Giacomo Oberto

 

SIMULAZIONE DELLA SEPARAZIONE CONSENSUALE:

LA CASSAZIONE CAMBIA PARERE (MA NON LO VUOLE AMMETTERE)

 

[Nota a Cass., 20 novembre 2003, n. 17607]

 

 

 

Sommario: 1. La simulazione della separazione consensuale tra obiter dicta e rationes decidendi. Il precedente di cui a Cass., 5 marzo 2001, n. 3149. – 2. La natura negoziale dell’accordo di separazione consensuale e la sua riaffermazione da parte della sentenza in commento. – 3. L’applicabilità della disciplina contrattuale all’accordo di separazione consensuale. – 4. Simulazione, vizi del consenso e capacità delle parti nel negozio di separazione consensuale: dottrina e giurisprudenza a confronto. – 5. Le ragioni per le quali la sentenza in commento esclude l’impugnabilità per simulazione della separazione consensuale (e la relativa critica).

 

 

1. La simulazione della separazione consensuale tra obiter dicta e rationes decidendi. Il precedente di cui a Cass., 5 marzo 2001, n. 3149.

 

Curioso destino davvero, quello che sembra riservato al concetto di obiter dictum. Nato ed affermatosi per distinguere quel principio di diritto che «quantunque enunciato nella sentenza, si riveli superfluo per la soluzione della controversia», di contro – come noto – alla ratio decidendi, rappresentata da «ogni principio di diritto che, nell’argomentazione del giudice, si riveli quale premessa o passaggio logico necessario per la soluzione della controversia» [1], esso ha finito con l’essere talora usato, dalla dottrina, per esorcizzare il contenuto di decisioni «sgradite» [2], e, dalla giurisprudenza, per sbarazzarsi dell’influenza d’un precedente ritenuto, in un modo o nell’altro, ingombrante [3]. Ciò è proprio quanto sembra stia accadendo nella vicenda della simulazione della separazione consensuale, argomento del quale chi scrive ha avuto occasione di occuparsi commentando il precedente immediato della sentenza qui in commento – vale a dire Cass., 5 marzo 2001, n. 3149 [4] – nell’ambito di un’analisi di tipo storico-comparatistico su cui non è possibile in questa sede tornare se non marginalmente, anche per non tediare il paziente lettore [5].

Ma procediamo con ordine. Nella sentenza qui in commento la Cassazione, dopo essersi a lungo soffermata sui principi-cardine della sua ormai risalente giurisprudenza in materia di negozialità tra coniugi in crisi, ribadendoli tutti con estrema chiarezza [6], conclude negando nella maniera più recisa la possibilità per i coniugi di far valere la nullità dell’accordo di separazione consensuale per simulazione. Lasciando al prosieguo della presente nota l’esposizione delle numerose ragioni di critica di questa conclusione [7], va rimarcato in primo luogo che, secondo i Supremi Giudici, non sarebbe possibile invocare, in senso favorevole al riconoscimento della possibilità di impugnare per simulazione una separazione consensuale, il precedente di cui alla citata sentenza n. 3149 del 2001. Pur ammettendo che quest’ultima – relativamente ad un giudizio di revisione delle condizioni della separazione – ha, sì, affermato che «che ogni questione relativa alla simulazione dell’accordo posto a base della separazione (…) doveva essere prospettata in apposita sede», la Cassazione viene ora a dirci che l’espresso richiamo operato nel 2001 alla possibilità per la parte di far valere la simulazione mercé il ricorso ad un procedimento contenzioso ordinario sarebbe stato effettuato «con espressione certamente non assunta a ratio decidendi».

Va subito chiarito che la sentenza 5 marzo 2001, n. 3149, riguardava non già la simulazione della separazione in quanto tale, bensì la (asserita) simulazione di un accordo inserito nel più ampio contesto delle condizioni concordate ex art. 158 c.c. ed omologate dal tribunale. E’ però del tutto evidente che i due profili – quello, cioè, della simulazione della separazione e quello della simulazione nella separazione – investono comunque la medesima serie di questioni, tutte imperniate sul tema della configurabilità, in astratto, di un procedimento simulatorio [8] in relazione a negozi per il perfezionamento dei quali è previsto un intervento giurisdizionale.

        Per ciò che attiene ai fatti di quella causa, va aggiunto che, nella fattispecie decisa dalla Suprema Corte nel 2001, le parti, in sede di separazione consensuale, avevano convenuto (tra l’altro) l’affidamento alla moglie del figlio minore, l’assegnazione della casa coniugale al marito e l’erogazione di un assegno di mantenimento per la moglie ed il figlio a carico del marito. Successivamente, la moglie aveva convenuto in giudizio il marito con procedura ex art. 710 c.p.c., facendo valere, in maniera, a dire il vero, assai contraddittoria [9], l’invalidità dell’intesa, sia per via di un’asserita situazione di violenza morale [10], che per effetto di una pretesa simulazione dell’accordo omologato, per ciò che atteneva il diritto del marito di permanere nella casa coniugale; tale diritto era stato di fatto concesso alla moglie, in contrasto con quanto previsto negli accordi omologati, sino «all’ottobre 1993, quando [il marito] aveva ingiunto [alla moglie] di lasciare la casa coniugale e comunicato di essersi messo in pensione, cosicché non le avrebbe più corrisposto l’assegno pattuito». Sulla base di queste premesse la moglie aveva chiesto la modifica delle condizioni della separazione, ma il tribunale aveva rigettato la domanda, in quanto in essa non erano stati dedotti mutamenti della situazione dei coniugi, ma circostanze non deducibili con la procedura attivata, consistenti nell’allegata esistenza di accordi diversi da quelli sottoscritti in sede di separazione consensuale. La moglie aveva allora proposto reclamo, ma la corte d’appello aveva confermato la decisione di primo grado, osservando che il thema decidendum introdotto riguardava la simulazione dell’atto di separazione e non la sua modifica, cosicché la domanda non poteva essere proposta con la procedura adottata, nella quale non poteva essere accertato neppure un eventuale vizio del consenso.

        La Cassazione, nella sentenza 5 marzo 2001, n. 3149, confermò proprio tale impostazione, riconoscendo, senza esitazioni, l’ammissibilità nei confronti dell’accordo di separazione consensuale dei classici rimedi negoziali, da esperirsi attraverso un’azione ordinaria e non già con il procedimento ex art. 710 c.p.c. Nel pervenire a tale conclusione la decisione confermò expressis verbis il giudizio formulato dalla corte d’appello, secondo cui «la contestualità di diversi accordi verbali, coevi a quelli scritti ed omologati, non integra modifica di questi ultimi, ma simulazione dell’atto omologato», soggiungendo che «l’allegazione degli eventuali vizi dell’accordo di separazione, ovvero della sua simulazione» sarebbe rimasta rimessa «al giudizio ordinario, secondo le regole generali».

        E’ evidente, dunque, che il richiamo al concetto di simulazione dell’accordo di separazione e alla sua astratta configurabilità costituiva, nell’armamentario argomentativo di quella sentenza, «premessa o passaggio logico necessario per la soluzione della controversia». A ciò si aggiunga che, secondo quanto è dato testualmente leggere nella motivazione della pronunzia del 2001, «L’essenza della ratio decidendi della sentenza [impugnata]» (sentenza – si badi – confermata in toto dalla Corte Suprema, senza neppure una correzione della motivazione ex art. 384 c.p.c.), «consiste pertanto nell’affermazione che né gli eventuali vizi del consenso rispetto all’atto di separazione omologato, né la sua eventuale simulazione sono deducibili con il giudizio camerale attivato ai sensi degli artt. 710 e 711 c.p.c. e che il fatto nuovo del mutamento della situazione economica delle parti, deducibile con tale giudizio, non era stato dimostrato». Sembra chiaro, pertanto, che la ragione per la quale la Corte Suprema confermò in quel caso la decisione di merito andava ricercata nel rimprovero alla parte ricorrente di avere proposto una domanda sicuramente ammissibile in astratto per il tramite di una procedura preordinata a far valere altri tipi di doglianze. In caso contrario, invero, la Corte avrebbe dovuto indicare come puramente e semplicemente inammissibile la domanda, anziché espressamente additare la via del procedimento contenzioso ordinario [11].

In un precedente più risalente, la medesima Corte aveva ammesso la facoltà per i terzi (nella specie: conduttore, nei confronti dei quali il locatore, non assegnatario della casa coniugale, intendeva opporre la cessazione della proroga legale, ex art. 4, n. 1, l. 23 maggio 1950, n. 253) di dimostrare la simulazione «della procedura» di separazione [12]. Ma pure a tale decisione la Cassazione nega ora la dignità di precedente in materia di simulazione della separazione consensuale, asserendo che essa aveva fatto salva la facoltà del terzo di provare tale simulazione «soltanto in via astratta e teorica e senza fornire alcuna motivazione sul punto – non richiesta dalla fattispecie al suo esame».

 

 

2. La natura negoziale dell’accordo di separazione consensuale e la sua riaffermazione da parte della sentenza in commento.

 

        Una volta dimostrata la presenza (quanto meno) di un precedente in senso diametralmente opposto della Corte di legittimità italiana, va ricordato come il problema della configurabilità di una simulazione della (e nella) separazione consensuale (e, più in generale nelle intese dirette a dirimere i problemi sorti nell’ambito della crisi coniugale, dovendosi senz’altro aggiungere alla separazione gli accordi posti a base del ricorso per divorzio su domanda congiunta) appaia strettamente legato a quello della natura del negozio che si pone alla base del rimedio ex artt. 158 c.c. e 711 c.p.c. (così come dell’accordo che «sorregge» e giustifica il divorzio su domanda congiunta).

        Di ciò si rende ben conto l’articolata motivazione della decisione in commento, che si allinea sulle posizioni più aperte della dottrina e della stessa giurisprudenza di legittimità. Invero, dopo aver espressamente dichiarato che «la causa della separazione sta nella volontà dei coniugi, mentre l’omologazione agisce come mera condizione legale di efficacia dell’accordo», la Cassazione ribadisce che «la separazione trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al presidente del tribunale e che la successiva omologazione è unicamente diretta ad attribuire efficacia all’esterno all’accordo di separazione, assumendo la funzione di condizione sospensiva della produzione degli effetti delle pattuizioni stipulate tra i coniugi, già integranti un negozio giuridico perfetto ed autonomo» [13].

        E’ dunque – sempre secondo l’avviso dei Supremi Giudici – l’accordo tra i coniugi che «costituisce l’elemento fondante della condizione di coniugi separati e del regolamento dei loro rapporti, mentre il provvedimento di omologazione svolge la funzione di controllare la compatibilità della convenzione rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico, nonché di compiere la più pregnante indagine circa la conformità delle condizioni relative all’affidamento ed al mantenimento dei minori (e) al loro interesse, e quindi di imprimere efficacia all’accordo stesso (Cass. 2001 n. 3390, in motiv.; 1997 n. 9287; 1995 n. 2700; 1990 n. 8712; 1985 n. 1208; 1984 n. 14)» [14].

        Ribadita per l’ennesima volta la tesi, di origine dottrinale, che vede l’accordo di separazione («atto essenzialmente negoziale, espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente»), come «uno dei momenti di più significativa emersione della negozialità nel diritto di famiglia» [15], la Cassazione conclude sul punto affermando di ritenere che «non vi sia ragione di dubitare della natura negoziale dell’atto che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale, atteso che in tale accordo si dispiega pienamente l’autonomia dei coniugi e la loro valutazione della gravità della crisi coniugale, con esclusione di ogni potere di indagine del giudice sui motivi della decisione di separarsi e di valutazione circa la validità di tali motivi, in piena coerenza con la centralità del principio de consenso nel modello di famiglia delineato dalla legge di riforma ed in ragione del tasso di negozialità dalla stessa legge riconosciuto in relazione ai diversi momenti ed aspetti della dinamica familiare».

 

 

3. L’applicabilità della disciplina contrattuale all’accordo di separazione consensuale.

 

Tutti questi temi sono stati ampiamente sviluppati altrove, per cui non rimarrà che fare rinvio ai lavori sull’argomento, riportandone qui di seguito, molto sinteticamente, le conclusioni, favorevoli al pieno ed incondizionato riconoscimento del carattere negoziale delle intese in oggetto, con conseguente affermazione dell’applicabilità della normativa contrattuale, a cominciare dal principio-cardine costituito dall’art. 1322 c.c., tanto al negozio di separazione personale, che a quello di divorzio su domanda congiunta, che a quelle particolari intese di carattere patrimoniale concluse in sede, in occasione, o anche solo in vista della separazione personale, della separazione di fatto, del divorzio o dell’annullamento del matrimonio, già qualificate dallo scrivente come «contratti della crisi coniugale» [16].

Del resto, l’applicabilità del canone citato alla materia degli accordi tra coniugi in occasione di separazione e divorzio costituisce ormai un dato accettato da buona parte della dottrina e della giurisprudenza, e non sarà forse inutile ricordare come, non a caso, proprio in quello scritto, risalente al 1945, che può considerarsi come l’atto di nascita della (moderna) teoria del negozio giuridico familiare, Francesco Santoro-Passarelli non esitasse a dichiarare l’applicabilità – quanto meno in linea di principio – a quest’ultimo, anche nei settori non patrimoniali, della disciplina dettata dal codice per il contratto in generale [17]. Questa medesima affermazione è contenuta pure nella motivazione della sentenza in esame, in cui è dato leggere che «L’esclusione della natura contrattuale dell’accordo di separazione ed il suo inquadramento nella categoria negoziale, se comporta la non operatività delle norme proprie del contratto che trovano ragione nella specifica natura di questo, non esclude che possano applicarsi, nei limiti della loro compatibilità, le norme del regime contrattuale che riguardano in generale la disciplina del negozio giuridico o che esprimono principi generali dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi del consenso e di capacità delle parti (peraltro richiamate in varie norme codicistiche relative alla materia familiare, come in tema di celebrazione del matrimonio e di riconoscimento dei figli naturali)» [18].

        Del resto, nihil sub sole novi per la giurisprudenza di legittimità. Così, per esempio, un espresso rimando all’art. 1322 c.c. compare per ben due volte in una nota decisione sulla validità degli accordi preventivi tra coniugi in materia di conseguenze patrimoniali dell’annullamento del matrimonio [19], mentre espliciti o impliciti riferimenti all’autonomia contrattuale punteggiano tutta o quasi la complessa vicenda in tema di trasferimenti immobiliari e mobiliari in sede di separazione personale tra coniugi [20], a cominciare da quel leading case risalente al 1972 [21], che pure all’epoca aveva suscitato le (ingiustificatamente) preoccupate reazioni di parte della dottrina [22], per continuare con il caso in cui i Supremi Giudici invocarono proprio il principio della libertà contrattuale al fine di ammettere la validità dell’impegno con il quale uno dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale, aveva promesso di trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile, anche se tale sistemazione dei rapporti patrimoniali era avvenuta al di fuori di qualsiasi controllo giudiziale in sede di omologa [23]. Ancora, al concetto di «convenzione di diritto familiare» fa richiamo la Cassazione in una decisione del 1983 per affermare l’applicabilità all’accordo di riconciliazione dei principi generali degli artt. 1326-1328 c.c. in tema di formazione del consenso [24].

Per non dire poi dell’evoluzione più recente in materia di accordi non omologati successivi alla separazione, ove la Cassazione riconosce effetto, ormai da alcuni anni a questa parte, al pieno dispiegarsi della negozialità dei coniugi, in forza del principio sancito dall’art. 1322 c.c., ritenuto senza riserve applicabile al caso di specie, addirittura anche per quanto concerne le pattuizioni concernenti la prole minorenne; conclusione, quest’ultima, che conferma l’espansione dell’operatività della sfera dell’autonomia privata anche nel settore di quei negozi del diritto di famiglia non caratterizzati dalla patrimonialità [25].

Per tornare alle intese costituenti il «contenuto eventuale» [26] dell’accordo di separazione consensuale, nemmeno la dottrina sembra ormai più dubitare della natura non solo negoziale, bensì addirittura contrattuale di questi atti, allorquando gli stessi (come per lo più accade) abbiano ad oggetto prestazioni di carattere patrimoniale [27]. Anche qui l’art. 1322 c.c. ha ricevuto concreta applicazione in un’innumerevole serie di casi che hanno portato il «diritto vivente» a determinare, in nome del principio dell’autonomia privata (sovente espressamente menzionato nelle motivazioni delle decisioni), una vera e propria dilatazione dell’usuale contenuto dell’accordo di separazione, ben al di là di quegli angusti limiti in cui alcuni autori [28] lo avrebbero voluto inquadrare [29]. Non stupisce dunque che, da alcuni anni a questa parte, accada sempre più di frequente all’osservatore della giurisprudenza di legittimità di imbattersi in affermazioni del genere di quella secondo cui «i rapporti patrimoniali tra i coniugi sepa­rati hanno rilevanza solo per le parti, non essendovi coinvolto alcun pubblico interesse, per cui essi sono pienamente disponibi­li e rientrano nella loro autono­mia privata» [30]. In altri termini, pur con le dovute cautele, sembra potersi dire che anche nel diritto patrimoniale della famiglia deve darsi atto di una progressiva evoluzione «dagli status al contratto». La nota massima elaborata da Maine oltre un secolo fa [31], sebbene abusata e sottoposta a critiche [32], sembra ancora adatta ad esprimere il lungo e travagliato percorso compiuto dalla negozialità anche in questo settore del diritto privato [33].

E a coronamento di quest’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale viene ora a porsi, addirittura sul piano normativo, il recente recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva comunitaria sul commercio elettronico, che ha indotto il nostro Legislatore ad ammettere expressis verbis l’esistenza di «contratti disciplinati dal diritto di famiglia» [34]. Questo nuovo dato positivo viene così ad avvalorare la tesi della praticabilità di un accostamento – quello, per l’appunto, tra contratto e famiglia – che sino a non molto tempo fa poteva ancora dirsi ardito.

 

 

4. Simulazione, vizi del consenso e capacità delle parti nel negozio di separazione consensuale: dottrina e giurisprudenza a confronto.

 

Il tema della simulazione delle intese di separazione o di divorzio non costituisce certo un novum. Dei precedenti storici ci si è già occupati in altra sede [35]: qui basti aggiungere due casi di recente scoperti dallo scrivente. Il primo, relativo ad una decisione emessa dal Parlamento di Parigi il 4 maggio 1677, che dichiarò nulla una separazione effettuata bona gratia in frode agli eredi del marito, per avvantaggiare la moglie, in considerazione della cessazione del regime di comunione legale dei beni, sebbene la sentenza fosse stata a suo tempo non solo pronunziata giudizialmente, ma anche affissa presso il mercato del paese di residenza dei coniugi e pubblicamente letta al termine della Messa in parrocchia, secondo gli usi della provincia di residenza di quella coppia [36]. Il secondo, concernente una sentenza della Cassazione del 1° messidoro anno 11 (20 giugno 1803), che ammise i creditori a provare la simulazione di un divorzio par consentement mutuel e confermò la sentenza d’appello – emessa dal Tribunal d’appel di Limoges il 26 messidoro anno 9 (15 luglio 1801) – in cui si rilevava, tra l’altro, che «deux époux qui continuent de vivre ensemble, qui contractent esemble, qui réunissent leurs soins pour l’administration de leurs biens, ne peuvent pas être supposés avoir véritablement eu l’intention de rompre le lien qui les unissait» [37].

       Una volta accolta dal pensiero giuridico contemporaneo la tesi della natura negoziale degli accordi di separazione consensuale, la conclusione di cui sopra dovrebbe andare, come si dice, de plano. In realtà, va constatato che l’applicabilità a siffatte intese di alcuni «classici» rimedi negoziali, quali, più esattamente, le impugnative per incapacità naturale, vizi del consenso e simulazione, ha trovato ostacoli in una parte della giurisprudenza di merito, così come della dottrina. In effetti – a parte la battaglia di retroguardia in cui s’ingaggiano ancora alcune decisioni (veramente, verrebbe da dire, démodées), che negano in via di principio l’applicabilità ai negozi giuridici familiari della normativa contrattuale [38], su cui non vale più la pena di spendere nemmeno una parola [39] – le opinioni contrarie all’ammissibilità dei rimedi negoziali sembrano poggiare sostanzialmente su di un unico argomento «forte»: vale a dire la (supposta) inconciliabilità di soluzioni che presuppongono la non integrità (o addirittura l’inesistenza) del consensus contrahentium, con il fatto che questo sia manifestato dinanzi al presidente del tribunale, quasi che la «sacralità» del contesto in cui l’intento negoziale si esprime potesse di per sé fornire un’assoluta certezza circa l’esistenza d’un consenso genuino ed esente da vizi di sorta [40].

Anche a queste chiusure risponde in maniera adeguata la sentenza qui in commento, rilevando che «gli adempimenti che il presidente è chiamato a svolgere, pur delicati e complessi, non si profilano di tale pregnanza da escludere di per sé un accordo simulatorio o un vizio della volontà delle parti, certamente possibili pur in assenza di segni apparenti della loro esistenza». La Corte prosegue osservando come il fatto di ritenere che l’intervento del presidente del tribunale «fornisca la certezza assoluta ed incontestabile circa la validità e genuinità della volontà manifestata» significhi, in realtà, «attribuire a detto giudice un ruolo di garante non corrispondente alla natura ed ai limiti dell’attività a lui demandata». Il rilievo sembra riecheggiare le parole utilizzate dallo scrivente che, a commento della già citata pronunzia di legittimità del 2001, notava come voler attribuire a tutti i costi al presidente (o al collegio) l’improprio ruolo di «garante» dell’esistenza e della genuinità del consenso delle parti significherebbe presupporre una norma che non esiste nel nostro ordinamento [41]: una norma, anzi, che, se esistesse, dovrebbe essere dichiarata incostituzionale per contrasto con l’art. 24 Cost., per il fatto di inibire al soggetto altrimenti legittimato il diritto di far valere in giudizio l’invalidità dell’accordo.

Questa posizione rinviene, del resto, precedenti specifici nella giurisprudenza di legittimità, che, a parte le due pronunzie già citate supra, al § 1, in tema di simulazione, aveva dato per scontato nel 1976 il principio dell’impugnabilità per violenza della convenzione con la quale, in sede di separazione consensuale, si era stabilito che il marito avrebbe ceduto alla moglie taluni beni in cambio della rimessione, da parte di quest’ultima, di una querela per concubinato [42]. Ma, a ben vedere, neppure nella giurisprudenza di merito fanno difetto voci favorevoli a tale impostazione. Invero, a parte alcuni precedenti risalenti già al codice abrogato [43], il tribunale di Genova, ormai diversi anni or sono, aveva aperto uno spiraglio alla prova, da parte del conduttore, della simulazione della separazione del locatore, in seguito alla quale quest’ultimo aveva perso il diritto di abitare nella casa coniugale, così essendo costretto ad agire in recesso per ottenere la disponibilità dell’appartamento concesso in locazione [44]. Più di recente, la Corte d’appello di Bologna ha ammesso la revocabilità del decreto di omologazione della separazione consensuale nell’ipotesi di simulazione degli accordi stipulati dai coniugi e da questi espressamente ammessa, applicando a tali intese le disposizioni  sui contratti in generale ed osservando conclusivamente che «l’istituto della simulazione trova applicazione anche nella materia matrimoniale, tanto è vero che l’art. 123 cod. civ. prevede espressamente l’impugnazione del matrimonio per simulazione» [45].

Sarà poi il caso di aggiungere qui che le osservazioni di cui sopra, sviluppate con riguardo alla separazione consensuale, appaiono applicabili anche alle intese che si pongono alla base del divorzio su domanda congiunta, nel quale – secondo quanto si è in altra sede cercato di dimostrare – gli effetti d’ordine patrimoniale vanno direttamente ricollegati al contratto di divorzio concluso dai coniugi, rispetto al quale la pronuncia del tribunale assume il mero carattere di omologa emessa all’esito di un procedimento di controllo sul rispetto delle norme inderogabili del vigente ordinamento [46].

 

 

5. Le ragioni per le quali la sentenza in commento esclude l’impugnabilità per simulazione della separazione consensuale (e la relativa critica).

 

Nella decisione qui in commento la Cassazione – pur dopo l’amplissima premessa di cui si è dato conto, contenente rimarcabili concessioni al principio di autonomia dei coniugi in sede di crisi coniugale, nonché una meticolosa serie di corretti preamboli, tutti diretti alla logica conclusione del riconoscimento dell’applicabilità al negozio di separazione consensuale degli ordinari rimedi negoziali – viene a negare (verrebbe da dire: a sorpresa) la configurabilità di una simulazione della separazione, in piena contraddizione rispetto alla prima parte di questa stessa sentenza.

Secondo i Supremi Giudici, «nel momento in cui i coniugi convengono, nello spirito e nella prospettiva della loro intesa simulatoria, di chiedere al Tribunale l’omologazione della loro (apparente) separazione esse in realtà concordano nel voler conseguire il riconoscimento di uno status dal quale la legge fa derivare effetti irretrattabili tra le parti e nei confronti dei terzi, salve le ipotesi della riconciliazione e dello scioglimento definitivo del vincolo». Sul punto andrà subito detto che se veramente fosse l’asserita irretrattabilità [47] degli effetti separazione ad escludere la configurabilità di un procedimento simulatorio del negozio di separazione consensuale, non si riuscirebbe a comprendere per quali motivi il Legislatore avrebbe previsto e disciplinato la simulazione del contratto, i cui effetti (cfr. art. 1372 c.c.) sono «irretrattabili» almeno tanto quanto quelli di un accordo di separazione. E lo stesso è a dirsi per ciò che concerne i terzi, i cui diritti sono (o non sono) fatti salvi secondo un complesso sistema di norme e di principi generali [48], che non si vede per quale ragione non dovrebbe trovare applicazione anche al caso di specie.

In realtà, ciò che sembra arrestare la Cassazione sulla strada d’un percorso logico il cui esito dovrebbe essere scontato, pare essere la presenza di un intervento del giudice in materia di status: proprio quel medesimo moloch, quella stessa testa di Medusa che pietrifica ogni possibilità evolutiva della giurisprudenza di legittimità sulla tortuosa strada del riconoscimento della validità delle intese preventive di divorzio [49]. La Corte, infatti, dopo aver ricordato taluni degli effetti personali e patrimoniali della separazione, soggiunge che «Nella situazione considerata la volontà di conseguire detto status è effettiva, e non simulata: l’iniziativa processuale diretta ad acquisire la condizione formale di coniugi separati, con le conseguenti implicazioni giuridiche, si risolve in una iniziativa nel senso della efficacia della separazione che vale a superare e neutralizzare il precedente accordo simulatorio, ponendosi in antitesi con esso. Appare invero logicamente insostenibile che i coniugi possano disvolere con detto accordo la condizione di separati ed al tempo stesso volere l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici a detta condizione: l’antinomia tra tali determinazioni non può trovare altra composizione che nel considerare l’iniziativa processuale come un atto incompatibile con la volontà di avvalersi della simulazione».

Non potrebbe darsi contraddizione più stridente: dire – come dice la Corte – che è «il momento processuale» sullo status a evidenziare la volontà dei coniugi di produrre gli effetti della separazione, in contrasto con il loro accordo simulatorio, significa dire che è il decreto del tribunale a costituire il fulcro della separazione: e ciò in piena antitesi con l’idea, a lungo (correttamente) motivata nella prima parte della stessa sentenza, secondo l’unico, vero, elemento essenziale di quel mutamento di status ingenerato dalla separazione è costituito dal negozio inter coniuges. In altre parole, delle due l’una: o si riconduce la separazione al provvedimento del giudice, ed allora se ne deve concludere che la simulazione non è ammissibile, o si riferisce la separazione alla volontà dei coniugi, e allora si deve ammettere che – se ci si passa l’espressione – l’accordo simulatorio non può certo arrestarsi di fronte alle porte del tribunale.

Nell’ottica della Cassazione, varcare la soglia del palazzo di giustizia produrrebbe un miracoloso effetto «sanante», analogo a quello di cui beneficiavano sovrani e nobili d’un tempo cui, magari dopo una notte di gozzoviglie, bastava, per la salvezza dell’anima, oltrepassare la porta della cappella di palazzo sulla quale avevano fatto apporre la provvidenziale scritta: «indulgentia plenaria quotidiana perpetua». La conseguenza è inaccettabile. E’ logico ritenere che se i coniugi intendono «inscenare» una separazione non voluta, magari per perseguire intenti fraudolenti [50], si serviranno del procedimento di omologazione proprio per ammantare di (apparente) efficacia un accordo produttivo di (apparenti) effetti che essi, in realtà, non vogliono e fortissimamente continuano a non volere. Del resto, nessuno ha mai sostenuto che l’omologazione di una società di capitali (prevista dalla legge anteriormente alla riforma di cui all’art. 32, l. 24 novembre 2000, n. 340), nemmeno se richiesta da tutti i soci, potesse sanare l’eventuale nullità dell’atto costitutivo per simulazione, così come non è certo il decreto di autorizzazione, emesso dal giudice competente su istanza del legale rappresentante di un incapace o di un semi-incapace, ad escludere la possibilità che il contratto concluso in forza di tale autorizzazione possa essere un giorno dichiarato simulato [51].

Già diversi anni or sono ammoniva Fr. Ferrara Sen. che, allorquando lo Stato «vuole riservarsi un giudizio preventivo sull’opportunità e legittimità di [un] atto e ne subordina il compimento alla sua permissione (autorizzazione), oppure si limita a riconoscere ex post questa legittimità specialmente perché precedono altre garanzie, e a darne la successiva approvazione (omologazione) (…), quest’attività rimane estranea al contenuto intrinseco dell’atto, e quindi non vale a modificarlo o a sanarlo. L’atto che si autorizza od omologa può esser stato quindi compiuto seriamente o in apparenza dalle parti e l’intervento dell’autorità non impedisce la possibilità di simulazione. Inesattamente perciò gli scrittori medievali considerano come un ostacolo alla simulazione il decretum principis rigettando ogni impugnativa al riguardo» [52]. Su queste stesse posizioni si è sempre collocata la dottrina più autorevole, a cominciare, addirittura, dal Cicu [53], da cui, francamente, di tutto si sarebbe potuto aspettare, tranne che un’apertura di questo genere verso un approccio tanto vicino alla moderna teorica del negozio giuridico familiare, quanto lontano dalla concezione istituzionale della famiglia [54]. L’opinione era quindi stata ripresa da altri studiosi, tanto del fenomeno simulatorio [55], che della separazione personale dei coniugi [56].

Proprio queste riflessioni sembrano svelare il vero motivo per il quale la Corte è giunta alla conclusione negativa, motivo reso evidente da quella parte della decisione in cui si dichiara «insostenibile che i coniugi possano disvolere con detto accordo la condizione di separati ed al tempo stesso volere l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici a detta condizione». In questo voler riferire gli effetti della separazione al «provvedimento giudiziale», anziché alla volontà delle parti, risiede la prova del fatto che la Cassazione – a dispetto delle dichiarazioni che precedono questa parte della motivazione – non crede nella tesi secondo cui il decreto di omologazione è mero elemento integrativo di efficacia, la cui funzione è semplicemente quella di rimuovere un ostacolo alla produzione degli effetti del negozio concluso dalle parti, al pari di una qualsiasi condizione. E’ chiaro, infatti, che l’avveramento di una condizione, anche qualora si tratti di condizione rimessa alla concorde volontà delle parti, non può né potrà mai in alcun modo sanare la nullità conseguente alla simulazione del negozio stesso.

L’ultimo argomento invocato dalla Corte è sostanzialmente riconducibile al principio secondo cui «ubi lex dixit, voluit…»: la disposizione di cui all’art. 123 c.c., introdotta dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, consentirebbe di argomentare che, in materia di status, «l’accordo simulatorio [potrebbe] esplicarsi solo nei casi e nei limiti riconosciuti dall’ordinamento». Ora, lasciando da parte la questione circa l’effettivo riconoscimento, da parte della norma citata, della configurabilità di un fenomeno simulatorio nel negozio matrimoniale [57], va detto che il ragionamento testé esposto contravviene al principio ormai assodato in materia di negozio giuridico familiare – conformemente alla regola enunciata da Santoro-Passarelli oltre mezzo secolo fa ed esplicitamente accolta dalla Cassazione in questa stessa pronuncia – secondo cui, cioè, non è certo l’assenza, nella materia in esame, di una norma speciale che richiami un principio della teoria generale del contratto a rendere inapplicabile il principio stesso. Tutto al contrario, semmai, sarà l’eventuale presenza di una regola speciale incompatibile ad escludere l’operatività di un principio contrattuale: ma tale regola speciale incompatibile – lo si ripete – qui non esiste [58].

 

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[1] Cfr. per tutti Galgano, L’interpretazione del precedente giudiziario, in Contratto e impresa, 1985, p. 705. Non è possibile, in questa sede, procedere neppure ad una sommaria indicazione delle opere in materia. Fondamentali sul punto, come noto, i lavori di Gorla (cfr. in particolare: Gorla, Lo studio interno e comparativo della giurisprudenza e i suoi presupposti: le raccolte e le tecniche per l’interpretazione delle sentenze, in Foro it., 1964, V, c. 73 ss.; Id., Introduzione a raccolta di saggi sull’interpretazione e sul valore del precedente giudiziario in Italia, in Quad. Foro it., 1966, c. 5 ss.; Id., Dovere professionale di conoscere la giurisprudenza e mezzi di informazione, ivi, 1967, c. 291; Id.,  Ratio decidendi, principio di diritto (e obiter dictum). A proposito di alcune sentenze in tema di revoca dell’offerta contrattuale, in Studi in onore di Segni, II, Milano, 1967, p. 387 ss.; Id., Lo stile delle sentenze, Testi commentati, in Quad. Foro it., 1968, c. 383 ss.; Id., Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981, p. 322 ss.; Id., voce Precedente giudiziale, in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma, 1990); per uno studio analitico di questi ultimi, nonché per ulteriori interessanti spunti si fa rinvio a Bin, Il precedente giudiziario. Valore e interpretazione, Padova, 1995, p.1 ss. ss.;

[2] Per un eloquente esempio al riguardo cfr. il caso segnalato in Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, Milano, 1999, p. 1250 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano, 2000, p. 85 ss.

[3] Sul rischio inverso di una sopravvalutazione degli obiter e di una loro confusione con le rationes decidendi cfr. per tutti, oltre alle opere citate supra, alla nota 1, De Nova, Sull’interpretazione del precedente giudiziario, in Contratto e impresa, 1986, p. 782 ss.; Grippo, Travisamento e persuasività dell’obiter dictum in due casi emblematici, in Contratto e impresa, 1987, p. 659 ss.

[4] Cass., 5 marzo 2001, n. 3149, in Familia, 2001, p. 769.

[5] Oberto,  Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), nota a Cass., 5 marzo 2001, n. 3149, in Familia, 2001, pag. 774 ss.

[6] Sul punto, per i necessari richiami v. infra, § 2.

[7]  V. infra, § 5.

[8] Nelle sue forme, beninteso, tanto assoluta che relativa, con l’unica precisazione che la prima è l’unica immaginabile per il caso della simulazione della separazione (o del divorzio), mentre l’alternativa tra le due tradizionali forme di manifestazione del fenomeno simulatorio si ripresenta per ciò che attiene alle condizioni della separazione (o del divorzio).

[9] La violenza (morale) presuppone infatti comunque la presenza di un consenso, ancorché viziato (etsi coactus, tamen volui, secondo il noto brocardo); rileva l’intrinseca contraddittorietà di una domanda fondata, in relazione agli stessi fatti, sul dolo e sulla simulazione di un accordo di separazione App. Milano, 22 febbraio 1983, in Dir. fam. pers., 1983, p. 578.

[10] Così, infatti, parrebbe doversi leggere il richiamo in motivazione al fatto che il marito «aveva minacciato [la moglie] di impadronirsi della casa coniugale».

[11] Il decisum della sentenza 5 marzo 2001, n. 3149 si articolava dunque nei seguenti passaggi: 

1. simulazione e vizi del consenso sono astrattamente configurabili nei confronti di un accordo di separazione consensuale omologato;

2. essi possono essere fatti valere soltanto tramite un giudizio ordinario;

3. essi non possono essere fatti valere con il giudizio camerale ex artt. 710-711 c.p.c.;

4. non è necessario agire sul decreto di omologazione, chiedendone la modifica o la revoca (posto che nessun riferimento era fatto, nella pronunzia predetta, al rimedio ex art. 742 c.p.c.);

5. per ciò che attiene più specificamente all’ipotesi della simulazione, il rapporto tra intese a latere (eventualmente anche solo verbali) coeve all’accordo scritto ed omologato e quest’ultimo si pone esattamente come si potrebbe porre in relazione a qualsiasi contratto di cui si alleghi la nullità per simulazione: sul punto, per ulteriori approfondimenti si fa rinvio a Oberto,  Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 783 ss., 785 ss.

[12] «L’assegnazione in sede di separazione personale ancorché consensuale della casa di abitazione ad uno dei coniugi integra, a favore dell’altro, lo stato di urgente ed improrogabile necessità che, ai sensi dell’art. 4 n. 1 della legge n. 253 del 1950, lo legittima a far cessare la proroga legale del contratto di locazione relativo ad un proprio alloggio, senza che assuma rilievo – salva la facoltà della controparte di provare la simulazione della procedura di separazione – la circostanza che detto coniuge non abbia abbandonato il domicilio coniugale, comportando la convivenza sotto lo stesso tetto con il coniuge separato un maggior bisogno di ottenere la disponibilità dell’appartamento locato a terzi» (Cass., 18 dicembre 1986, n. 7681; contra Trib. Milano, 17 dicembre 1998 e Trib. Roma, 14 dicembre 1998, in Gius, 1999, p. 1087).

[13] Sul punto, anche per una serie di ampi richiami, si rinvia a Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 193 ss., p. 246 ss., p. 267 ss.

[14] Per l’illustrazione di questa tesi e ulteriori richiami cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 246 ss.

[15] Il riferimento è a Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, III, Torino, 1982, p. 125, 126, da cui l’estensore di Cass., 4 febbraio 1993, n. 2270 e Cass., 22 gennaio 1994, n. 657 (Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, in Corr. giur., 1993, p. 820, con nota di Lombardi; in Giust. civ., 1994, I, p. 213, con nota di Sala; in Giust. civ., 1994, I, p. 912; in Dir. fam. pers., 1994, p. 554, con nota di Doria; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, in Dir. fam. pers., 1994, p. 868; in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 710, con nota di Ferrari; in Giur. it., 1994, I, 1, c. 1476; in Vita notarile, 1995, I, p. 126, con nota di Curti; in Foro it., 1995, I, c. 2984) aveva tratto la frase testé riportata, ripetuta nella decisione qui in commento; v. inoltre, per un impiego del termine «negozialità» nel senso qui indicato, Zatti e Mantovani, La separazione personale dei coniugi (artt. 150-158 c.c.), Padova, 1983, p. 382; Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p. 491; Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in assenza di omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali vengono modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione relative al mantenimento dei figli, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi, Padova, 1989, p. 506; Mantovani, Separazione personale dei coniugi. I) Disciplina sostanziale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1992, p. 28; Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, III, Torino, 1996, p. 135, 137, 138, nota 12; Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 38 ss.

[16] Cfr., anche per gli ulteriori rinvii dottrinali e giurisprudenziali, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 28 ss.; in particolare, sulla natura contrattuale dell’accordo di separazione consensuale, per ciò che attiene alle intese d’ordine economico, v. Id., La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Fam. e dir., 1999, p. 601 ss.; ivi, 2000, p. 86 ss.

[17] Cfr. Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 382 s. (lo scritto venne pubblicato per la prima volta in Dir. e giur., 1945, p. 3 ss.): «Il codice civile non contiene una disciplina generale del negozio giuridico, la quale può però ricavarsi dalle sue norme, essendo evidente che le norme sui contratti, ‘in quanto compatibili’, siano suscettibili di applicazione non solo agli ‘atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale’ (art. 1324), ma al negozio giuridico anche fuori del diritto patrimoniale. A ciò è da aggiungere che la figura del negozio giuridico nel diritto familiare è supposta dal codice (e la sua utilizzazione s’impone perciò all’interprete), poiché in esso si fa richiamo a nozioni caratteristiche del negozio, come i vizi della volontà (articoli 122, 265), le modalità, quali il termine e la condizione (articoli 108, 257), l’irrevocabilità o la revocabilità dell’atto (articoli 256, 2982), la sua invalidità (artt. 117 segg., 263 segg.)»; per un’illustrazione del pensiero di tale Autore cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 113 ss.; per una successiva riscoperta dello scritto di Santoro-Passarelli cfr. anche Zoppini, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 213 ss.; nel senso dell’applicabilità ai negozi giuridici familiari delle norme in tema di contratto cfr. inoltre Gangi, Il matrimonio, Milano, 1969, p. 28 s.; del medesimo avviso (con espresso riferimento anche alla separazione consensuale) è Falzea, La separazione personale, Milano, 1943, p. 96; contra Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 16 s.; per l’applicabilità, di volta in volta, ai negozi giuridici familiari dei principi contrattuali «congrui con l’atto di autonomia familiare posto in essere» v. Bianca, Diritto civile, II, Famiglia e successioni, Milano, 1981, p. 18; per una serie di osservazioni critiche sulla figura del negozio giuridico familiare v. Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, in Famiglia e circolazione giuridica, a cura di G. Fuccillo, Milano, 1997, p. 23 ss. (sulla cui posizione cfr. però le osservazioni di Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 129 ss.).

[18] Del resto, già non molto tempo dopo l’enunciazione della tesi di Santoro-Passarelli, Arturo Carlo Jemolo (sì, proprio di quella autorevole voce che solo dieci anni prima aveva definito la famiglia come «un’isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto»: v. Jemolo, La famiglia e il diritto, 1957, riportato in Aa. Vv., «Verso la terra dei figli», Milano, 1994, p. 69) rinveniva il fondamento d’un accordo diretto alla predeterminazione delle conseguenze dell’annullamento del matrimonio nel medesimo principio di libertà contrattuale (Jemolo, Convenzioni in vista di annullamento di matrimonio, in Riv. dir. civ., II, 1967, p. 530; per ulteriori richiami Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 62 ss.), mentre nella dottrina più recente il richiamo alle regole in tema di autonomia privata si è andato via via infittendo, specie sull’onda dell’autorevole constatazione per cui, anche nel campo dei rapporti patrimoniali tra i coniugi (in crisi), «ove tra le parti si convenga l’attribuzione di diritti e l’assunzione di obblighi di natura patrimoniale, non parrebbe contraddire alla definizione dell’art. 1321 la qualificazione di ‘contratto’» (Rescigno, Contratto in generale, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988, p. 10; per ulteriori richiami, che non è possibile riportare in questa sede, si fa rinvio a Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., p. 103 ss., 129 ss., 411 ss.; Id., Contratto e vita familiare, in Trattato del contratto, diretto da E. Roppo, in corso di stampa).

[19] Cass., 13 gennaio 1993, n. 348, in Corr. giur., 1993, p. 822 con nota di Lombardi; in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1670, con nota di Casola; in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 950, con note di Cubeddu e di Rimini; in Vita notarile, 1994, p. 91, con nota di Curti; in Contratti, 1993, p. 140, con nota di Moretti.

[20] Sul tema cfr. per tutti Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in occasione di separazione e divorzio, in Fam. e dir., 1995, p. 155 ss.; Id., I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1211 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., in partic. p. 69 ss.; v. anche G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, in Giust. civ., 1996, II, p. 378 s.; Longo, Trasferimenti immobiliari a scopo di mantenimento del figlio nel verbale di separazione: causa, qualificazione, problematiche, nota a App. Genova, 27 maggio 1997, in Dir. fam. pers., 1998, p. 576. Per una successiva, sintetica, analisi del tema, cfr. anche T.V. Russo, I trasferimenti patrimoniali tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001.

[21] Cass., 25 ottobre 1972, n. 3299, in Giust. civ., 1973, I, p. 221; ivi, 1974, I, p. 173, con nota di Bergamini.

[22] Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, p. 475 ss.

[23] Cfr. Cass., 5 luglio 1984, n. 3940, in Dir. fam. pers., 1984, p. 922.

[24] Cass., 29 aprile 1983, n. 2948, in Giur. it., 1983, I, 1, c. 1233; in Dir. fam. pers., 1983, p. 910.

[25] Cfr. per esempio Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, cit.; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, cit.; Cass., 11 giugno 1998, n. 5829. Per la giurisprudenza di merito favorevole all’applicabilità del principio ex art. 1322 c.c. alla materia degli accordi tra coniugi in sede di crisi coniugale (e delle relative modifiche) cfr. anche App. Brescia, 16 aprile 1987, in Giur. merito, 1987, p. 843; Trib. Treviso, 6 febbraio 1968, in Foro pad., 1968, I, c. 1002, con nota di Ramanzini e Giacomin; Trib. Marsala, 23 dicembre 1994, in Dir. fam. pers., 1995, p. 246, con nota di Conte; in Dir. fam. pers., 1995, p. 1489, con nota di Sala; Pret. Cavalese, 21 gennaio 1987, in Giur. merito, 1987, p. 843. Sul tema specifico degli accordi modificativi delle intese di separazione personale cfr., anche per gli ulteriori rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 319 ss.

[26] Su questo concetto cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 215 ss.

[27] Nello stesso senso cfr. anche Barbiera, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1971, p. 147 s.; A. Finocchiaro, Sulla pretesa inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime della separazione consensuale, in Giust. civ., 1985, I, p. 1659 s.; Alpa e Ferrando, op. cit., p. 505 s.; Metitieri, La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, in Riv. notar., 1995, I, p. 1177; G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 407; Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione consensuale per incapacità naturale, nota a App. Milano, 18 febbraio 1997, in Fam. e dir., 1997, p. 441.

[28] Sul punto cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 215 ss.

[29] Si è così deciso, per esempio, in relazione ad una complessa pattuizione transattiva di tutti i rapporti nati dal vincolo coniugale, che l’accordo dei coniugi sottoposto all’omologazione del tribunale ben può contenere rapporti patrimoniali anche «non immediatamente riferibili, né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli obblighi derivanti dal matrimonio»: v. Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, c. 1787; in Corr. giur., 1991, p. 891, con nota di A. Cavallo. Sempre in materia di transazione cfr. Cass., 12 maggio 1994, n. 4647, in Fam. e dir., 1994, p. 660, con nota di Cei; in Vita notarile, 1994, p. 1358; in Giust. civ., 1995, I, p. 202; in Dir. fam. pers., 1995, p. 105; in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, p. 882, con nota di Buzzelli; in Riv. notar., 1995, II, p. 953. Per una recente pronunzia che fa applicazione dell’art. 1371 c.c. per l’interpretazione di una convenzione accessoria alla sentenza di divorzio cfr. Cass., 14 luglio 2003, n. 10978.

[30] Così Cass., 23 luglio 1987, n. 6424, in Giust. civ., 1988, I, p. 459.

[31] «The word Status may be usefully employed to construct a formula expressing the law of progress thus indicated which, whatever be its value, seems to me to be sufficiently ascertained. All the forms of Status taken notice of in the Law of Persons were derived from, and to some extent are still coloured by, the powers and privileges anciently residing in the Family. If then we employ Status, agreeably with the usage of the best writers, to signify these personal conditions only, and avoid applying the term to such conditions as are the immediate or remote result of agreement, we may say that the movement of the progressive societies has hitherto been a movement from Status to Contract» (cfr. Maine, Ancient Law: Its Connections with Early History of Society and Its Relations to Modern Ideas, New York, 1888, p. 164 s.; il passo è anche riportato in italiano da Rodotà, Il diritto privato nella società moderna, Bologna, 1971, p. 211 s.).

[32] Almeno in parte giustificate: cfr. in particolare le osservazioni di Roppo, Il contratto, Bologna, 1977, p. 26 ss., mentre Rescigno, Persona e comunità, Bologna, 1966, p. 440, dà atto di una più recente tendenza delle legislazioni a percorrere il cammino inverso, dal contratto agli status. Inapplicabili al civil law – ma l’argomento meriterebbe ben altro approfondimento – sono le considerazioni sulla «morte del contratto» svolte da Gilmore, La morte del contratto, ed. it., Milano, 1988, passim.

[33] Proprio sulla base di queste considerazioni lo scrivente ha inteso fondare un’apposita categoria negoziale, caratterizzata da una causa tipica sua propria, definita come «contratto della crisi coniugale», qualificandosi per tale quel contratto a titolo oneroso che viene stipulato dai coniugi per regolare i reciproci rapporti giuridici patrimoniali sorti nel corso della loro relazione esistenziale, quando al regolamento di tali rapporti i coniugi stessi intendono condizionare la definizione consensuale della crisi coniugale o di una fase di quest’ultima (separazione di fatto, separazione legale, divorzio). Tale regolamento di rapporti si attua attraverso la previsione di prestazioni vuoi unilaterali, vuoi reciproche, di carattere sia obbligatorio che reale, periodiche o istantanee: cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 709 s.

[34] Cfr. l’art. 11 d. legis. 9 aprile 2003, n. 70 «Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico», il quale stabilisce l’inapplicabilità della relativa regolamentazione ai «contratti disciplinati dal diritto di famiglia». Il richiamo legislativo, ad avviso dello scrivente, deve intendersi effettuato tanto alle convenzioni matrimoniali (sulla cui natura contrattuale v. per tutti Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p. 617 ss.), quanto ai contratti della crisi coniugale che, come si è dimostrato in altra sede (Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 696 ss.), rinvengono il loro fondamento causale in specifiche disposizioni giusfamiliari.

[35] Cfr. Oberto,  Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 774 ss.

[36] Cfr. Jamet de la Guessiere, Journal des principales audiences du Parlement, avec les arrêts qui y ont été rendus, et plusieurs questions et réglemens placés selon l’ordre des temps, Depuis l’Année 1674 jusqu’en 1685, III, Paris, 1757, p. 230.

[37] Cfr. Merlin, Recueil alphabétique des questions de droit qui se présentent le plus fréquemment dans les tribunaux, II, Paris, 1820, p. 307 ss., p. 313.

[38] E’ il caso, per esempio, di Trib. Roma, 14 dicembre 1998, in Fam. e dir., 2000, p. 60, con nota di Sala, secondo cui «E’ inammissibile la domanda di revoca del de­creto di omologazione della separazione con­sensuale, avanzata da un coniuge sulla base dell’asserita simulazione dell’accordo di sepa­razione omologato, giacché le norme in tema di simulazione dei contratti non sono applicabili ai negozi giuridici familiari, caratterizzati dalla rilevanza di diritti indisponibili e dal controllo dell’autorità giudiziaria»; nello stesso la precedente Trib. Roma, 11 aprile 1996, in Arch. civ., 1997, p. 410, secondo cui «Nel procedimento di separazione consensuale dei coniugi, in considerazione delle peculiarità del procedimento stesso e del concorso dell’accordo-convenzione dei coniugi con elementi propri del diritto pubblico, deve ritenersi inapplicabile in via analogica l’art. 1414 cod. civ. e inammissibile l’azione di nullità per simulazione».

[39] Per la critica si rinvia a Oberto,  Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 789 ss.; per le critiche più specifiche a Trib. Roma, 14 dicembre 1998, cit., cfr. altresì le osservazioni di Sala, Simulazione dell’accordo di separazione consensuale?, nota a Trib. Roma, 14 dicembre 1998, in Fam. e dir., 2000, p. 63 s.

[40] Così, il tribunale di Napoli (Trib. Napoli, 16 ottobre 1996, in Fam. e dir., 1997, p. 355, con nota di Torsello Fabbri; la decisione è stata confermata da App. Napoli, 27 ottobre 1998, in Gius, 1999, p. 775) ha negato l’applicabilità dell’azione di annullamento prevista dall’art. 428 c.c. all’accordo di separazione consensuale, in considerazione della «attiva partecipazione» del presidente all’accordo dei coniugi sulle condizioni della separazione, mentre in senso opposto si è espressa la Corte d’appello di Milano, che ha affermato, in linea generale, l’applicabilità all’accordo di separazione consensuale dell’azione di annullamento ex art. 428 c.c. per incapacità naturale di una delle parti, argomentando dalla natura di negozio familiare della separazione consensuale, cui «sono applicabili solo quelle norme del contratto che esprimono principi generali del negozio giuridico, quali, appunto, quelle in tema di vizi del consenso e di capacità dei soggetti» (cfr. App. Milano, 18 febbraio 1997, cit.; si noti che, nel caso di specie, la domanda d’annullamento è stata ritenuta inammissibile in quanto limitata ad una clausola dell’accordo medesimo, la cui natura si è dichiarata  inscindibile). Anche in materia di simulazione e di vizi del consenso non fanno certo difetto pronunzie di merito che (esattamente come si è visto in materia di incapacità) considerano d’ostacolo all’applicazione della disciplina contrattuale la presenza, al momento dello scambio dei consensi, del presidente del tribunale, enfatizzandone in maniera del tutto ingiustificata il significato e l’incidenza: cfr. per i rinvii e le relative critiche Oberto,  Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 796 ss.

[41] Cfr. Oberto,  Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 800; sempre in senso favorevole all’impugnabilità del negozio di separazione per simulazione, vizi del consenso o  incapacità naturale cfr. Id., I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 234 ss.; Id., La natura dell’accordo  di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (II), cit., p. 88 ss.; v. inoltre Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino, 1995, p. 13 s.; Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione consensuale per incapacità naturale, cit., p. 442; per l’impugnabilità del negozio di separazione in caso di vizi del consenso cfr. anche Doria, «Negozio» di separazione consensuale dei coniugi e revocabilità del consenso, nota a Trib. Napoli, 13 marzo 1989, in Dir. fam. pers., 1990, p. 513; Delconte, Il rapporto tra omologazione del giudice e consenso dei coniugi nella separazione consensuale, in Arch. civ., 1992, p. 642; Mora, La separazione consensuale, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio, Torino, 1997, p. 531; Sala, Simulazione dell’accordo di separazione consensuale?, cit., p. 61 ss.

[42] Cass., 20 marzo 1976, n. 1008; nello stesso senso cfr. anche F. Finocchiaro, Del matrimonio, II, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1993, p. 465; per un’analoga interpretazione del rationale della citata pronunzia di legittimità cfr. Ronco, nota a App. (erroneamente indicata come Trib.) Bologna, 7 maggio 2000, in Giur. it., 2001, p. 66 (la decisione reca invece la data 17 maggio 2000 in Foro it., 2000, I, c. 3616).

[43] Cfr. le pronunzie citate da Azzolina, nel brano riportato infra, alla nota 56.

[44] Trib. Genova, 9 marzo 1983, in Arch. locaz. e cond., 1983, p. 104: «L’assegnazione della casa coniugale alla moglie, anche in sede di separazione consensuale, legittima il marito ad agire in recesso per ottenere la disponibilità di un proprio appartamento locato, essendo onere del conduttore provare semmai in modo adeguato la simulazione della separazione». In motivazione si legge che «non può escludersi in via teorica l’ipotesi di una separazione simulata al fine di eludere le disposizioni vincolistiche delle locazioni poste a tutela dei conduttori», essendo però pur sempre onere della parte conduttrice «dimostrare (…) la mancanza di genuinità delle dette pattuizioni».

[45] Cfr. App. Bologna, 17 maggio 2000, in Foro it., 2000, I, c. 3616, con nota di Casaburi; in Giur. it., 2001, p. 66 (la pronunzia risulta ivi indicata come Trib. Bologna, 7 maggio 2000). Peraltro, sull’improprietà del riferimento alla necessità di dar luogo alla revoca del decreto d’omologazione cfr. Oberto, Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 805 ss.

[46] Cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1340 ss.; Id., Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 232 ss.

[47] Peraltro smentita, come riconosciuto dalla stessa Cassazione, dall’art. 157 c.c.

[48] Cfr. artt. 1415 s., 2652, n. 4, 2690, n. 1, c.c. Per una più approfondita disamina, impossibile in questa sede, dei rapporti con i terzi conseguenti alla declaratoria di simulazione delle intese di separazione consensuale si fa rinvio a Oberto, Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 808 ss., anche per il commento ad una pronunzia di merito (Trib. Bologna, 28 gennaio 1998, in Dir. fam. pers., 1998, p. 1047, con nota di Conte) che, proprio in applicazione dell’art. 1415 c.c., ha respinto la domanda del coniuge che intendeva agire ex art. 184 c.c. verso un terzo asserendo l’esistenza di una situazione di comunione legale instauratasi per effetto dell’entrata in vigore della riforma del 1975 con il marito solo apparentemente separato.

[49] Cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II, p.171 ss. e ora anche Bargelli, L’autonomia privata nella famiglia legittima, il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 303 ss. Tale Autrice, nella sua frettolosa lettura (sempre ammesso che lettura vi sia stata…) dei lavori dello scrivente, accusa quest’ultimo di voler «considerare risolto il problema dei patti sulle conseguenze del divorzio in base alla semplice constatazione del carattere patrimoniale della prestazione», rimproverandolo altresì di non aver svolto un’analisi sufficientemente attenta dei limiti di liceità e degli aspetti più specificamente familiari delle intese in oggetto e lodando invece chi ha individuato quale limite specifico del potere di disposizione degli interessati l’obbligazione alimentare (cfr. EAD., op. cit., p. 313, nota 37). Così facendo (e a tacer d’altro), la predetta, oltre a dimostrare di non aver letto (il che, ovviamente, non è grave; grave, invece, oltre che scorretto, è distribuire censure, senza aver letto il contributo che si critica) le parti del lavoro dello scrivente nelle quali – a ogni piè sospinto – si richiama la necessità del rispetto, nei contratti della crisi coniugale, delle regole d’ordine pubblico e dei principi inderogabili (cfr., a tacer d’altro, OBERTO, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 32, 249 ss.; II, cit., p. 1085 ss.), così come di quelle (inderogabili) proprie del diritto di famiglia e, tra di esse, prima tra tutte, quella relativa all’obbligo alimentare (cfr. OBERTO, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 798 ss., 844 ss.; in tale contesto, si noti che proprio allo specifico tema degli accordi sull’obbligazione alimentare il sottoscritto dedica un’intera sezione: cfr.  Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., da p. 844 a p. 861), sembra dimenticare (il che è ancora più grave) che, tra divorziati, l’obbligo alimentare non esiste…

[50] Come ampiamente documentato in letteratura: cfr. Oberto, Simulazioni e frodi nella crisi coniugale (con qualche accenno storico ad altri ordinamenti europei), cit., p. 774 ss.

[51] Come rilevato da Sacco, «può essere simulato (…) l’atto privato autorizzato da un pubblico ufficiale (partecipe o non partecipe dell’intesa simulatoria). La soluzione è ben sperimentata a proposito del contratto concluso dal padre in nome del figlio minore, con autorizzazione del giudice tutelare» (Sacco, Il contratto, Torino, 1975, p. 393. Con specifico riguardo all’accordo di separazione consensuale cfr. inoltre Butera, Della simulazione nei negozi giuridici e degli atti «in fraudem legis», Torino, 1936, p. 185).

[52] Fr. Ferrara Sen., Della simulazione dei negozi giuridici, Roma, 1922, p. 93 s. Si noti peraltro che l’idea secondo cui «Simulatio excluditur, si actus publice, et palam ac auctoritate judicis expletus fuerit» non fu certo solo prerogativa della dottrina medievale: cfr. per esempio la decisione della Rota Romana, 9 giugno 1684, in Sacrae Rotae Romanae Decisiones, et Summorum Pontificum Constitutiones Recentissimae, Theatrum Veritatis et Justitiae Cardinalis de Luca (…) Amplectentes, confirmantes, et laudantes (c.d. Mantissa al Theatrum Veritatis et Justitiae del Card. de Luca), I, Venetiis, 1706, p. 4.

[53] Cfr. Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Roma, 1914, p. 240: «Ciò è più evidente nella separazione consensuale. Invero per l’adozione si può dubitare che quelle stesse esigenze che operano imperiosamente nel matrimonio, possano anche giustificare si tenga fermo il rapporto costituito, perché sia salvo l’interesse che per la famiglia e lo Stato rappresenta l’obbligo alimentare costituito, ed in genere il vantaggio che all’adottato derivi dall’adozione. Per la separazione consensuale invece non v’è alcun interesse famigliare‑statuale che esiga essa sia tenuta ferma: colla prova dell’accordo preesistente si potrà sempre impugnare la pronunzia intervenuta, impugnativa che può anche ritenersi non necessaria, dato che non è necessaria una nuova pronunzia per eliminare gli effetti della separazione in caso di riconciliazione: si potrà cioè dimostrare che una separazione non vi è mai stata, salvo vedere se nei rapporti coi terzi non sia necessario risulti un ripristinamento dei rapporti coniugali».

[54] Propugnata, come noto, dallo stesso Cicu agli inizi del secolo; su tale concezione v., anche per gli ulteriori rinvii, Sesta, Il diritto di famiglia tra le due guerre e la dottrina di Antonio Cicu, in Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Lettura di Michele Sesta, Momenti del pensiero giuridico moderno. Testi scelti a cura di Pietro Rescigno. Redattore Enrico Marmocchi, Sala Bolognese, 1978, p. 1 ss., 47 ss.; Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 103 ss.

[55] Cfr. per esempio Butera, op. loc. ultt. citt.: «Il processo verbale di separazione consensuale tra coniugi, menzionato negli art. 15 Cod. civile e 811 c.p.c., non esce fuori dai termini di un puro rapporto contrattuale e però come è impugnabile con l’azione pauliana, è, altresì, annullabile con l’azione di simulazione, per quanto ciò, forse, sia poco pratico. L’omologazione del tribunale non è un elemento costitutivo della separazione personale, ma una semplice condizione di eseguibilità. Se l’omologazione del tribunale avesse carattere costitutivo del rapporto, la sua vis attractiva, come dichiarazione, di volontà pubblica, verrebbe a sovrapporsi alla dichiarazione di volontà privata e in tal caso ognun vede che non potrebbe discorrersi di azione d’impugnativa per simulazione».

[56] Cfr. per esempio Azzolina, La separazione personale dei coniugi, Torino, 1951, p. 195: «La natura convenzionale del negozio di separazione fa sì che a quest’ultimo riescano applicabili talune norme particolari alla disciplina dei negozi giuridici di diritto privato, specialmente per quanto riguarda la manifestazione della volontà. Così, ad es., esattamente secondo noi, è stato ritenuto (App. Trani, 23 giugno 1899, in Giur. it., 1899, I, 2, c. 627) che ‘si può ritenere simulato e fatto in frode a dei creditori anche un istrumento di separazione personale per mutuo consenso’. Nessun principio, infatti, osta all’impugnazione da parte dei terzi di un atto che, in quanto volontario, può certamente essere oggetto di simulazione. Così ancora, è stato ritenuto che la convenzione di separazione non sia sottratta all’impugnazione per vizio di consenso (App. Milano, 8 novembre 1940, in Riv. dir. matrim., 1940, p. 390). Ed anche in tale principio si può consentire, pur avvertendo che date le formalità e le cautele imposte dalla legge per la conclusione del negozio (la quale avviene con la cooperazione de presidente del tribunale), la prova del vizio sarà di necessità ardua, e dovrà esser fornita in modo particolarmente rigoroso».

[57] E la correlativa questione circa la possibilità di farlo valere a prescindere dalla citata disposizione: su questi temi cfr. per tutti Pietrobon, sub art. 123 c.c., in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 172 ss.; Conte, Il matrimonio simulato, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, I, Famiglia e matrimonio, 1, Milano, 2002, p. 687 ss.

[58] A ciò s’aggiunga che la stessa Corte non esita, in altra parte della motivazione della pronunzia qui in commento, ad avvalersi del richiamo alle «varie norme codicistiche relative alla materia familiare» che espressamente disciplinano vizi del consenso e capacità delle parti «in tema di celebrazione del matrimonio e di riconoscimento dei figli naturali», per affermare l’applicabilità di tali disposizioni alla separazione consensuale: è dunque la stessa Cassazione ad utilizzare un argomento diametralmente opposto rispetto a quello da ultimo evidenziato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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