Quest'ultimo punto solleva immediatamente il problema del rapporto tra la decisione in esame e quella nota giurisprudenza di legittimità secondo cui, per ciò che attiene alle intese coeve o precedenti alla separazione consensuale omologata, la libertà negoziale dei coniugi incontrerebbe un limite nel principio di «non interferenza» con quanto stabilito nell'accordo omologato, a meno che gli accordi non omologati si trovino «in posizione di conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all'interesse tutelato, come per l'assegno di mantenimento concordato in misura superiore a quella sottoposta ad omologazione» ([39]). La decisione qui in commento sembra però imporre una decisa «sterzata» in favore dell'opinione, già espressa dallo scrivente ([40]), secondo cui tra intese omologate ed intese coeve «segrete» non può porsi altro rapporto se non quello normalmente sussistente tra due negozi conclusi contestualmente sul medesimo oggetto e con pattuizioni tra di esse divergenti.
In effetti, dottrina e giurisprudenza, prima degli ultimi interventi della Cassazione, avevano assai raramente distinto i patti successivi da quelli anteriori o coevi alla separazione, preferendo invece parlare in generale di accordi non omologati, e manifestando comunque, nella maggior parte dei casi, perplessità in ordine alla validità dei medesimi ([41]).
Con due pronunce del 1993 e del 1994 e con alcuni giudicati successivi ([42]) la Suprema Corte è venuta invece a porre una distinzione piuttosto netta tra accordi conclusi posteriormente rispetto alle intese omologate, validi a prescindere dalla loro omologazione (peraltro non prevista da alcuna norma), da un lato, e quelli anteriori o coevi, dall'altro. Questi ultimi sarebbero validi solo se in posizione di «non interferenza» rispetto all'accordo omologato (perché concernenti un aspetto non disciplinato nell'accordo formale, oppure perché aventi un carattere meramente specificativo di disciplina secondaria), ovvero in posizione «di conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all'interesse tutelato», come nel caso di assegno di mantenimento concordato in misura superiore a quella sottoposta ad omologazione.
Le decisioni di legittimità appena citate sono venute sostanzialmente a riprendere un indirizzo già maturato in seno alla giurisprudenza di merito ([43]) e da quest'ultima mantenuto talora anche successivamente ([44]). Per ciò che attiene alla dottrina, poi, va detto che l'articolata soluzione fornita dalla giurisprudenza al problema qui in esame è stata approvata da una parte dei commentatori ([45]), mentre ha sollevato in altri più che fondate perplessità. Perplessità che si giustificano - ad avviso di chi scrive - non tanto per ciò che attiene alla distinzione imperniata sul parametro temporale (che, sia detto per incidens, rinviene - ancorché in tutt'altra materia - un illustre precedente nello stesso codice civile: cfr. artt. 2722 s.).
Certo, è verissimo che, in base al dettato normativo, l'unica distinzione prospettabile in ordine agli accordi non omologati è quella tra accordi relativi alla «situazione» dei figli ed accordi che esauriscono la loro portata nei riguardi dei coniugi, perché è diverso il grado di autonomia privata riconosciuto alle parti (coniugi) nelle due ipotesi ([46]). Ma è altrettanto vero che tutte queste manifestazioni d'autonomia, che si concretano in accordi non sottoposti al vaglio dell'omologa, non possono sempre essere trattate allo stesso modo.
Un esempio lampante è costituito proprio dal fatto che i patti coevi alla separazione consensuale possono porre, rispetto alle intese omologate, un problema di simulazione, impensabile con riferimento agli altri. D'altro canto, un accordo precedente alla separazione ed incompatibile con le clausole di quest'ultima ben può intendersi (salva, ovviamente, la necessaria opera di interpretazione ex artt. 1362 ss. c.c.) come non più operante per sopravvenuta abrogazione.
Appare dunque condivisibile la scelta di procedere tenendo distinte le tre situazioni cui si è fatto richiamo, proprio per le peculiarità che ciascuna di esse presenta, ancorché la conclusione (negativa) sul quesito generale dell'eventuale carattere ostativo della mancata omologazione debba essere, ad avviso di chi scrive, uniforme in tutti i casi. Ciò che invece lascia perplessi, con riguardo alla ricostruzione operata dalla Corte Suprema nelle sentenze appena citate, è - lo si ripete - che nel caso di accordi precedenti o coevi, l'intesa delle parti abbia valore a condizione che essa sia «in posizione di conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all'interesse tutelato, come per l'assegno di mantenimento concordato in misura superiore a quella sottoposta ad omologazione».
Secondo taluno ([47]) la soluzione sarebbe dettata dalla preoccupazione di non privare l'istituto della omologazione di ogni senso compiuto, ipotesi che si potrebbe verificare se anche agli accordi anteriori o contestuali fossero sic et simpliciter estese le stesse conclusioni raggiunte per i patti successivi. Peraltro, si è ampiamente illustrato in altra sede che le condizioni della separazione - come elemento accessorio del contenuto del negozio di separazione in senso ampio ([48]) - possono, ma non debbono necessariamente risultare dal verbale; lo stesso vale poi per tutte le condizioni di un'eventuale separazione di fatto ([49]), che per definizione dall'omologa prescinde. L'estensione anche ai patti precedenti o coevi delle conclusioni della Cassazione in materia di accordi successivi non viene dunque a privare di significato l'istituto dell'omologazione, per lo meno più di quanto già non faccia l'attribuzione di rilievo alla separazione di fatto o la considerazione che i coniugi non sono obbligati ad inserire nel verbale tutte le condizioni della loro futura vita da separati ([50]).
Venendo dunque alla condizione di «conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all'interesse tutelato», va detto che si tratta qui d'un requisito che, oltre a non trovare un appiglio normativo nell'àmbito della disciplina in esame, contrasta con quegli stessi principi negoziali in cui la Cassazione ha (correttamente)sempre voluto - da alcuni decenni ormai a questa parte - collocare i rapporti tra coniugi in crisi. Principi che vogliono - quanto meno per ragioni di coerenza - che tra due accordi tra le stesse parti e sul medesimo oggetto il secondo in ordine temporale revochi il primo, se con esso incompatibile, mentre, nel caso di contemporaneità (salve, come già detto, le possibili questioni concernenti l'interpretazione dell'intesa), si possa porre un problema di simulazione delle condizioni accedenti all'accordo di separazione sottoposto ad omologa ([51]).
Non vi è quindi dubbio, conclusivamente, che l'unica distinzione sempre rilevante sia quella tra accordi concernenti i rapporti tra i coniugi e accordi riguardanti la situazione della prole minorenne, secondo quanto sopra illustrato, mentre la distinzione relativa al tempo di conclusione degli accordi può assumere rilevanza, a seconda del caso concreto, al fine di risolvere - alla luce dei principi generali in materia di contratto, ivi compresi in primo luogo quelli attinenti all'interpretazione della volontà negoziale (principi estensibili ad eventuali accordi non patrimoniali, attesa la natura negoziale delle intese in discorso) - i possibili contrasti con le intese omologate ([52]).
Le conclusioni di cui sopra, già elaborate dallo scrivente nei confronti della giurisprudenza antecedente rispetto alla decisione qui in commento, vengono ora da quest'ultima confermate, con quello che si potrebbe definire un vero e proprio implicito (forse neanche troppo consapevole, ma sicuramente esistente e rispondente alla ratio decidendi) revirement. Non rimane da augurarsi che la Cassazione acquisti piena consapevolezza di questo mutamento di rotta e consideri come definitivamente superato, anche per gli accordi precedenti e coevi alle intese di separazione e divorzio, il criterio della «conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all'interesse tutelato».
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