4. La natura negoziale degli accordi di separazione consensuale e di divorzio su domanda congiunta. I contratti della crisi coniugale.

 

           Tornando alla questione principale discussa nella sentenza in commento, va osservato come il problema della configurabilità di una simulazione della (e nella) separazione consensuale (e, più in generale nelle intese dirette a dirimere i problemi sorti nell’ambito della crisi coniugale, dovendosi senz’altro aggiungere alla separazione gli accordi posti a base del ricorso per divorzio su domanda congiunta) appaia strettamente legato a quello della natura del negozio che si pone alla base del rimedio ex artt. 158 c.c. e 711 c.p.c. (così come dell’accordo che «sorregge» e giustifica il divorzio su domanda congiunta).

Il tema è stato da chi scrive ampiamente sviluppato altrove, per cui non rimarrà che fare rinvio ai lavori sull’argomento ([53]), riportandone qui di seguito, sinteticamente, le conclusioni, favorevoli al pieno ed incondizionato riconoscimento del carattere negoziale delle intese in oggetto, con conseguente affermazione della applicabilità della normativa contrattuale, a cominciare dal principio-cardine costituito dall’art. 1322 c.c., tanto al negozio di separazione personale, che a quello di divorzio su domanda congiunta, che a quelle particolari intese di carattere patrimoniale concluse in sede, in occasione, o anche solo in vista della separazione personale, della separazione di fatto, del divorzio o dell’annullamento del matrimonio, già qualificate dallo scrivente come «contratti della crisi coniugale».

Del resto, l’applicabilità del canone citato alla materia degli accordi tra coniugi in occasione di separazione e divorzio costituisce ormai un dato accettato da buona parte della dottrina e della giurisprudenza, e non sarà forse inutile ricordare come, non a caso, proprio in quello scritto, risalente al 1945, che può considerarsi come l’atto di nascita della (moderna) teoria del negozio giuridico familiare, Francesco Santoro-Passarelli non esitasse a dichiarare l’applicabilità – quanto meno in linea di principio – a quest’ultimo, anche nei settori non patrimoniali, della disciplina dettata dal codice per il contratto in generale ([54]). Sempre nel principio dell’autonomia contrattuale Arturo Carlo Jemolo ([55]) rinveniva alcuni anni dopo il fondamento d’un accordo diretto alla predeterminazione delle conseguenze dell’annullamento del matrimonio, rilevando come in questo caso fosse «palese l’interesse tipico del regolamento di rapporti, se pure non si abbia una disposizione esplicita del codice che preveda tale regolamento, essendo quasi impensabile che al termine della convivenza non ci siano ragioni di dare ed avere, pretese reciproche» ([56]).

Nella dottrina più recente, poi, il richiamo alle regole in tema di autonomia privata si è andato via via infittendo, specie sull’onda dell’autorevole constatazione per cui, anche nel campo dei rapporti patrimoniali tra i coniugi (in crisi), «ove tra le parti si convenga l’attribuzione di diritti e l’assunzione di obblighi di natura patrimoniale, non parrebbe contraddire alla definizione dell’art. 1321 la qualificazione di ‘contratto’» ([57]).

Lo stesso può dirsi per la giurisprudenza, particolarmente per quella di legittimità. Così, per esempio, troviamo che un espresso rimando al principio in esame compare per ben due volte in una nota decisione sulla validità degli accordi preventivi tra coniugi in materia di conseguenze patrimoniali dell’annullamento del matrimonio ([58]), mentre espliciti o impliciti riferimenti all’autonomia contrattuale punteggiano tutta o quasi la complessa vicenda in tema di trasferimenti immobiliari e mobiliari in sede di separazione personale tra coniugi ([59]), a cominciare da quel leading case risalente al 1972 ([60]), che pure all’epoca aveva suscitato le (ingiustificatamente) preoccupate reazioni di parte della dottrina ([61]), per continuare con il caso in cui i Supremi Giudici invocarono proprio il principio della libertà contrattuale, al fine di ammettere la validità dell’impegno con il quale uno dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale, aveva promesso di trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile, anche se tale sistemazione dei rapporti patrimoniali era avvenuta al di fuori di qualsiasi controllo giudiziale in sede di omologa ([62]). Ancora al concetto di «convenzione di diritto familiare» fa richiamo la Cassazione in una decisione del 1983 per affermare l’applicabilità all’accordo di riconciliazione dei principi generali degli artt. 1326-1328 c.c. in tema di formazione del consenso ([63]).

Per non dire poi dell’evoluzione più recente in materia di accordi non omologati, ove (come si è appena visto) la Cassazione riconosce effetto, ormai da alcuni anni a questa parte, al pieno dispiegarsi della negozialità dei coniugi, in forza del principio sancito dall’art. 1322 c.c., ritenuto senza riserve applicabile al caso di specie, addirittura anche per quanto concerne le pattuizioni concernenti la prole minorenne; conclusione, quest’ultima, che conferma l’espansione dell’operatività della sfera dell’autonomia privata anche nel settore di quei negozi del diritto di famiglia non caratterizzati dalla patrimonialità ([64]).

Ancora, per quanto attiene, più specificamente, alle intese costituenti il «contenuto eventuale» ([65]) dell’accordo di separazione consensuale, non sembra ormai potervi essere dubbio sulla natura non solo negoziale di questi atti, bensì addirittura sul relativo carattere contrattuale, allorquando gli stessi (come per lo più accade) abbiano ad oggetto prestazioni di carattere patrimoniale ([66]). Anche qui l’art. 1322 c.c. ha ricevuto concreta applicazione in un’innumerevole serie di casi che hanno portato il «diritto vivente» a determinare, in nome del principio dell’autonomia privata (sovente espressamente menzionato nelle motivazioni delle decisioni), una vera e propria dilatazione dell’usuale contenuto dell’accordo di separazione, ben al di là di quegli angusti limiti in cui parte della dottrina ([67]) lo avrebbe voluto inquadrare ([68]). Non stupisce dunque che, da alcuni anni a questa parte, accada sempre più di frequente all’osservatore della giurisprudenza di legittimità di imbattersi in affermazioni del genere di quella secondo cui «i rapporti patrimoniali tra i coniugi sepa­rati hanno rilevanza solo per le parti, non essendovi coinvolto alcun pubblico interesse, per cui essi sono pienamente disponibi­li e rientrano nella loro autono­mia privata» ([69]). In altri termini, pur con le dovute cautele, sembra potersi dire che anche nel diritto patrimoniale della famiglia deve darsi atto di una progressiva evoluzione «dagli status al contratto». La nota massima elaborata da Maine oltre un secolo fa ([70]), sebbene abusata e sottoposta a critiche ([71]), sembra ancora adatta ad esprimere il lungo e travagliato percorso compiuto dalla negozialità anche in questo settore del diritto privato.

Proprio sulla base di queste considerazioni lo scrivente ha inteso fondare un’apposita categoria negoziale, caratterizzata da una causa tipica sua propria, definita come «contratto della crisi coniugale», qualificandosi per tale quel contratto a titolo oneroso che viene stipulato dai coniugi per regolare i reciproci rapporti giuridici patrimoniali sorti nel corso della loro relazione esistenziale, quando al regolamento di tali rapporti i coniugi stessi intendono condizionare la definizione consensuale della crisi coniugale o di una fase di quest’ultima (separazione di fatto, separazione legale, divorzio). Tale regolamento di rapporti si attua attraverso la previsione di prestazioni vuoi unilaterali, vuoi reciproche, di carattere sia obbligatorio che reale, periodiche o istantanee ([72]).

 

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([53]) Cfr., anche per gli ulteriori rinvii dottrinali e giurisprudenziali, Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., 28 ss.; in particolare, sulla natura contrattuale dell’accordo di separazione consensuale, per ciò che attiene alle intese d’ordine economico, v. Id., La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (I), in Fam. e dir., 1999, 601 ss.; Id., La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili (II), ivi, 2000, 86 ss.

([54]) Cfr. Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, 382 s. (lo scritto venne pubblicato per la prima volta in Dir. e giur., 1945, 3 ss.): «Il codice civile non contiene una disciplina generale del ne­gozio giuridico, la quale può però ricavarsi dalle sue norme, essendo evidente che le norme sui contratti, ‘in quanto com­patibili’, siano suscettibili di applicazione non solo agli ‘atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale’ (art. 1324), ma al negozio giuridico anche fuori del diritto patrimoniale. A ciò è da aggiungere che la figura del negozio giuridico nel di­ritto familiare è supposta dal codice (e la sua utilizzazione s’im­pone perciò all’interprete), poiché in esso si fa richiamo a no­zioni caratteristiche del negozio, come i vizi della volontà (arti­coli 122, 265), le modalità, quali il termine e la condizione (ar­ticoli 108, 257), l’irrevocabilità o la revocabilità dell’atto (arti­coli 256, 2982), la sua invalidità (artt. 117 segg., 263 segg.)»; v. inoltre Gangi, Il matrimonio, Milano, 1969, 28 s.; contra Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1970, 16 s.; per l’applicabilità, di volta in volta, ai negozi giuridici familiari dei principi contrattuali «congrui con l’atto di autonomia familiare posto in essere» v. Bianca, Diritto civile, II, Famiglia e successioni, Milano, 1981, 18; per una serie di osservazioni critiche sulla figura del negozio giuridico familiare v. Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, in Famiglia e circolazione giuridica, a cura di G. Fuccillo, Milano, 1997, 23 ss. (sulla cui posizione cfr. però le osservazioni critiche di Oberto, I contratti della crisi coniugale, 129 ss.).

([55]) Si noti che si tratta proprio di quella autorevole voce che solo dieci anni prima aveva definito la famiglia come «un’isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto»: v. Jemolo, La famiglia e il diritto, 1957, riportato in Aa. Vv., «Verso la terra dei figli», Milano, 1994, 69.

([56]) Jemolo, Convenzioni in vista di annullamento di matrimonio, in Riv. dir. civ., II, 1967, 530: «Farei (...) perno sull’art. 1322 c.c., soggiungendo che siamo in un caso in cui è palese l’interesse tipico del regolamento di rapporti, se pure non si abbia una disposizione esplicita del codice che preveda tale regolamento, essendo quasi impensabile che al termine della convivenza non ci siano ragioni di dare ed avere, pretese reciproche: la funzione economico-sociale del contratto è quindi evidente, anche se non siamo di fronte ad un tipico negozio causale. Circa il quantum dell’obbligazione e l’addossarla all’uno od all’altro dei coniugi, è materia in cui l’autonomia delle parti agisce in pieno, dandosi insindacabilità del giudice nel valutare se ci sia stata o meno generosità di chi si è obbligato, se avrebbe potuto dare una somma minore».

([57]) Rescigno, Contratto in generale, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988, 10; per analoghe considerazioni cfr. Russo, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti «matrimoniali» di separazione, di divorzio, di nullità (a proposito del disegno di legge n. 1831/1987 per l’applicazione dell’Accordo 18 febbraio 1984 tra l’Italia e la S. Sede nella parte concernente il matrimonio), in Dir. fam. pers., 1989, 1092; Zoppini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare nella separazione personale dei coniugi, nota a Cass., 23 dicembre 1988, n. 7044, in Giur. it., 1990, I, 1, 1326; L. Rubino, Gli accordi familiari, in I contratti in generale, diretto da G. Alpa e M. Bessone, II, 2, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, Torino, 1991, 1160 ss.; Busnelli e Giusti, Le sort des biens et la pension alimentaire dans le divorce sans faute, in Rapports nationaux italiens au XIVe Congrès International de Droit Comparé, Milano, 1994, 93 s.; G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit., 378 ss., 406 ss.; Ead., Contratti tra coniugi in vista della cessazione del ménage, Padova, 1999, 89 ss.; Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, 56 ss., 63 ss.; Sala, La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella separazione di fatto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, 1106 ss. Per la dottrina contraria, pervicacemente aggrappata all’idea (contraria tanto al testo quanto allo spirito delle norme vigenti) di una sorta di immanenza del ruolo del giudice nei rapporti patrimoniali tra coniugi in crisi, si fa rinvio agli autori citati nell’analisi critica svolta in Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., 103 ss., 129 ss., 411 ss.

Il dispiegamento dell’autonomia privata nel campo matrimoniale si estende ormai ad abbracciare un campo che va dalla celebrazione delle nozze sino allo scioglimento del vincolo. Sotto il primo aspetto si rileva il rinnovato ruolo, dopo la riforma del diritto di famiglia, dell’autonomia privata nel matrimonio, «come affermazione della dignità dell’istituto che deve essere riconosciuto in tutta la sua importanza solo quando l’atto costitutivo risponda alle caratteristiche di una cosciente autonomia» (Trabucchi, Matrimonio (diritto civile), in Noviss. dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, 1189), rimarcandosi d’altro canto come lo stesso ampliamento del tema delle azioni di impugnativa matrimoniale confermi il deciso riconoscimento dell’idea del matrimonio come atto di autonomia privata: cfr. Bianca, Commento all’art. 117 c.c., in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, 106; sul punto v. anche Pietrobon, Note introduttive agli artt. 17 e 18 Nov., in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, cit., 138, il quale osserva come si sia assistito «all’attribuzione di una maggiore, o più chiara, valutazione del consenso (fatto individuale) rispetto alla celebrazione (fatto sociale): basti ricordare la più ampia portata attribuita all’errore, alla rilevanza del timore e alla simulazione» (nello stesso ordine di idee v. anche Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, cit., 217, cui si fa rinvio – cfr. 214 ss. – anche per un puntiglioso catalogo dei dati normativi che depongono nel senso dell’operatività dell’autonomia privata anche in àmbito familiare).

L’evoluzione della legislazione italiana trova un corrispondente nello sviluppo di ordinamenti stranieri. Così, per esempio – a parte le considerazioni svolte in altra sede sull’ammissibilità di contratti prematrimoniali tesi a disciplinare, addirittura, le conseguenze di un eventuale futuro divorzio (v. Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., 483 ss.; Id., «Prenuptial agreements in contemplation of divorce» e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale, cit.) – potrà rilevarsi che anche nella vicina Francia si è assistito, nel corso degli ultimi decenni, ad un processo che ha progressivamente portato all’emergere del consenso e della negozialità nella famiglia, nel corso di quella che è stata definita come una «révolution tranquille, qui remet en cause la cohérence antérieure en matière de gouvernement de la famille», passando attraverso le riforme della tutela (1964), dei regimi matrimoniali (1965), dell’adozione (1966), degli incapaci maggiorenni (1968), della potestà dei genitori (1970), della filiazione (1972) e del divorzio (1975) (Théry, Le démariage. Justice et vie privée, Paris, 1993, 69, che riprende sul punto una definizione di Gérard Cornu), cui ben può aggiungersi, per i tempi più recenti (1999), la regolamentazione della convivenza more uxorio e l’introduzione del «patto civile di solidarietà». La conclusione è dunque che anche Oltralpe «l’irruption de la volonté dans le droit de la famille est un fait peu discutable» (Hauser et Huet-Weiller, La famille. Fondation et vie de la famille, nel Traité de droit civil, sous la direction de J. Ghestin, Paris, 1993, 30).

([58]) Cass., 13 gennaio 1993, n. 348, in Corr. giur., 1993, 822 con nota di Lombardi; in Giur. it., 1993, 1, 1, 1670 con nota di Casola; in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 950, con note di Cubeddu e di Rimini; in Vita notarile, 1994, 91, con nota di Curti; in Contratti, 1993, 140, con nota di Moretti.

([59]) Sul tema cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., in partic. 69 ss.; per questa constatazione v. anche G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit., 378 s.; Longo, Trasferimenti immobiliari a scopo di mantenimento del figlio nel verbale di separazione: causa, qualificazione, problematiche, nota a App. Genova, 27 maggio 1997, in Dir. fam. pers., 1998, 576.

([60]) Cass., 25 ottobre 1972, n. 3299, in Giust. civ., 1973, I, 221; ivi, 1974, I, 173, con nota di Bergamini.

([61]) Cfr. Liserre, Autonomia negoziale e obbligazione di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, 475 ss.

([62]) Cfr. Cass., 5 luglio 1984, n. 3940, in Dir. fam. pers., 1984, 922. I giudici di legittimità approfittano dell’occasione per soffermarsi sul problema della validità dell’accordo sotto il profilo della «meritevolezza degli interessi alla cui realizzazione il negozio era preordinato». Individuata la causa di quest’ultimo nell’ «attuazione [di] un’obbligazione di mantenimento avente causa lecita», la meritevolezza di tutela, ex art. 1322 c.c., viene affermata sulla base della constatazione che l’accordo opera «una equiparazione fra l’interesse perseguito dalle parti e quello che, nell’àmbito dei rapporti patrimoniali nascenti dal matrimonio, è previsto e tutelato espressamente dal legislatore con apposite norme dirette a proteggere la posizione del coniuge meno abbiente (…) essendo inconcepibile sul piano logico-giuridico che lo stesso interesse riceva protezione quando sia previsto dal legislatore e non anche quando sia ricollegato all’autonomia privata. (…) Da tali considerazioni emerge chiaramente che la causa del negozio va inquadrata nell’adempimento di un’obbligazione di mantenimento e non in un atto di liberalità allora vietato dall’art. 781 cod. civ.» (per una più recente decisione di merito fondata sulla medesima ratio decidendi cfr. App. Genova, 27 maggio 1997, in Dir. fam. pers., 1998, 572, con nota di Longo).

([63]) Cass., 29 aprile 1983, n. 2948, in Giur. it., 1983, I, 1, 1233; in Dir. fam. pers., 1983, 910.

([64]) Cfr. per esempio Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, cit.; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, cit.; Cass., 11 giugno 1998, n. 5829, cit. Per la giurisprudenza di merito favorevole all’applicabilità del principio ex art. 1322 c.c. alla materia degli accordi tra coniugi in sede di crisi coniugale (e delle relative modifiche) cfr. anche App. Brescia, 16 aprile 1987, cit.; Trib. Treviso, 6 febbraio 1968, in Foro pad., 1968, I, 1002, con nota di Ramanzini e Giacomin; Trib. Marsala, 23 dicembre 1994, cit.; Pret. Cavalese, 21 gennaio 1987, cit. Sul tema specifico degli accordi modificativi delle intese di separazione personale cfr., anche per gli ulteriori rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., 319 ss.

([65]) Su questo concetto cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., 215 ss.

([66]) Nello stesso senso cfr. anche Barbiera, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1971, 147 s.; A. Finocchiaro, Sulla pretesa inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime della separazione consensuale, in Giust. civ., 1985, I, 1659 s.; Alpa e Ferrando, Se siano efficaci – in assenza di omologazione – gli accordi tra i coniugi separati con i quali vengono modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione relative al mantenimento dei figli, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi, Padova, 1989, 505 s.; Metitieri, La funzione notarile nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, in Riv. notar., 1995, I, 1177; G. Ceccherini, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit., 407; Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione consensuale per incapacità naturale, nota a App. Milano, 18 febbraio 1997, in Fam. e dir., 1997, 441.

([67]) Sul punto cfr., anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., 215 ss.

([68]) Si è così deciso, per esempio, in relazione ad una complessa pattuizione transattiva di tutti i rapporti nati dal vincolo coniugale, che l’accordo dei coniugi sottoposto all’omologazione del tribunale ben può contenere rapporti patrimoniali anche «non immediatamente riferibili, né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli obblighi derivanti dal matrimonio» (Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787; in Corr. giur., 1991, 891, con nota di A. Cavallo). Sempre in materia di transazione la Corte ha stabilito, in epoca ancora più recente, che «Anche nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra i coniugi è ammissibile il ricorso alla transazione per porre fine o per prevenire l’insorgenza di una lite tra le parti, sia pure nel rispetto della indisponibilità di talune posizioni soggettive, ed è configurabile la distinzione tra contratto di transazione novativo e non novativo, realizzandosi il primo tutte le volte che le parti diano luogo ad un regolamento d’interessi incompatibile con quello preesistente, in forza di una previsione contrattuale di fatti o di presupposti di fatto estranei al rapporto originario (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha ritenuto novativa e, quindi, non suscettibile di risoluzione per inadempimento, a norma dell’art. 1976 cod. civ., la transazione con la quale il marito si obbligava espressamente, in vista della separazione consensuale, a far conseguire alla moglie la proprietà di un appartamento in costruzione, allo scopo di eliminare una situazione conflittuale tra le parti)» (Cass., 12 maggio 1994, n. 4647, in Fam. e dir., 1994, 660, con nota di Cei; in Vita notarile, 1994, 1358; in Giust. civ., 1995, I, 202; in Dir. fam. pers., 1995, 105; in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 882, con nota di Buzzelli; in Riv. notar., 1995, II, 953).

([69]) Così Cass., 23 luglio 1987, n. 6424, in Giust. civ., 1988, I, 459.

([70]) «The word Status may be usefully employed to construct a formula expressing the law of progress thus indicated which, whatever be its value, seems to me to be sufficiently ascertained. All the forms of Status taken notice of in the Law of Persons were derived from, and to some extent are still coloured by, the powers and privileges anciently residing in the Family. If then we employ Status, agreeably with the usage of the best writers, to signify these personal conditions only, and avoid applying the term to such conditions as are the immediate or remote result of agreement, we may say that the movement of the progressive societies has hitherto been a movement from Status to Contract» (cfr. Maine, Ancient Law: Its Connections with Early History of Society and Its Relations to Modern Ideas, New York, 1888, 164 s.; il passo è anche riportato in italiano da Rodotà, Il diritto privato nella società moderna, Bologna, 1971, 211 s.).

([71]) Almeno in parte giustificate: cfr. in particolare le osservazioni di Roppo, Il contratto, Bologna, 1977, 26 ss., mentre Rescigno, Persona e comunità, Bologna, 1966, 440, dà atto di una più recente tendenza delle legislazioni a percorrere il cammino inverso, dal contratto agli status. Inapplicabili al civil law – ma l’argomento meriterebbe ben altro approfondimento – sono le considerazioni sulla «morte del contratto» svolte da Gilmore, La morte del contratto, ed. it., Milano, 1988, passim.

([72]) Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, cit., 709 s.

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