine di fare
fronte ai bisogni della famiglia di fatto – “possono essere impiegati solo per
la realizzazione del fine di destinazione”: dal che si desume che anche
l’alienazione per un fine diverso sarebbe in ogni caso impossibile, e quindi
inefficace, sol che il vincolo sia stato reso opponibile a terzi in forza della
pubblicità. Ne conseguirebbe che l’interesse del terzo all’acquisto non sarebbe
mai tutelato, cedendo sempre di fronte a quello di rispetto del vincolo di
destinazione (atipico, perché non direttamente individuato dalla legge), anche
nei casi in cui l’interesse del terzo viene fatto salvo pur a fronte del
vincolo tipico, dato dalla destinazione ai bisogni della famiglia fondata sul
matrimonio: un atto dispositivo per fine estraneo ai bisogni della famiglia di
fatto sarebbe invero inefficace, anche se consentito da colui che è in
comunione di vita con il proprietario disponente; né sarebbe concepibile un’autorizzazione
giudiziale, pur in presenza di figli minori, giacché l’eventuale istanza
diretta ad ottenerla non potrebbe avere risposta diversa da una dichiarazione
di non luogo a provvedere. Sotto altro profilo, può osservarsi che al creditore
del proprietario di beni costituiti in fondo patrimoniale il soddisfacimento
coattivo su quei beni è precluso soltanto in relazione ad obbligazioni assunte
per scopi che egli sapeva estranei al fine di destinazione (art. 170 c.c.),
mentre al creditore del proprietario di beni destinati ai bisogni della
famiglia di fatto il soddisfacimento coattivo sarebbe precluso – a norma
dell’art. 2645-ter, se si consentisse
di farne applicazione per qualsivoglia finalità non illecita – in forza del
solo elemento oggettivo, dell’estraneità dell’obbligazione al fine di
destinazione, indipendentemente dallo stato soggettivo del creditore stesso.
L’illegittimità costituzionale di una così irragionevole disparità di
trattamento sembra, come si diceva, evidente. Il fine di destinazione ai
bisogni della famiglia fondata sul matrimonio non può avere trattamento meno
favorevole di quello della destinazione ai bisogni della famiglia di fatto».
[277] V. supra, §§ 14-19; cfr. inoltre Oberto,
Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi, cit., p. 202 ss.
[278] Per un modello di atto istitutivo di vincolo di destinazione a beneficio di una famiglia di fatto, contenente una clausola del genere, cfr. Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 387 ss.
[279] Cui
l’atto inter vivos costitutivo del
fondo va ascritto: cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I,
cit., p. 332 ss.
[280] Cfr. Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 133 ss.
[281] Che costituirà, verosimilmente, la ragione
principale per la quale anche i vincoli di destinazione verranno creati, non
appena (ci sia consentita la battuta) i commercialisti, pur con qualche anno di
ritardo, si saranno resi conto di quanto viene illustrato in appresso nel
testo.
[282] Con questa fondamentale differenza, peraltro,
rispetto al noto istituto introdotto in Francia da una legge del 2003, estesa
nel 2008 a tutti i biens immobiliers non
professionnels, e cioè che l’insaisissabilité
«ne joue que pour les dettes à venir»: principio, questo, che, ove accolto nel
nostro sistema normativo (che talora sembra concepito per premiare i «furbi»),
risolverebbe non pochi dei problemi pratici posti dal fondo patrimoniale.
[283] V. supra, § 14; cfr.
inoltre Oberto, Atti di
destinazione (art. 2645-ter c.c.)
e trust: analogie e differenze, cit., p. 351 ss., 424 s.; Id., I diritti
dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit.,
p. 145 s.; in senso conforme v. anche G.A.M. Trimarchi, op. loc.
ultt. citt. (il quale rileva, per l’appunto, che «lo “stato” di separazione
dei beni in vincolo di destinazione è più “forte” di quelli in fondo
patrimoniale»); cfr. inoltre Bullo, Sub art. 2645-ter c.c., cit., p. 3330.
[285] Cfr. Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007, cit.
[286] Per tutti i richiami si fa rinvio ad Auletta, Il fondo patrimoniale, Milano, 1990, p. 29 ss.; Id., Il
fondo patrimoniale, in Aa.Vv., Il diritto di famiglia,
Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, II, Il regime patrimoniale della
famiglia, Torino, 1997, p. 392 s.; Cenni,
Il fondo patrimoniale, in Aa. Vv.,
Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, III, Regime patrimoniale
della famiglia, Milano, 2002, p. p. 563; Fusaro,
Del fondo patrimoniale, in Aa. Vv.,
Commentario del codice civile,
diretto da E. Gabrielli, Della Famiglia,
a cura di Balestra, Torino, 2010, p.
1048 s.; Demarchi Albengo, Il fondo patrimoniale, Milano, 2011, p.
95 ss.
[287] Sul
punto Oberto, Atti di destinazione (2645-ter c.c.)
e trust: analogie e differenze,
cit., p. 385 ss.; Id., I diritti
dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit.,
p. 149 ss.; anche per G.A.M. Trimarchi,
op. loc. ultt. citt., «Sul piano
generale non può certo escludersi che la famiglia non fondata sul matrimonio
possa considerarsi un “ente”, una formazione all’interno della quale le persone
che la compongono sviluppino la propria persona il cui valore è centrale nel
ragionamento sulla meritevolezza sopra esteso».
[288] G.A.M. Trimarchi, op. loc. ultt. citt.
[289] G.A.M. Trimarchi, op. loc. ultt. citt.
[290] Cfr. Demarchi
Albengo, op. loc. ultt. citt.
[291] Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 150 s.
[292] Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 150 s.
[293] Cfr. Trib. Saluzzo, 19 luglio 2012, in Famiglia e minori, 22 dicembre 2012, con nota di Di Sapio e Gianola.
[294] Cfr. Di Sapio e Gianola, op. loc. ultt. citt.
[295] Per i richiami cfr. Di Sapio e Gianola, op. loc.
ultt. citt., i quali rimarcano che alcuni interpreti fanno cenno
all’articolo 1411 c.c. e, su questa piattaforma, si è ammessa la revocabilità
della destinazione fino a che non sia resa la dichiarazione di volerne
profittare. Altri interpreti, in applicazione della più ampia regola
sistematica ricavabile dagli artt. 1333, 1411, 1236, 649 e 785 c.c., ritengono
invece che la dichiarazione di voler profittare è necessaria esclusivamente per
stabilizzare la posizione beneficiaria, non per rendere irretrattabile
l’impegno assunto dai costituenti, che, nel nostro caso, è un tema differente,
da verificare con riguardo allo specifico contenuto dell’atto di destinazione (Bartoli, Trust e atto di destinazione nel diritto di
famiglia e delle persone, cit., p. 79 e, a proposito dei trust, Di Sapio, Gli strumenti contrattuali di cura e di protezione dei minori d’età
portatori di handicap: un’esposizione, cit., p. 626, con divergenze in ordine ai negozi a causa
familiare).
[296] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1160 s.; Id., Trasferimenti patrimoniali in favore della prole operati in sede di crisi coniugale, cit., pag. 69 s.
[297] Cfr. Trib. Massa, 31 luglio 2012, in