Quali sono, invece, i limiti
della ricerca informatizzata?
Il primo ed essenziale limite è legato al fatto
che gli archivi elettronici giurisprudenziali contengono oggi per lo più
massime di sentenze. Non è questa la
sede per ripercorrere la polemica circa la riduzione
in massime delle sentenze, polemica sempre latente nel dibattito
dottrinale italiano, quanto meno sin dall'inizio degli anni Sessanta: cfr.
in particolare alcuni scritti di Gorla sul Foro it; per approfondimenti
sui problemi posti a livello metodologico dalla diffusione, grazie agli
strumenti dell'informatica, delle massime di giurisprudenza e degli abstracts
dottrinali cfr. CHIARLONI, Giurisprudenza e dottrina nell'era della
rivoluzione informatica (note sui sistemi di documentazione), in Riv.
dir. proc., 1992, p. 590 ss.; BIN, Il precedente giudiziario,
Padova, 1995, passim.
Correnti e movimenti di reazione all'applicazione dell'informatica
alle scienze giuridiche vi sono sempre stati: basti citare Spengler che
negli USA, nel 1963 paventava una machine-made justice che, a suo
avviso, avrebbe aumentato l'irrigidimento concettuale dei giuristi, minacciando
di ridurne la libertà nel giudizio. Per non dire poi di Antonio
Guarino che, nel 1967, così si esprimeva: "ad evitare che la conformità
della giurisprudenza si formi per influsso delle massime mal formulate,
non solo bisogna rifuggire dai cervelli elettronici, ma bisognerebbe addirittura
insistere affinchè cessi l'uso di ridurre le sentenze in massime
deformatrici del loro vero significato".
Certo, vi è del vero in
queste critiche. A mio avviso non occorre però mai dimenticare
che l'informatica è pur sempre uno strumento
e, come tale, tutto dipende dall'uso che ne facciamo.
Per quanto attiene, in particolare, alla riduzione in
massime dei precedenti giurisprudenziali dovrà obiettarsi che il
sistema della massimazione è indispensabile non solo nell'era informatica:
massime, repertori, abstracts di dottrina sono rinvenibili (e con quale
abbondanza!) già nell'epoca del diritto intermedio e comune: svariati
secoli di storia in questo senso dovrebbero indurre taluno a maggiore cautela
nel suo fervore iconoclasta!
Posso poi aggiungere che le ipotesi di massima
mentitoria (cioè di una massima che
pone in luce un mero obiter dictum, anzichè la ratio decidendi,
o che falsa addirittura il contenuto della ratio decidendi stessa),
sebbene vengano sbandierate ad ogni piè sospinto da una parte della
dottrina, mi paiono (almeno per ciò che concerne la Cassazione)
piuttosto rare. Semmai più frequenti
appaiono i casi di massime "parziali", nel senso che pongono
in luce solo una delle varie rationes decidendi seguite dal giudice.
Certo, non occorre mai dimenticare il fatto che il buon
giurista dovrebbe sempre considerare il rinvenimento della massima come
un punto di partenza e non d'arrivo ed estendere immediatamente la sua
ricerca alla motivazione per esteso del provvedimento (il cui reperimento
è comunque facilitato, ancora una volta, dall'impiego degli strumenti
informatici).
La polemica di cui sopra ha poi perso (o comunque sta
perdendo) gran parte del suo significato, una volta che sono stati (e/o
stanno per essere) posti a disposizione su supporto informatico anche gli
archivi delle motivazioni delle sentenze della
Corte costituzionale (tutte già online nell'archivio "costsn"
del C.E.D.) e della Corte di cassazione (cfr. i CD-ROM delle maggiori case
editrici giuridiche ed il recente CD-ROM edito dalla stessa Corte Suprema).
Sempre in tema di massime va ancora aggiunta una considerazione importante. Si è già fatto in questi appunti richiamo all'utilità della ricerca per parole testuali. Ora, proprio tale tipo di ricerca presuppone, per la sua riuscita, di essere effettuata nell'ambiente di una banca dati composta di massime, cioè di riassunti dei principi di diritto enunciati dai giudici elaborati da specialisti della massimazione, che seguano regole ben determinate nell'espressione letterale dei concetti che si possono ricavare dalle motivazioni delle sentenze. Una di queste regole, cui si è già fatto cenno, riguarda il fatto che i termini giuridici vengano usati sempre e solo con il significato che è loro proprio. Così l'impiego di un termine quale "prescrizione" all'interno di una banca dati di massime risulta mille volte più proficuo che all'interno di una banca dati di motivazioni, nelle quali siffatta espressione compare in una lunga serie di accezioni ben diverse. Naturalmente, anche a questo inconveniente si potrà porre rimedio, eseguendo sempre la ricerca per parole testuali nell'archivio delle massime e quindi predisponendo un sistema che consenta agevolmente di passare dal testo delle massime alle relative motivazioni (ciò che almeno in parte già esiste in alcuni CD-ROM in commercio).
Tutto dipende, dunque, ancora una volta, dalla sensibilità e dalla diligenza dell'interprete, il quale dovrà sempre tenere ben presente che la ricerca per massime non ha valore esaustivo. Essa costituirà, semmai, un buon (anzi, ottimo) inizio, che solo in parte potrà sostituire (almeno in buona parte per ciò che attiene il repertorio cartaceo) la ricerca tradizionale, ma che, per i necessari approfondimenti, dovrà essere completata. Mi piace ricordare al riguardo ciò che ha affermato Vittorio Frosini: "il ricorso alla Information retrieval per la ricerca dei precedenti non è affatto sostitutivo del lavoro di analisi, che il giudice dovrà pur compiere, una volta ritrovata la massima che a lui interessa; esso è, tutt'al più (...) integrativo della fase preliminare dell'indagine".
Altri limiti sono poi legati
al fatto che alcuni archivi appaiono caratterizzati
da un contenuto eccessivamente ridotto rispetto
alle esigenze dell'utenza: si veda per es. l'archivio "merito"
del C.E.D. A tale limitazione pongono rimedio ora svariate banche dati
su CD-ROM edite dalle principali case editrici giuridiche o addirittura
a livello di iniziative locali (si pensi alla trasfusione su CD-ROM di
annate di giurisprudenza della Corte d'appello di Torino). Di contro si
pensi al fatto che nel ricordato archivio "merito" del C.E.D. vi sono moltissime
pronunzie (quelle la cui massima è stata redatta dagli uffici U.D.A.)
non presenti sulle riviste giuridiche.
Semmai il vero limite consiste nella relativa scarsezza
dei contributi dottrinali reperibili sotto forma digitalizzata.
L'archivio "dottr" del C.E.D., infatti, contiene
solo una parte (che personalmente stimerei intorno al 40-50%) degli articoli
e delle note a sentenza pubblicati a partire dai primi anni Settanta ad
oggi e, quel che è peggio, li contiene nella sola forma dell'abstract.
Laddove il sistema risulta poi più carente è proprio nel
campo della dottrina più importante: trattati,
commentari, monografie, opere di carattere enciclopedico, ecc. sono (quasi)
del tutto assenti dal panorama di ciò che è disponibile su
supporto informatico. Non vi è dubbio che a tale desolante
risultato portino gli interessi convergenti di due importanti "caste":
da un lato, cioè, di quella dei "signori delle biblioteche" (di
quegli accademici, cioè, che intendono mantenere ristretto ad un
limitatissimo numero di fedeli ed accoliti l'accesso ad alcune importanti
fonti del sapere giuridico, magari usandolo come "moneta di scambio" contro
l'omaggio vassallatico dei nuovi fruitori del servizio) e, dall'altro,
delle case editrici, timorose forse di perdere - mercè gli inevitabili
rischi connessi alla più facile duplicazione delle opere - i guadagni
loro derivanti dall'attuale situazione di ologopolio del mercato editoriale
giuridico.
Sempre rimanendo in tema di limiti della ricerca giuridica informatizzata andrà ancora segnalata la critica mossa da Simitis, che lamenta una certa "rigidità delle tecniche informatiche in rapporto alla flessibilità del ragionamento umano". Si tratta di un argomento di estrema ampiezza, che non può essere certo discusso in questa sede. Apprendendo il sistema Italgiure-Find, per esempio, si avrà modo di apprezzare sino in fondo i limiti connessi al c.d. "formalismo del dato", alla regola, cioè, secondo cui ogni ricerca va impostata seguendo regole formali ben precise, con il conseguente rischio di compromettere ad ogni istante la ricerca stessa per effetto di un errore banale o di una dimenticanza assolutamente marginale. Il sistema è peraltro in evoluzione e d'altro canto già ora esistono rimedi e correttivi. Del resto, la stessa velocità con la quale una ricerca "sballata" può essere reimpostata compensa almeno in parte quella certa "ottusità" dello strumento con la quale ci sembra talora di avere a che fare.