PER UN INTERVENTO NORMATIVO IN TEMA DI
ACCORDI PREVENTIVI SULLA CRISI DELLA
FAMIGLIA
Sommario: 1. Introduzione. La crisi
della famiglia come crisi coniugale, crisi dell’unione civile e crisi
dell’unione di fatto. – 2. Gli accordi in vista della
crisi coniugale. Suggerimenti di carattere generale. – 3.
Segue. I profili di carattere
patrimoniale. Il ruolo del giudice. – 4. Il ruolo
dell’autonomia negoziale nella conformazione degli accordi preventivi in
vista della crisi coniugale. – 5. Contratti di
convivenza e contratti prematrimoniali. L’insegnamento ricavabile dal
raffronto tra le due categorie. – 6. Contratti di
convivenza e contratti prematrimoniali. Ricognizione dei possibili punti di
contatto, anche alla luce della l. n. 76 del 2016. – 7. Segue. Le clausole sulla rottura del
rapporto (matrimoniale o di convivenza). – 8. Contratti
di convivenza e contratti prematrimoniali. Analisi di alcune tra le più
rilevanti divergenze. – 9. Contratti di convivenza e
contenuti mancati nella l. n. 76 del 2016. – 10. Segue. L’ammissibilità di clausole sulla
rottura del rapporto di fatto pur dopo l’approvazione della l. n. 76 del
2016. – 11. Contratti di convivenza, obbligazioni naturali e
obbligo alimentare. – 12. Appendice. Proposta di legge dal titolo: « Modifiche al codice
civile, alla legge 1º dicembre 1970, n. 898, alla legge 6 marzo 1987, n. 74 e
alla legge 20 maggio 2016, n. |
1.
Introduzione. La crisi della famiglia come crisi
coniugale, crisi dell’unione civile e crisi dell’unione di fatto.
Diversi anni sono trascorsi da quando lo scrivente,
nel contesto dello studio monografico sui contratti della crisi coniugale,
lanciava l’idea di consentire e praticare anche in Italia la predeterminazione
della sorte delle prestazioni postmatrimoniali, mercé il ricorso ad accordi
prematrimoniali in vista della crisi coniugale, sostenendone la piena
ammissibilità, già de iure condito,
nel nostro sistema [1]. Il dibattito che ne è seguito ha visto la dottrina
almeno in parte contrapporsi ad una giurisprudenza di legittimità arroccata su
posizioni fortemente negazioniste, che sono però andate man mano stemperandosi
nell’enumerazione di talune ipotesi eccezionali, divenute via via sempre più
frequenti, in relazione alle quali si è di fatto riconosciuta la validità di
singole intese preventive in vista dell’annullamento del matrimonio, del
divorzio o della separazione [2].
Per la precisione, dovrà aggiungersi che chi ha speso
tanti anni della propria attività per dimostrare la validità di un determinato
tipo di negozi giuridici non ha mancato, già alcuni anni or sono, di farsi, per
altro verso, alfiere della disciplina de
iure condendo degli stessi [3]. In realtà, questo non equivale, in modo alcuno, ad
ammettere che la persistente assenza di una normativa ad hoc impedisca il ricorso, già oggi, al generale principio di
libertà contrattuale. Semmai, non vi è dubbio sul fatto che la presenza di tale
positiva disciplina servirebbe, da un lato, a sgombrare definitivamente il
campo dalle (ingiustificate) resistenze che molti ancora oggi oppongono e,
dall’altro, a fornire di adeguata e ragionevolmente certa risposta tutta una
serie di interrogativi che si pongono sulla tutela di posizioni quali, ad
esempio, quella della parte eventualmente « debole », o sull’esatta
delimitazione delle « sfere di competenza » del notaio, dell’avvocato e del
giudice. La citata proposta viene ora qui rielaborata e completata con i
necessari interventi sul versante delle unioni libere, anche alla luce delle
gravissime perplessità sollevate dalla tecnica seguita dalla riforma del
Quella avanzata dallo scrivente non è certo la prima
proposta di legge in materia.
Contenuti e punti salienti di quelle presentate negli
ultimissimi anni hanno già formato oggetto di un particolare studio, cui si fa
qui, per brevità, mero rinvio [4]. Il « difetto » di tali esercizi, però, è quello di
recare evidenti le stigmate delle rispettive categorie professionali di
provenienza. Con il presente lavoro si tenta invece di fornire una visione super partes, tenendo chiaramente
distinti, ancorché possibilmente convergenti, i ruoli del notaio, dell’avvocato
e del giudice. Soprattutto, per ciò che attiene alle prime due categorie, si è
cercato di trasfondere in proposte di norme concrete la fondamentale
distinzione di contenuti che il contratto prematrimoniale (così come il
contratto pre-unione civile, ma anche pre-convivenza) può avere: dall’accordo
sulle conseguenze della crisi del rapporto in tema di assegni postmatrimoniali
(in tutte le loro possibili forme), all’intesa circa le conseguenze che il
fallimento dell’unione può produrre sull’assetto del regime matrimoniale
prescelto, al pacte de famille sulla
conservazione e sulla trasmissione post
mortem del patrimonio familiare. In queste due ultime situazioni è evidente
che solo un intervento riformatore potrebbe aiutare, da un lato, a restituire
al regime legale la souplesse
necessaria ad evitarne il rifiuto da parte della stragrande maggioranza delle
nuove coppie [5], e, dall’altro, ad arginare, per lo meno in questo
limitato settore – conformemente del resto ad una tradizione secolare,
inopportunamente eliminata dal radicalismo giacobino della legislazione
rivoluzionaria – la straripante invadenza del divieto dei patti sulle
successioni future.
L’approvazione, nel 2016, della riforma sulle unioni
civili e, soprattutto, sulle convivenze di fatto [6] ha però posto prepotentemente alla ribalta la
necessità di affrontare la questione della previsione delle conseguenze
patrimoniali del possibile naufragio di un rapporto affettivo anche nell’ottica
di quelle unioni che le parti non intendono formalizzare sotto il profilo
personale, pur senza escludere che questioni d’ordine patrimoniale possano un
giorno venirsi a porre. Sul piano della ripartizione dei ruoli, poi, la riforma
Cirinnà segna una sorta di « tregua », conclusa tra notai ed avvocati, con la
disposizione del comma 51, che, nella sua formulazione, crea in realtà più
problemi di quanti ne risolva, proprio perché non preceduta da un parallelo
lavoro normativo sul versante delle intese inter
coniuges.
Ineludibile, quindi, appare la necessità di studiare
intrecci, rapporti, « dialoghi » ed ispirazioni reciproche tra i più vari tipi
di accordi destinati a risolvere in via preventiva questioni che finiscono con
il porsi in maniera sovente assai simile, se non addirittura identica, in
entrambi i principali tipi di famiglia oggi esistenti in Italia: quella, cioè,
fondata sul matrimonio (o – il che sostanzialmente è lo stesso – sull’unione
civile), da un lato e, in alternativa, quella basata sulla semplice convivenza
di fatto.
2.
Gli accordi in vista della crisi coniugale. Suggerimenti di carattere generale.
Cominciando, dunque, dai possibili suggerimenti in
materia di contratti in vista della crisi del matrimonio (o dell’unione
civile), appare logico iniziare dal profilo terminologico, ove sembra
preferibile abbandonare la dizione (proposta invece da quasi tutti i progetti
di legge ad oggi in vario modo pubblicati) di « accordi prematrimoniali ».
L’attributo « prematrimoniale » – a parte l’impropria
evocazione, in un ambiente ancora fortemente marcato dalla tradizione
cattolica, degli esecrati rapporti sessuali ugualmente aggettivati – finisce
con l’essere assai limitativo. L’esperienza dimostra, infatti, che molte delle
intese qui in discorso sono stipulate non già prima del matrimonio, bensì in
costanza di esso, laddove ciò che caratterizza questi accordi non è tanto il
momento in cui gli stessi sono conclusi rispetto al giorno del fatidico « sì »,
bensì la loro natura in contemplation of
divorce. Per giunta, alcune delle proposte di questi ultimi anni
discriminano tra accordi prematrimoniali ed accordi successivi alla
celebrazione delle nozze, vuoi rendendo (chissà mai perché) possibili solo i primi,
vuoi imponendo (anche qui non si comprende bene per quale ragione) il rispetto
di forme diverse [7]. Quanto sopra spiega dunque l’opzione per la formula
« accordi preventivi sulla crisi coniugale », laddove l’aggettivo « preventivi
» chiaramente si riferisce ad un momento precedente rispetto alla crisi
dell’unione e non necessariamente alla costituzione del rapporto di coniugio.
Quanto, poi, al richiamo alla « crisi coniugale »,
anziché al divorzio, si è voluto qui rendere omaggio a quell’espressione («
contratti della crisi coniugale » ) che – da chi scrive inventata in una
piovosa giornata nizzarda dell’inverno 1998, quale titolo del lavoro che
sarebbe stato pubblicato all’inizio dell’anno successivo – ha ormai preso piede
in questi ultimi anni (anche nelle diligenti copiature di taluni Autori: ma
pure questo fenomeno è, in fondo, indice di successo!). E del resto è evidente
che, almeno fino a quando la separazione legale conserverà, nella stragrande
maggioranza dei casi, la sua caratteristica di condicio sine qua non per il divorzio, la maggior parte dei nodi
che formano potenziale oggetto di un’intesa del genere di quelle in discorso
continueranno a venire al pettine già in sede di separazione [8].
D’altro canto, lo scrivente vorrebbe caratterizzare la
propria proposta rispetto alle altre, proprio perché, piaccia o meno,
dogmaticamente corretto o scorretto che sia, anche l’annullamento del
matrimonio è uno dei modi con i quali si celebra e si risolve la crisi
coniugale; inoltre, proprio in relazione all’annullamento,
Si tenta dunque nella presente sede di fornire [11] una definizione degli accordi in discorso
caratterizzandoli, appunto, per la contemplation
della crisi coniugale, nelle sue varie forme, ma anche ancorandone l’oggetto
alla predeterminazione, da un lato, delle « condizioni » della separazione, del
divorzio e dell’annullamento del matrimonio e, dall’altro, dei « rapporti
patrimoniali » da tali pronunzie dipendenti. In tal modo si è voluto attribuire
rilievo, in primis, alle pattuizioni
su profili di carattere eventualmente anche non patrimoniale (dalla decisione
sulla conservazione del cognome del marito, alle intese sull’esercizio della
responsabilità genitoriale, tanto per citare due esempi) [12], secondo il significato usualmente attribuito al
termine « condizioni della separazione » o « condizioni del divorzio » [13].
Ciò spiega perché si è evitato nella specie l’utilizzo
del termine « contratto », sebbene il richiamo alle norme codicistiche della
parte generale di siffatto istituto giuridico si imponga, sia per le
pattuizioni su prestazioni di carattere patrimoniale (che al genus contrattuale sicuramente
appartengono), sia per quelle non aventi natura patrimoniale, in base alla nota
teoria sul negozio giuridico familiare [14].
3.
Segue.
I profili di carattere patrimoniale. Il ruolo del giudice.
Ineludibile appariva poi la necessità di trattare nella
proposta qui in discussione, in un’ottica postconiugale, il tema delle intese
attinenti al regime patrimoniale.
Per questa ragione il riferimento ai « rapporti
patrimoniali dipendenti dall’eventuale separazione personale, così come
dall’eventuale annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del
matrimonio » [15] – già presente, per ciò che attiene alla separazione
ed al divorzio, nella proposta avanzata nel 2011 dal notariato – è parso il più
idoneo a consentire alla voluntas contrahentium
di eventualmente modellare il regime patrimoniale in modo da conformarlo alla
necessità di soddisfare istanze solidaristiche per la sola ipotesi di
cessazione dello stesso in situazioni diverse dalla crisi (morte, fallimento,
convenzione matrimoniale, ecc.). Non vi è dubbio che una formulazione del
genere (unita alla regola in tema di forma, di cui verrà detto tra poco)
dovrebbe consentire, ad esempio, alle parti (all’uopo opportunamente informate
dal notaio) di optare per una comunione, vuoi legale, vuoi convenzionale («
allargata » o « ristretta », a seconda dei casi e dei desideri dei coniugi)
munita di una clause alsacienne, in
forza della quale il regime comunitario è destinato a venir meno, con efficacia
retroattiva, in caso di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio [16], persistendo, invece, per le altre ipotesi previste
dall’art. 191 c.c.
Alle parti sarà altresì consentito – conformemente a
quanto avviene in praticamente tutti i sistemi nei quali la comunione, nelle
sue varie epifanie, costituisce il regime legale [17] – optare per una comunione a quote diverse da quelle
necessariamente fifty-fifty, oggi
imposte dagli artt. 194 e 210 c.c., in modo tale da poter dar rilievo ad
un’eventuale differenza tra gli apporti dell’una e dell’altra parte per gli
acquisti operati dal ménage coniugale
[18].
Proprio tali aspetti evidenziano la possibile «
concorrenzialità », nella predisposizione dei relativi patti, tra la funzione
dell’avvocato e quella del notaio.
Se è vero, infatti, che il profilo degli accordi sulle
« condizioni » della separazione, del divorzio o dell’annullamento del
matrimonio apparirebbe, almeno di primo acchito, ricadere naturaliter nella sfera di competenza dell’avvocato, è altrettanto
innegabile che a ciò si potrebbe subito obiettare che la prospettiva
antiprocessuale [19] propria degli accordi preventivi potrebbe non sempre
adattarsi ad essere pienamente recepita da una categoria professionale
eminentemente impegnata sul profilo contenzioso (ovvero su quello consensuale,
in un momento che si pone, però, sempre « a valle » rispetto al matrimonio ed
alla crisi coniugale). D’altro canto, la stesura di accordi che implichino la
modifica del regime patrimoniale (ancorché nell’ottica della crisi coniugale)
viene a dar vita a vere e proprie convenzioni matrimoniali, per la redazione
delle quali è competente, come noto, il solo notaio.
Per queste ragioni, e per evitare il blocco di un
processo evolutivo positivo, derivante da possibili veti incrociati delle due
categorie professionali, sembra opportuno definire con precisione i limiti
delle rispettive sfere di competenza, indicando nel notaio l’unico
professionista legittimato a rogare accordi in vista della crisi coniugale
contenenti modifiche alle norme in tema di regimi patrimoniali della famiglia,
così come eventuali patti successori endofamiliari [20]. Gli altri accordi preventivi potranno invece essere,
indifferentemente, vuoi rogati da notaio, vuoi stipulati con mera scrittura
privata, autenticata però da un avvocato cassazionista, previa sottoposizione a
quella ulteriore forma di garanzia che nel mondo anglosassone viene designata
come independent legal counsel [21].
Si è ritenuto invece di escludere l’applicabilità delle
citate regole in materia di forma nel caso di accordi conclusi in sede di
separazione personale in vista del divorzio. La ragione di ciò risiede nel
fatto che siffatte intese sono oggetto di omologazione, nel caso di separazione
consensuale, o comunque vengono recepite dalla sentenza pronunziata su
conclusioni conformi in caso di separazione « consensualizzata »: la peculiare
situazione in cui questi accordi maturano appare dunque tale da sconsigliare il
ricorso a forme più rigorose e ciò anche nel caso in cui le parti si fossero
avvalse della (ad avviso di chi scrive, peraltro, criticabile) possibilità
concessa da molti tribunali di presentare e discutere il ricorso per
separazione consensuale senza l’assistenza di un difensore. Lo stesso vale per
gli accordi di separazione consensuale raggiunti tramite procedura di
negoziazione assistita da avvocati o di fronte ad ufficiale dello stato civile
(artt. 6 e 12 d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, in
l. 10 novembre 2014, n. 162). Anche qui, invero, le regole formali imposte
dalla legge sembrano comunque garantire il pieno rispetto dell’integrità e
della « ponderazione » del consenso prestato dalle parti.
Passando a trattare del ruolo del giudice, va detto
che, a differenza di taluni progetti di legge, che investono l’autorità
giurisdizionale di una funzione arcaicamente paternalistica, facendole carico
di operare, praticamente, un’imprescindibile revisione dei pacta, per adattarli a criteri di supposta equità, oppure invocando
una (impropria) « ratifica » delle intese, si è qui inteso scongiurare il
risultato di fomentare la litigiosità delle parti, pervenendo a risultati
diametralmente opposti rispetto a quelli che la negozialità endofamiliare
dovrebbe perseguire.
Tutto al contrario, si è scelta la via di attribuire
al giudice la veste che gli è più pertinente, vale a dire quella del garante
del principio secondo cui pacta sunt
servanda. Il tribunale interverrà pertanto solo in assenza di accordi,
laddove, in presenza di questi, la sua funzione sarà quella di dare atto della
volontà delle parti, attribuendo all’intesa efficacia di titolo esecutivo. Sarà
il caso di precisare che, sebbene in qualche situazione tale effetto potrebbe
già appartenere all’atto (cfr. art. 474, nn. 2 e 3, c.p.c.), ciò potrebbe non
valere per ogni tipo di accordo (si pensi ad un’intesa redatta per scrittura
privata autenticata da avvocato, che preveda un’obbligazione diversa da quella
descritta dall’art. 474, n. 2), c.p.c.), mentre potrebbero sorgere controversie
sul verificarsi della condizione da cui la prestazione eventualmente dipende.
La funzione di garanzia del giudice si esplica appieno
nelle intese relative alla prole minorenne, in relazione alle quali si è
prevista una procedura analoga a quella della omologazione di cui all’art. 158
cpv. c.c. o 4, sedicesimo comma, l. div. [22]. La prescritta autorizzazione va richiesta peraltro
solo dopo la celebrazione delle nozze, nel caso vi siano già figli, oppure a
partire dalla nascita del primo figlio e va comunque nuovamente richiesta ad
ogni eventuale successiva nascita di altri figli, atteso che l’evidente
mutamento delle circostanze può diversamente modulare il giudizio di conformità
delle intese all’interesse della prole.
Il meccanismo omologatorio qui envisagé appare di gran lunga preferibile alla via prescelta dal
più recente d.d.l. presentato al Parlamento sul tema in oggetto, che affida il
controllo al pubblico ministero [23], attese le perplessità formali e sostanziali
sollevate in merito all’analoga attività svolta dal procuratore della
Repubblica in merito agli accordi di negoziazione assistita [24].
Quanto ai modi con i quali si può concretamente
modellare l’assetto degli eventuali rapporti postmatrimoniali, viene lasciato,
nella proposta dello scrivente, il più ampio spazio all’autonomia negoziale.
In questo contesto, la norma di cui al sesto comma dell’art.
162-bis c.c. [25] – secondo cui «
Le parti possono anche costituire su uno o più immobili o mobili
iscritti in pubblici registri un vincolo di destinazione ai sensi dell’articolo
2645-ter, in favore dei coniugi
stessi, o di uno solo di essi, così come dei figli, sia per la durata del
rapporto matrimoniale, che dopo l’eventuale verificarsi della separazione
personale, dell’annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli
effetti civili del matrimonio » – potrebbe anche ritenersi superflua, se
autorevole dottrina non avesse addirittura prospettato l’inapplicabilità
dell’art. 2645-ter c.c. alla famiglia
fondata sul matrimonio, in seno alla quale potrebbe darsi vita solo ad un fondo
patrimoniale [26]. In ogni caso non va trascurata la funzione «
didattica », « premiale » e « incentivante » che l’adozione di una normativa ad hoc può assumere, nello stimolo agli
operatori ad utilizzare strumenti che l’ordinamento già pone a disposizione dei
soggetti in linea generale. Siffatto profilo è stato, del resto, colto anche
dalla più recente proposta di legge presentata al Parlamento sul tema qui in
esame [27].
Lo stesso rilievo vale per quello che si avvia a
diventare un « classico » della crisi coniugale, vale a dire il rilievo che
l’eventuale instaurazione di una convivenza more
uxorio – da parte dell’uno o dell’altro dei contraenti – può dispiegare
sull’efficacia dell’assetto postmatrimoniale. Anche in questo caso è opportuno
che le parti s’accordino, espressamente, attribuendo o negando rilievo a tale
eventualità [28]. Proprio per tale ragione, nella versione qui
proposta del settimo comma dell’art. 162-bis
c.c., si prevede che le parti possano « predeterminare, oltre all’ammontare e
all’oggetto delle eventuali prestazioni da corrispondere a seguito della
separazione personale o dell’annullamento, scioglimento o cessazione degli
effetti civili del matrimonio, anche le condizioni delle predette prestazioni,
ivi compresa l’eventuale cessazione di quelle periodiche o, al contrario, la
persistente debenza delle stesse a seguito dell’instaurazione di una convivenza
more uxorio da parte dell’uno o
dell’altro dei contraenti ».
A differenza di quanto verrà detto in relazione agli
alimenti tra ex conviventi di fatto [29], si è voluta ribadire per i coniugi la relativa
irrinunziabilità, stabilendosi che le pattuizioni in esame [30] « possono anche contenere la rinunzia, totale o
parziale, di una delle parti al mantenimento da parte dell’altra, così come
alle prestazioni patrimoniali previste dagli articoli 129 e 129-bis o all’assegno previsto dalle
disposizioni in tema di scioglimento o cessazione degli effetti civili del
matrimonio, salvo il diritto dei coniugi agli alimenti ai sensi degli articoli
433 e seguenti ». Quanto sopra, evidentemente, in omaggio alla regola secondo
cui il vincolo matrimoniale fonda un dovere di solidarietà destinato
necessariamente a durare sin tanto che il vincolo personale perdura.
L’ottavo comma dell’art. 162-bis c.c., nella proposta elaborata dallo scrivente, configura un
vero e proprio trust all’italiana a
tutela di uno dei (rari) casi in cui l’importazione dell’istituto anglosassone
ha veramente un senso ed una sua causa meritevole di protezione da parte
dell’ordinamento giuridico, vale a dire la cura o il sostegno di figli disabili
[31].
La materia dei trasferimenti e della costituzione di
diritti è trattata sia dal citato comma ottavo (trasferimento in favore di un
fiduciario ed eventuale ritrasferimento in capo al conferente o in capo a terzi
beneficiari finali, quali gli stessi figli), sia dal comma quinto dello stesso
art. 162-bis c.c., nella versione qui
proposta dallo scrivente, che contempla la possibilità per le parti di regolare
i rapporti postmatrimoniali reciproci (nonché quelli relativi alla prole: ma
pure in questo caso è evidente la necessità di una autorizzazione diretta a
riscontrare nella specie la rispondenza agli interessi dei figli minori) anche
a mezzo dei citati atti traslativi [32]. Come è oggi già consentito in sede di contratti
della crisi coniugale, il trasferimento o la costituzione potranno avere nel
contratto preventivo la struttura del mero impegno a trasferire (o a
costituire), così come la struttura della traslazione o costituzione con
efficacia reale, sottoposta alla condizione sospensiva della crisi coniugale.
Si è ritenuto di dover precisare che, nel primo caso, gli impegni ad operare il
trasferimento della proprietà o la costituzione di diritti reali sono
assistiti, in caso di inadempimento, dal rimedio di cui all’art. 2932 c.c.
Non si è ritenuto opportuno, invece, porre limitazioni
quantitative ai trasferimenti in discorso, secondo quanto previsto, invece, dal
citato d.d.l. C/2669/XVII, che intenderebbe contenere entro la « metà del
proprio patrimonio » siffatte attribuzioni [33]. Una previsione del genere, invero, contrasterebbe
con la piena libertà di liberalità inter
coniuges, sancita nel nostro ordinamento a partire dalla nota decisione
della Consulta del 1973 [34]; eventuali violazioni delle quote ereditarie
indisponibili pertoccanti ad altri familiari dovrebbero trovare rimedio, se del
caso, nelle disposizioni in materia di tutela della legittima.
L’eventuale funzione traslativa delle intese in
discorso deve poi anche trovare un riscontro nelle disposizioni in tema di
pubblicità. Così, mentre si chiarisce nella proposta qui avanzata, a scanso di
equivoci, che anche la scrittura privata autenticata da avvocato, ex art. 162-bis c.c., è titolo idoneo alla trascrizione ai sensi dell’art. 2657
c.c., il nuovo art. 2647-bis c.c. si
occupa di fornire di adeguata pubblicità dichiarativa tali accordi, mentre
all’art. 2653 c.c. viene aggiunto un n. 6), che consente la trascrizione delle
domande giudiziali dirette all’adempimento delle obbligazioni assunte ai sensi
dei commi quinto, sesto, settimo e ottavo dell’articolo 162-bis, qualora abbiano ad oggetto
l’impegno ad effettuare il trasferimento della proprietà o la costituzione di
un diritto reale per effetto delle citate convenzioni. La pubblicità delle
domande di mero accertamento di effetti reali legati al verificarsi di eventi
della crisi coniugale pare invece già « coperta » dal n. 1) del citato
articolo.
La pubblicità per annotazione sull’atto di matrimonio
sarà poi richiesta per le convenzioni che operano la modifica del regime
patrimoniale, come disposto dal secondo comma dell’art. 162-bis c.c. [35].
Il problema dell’adeguamento dei patti al mutamento
delle circostanze è stato risolto in senso favorevole al mantenimento di un
notevole grado di « certezza » dei rapporti, mercé l’espressa esclusione dell’operatività
della clausola rebus sic stantibus
(che la volontà delle parti potrà invece sicuramente introdurre, dandosi
peraltro carico di specificare con sufficiente precisione quali circostanze
determineranno il mutamento, e in quale misura, degli impegni assunti). Viene
invece espressamente richiamato dal dodicesimo comma dell’art. 162-bis c.c. della citata proposta
legislativa dello scrivente il generale rimedio della risoluzione per eccessiva
onerosità sopravvenuta. D’altro canto si è anche chiarito che le parti, al fine
di attribuire all’intesa il massimo livello di certezza ipotizzabile, potranno
escludere anche la possibilità di fare ricorso al citato rimedio, avvalendosi
della facoltà in linea generale concessa dall’art. 1469 c.c. [36].
Una proposta di legge che si limitasse a disciplinare
i profili sopra esaminati, in relazione al solo profilo dei vincoli fondati sul
matrimonio (o sull’unione civile) non coglierebbe però il complesso delle
relazioni giusfamiliari del terzo millennio. Imprescindibile appare infatti,
oggi, l’instaurazione di un « dialogo » con l’esperienza maturata nello studio
delle questioni legate ai contratti di convivenza. Ed infatti, che tra le due
categorie si pongano forti legami ed interazioni è dimostrato, innanzi tutto,
dall’osservazione di alcune tra le più significative esperienze straniere.
Così, posizionandoci idealmente ai nostri antipodi, e
collocandoci temporalmente nel lontano 1984, scopriamo che, in una delle prime
legislazioni al mondo ad occuparsi dei contratti di convivenza, vale a dire nel
De Facto Relationships Act del Nuovo
Galles del Sud (Australia), si prevede espressamente (art. 44) che un accordo
di convivenza possa essere « made in contemplation of the termination of a
domestic relationship » . Proprio tale disposizione (ora inserita nel Property (Relationships) Act) ha, in
tempi meno remoti, contribuito a determinare l’introduzione per via legislativa
dell’ammissibilità della stipula di prenuptial
agreements, conclusi anche eventualmente in contemplation of divorce, per effetto della riforma di cui al Family Law Amendment Act
In luoghi e tempi più vicini a noi, invece, va
rilevato come, la legislazione catalana, dopo aver espressamente consentito,
sin dal 1998, intese preventive, in contemplazione di una possibile rottura del
rapporto, nel contesto degli accordi tra conviventi, sia eterosessuali che
omosessuali [39], sia passata ad ammettere, nel relativo Codi de familia (art. 15), del medesimo
1998, che pure nei capítols matrimonials,
« hom pot determinar el règim econòmic matrimonial, convenir heretaments, fer
donacions i establir les estipulacions i els pactes lícits que es considerin
convenients, àdhuc en previsió d’una ruptura matrimonial » [40], per poi pervenire ad un’articolata definizione di
siffatto tipo di intese nel Codi Civil de
Catalunya del 2008 [41].
Ad ulteriore riprova di tale osmosi, va ricordato che,
nel 2010, anche a seguito dell’apertura in Spagna del matrimonio alle coppie omosessuali,
si è proceduto in Catalogna ad una revisione delle disposizioni sulla
convivenza more uxorio, con la
conseguenza che oggi il codice civile della citata regione autonoma iberica
(cfr. le modifiche introdotte dalla Ley
25/2010, de 29 de julio) tratta in modo uniforme le coppie conviventi
omosessuali ed eterosessuali, concedendo loro la possibilità, ove non intendano
accedere al matrimonio, di stipulare una
escriptura pública, nella quale esse regolino svariati aspetti patrimoniali
della loro unione, persino « en previsió del cessament de la convivència »
(cfr. artt. 234-1 – 234-14 del Codi Civil
de Catalunya), con espresso rinvio, in questo caso, alla dettagliata
normativa degli accordi prematrimoniali all’uopo predisposta dal codice.
Ulteriore conferma dei punti di contatto tra le due
categorie di accordi risiede in alcuni di quelli che possono costituire gli
elementi qualificanti degli stessi. Il cultore del diritto di famiglia sa bene
che svariati tipi di questioni teoriche, ma anche di sofferte controversie
giudiziali, si pongono nel medesimo modo e con la medesima frequenza nel caso
di crisi della coppia, coniugata o meno che sia.
Si pensi, ad esempio, alla questione della sorte delle
attribuzioni patrimoniali « a senso unico » eseguite in costanza di rapporto
affettivo per l’acquisto di beni operati esclusivamente (o in una quota non
proporzionale all’esborso effettuato) dall’ex coniuge, già in regime di
separazione dei beni, o dall’ex partner
ed all’uno o all’altro « intestati » in modo, per così dire, « difforme »
rispetto al soggetto da cui il denaro proveniva [42]. Orbene, il suggerimento [43] di inserire una clausola « preventiva » sul
significato da attribuire a determinati tipi di attribuzioni patrimoniali, nel
caso fossero concretamente eseguite in costanza di rapporto affettivo, sembra
possedere valore e pratica utilità non solo con riguardo alle intese tra
conviventi, bensì anche a quelle inter
(futuros) coniuges.
La « cartina di tornasole » dell’attendibilità di
questi rilievi e dell’utilità dell’idea è rappresentata dal singolare raffronto
tra la giurisprudenza in tema, ad esempio, di « mutuo » (rectius: allegato, ma mai dimostrato mutuo) tra coniugi o
conviventi per l’acquisto di beni immobili in capo (in tutto o in parte)
all’asserito « mutuatario » (coniuge o partner
che sia), di cui abbiamo dato conto in altra sede [44], ove è dato riscontrare una curiosa convergenza,
assolutamente « trasversale » rispetto ai due tipi di famiglia, sia nel modo di
impostare la causa, allegazioni e petita
della parte attrice, difese della parte convenuta, sia nella sentenza di
(inevitabile) rigetto, fondata sulla semplicissima constatazione
dell’inidoneità della prova dell’effettuazione di un esborso per un acquisto
operato da un altro (coniuge o convivente che sia) a dimostrare la sussistenza
dell’obbligazione di restituire il tantundem
da parte del « beneficiario finale » dell’operazione.
E’ pur vero che dubbi sono stati espressi in dottrina
sulla validità delle intese preventive tra conviventi, auspicate e proposte al
riguardo dallo scrivente; dubbi attinenti all’allegato mancato rispetto del
principio di causalità delle attribuzioni patrimoniali accolto dal nostro
ordinamento. Questo principio, si asserisce, non potrebbe infatti « essere
semplicemente determinabile mediante la relatio ad un precedente negozio
normativo » [45].
Siffatte perplessità appaiono peraltro agevolmente
superabili ponendo mente, innanzi tutto, alla conclamata piena validità di
negozi traslativi a causa esterna. Ipotesi, questa, alla quale può poi essere
affiancata anche quella del contratto normativo o programmatico, specie tenuto
conto dell’incontestabile dato normativo scolpito nell’art. 1321 c.c., da cui
emerge che, mercé lo strumento contrattuale, le parti possono non solo
costituire od estinguere, bensì anche « regolare » rapporti giuridici, senza
che la disposizione distingua a seconda che tali rapporti giuridici siano già
in essere o meno inter partes. Del resto, una volta ammessa la validità
del negozio d’accertamento nel nostro ordinamento, non si riuscirebbe a
comprendere per quale ragione tale istituto non dovrebbe avere cittadinanza nel
sistema vigente, sol perché concluso in via preventiva rispetto ai negozi che
si pongono quali possibili fonti, a loro volta, di situazioni di incertezza [46]. Resta inteso, ovviamente, che la qualificazione
giuridica, in caso di controversia, non potrà spettare che al giudice. Le
clausole in esame servono però ad « orientare » la decisione nel caso di
difetto di elementi da cui trarre, di volta in volta, indicazioni circa la
sussistenza di una volontà negoziale in senso difforme [47].
Altri esempi di « contaminazione » e « interazione »
tra accordi prematrimoniali e contratti di convivenza potrebbero essere
costituiti dalle intese sulla gestione della responsabilità genitoriale, in
relazione sia alla prole nascitura, che a quella già nata, che a quella che
venga a porre un problema di affidamento in sede di crisi dell’unione
affettiva, tanto più che le relative regole [48] non possono, per definizione, differire, una volta
operata la piena equiparazione tra tutte le « antiche » categorie di figli [49].
Ulteriori esempi sono ricavabili da alcuni peculiari
profili di carattere patrimoniale: dalla predeterminazione del contributo del partner ad un’eventuale impresa
familiare [50], che ben potrebbe servire di modello ad un’analoga
pattuizione programmatica tra futuri coniugi (con l’attribuzione in via
preventiva di eventuali diritti in caso di cessazione del rapporto
collaborativo e/o coniugale), alla creazione di un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. a favore della famiglia di fatto, con l’inserimento della
clausola che ne preveda l’automatica trasformazione in fondo patrimoniale nel
caso di celebrazione delle nozze tra i due conviventi [51].
Sempre con riguardo a tale ultima norma potrà notarsi
come questa si presti a costituire un vero e proprio « ponte » tra i due tipi
di famiglia, ben potendo adattarsi a realizzare interessi meritevoli di tutela
in relazione ad entrambe le formazioni sociali in discorso, una volta superata
la tesi, pure autorevolmente prospettata, che predica l’inapplicabilità
dell’art. 2645-ter c.c. alla famiglia
fondata sul matrimonio, in seno alla quale potrebbe darsi vita solo ad un fondo
patrimoniale [52]. Per questa ragione, tanto alcuni progetti di legge
sugli accordi prematrimoniali [53], quanto taluni formulari ufficiali di contratti di
convivenza [54], vi fanno esplicito richiamo. Inutile dire, quanto
alla soluzione normativa, che la possibile obiezione fondata sulla superfluità
del rinvio alla disposizione sui vincoli di destinazione appare superabile
sulla base della considerazione della già ricordata funzione « didattica », «
premiale » e « incentivante » che l’adozione nello specifico settore
giusfamiliare di una normativa ad hoc
può assumere, nello stimolo agli operatori ad utilizzare strumenti che
l’ordinamento già pone a disposizione dei soggetti in linea generale. E ciò,
naturalmente, sia tra coniugi (o tra uniti civilmente) che tra conviventi di
fatto.
Purtroppo, l’adozione di una disciplina positiva per i
contratti di convivenza ha costituito un’occasione mancata in tal senso, attesa
l’assoluta modestia della soluzione concretamente prescelta dal riformatore del
2016 [55], con particolare riguardo all’individuazione di un
contenuto che, disciplinato dal comma 53 dell’art. 1 della l. n. 76 del 2016,
appare testualmente limitato ad ipotesi, tutto sommato, piuttosto marginali. Va
però subito aggiunto che l’aver ricondotto la regolamentazione convenzionale
dei rapporti patrimoniali tra conviventi allo schema generale del contratto
consente senza esitazione alcuna di rinviare a tutti quei possibili contenuti
che, pur non espressamente presi in esame dal legislatore come riferibili alla
fattispecie in esame, appaiano pur tuttavia idonei a risolvere uno o più problemi
concreti della coppia e non si pongano in contrasto con norme imperative,
l’ordine pubblico o il buon costume.
Analoghe considerazioni valgono con riferimento ad un
altro possibile punto di convergenza, costituito dalla creazione de iure condendo di un trust familiare all’italiana, di cui si
rinvengono tracce in alcune proposte di legge sui patti prematrimoniali [56], ma che ben s’adatterebbe a soddisfare analoghe
esigenze della famiglia di fatto. Uno specifico intervento normativo
consentirebbe, tra l’altro, di superare le persistenti obiezioni (per molti
profili largamente fondate) circa l’ammissibilità de iure condito di un trust
interno, di cui si è dato conto in altra sede [57].
7. Segue. Le clausole sulla rottura del rapporto
(matrimoniale o di convivenza).
Naturalmente, anche la possibilità di dedurre in
condizione l’eventuale rottura del rapporto – tanto coniugale, che
paraconiugale – in relazione alla ripetizione di attribuzioni patrimoniali
pregresse, ad instar di quanto effettuato
dalla coppia di fidanzati cui si riferisce una nota decisione di legittimità
emanata alla fine del 2012, si pone alla stregua di una soluzione aperta tanto
ai coniugi, come ai conviventi, come a futuri tali [58]. Salvi gli approfondimenti che verranno presentati
tra breve in relazione alle intese tra conviventi [59], sarà dunque immaginabile, quanto meno in linea di
principio, legare la restituzione di un determinato importo mutuato (magari,
come avvenuto nel caso testé citato, mercé un’ipotizzata datio in solutum) al « fallimento » (sempre per utilizzare la
terminologia di quella concreta coppia) del rapporto già in atto, o che sta per
costituirsi tra i due [60]. E qui, ancora una volta, a prescindere dal fatto che
siffatto legame affettivo sia stato o debba essere suggellato dal vincolo
matrimoniale.
Sempre in relazione alla preventiva determinazione
delle conseguenze della rottura del rapporto un altro evidente punto di
convergenza è costituito dalla possibile previsione di trasferimenti e di
costituzione di diritti a tacitazione di eventuali pretese postmatrimoniali,
analogamente a quanto già ampiamente consentito dalla giurisprudenza in tema di
contratti della crisi coniugale [61]. Il trasferimento o la costituzione potranno dunque
avere nel contratto preventivo la struttura del mero impegno a trasferire (o a
costituire), così come la struttura della traslazione o costituzione con
efficacia reale, sottoposta alla condizione sospensiva della crisi coniugale.
Siffatto tipo di accordi potrebbe stipularsi tra
conviventi (o ex tali), sia in via preventiva, che a chiusura di un rapporto
pregresso. Inutile dire che di estrema importanza sarebbe non solo il
ripristino, bensì l’estensione, tanto alle intese prematrimoniali, così come a
quelle relative alla famiglia di fatto, del contenuto dell’art. 19 della legge
n. 74/1987; disposizione che, come noto, ha cessato di esistere il 31 dicembre
2013 [62], pur se inopinatamente « resuscitata » da una quanto
meno « rocambolesca » circolare ministeriale [63]. E’ peraltro universalmente riconosciuto il
contributo che la regola in esame ha dato per un quarto di secolo alla
consensualizzazione delle crisi coniugali e, in definitiva, alla positiva
soluzione di almeno una parte del folto ed intricato contenzioso familiare.
Altro possibile punto di contatto (o… di scontro) tra
accordi prematrimoniali e contratti di convivenza è rappresentato da un
argomento che ormai s’avvia a diventare un « classico » della crisi coniugale,
vale a dire il rilievo che l’eventuale instaurazione di una convivenza more uxorio – da parte dell’uno e/o
dell’altro dei (futuri) coniugi – può dispiegare sull’efficacia dell’assetto
postmatrimoniale, eventualmente già divisato in un’intesa prematrimoniale.
Anche in questo caso è opportuno che le parti d’un prenuptial agreement s’accordino, espressamente prevedendo o, in
alternativa, escludendo che la realizzazione di tale eventualità dispieghi
effetti sulle attribuzioni postmatrimoniali (contributo al mantenimento del
coniuge separato, assegno di divorzio, assegnazione convenzionale della casa
coniugale, ecc.) pattuite ex ante,
così come su quelle che dovessero venire concordate ex post, o eventualmente anche determinate dal giudice, in caso di
separazione o di divorzio contenziosi [64].
Inutile rammentare che una soluzione del genere è
valida alla sola condizione che, secondo la tesi di gran lunga preferibile, le
prestazioni postmatrimoniali in oggetto (concernenti i rapporti tra i coniugi,
così come quelle coinvolgenti la prole minorenne, a condizione che le stesse
non si pongano in contrasto con l’interesse di quest’ultima) siano pienamente
disponibili inter partes [65].
Correlativamente, anche un contratto di convivenza può
mettere in conto la possibilità che la prestazione postmatrimoniale attualmente
goduta da uno dei due partners (o,
perché no, da entrambi) venga meno per qualche ragione (magari proprio per
l’instaurazione della convivenza in oggetto). In ogni caso, ciò che appare
vivamente consigliabile in ipotesi del genere è che le parti sappiano «
calibrare » opportunamente, oltre che con la dovuta precisione, le reciproche
contribuzioni e le condizioni di modifica o cessazione delle stesse.
La presenza dei sopra evidenziati punti di contatto
tra le due categorie di intese non deve però indurre a trascurare la
sussistenza di molteplici e sostanziali differenze, sia nell’attuale contesto
normativo italiano, che, in prospettiva, de
jure condendo.
Ed invero, in un contesto quale quello che ha
caratterizzato il nostro Paese sino all’approvazione della l. n. 76 del 2016,
nella totale assenza di una disciplina organica del fenomeno della convivenza more uxorio, con particolare riguardo ai
rapporti personali e patrimoniali tra i membri dell’unione di fatto, il
contratto di convivenza (o, almeno, la rappresentazione che dello stesso si
poteva avere nei relativi studi) tendeva ad assumere quella valenza di « carta
costituzionale » della vita di una certa coppia, che, in campo matrimoniale, è
svolta (per molti profili, tra l’altro, inderogabilmente) dagli artt. 143 ss.
c.c. In una situazione del genere, all’accordo prematrimoniale – stretto, da un
lato dalla disciplina codicistica dei diritti e dei doveri derivanti dal
matrimonio e, dall’altro, dalle regole in tema di convenzioni matrimoniali e
regimi patrimoniali della famiglia legittima – non rimane che limitarsi a
disciplinare i soli aspetti collegati alle prestazioni patrimoniali divorzili:
dall’assegno di divorzio, ad eventuali prestazioni pecuniarie una tantum, a trasferimenti immobiliari
o mobiliari, alla restituzione di mutui erogati prima delle nozze o durante il
rapporto coniugale, ecc.
In ordinamenti nei quali, invece, la convivenza è
inquadrata nell’ambito di regole para-matrimoniali, le due categorie negoziali
qui in discorso (accordi prematrimoniali e contratti di convivenza) possono
presentarsi come entità quasi fungibili [66]. Tanto più che in molti di tali sistemi (si pensi ad
esempio, a quelli di common law), la
distinzione tra profili attinenti a quello che noi definiamo come « regime
patrimoniale » (vale a dire ai principi che attengono allo « statuto » dei beni
acquistati e, più in generale, dei rapporti giuridici costituiti in costanza di
matrimonio o di libera unione), da un lato, regole sull’attuazione
dell’indirizzo concordato, accordi sulla contribuzione, sulla prole, sulle
eventuali prestazioni dovute in caso di rottura, ecc., dall’altro, risulta
assai più sfumata rispetto a quanto avviene da noi [67].
La scelta concretamente operata dal Parlamento
italiano nel 2016 sul versante della convivenza di fatto appare ancora diversa,
laddove il nostro legislatore ha deciso (non si comprende sino a che punto
consapevolmente) di astenersi dall’intervenire su quelli che sono da sempre i
temi più scottanti nel contesto dei rapporti patrimoniali tra conviventi: dalla
questione delle obbligazioni naturali, al quesito circa l’ammissibilità di
un’azione di arricchimento al momento della cessazione del rapporto, a
possibili azioni risarcitorie conseguenti alla rottura del legame, alla
(dibattutissima, specie in sede giudiziale) sorte delle attribuzioni
patrimoniali « a senso unico » intervenute nel corso del ménage di fatto. Ciò comporta che, anche alla luce della già
ricordata povertà delle indicazioni fornite dal comma 53 dell’articolo unico
della legge citata in tema di contenuto del contratto di convivenza, molto, per
non dire quasi tutto, sia lasciato alla determinazione (e alla fantasia!) degli
operatori.
Un’ulteriore differenza, sempre strettamente legata
allo stato della legislazione attuale italiana, attiene poi a quello che
potremmo definire come il « livello » di necessità di un intervento da parte
del legislatore.
La questione non si pone ormai più per i contratti di
convivenza, alla luce della riforma del 2016 più volte citata. Eppure (ferma
restando la tesi da decenni sostenuta dallo scrivente, sull’ammissibilità tanto
di accordi prematrimoniali, che di contratti di convivenza, a prescindere dalla
presenza di un intervento ad hoc del
legislatore), la novella irrompe sul versante certamente meno bisognoso di una
precisa sanzione a livello di diritto positivo, posto che ben pochi in dottrina
(e nessuno in giurisprudenza) dubitava della possibilità di disciplinare per
contratto i profili patrimoniali della convivenza al di fuori del matrimonio.
Ben diverso è il discorso per gli accordi
prematrimoniali in contemplation of
divorce. Qui, come noto, è la possibilità stessa di pattuire in anticipo le
conseguenze di un mutamento di status,
quale quello determinato dallo scioglimento del vincolo matrimoniale [68], ad essere messa in dubbio, a cominciare da una
giurisprudenza consolidata, ancorché tutt’altro che monolitica, per non parlare
poi di alcune consistenti « sacche di resistenza » in dottrina.
9. Contratti di convivenza e contenuti mancati nella
l. n. 76 del 2016.
Come già accennato sopra, la novella del
Trattasi, per la precisione, della possibilità per il
contratto di convivenza di venire a disciplinare: « (…) 3) i diritti e le
obbligazioni di natura patrimoniale derivanti per ciascuno dei contraenti dalla
cessazione del rapporto di convivenza per cause diverse dalla morte; 4) che in
deroga al divieto di cui all’articolo 458 e nel rispetto dei diritti dei
legittimari, in caso di morte di uno dei contraenti dopo oltre sei anni dalla
stipula del contratto spetti al superstite una quota di eredità non superiore
alla quota disponibile. In assenza di legittimari, la quota attribuibile
parzialmente può arrivare fino a un terzo dell’eredità; 5) che nei casi di
risoluzione del contratto di cui all’articolo 17 della presente legge sia
previsto l’obbligo di corrispondere al convivente con minori capacità
economiche un assegno di mantenimento determinato in base alle capacità
economiche dell’obbligato, al numero di anni del contratto di convivenza e alla
capacità lavorativa di entrambe le parti » [70].
La prima delle tre citate disposizioni, sostanzialmente
riproduttiva di quanto già stabilito da svariati ordinamenti in diverse parti
del mondo, avrebbe consentito, saggiamente, ai contraenti di predeterminare le
conseguenze patrimoniali di un’eventuale rottura dell’unione, con possibili (e
benefiche) ricadute anche sul versante degli accordi prematrimoniali [71]. Ora, non solo una previsione tanto saggia è stata
(non si comprende perché) stralciata dal d.d.l., ma, addirittura, si potrebbe
dubitare ora della possibilità per le parti di inserire comunque una clausola
del genere, alla luce di quanto disposto dal c. 56 dell’articolo unico della
riforma del 2016, che fa divieto di sottoporre il contratto a condizione o a
termine [72].
La seconda delle sopra citate previsioni normative, inopinatamente
espunta dal d.d.l., sarebbe venuta a porre un’eccezione al divieto dei patti
successori. Essa avrebbe posto un problema di « coerenza » con l’assenza di
un’analoga previsione nei rapporti inter
coniuges [73], ma avrebbe potuto comunque determinare l’inizio di
una riflessione sull’opportunità di abrogare il divieto di cui all’art. 458
c.c. anche in relazione alle coppie coniugate (e, ovviamente, ai partners dell’unione civile).
Si è altresì rilevato che l’introduzione di siffatto tipo
di pattuizioni avrebbe consentito di affrontare una serie di questioni, vale a
dire quelle legate alla successione mortis
causa di uno dei conviventi, rimasta totalmente negletta dalla riforma qui
in commento. Basti dire al riguardo che, da un lato, il partner non solo non è considerato legittimario, ma neppure
successibile ex lege, in assenza di
testamento [74].
Ma non basta ancora. Nessuna disposizione «
agevolativa » di tipo fiscale è stata prevista per la successione testamentaria
del convivente, trattato quindi alla stregua di un qualsiasi estraneo al nucleo
familiare del de cuius, con la
conseguenza che il convivente il quale intenda assicurare la tranquillità
economica al proprio partner anche
dopo la propria morte potrà, sì, istituirlo erede, ma, in tal modo lo esporrà
al prelievo fiscale previsto per la successione di un qualunque estraneo alla
famiglia del de cuius [75]. Si è rimarcato al riguardo che è certamente vero che
oggi l’area delle famiglie « costrette » a rimanere fuori dal vincolo
matrimoniale (o paramatrimoniale, nel caso dell’unione civile) si è
considerevolmente ristretta al passato: alla coppia gay che vuole acquisire pieni diritti successori può oggi
consigliarsi di scegliere l’unione civile, mentre sempre più rari sono i casi
di conviventi eterosessuali che non possono unirsi in matrimonio per la
perdurante presenza di un precedente vincolo coniugale, ove si considerino le
novità introdotte dal c.d. « divorzio breve ».
Resta, però, il fatto che per una serie di motivi,
talora pienamente legittimi (desiderio di non pregiudicare le aspettative di
eventuali figli di primo letto, timore di dover affrontare seri problemi e
rilevanti spese in caso di rottura di un legame della cui solidità non si è
ancora pienamente certi), talora meno (desiderio di non perdere una pensione di
reversibilità), sembrerebbe de iure
condendo corretto preservare, da un lato, la possibilità delle parti di non
unirsi in matrimonio, attribuendo, dall’altro, taluni effetti successori
(ancorché non coincidenti con quelli discendenti dal vincolo da coniugio) ad un
rapporto affettivo sfociato in una convivenza more uxorio di una certa durata.
Infine, l’eliminazione, nel testo definitivo della
riforma del 2016, dell’originaria previsione ad hoc sull’assegno di mantenimento viene a porre il dubbio che una
disposizione negoziale del genere non sia consentita, anche se al risultato
affermativo può forse pervenirsi per altra via [76].
Si è, dunque, constatato, amaramente, che la prima
riflessione sul contenuto dei contratti di convivenza è quella per cui la
disposizione sembra segnalarsi più per ciò che essa non dice, che non per
quanto espressamente indicato [77]. Attese le conclusioni di cui sopra, considerato che
l’art. 458 c.c. sbarra la strada a pattuizioni volte a regolare la successione
ereditaria, con preclusione altresì, nei confronti della donazione mortis causa e di quella si praemoriar [78], non rimangono de
iure condito che i meccanismi indiretti quali il contratto a favore di
terzi in generale ed in specie l’assicurazione sulla vita, oppure la
costituzione di una rendita vitalizia, o ancora l’acquisto di immobile per
quote di nuda comproprietà ed in usufrutto congiuntivo con patto di
accrescimento in capo al superstite, eventualmente incrociando le quote di
usufrutto e di nuda proprietà [79].
Proprio per ovviare a questi inconvenienti la proposta
normativa dello scrivente mira ad introdurre i patti sulle successioni future
tra conviventi, mercé il richiamo all’art. 162-bis c.c., che viene in tal modo a consentire anche alle parti di
un’union libre di avvalersi dello strumento che si intenderebbe porre a
disposizione dei coniugi e dei soggetti uniti civilmente [80].
10. Segue. L’ammissibilità di clausole sulla rottura
del rapporto di fatto pur dopo l’approvazione della l. n. 76 del 2016.
L’infelicissima tecnica legislativa attraverso cui si è
attuata la l. n. 76 del 2016 viene a presentare ex novo un problema in ordine alla possibilità di prevedere la
cessazione della contribuzione, eventualmente prevista nel contratto di
convivenza sotto ogni possibile forma (anche, ad es., di assegno di
mantenimento o di messa a disposizione di un immobile), in caso di rottura
dell’unione, o per qualsiasi altro evento (si pensi ad es., la perdita del
posto di lavoro da parte del soggetto che si è obbligato ad una determinata
erogazione, etc.). Anzi, a ben vedere, la questione appare ancora più generale
e viene a porsi con riguardo a qualsiasi previsione negoziale che leghi l’effettuazione
di una prestazione patrimoniale, nel contratto di convivenza, così come il suo
eventuale venir meno, ad un avvenimento futuro ed incerto, così come ad un
termine (iniziale o finale) certo.
In effetti, il c. 56 stabilisce che « Il contratto di convivenza
non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti
inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti », laddove,
prima dell’introduzione di questa disposizione normativa, non si dubitava in
dottrina che le prestazioni oggetto di un contratto di convivenza ben potessero
essere temporalmente legate alla durata stessa del ménage o comunque collegate ad una condizione, tanto sospensiva che
risolutiva, così come ad un termine, tanto iniziale che finale [81].
Ora, a fronte dell’evidente assurdità delle conclusioni
cui si perverrebbe se si volesse applicare anche alle clausole qui in esame il
citato c. 56, va considerato, in primis,
che le relative disposizioni sembrano il frutto di un evidente fraintendimento
legislativo di quelle che sono le finalità di un contratto di convivenza nella
libera unione. La ragione vera della norma risiede nell’ottica radicalmente
errata in cui i conati di riforma degli ultimi decenni si sono andati muovendo
in Italia.
Come dimostra la storia dei disegni di legge in materia e
come (inutilmente) denunciato più volte in dottrina [82], alla chiarezza dei testi (e,
prima ancora, delle idee) non ha potuto giovare il tipo d’approccio
costantemente prescelto dal legislatore nell’accostarsi ai problemi delle
coppie omosessuali e delle famiglie di fatto. Un approccio che sempre ha
manifestato una certa qual dose di confusione, talora evidente, tra le due
radicalmente diverse prospettive che un intervento normativo in questo settore
avrebbe dovuto perseguire.
Da un lato, quella che mirava a porre fine, una buona
volta per tutte, alla persistente discriminazione, indegna di un Paese che
vorrebbe dirsi civile, verso le persone omosessuali in merito alla possibilità
di suggellare con il vincolo matrimoniale la propria unione affettiva.
Dall’altro, quella che aveva per scopo la soluzione di una serie di problemi
giuridici inevitabilmente destinati a sorgere da una convivenza tra persone (di
sesso diverso, così come dello stesso sesso) che, però, coscientemente, per le
più svariate ragioni, avessero liberamente escluso la via del matrimonio.
Quest’ultima, e solo quest’ultima, era la considerazione che si sarebbe dovuta
porre alla base di un’ipotetica disciplina ad
hoc dei contratti di convivenza. Disciplina che avrebbe dovuto, quindi,
mirare alla costituzione, per via negoziale, di un rapporto giuridico fonte di
reciproci diritti e doveri che possono anche per taluni aspetti assomigliare a
quelli di due soggetti i quali vivano, come si soleva affermare nei secoli
passati, in schemate matrimoniali, ma
che da questi divergano per modo di costituzione e di cessazione, nonché per
qualità, quantità ed intensità di effetti [83].
Non appare pertanto condivisibile la posizione di chi ha
lodato la disposizione in commento [84], osservando che l’apposizione di
termini e condizioni « rischierebbe di incidere anche sui profili personali del
rapporto », posto che tale incidenza non potrebbe comunque essere diversa da
quella che riguarda qualsiasi contratto, in relazione al quale ben possono
assumere, come noto, rilievo « indiretto » profili di carattere personale,
proprio mercé l’istituto della condizione, senza che per ciò venga meno il
fondamentale requisito della patrimonialità [85].
L’evidente confusione tra le due ben diverse prospettive
testé evidenziate ha portato ai risultati attuali: da un lato l’attribuzione, a
chi faceva valere istanze di parità di trattamento rispetto alle coppie
eterosessuali, di un chiaro ed avvilente minus
rispetto al matrimonio; dall’altra, l’imposizione a chi chiedeva una
regolamentazione « leggera » di una forma di unione diversa da quella
coniugale, di pesi, oneri ed orpelli para-matrimoniali, del tutto superflui, se
non addirittura dannosi. Questo è proprio il caso del citato c. 56, che si «
giustifica » in un’ottica puramente « matrimoniale », posto che, mentre ha un
senso stabilire che il matrimonio, per la « gravità » del vincolo che lo
caratterizza, e, soprattutto, per il fatto di essere un negozio giuridico
essenzialmente personale, non possa essere sottoposto a termini o condizioni,
quale tipico esempio di actus legitimus
[86], non ha, invece, costrutto
alcuno stabilire lo stesso principio per un contratto che, come quello di
convivenza, si colloca all’interno di un genus
caratterizzato dalla patrimonialità degli effetti e per il quale l’apposizione
di termini e condizioni risulta un quid
del tutto « normale ». Tant’è vero che, nel campo coniugale, l’apponibilità di
termini e condizioni (non al negozio matrimoniale in sé, ma) alle relative
convenzioni patrimoniali appare in tutto e per tutto ammissibile [87].
In definitiva, le ragioni di cui sopra non possono
indurre se non ad una forma di interpretazione restrittiva della disposizione
contenuta nel citato c. 56. Si deve, cioè, ritenere che il divieto di termini e
condizioni attenga a quei soli elementi accidentali che siano eventualmente
apposti al contratto nel suo complesso e non già a questa o quella peculiare
statuizione patrimoniale, a questa o quella particolare clausola. Del resto,
proprio in questi termini letterali sembra esprimersi la norma: « Il contratto
di convivenza » (e non: questo o quel particolare effetto di esso, questa o
quella particolare clausola) « non può essere sottoposto a termine o condizione
» [88].
In senso contrario non vale rimarcare [89] che il contratto di convivenza
di cui alla riforma in commento sarebbe (addirittura!) « stato costruito come
privo di vincolatività » e, per questa ragione, sarebbe « incapace di
sopravvivere alla crisi del rapporto, che dunque non potrà certo pretendere di
regolamentare, con quella che sarebbe peraltro una condizione da reputare, in
quanto tale, pro non scripta » :
inutile, allora, disquisire tout court
– verrebbe fatto di dire – di un contratto di cui si nega in apicibus la vincolatività (caratteristica, quest’ultima, che del
contratto costituisce l’imprescindibile quintessenza: cfr. art. 1372 c.c.).
In ogni caso, appare evidente che, proprio al fine di
spazzare via ogni possibile incertezza, sembra opportuno eliminare del tutto il
comma 56 cit., proprio come si propone di fare l’intervento normativo qui
ipotizzato [90].
11. Contratti di convivenza, obbligazioni naturali e obbligo alimentare.
Uno dei tanti quesiti che la novella del
Se così fosse, però, si rischierebbe di immiserire i risultati
cui ha portato una lunghissima evoluzione giurisprudenziale, che da una
concezione meramente « indennitaria » delle obbligazioni naturali in discorso,
è passata, a partire da un famoso precedente del 1975, ad affermarne una
concezione « contributiva », sostanzialmente basata sull’affidamento
reciprocamente riposto dai partners
dell’unione libera nella contribuzione alle spese ed alla vita del ménage, già durante la sua esistenza e
non certo solo al momento della rottura [93]. Deve quindi ritenersi che qualsiasi prestazione
patrimoniale effettuata durante la convivenza (purché, ovviamente, dotata delle
caratteristiche di proporzionalità cui si è fatto cenno) continuerà a produrre
l’effetto descritto dall’art. 2034 c.c., ancorché di misura superiore agli
alimenti che sarebbero spettati (o, magari, neppure sarebbero spettati, in
assenza di uno stato di bisogno) all’accipiens.
Quanto alla ricaduta sui contratti di convivenza, dopo
la novella in discorso (ma, secondo la tesi assolutamente prevalente, già
prima), non ha più senso alcuno disquisire sulla (supposta) impossibilità di
trasfondere in un’obbligazione civile l’obbligazione naturale di contribuzione
vigente tra conviventi [94].
D’altro canto, il peculiare contesto in cui i rapporti
in oggetto vengono a situarsi deve consentire – ma trattasi di questione,
ovviamente, delicatissima – di ritenere derogabile anche l’obbligo alimentare
fissato dal c.
Ora, a favore della tesi della derogabilità, nel
peculiare contesto dei contratti di convivenza, sembra militare il rilievo
secondo cui la disciplina normativa « suppletiva » (in caso, cioè, di mancato
adempimento dell’obbligazione naturale tra conviventi e di mancata previsione
di obbligazioni civili mercé un contratto di convivenza) non può determinare
una regolamentazione para-matrimoniale contro
la volontà delle parti del rapporto.
Si ricordi quanto affermato dalla Consulta nel lontano
1998 [97] a proposito dei rapporti fra matrimonio e convivenza
di fatto: le parti « nel preferire un rapporto di fatto hanno dimostrato di non
voler assumere i diritti e i doveri nascenti dal matrimonio; onde la
imposizione di norme, applicate in via analogica, a coloro che non hanno voluto
assumere i diritti e i doveri inerenti al rapporto coniugale si potrebbe
tradurre in una inammissibile violazione della libertà di scelta tra matrimonio
e forme di convivenza » [98].
Quanto sopra sembra comportare, quale inevitabile
conseguenza, la necessità di un’interpretazione costituzionalmente orientata
delle norme della riforma del 2016 che ricollegano effetti giuridici alla
semplice convivenza, nel senso che tutti gli effetti patrimoniali
para-matrimoniali del ménage di fatto
(dall’obbligo alimentare, al diritto di permanere a certe condizioni e per un
certo periodo nella casa familiare, pur nel caso di decesso del partner) possano essere senz’altro
esclusi dal contratto di convivenza (senza che, per il patto in deroga al
disposto del c. 42, si possa invocare la regola del divieto del patti successori,
dovendo prevalere l’interpretazione costituzionalmente orientata appena
prospettata sullo stesso art. 458 c.c.) [99].
Attesa la delicatezza dell’argomento e la
controvertibilità delle ragioni addotte dall’una e dall’altra parte, appare
comunque opportuno che la riforma qui envisagée
della novella del 2016 si faccia espressamente carico anche di tali profili,
eliminando ogni possibile dubbio [100].
Al di là di queste previsioni, qualora l’intento delle
parti fosse invece quello di fornire alla parte debole una tutela superiore
rispetto a quella prevista dalla legge, il più ampio spazio deve intendersi
concesso alla libertà negoziale. Superato, come già detto, l’ostacolo
costituito dal comma 56 della riforma del 2016 [101], all’esito della tipizzazione del contratto di
convivenza e del riconoscimento, al medesimo, di un ruolo di assoluta
centralità nella regolamentazione dei rapporti, specie patrimoniali, tra i
conviventi, nulla impedisce alla libertà negoziale dei paciscenti di pattuire,
vuoi prima, vuoi durante la convivenza e in vista della sua rottura, l’obbligo,
per una delle parti di contribuire in vario modo al mantenimento
dell’ex-partner, mediante la messa a disposizione di beni, l’erogazione di un
assegno mensile, già ben definito nella sua entità, oppure l’adempimento in suo
favore di una prestazione una tantum [102].
Il richiamo ai principi generali in tema di libertà
contrattuale dovrà pertanto indurre a ritenere ammissibili veri e propri «
contratti della crisi della convivenza di fatto » [103], rivolti a disciplinare in maniera più incisiva, di
quanto non faccia la legge stessa, la fase della rottura della relazione
affettiva di coppia, mediante la previsione di ulteriori provvidenze di tipo patrimoniale
rispetto alla minima tutela legale del diritto agli alimenti.
Ben potrà convenirsi, allora, l’insorgenza di un
obbligo di mantenimento, in caso di dissoluzione della convivenza, in favore
del partner economicamente debole,
con opportuna individuazione dei presupposti e del contenuto specifico di tale
vincolo [104], fermo restando, tuttavia, l’insuperabile limite, già
individuato in sede dottrinale, per cui tale previsione non vada a celare
intenti sanzionatori a carico del
soggetto, cui sia da imputare l’iniziativa o, comunque, la causa della
cessazione della convivenza [105], dovendo essa avere, quale unica e meritevole ragione
ispiratrice, il fine previdenziale di garantire assistenza materiale a
vantaggio dell’ex convivente che si trovi, a quel tempo, in precarie condizioni
economiche [106].
12. Appendice. Proposta di legge dal titolo: « Modifiche
al codice civile, alla legge 1º dicembre 1970, n. 898, alla legge 6 marzo 1987,
n. 74 e alla legge 20 maggio 2016, n.
* * *
Modifiche al codice civile, alla legge
1º dicembre 1970, n. 898, alla legge 6 marzo 1987, n. 74 e alla legge 20 maggio
2016, n. 76,
in materia accordi preventivi sulla
crisi coniugale, sulla crisi dell’unione civile
e sullo scioglimento della convivenza di
fatto [107]
Art. 129 c.c. – Diritti dei
coniugi in buona fede.
1.
Quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue
i coniugi, il giudice può disporre a carico di uno di essi e per un periodo non
superiore a tre anni l’obbligo di corrispondere somme periodiche di denaro, in
proporzione alle sue sostanze, a favore dell’altro, ove questi non abbia adeguati
redditi propri e non sia passato a nuove nozze.
2.
Per i provvedimenti che il giudice adotta riguardo ai figli, si applica
l’articolo 155.
3. L’applicazione delle disposizioni del
presente articolo è esclusa nel caso le parti abbiano stipulato un accordo
preventivo ai sensi dell’articolo 162-bis
per il caso di annullamento del matrimonio. In tale caso il giudice attribuisce
all’accordo efficacia di titolo esecutivo.
Art. 129-bis c.c. – Responsabilità del coniuge in mala fede e
del terzo.
1.
Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio, è tenuto a
corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia
annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno
sofferto. L’indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al
mantenimento per tre anni. E’ tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge
in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati.
2.
Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a
corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato,
l’indennità prevista nel comma precedente.
4. L’applicazione delle disposizioni del
presente articolo è esclusa nel caso le parti abbiano stipulato un accordo
preventivo ai sensi dell’articolo 162-bis
per il caso di annullamento del matrimonio. In tale caso il giudice attribuisce
all’accordo efficacia di titolo esecutivo.
Art.
156 c.c. – Effetti della separazione sui rapporti
patrimoniali tra i coniugi.
2.
L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e
ai redditi dell’obbligato.
3.
Resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e
seguenti.
4. Il giudice dà atto dell’esistenza di
un accordo preventivo sulla crisi coniugale, stipulato ai sensi dell’articolo
162-bis, dichiarandolo titolo
esecutivo. Tale dichiarazione può essere emessa in qualunque stato e grado del
processo, compresa la fase presidenziale.
5. Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di
prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa
sottrarsi all’adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e
dall’articolo 155.
6. La sentenza costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca
giudiziale ai sensi dell’articolo 2818.
8. Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di
parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi
precedenti.
Art. 162-bis c.c. – Accordi preventivi
sulla crisi coniugale.
1. I futuri coniugi, prima della
celebrazione del matrimonio, ed i coniugi, sino alla presentazione del ricorso
di separazione personale, ovvero prima della sottoscrizione della convenzione
di negoziazione assistita ovvero della conclusione dell’accordo di cui,
rispettivamente agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.
132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162,
possono stipulare, con la stessa forma prevista nell’articolo 162, convenzioni
volte a disciplinare le condizioni ed i rapporti patrimoniali dipendenti
dall’eventuale separazione personale, così come dall’eventuale annullamento,
scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.
2. I predetti accordi possono anche
essere conclusi mediante scrittura privata autenticata da avvocato iscritto
all’albo speciale di cui all’art. 33, r.d. 27 novembre 1933, n.
3. Le convenzioni riguardanti i figli
minori nati o nascituri devono essere autorizzate dal tribunale ordinario in
camera di consiglio. Il relativo ricorso va presentato dalle parti dinanzi al
tribunale del luogo di residenza della famiglia. Il procedimento è disciplinato
dagli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.
4. Nel caso la convenzione sia stata
stipulata prima della celebrazione del matrimonio o prima della nascita di
figli, il ricorso può essere presentato solo una volta celebrato il matrimonio,
se la coppia ha già almeno un figlio, oppure, in caso contrario, alla nascita
del primo figlio; esso va successivamente ripresentato, eventualmente operate
le opportune modifiche alla convenzione, dopo la nascita di ciascun altro
figlio della coppia. Quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento
e al mantenimento dei figli è in contrasto con l’interesse di questi il giudice
rifiuta allo stato l’autorizzazione.
5. Con gli accordi in oggetto un coniuge
può prevedere l’attribuzione all’altro, così come alla prole, al verificarsi di
uno degli eventi sopra descritti, di una somma di denaro periodica, o una somma
di denaro una tantum, ovvero un
diritto reale su uno o più beni mobili o immobili.
6. Le parti possono anche costituire su
uno o più immobili o mobili iscritti in pubblici registri un vincolo di destinazione
ai sensi dell’articolo 2645-ter, in
favore dei coniugi stessi, o di uno solo di essi, così come dei figli, sia per
la durata del rapporto matrimoniale, che dopo l’eventuale verificarsi della
separazione personale, dell’annullamento o dello scioglimento o della
cessazione degli effetti civili del matrimonio.
7. Le parti possono predeterminare,
oltre all’ammontare e all’oggetto delle eventuali prestazioni da corrispondere
a seguito della separazione personale o dell’annullamento, scioglimento o cessazione
degli effetti civili del matrimonio, anche le condizioni delle predette
prestazioni, ivi compresa l’eventuale cessazione di quelle periodiche o, al
contrario, la persistente debenza delle stesse a seguito dell’instaurazione di
una convivenza more uxorio da parte
dell’uno o dell’altro dei contraenti. Esse possono anche contenere la rinunzia,
totale o parziale, di una delle parti al mantenimento da parte dell’altra, così
come alle prestazioni patrimoniali previste dagli articoli 129 e 129-bis o all’assegno previsto dalle
disposizioni in tema di scioglimento o cessazione degli effetti civili del
matrimonio, salvo il diritto dei coniugi agli alimenti ai sensi degli articoli
433 e seguenti.
8. Un coniuge può anche trasferire, o
impegnarsi a trasferire, all’altro coniuge o ad un terzo beni o diritti
destinati al mantenimento, alla cura o al sostegno di figli disabili per la
durata della loro vita o fino a quando permane lo stato di bisogno, la
menomazione o la disabilità.
9. Gli impegni ad operare il trasferimento
della proprietà o la costituzione di diritti reali ai sensi dei commi quinto e
ottavo del presente articolo sono assistiti, in caso di inadempimento, dal
rimedio di cui all’articolo 2932.
10. Le parti possono stabilire un
criterio di adeguamento automatico del valore delle attribuzioni patrimoniali
predisposte con la convenzione.
12. Salvo patto contrario, le
convenzioni di cui al presente articolo non sono passibili di modificazione o
revisione ai sensi degli articoli 710 del codice di procedura civile e 9, legge
1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche. Alle convenzioni di cui al
presente articolo trova applicazione l’articolo 1467. Resta ferma la
possibilità di attribuire alla convenzione la natura di contratto aleatorio ai
sensi dell’articolo 1469.
13. Alla modificazione delle convenzioni
di cui ai commi precedenti si procede con la stessa forma prevista al primo ed
al secondo comma.
Art. 194 c.c. – Divisione dei
beni della comunione.
1.
La divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti
eguali l’attivo e il passivo, salva
diversa disposizione contenuta nella convenzione stipulata ai sensi degli
articoli 162 o 162-bis. In tale
ultimo caso la convenzione necessita del rispetto della forma prescritta
dall’articolo 162.
2.
Il giudice, in relazione alle necessità della prole e all’affidamento di essa,
può costituire a favore di uno dei coniugi l’usufrutto su una parte dei beni
spettanti all’altro coniuge.
Art. 210 c.c. – Modifiche
convenzionali alla comunione legale dei beni.
1.
I coniugi possono, mediante convenzione stipulata a norma dell’articolo 162, o a norma dell’articolo 162-bis, in quest’ultimo caso stipulata con
il rispetto della forma prescritta dall’articolo 162, modificare il regime
della comunione legale dei beni purché i patti non siano in contrasto con le
disposizioni dell’articolo 161.
3.
I beni indicati alle lettere c), d) ed e) dell’articolo 179 non possono essere
compresi nella comunione convenzionale.
3. [Terzo comma abrogato]
Art. 2647-bis – Trascrizione degli
accordi preventivi sulla crisi coniugale.
Gli accordi preventivi sulla crisi
coniugale stipulati ai sensi dei commi quinto, sesto, settimo e ottavo
dell’articolo 162-bis devono essere
trascritti, se hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà o la
costituzione di diritti reali su beni immobili o beni mobili iscritti in
pubblici registri.
Gli atti enunciati nel comma precedente
non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato
diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente
alla trascrizione degli atti medesimi.
Art.
2653 – Altre domande e atti soggetti a trascrizione
a diversi effetti.
Devono
parimenti essere trascritti:
1)
le domande dirette a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di
godimento su beni immobili e le domande dirette all’accertamento dei diritti
stessi.
La
sentenza pronunciata contro il convenuto indicato nella trascrizione della
domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato diritti dal
medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda;
2)
la domanda di devoluzione del fondo enfiteutico.
La
pronunzia di devoluzione ha effetto anche nei confronti di coloro che hanno
acquistato diritti dall’enfiteuta in base a un atto trascritto posteriormente
alla trascrizione della domanda;
3)
le domande e le dichiarazioni di riscatto nella vendita di beni immobili.
Se
la trascrizione di tali domande o dichiarazioni è eseguita dopo sessanta giorni
dalla scadenza del termine per l’esercizio del riscatto, restano salvi i
diritti acquistati dai terzi dopo la scadenza del termine medesimo in base a un
atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda o
della dichiarazione;
4)
le domande di separazione degli immobili dotali e quelle di scioglimento della
comunione tra coniugi avente per oggetto beni immobili.
La
sentenza che pronunzia la separazione o lo scioglimento non ha effetto a danno
dei terzi che, anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno validamente
acquistato dal marito diritti relativi a beni dotali o a beni della comunione;
5)
gli atti e le domande che interrompono il corso dell’usucapione di beni
immobili.
L’interruzione
non ha effetto riguardo ai terzi che hanno acquistato diritti dal possessore in
base a un atto trascritto o iscritto, se non dalla data della trascrizione
dell’atto o della domanda.
Alla
domanda giudiziale è equiparato l’atto notificato con il quale la parte, in
presenza di compromesso o di clausola compromissoria, dichiara all’altra la
propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda
e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.
6) le domande giudiziali dirette
all’adempimento delle obbligazioni assunte ai sensi dei commi quinto, sesto,
settimo e ottavo dell’articolo 162-bis,
qualora abbiano ad oggetto l’impegno ad effettuare il trasferimento della
proprietà o la costituzione di un diritto reale per effetto delle citate
convenzioni. La sentenza pronunciata contro il convenuto indicato nella
trascrizione della domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato
diritti dal medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della
domanda.
Legge n. 898/1970
Art. 5, comma 6
6.
Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti
civili del matrimonio, in difetto di
apposito accordo preventivo sulla crisi coniugale, stipulato ai sensi
dell’articolo 162-bis del codice
civile, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle
ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno
alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di
quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi
anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge
di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando
quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni
oggettive. Il giudice dà atto
dell’esistenza di un accordo preventivo sulla crisi coniugale, stipulato ai
sensi dell’articolo 162-bis del
codice civile, dichiarandolo titolo esecutivo. Tale dichiarazione può essere
emessa in qualunque stato e grado del processo, compresa la fase presidenziale.
Legge n. 74/1987
Art. 19
1.
Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti, ivi comprese le convenzioni di cui all’articolo 162-bis del codice civile, relativi al
procedimento di separazione personale dei coniugi, ovvero di annullamento, di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai
procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione
o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1° dicembre
1970, n. 898, nonché a quelli di cui
agli articoli 155 e 156 del codice civile, sono esenti dall’imposta di
bollo, di registro e da ogni altra tassa. Gli
stessi principi trovano applicazione con riferimento ai procedimenti relativi
alle conseguenze della cessazione della convivenza di fatto, nonché agli
accordi di cui all’art. 1, comma 56, della legge 20 maggio 2016, n. 76.
Legge n. 76/2016
Art. 1
Comma 56 [sostituito dal seguente]
56. I contraenti possono altresì
stabilire quali saranno le conseguenze patrimoniali dell’eventuale cessazione
della convivenza per iniziativa comune, o anche di uno solo di essi. La
relative intese sono disciplinate dall’art. 162-bis e dall’art. 2647-bis del
codice civile. In relazione a tali accordi le parole « coniuge » e « coniugi »
sono sostituite dalle parole « convivente di fatto » e « conviventi di fatto »
; l’espressione « celebrazione del matrimonio » è sostituita dall’espressione «
inizio della convivenza di fatto » ; le espressioni « separazione personale »,
« crisi coniugale », « annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti
civili del matrimonio » sono sostituite dall’espressione « cessazione della
convivenza di fatto » ; l’espressione « regimi patrimoniali disciplinati dagli
articoli da
Legge n. 76/2016
Art. 1
Comma 42
42.
Salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies
del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune
residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare
nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a
due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli
minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di
continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non
inferiore a tre anni. Le disposizioni
del presente comma sono derogabili con un contratto di convivenza stipulato ai
sensi e per gli effetti dei commi 50 e seguenti.
Legge n. 76/2016
Art. 1
Comma 43
43.
Il diritto di cui al comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente
superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in
caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto. Le disposizioni del presente comma sono
derogabili con un contratto di convivenza stipulato ai sensi e per gli effetti
dei commi 50 e seguenti.
Legge n. 76/2016
Art. 1
Comma 65
[Disposizione finale del presente
d.d.l.]
Le disposizioni della presente legge
riferite ai coniugi ed ai futuri coniugi sono applicabili all’unione civile ai
sensi e nei limiti di quanto disposto dall’articolo 1, comma 20, della legge 20
maggio 2016, n. 76.
[1] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 483 ss.; Id., «
Prenuptial agreements in
contemplation of divorce » e disponibilità in via preventiva dei diritti
connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II,
p. 171 ss.; Id., Contratto e famiglia, in Aa. Vv., Trattato del contratto, a cura di E. Roppo, VI, Interferenze, a cura di E. Roppo,
Milano, 2006, p. 251 ss.; Id.,
Gli accordi preventivi sulla crisi
coniugale, in Familia, 2008, p.
25 ss.
[2] Per i richiami si
rinvia a Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi
preventivi sulla crisi coniugale, in Fam.
e dir., 2012, p. 69 ss., 80 ss.; per un successivo caso cfr. Id., Gli
accordi prematrimoniali in Cassazione, ovvero quando il distinguishing finisce nella Haarspaltemaschine, nota a
Cass., 21 dicembre 2012, n.
Il
Così Cass., 13 gennaio 2017,
n.
La (di poco) successiva
Cass., 30 gennaio 2017, n.
[3] Cfr. Oberto, Proposta di legge in tema di accordi preventivi sulla crisi coniugale, disponibile alla pagina web seguente: http://giacomooberto.com/proposta_di_legge_Oberto_accordi_in_vista_della_crisi_coniugale.htm; il contributo è stato pubblicato con il titolo Suggerimenti per un intervento in tema di accordi preventivi sulla crisi coniugale, in Fam. e dir., 2014, p. 88 ss. Le soluzioni ivi proposte sono condivise da Spadafora, Lo status coniugale e gli status paraconiugali tra legge e autonomia privata, in Dir. fam. pers., 2017, p. 1092 ss., 1123 s.
[4] Cfr. Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale,
cit., p. 92 ss.
[5] L’argomento è sviluppato
in Oberto, La comunione legale tra coniugi,
nel Trattato di diritto civile e
commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da
Schlesinger, I,
Milano, 2010, p. 372 ss.
[6] L. 20 maggio 2016,
n. 76. Per alcuni commenti alla medesima cfr. Aa.
Vv., Codice dell’unione civile e
delle convivenze, a cura di
M. Sesta, Milano, 2017, p. 169 ss.; v. anche (oltre agli Autori che verranno
citati oltre, in relazione a singoli profili) Balestra, Unioni
civili e convivenze di fatto: brevi osservazioni in ordine sparso, www.giustiziacivile.com, 2016, p. 1
ss.; Id., Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime
riflessioni, in Giur. it., 2016,
p. 1779 ss.; Blasi, Campione, Figone, Mecenate e Oberto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze –
Legge 20 maggio 2016, n. 76, Torino, 2016, passim; Buffone, Convivenze di fatto: si “gioca la partita”
degli orientamenti, in Guida al dir.,
n. 26/18 giugno 2016, p. 15 ss.; Id.,
L’elemento costitutivo passa per
l’iscrizione agli uffici anagrafici, ibidem,
p. 22 ss.; De Filippis, Unioni civili e contratti di convivenza, Padova, 2016, passim; Dosi,
Unioni civili: tre forme giuridiche
regolano la “famiglia”, in Guida al
dir., n. 23/28 maggio 2016, p. 6 ss.; M. Finocchiaro,
Su richiesta le parti possono
sottoscrivere un “contratto”, in Guida
al dir., n. 25/11 giugno 2016, p. 84 ss.; Id.,
Con l’iscrizione nei registri anagrafici
l’atto è opponibile, in Guida al dir.,
n. 25/11 giugno 2016, p. 88 ss.; Id.,
Quando scattano nullità, sospensione e
risoluzione, in Guida al dir., n.
25/11 giugno 2016, p. 90 ss.; Id.,
Contratto stipulabile con atti pubblici o
scritture autenticate, in Guida al
dir., n. 26/18 giugno 2016, p. 26 ss.; Fiorini
e Leo, Formazioni sociali con doppia disciplina “a geometria variabile”,
in Guida al dir., n. 25/11 giugno
2016, p. 62 ss.; Fusaro, Profili di diritto comparato sui regimi
patrimoniali, in Giur. it., 2016,
p. 1789 ss.; Greco, Il contratto di convivenza, in Aa. Vv.,
Unioni civili e convivenze di
fatto. L. 20 maggio 2016, n.
[7] Cfr., rispettivamente,
il d.d.l. S/2629/XVI d’iniziativa dei senatori Filippi, Garavaglia e
Mazzatorta, comunicato alla Presidenza del Senato il 18 marzo 2011 recante il
titolo « Modifiche al codice civile e alla l. 1º dicembre 1970, n.
[8] Proprio per questa
ragione lo scrivente è riuscito a far inserire il riferimento all’espressione e
al concetto di crise du mariage/marriage crisis, anziché a quello di divorce, in seno ai lavori del gruppo SATURN della CEPEJ del Consiglio d’Europa, al fine di rendere comparabili tra di
loro i dati sull’efficienza della giustizia in tale settore nei Paesi membri
del Consiglio d’Europa: cfr. ad es. il meeting
report di cui alla pagina web seguente: https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=1944035&Site=COE, nonché il questionario disponibile alla
pagina web seguente: http://www.coe.int/t/dghl/cooperation/cepej/meetings/2012/13_2012_Saturn_questinnaire_fr.asp.
[9] Cass.,
13 gennaio 1993, n.
[10] Si tratta del già citato d.d.l. S/2629/XVI d’iniziativa dei senatori Filippi, Garavaglia e Mazzatorta, comunicato alla Presidenza del Senato il 18 marzo 2011.
[12] Su questi temi si fa
rinvio a Oberto, Del
« Galateo postmatrimoniale »: ovvero gli accordi sui comportamenti e sul
cognome maritale tra separati e divorziati, in Riv.
notar., 1999, p. 337 ss.
[13] Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 700 ss.
[14] I fondamenti della nota
teoria di Francesco Santoro-Passarelli sono rinvenibili in Santoro-Passarelli,
L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Dir. giur., 1945,
p. 3 ss. e in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 381 ss., su
cui cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 103 ss., 116 ss. Sul tema v. inoltre Zoppini,
L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv.
dir. civ., 2001, p. 213 ss.; Bocchini,
Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, in Riv. dir. civ.,
2001, p. 446 ss. (lo scritto è anche pubblicato in Aa.Vv., Autonomia negoziale tra libertà e controlli,
a cura di Fuccillo, Napoli, 2002, p. 93 ss.); Autorino
Stanzione, Autonomia negoziale
e rapporti coniugali, in Rass. dir. civ., 2004, 3 ss.; Costanza, Rapporti
patrimoniali e autonomia privata, in Aa.Vv., Il nuovo diritto di
famiglia, Trattato diretto da Ferrando, II, Rapporti personali e
patrimoniali, Bologna, 2008, p. 256 ss.; S. Patti,
I rapporti patrimoniali tra coniugi. Modelli europei a confronto, ibidem, p. 235 ss.; Criaco, Liberalità e rapporti
patrimoniali tra coniugi, Milano, 2008, p. 12 ss.; Spadafora, Lo
status coniugale e gli status paraconiugali tra legge e autonomia privata,
cit., p. 1092 ss.
[16] Tramite tale clause alsacienne, invero, le coppie che
optano in Francia per il regime di comunione universale possono stabilire che,
in caso di scioglimento per divorzio, ognuno dei coniugi riprenderà gli apporti
alla comunione (cfr. Malaurie e Aynès, Les régimes matrimoniaux, Paris, 2007, p. 89, 325 s.). Il risultato perseguito è sicuramente commendevole. Come rilevato dalla
dottrina transalpina (Brun-Wauthier, Régimes matrimoniaux et régimes patrimoniaux des couples non mariés,
Orléans, 2009, p. 267), « En période de divortialité galopante, on peut
comprendre la préoccupation des époux de faire en sorte que le bénéfice
susceptible d’être tiré du régime matrimonial soit minimal en cas de divorce et
maximal en cas de décès. La clause de liquidation alternative répond à cette
attente (également dénommée clause alsacienne en raison de son développement
par les praticiens alsaciens en réponse à la fréquence de la communauté
universelle dans cette région, pour des raisons historiques). Elle consiste,
dans le cas d’une communauté universelle, à liquider celle-ci différemment
selon la cause de dissolution. En cas de dissolution par décès, les règles de
la communauté universelle s’appliquent. Au contraire, en cas de dissolution par
divorce, la liquidation est réalisée comme s’il s’agissait d’une communauté
réduite aux acquêts, par la possibilité offerte à chacun des époux de reprendre
ses “apports”, c’est-à dire les biens qui auraient été propres en régime légal
ou les biens non constitutifs d’acquêts » (in generale sulla clause alsacienne v. anche i riferimenti
in Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 386, nota 171; II,
Milano, 2010, p. 1671, nota 198). La clausola viene da tempo ritenuta, dalla
giurisprudenza, conforme al sistema del Code
civil: nel senso che « Ne porte pas atteinte au principe de l’immutabilité
des conventions matrimoniales la clause par laquelle, dans le cadre d’un régime
de communauté universelle, chaque époux reprendrait, en cas de dissolution de
la communauté par divorce, les biens tombés dans la communauté de son chef » v.
App. Colmar
16 maggio
[17] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, cit., p. 172 ss., 380 ss.; II,
cit., p. 1652 ss., 2020, nota 40.
[19] Che, come noto, il
Carnelutti ricollegava al proprium
della funzione notarile: cfr. Carnelutti,
La figura giuridica del notaio, in Riv. notar., 1951, p. 8.
[21] Su cui v., anche per i
richiami alla dottrina dei sistemi di common
law, Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi
preventivi sulla crisi coniugale, cit., p. 73, 88, 94. Tanto per portare un
ulteriore esempio, questa volta tratto dall’esperienza di civil law, anche l’art. 231-20 del Codi Civil de Catalunya stabilisce, al secondo comma, che il
notaio, prima di rogare il patto prematrimoniale, « ha d’informar per separat cadascun
dels atorgants sobre l’abast dels canvis que es pretenen introduir amb els pactes
respecte al règim legal supletori i els ha d’advertir de llur deure recíproc de
proporcionar-se la informació a què fa referència l’apartat 4 » (vale a dire
l’informazione reciproca sui redditi e patrimoni dei contraenti).
[22] Sulla natura sostanzialmente
omologatoria della « sentenza » di cui alla citata disposizione cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, Milano, 1999, p. 1338 ss.
[23] Cfr. art. 162-bis, secondo comma, come proposto dal d.d.l. C/2669/XVII, secondo cui « Gli accordi prematrimoniali riguardanti i figli minori o economicamente non autosufficienti devono essere autorizzati dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162. Qualora il procuratore della Repubblica ritenga che l’accordo non risponda all’interesse dei figli, ne indica i motivi e invita le parti a un’eventuale riformulazione. Qualora non ritenga autorizzabile neppure la versione eventualmente riformulata, nega definitivamente l’autorizzazione ».
[24] Sul tema v. per tutti Ruvolo,
Negoziazione assistita in materia familiare,
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=2&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwju_ZWCzu3XAhWSC-wKHc1EDSgQFgguMAE&url=http%3A%2F%2Fwww.scuolamagistratura.it%2Fcomponent%2Fphocadownload%2Fcategory%2F497-formazione-permanente-p16035.html%3Fdownload%3D9696%3AP16035_Ruvolo_%2520negoziazione%2520assistita&usg=AOvVaw17I2jsGGWjBCL34cv-vUXC;
Amendolagine, Processo
civile: le novità del decreto degiurisdizionalizzazione, Milano, 2014, p.
99 ss.; F. Danovi, I nuovi modelli di separazione e divorzio:
una intricata pluralità di protagonisti, in Fam. e dir., 2014, p. 1143 ss.; Id.,
Il
P.M. nella procedura di negoziazione assistita. I rapporti con il presidente del
tribunale, ivi, 2017, p. 69 ss.; Polinari, La negoziazione assistita, in Aa.
Vv., Il processo civile. Sistema e problematica. Le riforme del quinquennio
2010-
[26] Il dubbio è sollevato
da G. Gabrielli, Vincoli di destinazione importanti separazione
patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari, in Riv. dir. civ., 2007, p. 321 ss. contra Oberto, Le destinazioni patrimoniali nell’intreccio
dei rapporti familiari, in Aa. Vv., Le destinazioni patrimoniali, a cura di
R. Calvo e A. Ciatti, nel Trattato
dei contratti, a cura di E. Gabrielli e P. Rescigno, Torino, 2014, p. 236 ss.
[27] Cfr. art. 162-bis, terzo comma, c.c., nella proposta di cui al d.d.l. C/2669/XVII: « Negli accordi prematrimoniali un coniuge può attribuire all’altro una somma di denaro periodica o una somma di denaro una tantum ovvero un diritto reale su uno o più immobili, anche con il vincolo di destinare, ai sensi dell’articolo 2645-ter, i proventi al mantenimento dell’altro coniuge o al mantenimento dei figli fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica degli stessi ».
[28] Ovviamente le clausole
dovranno tenere conto del necessario rispetto dei principi d’ordine pubblico:
così, ad esempio, non sarebbe valido l’impegno a non iniziare una convivenza more uxorio: il tema è sviluppato in Oberto, Del
« Galateo postmatrimoniale »: ovvero gli accordi sui comportamenti e sul
cognome maritale tra separati e divorziati, cit., p. 337
ss.
[31] Cfr. ad es. la già citata proposta sui patti prematrimoniali elaborata dal Notariato e presentata nel 2011 al Congresso Nazionale del Notariato di Torino; cfr. inoltre l’art. 162-bis, ottavo comma, c.c., su cui v. infra, § 12. Secondo tale possibile disposizione, « 8. Un coniuge può anche trasferire, o impegnarsi a trasferire, all’altro coniuge o ad un terzo beni o diritti destinati al mantenimento, alla cura o al sostegno di figli disabili per la durata della loro vita o fino a quando permane lo stato di bisogno, la menomazione o la disabilità ». Conforme a tale indicazione appare anche il sesto comma dell’art. 162-bis c.c. nella versione proposta dal d.d.l. C/2669/XVII.
[33] Cfr. art. 162-bis, quarto comma, c.c.
[34] Cfr. Corte cost., 27 giugno 1973, n. 91. Come rilevato in dottrina « L’abrogazione del divieto è ricca di
implicazioni perché rende ‘automaticamente’ legittima ogni attività negoziale
tra coniugi. Anzi, proprio perché l’attività negoziale tra coniugi si presume
fondata sugli affetti familiari, essa viene ora in qualche misura agevolata e
protetta. Il ‘mutuo amore’ o la riconoscenza o, comunque, l’affetto (in
sintesi: le situazioni esistenziali) se nel diritto romano doveva soggiacere
alle ‘istanze’ patrimoniali, ora invece diviene la privilegiata ragione
giustificatrice degli atti di attribuzione patrimoniale; e ciò dipende dalla
funzionalizzazione dei rapporti patrimoniali nella famiglia ad assicurare una
misura di eguaglianza sostanziale tra i coniugi e di tutela della persona »
(così Doria, Autonomia privata
e « causa » familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della
separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 182 s. Prima ancora
cfr. Sacco, Regime patrimoniale
e convenzioni, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia a
cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 334).
[36] Cfr. il proposto art. 162-bis, dodicesimo comma, c.c., su cui v. infra, § 12, secondo il quale « Salvo patto contrario, le convenzioni di cui al presente articolo non sono passibili di modificazione o revisione ai sensi degli articoli 710 c.p.c. e 9, legge 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche. Alle convenzioni di cui al presente articolo trova applicazione l’articolo 1467 c.c. Resta ferma la possibilità di attribuire alla convenzione la natura di contratto aleatorio ai sensi dell’articolo 1469 c.c. ».
[37] Su cui v. per tutti Panforti, Gli accordi patrimoniali fra autonomia dispositiva e disuguaglianza
sostanziale. Riflessioni sul Family Law Amendment Act 2000 Australiano, in
Familia, 2002, p. 153 ss.
[38] Cfr. la relazione sul Bills
Digest No. 88 1999-2000, Family Law Amendment Bill 1999, preparato nel 1999 dal Department
of the Parliamentary Library del Parliament of Australia,
consultabile all’indirizzo web seguente: http://www.aph.gov.au/Parliamentary_Business/Bills_Legislation/bd/Bd9900/2000bd088.
[39] Si v. al riguardo gli
artt. 3 (per le convivenze eterosessuali) e 22 (per le
convivenze omosessuali) della legge catalana n. 10 del 15 luglio 1998 (d’unions estables de parella/de uniones
estables de pareja), secondo cui i conviventi, sin dall’inizio della
loro unione, « pueden regular las compensaciones económicas que convengan en
caso de cese de la convivencia con el límite de los derechos que regula este capítulo,
que son irrenunciables hasta el momento en que son exigibles ». Sul tema cfr. Oberto, I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi,
in Contratto e impresa/Europa, 2004,
p. 70.
[40] V. inoltre l’art. 3 della legge aragonese n. 2/2003, del 12 febbraio
2003 (de Régimen Económico Matrimonial y
Viudedad), secondo cui « Los cónyuges pueden regular sus relaciones
familiares en capitulaciones matrimoniales, tanto antes como después de contraer
el matrimonio, así como celebrar entre sí todo tipo de contratos, sin más
límites que los del principio “standum est chartae” », con una previsione
comunemente interpretata come ammissiva degli accordi in vista del divorzio:
cfr. Martín Casals e J. Ribot, Neue
Entwicklungen im Bereich des Familienrechts in Spanien, in FamRZ, 2004, p. 1436. Sul tema v. anche Ferrer i Riba,
Familienrechtliche Verträge in den
spanischen Rechtsordnungen, in Aa.
Vv., From Status to Contract? – Die
Bedeutung des Vertrages im europäischen Familienrecht, a cura di S. Hofer,
D. Schwab e D. Henrich, Bielefeld, 2005, p. 271 ss.
[41]
Cfr. art. 231-20: « Pactes en previsió d’una ruptura matrimonial
1.
Els pactes en previsió d’una ruptura matrimonial es poden atorgar en capítols
matrimonials o en una escriptura pública. En cas que siguin avantnupcials,
només són vàlids si s’atorguen abans dels trenta dies anteriors a la data de
celebració del matrimoni.
2.
El notari, abans d’autoritzar l’escriptura a què fa referència l’apartat
3.
Els pactes d’exclusió o limitació de drets han de tenir caràcter recíproc i
precisar amb claredat els drets que limiten o als quals es renuncia.
4.
El cònjuge que pretengui fer valer un pacte en previsió d’una ruptura
matrimonial té la càrrega d’acreditar que l’altra part disposava, en el moment
de signar-lo, d’informació suficient sobre el seu patrimoni, els seus ingressos
i les seves expectatives econòmiques, sempre que aquesta informació fos
rellevant amb relació al contingut del pacte.
5. Els
pactes en previsió de ruptura que en el moment en què se’n pretén el compliment
siguin greument perjudicials per a un cònjuge no són eficaços si aquest
acredita que han sobrevingut circumstàncies rellevants que no es van preveure
ni es podien raonablement preveure en el moment en què es van atorgar ».
[42] Per la trattazione
delle rispettive questioni con riguardo, rispettivamente, alla famiglia fondata
sul matrimonio ed in regime di separazione dei beni, da un lato, ed alla
famiglia di fatto, dall’altro, cfr. Oberto,
Il regime di separazione dei beni tra
coniugi. Artt. 215-
[43] Su cui v. già Oberto, I regimi
patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 280 s.
[44] Cfr. Oberto, I diritti dei
conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 78 ss.
[45] Cfr. in particolare Angeloni, Autonomia privata e
potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, p. 537 s.
[46] Sul tema cfr. Oberto, I diritti dei
conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 161 s.
[47] Ecco le formule
suggerite al riguardo, per iniziativa dello scrivente e con la fattiva
collaborazione dei Notai Antonio Diener e Francesco Striano, dal Consiglio
Nazionale del Notariato (cfr. Consiglio
Nazionale del Notariato, Guida
operativa in tema di convivenza. Vademecum sulla tutela patrimoniale del
convivente more uxorio in sede di esplicazione dell’autonomia negoziale.
Contratti di convivenza open day, 30 novembre 2013, Roma, 2013, p. 34):
« 10.1. I pagamenti
relativi a spese non comuni, ove effettuati da un convivente con mezzi propri,
ma a vantaggio dell’altro convivente, sono da considerarsi liberalità d’uso o
di modico valore, se di importo non superiore ad Euro … per ogni pagamento; ove
invece siano di ammontare maggiore, superando i singoli importi la somma di
Euro …, essi dovranno intendersi quali mutui erogati da un convivente
all’altro, da restituirsi alla scadenza di mesi … dalla loro erogazione, senza
interessi [ovvero: maggiorati
dell’interesse pari al … per cento (%) in ragione d’anno]. La medesima regola
sarà applicabile ad ogni attribuzione patrimoniale effettuata da un convivente
a vantaggio dell’altro, qualora la parte interessata non dimostri che
l’attribuzione è avvenuta per un titolo differente.
10.2. Le parti, ai fini civilistici e fiscali,
dichiarano che la presente convenzione si configura quale strumento negoziale
atipico per dedurre in obbligazioni, suscettibili di valutazione patrimoniale,
le rispettive condotte comportamentali determinate dal comune legame di
convivenza e che la medesima convenzione pertanto: - non è stata posta in
essere da parte di essi conviventi con alcun intento donativo o liberale; -
esaurisce la disciplina delle obbligazioni reciproche indicate nel presente
contratto e derivanti dal rapporto di convivenza, con conseguente esclusione di
altre cause contrattuali tipiche od atipiche che non siano concordemente ed
espressamente adottate per iscritto o siano meramente esecutive della presente
convenzione ».
[48] Regole sostanziali; per
quelle processuali si fa rinvio quanto osservato in altra sede: cfr. Oberto, I diritti dei
conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 114 ss.
[49] E’ noto che la piena equiparazione
tra la prole un tempo definita legittima e quella un tempo definita naturale è
stata operata dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219 e dal successivo d.lgs. 28
dicembre 2013, n.
[50] Su cui v. le clausole
proposte in Consiglio Nazionale del Notariato, Guida
operativa in tema di convivenza. Vademecum sulla tutela patrimoniale del
convivente more uxorio in sede di esplicazione dell’autonomia negoziale.
Contratti di convivenza open day, 30 novembre 2013, cit., p. 22 e dallo
scrivente commentate ivi, p. 23. La
partecipazione del convivente di fatto all’impresa familiare del partner è oggi disciplinata dall’art.
230-ter c.c.
[51] Cfr. Consiglio Nazionale del
Notariato, Guida operativa in tema
di convivenza. Vademecum sulla tutela patrimoniale del convivente more uxorio
in sede di esplicazione dell’autonomia negoziale. Contratti di convivenza open
day, 30 novembre 2013, cit., p. 71; sul tema v. anche Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa,
cit., p. 137.
[53] Cfr. ad es. la proposta
sui patti prematrimoniali elaborata dal Notariato e presentata nel 2011 al
Congresso Nazionale del Notariato di Torino, già consultabile al sito web seguente:
http://www.notariato.it/export/sites/default/en/highlights/news/archive/pdf-news/Le_proposte_del_notariato_011.pdf,
ora disponibile nella pubblicazione Consiglio
Nazionale del Notariato, Nuove regole tra affetti ed economica. Le
proposte del Notariato. Accordi pre-matrimoniali, Convivenze, Successioni,
Roma, p. 2011.
[54] Cfr. Consiglio Nazionale del
Notariato, Guida operativa in tema
di convivenza. Vademecum sulla tutela patrimoniale del convivente more
uxorio in sede di esplicazione dell’autonomia
negoziale. Contratti di convivenza open day, 30 novembre 2013, cit., p. 66
ss.
[55] Sul punto v., anche per i necessari richiami,
Oberto, I contratti di convivenza, Commento all’art. 1,
commi 50-63, Legge 20 maggio 2016, n.
[57] Cfr. Oberto, Le destinazioni patrimoniali nell’intreccio dei rapporti familiari,
cit., p. 147 ss.
[58] Cfr. Cass.,
21 dicembre 2012, n.
[60] V., in relazione al caso specifico del mutuo tra futuri coniugi, Cass., 21 agosto 2013, n. 19304: « L’inderogabilità dei diritti e dei doveri che scaturiscono dal matrimonio non viene meno per il fatto che uno dei coniugi, avendo ricevuto un prestito dall’altro, si impegni a restituirlo per il caso della separazione. Che poi l’esistenza di un simile accordo si possa tradurre in una pressione psicologica sul coniuge debitore al fine di scoraggiarne la libertà di scelta per la separazione è questione che nel caso specifico non ha trovato alcun riscontro probatorio; e che comunque, ove pure sussistesse, non si tradurrebbe di per sé nella nullità di un contratto come quello in esame ».
[61] Cfr. per tutti Oberto, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione o divorzio
tra contratto e giurisdizione: il caso delle intese traslative, dal 4 marzo 2009 disponibile al seguente
indirizzo web: https://www.giacomooberto.com/trasferimenti/taormina2009/relazione_oberto_taormina.htm.
[62] Cfr. art. 10, quarto comma,
d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, così come modificato dal d.lgs. 12 settembre 2013,
n.
[63] Ed invero, la norma
citata nel testo, sostanzialmente abrogata a partire dal 1° gennaio 2014, è
stata inopinatamente « resuscitata » da una sorprendente lettura (tanto
benevola per il contribuente e – sia chiaro! – sacrosanta sotto il profilo
dell’opportunità, quanto radicalmente infondata sul piano tecnico-giuridico)
fornita dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 2/E del 21 febbraio 2014,
non per nulla del tutto carente in parte
qua della benché minima motivazione. Si riporta qui la porzione rilevante
del citato provvedimento amministrativo: « 9.2 Procedimenti in materia di
separazione e divorzio. L’articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, dispone
che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di
scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio
nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la
corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge
1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da
ogni altra tassa”. Come chiarito con la circolare 21 giugno 2012, n. 27, tali
disposizioni di favore si riferiscono a tutti gli atti, documenti e
provvedimenti che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare i
rapporti giuridici ed economici ‘relativi’ al procedimento di scioglimento del
matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso. Qualora
nell’ambito di tali procedimenti, vengano posti in essere degli atti di
trasferimento immobiliare, continuano ad applicarsi, anche successivamente al
1° gennaio 2014, le agevolazioni di cui alla citata legge n. 74 del 1987.
L’articolo 10, comma 4, del decreto non esplica effetti con riferimento a tali
disposizioni agevolative che assicurano l’operatività dell’istituto in
argomento ». Inutile ricordare che, in realtà, l’art. 10, comma 4, del d. lgs.
n. 23/2011 dispone testualmente che « in relazione agli atti di cui ai commi 1
e 2 sono soppresse tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie, anche se
previste in leggi speciali ». Ora, « leggi speciali » non erano certo solo
quelle che prevedevano esenzioni e agevolazioni esclusivamente in relazione
agli atti ivi descritti (trasferimenti immobiliari), bensì tutte quelle che
comportavano tali effetti in relazione quegli atti (i trasferimenti
immobiliari, appunto), vuoi « isolatamente », vuoi nel contesto di esenzioni
più ampie e diverse: proprio come previsto dall’art. 19 cit., la cui «
specialità » era costituita non già dal fatto di concernere solo (tanto che
siffatto avverbio, lo si ripete, nel citato art. 10 non compare!) la materia
dei trasferimenti, bensì dalla circostanza di attenere ad una « materia
speciale », quale il diritto tributario della crisi coniugale (e, dunque,
inevitabilmente, anche il diritto tributario dei trasferimenti immobiliari in
sede di crisi coniugale), rispetto alla « materia generale » costituita dal
riordino della normativa fiscale sui trasferimenti immobiliari nel suo
sconfinato complesso.
[64] Ovviamente le clausole
dovranno tenere conto del necessario rispetto dei principi d’ordine pubblico:
così, ad esempio, non sarebbe valido l’impegno a non porre in essere tout court
una convivenza more uxorio: il tema è
sviluppato in Oberto, Del « Galateo
postmatrimoniale »: ovvero gli accordi sui comportamenti e sul cognome maritale
tra separati e divorziati,
cit., p. 337 ss.
[65] Il tema è sviluppato in
Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 379 ss.; Id., Sulla natura disponibile degli
assegni di separazione e divorzio: tra autonomia privata e intervento
giudiziale, in Fam. e dir., 2003,
p. 389 ss., 495 ss.
[66]
Cfr., a mero titolo d’esempio, Parkman,
The Contractual Alternative to Marriage,
in Northern Kentucky Law Review, 32
(2005), p. 125 ss.; v. inoltre Clemens
e Jaffe, Drafting and Litigating Prenuptial, Cohabitation, and Marital
Settlement Agreements: Program Material, Oakland (Ca), 1981, passim; Fehlberg
e Smyth, Binding Pre-Nuptial Agreements in Australia: The First Year, in Int. Journal of Law, Policy
and the Family, 16 (2002), p. 127 ss.; Mackay,
Who Gets a Better Deal? Women and
Prenuptial Agreements in
[67] Evidente è la
commistione dei due profili, ad esempio, nelle argomentazioni di Radmacher v Granatino, [2009] EWCA Civ 649, disponibile anche alla
seguente pagina web: http://www.familylawweek.co.uk/site.aspx?i=ed36874,
su cui v. pure Oberto, La comunione legale tra coniugi,
I, cit., p. 174
s., 204 s., 214, nota 709. Con tale decisione, nel 2009,
[68] O dal suo semplice «
allentamento » rappresentato dalla separazione personale, ancorché, assai
curiosamente, gli scudi pur fieramente levati per il caso di divorzio qui
vengano piuttosto abbassati… Ed invero, la stessa Cassazione ha in non poche
occasioni riconosciuto la validità – per esempio – di un impegno con cui uno
dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale (e dunque non nel
contesto di quest’ultima), prometteva di trasferire all’altro la proprietà di
un bene immobile « anche se tale sistemazione patrimoniale avviene al di fuori
di qualsiasi controllo da parte del giudice... purché tale attribuzione non sia
lesiva delle norme relative al mantenimento e agli alimenti » (Cass., 5 luglio
1984, n.
[69] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 78 ss.
[70] Cfr. il c. 4 dell’art. 13 del d.d.l. S/2081/XVII, come risultante alla data del 2 luglio 2014; il documento è disponibile al seguente indirizzo web: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=00777449&part=doc_dc-allegato_a:1&parse=si&stampa=si&toc=no.
[71] Cfr. per tutti Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 78 ss.
[73] V. infatti al riguardo quanto stabilito dalle varie proposte di legge in tema di contratti prematrimoniali, su cui cfr. per tutti Oberto, Suggerimenti per un intervento in tema di accordi preventivi sulla crisi coniugale, cit., p. 88 ss.
[74] Sulla mancanza di una disciplina « ordinaria » in materia successoria nella novella del 2016 v. anche C. Romano, Unioni civili e convivenze di fatto: una prima lettura del testo normativo, in Notariato, 2016, p. 346 s.; Padovini, Il regime successorio delle unioni civili e delle convivenze, in Giur. it., 2016, p. 1817 s.
[75] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 80 s.
[76] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 125 ss.
[77] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 82.
[78] Cfr. Oberto, I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, cit., p. 83 s.; Fusaro, I contratti di convivenza, in Nuova giur. ligure, 2016, Sez. civile, Doc. 40, p. 1 ss., 2 (estratto gentilmente fornito dall’Autore).
[79] Per approfondimenti si rinvia a Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 308 ss.; Id., I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, cit., p. 85 s.; Oberto, Famiglia di fatto e convivenze: tutela dei soggetti interessati e regolamentazione dei rapporti patrimoniali in vista della successione, in Fam. e dir., 2006, p. 666 s. Sul contratto a favore di terzi in funzione para-successoria v. da ultimo Mattera, La stipulazione a favore del terzo quale strumento alternativo alla devoluzione successoria, in Notariato, 2017, p. 552 ss.
[80] Cfr. art. 162-bis, undicesimo comma, della proposta riportata infra, § 12, per i coniugi (e i soggetti uniti civilmente), nonché le proposte ivi riferite di modifica ai commi 42, 43, 56 e 65 della l. n. 76 del 2016, per i conviventi di fatto.
[81] Sul punto v. per tutti Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 119 s.
[82] Cfr. ad es. Oberto, I contratti di convivenza nei progetti di legge (ovvero sull’imprescindibilità di un raffronto tra contratti di convivenza e contratti prematrimoniali), in Fam. e dir., 2015, p. 173 s.
[83] Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 90 ss.
[84] Cfr. Bona,
La disciplina delle convivenze nella l.
20 maggio 2016 n. 76, Nota a Cass., 7 marzo 2016, n.
[85] Sul tema delle clausole c.d. « premiali » v. per tutti Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 193 ss.
[86] Cfr. art. 108 c.c., su cui Ferrando, Il matrimonio, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2015, p. 365.
[87] Sul tema della possibilità per i coniugi di sottoporre a termini o condizioni l’efficacia delle convenzioni matrimoniali cfr. Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p. 671 s.; Id., La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1669 ss.
[88] Cfr. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto,
cit., p. 90 ss.; approva tale soluzione
Fusaro, I contratti di convivenza, cit., p. 2; sembra seguire la soluzione proposta
dallo scrivente anche Auletta, Disciplina delle unioni non fondate sul
matrimonio: evoluzione o morte della famiglia? (l. 20 maggio 2016, n. 76),
in Nuove leggi civ. comm., 2016, p.
[89] Come fa invece Rizzuti, Prospettive di una disciplina delle convivenze: tra fatto e diritto, www.giustiziacivile.com, 2016, p. 7.
[91] Per una proposta legislativa in tal senso cfr. Oberto, Proposta di legge sul tema: disposizioni in materia di accordi di convivenza, 2001, http://giacomooberto.com/convivenza/proposta.htm, anche in Id., Famiglia e rapporti patrimoniali. Questioni d’attualità, Milano, 2002, p. 1057 ss.; l’art. 3 di tale articolato era stato letteralmente ripreso dalla proposta presentata il 13 giu. 2001 su iniziativa dell’On. Belillo – n. 795/XIV/C – e successivamente trasposto in altri progetti presentati nella XVI legislatura: sul tema v. anche Oberto, I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, cit., p. 87 ss.
[92] Su cui v., anche per i richiami, l’interessante lavoro di Mattucci, Gli alimenti in favore del “convivente di fatto”, in Fam. e dir., 2017, p. 705 ss. Cfr. inoltre Iorio, Il disegno di legge sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto: appunti e proposte sui lavori in corso, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 1025 ss.; Bertocchi e De Paola, Brevi note in tema di diritto agli alimenti, in Aa. Vv., Unioni civili e convivenze: guida commentata alla legge n. 76/2016, a cura di M.A. Lupoi, C. Cecchella, V. Canciolo e V. Mazzotta, Rimini, 2016, p. 318 ss.; Blasi, Il diritto dei conviventi di fatto agli alimenti, in Blasi, Campione, Figone, Mecenate e Oberto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze – Legge 20 maggio 2016, n. 76, cit., p. 252 ss.; Lenti, Convivenza di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, in Fam. e dir., 2016, p. 931 ss., 938.
[93] Per tutti cfr. Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 35 ss.
[94] Cfr. Oberto, I contratti di convivenza, cit., p. 1331 ss., 1343, 1378 ss.
[95] Cfr. Lenti, La nuova disciplina della convivenza di fatto: osservazioni a prima lettura, 2016, http://www.juscivile.it/contributi/2016/08_Lenti.pdf, p. 18.
[96] Per l’inderogabilità sono anche E. Quadri,“Unioni civili tra persone dello stesso sesso” e “convivenze”: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete, in Corr. giur., 2016, p. 901; Pacia, Unioni civili e convivenze, www.juscivile.it, 2016, p. 16; Simeone, Le convivenze di fatto ex lege 76 del 2016, http://www.scuolamagistratura.it, 2017, p. 28 (« Per effetto dell’introduzione dell’assegno alimentare a favore del convivente (comma 65) tutte le clausole che dovessero prevedere una rinunzia preventiva all’assegno alimentare saranno affette da nullità assoluta »); nello stesso senso, peraltro senza motivazione, è Bona, op. loc. ultt. citt.
[97] Cfr. Corte cost., 13 maggio 1998, n.
[98] Nello stesso senso v. già Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 36 ss., anche per una lettura della libertà matrimoniale, costituzionalmente garantita, anche come libertà « negativa », dall’applicazione, cioè, di conseguenze matrimoniali a chi tali conseguenze non vuole; dopo la riforma del 2016, cfr. inoltre in questo stesso senso Luiso, La convivenza di fatto dopo la L. 2016/76, https://www.judicium.it/wp-content/uploads/2016/11/F.P.-Luiso.pdf, 2016, p. 1; anche Pacia, op. cit., p. 19, ammette che « Fare derivare ex lege effetti giuridici da un semplice comportamento concreto, la convivenza, oltre che mettere a rischio diritti e interessi di terzi, significherebbe violare, per eccesso di tutela, il diritto dell’individuo di organizzare la propria vita in maniera del tutto libera e svincolata: non è pensabile di imporre un modello organizzativo di convivenza a chi, avendo ripudiato l’idea del matrimonio, desideri soltanto convivere, senza farne derivare necessariamente ed ipso iure diritti e obblighi ».
[99] Interessante al
riguardo anche l’argomentazione di Tassinari,
Il contratto di convivenza nella l.
20.5.2015, n.
[100] Cfr. in particolare le proposte modifiche ai commi 42, 43, 56 e 65 della l. n. 76 del 2016, riportate infra, § 12.
[102] Cfr. Oberto, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, cit., p. 955.
[103] L’espressione, proposta da Oberto, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 171 ss., è approvata da Mattucci, op. cit., p. 719. Anche per Ferrando, Libertà e solidarietà nella crisi delle convivenze, in Familia, 2017, p. 310 « Naturalmente nulla impedisce ai conviventi di accordarsi diversamente, fissando, in via convenzionale, una diversa misura dell’assegno o pattuendo misure alternative all’assegno periodico, come il trasferimento di beni o la corresponsione una tantum di somme di denaro ».
[104] Così Mattucci, op. loc. ultt. citt.
[105] Cfr., sul punto, Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Padova, 2015, p. 207, il quale esclude che i conviventi possano prevedere conseguenze sanzionatorie in ordine alla cessazione unilaterale della convivenza, atteso che essa si caratterizza quale rapporto intrinsecamente fondato sulla libertà e spontaneità dei comportamenti dei suoi componenti. Sul punto v. anche Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 193 ss.; Id., I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, cit., p. 42 ss.; Franzoni, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, in Aa. Vv., Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, II, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 2016, p. 1870 s., secondo il quale, sia pure con riferimento alla prestazione alimentare, la previsione, nel contratto di convivenza, del diritto agli alimenti, per il caso in cui dovesse cessare la convivenza, « che potrebbe risultare nulla se la si configurasse come penale, deve essere valutata legittima se il fine al quale è diretta è quello di assistenza e di soccorso del convivente in condizione di maggiore difficoltà economica ». Anche per Romeo, Note sui contratti di convivenza, in Familia, 2017, p. 374 « Non sembrano inoltre poter trovare spazio eventuali clausole penali a carico del convivente che decida unilateralmente di interrompere il rapporto di convivenza. Diversa, invece, potrebbe essere la sorte di attribuzioni patrimoniali sospensivamente condizionate al cessare della convivenza (e.g. diritto di abitazione sulla casa “familiare”), qualora, a seguito di un’attenta valutazione delle medesime, per le stesse possa escludersi una riconduzione allo schema della penale per il caso di abbandono, pena la nullità in quanto clausola limitativa della libertà del contraente; solo qualora si ravvisi che la clausola non abbia effettivamente finalità sanzionatorie, la stessa potrà ritenersi ammissibile ».
[106] Così ancora Mattucci, op. loc. ultt. citt.
[107] Per una più agevole comprensione si è preferito presentare in questa sede un testo già coordinato, con eliminazione dell’articolato della proposta, sostituito dalla versione integrale delle disposizioni di cui si propongono modifiche. Le modifiche proposte sono evidenziate in grassetto.