IL FUTURO EUROPEO DEL DIRITTO
PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA
(Conferenza in lingua italiana)
PRENUPTIAL
AGREEMENTS IN CONTEMPLATION OF DIVORCE
(Presentation
in English)
EHEVERTRÄGE ANLÄSSLICH
DER SCHEIDUNG
NACH
DEUTSCHEM RECHT
(Bericht auf
Deutsch)
(Traccia ipertestuale per una triplice relazione
multilingue)
Sommario/Table
of Contents/Inhaltsübersicht: 1. Esiste (o esisterà mai) un diritto europeo della famiglia? – 2. Il
rilievo «extracomunitario» ed «ecumenico» delle disposizioni del Regolamento n.
2201 del 2003 (in particolare in tema di determinazione della competenza
giurisdizionale). – 3. Il futuro europeo del regime dei
rapporti patrimoniali endofamiliari. – 4. L’accordo franco-tedesco del 2010 sul regime patrimoniale
uniforme. – 5. Prenuptial Agreements in Contemplation of
Divorce: an Historical Overview. – 6. Prenuptial
Agreements in Contemplation of Divorce in the U.S.A. – 7.
Prenuptial Agreements in Contemplation of Divorce in the United Kingdom. – 8. Prenuptial Agreements in Contemplation of Divorce in
Continental Europe. – 9. Eheverträge anlässlich der Scheidung nach deutschem
Recht: Die Rechtssprechung vor 2001. – 10. Eheverträge
anlässlich der Scheidung nach deutschem Recht: Die notarielle Praxis. – 11. Eheverträge anlässlich der Scheidung nach deutschem
Recht: Die Rechtssprechung nach 2001.
1. Esiste (o
esisterà mai) un diritto europeo della famiglia?
·
Se si intende un codice di famiglia europeo,
probabilmente no.
Come ho spiegato in un mio studio sull’argomento (cfr.
Oberto, La comunione coniugale nei suoi profili di diritto comparato,
internazionale ed europeo, in Il
diritto di famiglia e delle persone, 2008, pag. 367-400 e in La Voce del
Foro, 1-2/2010, pag. 7-42 [Versione .pdf disponibile online alla pagina web
seguente: https://www.giacomooberto.com/download/oberto_comunione_dir_compar_internazi.pdf]):
|
·
Certo non si può
pensare ad un «codice europeo della famiglia», così come lo intendiamo oggi,
alla luce del trattato
istitutivo dell’UE (titolo V: spazio di libertà, sicurezza e
giustizia)
·
V. artt. 67 e 81 del trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea (dopo Lisbona).
TITOLO V SPAZIO DI LIBERTÀ, SICUREZZA E GIUSTIZIA CAPO 1 DISPOSIZIONI GENERALI Articolo 67 (ex articolo 61 del TCE ed ex articolo 29 del TUE) 1. L’Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali
nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni
giuridiche degli Stati membri. 2. Essa garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle
frontiere interne e sviluppa una politica comune in materia di asilo,
immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà
tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi. Ai fini
del presente titolo gli apolidi sono equiparati ai cittadini dei paesi terzi.
3. L’Unione si adopera per garantire un livello elevato di
sicurezza attraverso misure di prevenzione e di lotta contro la criminalità,
il razzismo e la xenofobia, attraverso misure di coordinamento e cooperazione
tra forze di polizia e autorità giudiziarie e altre autorità competenti,
nonché tramite il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali
e, se necessario, il ravvicinamento delle legislazioni penali. 4. L’Unione facilita l’accesso
alla giustizia, in particolare attraverso il principio di riconoscimento
reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali in materia civile.
(…) CAPO 3 COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA CIVILE Articolo 81 (ex articolo 65 del TCE) 1. L’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie
civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco
delle decisioni
giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari
degli Stati membri. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio,
deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano, in
particolare se necessario al buon funzionamento del mercato interno, misure
volte a garantire: a) il riconoscimento
reciproco tra gli
Stati membri delle decisioni
giudiziarie ed
extragiudiziali e la loro esecuzione; b) la notificazione
e la comunicazione transnazionali
degli atti giudiziari ed
extragiudiziali; c) la compatibilità
delle regole applicabili
negli Stati membri ai conflitti
di leggi e di giurisdizione;
d) la cooperazione
nell’assunzione dei
mezzi di prova; e) un accesso
effettivo alla
giustizia; f) l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei
procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile
applicabili negli Stati membri; g) lo sviluppo di metodi alternativi per la
risoluzione delle controversie; h) un sostegno alla formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari. 3. In deroga al paragrafo 2, le misure relative al diritto di
famiglia aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che
delibera secondo una procedura legislativa speciale. Il Consiglio delibera
all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Il Consiglio, su
proposta della Commissione, può adottare una decisione che determina gli
aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali e che
potrebbero formare oggetto di atti adottati secondo la procedura legislativa
ordinaria. Il Consiglio delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento
europeo. I parlamenti nazionali sono informati della proposta di cui al
secondo comma. Se un parlamento nazionale comunica la sua opposizione entro
sei mesi dalla data di tale informazione, la decisione non è adottata. In
mancanza di opposizione, il Consiglio può adottare la decisione. |
·
Quali sono i settori in cui si può
parlare oggi di diritto europeo della famiglia?
·
Tutto nasce
dall’idea della cooperazione
giudiziaria in materia civile, nelle cause transfrontaliere: evitare che
più giudici decidano la stessa questione, con evidente conflitti di giudicati.
·
Da ciò nasce
quella che ho chiamato l’ «ottica di Bruxelles», vale a dire l’ottica diretta a disciplinare le sole
questioni processuali
dell’individuazione del giudice competente, del riconoscimento e
dell’esecuzione (libera circolazione) delle decisioni, alla questione del diritto applicabile.
·
A quest’ottica,
sempre nella prospettiva dell’ avvicinamento (approximation, rapprochement,
Annäherung), s’affianca però quella che ho chiamato «ottica di Roma», cioè
l’individuazione di regole di d.i.p. uniformi,
·
Fa poi capolino
(quale effetto delle due precedenti) un terzo tipo di ottica, oggi esclusa dai Trattati,
ma che prima o poi finirà con l’affermarsi, che è l’ottica del diritto materiale uniforme,
sulla scia dell’accordo bilaterale franco-tedesco (su cui v. infra).
·
Il tutto nel
quadro di un processo di universalizzazione
o, se si preferisce, di ecumenizzazione
del diritto comunitario, di cui vien detto nel § immediatamente seguente.
2. Il rilievo «extracomunitario» ed «ecumenico»
delle disposizioni del Regolamento n. 2201 del 2003 (in particolare in tema di
determinazione della competenza giurisdizionale).
Articolo
di Roberta Clerici sulla rivista Aiaf
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Sentenza
della Corte giustizia CEE
29 novembre 2007 (Sundelind c. Lopez):
22
Certamente, tale disposizione, che prevede che un convenuto che ha la
residenza abituale in uno Stato membro o che è cittadino di uno Stato membro
può essere citato dinanzi ai giudici di un altro Stato membro, tenuto conto
del carattere esclusivo delle competenze definite agli artt. 3‑5 del
regolamento n. 2201/2003, solo in base a tali disposizioni – e, di
conseguenza, ad esclusione delle norme di competenza fissate dal diritto
nazionale – non vieta, al contrario, che un convenuto che non ha né la sua
residenza abituale in uno Stato membro né la cittadinanza di uno Stato membro
possa, a sua volta, essere citato dinanzi ad un giudice di uno Stato membro
in base alle norme di competenza previste dal diritto nazionale di tale
Stato. |
Trib.
Belluno su coniugi indiani.
TRIBUNALE DI BELLUNO, 6 marzo 2009, n. 106, in Fam.
dir., 2010, p. 179 Nel caso di domanda di divorzio
proposta da coniugi che non sono cittadini italiani e che hanno contratto matrimonio nel paese
d’origine (nella specie, in India) va affermata la giurisdizione del giudice
italiano, in forza del Regolamento CE n. 2201/2003 in materia
matrimoniale che trova applicazione a prescindere dalla cittadinanza europea delle parti ed
indipendentemente dalle norme sulla giurisdizione previste dal diritto
nazionale. Nella fattispecie, la
giurisdizione italiana (di carattere esclusivo, ai sensi dell’art. 6 del Regolamento)
va affermata a norma dell’art. 3, 1 comma, lett.
a), del citato Regolamento,
il quale fissa il criterio generale della residenza, e in particolare, nella
specifica ipotesi di domanda congiunta, il criterio della “residenza abituale di uno dei coniugi” che sussiste nel caso in
esame poiché entrambe le
parti risiedono nel territorio italiano. A norma dell’art. 31, comma
1, l. n. 218 del 1995, lo scioglimento del matrimonio è regolato dalla legge
nazionale comune dei coniugi al
momento della domanda e non osta all’accoglimento della domanda l’assenza di una precedente sentenza di
separazione, in quanto la norma straniera che non prevede tale requisito ai
fini del divorzio non è contraria all’ordine pubblico
italiano. |
Trib.
Belluno su coniugi ucraini.
TRIBUNALE DI BELLUNO, 5 novembre 2010, in Banca Dati
Giurisprudenza di merito De Agostini – Leggi d’Italia. I coniugi, entrambi cittadini ucraini, hanno contratto matrimonio in Ucraina. Con ricorso la moglie, residente a Belluno, ha proposto domanda di separazione giudiziale
nei confronti del marito,
anch’egli residente
a Belluno. Sebbene la domanda di separazione riguardi due coniugi
che non sono cittadini italiani e che hanno contratto matrimonio nel paese
d’origine, il Trib. di Belluno afferma la giurisdizione del giudice italiano in forza del
Regolamento CE del Consiglio n. 2201/2003, che trova applicazione a prescindere dalla
cittadinanza europea delle parti ed indipendentemente dalle norme sulla
giurisdizione previste dal diritto nazionale (come l’art. 32 della legge
31.5.1995 n. 218), le quali restano applicabili soltanto in via residuale, ai
sensi dell’art. 7 del Regolamento, qualora nessun giudice di uno Stato membro
sia competente in base agli artt. 3-5 del Regolamento (cfr. Corte giustizia
CE, sez. III, 29.11.2007 n. 68, nel procedimento C-68/07, Sundelind Lopez V.
Lopez Lizazo, ove è precisato che il Reg. CE n. 2201/2003 "si applica
anche ai cittadini di Stati terzi che hanno vincoli sufficientemente forti
con il territorio di uno degli Stati membri", in conformità dei criteri
di competenza previsti dallo stesso Regolamento, che si fondano sul principio
della necessità di un reale nesso di collegamento tra l’interessato e lo
Stato membro che esercita la competenza). Nella fattispecie, la giurisdizione italiana (di carattere
esclusivo, ai sensi dell’art. 6 del Regolamento) va affermata a norma dell’art. 3, 1° comma, lett. a),
del citato Regolamento CE n. 2201/2003, il quale fissa il criterio generale
della residenza, ed in particolare, tra le varie ipotesi, individua la
competenza dell’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel cui
territorio si trova "la residenza abituale dell’attore se questi vi ha
risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda". Tale criterio opera nel caso in esame poiché
l’attrice risiede dal 14.2.2005 a Belluno (V. certificato di residenza
rilasciato in data 8.2.2007 dal Comune di Belluno, doc. 2 dell’attrice), ove
ha inizialmente abitato anche con il figlio V., fino a quando questi non è
stato accolto dal padre a vivere con lui a Belluno, mentre il figlio più
piccolo R., sofferente di grave malattia, è stato affidato all’Opera della
Provvidenza di S.A.P.; l’attrice ha inoltre affermato di svolgere attività
lavorativa a Belluno (V. pg. 2 del ricorso introduttivo). Tenuto conto della
nozione autonoma di "residenza abituale" nell’ambito del diritto
comunitario, deve pertanto ritenersi, sulla base di una valutazione di natura
sostanziale, che l’attrice abbia effettivamente fissato, con carattere di
stabilità, il centro stabile e permanente dei propri interessi e relazioni a
Belluno, quale luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita
personale e lavorativa, da più di un anno alla data di proposizione della
domanda (V. Cass. sez. un. 17.2.2010 n. 3680). Va dunque affermata la giurisdizione del giudice
italiano in ordine alla domanda di separazione giudiziale proposta dall’attrice. |
·
Ci chiediamo se
questa ratio decidendi (questa
«valenza ecumenica» riconosciuta ai criteri del regolamento Bruxelles II bis sulla determinazione del giudice
dotato di competenza giurisdizionale) sia estensibile (e la risposta ritengo debba
essere positiva) anche ad altri casi, ad es.:
§
al Regolamento
n. 1259/2010 («Roma III»), il quale contiene del resto un art. 4 del
seguente tenore:
Articolo 4 Carattere universale La legge designata dal presente regolamento si applica anche ove non sia quella di uno Stato membro partecipante. |
§
oppure
§
al Regolamento
n. 4 del 2009 sulle prestazioni alimentari, anch’esso incentrato sul
concetto di residenza abituale:
Articolo 3 Disposizioni generali Sono competenti a pronunciarsi in materia di obbligazioni alimentari negli Stati membri: a) l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il convenuto risiede abitualmente; o b) l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il creditore risiede abitualmente; o c) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti; o d) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti. |
·
Con riguardo a
questo problema dell’ «universalità»
dei Regolamenti dell’UE in punto statuizioni relative alla competenza
giurisdizionale potrà segnalarsi anche la proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e
del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e
l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, mirante ad una «rifusione» del regolamento (CE) n. 44/2001
del Consiglio, del 22 dicembre 2001, COM/2010/748 (c.d. Regolamento «Bruxelles I»);
§
La proposta è disponibile al sito web seguente: http://www.parlamento.it/web/docuorc2004.nsf/a4f26d6d511195f0c12576900058cac9/5dd102ff4c931152c12578010061407a/$FILE/COM2010_0748_IT_2.pdf.
§
La proposta parte
tra l’altro dal rilievo per cui nelle controversie con convenuti di paesi terzi
l’accesso alla giustizia nell’UE è nel complesso insoddisfacente. Fermo
restando che la competenza spetta al giudice dello Stato membro in cui è
domiciliato il convenuto, indipendentemente dalla cittadinanza di quest’ultimo,
rimane il fatto che, nel
sistema attualmente
vigente, fatte salve alcune deroghe, il Regolamento Bruxelles I si applica solo quando il convenuto è
domiciliato nel territorio dell’UE. Negli altri casi la competenza è
disciplinata dal diritto nazionale. La diversità delle legislazioni nazionali
comporta un accesso ineguale alla giustizia per le imprese dell’UE che operano
con partner di paesi terzi: alcune possono facilmente stare in giudizio
nell’UE, altre no, anche quando non c’è un altro foro competente che garantisca
il diritto a un giudice imparziale. Per giunta, se il diritto nazionale non
concede l’accesso alla giustizia nelle controversie con controparti di paesi
terzi, non è garantita l’applicazione delle disposizioni imperative del diritto
dell’Unione che tutelano, ad esempio, i consumatori, i lavoratori dipendenti o
gli agenti commerciali.
§
Da tale
constatazione nasce quindi il suggerimento di estendere alle controversie con
convenuti di paesi terzi le norme del regolamento «Bruxelles I» sulla
competenza, incluse quelle che disciplinano i casi in cui la stessa questione è
pendente dinanzi a un giudice dell’UE e a un giudice di un paese terzo.
§
La modifica consentirà in generale
alle imprese e ai cittadini di citare in giudizio nell’UE soggetti di paesi terzi, in quanto in tali casi sarà applicabile la norma
speciale sulla competenza che, ad esempio, stabilisce la competenza del giudice
dello Stato in cui deve essere eseguito il contratto (art. 5, par. 1).
Più specificatamente, grazie alla modifica, le norme sulla competenza che
tutelano i consumatori (cfr. sez. 4, artt. da 15 a 17), i lavoratori dipendenti
(cfr. 5, artt. da 18 a 21) e gli assicurati (cfr. sez. 3, artt. da 8 a 14)
saranno applicabili anche quando il convenuto è domiciliato al di fuori
dell’UE. La proposta intende anche rafforzare la tutela dei consumatori nelle
controversie in cui il convenuto ha sede in un Paese terzo. Pertanto, nei
rapporti tra consumatori stabiliti nell’UE e imprese stabilite in Paesi terzi
sarà sempre competente il giudice del luogo in cui il consumatore ha il
domicilio, anche quando il convenuto ha sede in un Paese terzo.
·
Vi è da notare
poi che il carattere
universale dei regolamenti in oggetto non è tale con riguardo ad ogni
aspetto di essi. In effetti tale universalità va riconosciuta solo con riguardo
ai casi in cui tale requisito sia concretamente desumibile dal modo in cui è formulata la norma.
§
Così i sopra
citati esempi di richiamo alla residenza abituale, anziché alla nazionalità,
non paiono lasciare dubbi. Vi sono però altre ipotesi in cui il riferimento non può essere se non
ad una situazione «europea». Si potrà riportare ancora una volta il
precedente del Trib.
Belluno 5 novembre 2010. Qui il marito, resistente, aveva opposto che la
domanda di separazione della moglie era inammissibile perché un tribunale
ucraino aveva già pronunziato il divorzio inter
partes. Ora, il tribunale ritiene non applicabile l’art. 21 del Regolamento
Bruxelles II bis sul riconoscimento automatico
delle sentenze straniere di divorzio, perché tale riconoscimento è accordato solo ed espressamente
alle sentenze di uno «Stato membro». Ne discende quindi la necessità di applicare le norme di d.i.p. italiano. Peraltro anche
in base a tali disposizioni la sentenza ucraina di divorzio va riconosciuta e
pertanto la domanda di separazione personale della moglie va dichiarata
inammissibile.
§
Trib.
Belluno su coniugi ucraini.
TRIBUNALE DI BELLUNO, 5 novembre 2010, in Banca Dati
Giurisprudenza di merito De Agostini – Leggi d’Italia. Il marito ha eccepito preliminarmente che il
matrimonio è già stato sciolto in data 30.1.2007 dalla Corte Provinciale di Lviv,
con sentenza che è stata confermata dalla Corte d’Appello di Lviv in data
16.4.2007 (V. doc. 2-3 prodotti dal convenuto nel testo originale ucraino,
con relativa traduzione giurata), tanto che in data 1.5.2008 egli ha
contratto nuovo matrimonio in Ucraina (V. certificato di matrimonio, doc. 7
del convenuto) con la donna con cui attualmente coabita a Belluno (V.
dichiarazione presentata in data 10.5.2008 all’ufficiale dell’anagrafe di
Belluno, doc. 8 del convenuto). Il convenuto ha quindi chiesto che la domanda di separazione proposta
dall’attrice sia dichiarata inammissibile, per essere già intervenuta una pronuncia di scioglimento del matrimonio.
L’attrice ha tuttavia affermato la contrarietà
all’ordine pubblico della sentenza di divorzio, ai sensi dell’art. 16 della
legge 31.5.1995 n. 218, per mancanza di statuizioni sull’affidamento dei
figli e sull’assegno di mantenimento in favore dei figli e della stessa
attrice. Va innanzitutto rilevato che la sentenza di scioglimento del
matrimonio pronunciata dall’autorità giudiziaria ucraina non può formare oggetto
del riconoscimento
automatico
previsto dall’art. 21,
1° comma, del Regolamento CE n. 2201/2003, dato che tale disposizione si applica soltanto alle
"decisioni pronunciate
da uno Stato membro" dell’Unione Europea, ma non a quelle di Stati terzi. In sostanza, il
Regolamento CE n. 2201/2003 - la cui disciplina della giurisdizione prescinde
dalla cittadinanza europea delle parti (art. 3) - non trova invece
applicazione, nel caso in esame, per quanto riguarda il riconoscimento della
sentenza di divorzio, perché a tal fine presuppone che la decisione sia
pronunciata da uno Stato membro dell’Unione. Essendo sorta contestazione, nel corso del processo,
in ordine al riconoscimento della sentenza di divorzio pronunciata dalla
Corte ucraina, viene allora in considerazione l’art. 67, 3° comma, della
legge 31.5.1995 n. 218, che prevede l’accertamento incidentale dei requisiti
per la riconoscibilità, con efficacia limitata al presente giudizio in cui il
riconoscimento è stato contestato. Si deve procedere pertanto alla verifica dei presupposti del
riconoscimento della pronuncia
di divorzio,
nella forma semplificata
prevista dall’art. 65
della legge 31.5.1995 n.
218, che trova applicazione "ratione materiae" nel caso in
esame. Sul punto è stato precisato che "il nuovo
complesso della disciplina del riconoscimento delle sentenze straniere in
Italia, così come configurato dalla legge di riforma del sistema italiano di
diritto privato italiano n. 218 del 1995, non ha delineato un trattamento
esclusivo e differenziato delle controversie in tema di rapporti di famiglia
riconducendole obbligatoriamente nell’ambito operativo della disciplina di
cui all’art. 65 (e perciò anche dei suoi presupposti), ma ha descritto, con
l’art. 64, un meccanismo di riconoscimento di ordine generale (riservato in
sé alle sole sentenze), valido per tutti tipi di controversie, ivi comprese
perciò anche quelle in tema di rapporti di famiglia e presupponente il concorso
di tutta una serie di requisiti descritti nelle lettere da a) a g) di questa
ultima disposizione normativa; rispetto ad un tale modello operativo di
ordine generale, la legge ha affidato poi all’art. 65 la predisposizione di
un meccanismo complementare più agile di riconoscimento - allargato, di per
sé e questa volta, alla più generale categoria dei provvedimenti - riservato
all’esclusivo ambito delle materie della capacità delle persone, dei rapporti
di famiglia o dei diritti della personalità - il quale, nel richiedere il
concorso dei soli presupposti della non contrarietà all’ordine pubblico e
dell’avvenuto rispetto dei diritti essenziali della difesa, esige tuttavia il
requisito aggiuntivo per cui i provvedimenti in questione siano stati assunti
dalle autorità dello Stato la cui legge sia quella richiamata dalle norme di
conflitto" (V. Cass. 28.5.2004 n. 10378). Ciò premesso, il riconoscimento è innanzitutto subordinato all’accertamento che la
sentenza sia stata pronunciata
"dalle autorità
dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme" della legge
31.5.1995 n. 218: nella specie, si deve fare riferimento al criterio di
collegamento previsto dall’art. 31, 1° comma, della legge 31.5.1995 n. 218,
il quale dispone che lo scioglimento del matrimonio "è regolato dalla
legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda", per cui la
sentenza in esame, pronunciata dall’autorità giurisdizionale dello Stato
dell’Ucraina, del quale entrambi i coniugi sono cittadini, soddisfa il primo
requisito. L’art. 65 richiede inoltre che gli effetti della
sentenza "non siano contrari all’ordine pubblico" e che "siano
stati rispettati i diritti essenziali della difesa". Quanto al primo di questi due requisiti, si deve
rilevare che il capo della sentenza con cui è disposto lo scioglimento del
matrimonio non presenta alcun profilo di contrarietà all’ordine pubblico: la
stessa attrice, nel proporre la domanda di separazione, non ha censurato la
pronuncia di divorzio in quanto tale, bensì la mancanza di specifiche statuizioni
accessorie sull’affidamento dei figli e sull’assegno di mantenimento in
favore dei minori e della ricorrente. La sentenza di divorzio pronunciata dal
giudice straniero non può quindi essere considerata in sé contraria
all’ordine pubblico per l’omissione di una determinata previsione, vale a
dire per il solo fatto di non contenere disposizioni in merito
all’affidamento ed ai rapporti economici tra le parti. A questo proposito si deve altresì sottolineare che,
alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, l’assenza di una precedente
sentenza di separazione, in quanto non richiesta dalla legge straniera
che regola il rapporto, non
preclude il riconoscimento della pronuncia di divorzio in applicazione di tale
legge - i cui effetti, anche sotto questo specifico profilo, non possono
quindi ritenersi contrari all’ordine pubblico, in riferimento all’art. 16
della legge 31.5.1995 n. 218 - risultando sufficiente il riconoscimento
dell’impossibilità della ricostituzione della comunione spirituale e
materiale (cfr. Cass. 25.7.2006 n. 16978: "la circostanza che il diritto
straniero - nella specie, il diritto di uno Stato degli USA - preveda che il
divorzio possa essere pronunciato senza passare attraverso la separazione
personale dei coniugi ed il decorso di un periodo di tempo adeguato, tale da
consentire ai coniugi medesimi di ritornare sulla loro decisione, non
costituisce ostacolo al riconoscimento in Italia della sentenza straniera che
abbia fatto applicazione di quel diritto, per quanto concerne il rispetto del
principio dell’ordine pubblico, richiesto dall’art. 64, comma 1, lett. g,
della legge 31.5.1995 n. 218, essendo a tal fine necessario, ma anche
sufficiente, che il divorzio segua all’accertamento dell’irreparabile venir
meno della comunione di vita tra i coniugi"; cfr. Cass. 28.5.2004 n.
10378). Quanto al rispetto dei diritti essenziali della
difesa, va rilevato che, come emerge dalle due decisioni delle Corti ucraine
(di primo grado e d’appello), la moglie ha effettivamente partecipato al
giudizio di divorzio, promosso in Ucraina, nell’ambito del quale avrebbe
dunque potuto tempestivamente svolgere le domande che ha invece proposto
davanti a questo tribunale. Poiché
risultano soddisfatti tutti i requisiti previsti dall’art. 65 della legge
31.5.1995 n. 218 con riferimento al
capo principale della decisione pronunciata dall’autorità giudiziaria dell’Ucraina, riguardante lo
scioglimento del matrimonio, tale
statuizione deve essere riconosciuta in questa sede, con la conseguenza che
la domanda di separazione proposta dall’attrice (che sarebbe comunque
soggetta alla legge ucraina, quale legge nazionale comune dei coniugi, a
norma dell’art. 31 della legge 31.5.1995 n. 218) è preclusa dall’intervenuto
divorzio e va senz’altro dichiarata inammissibile, restando assorbita ogni
ulteriore questione ad essa conseguente in merito agli altri capi della
decisione (quale la mancata disciplina dell’affidamento e dei rapporti
patrimoniali tra le parti), che potranno eventualmente formare oggetto di
autonomo procedimento di revisione delle condizioni di divorzio, qualora ne
sussistano i presupposti. In ragione della natura della domanda, riguardante
lo status coniugale, e dell’obiettiva peculiarità delle questioni esaminate,
appaiono sussistere i presupposti per disporre la compensazione delle spese
processuali tra le parti. |
3. Il futuro
europeo del regime dei rapporti patrimoniali endofamiliari.
Venendo al tema specifico
dei rapporti patrimoniali nella famiglia andranno prese in considerazione due recenti
proposte della Commissione
UE:
· Proposta di un Council
Regulation on jurisdiction, applicable law and the recognition and enforcement
of decisions in matters of matrimonial
property regimes
(COM)2011 (126)
· Proposta di un Council
Regulation on jurisdiction, applicable law and the recognition and enforcement
of decisions regarding the property consequences of registered partnerships (COM)2011 (127)
Per quanto attiene alla prima delle due proposte, fermo restando il
rilievo che essa attribuisce alla volontà delle parti nella determinazione (o,
addirittura, predeterminazione) della competenza giurisdizionale in relazione
alle controversie attinenti al regime patrimoniale delle coppie coniugate
transfrontaliere, il criterio della comune residenza abituale emerge come la regola fondamentale di carattere
suppletivo sia per la determinazione dell’ufficio giudiziario dotato di competenza
giurisdizionale (cfr. art. 5
della Proposta n. 126, in relazione al caso di mancato accordo sulla competenza
del tribunale determinato in base a Bruxelles II-bis: cfr. art. 4),
sia per la scelta
del diritto applicabile (art. 16),
sia per la determinazione
di quest’ultimo in difetto
d’accordo (art. 17),
sia, ancora, per possibili mutamenti
della scelta del diritto applicabile (art. 18),
sia, infine, per la determinazione di possibili elementi formali ulteriori per
la validità del contratto
di matrimonio (art. 20).
Anche la seconda proposta attribuisce in primo luogo rilievo fondamentale
alla volontà delle parti nella determinazione (o, addirittura,
predeterminazione) della competenza giurisdizionale in relazione alle
controversie attinenti al regime patrimoniale delle coppie transfrontaliere
legate da rapporto di registered
partnership, ma pure in questo caso il criterio della comune residenza abituale
emerge come la regola fondamentale di carattere suppletivo per la determinazione dell’ufficio
giudiziario dotato di competenza
giurisdizionale (cfr. art. 5
della Proposta n. 127, in relazione al caso di mancato accordo sulla competenza
del tribunale investito per la causa di scioglimento del vincolo: cfr. art. 4),
mentre per la
determinazione del diritto
applicabile (art. 15)
vige la sola regola dell’applicazione della «law of the State in which the partnership was registered».
Per ulteriori informazioni sulle due proposte si fa
rinvio alla pagina web seguente:
Si tenga presente che le due proposte si collocano sia
nell’ottica di Bruxelles, che in quella di Roma. Ma esiste una “terza ottica”: quella del
diritto materiale uniforme.
Quest’ottica è quella indicata dall’accordo bilaterale franco-tedesco del 2010.
Sul punto occorre fare un salto indietro, pensando
alla genesi delle due proposte sui regimi patrimoniali, cui ho fatto
riferimento sopra.
Esse invero furono precedute da
·
un rapporto di studio,
demandato ad un consorzio di università, su cui v. la pagina web seguente:
http://www.pedz.uni-mannheim.de/daten/edz-k/gdj/03/report_regimes_030703_fr.pdf.
, seguito da un libro verde, sui cui v. la pagina web seguente:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52006DC0400:IT:NOT.
·
cfr. inoltre:
Nel passaggio dal rapporto di studio al libro verde si
perse un suggerimento molto interessante, proprio sul diritto materiale
uniforme:
Alcune proposte dello studio predetto venivano infatti
anche a toccare il tema dell’armonizzazione
del diritto materiale nei vari Stati membri dell’U.E. Sul punto, in
particolare, pur riconoscendo che «Il paraît illusoire, dans l’état d’esprit
actuel des États membres et au vu des trop profondes divergences de leurs
positions vis-à-vis de la notion et du contenu de leur « régime matrimonial
secondaire légal », d’espérer parvenir à une entente sur l’adoption d’un régime
légal unique et commun à tous les États membres de l’Europe», lo studio avanza
l’idea di un vero e proprio regime
convenzionale europeo sussidiario (cfr. il paragrafo n. 2.2.2.2.,
intitolato Un régime conventionnel
européen subsidiaire), che le coppie europee potrebbero liberamente
scegliere, se lo desiderano, in luogo di quelli legali o convenzionali previsti
dai rispettivi ordinamenti.
In tal modo, sempre secondo il
citato lavoro, «En se limitant à proposer un régime matrimonial européen “
subsidiaire ”, on ne
porterait aucunement atteinte à la compétence laissée à chaque État de
déterminer de manière spécifique son régime matrimonial légal applicable
de plein droit, pour ses nationaux ou sur son territoire, aux époux qui ne
concluent pas de contrat de mariage. On franchit toutefois le pas d’une certaine harmonisation,
en permettant à deux époux d’adopter eux-mêmes un régime matrimonial qui serait
commun à tous les citoyens européens et qui régirait de façon unifiée leurs
relations patrimoniales quelle que soit leur nationalité respective et quels
que soient les États d’Europe où ils seraient amenés à résider. Sans doute,
est-il probable que, dans un premier temps, ce régime matrimonial européen ne
présenterait de réel attrait que pour de futurs époux qui auraient de sérieuses
raisons de penser qu’ils “ seront mobiles ” à travers l’Europe, en ce sens
qu’ils se savent appelés à résider successivement dans différents États
membres. Ils résoudraient ainsi préventivement les questions de droit
international privé qui pourraient ultérieurement se poser dans leur situation
concrète, et ils sauraient que, quel que soit l’État où ils se trouveraient, leur
régime matrimonial européen y serait connu et pratiqué».
4. L’accordo franco-tedesco del 2010 sul regime patrimoniale uniforme.
· Un
singolare e rilevante esperimento nel campo dell’armonizzazione dei diritti materiali interni
è costituito dall’ accordo bilaterale franco-tedesco che ha dato vita ad
un regime patrimoniale
uniforme e convenzionale tra coniugi; accordo firmato il 4 febbraio 2010,
di cui possono usufruire le coppie francesi, quelle tedesche, nonché quelle
miste franco-tedesche. La convenzione descrive un regime convenzionale di partecipazione
agli acquisti (participation aux
acquêts/Wahl-Zugewinngemeinschaft), modellato su quello conosciuto dal Code Civil agli artt. 1569-1581, come
regime convenzionale e dal BGB ai §§
1363-1390 ss. come regime legale.
· Il regime prescelto è dunque
quello della Zugewinngemeinschaft tedesco,
peraltro sottoposto ad alcuni principi tratti dal regime convenzionale francese
della participation aux acquêts; in
particolare:
· Il consenso di entrambi i
coniugi è necessario per gli atti di disposizione che riguardano
determinati beni considerati objets du
ménage o comunque idonei ad assicurare il logement de la famille (la casa d’abitazione e i suoi arredi,
l’auto di cui si servono i coniugi, ecc.): consenso richiesto dal diritto
francese ma non da quello tedesco (article 5);
· La data di cessazione del
regime, in cui vengono valutati i patrimoni rispettivi per determinare la créance de participation coincide con la
data della domanda giudiziale introduttiva del divorzio: ciò al fine di
evitare possibili manovre fraudolente di un coniuge nei riguardi dell’altro. Si
tengano presenti, a tale riguardo, le disposizioni dell’art. 10 del citato
accordo, a mente delle quali (ma trattasi di principi già presenti nelle
legislazioni francese e germanica, e del tutto assenti, invece, nella nostra
comunione de residuo), nel patrimonio
finale vanno computati anche beni ceduti a terzi per frodare le ragioni del
coniuge, così come quelli oggetto di dissipazione e (a determinate condizioni)
di donazione a terzi.
· L’accordo franco-tedesco resta
aperto a tutti gli altri Paesi membri dell’U.E. che intendessero aderirvi.
Si tratta quindi di un felice inizio di una vera e propria armonizzazione dei
diritti materiali dei Paesi U.E. nel campo dei regimi patrimoniali;
un’armonizzazione che si attua nel segno di una valorizzazione di un regime –
quello della partecipazione differita agli acquisti – di cui l’accordo
franco-tedesco disegna con nettezza e precisione i tratti fondamentali,
affrontando temi da noi purtroppo negletti, quali quello (appena ricordato)
della tutela delle ragioni del coniuge «debole», così come quello della natura
del credito finale di quest’ultimo, che costituisce, per l’appunto, un mero
credito di partecipazione ad un plusvalore: un credito, cioè, pecuniario,
laddove da noi si discute ancora se i diritti ex communione de residuo
siano diritti di credito o veri e propri rapporti reali (contitolarità, cioè,
reale differita e non mera compartecipazione agli acquisti: per un
approfondimento cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I,
Milano, 2010, p. 849 ss.).
· Quanto mai interessanti sono
le considerazioni che si possono svolgere sul campo d’applicazione dell’accordo, invocabile, di
fatto, non solo da cittadini tedeschi e/o francesi. Ecco i rilievi in proposito
ricavabili dal sito seguente:
· http://www.europepatrimoine.fr/a_actualite.php?id_article=106
Champ d’application Ce régime matrimonial
pourra être choisi par les époux dont le régime matrimonial relève de la loi
française ou de la loi allemande. Les règles de conflit
allemandes disposent qu’à défaut de choix des époux, la loi allemande est
applicable aux époux : ♦ dont les deux
possèdent la nationalité allemande (ou ont possédé la nationalité allemande,
à condition que l’un des époux la possède encore), ♦ qui possèdent
leur résidence habituelle commune en Allemagne (ou ont possédé leur dernière
résidence habituelle commune en Allemagne, à condition que l’un des époux y
réside encore), ♦ à défaut, qui
possèdent les liens les plus étroits avec l’Allemagne. Il est en outre permis
aux époux de soumettre leur régime matrimonial à la loi allemande si l’un des
époux a la nationalité allemande ou si l’un des époux réside habituellement
en Allemagne. De même, en cas de possession de biens immobiliers en
Allemagne, ces derniers peuvent être régis par la loi allemande. Selon les règles de
conflit françaises, issues de la Convention de la Haye sur la loi applicable
aux régimes matrimoniaux du 14 mars 1978, à défaut de choix des époux, la loi
française est en principe applicable aux époux qui ont fixé leur première
résidence habituelle commune après le mariage en France. Les époux peuvent en
outre choisir de soumettre leur régime matrimonial à la loi française : ♦ si l’un des
époux a la nationalité française, ♦ si l’un des
époux réside habituellement en France ♦ ou si l’un des
époux établit une nouvelle résidence habituelle après le mariage en France. Les époux peuvent
également faire régir par la loi française les biens immobiliers sis en
France qu’ils possèdent. Le champ d’application
de l’accord est, on le voit, très étendu. Il suffit que les époux disposent de la nationalité ou de
la résidence habituelle ou de biens immobiliers, en lien avec la France ou
l’Allemagne. Le rapport explicatif
de l’accord énonce que les époux ne sont pas tenus de choisir expressément
comme loi applicable à leur régime matrimonial, la loi française ou la loi
allemande, il suffit que les règles de conflit désignent l’une de ces lois
comme étant celle applicable à leur régime matrimonial. L’auteur conseille
néanmoins de désigner également dans leur contrat de mariage, la loi
applicable à leur régime matrimonial. |
Per approfondimenti su tutti i temi di questo § 23
faccio rinvio al mio scritto seguente:
· La comunione
coniugale nei suoi profili di diritto comparato, internazionale ed europeo, in Dir. fam. pers., 2008, p. 367 ss., disponibile alla pagina web seguente:
http://giacomooberto.com/download/oberto_comunione_dir_compar_internazi.pdf.
5. Prenuptial Agreements
in Contemplation of Divorce: an Historical Overview.
A prenuptial
agreement, antenuptial agreement, or premarital agreement, commonly abbreviated
to prenup or prenupt, is a contract
entered into prior to marriage, civil union or any other agreement prior to the
main agreement by the people intending to marry or contract with each other.
The content of a
prenuptial agreement can vary widely, but commonly includes provisions for division of property and
spousal support in the event of divorce or breakup
of marriage. They may also include terms for the forfeiture of assets as a
result of divorce on the grounds of adultery; further conditions of
guardianship may be included as well.
Postnuptial agreements are similar to prenuptial
agreements, except that they are entered into after a couple is married.
Coming to the history of prenups, I
have to point out that the widespread idea, according to which they would be
something “new,” something foreign to our legal tradition is not true.
Let me cite some
examples:
Many rules of the Roman Law referred to the
right of spouses to provide in their pacta nuptialia (very
often called “pacta antenuptialia”) for the restitution of the dowry either to the woman, or
to her family. They took into consideration in an explicit way the case in
which the marriage would end with a divorce, because in this case the husband
had to give back the dowry. Therefore such agreements set forth rules on how,
to whom, in what time, etc. the dowry should have been given back in case of
divorce.
“Cum quaerebatur, an verbum: Soluto matrimonio dotem reddi, non
tantum divortium, sed et mortem contineret, hoc est, an de hoc quoque casu
contrahentes sentiant? Et multi putabant hoc sensisse; et quibusdam aliis
contra videbatur: secundum hoc motus Imperator pronunciavit, id actum eo pacto,
ut nullo casu remaneret dos apud maritum.” (D. 50, 16, 240).
Also in the
following centuries we find evidence of prenuptial agreements aimed at setting
patrimonial rules on the assets of the parties in case of marriage crisis
(legal separation, in this case, as, of course, divorce was not allowed):
Bononien.
restitutionis dotis, 16 May 1595, in Mantica,
Decisiones Rotae Romanae, Romae, 1618, p. 539 ss.:
«Placuit Dominis, sententiam esse confirmanda: quia cum convenerit, ut in eventum separationis tori,
D. Constantius teneretur D. Lisiae eius uxori praestare scuta 270, pro
alimentis, et si in solutione eorum cessaverit per annum, ipsa possit agere ad restitutionem
totius dotis: & D. Constantius dictam summam non solverit anno 1589.
necessario sequitur, quod dos eidem D. Lisiae debeat restitui».
Giurba, Decisionum
novissimarum Consistorii Sacrae Regiae Conscientiae Regni Siciliae, I,
Panormi, 1621, p. 399, refers about a judgment rendered by the supreme court of
Sicily on 20 June 1612.
6. Prenuptial
Agreements in Contemplation of Divorce in the U.S.A.
Coming to the present state of the
situation, we know that such agreements are widely known and practised in the United States.
Historically, judges in the United States accepted the view
that prenuptial agreements were corrupting what marriage was supposed to stand
for, and often they would not recognize them. Currently they are recognized, although they may not always be enforced.
Both parties should have lawyers represent them to ensure that the agreement is
enforceable. Some attorneys
recommend videotaping the signing, although this is optional. Some
states such as California require that the parties be represented by counsel if spousal
support (alimony) is limited.
Prenuptial
agreements are, at best, a partial solution to obviating some of the risks of
marital property disputes in times of divorce. They protect minimal assets and
are not the final word. Nevertheless, they can be very powerful and limit parties’ property rights and alimony. It may be impossible to set aside
a properly drafted and executed prenup. A prenup can dictate not only what
happens if the parties divorce, but also what happens when they die. They can act as a contract to make a will and/or eliminate all
your rights to property, probate homestead, probate allowance, right to take as
a predetermined heir, and the right to act as an executor and administrator of your
spouse’s estate.
In the United
States, prenuptial agreements are recognized in all fifty states and the District of Columbia.
Likewise, in most jurisdictions, some elements are required for a valid prenuptial
agreement:
1.
agreement must be in writing (oral prenups are generally
unenforceable);
2.
full and/or fair disclosure at the time of execution;
3.
the agreement cannot be unconscionable.
With respect to financial issues
ancillary to divorce, prenuptial agreements are routinely upheld and enforced
by courts in virtually all states. There are circumstances in which courts have
refused to enforce certain portions/provisions of such agreements. For example,
in an April, 2007 decision by the Appellate Division in New Jersey, the court
refused to enforce a provision of a prenuptial agreement relating to the wife’s
waiver of her interest in the husband’s savings plan. The New Jersey court held
that when the parties executed their prenuptial agreement, it was not
foreseeable that the husband would later increase his contributions toward the
savings plan.
In California parties can waive disclosure beyond that
which is provided, and there is no requirement of notarization, but it is good practice. There are special
requirements if parties sign the agreement without attorney, and the parties
must have independent
counsel if they limit spousal support
(also known as alimony or spousal maintenance in other states). Parties must wait seven days after the premarital
agreement is first presented for review before they sign it, but there is no requirement
that this be done a certain number of days prior to the marriage. Prenups often
take months to negotiate so they should not be left until the last minute (as
people often do). If the prenup calls for the payment of a lump sum at the time
of divorce, it may be deemed to promote divorce. This concept has come under
attack recently and a lawyer should be consulted to make sure the prenup does
not violate this provision.
In California, Registered Domestic Partners
may also enter into a prenup. Prenups for Domestic Partners can have added
complexities because the federal tax treatment of Domestic Partners differs
from that of married couples.
A sunset provision may be
inserted into a prenuptial agreement, specifying that after a certain amount of
time, the agreement will
expire. In a few states, such as Maine, the agreement will automatically
lapse after the birth of a child, unless the parties renew the agreement. In
other states, a certain number of years of marriage will cause a prenuptial
agreement to lapse. In states that have adopted the UPAA (Uniform
Premarital Agreement Act), no sunset provision is provided by statute, but
one could be privately contracted for. Note that states have different versions
of the UPAA.
In drafting an
agreement, it is important to recognize that there are two types of state laws that govern divorce – equitable distribution,
of which there are 41
states and 9 states
that are some variation of community
property. An agreement written in a community property state may not be
designed to govern what occurs in an equitable distribution state and vice
versa. It may be necessary to retain attorneys in both states to cover the
possible eventuality that the parties may live in a state other than the state
they were married. Often people have more than one home in different states or
they move a lot because of their work so it is important to take that into
account in the drafting process.
7. Prenuptial
Agreements in Contemplation of Divorce in the United Kingdom.
Prenuptial
agreements have historically not
been considered legally valid
in Britain. This
was true until the test case between the German heiress Katrin
Radmacher and Nicolas Granatino, indicated that such agreements can “in
the right case” have decisive weight in a divorce settlement.
The parties were
both foreign nationals, the wife
German and the husband French, who had signed a pre-nuptial
agreement valid under
German law but then divorced
in the UK. In the High Court Baron J had awarded the husband £ 5.6m even though the
pre-nupital agreement had stated
that neither party would seek maintenance from the
other in the event of divorce. The wife therefore appealed.
Giving the lead
judgment Thorpe LJ
allowed the wife’s appeal broadly on the grounds that Baron J had not given
sufficient weight to the existence of agreement in her initial award, though
still providing the husband with some housing and other funds to reflect the
shared residence of the couple’s children. At paragraph 53 of the judgment he
also made the following statement “in future cases broadly in line with the present case on the facts, the
judge should give due weight to the marital property regime into which the
parties freely entered. This is not to apply foreign law, nor is it to give
effect to a contract foreign to English tradition. It is, in my judgment, a
legitimate exercise of the very wide discretion that is conferred on the judges
to achieve fairness between the parties to the ancillary relief proceedings”.
Other relevant
parts of the reasoning by Lord Justice Thorpe:
“There are many
instances in which mature couples, perhaps each contemplating a second
marriage, wish to regulate the future enjoyment of their assets and perhaps to
protect the interests of the children of the earlier marriages upon dissolution
of a second marriage. They may not
unreasonably seek that clarity before making the commitment to a second
marriage. Due respect for adult autonomy suggests that,
subject of course to proper safeguards, a carefully fashioned contract should be available as an alternative to the stress, anxieties and expense
of a submission to the
width of the judicial discretion.”
“I also hold my
opinion because: i) In so far as the rule that such contracts are void survives, it seems to me
to be increasingly
unrealistic. It reflects the laws and morals
of earlier generations. It does not sufficiently
recognise the rights of autonomous adults to govern their future financial
relationship by agreement in an age when marriage is not generally regarded as
a sacrament and divorce is a statistical commonplace.”
“As a society we
should be seeking to reduce and not to maintain rules of law that divide us
from the majority of the member states of Europe. Europe apart, we are in
danger of isolation in the wider common law world if we do not give greater
force and effect to ante-nuptial contracts.”
“In the
circumstances, I agree in effect with my Lords that this is a case in which the
pre-nuptial agreement
made by the parties should be given decisive weight in the section 25 exercise.
Their agreement was
entered into willingly and knowingly by responsible adults. The
husband had a proper understanding of the consequences of his agreement. It is to
be inferred that without that agreement no marriage would have taken place, and
that the wife’s father would not have made over to her the additional resources
which followed her marriage. The parties entered into their agreement with the help and advice of
a German lawyer, under German law, making an agreement which was familiar to
the civil law under which both parties and their families had grown up in
Germany and France.”
The decision by the
Court of Appeals has been confirmed by the Supreme Court, in the year 2010.
Relevant parts of
the S.C. reasoning:
“We would advance
the following proposition, to be applied in the case of both ante- and
post-nuptial agreements, in preference to that suggested by the Board in
MacLeod: "The court
should give effect to a nuptial agreement that is freely entered into by each
party with a full appreciation of its implications unless in the circumstances
prevailing it would not be fair to hold the parties to their agreement."”
“91. On 1 August, 1998 the parties attended at the office of Dr Magis near
Düsseldorf. Their meeting with him lasted for between two and three hours. The
husband told Dr Magis that he had seen the draft agreement but that he did not
have a translation of it. Dr Magis was angry when he learned of the absence of
a translation, which he considered to be important for the purpose of ensuring
that the husband had had a proper opportunity to consider its terms. Dr Magis
indicated that he was minded to postpone its execution but, when told that the
parties were unlikely again to be in Germany prior to the marriage, he was
persuaded to continue. Dr
Magis, speaking English, then took the parties through the terms of the
agreement in detail and explained them clearly; but he did not offer a
verbatim translation of every line. The parties executed the agreement (which
bears the date of 4 August, 1998) in his presence.”
“The agreement
stated (in recital 2) that (a) the husband was a French citizen and, according to his own
statement, did not have a
good command of German, although he did, according to his own statement and in the opinion of
the officiating notary (Dr Magis), have an adequate command of English; (b) the
document was therefore read out by the notary in German and then translated by
him into English; (c) the parties to the agreement declared that they wished to
waive the use of an interpreter or a second notary as well as a written
translation; and (d) a draft of the text of the agreement had been submitted to
the parties two weeks before the execution of the document.”
“Clause 1 stated
the intention of the parties to get married in London and to establish their
first matrimonial residence there. By clause 2 the parties agreed that the
effects of their marriage in general, as well as in terms of matrimonial
property and the law of succession, would be governed by German law. Clause 3
provided for separation of property, and the parties stated: "Despite
advice from the notary, we waive the possibility of having a schedule of our
respective current assets appended to this deed."
99.
Clause 5 provided for the mutual waiver of claims for
maintenance of any kind whatsoever following divorce:
"The waiver shall apply to the fullest extent
permitted by law even should one of us – whether or not for reasons attributable
to fault on that person’s part – be in serious difficulties.
The notary has given us detailed advice about the right to maintenance
between divorced spouses and the consequences of the reciprocal waiver agreed
above.
Each of us is aware that there may be significant adverse consequences
as a result of the above waiver.”
The Supreme Court further dismisses the argument of the First
Instance Judge, according to which parties had not received independent legal
advice, remarking that the Notary had provided sufficient information on the
consequences of that agreement.
“
114.
The Court of Appeal differed from the finding of the
trial judge that the ante-nuptial agreement was tainted by the circumstances in
which it was made. Wilson LJ, with whom the other two members of the court
agree, dealt with these matters in detail. The judge had found that the husband had lacked independent legal
advice. Wilson LJ
held that he had well
understood the effect of the agreement, had had the opportunity to take
independent advice, but had failed to do so. In these circumstances he could
not pray in aid the fact that he had not taken independent legal advice.
115.
The judge
held that the wife
had failed to disclose
the approximate value of her assets. Wilson LJ observed that the husband knew that the wife had
substantial wealth and had shown no interest in ascertaining its approximate
extent. More significantly, he had made no suggestion that this would
have had any effect on his readiness to enter into the agreement.
116.
The judge
held that the absence of
negotiations was a third vitiating factor. Wilson LJ observed that the judge had given no explanation
as to why this was a vitiating factor, and that the absence of
negotiations merely reflected the fact that the background of the parties
rendered the entry into such an agreement commonplace.
117.
We agree with
the Court of Appeal that the judge was wrong to find that the ante-nuptial agreement had
been tainted in these ways. We also agree that it is not apparent that the
judge made any significant reduction in her award to reflect the fact of the
agreement. In these circumstances, the Court of Appeal was entitled to replace
her award with its own assessment, and the issue for this court is whether the
Court of Appeal erred in principle.”
“Our conclusion is that in the
circumstances of this case it is fair that he should be held to that agreement and that it would be
unfair to depart from it.
We detect no error of principle on the
part of the Court of Appeal. For these reasons we would dismiss this appeal.”
8. Prenuptial
Agreements in Contemplation of Divorce in Continental Europe.
We saw that at the
basis of the rationale of Radmacher v Granatino lays the
assumption that, had such a prenup been brought before a court in France or in
Germany, it would have been considered as valid and enforceable. This remark is certainly true if we consider what
we call in Continental Europe the choice of the régime,
with particular reference to the choice for a system of separation of assets.
The situation is different if we have
regard to the antenuptial regulation of alimony (maintenance) in case of divorce or
separation. This possibility is
excluded in countries such as France or Italy,
whereas more and more countries in Continental Europe allow such provisions. I
could cite here the case of the Family Law Code of Catalogne (Codi de
familia), whose article 15
provides the possibility for spouses to agree on assets and patrimonial issues
“àdhuc en previsió d’una ruptura matrimonial.” Here it is interesting to remark
that same provisions are available to cohabiting partners, according to articles 3 (for
heterosexual couples) and 22 (for homosexual couples) of the Law
Nr. 10 of 15 July 1998 (d’unions estables de parella/de uniones estables de pareja).
As far as Italy
is concerned, we know that the Supreme Court of Cassation has always deemed as null and void
any agreement made in contemplation of future divorce, either concluded during
the legal separation or before. I spent a lot of energy to try to give evidence
that this case law is wrong as well as “diseducating,” because it engenders the
idea that among spouses “pacta non sunt servanda.” However, very recently a decision by my
Court (the first one of this kind in Italy) stated that agreements
reached by married couples at the moment of their separation are valid also in
their provisions in contemplation of divorce.
In such framework
special attention has to be dedicated to the situation of prenups in Germany
(and here we change language…).
9. Eheverträge anlässlich
der Scheidung nach deutschem Recht: Die Rechtssprechung vor 2001.
Nach deutschem Recht hat die Privatautonomie in
Ansehung der Scheidung immer eine wichtige Rolle gespielt. Das entspricht auch
den Spekulationen des klassischen deutschen Denkens. Ich könnte z.B. hier Hegel (Grundlinien
der Philosophie des Rechts, Leipzig, 1930, S. 147), zitieren, nach dem
„Ehepakten“ seien „gegen den Fall der Trennung der Ehe durch natürlichen Tod, Scheidung u. dergl.
gerichtet und Sicherungsversuche (…), wodurch den unterschiedenen Gliedern auf
solchen Fall ihr Anteil an dem Gemeinsamen erhalten wird“.
Seit
vielen Jahren beurteilt die deutsche Rechtssprechung als gültig Eheverträge,
die auch für den Fall der Scheidung vorsorglich abgeschlossen werden.
So
z.B. nach einer Entscheidung des BGH vom 1995
„Für Vereinbarungen vermögensrechtlicher Art, die Ehegatten während der Ehe
oder vorsorglich schon vor der Eheschließung für den Fall einer späteren
Scheidung treffen, besteht
grundsätzlich volle
Vertragsfreiheit (§ 1408 Abs. 1 und Abs. 2 BGB). Eine besondere
Inhaltskontrolle, ob die Regelung angemessen ist, hat – anders als bei einer
Vereinbarung nach § 1587 o BGB – nicht stattzufinden. Die Wirksamkeit der
Vereinbarung hängt nicht von zusätzlichen Bedingungen ab, z.B. davon, daß für
einen Unterhaltsverzicht oder einen Ausschluß des Versorgungsausgleichs eine
Gegenleistung oder die Zahlung einer Abfindung vereinbart ist“ (BGH
27.9.1995).
Nach einem berühmten deutschen Autor (Grziwotz) stehen Ehegatten „zwei Wege offen, Regelungen für
eine einvernehmliche Auseinandersetzung für den Fall der Scheidung ihrer Ehe zu
treffen: der (vorsorgende)
Ehevertrag und die Scheidungsvereinbarung.
Ein umfassender Ehevertrag kann zwar das Zusammenleben der Ehegatten während
der Ehe regeln, in den meisten Fällen werden seine Bestimmungen jedoch erst bei
einer Scheidung aktuell. In ‚guten Zeiten’ bedarf es nämlich meist des Rechts
nicht, um die wechselseitigen Rechte und Pflichten festzulegen. In der emotionalen
Sondersituation der Trennung
wirkt es dagegen entlastend,
wenn Mechanismen für eine geordnete Auseinandersetzung zur Verfügung stehen.
Neben den Ehevertrag als ‚Versicherung gegen die Risiken der Ehe’ tritt die in
der Ehekrise geschlossene Scheidungsvereinbarung. Besteht zwischen den
Ehegatten ein Konsens darüber, daß ihre Scheidung möglichst streitfrei und
kostengünstig abgewickelt werden soll, können sie die Punkte, über die sie
(noch) einig sind, vertraglich niederlegen“ (Grziwotz 1996a, 131).
Bevor das BVerfG und der BGH einige Schränke einführten, waren die
meisten Autoren der Meinung, dass für die vertragliche Regelung nachehelicher
Unterhaltsansprüche volle
Vertragsfreiheit grundsätzlich bestehe.
„Grenzen sind
Unterhaltsvereinbarungen nur
durch gesetzliche Verbote, die guten Sitten
und das Verbot treuwidrigen Verhaltens gesetzt. Der Bundesgerichtshof hält selbst einen vollständigen Verzicht
einer schwangeren Verlobten auf nachehelichen Unterhalt für wirksam. Dies ist auch
zutreffend, da bei Vertragsschluß die weitere Entwicklung, insbesondere nach
einer Scheidung noch nicht absehbar ist. Allerdings kann es wegen dieser
Unsicherheit der künftigen Entwicklung einem Ehemann verwehrt sein, sich auf
den früheren Verzicht zu berufen, wenn dieser bei beiderseitiger
Berufstätigkeit erklärt wurde und die Notwendigkeit der Pflege und Betreuung
gemeinschaftlicher Kinder eine Aufgabe der Erwerbstätigkeit durch die Ehefrau
erfordert. Dies gilt in gleicher Weise, wenn der Verzicht anläßlich einer
Ehekrise erfolgte und die Ehe nach deren Beilegung noch zehn Jahre bestand. Sittenwidrig ist ein Unterhaltsverzicht, der als Gegenleistung für
einen übereinstimmenden Sorgerechtsvorschlag gleichsam als Handel
‚Unterhaltsverzicht gegen Kinder’ gefordert wird“ (so Grziwotz).
„Dass in einem solchen Falle der Entschluß, sich scheiden zu lassen,
einem der beiden Ehegatten aus wirtschaftlichen Gründen schwerer fallen könnte
als dem andern, hat keine Auswirkungen auf die Wirksamkeit der Vereinbarung“ (BGH 19.12.1989, FamRZ 1990, 372; vgl. auch BGH 2.10.1996).
10. Eheverträge
anlässlich der Scheidung nach deutschem Recht: Die notarielle Praxis.
1999, als ich mein Buch über die „Verträge der Ehekrise“ (I contratti della
crisi coniugale) veröffentlicht habe, ließ ich von einem deutschen
Notar einige Muster
übersenden. Ich werde jetzt hier einige Beispiele kopieren. Der erste Fall betrifft einen vollständigen Unterhaltsverzicht.
„III.
Nachehelicher Unterhalt
1.
Der Ehemann verzichtet
gegenüber seiner Ehefrau vollständig
auf die Gewährung nachehelichen
Unterhalts (auch
für den Fall der Not).
2.
Für den Unterhaltsanspruch der Ehefrau verbleibt es bei der gesetzlichen Regelung, jedoch mit
folgenden Maßgaben:
a)
Der Anspruch auf Unterhalt wird auf höchstens ... DM monatlich begrenzt. Die Ehefrau verzichtet
auf einen etwa weitergehenden Unterhaltsanspruch.
b)
Die Ehefrau ist verpflichtet,
die zu einem Steuervorteil für ihren Ehemann erforderlichen Erklärungen abzugeben, wenn ihr die
hieraus entstehenden Nachteile ersetzt werden. Der obige Höchstbetrag ist also
immer als Nettobetrag zu verstehen.
c)
Der Höchstbetrag
ist nach den heutigen Lebenshaltungskosten
festgelegt. Wir
vereinbaren deshalb, daß der Höchstbetrag noch oben oder nach unten im gleichen
prozentualen Verhältnis verändert,
wie sich der von statistischen
Bundesamt festgestellte Preisindex für die Lebenshaltung aller privaten Haushalte nach oben oder unten
verändert. Die erste Anpassung erfolgt nach Rechtskraft der Ehescheidung durch
Vergleich des für den Monat des Vertragsschlusses festgestellten Preisindex mit
dem dann festgestellten Preisindex. Jede weitere Anpassung erfolgt dann jeweils
für den Januar eines Jahres.
d)
Durch die Vereinbarung einer Höchstgrenze bleiben die gesetzlichen
Vorschriften über den nachehelichen Unterhalt im Übrigen unberührt“.
Ein zweites Beispiel
betrifft dagegen den Fall, wo der Scheidungsunterhalt im Vorhaus festgestellt wird.
„III.
Nachehelicher Unterhalt
1.
Für den Fall der Scheidung der von uns beabsichtigten Ehe vereinbaren wir
in Bezug auf den nachehelichen Unterhalt:
a)
Der Unterhaltsanspruch
wird insgesamt ausgeschlossen, wenn die Ehe nicht länger als fünf Jahre Bestand hatte.
b)
Dieser Ausschluß gilt jedoch nicht, wenn und soweit der
Unterhaltstatbestand des § 1570 BGB (Pflege oder Erziehung eines
gemeinschaftlichen Kindes) vorliegt.
c) Im Übrigen verbleibt es bei den gesetzlichen Bestimmungen.
2.
Der Unterhaltsanspruch
wird, sofern er
gemäß den vorstehenden Vereinbarungen besteht, der Höhe nach wie folgt begrenzt:
a)
Für den Eheteil, der ein gemeinschaftliches Kind betreut, beträgt der
Unterhaltsanspruch höchstens
pro Monat DM … .
b)
In allen anderen Fällen, in denen ein Unterhaltsanspruch kraft Gesetzes
nach Maßgabe der vorstehend vorgenommenen Beschränkungen besteht, beträgt der
Unterhaltsanspruch die Hälfte des vorgenannten Betrages.
c )
Tritt eine Änderung in der Höhe des Lebensbedarfs infolge der
allgemeinen wirtschaftlichen Verhältnisse ein, so ist der genannte Betrag entsprechend zu ändern.
Er soll sich dabei im gleichen Prozentverhältnis erhöhen oder vermindern, in
dem sich der vom Statistischen Bundesamt festgestellte durchschnittliche
jährliche Preisindex für die Gesamtlebenshaltung aller privaten Haushalte –
berechnet auf der Basis 1980 = 100 – im Vergleich zu demselben Index für den
Monat des Vertragsabschlusses erhöht oder vermindert. Die Neufestsetzung findet
jeweils im April eines Kalenderjahres statt, wobei dann jeweils der Index für
das vergangene Kalenderjahr mit dem Index für den Monat des Vertragsabschlusses
verglichen wird.
Die Beträge gelten in ihrer veränderten Höhe jeweils vom ersten Januar an
als geschuldet, der dem Monat der planmäßigen Neufeststellung vorangegangen
ist. Bei einer Umstellung auf eine neue Indexbasis gilt die neue Indexreihe von
ihrer amtlichen Veröffentlichung an.
Die Vertragsteile beantragen die Genehmigung dieser
Wertsicherungsvereinbarung gemäß § 3 des Währungsgesetzes durch die
Landeszentralbank.
d)
Die Anwendung der Vorschrift des 323 ZPO wird im Übrigen ausgeschlossen.
3.
Für den Fall, daß ein Unterhaltsanspruch nach den vorstehenden
Vereinbarungen besteht, gelten im Übrigen die gesetzlichen Bestimmungen“.
Nach der deutschen
Lehre kann ferner „die Unterhaltspflicht erst nach
einer bestimmten Ehedauer oder bei Geburt eines
gemeinsamen Kindes eintreten
oder zeitlich begrenzt werden. Häufig schließen Ehegatten den nachehelichen
Unterhalt, ausgenommen den Fall der Kinderbetreuung, aus, um so die beiderseitige
Verantwortung auf “ehebedingte Risiken” zu beschränken. Damit kann ein
“Übergangsunterhalt” für eine bestimmte Zeit verbunden werden, der dem
sorgeberechtigten Ehegatten nach Abschluß der Kinderbetreuung die
Wiedereingliederung in das Erwerbsleben ermöglichen soll. Denkbar sind schließlich
noch Vereinbarungen
über die Art der Unterhaltsgewährung und
die Abhängigkeit des
nachehelichen Unterhaltsanspruches vom Scheidungsverschulden. Die
letztgenannte Regelung wird von Ehepaaren häufig gewünscht, sollte aber nur in
Ausnahmefällen vereinbart werden. Besonders krasse Fälle werden bereits durch
die gesetzlichen Ausschließungsgründe erfaßt; eine weitergehende vertragliche
Wiedereinführung des Schuldprinzips führt nur zum Waschen schmutziger Wäsche mit
allen damit verbundenen Eingriffen in den Intimbereich der Ehegatten und den
daraus resultierenden Zufälligkeiten“ (so Grziwotz).
11. Eheverträge
anlässlich der Scheidung nach deutschem Recht: Die Rechtssprechung nach 2001.
Soweit
es bei einer Vereinbarung zum Nachscheidungsunterhalt um die Benachteiligung des
Unterhaltsberechtigten durch eine einseitige Lastenverteilung geht, hat eine Entscheidung des Bundesverfassungsgerichts
im Jahre 2001
(BVerfG 6.2.2001) zu einer Änderung
der Rechtssprechung
des BGH geführt.
Das Bundesverfassungsgericht hat die Kritik an der schrankenlosen Vertragsfreiheit, mit der
Verzichtsvereinbarungen – abgesehen vom Fall der Sittenwidrigkeit – möglich
waren, aufgegriffen.
Es hat verlangt,
dass im Rahmen
einer richterlichen Inhaltskontrolle
auch verfassungsrechtliche
Schranken beachtet
werden, welche der Privatautonomie bei einseitiger Dominanz eines Ehepartners
aus Gründen gestörter Vertragsparität im Hinblick auf die Schutzbedürftigkeit
des verzichtenden Ehegatten gesetzt sein können. Insoweit setze die
nach Art. 2 I GG gewährte Privatautonomie voraus, dass die Bedingungen zur
Selbstbestimmung des Einzelnen auch tatsächlich gegeben seien. Enthalte ein Ehevertrag eine
erkennbar einseitige Lastenverteilung und sei er z. B. im Zusammenhang mit einer Schwangerschaft
geschlossen worden, gebiete es die Schutzwirkung des Art. 6 IV GG, den
an sich möglichen Unterhalts verzicht richterlich zu überprüfen. Bei der
verlangten Überprüfung gehe es um die Drittwirkung von Grundrechts Positionen
der Vertragsparteien, die über die Anwendung der zivilrechtlichen
Generalklausein durch richterliche Inhaltskontrolle zu verwirklichen seien.
Mit seiner Grundsatzentscheidung vom
11.2.2004 hat der BGH vor dem Hintergrund
der erwähnten Rechtsprechung des Bundesverfassungsgerichts die Abkehr von der vorher von
ihm bejahten grundsätzlich
vollen Vertragsfreiheit für Vereinbarungen zum nachehelichen Unterhalt
und zu sonstigen versorgungs- und güterrechtlichen Scheidungsfolgen vollzogen. Zunächst hält der BGH als
Ausgangspunkt richtigerweise daran fest, dass
die gesetzlichen
Regelungen über den nachehelichen Unterhalt, Zugewinn und Versorgungsausgleich
im Rahmen ihrer Privatautonomie grundsätzlich der vertraglichen Disposition der
Ehegatten unterliegen. Im Ergebnis hat er diese Ausgangsüberlegung
allerdings dadurch in Frage gestellt, dass er konstatiert, der Schutzzweck der
gesetzlichen Regelungen dürfe durch vertragliche Vereinbarungen nicht beliebig
unterlaufen werden, indem eine durch die individuelle Gestaltung der Lebens
Verhältnisse nicht gerechtfertigte und dem benachteiligten Ehegatten
unzumutbare Lasten Verteilung herbeigeführt werde.
Der BGH weist daraufhin, dass
sich nicht allgemein und für alle denkbaren Fälle beantworten lasse, unter welchen
Voraussetzungen eine Unterhaltsvereinbarung für den Scheidungsfall unwirksam (§
138 BGB: Sittenwidrigkeit) oder anzupassen sei (§ 242 BGB: Treu und Glauben).
Der BGH verpflichtet den Tatrichter
zu prüfen, ob auf Grund einer vom
gesetzlichen Scheidungsfolgenrecht abweichenden Vereinbarung eine evident
einseitige Lastenverteilung entsteht, die hinzunehmen für den belasteten
Ehegatten unzumutbar erscheint.
Eine Schwangerschaft reicht z.B. für sich genommen nicht aus, eine Nichtigkeit
festzustellen, und zwar auch dann nicht, wenn der Pflichtige die Eheschließung
vom Vertragsabschluss abhängig macht. Sie indiziert aber eine schwächere Verhandlungsposition und damit eine Disparität bei
Vertragsschluss und führt zwingend zu einer verstärkten richterlichen Kontrolle.
Hält ein Vertrag der Wirksamkeitskontrolle stand und ist er auch nicht aus sonstigen
Gründen sittenwidrig, hat
eine richterliche
Ausübungskontrolle nach § 242 BGB zu folgen. Dabei ist zu prüfen, inwieweit der
begünstigte Ehegatte im Zeitpunkt der Scheiterns der Lebensgemeinschaft seine
ihm durch den Vertrag eingeräumte Rechtsmacht missbraucht wenn er sich auf die Abbedingung von
(unterhaltsrechtlichen) Scheidungsfolgen beruft, obwohl sich nunmehr in diesem
Zeitpunkt eine evident einseitige
Lastenverteilung ergibt, die hinzunehmen für den belasteten Ehegatten
bei angemessener Würdigung der Ehe nicht zumutbar ist, auch wenn die Belange des begünstigten
Ehegatten und dessen Vertrauen in die Gültigkeit der getroffenen Abrede
angemessen berücksichtigt werden. Das kommt insbesondere in Betracht, wenn die
tatsächliche einvernehmliche Gestaltung der ehelichen Lebensverhältnisse von
den ursprünglich geplanten und dem Vertrag zugrunde gelegten
Lebensverhältnissen abweiche.
Ich persönlich stimme völlig mit
folgender Aussage von einer deutschen
Autorin (Hofer) überein, die diese Rechtssprechung kritisiert, indem Sie bemerkt, dass
die starke Belastung
einer Vertragsseite oder bestimmte persönliche Eigenschaften (z.B. Geschlecht, Schwangerschaft) zum
Anlass für richterliche
Eingriffe in Verträge
nicht gemacht werden könne. Eine solche Konzeption bedeute eine „Bevormundung“, sofern in Eigenverantwortung
getroffene Entscheidungen nicht respektiert werden, und stehe im Widerspruch zum Prinzip der
Privatautonomie. Ferner bin ich der Meinung, dass die Befugnisse eines deutschen (bzw.
italienischen, oder französischen etc.) Richters ganz unterschiedlich sind als diejenigen der Richter von Common Law Ländern. Tatsächlich, in den kontinentaleuropäischen Rechtssystemen
des Civil Law ist den Richtern nicht
erlaubt, den Inhalt von Rechtsgeschäften zu bestimmen.
INIZIO DEL TESTO/BEGINNING OF THE TEXT/ANFANG DES TEXTES
SOMMARIO/TABLE OF CONTENTS/INHALTSÜBERSICHT