SIMULAZIONE DELLA SEPARAZIONE CONSENSUALE:
LA CASSAZIONE CAMBIA PARERE (MA NON LO VUOLE
AMMETTERE)
[Nota a Cass.,
20 novembre 2003, n. 17607]
Sommario: 1. La simulazione della separazione consensuale tra obiter dicta e rationes decidendi. Il precedente di cui a Cass., 5 marzo 2001, n. 3149. – 2. La natura negoziale dell’accordo di separazione consensuale e la sua riaffermazione da parte della sentenza in commento. – 3. L’applicabilità della disciplina contrattuale all’accordo di separazione consensuale. – 4. Simulazione, vizi del consenso e capacità delle parti nel negozio di separazione consensuale: dottrina e giurisprudenza a confronto. – 5. Le ragioni per le quali la sentenza in commento esclude l’impugnabilità per simulazione della separazione consensuale (e la relativa critica). |
1. La simulazione della separazione consensuale tra obiter dicta e rationes decidendi. Il
precedente di cui a Cass., 5 marzo 2001, n. 3149.
Curioso destino davvero, quello che sembra riservato
al concetto di obiter dictum. Nato ed affermatosi per distinguere quel
principio di diritto che «quantunque enunciato nella sentenza, si riveli
superfluo per la soluzione della controversia», di contro – come noto – alla ratio
decidendi, rappresentata da «ogni principio di diritto che,
nell’argomentazione del giudice, si riveli quale premessa o passaggio logico
necessario per la soluzione della controversia» [1], esso ha finito con l’essere talora usato, dalla
dottrina, per esorcizzare il contenuto di decisioni «sgradite» [2], e, dalla giurisprudenza, per sbarazzarsi
dell’influenza d’un precedente ritenuto, in un modo o nell’altro, ingombrante [3]. Ciò è proprio quanto sembra stia accadendo nella
vicenda della simulazione della separazione consensuale, argomento del quale
chi scrive ha avuto occasione di occuparsi commentando il precedente immediato
della sentenza qui in commento – vale a dire Cass., 5 marzo 2001, n. 3149 [4] – nell’ambito di un’analisi di tipo
storico-comparatistico su cui non è possibile in questa sede tornare se non
marginalmente, anche per non tediare il paziente lettore [5].
Ma procediamo con ordine. Nella sentenza qui in
commento la Cassazione, dopo essersi a lungo soffermata sui principi-cardine
della sua ormai risalente giurisprudenza in materia di negozialità tra coniugi
in crisi, ribadendoli tutti con estrema chiarezza [6], conclude negando nella maniera più recisa la
possibilità per i coniugi di far valere la nullità dell’accordo di separazione
consensuale per simulazione. Lasciando al prosieguo della presente nota
l’esposizione delle numerose ragioni di critica di questa conclusione [7], va rimarcato in primo luogo che, secondo i Supremi
Giudici, non sarebbe possibile invocare, in senso favorevole al riconoscimento
della possibilità di impugnare per simulazione una separazione consensuale, il
precedente di cui alla citata sentenza n. 3149 del 2001. Pur ammettendo che
quest’ultima – relativamente ad un giudizio di revisione delle condizioni della
separazione – ha, sì, affermato che «che ogni questione relativa alla
simulazione dell’accordo posto a base della separazione (…) doveva essere
prospettata in apposita sede», la Cassazione viene ora a dirci che l’espresso
richiamo operato nel 2001 alla possibilità per la parte di far valere la
simulazione mercé il ricorso ad un procedimento contenzioso ordinario sarebbe
stato effettuato «con espressione certamente non assunta a ratio decidendi».
Va subito chiarito che la sentenza 5 marzo 2001, n.
3149, riguardava non già la simulazione della
separazione in quanto tale, bensì la (asserita) simulazione di un accordo
inserito nel più ampio contesto delle condizioni concordate ex art. 158 c.c. ed omologate dal
tribunale. E’ però del tutto evidente che i due profili – quello, cioè, della
simulazione della separazione e
quello della simulazione nella
separazione – investono comunque la medesima serie di questioni, tutte
imperniate sul tema della configurabilità, in astratto, di un procedimento
simulatorio [8] in relazione a negozi per il perfezionamento dei
quali è previsto un intervento giurisdizionale.
Per ciò
che attiene ai fatti di quella causa, va aggiunto che, nella fattispecie decisa
dalla Suprema Corte nel 2001, le parti, in sede di separazione consensuale,
avevano convenuto (tra l’altro) l’affidamento alla moglie del figlio minore,
l’assegnazione della casa coniugale al marito e l’erogazione di un assegno di
mantenimento per la moglie ed il figlio a carico del marito. Successivamente,
la moglie aveva convenuto in giudizio il marito con procedura ex art. 710 c.p.c., facendo valere, in
maniera, a dire il vero, assai contraddittoria [9], l’invalidità dell’intesa, sia per via di un’asserita
situazione di violenza morale [10], che per effetto di una pretesa simulazione
dell’accordo omologato, per ciò che atteneva il diritto del marito di permanere
nella casa coniugale; tale diritto era stato di fatto concesso alla moglie, in
contrasto con quanto previsto negli accordi omologati, sino «all’ottobre 1993,
quando [il marito] aveva ingiunto [alla moglie] di lasciare la casa coniugale e
comunicato di essersi messo in pensione, cosicché non le avrebbe più
corrisposto l’assegno pattuito». Sulla base di queste premesse la moglie aveva
chiesto la modifica delle condizioni della separazione, ma il tribunale aveva
rigettato la domanda, in quanto in essa non erano stati dedotti mutamenti della
situazione dei coniugi, ma circostanze non deducibili con la procedura
attivata, consistenti nell’allegata esistenza di accordi diversi da quelli
sottoscritti in sede di separazione consensuale. La moglie aveva allora
proposto reclamo, ma la corte d’appello aveva confermato la decisione di primo
grado, osservando che il thema decidendum
introdotto riguardava la simulazione dell’atto di separazione e non la sua
modifica, cosicché la domanda non poteva essere proposta con la procedura
adottata, nella quale non poteva essere accertato neppure un eventuale vizio
del consenso.
La
Cassazione, nella sentenza 5 marzo 2001, n. 3149, confermò proprio tale
impostazione, riconoscendo, senza esitazioni, l’ammissibilità nei confronti
dell’accordo di separazione consensuale dei classici rimedi negoziali, da
esperirsi attraverso un’azione ordinaria e non già con il procedimento ex art. 710 c.p.c. Nel pervenire a tale
conclusione la decisione confermò expressis verbis il giudizio formulato
dalla corte d’appello, secondo cui «la contestualità di diversi accordi
verbali, coevi a quelli scritti ed omologati, non integra modifica di questi
ultimi, ma simulazione dell’atto omologato», soggiungendo che «l’allegazione
degli eventuali vizi dell’accordo di separazione, ovvero della sua simulazione»
sarebbe rimasta rimessa «al giudizio ordinario, secondo le regole generali».
E’
evidente, dunque, che il richiamo al concetto di simulazione dell’accordo di
separazione e alla sua astratta configurabilità costituiva, nell’armamentario
argomentativo di quella sentenza, «premessa o passaggio logico necessario per
la soluzione della controversia». A ciò si aggiunga che, secondo quanto è dato
testualmente leggere nella motivazione della pronunzia del 2001, «L’essenza
della ratio decidendi della sentenza
[impugnata]» (sentenza – si badi – confermata in toto dalla Corte
Suprema, senza neppure una correzione della motivazione ex art. 384
c.p.c.), «consiste pertanto nell’affermazione che né gli eventuali vizi del
consenso rispetto all’atto di separazione omologato, né la sua eventuale
simulazione sono deducibili con il giudizio camerale attivato ai sensi degli
artt. 710 e 711 c.p.c. e che il fatto nuovo del mutamento della situazione
economica delle parti, deducibile con tale giudizio, non era stato dimostrato».
Sembra chiaro, pertanto, che la ragione per la quale la Corte Suprema confermò
in quel caso la decisione di merito andava ricercata nel rimprovero alla parte
ricorrente di avere proposto una domanda sicuramente ammissibile in astratto
per il tramite di una procedura preordinata a far valere altri tipi di
doglianze. In caso contrario, invero, la Corte avrebbe dovuto indicare come
puramente e semplicemente inammissibile la domanda, anziché espressamente
additare la via del procedimento contenzioso ordinario [11].
In
un precedente più risalente, la medesima Corte aveva ammesso la facoltà per i
terzi (nella specie: conduttore, nei confronti dei quali il locatore, non
assegnatario della casa coniugale, intendeva opporre la cessazione della
proroga legale, ex art. 4, n. 1, l.
23 maggio 1950, n. 253) di dimostrare la simulazione «della procedura» di
separazione [12]. Ma pure a tale decisione la Cassazione nega ora la
dignità di precedente in materia di simulazione della separazione consensuale,
asserendo che essa aveva fatto salva la facoltà del terzo di provare tale
simulazione «soltanto in via astratta e teorica e senza fornire alcuna
motivazione sul punto – non richiesta dalla fattispecie al suo esame».
2. La natura negoziale dell’accordo di separazione
consensuale e la sua riaffermazione da parte della sentenza in commento.
Una volta
dimostrata la presenza (quanto meno) di un precedente in senso diametralmente
opposto della Corte di legittimità italiana, va ricordato come il problema della
configurabilità di una simulazione della (e nella) separazione consensuale (e,
più in generale nelle intese dirette a dirimere i problemi sorti nell’ambito
della crisi coniugale, dovendosi senz’altro aggiungere alla separazione gli
accordi posti a base del ricorso per divorzio su domanda congiunta) appaia
strettamente legato a quello della natura del negozio che si pone alla base del
rimedio ex artt. 158 c.c. e 711
c.p.c. (così come dell’accordo che «sorregge» e giustifica il divorzio su
domanda congiunta).
Di ciò si
rende ben conto l’articolata motivazione della decisione in commento, che si
allinea sulle posizioni più aperte della dottrina e della stessa giurisprudenza
di legittimità. Invero, dopo aver espressamente dichiarato che «la causa della
separazione sta nella volontà dei coniugi, mentre l’omologazione agisce come
mera condizione legale di efficacia dell’accordo», la Cassazione ribadisce che
«la separazione trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi
dinanzi al presidente del tribunale e che la successiva omologazione è
unicamente diretta ad attribuire efficacia all’esterno all’accordo di
separazione, assumendo la funzione di condizione sospensiva della produzione
degli effetti delle pattuizioni stipulate tra i coniugi, già integranti un
negozio giuridico perfetto ed autonomo» [13].
E’ dunque
– sempre secondo l’avviso dei Supremi Giudici – l’accordo tra i coniugi che
«costituisce l’elemento fondante della condizione di coniugi separati e del
regolamento dei loro rapporti, mentre il provvedimento di omologazione svolge
la funzione di controllare la compatibilità della convenzione rispetto alle
norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico, nonché di compiere la più
pregnante indagine circa la conformità delle condizioni relative
all’affidamento ed al mantenimento dei minori (e) al loro interesse, e quindi
di imprimere efficacia all’accordo stesso (Cass. 2001 n. 3390, in motiv.; 1997
n. 9287; 1995 n. 2700; 1990 n. 8712; 1985 n. 1208; 1984 n. 14)» [14].
Ribadita
per l’ennesima volta la tesi, di origine dottrinale, che vede l’accordo di
separazione («atto essenzialmente negoziale, espressione della capacità dei
coniugi di autodeterminarsi responsabilmente»), come «uno dei momenti di più
significativa emersione della negozialità nel diritto di famiglia» [15], la Cassazione conclude sul punto affermando di
ritenere che «non vi sia ragione di dubitare della natura negoziale dell’atto
che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale, atteso che in tale
accordo si dispiega pienamente l’autonomia dei coniugi e la loro valutazione
della gravità della crisi coniugale, con esclusione di ogni potere di indagine
del giudice sui motivi della decisione di separarsi e di valutazione circa la
validità di tali motivi, in piena coerenza con la centralità del principio de
consenso nel modello di famiglia delineato dalla legge di riforma ed in ragione
del tasso di negozialità dalla stessa legge riconosciuto in relazione ai
diversi momenti ed aspetti della dinamica familiare».
3. L’applicabilità della disciplina contrattuale
all’accordo di separazione consensuale.
Tutti
questi temi sono stati ampiamente sviluppati altrove, per cui non rimarrà che
fare rinvio ai lavori sull’argomento, riportandone qui di seguito, molto
sinteticamente, le conclusioni, favorevoli al pieno ed incondizionato
riconoscimento del carattere negoziale delle intese in oggetto, con conseguente
affermazione dell’applicabilità della normativa contrattuale, a cominciare dal
principio-cardine costituito dall’art. 1322 c.c., tanto al negozio di
separazione personale, che a quello di divorzio su domanda congiunta, che a
quelle particolari intese di carattere patrimoniale concluse in sede, in
occasione, o anche solo in vista della separazione personale, della separazione
di fatto, del divorzio o dell’annullamento del matrimonio, già qualificate
dallo scrivente come «contratti della crisi coniugale» [16].
Del
resto, l’applicabilità del canone citato alla materia degli accordi tra coniugi
in occasione di separazione e divorzio costituisce ormai un dato accettato da
buona parte della dottrina e della giurisprudenza, e non sarà forse inutile
ricordare come, non a caso, proprio in quello scritto, risalente al 1945, che
può considerarsi come l’atto di nascita della (moderna) teoria del negozio giuridico
familiare, Francesco Santoro-Passarelli non esitasse a dichiarare
l’applicabilità – quanto meno in linea di principio – a quest’ultimo, anche nei
settori non patrimoniali, della disciplina dettata dal codice per il contratto
in generale [17]. Questa medesima affermazione è contenuta pure nella
motivazione della sentenza in esame, in cui è dato leggere che «L’esclusione
della natura contrattuale dell’accordo di separazione ed il suo inquadramento
nella categoria negoziale, se comporta la non operatività delle norme proprie
del contratto che trovano ragione nella specifica natura di questo, non esclude
che possano applicarsi, nei limiti della loro compatibilità, le norme del
regime contrattuale che riguardano in generale la disciplina del negozio giuridico
o che esprimono principi generali dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi
del consenso e di capacità delle parti (peraltro richiamate in varie norme
codicistiche relative alla materia familiare, come in tema di celebrazione del
matrimonio e di riconoscimento dei figli naturali)» [18].
Del
resto, nihil sub sole novi per la giurisprudenza di legittimità. Così,
per esempio, un espresso rimando all’art. 1322 c.c. compare per ben due volte
in una nota decisione sulla validità degli accordi preventivi tra coniugi in
materia di conseguenze patrimoniali dell’annullamento del matrimonio [19], mentre espliciti o impliciti riferimenti
all’autonomia contrattuale punteggiano tutta o quasi la complessa vicenda in
tema di trasferimenti immobiliari e mobiliari in sede di separazione personale
tra coniugi [20], a cominciare da quel leading case risalente al 1972 [21], che pure all’epoca aveva suscitato le
(ingiustificatamente) preoccupate reazioni di parte della dottrina [22], per continuare con il caso in cui i Supremi Giudici invocarono
proprio il principio della libertà contrattuale al fine di ammettere la
validità dell’impegno con il quale uno dei coniugi, in vista di una futura
separazione consensuale, aveva promesso di trasferire all’altro la proprietà di
un bene immobile, anche se tale sistemazione dei rapporti patrimoniali era
avvenuta al di fuori di qualsiasi controllo giudiziale in sede di omologa [23]. Ancora, al concetto di «convenzione di diritto
familiare» fa richiamo la Cassazione in una decisione del 1983 per affermare
l’applicabilità all’accordo di riconciliazione dei principi generali degli
artt. 1326-1328 c.c. in tema di formazione del consenso [24].
Per
non dire poi dell’evoluzione più recente in materia di accordi non omologati
successivi alla separazione, ove la Cassazione riconosce effetto, ormai da
alcuni anni a questa parte, al pieno dispiegarsi della negozialità dei coniugi,
in forza del principio sancito dall’art. 1322 c.c., ritenuto senza riserve
applicabile al caso di specie, addirittura anche per quanto concerne le
pattuizioni concernenti la prole minorenne; conclusione, quest’ultima, che
conferma l’espansione dell’operatività della sfera dell’autonomia privata anche
nel settore di quei negozi del diritto di famiglia non caratterizzati dalla
patrimonialità [25].
Per
tornare alle intese costituenti il «contenuto eventuale» [26] dell’accordo di separazione consensuale, nemmeno la
dottrina sembra ormai più dubitare della natura non solo negoziale, bensì
addirittura contrattuale di questi atti, allorquando gli stessi (come per lo
più accade) abbiano ad oggetto prestazioni di carattere patrimoniale [27]. Anche qui l’art. 1322 c.c. ha ricevuto concreta
applicazione in un’innumerevole serie di casi che hanno portato il «diritto
vivente» a determinare, in nome del principio dell’autonomia privata (sovente
espressamente menzionato nelle motivazioni delle decisioni), una vera e propria
dilatazione dell’usuale contenuto dell’accordo di separazione, ben al di là di
quegli angusti limiti in cui alcuni autori [28] lo avrebbero voluto inquadrare [29]. Non stupisce dunque che, da alcuni anni a questa
parte, accada sempre più di frequente all’osservatore della giurisprudenza di
legittimità di imbattersi in affermazioni del genere di quella secondo cui «i
rapporti patrimoniali tra i coniugi separati hanno rilevanza solo per le
parti, non essendovi coinvolto alcun pubblico interesse, per cui essi sono
pienamente disponibili e rientrano nella loro autonomia privata» [30]. In altri termini, pur con le dovute cautele, sembra
potersi dire che anche nel diritto patrimoniale della famiglia deve darsi atto
di una progressiva evoluzione «dagli status
al contratto». La nota massima elaborata da Maine oltre un secolo fa [31], sebbene abusata e sottoposta a critiche [32], sembra ancora adatta ad esprimere il lungo e
travagliato percorso compiuto dalla negozialità anche in questo settore del
diritto privato [33].
E
a coronamento di quest’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale viene ora a
porsi, addirittura sul piano normativo, il recente recepimento nell’ordinamento
italiano della direttiva comunitaria sul commercio elettronico, che ha indotto
il nostro Legislatore ad ammettere expressis verbis l’esistenza di
«contratti disciplinati dal diritto di famiglia» [34]. Questo nuovo dato positivo viene così ad avvalorare
la tesi della praticabilità di un accostamento – quello, per l’appunto, tra
contratto e famiglia – che sino a non molto tempo fa poteva ancora dirsi
ardito.
4. Simulazione, vizi del consenso e capacità delle parti
nel negozio di separazione consensuale: dottrina e giurisprudenza a confronto.
Il tema della simulazione delle intese di separazione
o di divorzio non costituisce certo un novum. Dei precedenti storici ci
si è già occupati in altra sede [35]: qui basti aggiungere due casi di recente scoperti
dallo scrivente. Il primo, relativo ad una decisione emessa dal Parlamento di
Parigi il 4 maggio 1677, che dichiarò nulla una separazione effettuata bona
gratia in frode agli eredi del marito, per avvantaggiare la moglie, in
considerazione della cessazione del regime di comunione legale dei beni,
sebbene la sentenza fosse stata a suo tempo non solo pronunziata
giudizialmente, ma anche affissa presso il mercato del paese di residenza dei
coniugi e pubblicamente letta al termine della Messa in parrocchia, secondo gli
usi della provincia di residenza di quella coppia [36]. Il secondo, concernente una sentenza della
Cassazione del 1° messidoro anno 11 (20 giugno 1803), che ammise i creditori a
provare la simulazione di un divorzio par consentement mutuel e confermò
la sentenza d’appello – emessa dal Tribunal d’appel di Limoges il 26
messidoro anno 9 (15 luglio 1801) – in cui si rilevava, tra l’altro, che «deux
époux qui continuent de vivre ensemble, qui contractent esemble, qui réunissent
leurs soins pour l’administration de leurs biens, ne peuvent pas être supposés
avoir véritablement eu l’intention de rompre le lien qui les unissait» [37].
Una volta accolta dal pensiero giuridico
contemporaneo la tesi della natura negoziale degli accordi di separazione
consensuale, la conclusione di cui sopra dovrebbe andare, come si dice, de
plano. In realtà, va constatato che l’applicabilità a siffatte intese di
alcuni «classici» rimedi negoziali, quali, più esattamente, le impugnative per
incapacità naturale, vizi del consenso e simulazione, ha trovato ostacoli in
una parte della giurisprudenza di merito, così come della dottrina. In effetti
– a parte la battaglia di retroguardia in cui s’ingaggiano ancora alcune
decisioni (veramente, verrebbe da dire, démodées),
che negano in via di principio l’applicabilità ai negozi giuridici familiari
della normativa contrattuale [38], su cui non vale più la pena di spendere nemmeno una
parola [39] – le opinioni contrarie all’ammissibilità dei rimedi
negoziali sembrano poggiare sostanzialmente su di un unico argomento «forte»:
vale a dire la (supposta) inconciliabilità di soluzioni che presuppongono la
non integrità (o addirittura l’inesistenza) del consensus contrahentium, con il fatto che questo sia manifestato
dinanzi al presidente del tribunale, quasi che la «sacralità» del contesto in
cui l’intento negoziale si esprime potesse di per sé fornire un’assoluta
certezza circa l’esistenza d’un consenso genuino ed esente da vizi di sorta [40].
Anche
a queste chiusure risponde in maniera adeguata la sentenza qui in commento,
rilevando che «gli adempimenti che il presidente è chiamato a svolgere, pur
delicati e complessi, non si profilano di tale pregnanza da escludere di per sé
un accordo simulatorio o un vizio della volontà delle parti, certamente
possibili pur in assenza di segni apparenti della loro esistenza». La Corte
prosegue osservando come il fatto di ritenere che l’intervento del presidente
del tribunale «fornisca la certezza assoluta ed incontestabile circa la
validità e genuinità della volontà manifestata» significhi, in realtà,
«attribuire a detto giudice un ruolo di garante non corrispondente alla natura
ed ai limiti dell’attività a lui demandata». Il rilievo sembra riecheggiare le
parole utilizzate dallo scrivente che, a commento della già citata pronunzia di
legittimità del 2001, notava come voler attribuire a tutti i costi al
presidente (o al collegio) l’improprio ruolo di «garante» dell’esistenza e
della genuinità del consenso delle parti significherebbe presupporre una norma
che non esiste nel nostro ordinamento [41]: una norma, anzi, che, se esistesse, dovrebbe essere
dichiarata incostituzionale per contrasto con l’art. 24 Cost., per il fatto di
inibire al soggetto altrimenti legittimato il diritto di far valere in giudizio
l’invalidità dell’accordo.
Questa
posizione rinviene, del resto, precedenti specifici nella giurisprudenza di
legittimità, che, a parte le due pronunzie già citate supra, al § 1, in tema di simulazione,
aveva dato per scontato nel 1976 il principio dell’impugnabilità per violenza
della convenzione con la quale, in sede di separazione consensuale, si era
stabilito che il marito avrebbe ceduto alla moglie taluni beni in cambio della
rimessione, da parte di quest’ultima, di una querela per concubinato [42]. Ma, a ben vedere, neppure nella giurisprudenza di
merito fanno difetto voci favorevoli a tale impostazione. Invero, a parte
alcuni precedenti risalenti già al codice abrogato [43], il tribunale di Genova, ormai diversi anni or sono,
aveva aperto uno spiraglio alla prova, da parte del conduttore, della
simulazione della separazione del locatore, in seguito alla quale quest’ultimo
aveva perso il diritto di abitare nella casa coniugale, così essendo costretto
ad agire in recesso per ottenere la disponibilità dell’appartamento concesso in
locazione [44]. Più di recente, la Corte d’appello di Bologna ha
ammesso la revocabilità del decreto di omologazione della separazione
consensuale nell’ipotesi di simulazione degli accordi stipulati dai coniugi e
da questi espressamente ammessa, applicando a tali intese le disposizioni sui contratti in generale ed osservando
conclusivamente che «l’istituto della simulazione trova applicazione anche
nella materia matrimoniale, tanto è vero che l’art. 123 cod. civ. prevede
espressamente l’impugnazione del matrimonio per simulazione» [45].
Sarà
poi il caso di aggiungere qui che le osservazioni di cui sopra, sviluppate con
riguardo alla separazione consensuale, appaiono applicabili anche alle intese
che si pongono alla base del divorzio su domanda congiunta, nel quale – secondo
quanto si è in altra sede cercato di dimostrare – gli effetti d’ordine
patrimoniale vanno direttamente ricollegati al contratto di divorzio concluso
dai coniugi, rispetto al quale la pronuncia del tribunale assume il mero carattere
di omologa emessa all’esito di un procedimento di controllo sul rispetto delle
norme inderogabili del vigente ordinamento [46].
5. Le ragioni per le quali la sentenza in commento esclude
l’impugnabilità per simulazione della separazione consensuale (e la relativa
critica).
Nella
decisione qui in commento la Cassazione – pur dopo l’amplissima premessa di cui
si è dato conto, contenente rimarcabili concessioni al principio di autonomia
dei coniugi in sede di crisi coniugale, nonché una meticolosa serie di corretti
preamboli, tutti diretti alla logica conclusione del riconoscimento
dell’applicabilità al negozio di separazione consensuale degli ordinari rimedi
negoziali – viene a negare (verrebbe da dire: a sorpresa) la configurabilità di
una simulazione della separazione, in piena contraddizione rispetto alla prima
parte di questa stessa sentenza.
Secondo
i Supremi Giudici, «nel momento in cui i coniugi convengono, nello spirito e
nella prospettiva della loro intesa simulatoria, di chiedere al Tribunale
l’omologazione della loro (apparente) separazione esse in realtà concordano nel
voler conseguire il riconoscimento di uno status dal quale la legge fa
derivare effetti irretrattabili tra le parti e nei confronti dei terzi, salve
le ipotesi della riconciliazione e dello scioglimento definitivo del vincolo».
Sul punto andrà subito detto che se veramente fosse l’asserita irretrattabilità
[47] degli effetti separazione ad escludere la configurabilità
di un procedimento simulatorio del negozio di separazione consensuale, non si
riuscirebbe a comprendere per quali motivi il Legislatore avrebbe previsto e
disciplinato la simulazione del contratto, i cui effetti (cfr. art. 1372 c.c.)
sono «irretrattabili» almeno tanto quanto quelli di un accordo di separazione.
E lo stesso è a dirsi per ciò che concerne i terzi, i cui diritti sono (o non
sono) fatti salvi secondo un complesso sistema di norme e di principi generali [48], che non si vede per quale ragione non dovrebbe
trovare applicazione anche al caso di specie.
In
realtà, ciò che sembra arrestare la Cassazione sulla strada d’un percorso
logico il cui esito dovrebbe essere scontato, pare essere la presenza di un
intervento del giudice in materia di status: proprio quel medesimo moloch,
quella stessa testa di Medusa che pietrifica ogni possibilità evolutiva della
giurisprudenza di legittimità sulla tortuosa strada del riconoscimento della
validità delle intese preventive di divorzio [49]. La Corte, infatti, dopo aver ricordato taluni degli
effetti personali e patrimoniali della separazione, soggiunge che «Nella
situazione considerata la volontà di conseguire detto status è
effettiva, e non simulata: l’iniziativa processuale diretta ad acquisire la
condizione formale di coniugi separati, con le conseguenti implicazioni
giuridiche, si risolve in una iniziativa nel senso della efficacia della
separazione che vale a superare e neutralizzare il precedente accordo
simulatorio, ponendosi in antitesi con esso. Appare invero logicamente
insostenibile che i coniugi possano disvolere con detto accordo la
condizione di separati ed al tempo stesso volere l’emissione di un
provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici
a detta condizione: l’antinomia tra tali determinazioni non può trovare altra
composizione che nel considerare l’iniziativa processuale come un atto
incompatibile con la volontà di avvalersi della simulazione».
Non
potrebbe darsi contraddizione più stridente: dire – come dice la Corte – che è
«il momento processuale» sullo status a evidenziare la volontà dei
coniugi di produrre gli effetti della separazione, in contrasto con il loro
accordo simulatorio, significa dire che è il decreto del tribunale a costituire
il fulcro della separazione: e ciò in piena antitesi con l’idea, a lungo
(correttamente) motivata nella prima parte della stessa sentenza, secondo
l’unico, vero, elemento essenziale di quel mutamento di status
ingenerato dalla separazione è costituito dal negozio inter coniuges. In
altre parole, delle due l’una: o si riconduce la separazione al provvedimento
del giudice, ed allora se ne deve concludere che la simulazione non è
ammissibile, o si riferisce la separazione alla volontà dei coniugi, e allora
si deve ammettere che – se ci si passa l’espressione – l’accordo simulatorio
non può certo arrestarsi di fronte alle porte del tribunale.
Nell’ottica
della Cassazione, varcare la soglia del palazzo di giustizia produrrebbe un
miracoloso effetto «sanante», analogo a quello di cui beneficiavano sovrani e
nobili d’un tempo cui, magari dopo una notte di gozzoviglie, bastava, per la
salvezza dell’anima, oltrepassare la porta della cappella di palazzo sulla
quale avevano fatto apporre la provvidenziale scritta: «indulgentia plenaria quotidiana
perpetua». La conseguenza è inaccettabile. E’ logico ritenere che se i coniugi
intendono «inscenare» una separazione non voluta, magari per perseguire intenti
fraudolenti [50], si serviranno del procedimento di omologazione
proprio per ammantare di (apparente) efficacia un accordo produttivo di
(apparenti) effetti che essi, in realtà, non vogliono e fortissimamente
continuano a non volere. Del resto, nessuno ha mai sostenuto che l’omologazione
di una società di capitali (prevista dalla legge anteriormente alla riforma di
cui all’art. 32, l. 24 novembre 2000, n. 340), nemmeno se richiesta da tutti i
soci, potesse sanare l’eventuale nullità dell’atto costitutivo per simulazione,
così come non è certo il decreto di autorizzazione, emesso dal giudice competente
su istanza del legale rappresentante di un incapace o di un semi-incapace, ad
escludere la possibilità che il contratto concluso in forza di tale
autorizzazione possa essere un giorno dichiarato simulato [51].
Già
diversi anni or sono ammoniva Fr. Ferrara Sen. che, allorquando lo Stato «vuole
riservarsi un giudizio preventivo sull’opportunità e legittimità di [un] atto e
ne subordina il compimento alla sua permissione (autorizzazione), oppure si
limita a riconoscere ex post questa
legittimità specialmente perché precedono altre garanzie, e a darne la
successiva approvazione (omologazione) (…), quest’attività rimane estranea al
contenuto intrinseco dell’atto, e quindi non vale a modificarlo o a sanarlo.
L’atto che si autorizza od omologa può esser stato quindi compiuto seriamente o
in apparenza dalle parti e l’intervento dell’autorità non impedisce la
possibilità di simulazione. Inesattamente perciò gli scrittori medievali
considerano come un ostacolo alla simulazione il decretum principis rigettando ogni impugnativa al riguardo» [52]. Su queste stesse posizioni si è sempre collocata la
dottrina più autorevole, a cominciare, addirittura, dal Cicu [53], da cui, francamente, di tutto si sarebbe potuto
aspettare, tranne che un’apertura di questo genere verso un approccio tanto
vicino alla moderna teorica del negozio giuridico familiare, quanto lontano
dalla concezione istituzionale della famiglia [54]. L’opinione era quindi stata ripresa da altri
studiosi, tanto del fenomeno simulatorio [55], che della separazione personale dei coniugi [56].
Proprio
queste riflessioni sembrano svelare il vero motivo per il quale la Corte è
giunta alla conclusione negativa, motivo reso evidente da quella parte della
decisione in cui si dichiara «insostenibile che i coniugi possano disvolere
con detto accordo la condizione di separati ed al tempo stesso volere
l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati
effetti giuridici a detta condizione». In questo voler riferire gli effetti
della separazione al «provvedimento giudiziale», anziché alla volontà delle
parti, risiede la prova del fatto che la Cassazione – a dispetto delle
dichiarazioni che precedono questa parte della motivazione – non crede nella
tesi secondo cui il decreto di omologazione è mero elemento integrativo di
efficacia, la cui funzione è semplicemente quella di rimuovere un ostacolo alla
produzione degli effetti del negozio concluso dalle parti, al pari di una
qualsiasi condizione. E’ chiaro, infatti, che l’avveramento di una condizione,
anche qualora si tratti di condizione rimessa alla concorde volontà delle
parti, non può né potrà mai in alcun modo sanare la nullità conseguente alla
simulazione del negozio stesso.
L’ultimo
argomento invocato dalla Corte è sostanzialmente riconducibile al principio secondo
cui «ubi lex dixit, voluit…»: la disposizione di cui all’art. 123 c.c.,
introdotta dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, consentirebbe di
argomentare che, in materia di status, «l’accordo simulatorio [potrebbe]
esplicarsi solo nei casi e nei limiti riconosciuti dall’ordinamento». Ora,
lasciando da parte la questione circa l’effettivo riconoscimento, da parte
della norma citata, della configurabilità di un fenomeno simulatorio nel
negozio matrimoniale [57], va detto che il ragionamento testé esposto
contravviene al principio ormai assodato in materia di negozio giuridico
familiare – conformemente alla regola enunciata da Santoro-Passarelli oltre
mezzo secolo fa ed esplicitamente accolta dalla Cassazione in questa stessa
pronuncia – secondo cui, cioè, non è certo l’assenza, nella materia in esame,
di una norma speciale che richiami un principio della teoria generale del
contratto a rendere inapplicabile il principio stesso. Tutto al contrario,
semmai, sarà l’eventuale presenza di una regola speciale incompatibile ad
escludere l’operatività di un principio contrattuale: ma tale regola speciale
incompatibile – lo si ripete – qui non esiste [58].
[1] Cfr. per tutti Galgano,
L’interpretazione del precedente giudiziario, in Contratto e impresa,
1985, p. 705. Non è possibile, in questa sede, procedere neppure ad una
sommaria indicazione delle opere in materia. Fondamentali sul punto, come noto,
i lavori di Gorla (cfr. in particolare: Gorla,
Lo studio interno e comparativo della giurisprudenza e i suoi presupposti:
le raccolte e le tecniche per l’interpretazione delle sentenze, in Foro
it., 1964, V, c. 73 ss.; Id., Introduzione a raccolta di saggi sull’interpretazione
e sul valore del precedente giudiziario in Italia, in Quad. Foro it., 1966, c. 5 ss.; Id., Dovere
professionale di conoscere la giurisprudenza e mezzi di informazione, ivi, 1967, c. 291; Id., Ratio decidendi, principio di diritto (e obiter dictum). A proposito di alcune sentenze in tema di revoca dell’offerta
contrattuale, in Studi in onore di
Segni, II, Milano, 1967, p. 387
ss.; Id., Lo stile delle sentenze, Testi commentati, in Quad. Foro it., 1968, c.
383 ss.; Id., Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981, p. 322 ss.; Id., voce Precedente giudiziale,
in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma, 1990); per uno studio analitico di
questi ultimi, nonché per ulteriori interessanti spunti si fa rinvio a Bin, Il precedente giudiziario. Valore e interpretazione, Padova, 1995,
p.1 ss. ss.;
[2] Per un eloquente esempio al riguardo cfr. il caso
segnalato in Oberto, I
contratti della crisi coniugale, II, Milano, 1999, p. 1250 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e
trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano,
2000, p. 85 ss.
[3] Sul rischio inverso di una sopravvalutazione degli obiter
e di una loro confusione con le rationes decidendi cfr. per tutti, oltre
alle opere citate supra, alla nota 1, De Nova, Sull’interpretazione del precedente giudiziario,
in Contratto e impresa, 1986, p. 782 ss.; Grippo, Travisamento e persuasività dell’obiter dictum
in due casi emblematici, in Contratto e impresa, 1987, p. 659 ss.
[4] Cass., 5 marzo 2001, n. 3149, in Familia,
2001, p. 769.
[5] Oberto, Simulazioni e frodi nella crisi coniugale
(con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), nota a Cass., 5
marzo 2001, n. 3149, in Familia, 2001, pag. 774 ss.
[6] Sul punto, per i necessari richiami v. infra, § 2.
[7] V. infra, § 5.
[8] Nelle sue forme, beninteso, tanto assoluta che
relativa, con l’unica precisazione che la prima è l’unica immaginabile per il
caso della simulazione della separazione (o del divorzio), mentre l’alternativa
tra le due tradizionali forme di manifestazione del fenomeno simulatorio si
ripresenta per ciò che attiene alle condizioni della separazione (o del
divorzio).
[9] La violenza (morale) presuppone infatti comunque la
presenza di un consenso, ancorché viziato (etsi
coactus, tamen volui, secondo il noto brocardo); rileva l’intrinseca
contraddittorietà di una domanda fondata, in relazione agli stessi fatti, sul
dolo e sulla simulazione di un accordo di separazione App. Milano, 22 febbraio
1983, in Dir. fam. pers., 1983, p.
578.
[10] Così, infatti, parrebbe doversi leggere il richiamo
in motivazione al fatto che il marito «aveva minacciato [la moglie] di
impadronirsi della casa coniugale».
[11] Il decisum
della sentenza 5 marzo 2001, n. 3149 si articolava dunque nei seguenti
passaggi:
1. simulazione e vizi del
consenso sono astrattamente configurabili nei confronti di un accordo di
separazione consensuale omologato;
2. essi possono essere fatti
valere soltanto tramite un giudizio ordinario;
3. essi non possono essere
fatti valere con il giudizio camerale ex
artt. 710-711 c.p.c.;
4. non è necessario agire sul
decreto di omologazione, chiedendone la modifica o la revoca (posto che nessun
riferimento era fatto, nella pronunzia predetta, al rimedio ex art. 742 c.p.c.);
5. per ciò che attiene più specificamente all’ipotesi
della simulazione, il rapporto tra intese a
latere (eventualmente anche solo verbali) coeve all’accordo scritto ed
omologato e quest’ultimo si pone esattamente come si potrebbe porre in
relazione a qualsiasi contratto di cui si alleghi la nullità per simulazione:
sul punto, per ulteriori approfondimenti si fa rinvio a Oberto, Simulazioni
e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti
europei), cit., p. 783 ss., 785 ss.
[12] «L’assegnazione in sede di separazione
personale ancorché consensuale della casa di abitazione ad uno dei coniugi
integra, a favore dell’altro, lo stato di urgente ed improrogabile necessità
che, ai sensi dell’art. 4 n. 1 della legge n. 253 del 1950, lo legittima a far
cessare la proroga legale del contratto di locazione relativo ad un proprio
alloggio, senza che assuma rilievo – salva la facoltà della controparte di
provare la simulazione della procedura di separazione – la circostanza che
detto coniuge non abbia abbandonato il domicilio coniugale, comportando la
convivenza sotto lo stesso tetto con il coniuge separato un maggior bisogno di
ottenere la disponibilità dell’appartamento locato a terzi» (Cass., 18 dicembre
1986, n. 7681; contra Trib. Milano,
17 dicembre 1998 e Trib. Roma, 14 dicembre 1998, in Gius, 1999, p. 1087).
[13] Sul punto, anche per una serie di ampi richiami, si
rinvia a Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 193 ss., p. 246 ss., p. 267 ss.
[14] Per l’illustrazione di questa tesi e ulteriori
richiami cfr. Oberto, I
contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 246 ss.
[15] Il riferimento è a Zatti,
I diritti e i doveri che nascono
dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, III, Torino, 1982, p. 125, 126, da cui l’estensore
di Cass., 4 febbraio 1993, n. 2270 e Cass., 22 gennaio 1994, n. 657 (Cass., 24
febbraio 1993, n. 2270, in Corr. giur.,
1993, p. 820, con nota di Lombardi; in
Giust. civ., 1994, I, p. 213, con
nota di Sala; in Giust. civ., 1994, I, p. 912; in Dir. fam. pers., 1994, p. 554, con nota
di Doria; Cass., 22 gennaio 1994,
n. 657, in Dir. fam. pers., 1994, p.
868; in Nuova giur. civ. comm., 1994,
I, p. 710, con nota di Ferrari; in
Giur. it., 1994, I, 1, c. 1476; in Vita notarile, 1995, I, p. 126, con nota
di Curti; in Foro it., 1995, I, c. 2984) aveva tratto la frase testé riportata,
ripetuta nella decisione qui in commento; v. inoltre, per un impiego del
termine «negozialità» nel senso qui indicato, Zatti
e Mantovani, La separazione personale dei coniugi (artt. 150-158 c.c.), Padova, 1983, p. 382; Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p. 491; Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in assenza di
omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali vengono
modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione relative al
mantenimento dei figli, in Questioni
di diritto patrimoniale della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad
Alberto Trabucchi, Padova, 1989, p. 506; Mantovani,
Separazione personale dei coniugi. I) Disciplina sostanziale, in Enc.
giur. Treccani, Roma, 1992, p. 28; Zatti,
I diritti e i doveri che nascono
dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto
privato, diretto da P. Rescigno, III, Torino, 1996, p. 135,
137, 138, nota 12; Oberto, I
contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 38 ss.
[16] Cfr., anche per gli ulteriori rinvii
dottrinali e giurisprudenziali, Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 28 ss.; in particolare, sulla natura contrattuale dell’accordo di
separazione consensuale, per ciò che attiene alle intese d’ordine economico, v.
Id., La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole
contrattuali ad esso applicabili, in Fam.
e dir., 1999, p. 601 ss.; ivi,
2000, p. 86 ss.
[17] Cfr. Santoro-Passarelli,
L’autonomia privata nel diritto di
famiglia, in Saggi di diritto civile,
I, Napoli, 1961, p. 382 s. (lo scritto venne pubblicato per la prima volta in Dir. e giur., 1945, p. 3 ss.): «Il
codice civile non contiene una disciplina generale del negozio giuridico, la
quale può però ricavarsi dalle sue norme, essendo evidente che le norme sui
contratti, ‘in quanto compatibili’, siano suscettibili di applicazione non solo
agli ‘atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale’ (art. 1324), ma
al negozio giuridico anche fuori del diritto patrimoniale. A ciò è da
aggiungere che la figura del negozio giuridico nel diritto familiare è supposta dal codice (e la sua
utilizzazione s’impone perciò all’interprete), poiché in esso si fa richiamo a
nozioni caratteristiche del negozio,
come i vizi della volontà (articoli 122, 265), le modalità, quali il termine e
la condizione (articoli 108, 257), l’irrevocabilità o la revocabilità dell’atto
(articoli 256, 2982), la sua invalidità (artt. 117 segg., 263
segg.)»; per un’illustrazione del pensiero di tale Autore cfr. Oberto, I contratti della crisi
coniugale, I, cit., p. 113 ss.; per una successiva riscoperta dello scritto
di Santoro-Passarelli cfr. anche Zoppini,
L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv.
dir. civ., 2001, I, p. 213 ss.; nel senso dell’applicabilità ai negozi
giuridici familiari delle norme in tema di contratto cfr. inoltre Gangi, Il matrimonio, Milano, 1969, p. 28 s.; del medesimo avviso (con
espresso riferimento anche alla separazione consensuale) è Falzea, La separazione personale,
Milano, 1943, p. 96; contra Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario
del codice civile diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 16 s.; per
l’applicabilità, di volta in volta, ai negozi giuridici familiari dei principi
contrattuali «congrui con l’atto di autonomia familiare posto in essere» v. Bianca, Diritto civile, II, Famiglia
e successioni, Milano, 1981, p. 18; per una serie di osservazioni critiche
sulla figura del negozio giuridico familiare v. Donisi, Limiti
all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, in Famiglia e circolazione giuridica, a
cura di G. Fuccillo, Milano,
1997, p. 23 ss. (sulla cui posizione cfr. però le osservazioni di Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 129 ss.).
[18] Del resto, già non molto tempo dopo
l’enunciazione della tesi di Santoro-Passarelli, Arturo Carlo Jemolo (sì,
proprio di quella autorevole voce che solo dieci anni prima aveva definito la
famiglia come «un’isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire
soltanto»: v. Jemolo, La famiglia e il diritto, 1957,
riportato in Aa. Vv., «Verso la terra dei figli», Milano, 1994,
p. 69) rinveniva il fondamento d’un accordo diretto alla predeterminazione
delle conseguenze dell’annullamento del matrimonio nel medesimo principio di
libertà contrattuale (Jemolo, Convenzioni in vista di annullamento di
matrimonio, in Riv. dir. civ.,
II, 1967, p. 530; per ulteriori richiami Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 62 ss.), mentre nella
dottrina più recente il richiamo alle regole in tema di autonomia privata si è
andato via via infittendo, specie sull’onda dell’autorevole constatazione per
cui, anche nel campo dei rapporti patrimoniali tra i coniugi (in crisi), «ove
tra le parti si convenga l’attribuzione di diritti e l’assunzione di obblighi
di natura patrimoniale, non parrebbe contraddire alla definizione dell’art.
1321 la qualificazione di ‘contratto’» (Rescigno,
Contratto in generale, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988, p.
10; per ulteriori richiami, che non è possibile riportare in questa sede, si fa
rinvio a Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit.,
p. 103 ss., 129 ss., 411 ss.; Id.,
Contratto e vita familiare, in Trattato del contratto, diretto da
E. Roppo, in corso di stampa).
[19] Cass., 13 gennaio 1993, n. 348, in Corr. giur., 1993, p. 822 con nota di Lombardi; in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1670, con nota di Casola; in Nuova giur.
civ. comm., 1993, I, p. 950, con note di Cubeddu
e di Rimini; in Vita notarile, 1994, p. 91, con nota di Curti; in Contratti, 1993, p. 140, con nota di Moretti.
[20] Sul tema cfr. per tutti Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in
occasione di separazione e divorzio, in Fam. e dir., 1995, p. 155
ss.; Id., I contratti della
crisi coniugale, II, cit., p. 1211 ss.; Id.,
Prestazioni «una tantum» e trasferimenti
tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., in partic. p. 69
ss.; v. anche G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra
coniugi, in Giust. civ., 1996,
II, p. 378 s.; Longo, Trasferimenti immobiliari a scopo di
mantenimento del figlio nel verbale di separazione: causa, qualificazione,
problematiche, nota a App. Genova, 27 maggio 1997, in Dir. fam. pers., 1998, p. 576. Per una successiva, sintetica,
analisi del tema, cfr. anche T.V. Russo,
I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio,
Napoli, 2001.
[21] Cass., 25 ottobre 1972, n. 3299, in Giust. civ., 1973, I, p. 221; ivi, 1974, I, p. 173, con nota di Bergamini.
[22] Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione di
mantenimento del coniuge separato, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1975, p. 475 ss.
[23] Cfr. Cass., 5 luglio 1984, n. 3940, in Dir. fam. pers., 1984, p. 922.
[24] Cass., 29 aprile 1983, n. 2948, in Giur. it., 1983, I, 1, c. 1233; in Dir. fam. pers., 1983, p. 910.
[25] Cfr. per esempio Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270,
cit.; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, cit.; Cass., 11 giugno 1998, n. 5829. Per
la giurisprudenza di merito favorevole all’applicabilità del principio ex art. 1322 c.c. alla materia degli
accordi tra coniugi in sede di crisi coniugale (e delle relative modifiche)
cfr. anche App. Brescia, 16 aprile 1987, in Giur.
merito, 1987, p. 843; Trib. Treviso, 6 febbraio 1968, in Foro pad., 1968, I, c. 1002, con nota di
Ramanzini e Giacomin; Trib. Marsala, 23 dicembre
1994, in Dir. fam. pers., 1995, p.
246, con nota di Conte; in Dir. fam. pers., 1995, p. 1489, con nota
di Sala; Pret. Cavalese, 21
gennaio 1987, in Giur. merito, 1987,
p. 843. Sul tema specifico degli accordi modificativi delle intese di
separazione personale cfr., anche per gli ulteriori rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 319 ss.
[26] Su questo concetto cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 215 ss.
[27] Nello stesso senso cfr. anche Barbiera, Disciplina
dei casi di scioglimento del matrimonio, in Commentario del codice civile
a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1971, p.
147 s.; A. Finocchiaro, Sulla pretesa inefficacia di accordi non
omologati diretti a modificare il regime della separazione consensuale, in Giust.
civ., 1985, I, p. 1659 s.; Alpa
e Ferrando, op. cit., p. 505 s.; Metitieri, La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione
di separazione e divorzio, in Riv.
notar., 1995, I, p. 1177; G. Ceccherini,
Separazione consensuale e
contratti tra coniugi, cit., p. 407; Figone,
Sull’annullamento del verbale di
separazione consensuale per incapacità naturale, nota a App. Milano, 18
febbraio 1997, in Fam. e dir., 1997,
p. 441.
[28] Sul punto cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 215 ss.
[29] Si è così deciso, per esempio, in relazione ad una
complessa pattuizione transattiva di tutti i rapporti nati dal vincolo
coniugale, che l’accordo dei coniugi sottoposto all’omologazione del tribunale
ben può contenere rapporti patrimoniali anche «non immediatamente riferibili,
né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli
obblighi derivanti dal matrimonio»: v. Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, c. 1787; in Corr. giur., 1991, p. 891, con nota di
A. Cavallo. Sempre in materia di
transazione cfr. Cass., 12 maggio 1994, n. 4647, in Fam. e dir., 1994, p. 660, con nota di Cei; in Vita notarile,
1994, p. 1358; in Giust. civ., 1995,
I, p. 202; in Dir. fam. pers., 1995,
p. 105; in Nuova giur. civ. comm.,
1995, I, p. 882, con nota di Buzzelli; in
Riv. notar., 1995, II, p. 953. Per
una recente pronunzia che fa applicazione dell’art. 1371 c.c. per
l’interpretazione di una convenzione accessoria alla sentenza di divorzio cfr.
Cass., 14 luglio 2003, n. 10978.
[30] Così Cass., 23 luglio 1987, n. 6424, in Giust. civ., 1988, I, p. 459.
[31] «The word Status
may be usefully employed to construct a formula expressing the law of progress
thus indicated which, whatever be its value, seems to me to be sufficiently
ascertained. All the forms of Status taken notice of in the Law of Persons were
derived from, and to some extent are still coloured by, the powers and
privileges anciently residing in the Family. If then we employ Status,
agreeably with the usage of the best writers, to signify these personal
conditions only, and avoid applying the term to such conditions as are the
immediate or remote result of agreement, we may say that the movement of the
progressive societies has hitherto been a movement from Status to Contract» (cfr. Maine,
Ancient Law: Its Connections with Early
History of Society and Its Relations to Modern Ideas, New York, 1888, p.
164 s.; il passo è anche riportato in italiano da Rodotà, Il diritto
privato nella società moderna, Bologna, 1971, p. 211 s.).
[32] Almeno in parte giustificate: cfr. in particolare le
osservazioni di Roppo, Il contratto, Bologna, 1977, p. 26 ss.,
mentre Rescigno, Persona e comunità, Bologna, 1966, p.
440, dà atto di una più recente tendenza delle legislazioni a percorrere il
cammino inverso, dal contratto agli status.
Inapplicabili al civil law – ma
l’argomento meriterebbe ben altro approfondimento – sono le considerazioni
sulla «morte del contratto» svolte da Gilmore,
La morte del contratto, ed.
it., Milano, 1988, passim.
[33] Proprio sulla base di queste considerazioni lo
scrivente ha inteso fondare un’apposita categoria negoziale, caratterizzata da
una causa tipica sua propria, definita come «contratto della crisi coniugale»,
qualificandosi per tale quel contratto a titolo oneroso che viene stipulato dai
coniugi per regolare i reciproci rapporti giuridici patrimoniali sorti nel
corso della loro relazione esistenziale, quando al regolamento di tali rapporti
i coniugi stessi intendono condizionare la definizione consensuale della crisi
coniugale o di una fase di quest’ultima (separazione di fatto, separazione
legale, divorzio). Tale regolamento di rapporti si attua attraverso la
previsione di prestazioni vuoi unilaterali, vuoi reciproche, di carattere sia
obbligatorio che reale, periodiche o istantanee: cfr. Oberto, I contratti
della crisi coniugale, I, cit., p. 709 s.
[34] Cfr. l’art. 11 d. legis. 9 aprile 2003, n. 70
«Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei
servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare
riferimento al commercio elettronico», il quale stabilisce l’inapplicabilità
della relativa regolamentazione ai «contratti disciplinati dal diritto di
famiglia». Il richiamo legislativo, ad avviso dello scrivente, deve intendersi
effettuato tanto alle convenzioni matrimoniali (sulla cui natura contrattuale
v. per tutti Oberto, L’autonomia
negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia,
2003, p. 617 ss.), quanto ai contratti della crisi coniugale che, come si è
dimostrato in altra sede (Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 696 ss.), rinvengono il
loro fondamento causale in specifiche disposizioni giusfamiliari.
[35] Cfr. Oberto, Simulazioni e frodi nella crisi coniugale
(con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 774
ss.
[36] Cfr. Jamet de la Guessiere, Journal des
principales audiences du Parlement, avec les arrêts qui y ont été rendus, et
plusieurs questions et réglemens placés selon l’ordre des temps, Depuis l’Année
1674 jusqu’en 1685, III, Paris, 1757, p. 230.
[37] Cfr. Merlin, Recueil alphabétique des
questions de droit qui se présentent le plus fréquemment dans les tribunaux,
II, Paris, 1820, p. 307 ss., p. 313.
[38] E’ il caso, per
esempio, di Trib. Roma, 14 dicembre 1998, in Fam. e dir., 2000, p. 60, con nota di Sala, secondo cui «E’ inammissibile la domanda di revoca del
decreto di omologazione della separazione consensuale, avanzata da un coniuge
sulla base dell’asserita simulazione dell’accordo di separazione omologato, giacché
le norme in tema di simulazione dei contratti non sono applicabili ai negozi
giuridici familiari, caratterizzati dalla rilevanza di diritti indisponibili e
dal controllo dell’autorità giudiziaria»; nello stesso la precedente Trib.
Roma, 11 aprile 1996, in Arch. civ.,
1997, p. 410, secondo cui «Nel procedimento di separazione consensuale dei
coniugi, in considerazione delle peculiarità del procedimento stesso e del
concorso dell’accordo-convenzione dei coniugi con elementi propri del diritto
pubblico, deve ritenersi inapplicabile in via analogica l’art. 1414 cod. civ. e
inammissibile l’azione di nullità per simulazione».
[39] Per la critica si rinvia a Oberto,
Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno
storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 789 ss.; per le critiche
più specifiche a Trib. Roma, 14 dicembre 1998, cit., cfr. altresì le
osservazioni di Sala, Simulazione dell’accordo di separazione
consensuale?, nota a Trib. Roma, 14 dicembre 1998, in Fam. e dir., 2000, p. 63 s.
[40] Così, il tribunale di Napoli (Trib. Napoli, 16
ottobre 1996, in Fam. e dir., 1997,
p. 355, con nota di Torsello Fabbri;
la decisione è stata confermata da App. Napoli, 27 ottobre 1998, in Gius, 1999, p. 775) ha negato
l’applicabilità dell’azione di annullamento prevista dall’art. 428 c.c.
all’accordo di separazione consensuale, in considerazione della «attiva
partecipazione» del presidente all’accordo dei coniugi sulle condizioni della
separazione, mentre in senso opposto si è espressa la Corte d’appello di
Milano, che ha affermato, in linea generale, l’applicabilità all’accordo di
separazione consensuale dell’azione di annullamento ex art. 428 c.c. per incapacità naturale di una delle parti,
argomentando dalla natura di negozio familiare della separazione consensuale,
cui «sono applicabili solo quelle norme del contratto che esprimono principi
generali del negozio giuridico, quali, appunto, quelle in tema di vizi del
consenso e di capacità dei soggetti» (cfr. App. Milano, 18 febbraio 1997, cit.;
si noti che, nel caso di specie, la domanda d’annullamento è stata ritenuta
inammissibile in quanto limitata ad una clausola dell’accordo medesimo, la cui
natura si è dichiarata inscindibile).
Anche in materia di simulazione e di vizi del consenso non fanno certo difetto
pronunzie di merito che (esattamente come si è visto in materia di incapacità)
considerano d’ostacolo all’applicazione della disciplina contrattuale la
presenza, al momento dello scambio dei consensi, del presidente del tribunale,
enfatizzandone in maniera del tutto ingiustificata il significato e
l’incidenza: cfr. per i rinvii e le relative critiche Oberto, Simulazioni
e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti
europei), cit., p. 796 ss.
[41] Cfr. Oberto, Simulazioni e frodi nella crisi coniugale
(con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 800;
sempre in senso favorevole all’impugnabilità del negozio di separazione per
simulazione, vizi del consenso o
incapacità naturale cfr. Id.,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 234 ss.; Id., La natura dell’accordo di
separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (II),
cit., p. 88 ss.; v. inoltre Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino, 1995, p. 13 s.; Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione consensuale per incapacità
naturale, cit., p. 442; per l’impugnabilità del negozio di separazione in
caso di vizi del consenso cfr. anche Doria,
«Negozio» di separazione consensuale dei
coniugi e revocabilità del consenso, nota a Trib. Napoli, 13 marzo 1989, in
Dir. fam. pers., 1990, p. 513; Delconte,
Il rapporto tra omologazione del
giudice e consenso dei coniugi nella separazione consensuale, in Arch. civ., 1992, p. 642; Mora, La separazione consensuale, in Il
diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo,
I, Famiglia e matrimonio, Torino,
1997, p. 531; Sala, Simulazione dell’accordo di separazione
consensuale?, cit., p. 61 ss.
[42] Cass., 20 marzo 1976, n. 1008; nello stesso senso
cfr. anche F. Finocchiaro, Del matrimonio, II, in Commentario del codice civile
Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1993, p. 465; per
un’analoga interpretazione del rationale
della citata pronunzia di legittimità cfr. Ronco,
nota a App. (erroneamente indicata come Trib.) Bologna, 7 maggio 2000, in Giur. it., 2001, p. 66 (la decisione
reca invece la data 17 maggio 2000 in Foro
it., 2000, I, c. 3616).
[43] Cfr. le pronunzie citate da Azzolina, nel brano
riportato infra, alla nota 56.
[44] Trib. Genova, 9 marzo 1983, in Arch. locaz. e cond., 1983, p. 104: «L’assegnazione della casa
coniugale alla moglie, anche in sede di separazione consensuale, legittima il
marito ad agire in recesso per ottenere la disponibilità di un proprio
appartamento locato, essendo onere del conduttore provare semmai in modo
adeguato la simulazione della separazione». In motivazione si legge che «non
può escludersi in via teorica l’ipotesi di una separazione simulata al fine di
eludere le disposizioni vincolistiche delle locazioni poste a tutela dei
conduttori», essendo però pur sempre onere della parte conduttrice «dimostrare
(…) la mancanza di genuinità delle dette pattuizioni».
[45] Cfr. App. Bologna, 17
maggio 2000, in Foro it., 2000, I, c.
3616, con nota di Casaburi; in Giur. it., 2001, p. 66 (la pronunzia
risulta ivi indicata come Trib. Bologna, 7 maggio 2000). Peraltro,
sull’improprietà del riferimento alla necessità di dar luogo alla revoca del
decreto d’omologazione cfr. Oberto,
Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad
altri ordinamenti europei), cit., p. 805 ss.
[46] Cfr. per tutti Oberto,
I contratti della crisi coniugale,
II, cit., p. 1340 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 232 ss.
[47] Peraltro smentita, come riconosciuto dalla stessa
Cassazione, dall’art. 157 c.c.
[48] Cfr. artt. 1415 s., 2652, n. 4, 2690, n. 1, c.c. Per
una più approfondita disamina, impossibile in questa sede, dei rapporti con i
terzi conseguenti alla declaratoria di simulazione delle intese di separazione
consensuale si fa rinvio a Oberto,
Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad
altri ordinamenti europei), cit., p. 808 ss., anche per il commento ad una
pronunzia di merito (Trib. Bologna, 28 gennaio 1998, in Dir. fam. pers., 1998, p. 1047, con nota di Conte) che, proprio in applicazione dell’art. 1415 c.c., ha
respinto la domanda del coniuge che intendeva agire ex art. 184 c.c.
verso un terzo asserendo l’esistenza di una situazione di comunione legale
instauratasi per effetto dell’entrata in vigore della riforma del 1975 con il
marito solo apparentemente separato.
[49] Cfr. per tutti Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in
contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti
connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p.171
ss. e ora anche Bargelli, L’autonomia
privata nella famiglia legittima, il caso degli accordi in occasione o in vista
del divorzio, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 303 ss. Tale
Autrice, nella sua frettolosa lettura (sempre ammesso che lettura vi sia
stata…) dei lavori dello scrivente, accusa quest’ultimo di voler «considerare
risolto il problema dei patti sulle conseguenze del divorzio in base alla
semplice constatazione del carattere patrimoniale della prestazione»,
rimproverandolo altresì di non aver svolto un’analisi sufficientemente attenta
dei limiti di liceità e degli aspetti più specificamente familiari delle intese
in oggetto e lodando invece chi ha individuato quale limite specifico del
potere di disposizione degli interessati l’obbligazione alimentare (cfr. EAD., op. cit., p. 313, nota 37). Così facendo (e a tacer d’altro), la
predetta, oltre a dimostrare di non aver letto (il che, ovviamente, non è
grave; grave, invece, oltre che scorretto, è distribuire censure, senza aver letto
il contributo che si critica) le parti del lavoro dello scrivente nelle quali –
a ogni piè sospinto – si richiama la necessità del rispetto, nei contratti
della crisi coniugale, delle regole d’ordine pubblico e dei principi
inderogabili (cfr., a tacer d’altro, OBERTO,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 32, 249 ss.; II, cit., p. 1085 ss.), così come di quelle
(inderogabili) proprie del diritto di famiglia e, tra di esse, prima tra tutte,
quella relativa all’obbligo alimentare (cfr. OBERTO,
I contratti della crisi coniugale,
II, cit., p. 798 ss., 844 ss.; in tale contesto, si noti che proprio allo
specifico tema degli accordi sull’obbligazione alimentare il sottoscritto
dedica un’intera sezione: cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., da p. 844 a p. 861),
sembra dimenticare (il che è ancora più grave) che, tra divorziati, l’obbligo
alimentare non esiste…
[50] Come ampiamente documentato in letteratura: cfr. Oberto, Simulazioni e frodi nella
crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei),
cit., p. 774 ss.
[51] Come rilevato da Sacco, «può essere simulato (…)
l’atto privato autorizzato da un pubblico ufficiale (partecipe o non partecipe
dell’intesa simulatoria). La soluzione è ben sperimentata a proposito del
contratto concluso dal padre in nome del figlio minore, con autorizzazione del
giudice tutelare» (Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 393. Con
specifico riguardo all’accordo di separazione consensuale cfr. inoltre Butera, Della simulazione nei negozi giuridici e degli atti «in fraudem legis»,
Torino, 1936, p. 185).
[52] Fr. Ferrara
Sen., Della simulazione dei negozi
giuridici, Roma, 1922, p. 93 s. Si noti peraltro che l’idea secondo cui
«Simulatio excluditur, si actus publice, et palam ac auctoritate judicis
expletus fuerit» non fu certo solo prerogativa della dottrina medievale: cfr.
per esempio la decisione della Rota Romana, 9 giugno 1684, in Sacrae Rotae Romanae Decisiones, et Summorum
Pontificum Constitutiones Recentissimae, Theatrum Veritatis et Justitiae
Cardinalis de Luca (…) Amplectentes,
confirmantes, et laudantes (c.d. Mantissa
al Theatrum Veritatis et Justitiae
del Card. de Luca), I, Venetiis, 1706, p. 4.
[53] Cfr. Cicu,
Il diritto di famiglia. Teoria
generale, Roma, 1914, p. 240: «Ciò è più evidente nella separazione
consensuale. Invero per l’adozione si può dubitare che quelle stesse esigenze
che operano imperiosamente nel matrimonio, possano anche giustificare si tenga
fermo il rapporto costituito, perché sia salvo l’interesse che per la famiglia
e lo Stato rappresenta l’obbligo alimentare costituito, ed in genere il
vantaggio che all’adottato derivi dall’adozione. Per la separazione consensuale
invece non v’è alcun interesse famigliare‑statuale che esiga essa sia
tenuta ferma: colla prova dell’accordo preesistente si potrà sempre impugnare
la pronunzia intervenuta, impugnativa che può anche ritenersi non necessaria,
dato che non è necessaria una nuova pronunzia per eliminare gli effetti della
separazione in caso di riconciliazione: si potrà cioè dimostrare che una
separazione non vi è mai stata, salvo vedere se nei rapporti coi terzi non sia
necessario risulti un ripristinamento dei rapporti coniugali».
[54] Propugnata, come noto, dallo stesso Cicu agli inizi
del secolo; su tale concezione v., anche per gli ulteriori rinvii, Sesta, Il diritto di famiglia tra le due guerre e la dottrina di Antonio Cicu,
in Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Lettura di Michele Sesta, Momenti del pensiero giuridico moderno.
Testi scelti a cura di Pietro Rescigno. Redattore Enrico Marmocchi, Sala
Bolognese, 1978, p. 1 ss., 47 ss.; Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 103 ss.
[55] Cfr. per esempio Butera,
op. loc. ultt. citt.: «Il
processo verbale di separazione consensuale tra coniugi, menzionato negli art.
15 Cod. civile e 811 c.p.c., non esce fuori dai termini di un puro rapporto
contrattuale e però come è impugnabile con l’azione pauliana, è, altresì,
annullabile con l’azione di simulazione, per quanto ciò, forse, sia poco
pratico. L’omologazione del tribunale non è un elemento costitutivo della
separazione personale, ma una semplice condizione di eseguibilità. Se
l’omologazione del tribunale avesse carattere costitutivo del rapporto, la sua vis attractiva, come dichiarazione, di
volontà pubblica, verrebbe a sovrapporsi alla dichiarazione di volontà privata
e in tal caso ognun vede che non potrebbe discorrersi di azione d’impugnativa
per simulazione».
[56] Cfr. per esempio Azzolina, La
separazione personale dei coniugi, Torino, 1951, p. 195: «La natura
convenzionale del negozio di separazione fa sì che a quest’ultimo riescano
applicabili talune norme particolari alla disciplina dei negozi giuridici di
diritto privato, specialmente per quanto riguarda la manifestazione della
volontà. Così, ad es., esattamente secondo noi, è stato ritenuto (App. Trani,
23 giugno 1899, in Giur. it., 1899,
I, 2, c. 627) che ‘si può ritenere simulato e fatto in frode a dei creditori
anche un istrumento di separazione personale per mutuo consenso’. Nessun
principio, infatti, osta all’impugnazione da parte dei terzi di un atto che, in
quanto volontario, può certamente essere oggetto di simulazione. Così ancora, è
stato ritenuto che la convenzione di separazione non sia sottratta
all’impugnazione per vizio di consenso (App. Milano, 8 novembre 1940, in Riv. dir. matrim., 1940, p. 390). Ed
anche in tale principio si può consentire, pur avvertendo che date le formalità
e le cautele imposte dalla legge per la conclusione del negozio (la quale
avviene con la cooperazione de presidente del tribunale), la prova del vizio
sarà di necessità ardua, e dovrà esser fornita in modo particolarmente
rigoroso».
[57] E la correlativa questione circa la possibilità di
farlo valere a prescindere dalla citata disposizione: su questi temi cfr. per tutti
Pietrobon, sub art. 123
c.c., in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 172 ss.; Conte, Il matrimonio simulato,
in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, I, Famiglia e matrimonio,
1, Milano, 2002, p. 687 ss.
[58] A ciò s’aggiunga che la stessa Corte non esita, in
altra parte della motivazione della pronunzia qui in commento, ad avvalersi del
richiamo alle «varie norme codicistiche relative alla materia familiare» che
espressamente disciplinano vizi del consenso e capacità delle parti «in tema di
celebrazione del matrimonio e di riconoscimento dei figli naturali», per
affermare l’applicabilità di tali disposizioni alla separazione consensuale: è
dunque la stessa Cassazione ad utilizzare un argomento diametralmente opposto
rispetto a quello da ultimo evidenziato.