Giudice del Tribunale di Torino
Dottore di ricerca in diritto
privato
Docente a contratto
nell’Università di Torino
Segretario Generale
dell’Unione Internazionale dei Magistrati
Componente del Groupe de Pilotage
«CEPEJ-SATURN» del Consiglio d’Europa
IL CONSIGLIO
D’EUROPA
E I TEMI DELLA
GIUSTIZIA:
LA RACCOMANDAZIONE
DEL 2010 SUL TEMA
«INDIPENDENZA,
EFFICIENZA E RESPONSABILITÀ DEI GIUDICI»;
LA CEPEJ E IL CENTRE DE PILOTAGE «CEPEJ-SATURN» DEL CONSIGLIO
D’EUROPA;
IL «PROGRAMMA
STRASBURGO»
E IL RUOLO DEL
TRIBUNALE DI TORINO
NELLA RETE DEI
TRIBUNALI REFERENTI DELLA CEPEJ
Sommario: 1.
Introduzione. Il Consiglio d’Europa e i temi della giustizia. – 2. La Raccomandazione del 2010 sul tema:
«Indipendenza, efficienza e responsabilità dei giudici».
– 2.1. Considerazioni generali. Il contesto in cui
si colloca la Raccomandazione ed i suoi tratti fondamentali. – 2.2. I Capitoli I), II) e III): profili generali;
indipendenza esterna e indipendenza interna. – 2.3.
I Capitoli IV), V) e VI): Consigli della Magistratura, efficienza e statuto
del giudice. – 2.4. I Capitoli VII) e VIII):
doveri, responsabilità e principi deontologici dei giudici. – 3. La CEPEJ (Commission
Européenne pour l’efficacité de la justice/European
Commission for the Efficiency of Justice). – 3.1.
Struttura e funzioni. – 3.2. Il Réseau des tribunaux
référents de la CEPEJ. – 3.3. Il Groupe de pilotage du Centre pour la gestion du temps judiciaire
«SATURN» e il Gruppo «Qualità della
giustizia ». – 4.
Il «Programma Strasburgo» del Tribunale di Torino ed i suoi
rapporti con le «Direttive SATURN per la gestione dei tempi
della giustizia». – 4.1. Breve descrizione del
«Programma Strasburgo» e del «Decalogo» per la
trattazione delle cause civili del Tribunale di Torino. – 4.2. Alcune regole del «Decalogo» poste a
raffronto con le «Direttive SATURN per la gestione dei tempi della
giustizia»: il problema della gestione attiva dei processi. – 4.3. Alcune regole del «Decalogo» poste a
raffronto con le «Direttive SATURN per la gestione dei tempi della
giustizia»: come adattare la gestione dei tempi della giustizia ad
obiettivi generali e speciali. – 4.4.
Alcune regole del «Decalogo» poste a raffronto con le
«Direttive SATURN per la gestione dei tempi della giustizia»: il
problema degli accordi sulla tempistica del processo con le parti e con gli
avvocati. – 4.5. Alcune
regole del «Decalogo» poste a raffronto con le «Direttive
SATURN per la gestione dei tempi della giustizia»: il problema della
cooperazione con (e del controllo di) altri attori del processo (consulenti,
testimoni, ecc.).
– 4.6. Alcune regole del «Decalogo»
poste a raffronto con le «Direttive SATURN per la gestione dei tempi
della giustizia»: il problema della repressione degli abusi
processuali. –
4.7. La motivazione delle sentenze. – 5. Appendice. Elenco di links
utili. |
1. Introduzione. Il Consiglio d’Europa e i temi della giustizia.
Il
Consiglio d’Europa svolge da tempo un ruolo fondamentale in relazione ai
temi della giustizia nei 47 Stati membri. La ragione per la quale questo
organismo si occupa di tale settore risiede in una delle disposizioni più
importanti della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali. Questa, infatti,
all’art. 6, prevede, come noto, che «In the determination of his
civil rights and obligations or of any criminal charge against him, everyone is
entitled to a fair and public hearing within a reasonable time by an
independent and impartial tribunal established by law».
E’ dunque sulle espressioni
«independent and impartial tribunal», da un lato, e «within a
reasonable time», dall’altro, che fondano gli assi portanti
dell’azione sviluppata dal Consiglio d’Europa in questi ultimi
decenni, in particolare a partire dalla caduta del muro di Berlino.
In
relazione al primo punto dovranno menzionarsi, in primo luogo, le innumerevoli
attività di supporto sviluppate, in specie dai primi anni Novanta dello
scorso secolo, per l’assistenza all’elaborazione di una normativa,
a livello sia costituzionale che ordinario, conforme ai principi del rule of law nei Paesi già membri
del Patto di Varsavia, assieme ad una impressionante serie di iniziative nel
settore della formazione di magistrati, avvocati, personale di giustizia,
creazione di scuole, accademie, istituti di ricerca, etc. (una semplice
occhiata alla pagina dedicata al «rule of law» dal sito web del
Consiglio d’Europa – http://www.coe.int
– varrà a fornire una prima, ancorché approssimativa idea
al riguardo).
Non
potrà poi passarsi sotto silenzio, sempre in relazione al tema
dell’indipendenza ed imparzialità della magistratura, la
creazione, nei primi anni del nuovo millennio, del Consiglio Consultivo dei
Giudici Europei e del suo «parallelo» Consiglio Consultivo dei
Pubblici Ministeri Europei. Anche qui un rapido sguardo alle pagine del sito
ufficiale del Consiglio d’Europa (sempre nel settore dedicato alla
creazione dello «Stato di diritto») fornirà una panoramica
molto interessante sulle questioni (praticamente tutte quelle ad oggi rilevanti
per chi opera nel settore della giustizia) che hanno formato oggetto dei pareri
espressi tanto dal primo, che dal secondo dei due citati Consigli Consultivi
(cfr., rispettivamente, http://www.coe.int/t/dghl/cooperation/ccje/default_EN.asp
e http://www.coe.int/t/DGHL/cooperation/ccpe/default_en.asp).
Ma
è nell’elaborazione degli strumenti internazionali sul tema
dell’indipendenza del potere giudiziario che il Consiglio d’Europa
ha raggiunto i risultati sicuramente più apprezzabili. Tra i tanti,
vorrei soffermarmi in particolare sulla Raccomandazione del 2010 sul tema:
«Indipendenza, efficienza e responsabilità dei giudici», che
formerà oggetto del prossimo paragrafo.
Prima
di trattare di questo argomento vorrei però ricordare, a livello
introduttivo, che l’altro grande settore di attività, collegato in
qualche modo al concetto del «délai raisonnable», è
quello dell’efficienza della giustizia. Comparto, quest’ultimo, che
ha visto la creazione, a partire dai primi anni di questo secolo, di
un’apposita commissione (la CEPEJ), che è andata assumendo un
ruolo via via determinante. Anche di questo tema sarà d’uopo
occuparsi in questo lavoro, dopo che sarà stato approfondito il tema
della Raccomandazione del 2010.
2. La Raccomandazione del 2010 sul tema: «Indipendenza, efficienza e responsabilità dei giudici».
2.1. Considerazioni generali. Il
contesto in cui si colloca la Raccomandazione ed i suoi tratti fondamentali.
Il 23 ottobre 2008, su proposta
della Direzione
Generale dei Diritti Umani e Affari Giuridici, Comitato per la cooperazione
legale (Directorate General on Human
Rights and Legal Affairs - Committee on Legal Co-operation (CDCJ)), il
Segretario Generale del Consiglio d’Europa decideva di costituire un
«Group of Specialists on the Judiciary (CJ-S-JUD)». La commissione,
composta da quindici esperti di diversi Paesi europei, tra cui lo scrivente,
ricevette l’incarico di procedere all’elaborazione di una nuova
versione della Raccomandazione
Nr. R (94) 12, del Consiglio d’Europa,
«sull’indipendenza, efficienza e ruolo dei giudici».
Nel dicembre 2009, al termine di
un lavoro che si snodò nel corso d’un intero anno, il predetto
comitato d’esperti provvide a finalizzare e a consegnare al Segretariato
Generale la proposta
di una nuova raccomandazione, dal titolo seguente: «Recommendation on
Judges: Independence, Efficiency and Responsibilities». Il draft fu discusso in seno allo European Committee on Legal Co-operation
(CDCJ), prima di passare al Comitato
dei Ministri, che lo adottò il 17 novembre 2010, durante il 1098th
meeting of the Ministers’ Deputies
con alcune modifiche: nacque così la «Recommendation
CM/Rec(2010)12 of the Committee of Ministers to Member States on Judges:
Independence, Efficiency and Responsibilities».
Va innanzi tutto tenuto conto del
fatto che la necessità di un nuovo strumento del Consiglio
d’Europa in questo settore s’imponeva in considerazione del fatto
che la Raccomandazione precedentemente in vigore, risalente al 1994, era ormai
da tempo avvertita come bisognevole di aggiornamento, alla luce, da un lato,
dell’accesso al Consiglio d’Europa di un consistente numero di
nuovi Paesi del nostro Continente e, dall’altro, delle sempre più
puntuali riflessioni svolte a livello internazionale sui temi attinenti
all’indipendenza, allo status,
alle diverse forme di responsabilità dei magistrati. Ciò anche
sull’onda dell’approvazione, nell’ultimo decennio, di
svariati documenti internazionali, molti dei quali promulgati sotto
l’egida dello stesso Consiglio d’Europa: dalla Carta Europea sullo
Statuto del Giudice, varata nel 1998, ai pareri del Consiglio Consultivo dei
Giudici Europei (CCJE), ai rapporti e
ai lavori della Commissione Europea sull’Efficacia della Giustizia (CEPEJ). Per non dire poi
dell’attività svolta in tutti questi anni dallo stesso Consiglio
d’Europa nei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale, per
assisterli, con svariate missioni di studio e di supporto, nella redazione di
nuovi strumenti normativi, nonché nell’avvio della relativa
attività di formazione iniziale e continua, anche attraverso il
contributo fattivo alla creazione di Scuole, Accademie, Istituti e Centri di
formazione per la magistratura al passo con i tempi e conformi agli standards internazionali
sull’indipendenza del potere giudiziario.
Non potrà poi neppure
tacersi il contributo prestato, in questo stesso periodo ed in questo medesimo
settore, dall’ Unione Internazionale
dei Magistrati. Questa organizzazione, che ad oggi annovera ottanta membri
(associazioni nazionali di magistrati dei cinque continenti, tra cui
l’A.N.M.), tramite il suo Gruppo Regionale Europeo (l’Associazione
Europea dei Magistrati), gode dello status
di osservatore presso il CCJE e la CEPEJ (così come, del resto,
accade per l’U.I.M. in relazione a determinati uffici delle Nazioni
Unite). In tale veste essa ha partecipato con il MEDEL quale osservatore ai lavori della commissione CJ-S-JUD ed è più volte
intervenuta nel corso degli ultimi quindici anni con l’elaborazione di
documenti, risoluzioni, raccomandazioni, tanto a livello generale ed astratto,
che con riguardo alle situazioni di singoli Paesi del nostro Continente.
Quanto sopra
è del resto reso evidente dagli stessi consideranda della Raccomandazione del 2010, i quali citano expressis verbis le «Opinions of the Consultative
Council of European Judges (CCJE)», così come «the work of the European
Commission for the Efficiency of Justice (CEPEJ)» e la
«European Charter on the statute for judges prepared within the framework
of multilateral meetings of the Council of Europe».
Naturalmente, il punto di
riferimento fondamentale – vero e proprio ubi consistam della Raccomandazione – continua ad essere il
principio del diritto ad un «independent and impartial tribunal
established by law», scolpito nell’art. 6 della Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali. Canone, questo, pure espressamente menzionato nel preambolo del nuovo
strumento, unitamente alla considerazione per la quale la Raccomandazione del
1994 «needs to be substantially updated in order to reinforce all
measures necessary to promote judges’ independence and efficiency, assure
and make more effective their responsibility and strengthen the role of
individual judges and the judiciary generally».
Il testo vero e proprio della
Raccomandazione del 2010 s’articola nei seguenti otto distinti capitoli:
I) Profili generali; II) Indipendenza esterna; III) Indipendenza interna; IV)
Consigli della magistratura; V) Indipendenza, efficienza e risorse; VI) Status del giudice; VII) Doveri e
responsabilità; VIII) Deontologia dei giudici.
Le principali novità,
rispetto alla Raccomandazione del 1994 e, più in generale, rispetto alle
altre dichiarazioni internazionali precedenti, possono essere, in poche parole,
così riassunte: a) attribuzione di rilievo autonomo al profilo
dell’indipendenza interna, di cui viene, tra l’altro, fornita per
la prima volta una definizione a livello di testo internazionale; b)
riconoscimento dell’essenzialità, nella tutela
dell’indipendenza della magistratura, del ruolo svolto da organi quali il
Consiglio Superiore della Magistratura, o il Consiglio di Giustizia, o il
Consiglio Giudiziario, o simili, esistenti ormai in svariate realtà del
nostro Continente; c) enfatizzazione del principio di inamovibilità ed
esplicita condanna della pratica (conosciuta da alcuni sistemi) delle
«prime nomine temporanee» (seguite, a distanza di alcuni anni, da
apposite reappointment procedures);
d) attribuzione di un ruolo determinante alla formazione (iniziale e continua)
della magistratura; e) corretta enfatizzazione dell’efficienza (di cui
viene fornita, anche qui per la prima volta in un documento internazionale, una
precisa ed esaustiva definizione) dell’operato della magistratura; f)
enucleazione di un autonomo capitolo sulla deontologia professionale,
nell’ambito del quale trova acconcia collocazione la questione dei c.d.
«codici etici».
2.2. I Capitoli I), II) e III):
profili generali; indipendenza esterna e indipendenza interna.
Passando ad una rapida
illustrazione di ciascuno dei citati capitoli, va innanzi tutto sottolineato
come il primo, relativo ai profili di carattere generale, si occupi di definire
il campo di applicazione della Raccomandazione, chiarendo come la stessa sia
«applicabile a tutte le persone che esercitano funzioni giudiziarie, ivi
comprese quelle concernenti questioni costituzionali» (art. 1). Lo
strumento sarà inoltre applicabile, in linea di massima, anche ai
«giudici non professionali, ad eccezione di quelle disposizioni in cui
appaia chiaro dal contesto delle norme in questione che queste trovano
applicazione soltanto ai giudici professionali» (art. 2). Nonostante chi
scrive si sia strenuamente battuto (unitamente agli altri giudici membri
– del tutto minoritari – di una commissione costituita per lo
più da alti funzionari ministeriali) per l’estensione della
Raccomandazione anche ai magistrati del Pubblico Ministero, essa sarà
applicabile esclusivamente ai giudici, essendo sfortunatamente prevalsa nel
comitato d’esperti l’interpretazione riduttiva del citato art. 6
della Convenzione, che limita l’espressione «Tribunal» al
solo personale giudicante degli uffici giudiziari, senza peraltro tenere conto
che, ben consapevole del fatto che una giustizia perfettamente indipendente presuppone
necessariamente anche una pubblica accusa indipendente, lo stesso Consiglio
d’Europa si è sentito in dovere, già da diversi anni, di
affiancare ad un Consiglio consultivo dei giudici un Consiglio consultivo dei
pubblici ministeri.
La Raccomandazione si volge
quindi a fornire una definizione del concetto di «Judicial
Independence», alla stregua di un «fundamental right, laid down in
Article 6 of the Convention», soggiungendo peraltro subito che il suo
scopo è quello di garantire ad ogni persona il diritto «to have
their case decided in a fair trial, on legal grounds only and without any
improper influence» (art. 3). Le rimanenti disposizioni del Capitolo I)
si preoccupano poi di fissare altri principi-cardine, tra cui quello secondo il
quale l’indipendenza della magistratura dovrebbe essere consacrata a
livello costituzionale o, comunque, al più alto livello possibile della
legislazione dei singoli Stati membri (art. 7), precisando anche che, laddove i
giudici considerano che la loro indipendenza sia in pericolo, essi dovrebbero poter
«have recourse to a council for the judiciary or another independent
authority, or they should have effective means of remedy» (art. 8): il
che è esattamente quanto, ad esempio, accade presso il C.S.M. italiano
in relazione alle c.d. «pratiche a tutela». L’Explanatory Memorandum chiarisce poi sul punto (e trattasi di argomento sul
quale lo scrivente ha molto insistito in sede di lavori preparatori) che tra
gli altri «effective means of remedy» un ruolo fondamentale
è svolto nei sistemi di Common Law
dall’istituto del Contempt of Court,
tramite il quale i giudici britannici sono in grado di «autoproteggersi»
efficacemente da ogni forma di ingerenza esterna (cfr. art. 21 del citato Memorandum, secondo cui The Recommendation calls for all necessary
measures to be taken to protect and promote the independence of judges. These measures could include laws such as the “contempt of
court” provisions that already exist in some member states (Recommendation,
paragraph 13)».
Il Capitolo II), dedicato
all’indipendenza esterna, s’apre con una disposizione (art. 11), il
cui compito è quello di chiarire che tale indipendenza non è una
«prerogative or privilege granted in judges’ own interest»,
poiché trattasi di presidio «in the interest of the rule of law
and of persons seeking and expecting impartial justice». Segue il
principio secondo cui la legge dovrebbe prevedere sanzioni nei confronti di
chiunque tenti di esercitare indebite influenze sui giudici (art. 14).
Un altro tema affrontato da tale
Capitolo (cfr. art. 18) attiene alle critiche svolte nei confronti delle
decisioni di giustizia. Sul punto si specifica che i poteri legislativo ed
esecutivo dovrebbero evitare critiche tali da minare l’indipendenza della
magistratura, ovvero la pubblica fiducia nel potere giudiziario. Essi
dovrebbero inoltre evitare ogni azione (fatta salva l’esternazione
dell’intenzione di esercitare il diritto d’impugnazione) in grado
di porre in dubbio la loro determinazione di conformarsi alle sentenze emesse
dall’autorità giudiziaria. Anche il diritto all’informazione
(art. 19) dovrebbe essere esercitato tenendo conto dei limiti imposti
dall’indipendenza della magistratura. In tale contesto, la
raccomandazione incoraggia la creazione di organi, all’interno degli
uffici giudiziari, incaricati di intrattenere le relazioni con i mezzi
d’informazione. D’altro canto, i giudici dovrebbero dare prova di
riserbo nei loro rapporti con i media.
Il Capitolo III), come detto,
s’occupa dell’indipendenza interna, definendola come
l’indipendenza di ogni singolo giudice nell’esercizio delle sue
funzioni giudiziarie (art. 22). Avuto riguardo ai sempre latenti rigurgiti
– cui non sono purtroppo estranei ampi settori dello stesso potere
giudiziario – di pericolose impostazioni favorevoli ad un inquadramento
stratificato e verticistico di un potere che, tutto al contrario, è per
definizione e deve rimanere «diffuso», fondamentale appare la
regola secondo cui «Hierarchical judicial organisation should not
undermine individual independence» (cfr. art. 22). Principio, questo,
assai vicino a quello, pure espressamente consacrato, per cui le corti
superiori non possono indirizzare istruzioni ai giudici «inferiori»
sul modo in cui le controversie vanno decise (art. 23).
Una specifica disposizione fa poi
salvo il diritto dei magistrati di formare e di iscriversi a organizzazioni
professionali, i cui obiettivi siano quelli di salvaguardare
l’indipendenza dei giudici, proteggere i loro interessi e promuovere le
regole dello stato di diritto (art. 25).
2.3. I Capitoli IV), V) e VI):
Consigli della Magistratura, efficienza e statuto del giudice.
Ai Consigli della Magistratura
è dedicato il Capitolo IV), il quale s’apre con
l’affermazione per cui tali organi d’autogoverno «mirano a
salvaguardare l’indipendenza della magistratura e dei singoli giudici e
pertanto tendono a promuovere l’efficiente funzionamento del sistema
giudiziario» (art. 26). Una constatazione, questa, dalla quale appare
più che legittimo dedurre una netta manifestazione di favore del
Consiglio d’Europa per lo stabilimento di siffatti organismi anche nei
Paesi che ancora non li conoscono. Sarà opportuno citare a questo punto
un altro documento di estremo interesse, di provenienza, questa volta,
dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, la quale, in
data 30 settembre 2009, ha approvato una risoluzione (cfr. la Resolution 1685 (2009),
«Allegations of politically motivated abuses of the criminal justice
system in Council of Europe member states»), che ha espressamente
invitato – oltre tutto in termini assai perentori – la Germania a
dotarsi di un Consiglio Superiore della Magistratura.
Un tema di scottante
attualità in Europa, quale quello della composizione di questi organi,
è affrontato con la prescrizione secondo cui essi dovrebbero essere
composti per non meno della metà da giudici eletti dai loro pari
«from all levels of the judiciary» e con il rispetto del pluralismo
all’interno del potere giudiziario (art. 27). La regola riecheggia da
vicino non solo la Carta Europea sullo Statuto del giudice del 1998, ma anche
la già ricordata risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del
Consiglio d’Europa, la quale ha, tra l’altro, invitato la Francia a
(cfr. il punto 5.3.4.) «consider restoring a majority of judges and
prosecutors within the Conseil
supérieur de la magistrature or ensuring that the members appointed
by political bodies also include representatives of the opposition and making
the Conseil supérieur de la
magistrature’s opinion binding also for decisions concerning
prosecutors».
Capitale il principio, secondo
cui «nell’esercizio delle loro funzioni, i Consigli della
Magistratura non dovrebbero interferire con l’indipendenza di ogni
singolo giudice» (art. 29): monito, questo, lapidario, di grande
interesse e rigorosa pertinenza per l’Italia, ove il C.S.M. è
venuto assumendo un ruolo che, nel disperdersi in una miriade di funzioni anche
di modesto o assolutamente trascurabile rilievo, rischia, da un lato, di
paralizzarne l’attività e, dall’altro, di dar luogo a forme
di eccessiva e pericolosa invadenza nei confronti di un corpo di magistrati
troppo sovente e da troppi soggetti (fuori e dentro il C.S.M.) considerato come
un insieme di persone ogni aspetto della vita delle quali dovrebbe essere
capillarmente «gestito», o quanto meno «monitorato»
dall’alto, quasi si trattasse di soggetti capite minuti.
Anche il successivo Capitolo V)
contiene numerose e rilevanti disposizioni.
Si comincia con la definizione
del concetto di «efficienza della magistratura», qualificata come
la capacità di «rendere decisioni di qualità in un termine
ragionevole» (art. 31). L’ «efficient management of
cases» viene altresì espressamente considerato alla stregua
dell’oggetto di un preciso dovere non soltanto delle autorità
preposte al funzionamento del sistema giudiziario, ma anche di ogni singolo
giudice (cfr. art. 31 cit.). Peraltro la Raccomandazione si preoccupa di
specificare che l’efficienza deve comunque essere raggiunta «nel
rispetto dell’indipendenza e dell’imparzialità dei
giudici» (art. 32).
Parte essenziale di tale Capitolo
è costituita dalla menzione del primario dovere degli Stati di porre al
servizio della giustizia le risorse necessarie (art. 33), così come di
promuovere il ricorso a metodi alternativi di soluzione delle controversie (art.
39) e di fare in modo che i Consigli della Magistratura e, più in
generale, gli stessi uffici giudiziari, nonché le organizzazioni
professionali dei magistrati abbiano la possibilità di esprimere il loro
parere nel processo d’allestimento del bilancio per la giustizia (art.
40). Particolare attenzione è prestata a temi quali
l’«electronic case management» e le «information
communication technologies» (art. 37) o alla sicurezza dei giudici contro
possibili atti di violenza (art. 38).
Il Capitolo VI) contempla lo statuto
del giudice.
Qui trovano acconcia collocazione
alcune disposizioni già presenti nella Raccomandazione del 1994 ed in
particolare il riferimento alla necessità che tutte le decisioni
concernenti la selezione e la carriera dei giudici siano basate su «objective
criteria pre-established by law or by the competent authorities». I criteri sono
così enumerati: «qualifications, skills and capacity required to
adjudicate and apply the law while respecting human dignity» (art. 44). Pure in relazione
all’autorità incaricata di assumere decisioni sul reclutamento e
la carriera dei magistrati viene ripetuta la regola secondo cui tale organo
dovrebbe essere composto per almeno la metà da giudici scelti dai loro
pari e comunque essere indipendente dall’esecutivo e dal legislativo
(art. 46). Anche laddove disposizioni di legge prescrivono che sia il Capo
dello Stato, o il governo o il potere legislativo ad assumere decisioni in tale
campo, il reclutamento dei giudici dovrebbe essere effettuato vuoi da un
Consiglio della Magistratura, vuoi da un organo indipendente, composto
«in substantial part from the judiciary»: siffatti organi
dovrebbero poter emettere raccomandazioni che l’autorità preposta
alla selezione dovrebbe in pratica (e automaticamente) seguire (art. 47). In
ogni caso dovrebbe essere assicurato il diritto per i candidati di ricorrere
contro una decisione di rigetto (art. 48).
L’inamovibilità
costituisce un aspetto fondamentale dell’indipendenza dei giudici.
Seguendo sul punto l’opinione N. 1 del CCJE (approvata nel 2001 sulla base di un progetto preliminare
predisposto dallo scrivente, in qualità di esperto incaricato dal
Consiglio d’Europa), la Raccomandazione chiaramente evidenzia come il
concetto di «inamovibilità» sia qualcosa di ulteriore rispetto
a quella che i giuristi di Common Law
riduttivamente traducono con il termine tenure.
Mentre infatti quest’ultima espressione denota il diritto di un giudice
di conservare la propria carica sino al pensionamento (fatte salve, ovviamente,
eventuali misure disciplinari, che nei sistemi di matrice anglosassone, a
differenza che da noi, costituiscono eventi di assoluta rarità),
l’inamovibilità pone il giudice al riparo dal rischio di essere
trasferito «to another judicial office without consenting to it, except
in cases of disciplinary sanctions or reform of the organisation of the
judicial system» (cfr. art. 52).
Al tema, poi, del trattamento
economico dei giudici sono dedicati tre articoli, che pongono correttamente in
luce lo stretto legame che siffatto argomento presenta con la garanzia
dell’indipendenza della magistratura. Così viene stabilito, tra
l’altro, che la remunerazione dei giudici dovrebbe essere commisurata al
tipo di professione da essi esercitata ed alle relative responsabilità,
oltre che essere «sufficient to shield them from inducements aimed at
influencing their decisions» (art. 54). Quanto mai rilevante (di fronte
ad alcuni infelici esperimenti tentati da taluni governi europei negli ultimi
anni) la disposizione (art. 55) che bandisce, siccome fonti di possibili
«difficulties for the independence of judges», tutti i sistemi che
pongano in collegamento «la remunerazione delle funzioni giudiziarie con
il rendimento del lavoro».
Nonostante gli sforzi dello
scrivente, in sede di lavori preparatori, per attribuire al tema della
formazione un rilievo più esteso, la Raccomandazione contiene due soli
articoli dedicati a questo argomento. Nondimeno appare chiaramente stabilito
l’obbligo degli Stati di fornire ai giudici «theoretical and
practical initial and in-service training, entirely funded by the State».
La recente storia della
magistratura europea ha sperimentato i tentativi (falliti, per quanto attiene,
quanto meno, all’Italia) di taluni governi di trasformare la Scuola della
Magistratura in una sorta di «esamificio permanente» e di
utilizzare la formazione continua alla stregua di una forma di valutazione dei
giudici: valutazione cui, beninteso, nessun magistrato deve sottrarsi, ma che
deve trovare idonea collocazione ed articolato espletamento nell’ambito
di attività di tipo diverso dalla formazione, la quale è e deve
restare, invece, espressione di un’esigenza e di una spontanea e libera
aspirazione nascente dagli stessi «discenti». Per questo,
l’art. 58 del Memorandum
esplicativo contiene l’indicazione secondo cui «In-service training
assessment should not be used as a form of integrated assessment of the
judge». Questa
conclusione è il frutto di un’attività di persuasione
svolta in modo particolarmente insistente dallo scrivente in seno al gruppo
d’esperti, sulla scorta, del resto, dell’autorevole avallo del
parere reso dal CCJE nell’opinion N. 4 sul tema della formazione.
Un altro caposaldo della
formazione dei magistrati viene poi consacrato dall’art. 57, a mente del
quale la formazione iniziale e continua deve essere erogata da un’
«independent authority», incaricata di assicurare che
«initial and in-service training programmes meet the requirements of
openness, competence and impartiality inherent in judicial office».
Il Capitolo si chiude poi con il
tema della valutazione professionale dei giudici, stabilendo che siffatta
attività deve svolgersi alla luce (ancora una volta) di «objective
criteria». Tali criteri dovrebbero essere resi pubblici dalle competenti
autorità, mentre la procedura di valutazione dovrebbe comunque
consentire ai giudici di esprimere il loro punto di vista sia
sull’attività svolta, che sulla valutazione espressa dagli organi
competenti, così come consentire loro di eventualmente impugnare i
giudizi espressi «before an independent authority or a court» (art.
58).
2.4. I Capitoli VII) e VIII): doveri,
responsabilità e principi deontologici dei giudici.
Il Capitolo VII) ha poi ad
oggetto doveri e responsabilità dei giudici.
Interessante al riguardo è
l’enucleazione di una serie di doveri disciplinarmente rilevanti, ad instar di quanto effettuato nel corso
della pluridecennale attività della Sezione Disciplinare del C.S.M.
italiano e successivamente trasfusi in disposizioni legislative. Espressamente
vengono menzionati doveri quali quello di dar prova di indipendenza ed
imparzialità, e di agire ed apparire anche all’esterno come
persone libere da «any improper external influence on the judicial
proceedings» (art. 60). I giudici debbono inoltre astenersi dal decidere
le controversie loro sottoposte nei casi (e solo in quelli) in cui
l’astensione è prescritta dalle norme di procedura (art. 61).
Anche il dovere di diligenza e di rispetto di un «reasonable time»
viene posto correttamente in evidenza (art. 62), unitamente a quelli di motivare
le loro decisioni «in language which is clear and comprehensible» e
di incoraggiare le parti a raggiungere un accordo transattivo (art. 64).
L’aggiornamento e la formazione professionali sono inoltre presi in
considerazione alla stregua di precisi doveri di ogni giudice, nella formula
secondo cui essi «should regularly update and develop their
proficiency» (art. 65).
Sul versante delle procedure
disciplinari la proposta pone correttamente in evidenza che
l’attività di interpretazione della legge, la valutazione dei
fatti e delle prove compiuta dai giudici non può dar luogo a
responsabilità civile o disciplinare, ad eccezione dei casi di dolo o
colpa grave (art. 66). D’altro canto, un’eventuale
responsabilità del giudice non può aprire la via ad un’azione
diretta del cittadino contro il giudice stesso, bensì ad un’azione
di rivalsa dello Stato, nel caso di previa condanna di quest’ultimo (art.
67). La Raccomandazione impone, per la celebrazione dei processi disciplinari,
il rispetto di una serie di garanzie: dalla attribuzione di tale competenza ad
un’autorità indipendente o ad un tribunale, al diritto di proporre
appello, alla necessaria proporzionalità tra violazione e sanzione (art.
69).
Fondamentale, infine, il
principio secondo cui i giudici non possono essere ritenuti responsabili in
caso di riforma o modifica delle loro decisioni da parte di una corte superiore
(art. 70). Disposizione, questa, quanto mai opportuna, di fronte alla sempre
latente tentazione di taluni magistrati d’appello d’impancarsi a
novelle… «maestrine dalla penna rossa» (e… blu!),
ritenendosi investiti di missioni quasi divine di «correzione»
degli «errori» (che sovente altro non sono se non diversi punti di
vista) dei primi giudici.
Chiude
la Raccomandazione il Capitolo VIII), dedicato all’etica giudiziaria.
Anche siffatto Capitolo è
venuto a portare una novità di rilievo nel panorama dei documenti
internazionali sulla magistratura. La redazione dei tre articoli che lo
compongono è stata particolarmente laboriosa e costituisce il frutto di
interminabili discussioni in cui la commissione d’esperti incaricati di
redigere il progetto preliminare si è impelagata al fine di distinguere
la deontologia dai doveri disciplinarmente rilevanti. Il tutto complicato dalla
visione della questione prevalente nella parte orientale del nostro Continente,
in cui, come noto, i codici di etica giudiziaria sono norme dotate di efficacia
vincolante, la cui violazione determina sic
et simpliciter responsabilità disciplinare. Alla fine è
prevalso il punto di vista propugnato con vigore dallo scrivente, costituito
dalla predisposizione di una norma di carattere generale (l’art. 72,
nella specie), nella quale, dopo l’affermazione-cardine secondo cui
«Judges should be guided in their activities by ethical principles of
professional conduct» viene immediatamente inserita la
«cerniera» rispetto alle regole disciplinari, concepita ed espressa
nei termini seguenti: «These principles not only include duties
sanctioned by disciplinary measures, but offer guidance to judges on how to
conduct themselves».
In altre parole, l’idea che
si è voluta rendere è che molti dei doveri etici dei magistrati
sono anche (e prima ancora) doveri disciplinarmente rilevanti, ma che taluni
doveri etici appartengono esclusivamente a tale categoria e, come tali, non
possono dar luogo a responsabilità disciplinare. Un successivo articolo
contiene poi un espresso richiamo ai codici deontologici («These principles
should be laid down in codes of judicial ethics»), che hanno per scopo il
rafforzamento della giustizia e della fiducia dei cittadini nei giudici
rispetto all’elaborazione dei quali «judges should play a leading
role» (art. 73).
L’articolo successivo, che
conclude la Raccomandazione (art. 74), chiarisce che i giudici dovrebbero
potersi rivolgere ad organi interni alla Magistratura al fine di ricevere
consiglio su questioni attinenti all’etica professionale.
3. La CEPEJ (Commission Européenne pour
l’efficacité de la justice/European Commission for the Efficiency
of Justice).
3.1. Struttura e funzioni.
La CEPEJ (Commission Européenne pour l’efficacité de la
justice/European Commission for the Efficiency of Justice) è una
commissione costituita presso il Consiglio d’Europa, allo scopo di
migliorare l’efficienza ed il funzionamento della giustizia negli Stati
membri, così come di realizzare l’applicazione degli strumenti
elaborati a tal fine dal Consiglio d’Europa.
I suoi compiti sono molteplici:
· analizzare i risultati dei
sistemi giudiziari;
· individuarne i problemi;
· definire mezzi concreti per
migliorare, da un lato, la valutazione dei risultati dei sistemi giudiziari e
dall’altro, il relativo funzionamento
· indicare agli organi competenti
del Consiglio d’Europa quali siano i campi in cui l’elaborazione di
uno strumento giuridico sarebbe auspicabile.
A tal fine la CEPEJ mette a punto
degli indicatori, raccoglie ed analizza dati, definisce misure e strumenti di
valutazione, redige dei documenti (rapporti, pareri, linee guida, piani
d’azione, ecc.), intrattiene rapporti con istituti di ricerca e centri di
documentazione, invita esperti e ONG, procede ad audizioni, sviluppa reti di
professionisti della giustizia.
Nel piano d’azione adottato
a Varsavia il 16 maggio 2005, i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri
del Consiglio d’Europa hanno deciso di sviluppare le funzioni di
valutazione e d’assistenza della CEPEJ al fine di aiutare gli Stati
membri a rendere giustizia con equità e rapidità. Hanno
altresì invitato il Consiglio d’Europa a rafforzare la
cooperazione con l’U.E. nel campo giuridico, proprio per il tramite della
cooperazione con la CEPEJ.
La CEPEJ è stata creata il
18 settembre 2002 tramite la Risoluzione Res(2002)12 del Comitato dei Ministri
del Consiglio d’Europa. Essa riunisce esperti dei 47 Stati membri del
Consiglio d’Europa ed è assistita da un Segretariato.
3.2. Il Réseau
des tribunaux référents de la CEPEJ.
La CEPEJ ha costituito nel 2006
una rete di tribunali referenti (Network
of Pilot Courts/Réseau de tribunaux référents), attualmente
costituita da una cinquantina di uffici giudiziari dei Paesi membri del
Consiglio d’Europa, il cui scopo è quello di sostenere le
attività della Commissione, grazie ad una migliore comprensione del
funzionamento quotidiano degli uffici giurisdizionali e di mettere in evidenza
le migliori pratiche presso gli Stati membri al fine di permettere loro di
orientare le loro politiche e migliorare l’efficacia dei sistemi
giudiziari.
La rete è dunque un luogo
di raccolta e di scambio di informazioni, ma anche di riflessione, visto che
tale organo è consultato dalla CEPEJ per la discussione dei temi che
essa affronta. Il Réseau
è inteso anche come un luogo di sperimentazione, poiché
determinati tribunali referenti possono essere proposti per testare a livello
locale determinate misure specifiche proposte dalla CEPEJ. Esso è
così coinvolto nella realizzazione del programma-quadro della CEPEJ,
intitolato «Un nuovo obiettivo per i sistemi giudiziari: il trattamento
di ogni controversia in un lasso di tempo ottimale e prevedibile».
Grazie alle informazioni fornite
dal Réseau la CEPEJ ha anche elaborato un «Compendio delle
migliori pratiche per la gestione del tempo delle procedure giudiziarie».
I quattro temi di lavoro del Réseau sono la valutazione dei
sistemi giudiziari, i tempi delle procedure, la qualità
dell’attività giurisdizionale e l’impatto degli strumenti
del Consiglio d’Europa in materia di mediazione. Il Tribunale di Torino
è dal 2006 membro per l’Italia del Réseau.
Nove riunioni del Réseau hanno avuto luogo, a
partire dalla sua costituzione. La prima si è tenuta nel 2006 a
Bucharest. Ad essa ha partecipato per il Tribunale di Torino il Presidente
dott. Mario Barbuto. Alle successive riunioni, svoltesi nel 2007 a Strasburgo,
nel 2008 a Catania e nel 2009 a Strasburgo ha partecipato, su delega del
Presidente Barbuto, il dott. Giacomo Oberto. Alla riunione del 2010 a Ginevra
hanno partecipato il Presidente del Tribunale dott. Luciano Panzani e il dott.
Giacomo Oberto. Alle riunioni del 2011 a Strasburgo, del 2012 a Malta, del
2013, del 2014, del 2015 e del 2016 a Strasburgo ha partecipato il dott.
Giacomo Oberto in rappresentanza dei Presidenti dott. Luciano Panzani e dott.
Massimo Terzi.
Nel corso delle riunioni del Réseau i rappresentanti della
CEPEJ, ed in particolare il suo Presidente, dott. Fausto De Santis (per il
periodo 2007-2010; a partire dal 1° gennaio 2011 all’italiano Fausto
De Santis è succeduto il britannico John Stacey, cui è succeduto
nel dicembre 2014 l’austriaco Georg Stawa), hanno trattato di svariate
questioni affrontate dalla CEPEJ: dal rapporto comparativo sui sistemi
giudiziari europei, al premio «La Bilancia di Cristallo», che ha
visto nel 2006 il Tribunale di Torino ricevere una menzione speciale per il
«Programma Strasburgo»; analoga menzione speciale è stata
attribuita nell’edizione 2008 al Tribunale di Milano per il programma
relativo al processo civile telematico.
Durante le riunioni plenarie del Réseau i rappresentanti dei vari
gruppi di lavoro sui temi della qualità della giustizia, della durata
delle procedure e della mediazione presentano relazioni e dibattiti, al fine di
informare tutti i membri della rete e di coinvolgerli nel più ampio modo
possibile nei lavori sui temi in discussione.
Particolare risalto ha avuto,
durante la riunione del Réseau
tenutasi a Strasburgo il 22 settembre 2011, la presentazione effettuata dal
dott. Oberto dell’esperienza torinese del «questionario di
soddisfazione degli utenti» (su cui cfr. il testo «Indagine sul
“Questionario di soddisfazione dell’utente presso gli Uffici
Giudiziari di Torino”», https://www.giacomooberto.com/questionario_uffici_torino_2011.htm
e la relativa versione inglese «Enquiry into the “Customer
Satisfaction Survey in Turin Courts”» http://giacomooberto.com/Oberto_report_survey_satisfaction.htm).
All’iniziativa ha fatto seguito l’invito della Corte della regione
di Vrancea e del Tribunale di Focsani (Romania), nonché del Tribunal de Grande Instance di Clermont
Ferrand (Francia) al dott. Oberto per lo svolgimento, sotto l’egida della
CEPEJ, di un’attività di coaching
per la predisposizione di indagini di soddisfazione del genere di quella che ha
avuto luogo a Torino. L’iniziativa citata è stata ripetuta negli
uffici giudiziari di Torino due anni dopo, nel 2013; cfr. il testo
«Indagine sul «Questionario di soddisfazione dell’utente
presso gli Uffici Giudiziari di Torino» (Edizione 2013), http://giacomooberto.com/questionario_uffici_torino_2013.htm
e la relativa versione inglese «Enquiry into the “Customer
Satisfaction Survey in Turin Courts (2013 Edition)”», http://giacomooberto.com/Oberto_report_survey_satisfaction_2013.htm.
3.3. Il Groupe de pilotage du Centre pour la gestion du temps judiciaire
«SATURN» e il Gruppo «Qualità della
giustizia».
Il Groupe de pilotage du Centre pour la gestion du temps judiciaire
«SATURN» (acronimo per Study
and Analysis of Time Use Research Network) è stato costituito dalla
CEPEJ nel gennaio del 2007, sulla base di un mandato biennale, di volta in
volta rinnovato sino ad oggi. Il suo mandato è quello di analizzare la
situazione dei tempi delle procedure giudiziarie, di fornire agli Stati membri
degli strumenti di conoscenza e d’analisi dei tempi e dei ritardi
nonché di formulare delle linee direttrici in vista di possibili riforme
che mirino a rendere i tempi della giustizia più prevedibili.
Il Groupe de Pilotage «SATURN» è costituito da sei
esperti di diversi Paesi europei: magistrati (tra cui il dott. Giacomo Oberto,
del Tribunale di Torino), avvocati, funzionari ministeriali e docenti
universitari. Nel corso di questi anni il gruppo ha analizzato le informazioni
fornite dalla CEPEJ sulla base del rapporto «Systèmes judiciaires
européens», pubblicato ogni due anni, di quello sul tema «La
situation des délais de procédures judiciaires dans la
jurisprudence de la CEDH» e di altri documenti della CEPEJ. Esso inoltre
ha proceduto ad effettuare raccolte di informazioni sull’argomento dei
tempi e dei ritardi delle procedure giudiziarie negli Stati membri, cercando di
definire metodi di misurazione e indicatori comuni e di stabilire
modalità pertinenti di raccolta d’informazioni tramite analisi
statistiche.
Tra le varie attività
svolte dal Groupe de Pilotage che,
nel corso di questi anni, si è riunito venti volte (per lo più a
Strasburgo), va segnalata in particolare la preparazione e la distribuzione tra
i membri del Réseau di un
«Questionario sulle tipologie delle controversie, sui tempi della
giustizia ed i ritardi delle procedure». Il questionario, piuttosto
articolato (ed accompagnato da una nota esplicativa), era volto ad individuare
se e quali strumenti di conoscenza sono utilizzati negli Stati membri al fine
di monitorare la durata delle procedure, materia per materia. Esso mirava
inoltre a raccogliere informazioni sui metodi di calcolo della durata media
delle procedure, sulle misure adottate per combattere i ritardi eccessivi e per
prevedere la durata di singoli tipi di procedimenti. Esso prevedeva inoltre la
presentazione di alcuni semplici casi pratici in materia sia civile che penale,
con la richiesta di tracciarne brevemente lo svolgimento ipotetico e di
indicarne approssimativamente la durata.
Il Gruppo ha proceduto ad una
prima elaborazione provvisoria del questionario e alla sua distribuzione in
prova a cinque uffici giudiziari di diversi Paesi (tra cui il Tribunale di
Torino). Sulla base dei risultati ottenuti il questionario è stato
successivamente modificato ed inviato a tutti gli uffici giudiziari del Réseau des tribunaux
référents de la CEPEJ. Tutti i dati forniti dagli uffici
giudiziari che hanno risposto al questionario hanno formato oggetto di un
elaborato rapporto di sintesi e di valutazione preparato dal Groupe de Pilotage sulla base dello
studio preliminare effettuato dal prof. Marco Fabri,
dell’Università di Bologna. Tale rapporto conclusivo, dopo la sua
approvazione da parte del Groupe di
Pilotage SATURN, è stato
poi pubblicato nel sito della CEPEJ nella sua versione finale (cfr. https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?Ref=CEPEJ-SATURN(2007)3&Language=lanEnglish&Ver=original&Site=DGHL-CEPEJ&BackColorInternet=eff2fa&BackColorIntranet=eff2fa&BackColorLogged=c1cbe6).
Nel corso dei suoi lavori il Groupe de Pilotage ha inoltre elaborato
ed approvato in via definitiva un documento chiamato «Linee guida per la
gestione dei tempi del processo». Si tratta di un insieme di
raccomandazioni volte ai responsabili del settore (legislatore, pubblica
amministrazione, responsabili degli uffici giudiziari, giudici, ecc.), volte a
far sì che le procedure giudiziarie, civili e penali, posseggano un
grado maggiore di prevedibilità, quanto ai tempi e, soprattutto, si
svolgano nel rispetto del délai
raisonnable di cui all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo.
Questo documento, approvato
dall’assemblea plenaria della CEPEJ, è stato inserito nel relativo
sito web. Esso ha formato oggetto
anche di uno studio comparativo con l’esperienza torinese del
«Programma Strasburgo» (cfr. http://giacomooberto.com/study_on_Strasbourg_Programme.htm).
Sulla scorta di tale esperienza il Gruppo SATURN
ha redatto, nel dicembre 2011, un documento intitolato «Implementing
the Saturn Time Management Tools in Courts», che sta fornendo la base
per un’attività di coaching
che il Gruppo stesso sta svolgendo nei Tribunali dei Paesi membri del Consiglio
d’Europa che hanno richiesto assistenza al fine di risolvere i problemi
posti dalla gestione dell’arretrato. Un primo esperimento in tal senso ha
già avuto luogo presso gli uffici giudiziari di Malta, il cui Chief Justice ed il cui Ministero della
Giustizia hanno richiesto ed ottenuto l’assistenza di un gruppo di
esperti del Consiglio d’Europa, tra i quali il dott. Giacomo Oberto.
Altro gruppo di lavoro costituito
in seno alla CEPEJ è rappresentato dal Gruppo «Qualità
della giustizia». Tale organismo (CEPEJ-GT-QUAL), di cui fa parte per
l’Italia il Direttore Generale dei servizi di statistica del Ministero
della giustizia, dott. Fabio Bartolomeo, ha per compito quello di sviluppare
mezzi d’analisi e valutazione del lavoro svolto dai vari uffici giurisdizionali
al fine di migliorare, nei Paesi membri, la qualità del servizio reso
dal servizio giustizia, in particolare di fronte alle aspettative degli utenti
e degli operatori della giustizia.
Al fine di svolgere questo
compito il Gruppo deve, avuto riguardo alla necessità di rispettare il
principio di indipendenza dei giudici, (a) raccogliere le informazioni
necessarie sulla valutazione della qualità dei sistemi di giustizia e
del lavoro giudiziario nei vari Stati, (b) migliorare gli strumenti, gli indicatori
e i mezzi per misurare la qualità del lavoro giudiziario, (c)
prospettare concrete soluzioni per i legislatori e per i giudici, atte a
permettere il superamento di disfunzioni nell’attività
giudiziaria, bilanciando la necessità di smaltimento dell’arretrato
con la necessità di rendere una giustizia di qualità per i
cittadini. Il Gruppo ha provveduto a redigere un manuale per la preparazione di
inchieste di soddisfazione degli utenti ed è proprio in questo settore
che si inquadra la già richiamata esperienza torinese del questionario
di soddisfazione degli utenti.
4. Il «Programma Strasburgo» del Tribunale di Torino ed i suoi
rapporti con le «Direttive SATURN per la gestione dei tempi della
giustizia».
4.1. Breve descrizione del «Programma Strasburgo» e del
«Decalogo» per la trattazione delle cause civili del Tribunale di
Torino.
Il
«Programma Strasburgo» è il primo esperimento in Italia di case management, mirante ad ottenere una
significativa riduzione dell’arretrato giudiziario e
l’accelerazione del trattamento delle cause civili. L’iniziativa
è stata posta in opera a partire dall’anno 2001 sulla base di
un’idea dell’allora Presidente del Tribunale di Torino, Mario
Barbuto, ed è continuata durante gli anni successivi, sotto la direzione
dapprima dello stesso Presidente Barbuto e, quindi, dalla fine del 2009, del
successivo Presidente, Luciano Panzani e del suo successore, Massimo Terzi.
Il
programma ha avuto inizio con l’effettuazione, in primo luogo, di un
censimento di tutto l’arretrato delle cause civili. Il Presidente ha
quindi proceduto ad emanare una circolare contenente una serie di
raccomandazioni e consigli per i giudici (il cosiddetto
«Decalogo»), nell’ottica di perseguire una riduzione della
durata dei processi.
Partendo,
dunque, dall’idea per cui le procedure di durata ultratriennale si
sarebbero dovute considerare come in violazione del canone del délai raisonnable di cui
all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo, alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti
dell’uomo, la Presidenza del Tribunale di Torino ha attivato dal 2001 un
periodico censimento – rinnovato ogni sei mesi – di tutti i
processi civili pendenti dinanzi al medesimo ufficio giudiziario. A seguito di
questa indagine, tutti i processi sono stati classificati secondo il periodo di
durata (cause pendenti per più di un anno, per più di due anni,
per più di tre anni, e così via).
Secondo
quel primo censimento, le cause ordinarie pendenti per un periodo superiore ai
tre anni in tutte le sezioni civili della sede centrale del Tribunale di Torino
ammontavano a 2.354 alla data del 30 aprile 2001 (52 di queste risalivano ad
una data anteriore al 1990). Allo stesso tempo il Presidente annunciò la
distribuzione di un serie di prescrizioni e consigli (il c.d.
«Decalogo») per lo smaltimento rapido e mirato delle cause
«vecchie». A partire da tale periodo i fascicoli delle cause
ultratriennali sono stati contraddistinti da una speciale serie di contrassegni
sulle relative copertine, al fine di permettere ai giudici di reperirli
agevolmente.
Al fine
di dare un’idea circa il successo dell’iniziativa sarà
sufficiente citare i risultati dell’edizione relativa al decimo anno di
operatività dell’iniziativa, sulla base del rapporto, predisposto
dal Presidente nel quadro del «Programma Strasburgo» nel corso del
mese di dicembre del 2010. Secondo quest’ultima indagine, su 22.268 cause
pendenti dinanzi alla sede centrale del Tribunale di Torino, 21.418 erano
pendenti da meno di tre anni (15.325 da un anno, 4.264 da due anni, 1.829 da
tre anni), mentre soltanto 850 da più di tre anni.
Il c.d.
«Decalogo», in forma di circolare contenente svariate
raccomandazioni indirizzate a tutti i giudici civili (per esempio la
proibizione di rinvii delle udienze se non per motivi specificamente
giustificati o consentiti dalla legge) sarà descritto più dettagliatamente
infra. Il relativo scopo è
quello di provare a stabilire una pratica uniforme in tutte le sezioni civili
del Tribunale, senza infrangere, per altro verso, il principio
dell’autonomia e dell’indipendenza di ogni singolo giudice. Questo
documento inoltre è stato trasmesso al locale Consiglio
dell’Ordine, da un lato, per ottenere l’approvazione di un organo
istituzionale sicuramente interessato al buon funzionamento della giustizia
civile, ma dall’altro anche allo scopo di scongiurare che le parti dei
procedimenti coinvolti potessero ritenere che il nuovo corso seguito dai
giudici nella trattazione delle controversie fosse diretto contro di loro,
ovvero lo potessero intendere come un’iniziativa inattesa ed episodica di
alcuni giudici soltanto.
Vale la
pena di rimarcare che il «Decalogo», anche se concepito alcuni anni
prima delle «Direttive per la gestione dei tempi della giustizia» approvate
dal Groupe de Pilotage
«SATURN» della CEPEJ del
Consiglio d’Europa, tratta in molte sue parti questioni che sono
affrontate proprio da tale ultimo documento (ci si riferisce in particolare
alla «Parte V – Direttive per i giudici»). Inoltre, lo stesso
«spirito» del «Decalogo», così come molte delle
soluzioni dallo stesso proposte, sembra porsi in piena armonia con gli
obiettivi, gli scopi ed i metodi delle «Direttive per la gestione dei
tempi della giustizia» approvate dal Groupe
de Pilotage «SATURN», al punto da consentire di definire il
testo torinese come una sorta di «Direttive della CEPEJ» ante litteram.
Il risultato costituisce del resto l’effetto dell’attività
di raccordo sviluppata dallo scrivente quale membro del citato Groupe de Pilotage, nella redazione
delle «Direttive per la gestione dei tempi della giustizia».
Per
quanto attiene alla prevedibilità della durata delle procedure,
l’iniziativa del Presidente di disporre una periodica distribuzione dei
dati statistici generali e di altri elementi sulla durata dei processi, sezione
per sezione, può rivelarsi di grande aiuto. Anche la diffusione di
risultanze statistiche che segnalino il tasso di
«produttività» di ogni singolo giudice promuove una sorta di
effetto emulativo che contribuisce a evitare gli accumuli di arretrato, nella
misura che si è dovuta registrare in passato.
È
vero che, secondo quanto stabilito al punto B. 3. delle «Direttive
SATURN», la «gestione della durata delle procedure giudiziarie, se
non è determinata dal comportamento degli utenti stessi, dovrebbe essere
effettuata in modo imparziale ed obiettivo, evitando significative
disparità nella trattazione di casi similari». Il problema
è che, quanto meno in Italia, un ruolo significativo nella gestione
degli affari civili è svolto dagli avvocati. Di conseguenza è
importante coinvolgere i consigli dell’Ordine nel processo di riduzione
della durata dei tempi giudiziari.
Effettivamente
può accadere che controversie molto simili abbiano durate assai
differenti, semplicemente perché gli avvocati hanno cercato di
utilizzare in alcuni casi delle tattiche e dei «trucchi»
procedurali che possono provocare perdite di tempo. Naturalmente spetta anche
al giudice essere vigilante e scoraggiare tali malvezzi. Per esempio,
può accadere che rinvii vengano richiesti dagli avvocati, i quali
assicurano che stanno per definire la lite e che hanno bisogno di tempo per
raggiungere un’intesa. Qui spetta al giudice non essere troppo
«generoso» e controllare molto attentamente la serietà di
questa prospettata intesa, così come l’onestà e la
veridicità delle intenzioni degli avvocati e delle parti che sono
coinvolte nel caso.
Ciò
chiarito, si presenteranno qui alcune tabelle comparative, riportando nella
colonna di sinistra alcune delle previsioni del «Decalogo» di
Torino (o almeno il loro significato, o un breve riassunto delle stesse) e,
nella colonna di destra, gli articoli ed i paragrafi corrispondenti delle
«Direttive SATURN». I capitoli di questo rapporto saranno
organizzati seguendo i vari articoli della «Parte V – Direttive per
i giudici» delle «Direttive SATURN». Dopo ogni disposizione
inserirò i miei commenti. Voglio precisare che la versione del
«Decalogo» qui presa in esame è l’ultima disponibile,
approvata dal Presidente con la sua circolare del 30 dicembre 2008, N. 9. Il
relativo titolo è «Prescrizioni e consigli per la trattazione
delle cause civili»; il documento si compone attualmente di venti
distinti articoli. Nel maggio 2011 esso è stato esteso con circolare del
Presidente della Corte d’Appello di Torino a tutti i Tribunali del
Distretto.
4.2. Alcune regole del «Decalogo» poste a raffronto con le
«Direttive SATURN per la gestione dei tempi della giustizia»: il
problema della gestione attiva dei processi.
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i
giudici» |
Art. 4) Il giudice farà un uso
costante dei poteri di direzione del procedimento ex art. 175 c.p.c. (“Il giudice istruttore esercita tutti i
poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del
procedimento”), tenendo conto di quanto prescrive l’art. 127
c.p.c. (“L’udienza è diretta dal giudice singolo o dal
presidente del collegio. Il giudice che la dirige può fare o prescrivere
quanto occorre affinché la trattazione delle cause avvenga in modo
ordinato e proficuo, regola la discussione, determina i punti sui quali essa
deve svolgersi e la dichiara chiusa quando la ritiene sufficiente”). All’udienza di prima
comparizione delle parti il giudice si adopererà, di regola, per
convincere i difensori a non presentare richiesta di concessione dei termini
(ciò che rallenta il corso regolare della procedura: sfortunatamente
gli avvocati non rinunziano pressoché mai a tale diritto, accordato
loro dall’art. 183 c.p.c.). Il giudice eviterà le
lunghe verbalizzazioni attinenti alle “motivazioni” delle
richieste, che dovranno svolgersi solo oralmente. Nella fase di precisazione
delle conclusioni il giudice dovrà scoraggiare la frase “si
precisa come in atti”, pretendendo che il difensore indichi e mostri
l’atto richiamato e le conclusioni ancora attuali (se sparse in
più atti, si pretenderà la indicazione della data e della
pagina degli atti richiamati). Di regola, le udienze saranno
scaglionate nel corso della mattinata ad ore diverse, dalle ore 9 alle ore 13. Art. 16) Il giudice userà con
rigore il potere ex art. 210
c.p.c., pretendendo l’osservanza dell’art. 94 disp. att. c.p.c.
(specifica indicazione del documento o della cosa da esibire e, eventualmente,
l’offerta della prova che la parte o il terzo ne sia in possesso). Se l’esibizione riguarda
la parte costituita, prima di provvedere il giudice interpellerà il
difensore interessato circa la possibilità di una esibizione spontanea
e la ragione del rifiuto. Nella relativa ordinanza il
giudice applicherà con rigore le prescrizioni dell’art. 210,
comma secondo c.p.c. adottando formule chiare e scadenze precise (per
esempio: “ordina l’esibizione dei seguenti documenti, denominati …,
mediante deposito in cancelleria degli originali entro il …, con possibilità
per la controparte di estrarne copia entro i 15 giorni successivi; con
restituzione all’interessato entro il …; dispone che la
cancelleria certifichi tutti gli adempimenti”). In caso di richiesta generica (per
es: “esibizione dei libri contabili di controparte”), il giudice
pretenderà l’indicazione precisa dei tipi di documenti richiesti
e degli anni di riferimento (per esempio: “registro delle fatture ex
art 23 DPR 633/72, relativo all’anno …, …, …”). Nel caso di libri e scritture
contabili, il giudice farà uso dell’art. 212 c.p.c. Art. 20) “personalizzazione”
del rapporto contenzioso fra privati, il potere discrezionale di disporre la
comparizione personale delle parti (pretendendo una giustificazione in caso
di assenza), sia per il tentativo di conciliazione ex art. 117 c.p.c., sia per la verbalizzazione sintetica delle
rispettive proposte transattive (con la seguente tecnica, per i casi
più semplici: “L’attore dichiara: definirei la causa se mi
venisse pagata subito la somma di 1000, a spese compensate”. “Il
convenuto dichiara: definirei la causa se mi si consentisse di pagare la
somma di 300, a spese compensate”; e così di seguito, per la
somma rispettivamente di 800 e 400) e, eventualmente, del loro rifiuto o
della loro accettazione con riserva. Al di fuori delle cause
relative a diritti disponibili fra privati, il giudice eviterà
l’utilizzazione generalizzata del potere ex art. 117 c.p.c.; l’ utilizzerà con prudenza nelle
cause in cui siano coinvolti gli enti pubblici. Altre disposizioni rilevanti in
questo campo sono quelle degli artt. 10 e 11 (v. infra, § 4.6). |
A. Gestione attiva dei processi 1. Il giudice dovrebbe essere
dotato di poteri sufficienti per gestire attivamente i processi. |
Fuor di dubbio
appare che «Il giudice debba essere dotato di poteri sufficienti per
gestire attivamente i processi». Tuttavia, le prescrizioni e i consigli
diramati dal Presidente del Tribunale di Torino hanno svolto un importante
ruolo d’aiuto ai giudici per consentire loro di «trovare la
forza» di assumere un ruolo attivo nella gestione del processo, malgrado
l’attuale impressionante livello di aggressività degli avvocati
italiani. Naturalmente ciò deve accadere sempre nell’ambito del
contesto delle regole processuali, che in Italia, purtroppo, non lasciano certo
ampi margini ai poteri discrezionali del giudice.
In questa
situazione vi è da precisare ulteriormente che il giudice ha ben
limitati, per non dire inesistenti, poteri per determinare una «partenza
rapida» del processo, considerando le regole del codice di procedura
civile italiano. In effetti, secondo quanto stabilito dall’art. 163-bis c.p.c., tra il giorno in cui
l’atto di citazione è stato notificato al convenuto ed il giorno
della prima udienza debbono trascorrere almeno novanta giorni (nel caso
l’atto di citazione sia notificato all’estero il termine è
addirittura di centocinquanta giorni). Se si pensa poi al fatto che, alla prima
udienza, le parti hanno il diritto di ottenere un altro termine complessivo di
almeno ottanta giorni per l’ «aggiustamento» delle loro
domande e la deduzione delle prove (ed è sufficiente che una di esse
avanzi tale richiesta, perché il giudice debba concedere ad esse tale
rinvio), appare evidente che, dopo che la notifica della citazione è
avvenuta in un certo giorno (un giorno che, tra l’altro, segna
concretamente e proceduralmente l’inizio e l’inizio ufficiali della
causa), nell’ipotesi «più rapida» il giudice
potrà praticamente cominciare ad occuparsi della causa non prima di sei
mesi dall’inizio della stessa. Ciò significa che il giudice
può cominciare a svolgere un ruolo attivo solo dopo che (almeno!) una buona
metà del primo dei due (o tre, secondo il nostro «Programma
Strasburgo») anni di délai
raisonnable è già inesorabilmente trascorsa. In
quest’ottica va valutata positivamente l’introduzione, per effetto
del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv. con modif. nella l. 10 novembre 2014,
n. 162, dell’art. 183-bis
c.p.c., anche se la procedura di conversione appare ancora troppo complessa,
laddove sarebbe stato opportuno, semmai, operare sull’art. 183 c.p.c.,
prevedendo la concessione dei termini come fattispecie eccezionale, rimessa
alla piena discrezionalità del giudice, su istanza di parte.
4.3. Alcune regole del «Decalogo» poste a raffronto con le
«Direttive SATURN per la gestione dei tempi della giustizia»: come
adattare la gestione dei tempi della giustizia ad obiettivi generali e
speciali.
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la gestione
dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i
giudici» |
Art. 1) Tutti i processi pendenti da
oltre tre anni davanti alle Sezioni civili della sede principale e delle 4
Sezioni distaccate dovranno essere contraddistinti da un apposito “bollino” (o
copertina) avente colore diverso per i seguenti scaglioni: a) cause di durata superiore ai
sei anni; b) cause iscritte a ruolo tra
sei anni e due anni e mezzo; c) cause iscritte a ruolo negli
ultimi due anni e mezzo. A cura della cancelleria e con
l’aiuto del giudice istruttore o del Presidente di sezione sarà
operata la revisione sistematica delle annotazioni di copertina, aggiornando
il nome e il numero delle parti processuali, il nome e cognome dei rispettivi
difensori, le date delle udienze. Le copertine logore o con annotazioni
incomprensibili dovranno essere sostituite conservando all’interno
quelle originali. La trattazione di tali cause
dovrà essere privilegiata rispetto alle altre, eventualmente con
fissazione di udienze appositamente riservate. Art. 2) Dovrà essere assicurata
la definizione delle cause di cui al punto precedente secondo il seguente
programma: - per le cause del gruppo a)
del punto 1), entro sei mesi; - per le cause del gruppo b),
c) del punto 1) entro un anno. Tutte le altre cause dovranno
essere definite entro il triennio successivo. |
A. Gestione attiva del contenzioso (…) 2. In conformità con le
regole generali, il giudice dovrebbe avere il potere di fissare termini
appropriati e di adattare il suo potere di gestione del contenzioso agli
obiettivi generali e specifici, così come alle particolarità di
ogni caso concreto. |
Per
quanto attiene a questo punto, va sottolineato di nuovo che le regole dettate
dal dirigente dell’ufficio giudiziario dovrebbero, come nel caso di
Torino, stabilire le priorità di trattazione tra le cause, come ad
esempio: ridurre la durata massima a non più di tre anni; dare
priorità alle cause che si protraggono oltre quel termine o che si
avvicinano pericolosamente ad esso, ecc. Se è innegabile che le
«Direttive SATURN» sono riferite a disposizioni imposte dal giudice
alle parti (piuttosto che dal dirigente dell’ufficio ai giudici),
è altrettanto vero che il codice di procedura civile italiano lascia
poco spazio alla discrezionalità del magistrato.
Va ancora
sottolineato che, per esempio, se alcuni rinvii non possono essere evitati,
tuttavia, le regole fissate dal Presidente del tribunale circa le buone prassi
da seguire nell’ambito di un documento quale il «Programma
Strasburgo» possono anche aiutare il giudice a provare a convincere le
parti ad evitare richieste inutili (si pensi, tanto per citare un caso,
all’interrogatorio formale, da chi scrive in altra sede definito come
«il mezzo istruttorio più inutile del mondo»), così
tentando di «adattare il passo» alle necessità di un
processo più rapido.
4.4. Alcune regole del «Decalogo» poste a raffronto con le
«Direttive SATURN per la gestione dei tempi della giustizia»: il
problema degli accordi sulla tempistica del processo con le parti e con gli
avvocati.
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i
giudici» |
Art. 6) Il rinvio dovrà essere concesso
in limiti molto contenuti (pur senza adottare la vetusta disposizione
dell’art. 81 disp. att. c.p.c. relativa ai 15 giorni, di difficile
applicazione nell’attuale contesto storico); di regola, non
dovrà superare il limite dei 40/50 giorni. Il giudice deve assicurare per
ciascuna causa una media “tendenziale” di sei/otto udienze all’anno [per le
cause del gruppo a), b), c), del punto 1) una udienza al mese]. |
B. Accordi sulla tempistica del processo con le parti e gli avvocati 1. Nella gestione della
tempistica del processo si dovrà prestare la debita attenzione agli
interessi degli utenti. Costoro hanno il diritto di essere coinvolti sin
dall’inizio nella predeterminazione delle fasi del processo. 2. Ove possibile, il giudice
dovrebbe tentare di raggiungere un accordo con tutte le parti del processo in
merito al calendario della procedura. All’uopo egli dovrebbe essere
anche adeguatamente assistito dal personale giudiziario, così come da
strumenti informatici. 3. Gli scostamenti dal
calendario così concordato dovrebbero essere di minima entità e
limitati a casi motivati. In linea di principio, l’estensione dei
termini prefissati dovrebbe essere possibile soltanto con l’accordo di
tutte le parti, ovvero allorquando ciò è richiesto dagli
interessi della giustizia. |
La
questione degli accordi sulla gestione dei tempi del processo con parti ed
avvocati è ora affrontata a livello generale da un articolo speciale del
nostro codice di rito (81-bis disp.
att. c.p.c.). In effetti, una riforma del 2009 (l. 18 giugno 2009, n. 69) ha
imposto la necessità, per ogni giudice, all’inizio della fase
istruttoria, di predisporre un calendario del processo, in cui il giudice,
sentiti gli avvocati, «prevede» e «predice» quando ciascuno
degli incombenti procedurali avrà luogo. Inoltre, secondo le direttive
emanate dal presidente, ogni giudice deve provare a aiutare le parti a trovare
una soluzione transattiva della lite. Durante tali udienze il giudice prospetta
ai contendenti i vantaggi legati ad una possibile transazione, facendo anche
presente quale potrebbe essere l’iter
procedurale da seguire in quel caso (naturalmente nessun suggerimento
può essere dato sul merito della controversia, ma il giudice può
senz’altro dire, per esempio, che, nel caso il processo dovesse proseguire,
egli dovrebbe nominare un consulente tecnico per rispondere a questo o a quel
quesito tecnico, ecc.).
Allorquando
per la prima volta abbiamo provato concretamente ad applicare le disposizioni sul
calendario del processo, abbiamo scoperto che tale attività non era
così agevole, come sarebbe potuto apparire a tutta prima. È quasi
impossibile prevedere con uno o due anni d’anticipo quale sarà
l’iter del processo e fissare
un giorno determinato per lo svolgimento di ogni possibile evento procedurale.
Di conseguenza ho suggerito una soluzione, concretamente adottata poi da molti
colleghi, consistente nella fissazione non già di giorni predeterminati,
bensì di scadenze predeterminate, come per esempio: a) termine per
l’esperimento delle udienze per l’escussione dei testi: non oltre
il …; b) termine per l’esperimento di una c.t.u. (nel caso tale
incombente si rivelasse necessario): non oltre il …; c) termine per
l’udienza di precisazione delle conclusioni: non oltre il ….
Per
ciò che attiene al punto n. 2 delle «Direttive SATURN»,
ovviamente si deve concordare in toto
con il principio per cui il giudice dovrebbe anche essere assistito da idoneo
personale giudiziario e dagli strumenti informatici. Purtroppo nel Tribunale di
Torino (così come in quasi qualsiasi ufficio giudiziario d’Italia)
soltanto la seconda parte di quella frase è vera. Il personale è
assolutamente insufficiente e troppo spesso l’informatica giudiziaria (a
cominciare dal p.c.t.) è utilizzata come un modo per costringere i
giudici a svolgere (oltre alle loro funzioni ordinarie) le mansioni di
cancellieri e segretari.
4.5. Alcune regole del «Decalogo» poste a raffronto con le
«Direttive SATURN per la gestione dei tempi della giustizia»: il
problema della cooperazione con (e del controllo di) altri attori del processo
(consulenti, testimoni, ecc.).
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i
giudici» |
Art. 14) Il giudice farà un
controllo sistematico di tutte le consulenze tecniche d’ufficio in
corso il cui termine risulti già scaduto. A tal fine: a) inviterà
il CTU, anche con provvedimento fuori udienza, a depositare la relazione
scritta entro 40/50 giorni, ovvero, in caso di impossibilità o
difficoltà nel redigerla, a restituire i fascicoli di parte entro
brevissimo tempo; b) provvederà a sostituire subito il CTU
inadempiente e a segnalare il caso alla Presidenza. Il giudice eviterà il
più possibile la concessione al CTU della proroga del termine per il
deposito della relazione (salvo casi eccezionali); pretenderà in ogni
caso che la richiesta sia motivata in modo specifico e comunicherà al
CTU fin dall’inizio tale prassi restrittiva. In ogni caso il giudice
segnalerà alla Presidenza i nomi del CTU che abbiano depositato
l’elaborato scritto con un ritardo superiore a 30 giorni. Il giudice dovrà
prevenire le richieste dei difensori di rinvio “per esame
perizia”, fissando l’udienza di trattazione in epoca successiva
alla data prevista per il deposito della relazione, consentendo ai difensori
il deposito intermedio di memorie critiche. Il giudice eviterà, per
quanto possibile, i “supplementi di perizia”, privilegiando la
comparizione personale del CTU in contraddittorio con i consulenti di parte. In sede di formulazione del
quesito il giudice inserirà in modo esplicito il seguente incarico:
“Il CTU dovrà dare conto nella sua relazione delle osservazioni
dei consulenti di parte, commentando brevemente le memorie tecniche tempestivamente
depositate davanti a lui; allegherà alla relazione il verbale di tutte
le operazioni effettuate”. Il giudice inviterà il
CTU ad esperire il tentativo per una soluzione concordata delle questioni di
natura tecnica. Nella scelta dei consulenti
d’ufficio il giudice prediligerà quelli che hanno mostrato una
più spiccata capacità di persuasione delle parti ad addivenire
al superamento delle divergenze sulle questioni tecniche. Il giudice avrà cura, di
regola, di formulare il quesito in anticipo rispetto all’udienza di
giuramento, preoccupandosi di apportarvi successive modifiche, su richiesta
delle parti o dello stesso consulente d’ufficio; egli potrà
anche assegnare alle parti, prima dell’udienza di conferimento, termini
intermedi perché le stesse depositino memorie contenenti proposte di
quesito. Il giudice si
preoccuperà di prendere contatti con il CTU in anticipo (anche tramite
cancelleria) per assicurarsi della sua presenza all’udienza, della sua
disponibilità ad accettare l’incarico e dell’assenza delle
condizioni indicate dall’art. 51 c.p.c. (cause di astensione
obbligatoria o facoltativa o di ricusazione). |
C. Cooperazione con (e controllo di) altri attori del processo
(consulenti, testimoni, ecc.) 1. Tutti coloro che partecipano
al processo hanno il dovere di collaborare con l’ufficio giudiziario
per il conseguimento dei risultati ed il rispetto dei termini prestabiliti. 2. Nel corso della procedura il
giudice ha il diritto di controllare che i termini stabiliti siano rispettati
da parte di tutti gli attori del processo, con particolare riguardo a quei
soggetti invitati o officiati dal tribunale, quali testimoni o consulenti. 3. Rimedi adeguati ed efficaci
debbono essere messi a disposizione nei confronti di quegli attori del processo
che non prestano adeguatamente la loro cooperazione per il conseguimento dei
risultati ed il rispetto dei termini prestabiliti. Tali rimedi possono
includere la riduzione degli onorari, la radiazione dall’albo dei
consulenti, sanzioni pecuniarie o d’altro genere. |
Le
direttive diramate dal Presidente del Tribunale di Torino dedicano molta
attenzione alla necessità per i giudici di monitorare il rispetto dei
termini da parte dei consulenti. Accade assai spesso che i consulenti, a volte
perché ricevono troppi incarichi (senza essere abituati ai carichi ed
agli orari di lavoro dei giudici…), a volte perché (letteralmente)
intimiditi dall’arrogante prepotenza di di certi avvocati (nel momento in
cui s’accorgono che la consulenza sta prendendo una piega non favorevole
alla tesi dei propri assistiti) tendono a richiedere il rinvio della scadenza
originariamente fissata dal giudice per il deposito della consulenza. I giudici
dovrebbero vegliare a che tali rinvii siano concessi soltanto ove rigorosamente
necessari (per esempio, perché le parti stanno trattando, sotto il
controllo e con l’assistenza del consulente, per addivenire ad una
conciliazione della causa). Per ciò che attiene ai testimoni ed alle
parti, i giudici dovrebbero avere a loro disposizione poteri assai più
efficaci per obbligare tali soggetti a presentarsi all’udienza. Peraltro,
ancora una volta, spetta al legislatore cambiare le vigenti disposizioni
normative.
In
effetti, un modesto miglioramento è stato determinato da una riforma di
alcuni anni fa, secondo cui il consulente nominato dal giudice, prima del
deposito della sua relazione, deve consegnare quest’ultima alle parti,
che, entro un termine prestabilito, debbono fargli pervenire i loro rilievi.
Infine il consulente deve presentare al giudice la sua relazione, insieme alle
osservazioni delle parti ed alle sue osservazioni conclusive sui rilievi mossi
dalle parti. Il problema è dato dal fatto che, assai sovente, gli avvocati
sollecitano al giudice la concessione di ulteriori rinvii per ulteriori
valutazioni sull’esito della consulenza già depositata. Peraltro,
secondo la procedura oggi vigente, non deve ritenersi più consentito
agli avvocati chiedere rinvii per disamina della consulenza, una volta
depositata. Non si rende più necessaria la fissazione di una ulteriore
udienza, a meno che il giudice stimi che uno o più punti della relazione
peritale debbano essere più compiutamente illustrati. Ne consegue che,
una volta che la relazione di perizia e le relative osservazioni sono state incluse
nel fascicolo d’ufficio, il giudice è messo in condizione di
pronunciare la sentenza.
4.6. Alcune regole del «Decalogo» poste a raffronto con le
«Direttive SATURN per la gestione dei tempi della giustizia»: il
problema della repressione degli abusi processuali.
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i
giudici» |
Art. 4) V. supra, § 4.2. Art. 5) Non sono consentiti i rinvii
“a vuoto”. Ogni richiesta di rinvio deve
essere motivata da parte del richiedente. La motivazione dovrà essere brevemente
verbalizzata dal giudice e accompagnata dalla “presa di posizione” del difensore
avversario, nominativamente indicato (ad esempio: “L’Avv. X si oppone”,
“ … aderisce”, “ … nulla osserva”,
“ … si rimette”). Una verbalizzazione analitica
dovrà essere fatta per la richiesta di “rinvio per prosecuzione
prova testi” (e formule simili). Il giudice inserirà nel verbale
gli estremi della intimazione del teste non comparso e le ragioni
dell’assenza, anche ai fini delle eventuali sanzioni (si eviterà però
di sanzionare il teste che in precedenza sia già comparso e non sia
stato escusso). Art. 8) La richiesta di rinvio
“per trattative in corso” deve essere corredata dalla
specificazione su “ragioni e stato” delle trattative stesse. Se accolta, la richiesta
comporterà la fissazione di una udienza a breve scadenza riservata alla comparizione
personale delle parti, al fine di verificare l’esito (o lo stato) delle
trattative. Art. 10) Il giudice raccomanderà
ai difensori l’osservanza rigorosa dell’art. 244 c.p.c.: a)
deduzione della prova mediante capitoli separati (possibilmente brevi,
concisi e numerati), con esclusione di espressioni valutative e giudizi; b) indicazione contestuale dei
nominativi dei testi informati sui singoli fatti; c) possibilità di
redigere (o integrare) la lista dei testi entro un termine successivo
intermedio, comunque sempre nel rispetto delle preclusioni ex art. 183 c.p.c. Il giudice utilizzerà il
potere di riduzione delle liste sovrabbondanti ai sensi dell’art. 245,
comma 1, c.p.c. In caso di prove delegate, il
giudice vigilerà sulla osservanza del termine di adempimento;
curerà che nelle more si svolgano davanti a lui altre attività
istruttorie (esame di testi residenti in sede, interrogatorio formale,
informazioni alla P.A.). Nel caso di prove testimoniali
richieste per la conferma di fatture, parcelle, scontrini, relazioni,
rapporti di pubblici ufficiali, preventivi, certificati, il giudice, prima di provvedere
all’ammissione, inviterà la controparte a prendere posizione
esplicita sulla questione della “autenticità” o “provenienza”
del documento, evitando la prova testimoniale in caso di non contestazione
delle suddette caratteristiche (utilizzando la formula: “l’Avv. X
non contesta la provenienza e l’autenticità del
documento”); se già ammesse, il giudice inviterà le parti
a rinunciarvi. Art. 11) Prima dell’ammissione
della “prova per interpello” il giudice chiederà ai difensori interessati se la ritengano
veramente indispensabile o utile ai fini della soluzione della controversia. Nell’espletamento
dell’interrogatorio formale il giudice farà presente alle parti
che tale mezzo di prova mira essenzialmente a provocare la confessione su
fatti sfavorevoli al soggetto interrogato; eviterà la verbalizzazione
di circostanze superflue (per esempio di quelle favorevoli al soggetto
interrogato, se negate o contestate dalla controparte). Le risposte ai singoli
capitoli, tutti numerati, devono contenere esplicitamente
l’espressione: “la circostanza è vera” (oppure
“… non è vera”). Deve essere evitata la
verbalizzazione di risposte articolate in cui la parte interrogata, dopo la
frase “la circostanza non è vera” tenti di spiegare tesi o
argomentazioni già emergenti dagli scritti del difensore. |
D. Repressione degli abusi processuali 1. Ogni tentativo volontario o
consapevole di determinare un ritardo nella procedura dovrebbe essere
scoraggiato. 2. Sanzioni processuali
dovrebbero essere apprestate per chi causi ritardi e tenga comportamenti
ostruzionistici. Tali sanzioni dovrebbero essere applicate alle parti o ai
loro rappresentanti. 3. L’eventuale compimento
di gravi abusi in danno del processo da parte di un appartenente ad una professione
legale, così come la causazione di ritardi rilevanti nello svolgimento
della procedura dovrebbero essere denunciati all’organizzazione
professionale d’appartenenza per l’applicazione delle sanzioni
del caso. |
Venendo
all’interrogatorio formale delle parti, va detto che la legge italiana
non estende alle parti lo statuto del testimone. Ciò significa che
queste hanno il diritto di non dire la verità. L’interrogatorio
formale delle parti potrebbe teoricamente rivelarsi utile nell’unico caso
in cui costoro ammettessero fatti contrari al loro interesse, ciò che
non accade, in realtà, quasi mai. Queste regole risalenti avevano un
senso nei periodi in cui i cittadini, generalmente incolti ed analfabeti, portati
di fronte ad un giudice, potevano essere facilmente indotti ad ammettere la
verità. Al giorno d’oggi (considerando particolarmente
l’infimo livello di rispetto nei confronti della magistratura,
determinatosi in conseguenza di anni ed anni di attacchi e denigrazioni in
danno del potere giudiziario) nessuno prova più imbarazzato a mentire di
fronte ad un giudice, specialmente allorquando i suoi interessi personali sono
in gioco.
Ciò
spiega perché chi scrive è solito chiamare questo istituto
processuale «il mezzo istruttorio più inutile al mondo». Purtroppo,
l’abitudine degli avvocati è oggi quella di imbottire i fascicoli
con ogni sorta possibile di atti, documenti e domande, continuando gli stessi a
ritenere che (come avveniva un tempo) per ciascuna di tali «voci»
sia possibile ottenere la liquidazione di diritti ed onorari.
Ciò
spiega perché una riforma seria della procedura civile italiana
richiederebbe inevitabilmente un radicale cambiamento nel modo in cui le spese
legali sono calcolate. Da molto tempo ormai chi scrive sostiene la
necessità di un sistema in cui (come in quello tedesco, per esempio) le
spettanze degli avvocati non sono collegate al numero di atti che scrivono,
né al numero di udienze cui essi assistono. Questo sarebbe un notevole
passo in avanti, che, però, ancora una volta, non può essere
compiuto dai giudici. I critici di questa mia proposta (avvocati, naturalmente)
l’hanno fraintesa, leggendovi il tentativo di ridurre l’ammontare
delle loro competenze. Tutto al contrario, le spese legali dovrebbero invece essere
di gran lunga più ingenti rispetto a quelle odierne. Il problema non
è «quanto» gli avvocati vengono pagati, ma «a che
fine» e «per quale tipo d’attività» guadagnano
quel che guadagnano. Così, se gli avvocati lavorassero in modo
competente ed efficace, con il risultato finale di portare davanti al giudice
soltanto i casi che meritano tale sorte, essi dovrebbero ricevere per la loro
attività assai di più di quanto oggi essi ricevono.
La
riforma del 2014 del sistema di liquidazione delle competenze degli avvocati si
muove sicuramente in questa direzione, anche se in modo ancora troppo timido.
In ogni caso, le inveterate cattive abitudini sono piuttosto dure a morire.
Come
già più volte detto, anche in questo campo si dovrebbero invocare
per il giudice poteri assai più ampi, dovendo sul punto intervenire i
competenti legislatori. Chi scrive può testimoniare personalmente che la
grande maggioranza delle cause civili ben potrebbe essere agevolmente risolta
senza necessità di adire il tribunale, sol che le parti possedessero un
livello di disponibilità (e di buon senso) lievemente superiore ed i
relativi avvocati un livello di preparazione più elevato. La questione
viene così a toccare il delicato profilo della formazione di tutti gli
attori del processo e, in primo luogo, degli avvocati. Un avvocato ben formato
può capire quanto rischioso o inutile possa essere portare una causa (o
una difesa) infondata di fronte al tribunale. Una volta che il processo
è cominciato, diventa molto difficile per il giudice convincere le parti
a trovare una soluzione amichevole, perché esse già hanno
effettuato delle spese e gli avvocati sanno che più a lungo il
procedimento durerà, maggiori saranno i loro guadagni.
I
giudici, da parte loro, dovrebbero prestare maggiore attenzione alla
necessità di trovare il modo di «punire» comportamenti
scorretti delle parti e degli avvocati. Attualmente le nostre regole
procedurali conferiscono ai giudici taluni poteri in questo senso. In primo
luogo l’art. 117 c.p.c. consente al giudice di considerare il
comportamento delle parti nella determinazione finale della controversia.
Vorrei portare un esempio al riguardo. Accade talora che una parte (o il suo
avvocato) non cooperi con il consulente nominato dal giudice, rifiutandosi di
fornire le informazioni che il consulente ha richiesto; oppure può
capitare che la parte o l’avvocato invitino il consulente a fissare una o
più date per l’ispezione di una costruzione, o di una macchina,
ecc., omettendo poi di presenziare a tali incombenti. In queste circostanze il
giudice può considerare tali fatti, unitamente ad altri elementi, al
fine di decidere la causa contro la parte che non ha cooperato.
Una nuova
versione dell’articolo 96 c.p.c. prevede da qualche anno che, anche in
assenza di una richiesta specifica sul punto, il giudice possa d’ufficio
condannare la parte soccombente a pagare una somma di denaro (da determinarsi
da parte del giudice) all’altra parte, quando le domande o le difese
risultano manifestamente infondate. I giudici più anziani sono legati
alle prassi assai più «condiscendenti» e lassiste del
passato, ma ho molta fiducia nelle nuove generazioni di magistrati, assai
più pronti ad applicare sanzioni contro parti ed avvocati sleali. Ancora
una volta, la presenza di specifiche direttive del capo dell’ufficio giudiziario
su questo tema potrebbero rivelarsi utile a persuadere i giudici più
anziani della necessità di tenere in debito conto il comportamento di
parti ed avvocati, allorquando la causa arriva a decisione.
In
proposito andrà tenuto presente che l’estensione del Programma
Strasburgo operata nel 2011 dal Presidente della Corte d’Appello di
Torino a tutti i Tribunali del Distretto del Piemonte prevede proprio che il
giudice liquidi le spese di lite, in linea di massima, nella misura richiesta
dalla parte vittoriosa, applicando la nuova formulazione dell’art. 96
cit. ogni qualvolta la lite appaia a suo giudizio temeraria, anche a
prescindere dalla prova del pregiudizio subito dalla parte vittoriosa, atteso
che l’abuso del processo va contrastato, in quanto causa di danno
indiretto all’erario per l’allungamento del tempo generale nella
trattazione dei processi, oltre che un danno diretto per il litigante per il
ritardo nell’accertamento della verità.
4.7. La motivazione delle sentenze.
«Decalogo» del Tribunale di Torino |
«Direttive SATURN per la
gestione dei tempi della giustizia – Parte V. Direttive per i
giudici» |
Art. 3) La sentenza andrà
stilata in forma concisa, come prescritto dal codice di rito (art. 132, comma
2, n. 4, c.p.c.; art. 118, comma 2, disp. att. c.p.c.), senza prendere in
considerazione questioni irrilevanti al fine del decidere. Il giudice terrà a mente
il principio che la sentenza è essenzialmente una decisione e non uno
sfoggio di erudizione. Il giudice farà il
possibile, nel corso della trattazione, per convincere i legali a contenere
al massimo la lunghezza dei relativi scritti difensivi, concentrandosi sui
soli temi pertinenti. Nelle cause contumaciali o di
agevole soluzione il giudice adotterà la tecnica della decisione ex art. 281-sexies c.p.c. Negli altri casi il deposito
della sentenza (in originale, completa di intestazione e conclusioni) deve
avvenire nei termini di legge; la sua comunicazione nei 5 giorni successivi
dal deposito del documento cartaceo da parte del giudice (art. 133, comma 2, c.p.c.), Nei casi (da
ritenersi eccezionali) di deposito della minuta ex art. 119 disp. att. c.p.c. le operazioni successive non
dovranno protrarsi oltre i 30 giorni successivi, riservati per due terzi alla
“scritturazione” (a cura della cancelleria) e per un terzo alla
“collazione” e alla firma (a cura del giudice). Per
“minuta” si intende anche la sentenza priva di epigrafe o di
conclusioni. Per le operazioni di
scritturazione delle “conclusioni” la cancelleria potrà
farà uso dei floppy-disk e
dei CD-ROM (se forniti da difensori), ovvero di scanner. |
- - - |
La
tradizione legale italiana conosce un sistema di motivazione delle sentenze che
appare più adatto allo stile di ponderosi e complessi «trattati»,
che non alla necessità di rispondere a criteri di sana ed efficiente
amministrazione della giustizia. Il vantaggio di questa situazione è che
gli avvocati possono trovare nella motivazione risposte ai problemi ed alle
questioni legali (il più delle volte, irrilevanti) che essi hanno
sollevato durante il processo, così come motivi e ragioni per presentare
appello. Lo svantaggio è che giudici, «intimiditi» dalla
necessità di spiegare in lungo e in largo le ragioni delle loro
decisioni, possono essere tentati di differire il momento del giudizio,
così sperando di persuadere le parti ad abbandonare la causa e trovare
una soluzione transattiva, ciò che, purtroppo, solo assai raramente
accade.
Ne deriva
che uno dei «colli di bottiglia» della giustizia civile italiana
è il tempo che intercorre tra il momento in cui una causa è stata
completamente istruita con l’esperimento dell’attività
istruttoria ed il momento in cui viene emanata la decisione. Ciò prova
che una delle possibili cause dei ritardi della giustizia è costituita
proprio dalla complessità dell’attività di motivazione
delle sentenze.
Fortunatamente
una riforma di non molti anni or sono, che ha interessato le due disposizioni
del codice di rito relative alla motivazione della sentenza civile (artt. 132,
cpv., n. 4, c.p.c. – 118 disp. att. c.p.c.), obbliga oggi i giudici ad
essere più concisi di un tempo. Ma il peso di una tradizione secolare
è ancora molto forte. Di conseguenza una raccomandazione come quella
contenuta nel citato art. 3) del «Decalogo» torinese appare
più che benvenuta.
Anche
un’attività di formazione sul modo di redigere le sentenze
potrebbe produrre qualche effetto positivo. Un ricorso incrementato alla
citazione dei precedenti giurisprudenziali, disponibili in versione elettronica,
potrebbe inoltre rivelarsi di una qualche utilità, nella riproduzione
dei passaggi rilevanti di precedenti motivazioni, che il giudice potrebbe
considerare riferibili al caso in esame. L’introduzione del processo
civile telematico e un diverso atteggiamento della Suprema Corte sulla
valutazione della possibilità di riprodurre gli atti di parti nella
motivazione della sentenza dovrebbero poi fornire utili spunti al riguardo.
In questo
contesto, una menzione andrebbe anche fatta del tentativo di conseguire una
sorta di «standardizzazione» dei generi più comuni di
ordinanze e decreti istruttori, interinali e cautelari. Vorrei solo aggiungere
che una «uniformizzazione» ed una «standardizzazione»
(quanto meno) di alcuni tipi di provvedimenti, anche se di minor rilievo,
combacia con l’esempio che ci viene dalla legislazione europea. Ed in
effetti, tutta una serie di atti e provvedimenti in campi quali
l’assunzione della prova all’estero, l’ingiunzione europea di
pagamento, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giudiziarie,
ecc., sono (ed anzi non possono che essere!) emessi utilizzando i formulari
allegati ai vari regolamenti UE, disponibili in Internet.
Una
menzione di questo genere potrebbe pure essere inserita nelle «Direttive
SATURN», le quali non sembrano contenere disposizioni di questo genere.
5. Appendice. Elenco di links
utili.
Strumenti internazionali (soft law) in tema di indipendenza della
magistratura:
·
Rec(94)12E
13 October 1994 on the independence, efficiency and role of
judges (94) 12,
·
European Charter on the Statute of
Judges (1998),
·
Basic Principles on the Independence
of the Judiciary U.N.O. (1985),
·
Universal
Charter of the Judge (I.A.J.).
Organismi e “fora”
del Consiglio d’Europa sui temi della giustizia:
·
Consiglio Consultivo dei giudici europei (CCEJ): http://www.coe.int/t/DGHL/cooperation/ccje/default_en.asp;
·
Opinions: http://www.coe.int/t/dghl/cooperation/ccje/textes/Avis_en.asp;
·
Opinions sui temi
legati all’efficienza:
o https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?p=&Ref=CCJE(2008)OP11&Language=lanEnglish&Ver=original&BackColorInternet=DBDCF2&BackColorIntranet=FDC864&BackColorLogged=FDC864&direct=true;
·
Consiglio Consultivo dei Pubblici Ministeri Europei
(CCEP): http://www.coe.int/t/DGHL/cooperation/ccpe/default_en.asp.
Settore dell’efficienza
della giustizia:
·
CEPEJ - Home Page: http://www.coe.int/T/dghl/cooperation/cepej/default_en.asp
·
CEPEJ - 3 settori principali di attività:
o
Evaluation of Judicial Systems
o
Judicial time management (SATURN Centre for judicial time management)
o
Quality of justice (CEPEJ-GT-QUAL)
Documenti principali in tema di
gestione dei tempi del processo:
·
Guidelines:
·
Checklist:
·
Compendium of best practicies:
https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?Ref=CEPEJ(2006)13&Sector=secDGHL&Language=lanEnglish&Ver=original&BackColorInternet=eff2fa&BackColorIntranet=eff2fa&BackColorLogged=c1cbe6.
·
Studi vari, ad es.:
o sulla
durata delle procedure alla luce della giurisprudenza della CEDU:
o sulla
durata delle procedure di appello o di cassazione:
Esempi di questionari
(modulistica, risposte e valutazioni):
·
Questionnaire (2008) drafted by SATURN:
https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?Ref=CEPEJ-SATURN(2007)3&Language=lanEnglish&Ver=original&Site=DGHL-CEPEJ&BackColorInternet=eff2fa&BackColorIntranet=eff2fa&BackColorLogged=c1cbe6.
·
Analysis of replies by Pilot
Courts to 2008 SATURN questionnaire:
·
Moving towards an Observatory of
Judicial Timeframes in Europe (by
Marco Fabri).
·
Turin Court’s replies to
2008 SATURN questionnaire:
http://giacomooberto.com/Turin_repquest_fr.pdf
·
Turin Court’s replies to
2012 SATURN questionnaire:
http://giacomooberto.com/Turin_Court_Reply_Questionnaire_Saturn_updated
July2012_en.doc.
·
Judicial
Timeframes in Europe: An Initiative of the SATURN Group (CEPEJ) of the Council
of Europe
Documenti principali sulla
qualità della giustizia:
·
Guidelines on the organisation and
accessibility of court premises
(12/2014);
·
Guidelines on the role of
court-appointed experts in judicial proceedings of Council of Europe’s
Member States (12/2014);
·
Checklist for court coaching in the
framework of customer satisfaction surveys among court users (12/2013);
·
Questionnaire on the role of experts
in judicial systems of the Council of Europe member States (12/2013);
·
Guidelines on the creation of
judicial maps to support access to justice within a quality judicial system (06/2013);
·
Checklist
for promoting the quality of justice and the courts;
·
Handbook for conducting satisfaction
surveys aimed at Court users in Council of Europe’s member States (11/2010);
Applicazioni:
·
Enquête de satisfaction des
utilisateurs du palais de justice de Genève menée en mai-juin
1997: http://ge.ch/justice/sites/default/files/justice/common/Rapports/Enquetes_de_satisfaction/enquete_97_98.pdf.
·
Customer Satisfaction Survey
in Turin Courts (2011):
o
http://giacomooberto.com/Oberto_report_survey_satisfaction.htm;
o
http://giacomooberto.com/questionario_uffici_torino_2013.htm;
The
“Crystal Scales of Justice” Prize Home Page:
http://www.coe.int/t/dghl/cooperation/cepej/events/EDCJ/Cristal/default_en.asp.
Il ruolo dell’Unione
Internazionale dei Magistrati sui temi dell’indipendenza e
dell’efficienza della giustizia:
·
in particolare le conclusioni della prima
commissione di studio:
·
Tema dell’anno 2016 della prima commissione:
http://www.iaj-uim.org/history/
Il «Programma Strasburgo»
e il ruolo del Tribunale di Torino nella Rete dei Tribunali Referenti della
CEPEJ:
·
Il “Programma Strasburgo” e le linee
direttrici del Gruppo SATURN della CEPEJ: breve raffronto: http://giacomooberto.com/study_on_Strasbourg_Programme.htm
·
Pilot Courts Network Home
Page:
http://www.coe.int/t/dghl/cooperation/cepej/ReseauTrib/default_en.asp.