"Il re vuole (...) che il linguaggio del magistrato sia il linguaggio delle leggi, che egli parli allorché esse parlano e si taccia allorché esse non parlano o almeno non parlano chiaro". Questo auspicio, espresso oltre due secoli fa da Gaetano Filangieri(1), non è che il riflesso dell'illusione - propria al secolo dei lumi(2) - secondo cui un sistema complesso, quale quello delle moderne legislazioni, potrebbe e dovrebbe esprimersi attraverso leggi sempre chiare, semplici e comprensibili da parte di ogni cittadino(3). Purtroppo l'augurio di Filangieri non può certo attuarsi nella società contemporanea. Se i giudici di merito, invero, fossero autorizzati ad astenersi dall'emettere il proprio giudizio per via dell'oscurità della legge applicabile, sarebbero sollevati da gran parte del loro lavoro; i magistrati della Corte di cassazione, dal canto loro, rischierebbero di trovarsi puramente e semplicemente disoccupati. Per evitare tali conseguenze il Code Napoléon - dando prova d'un realismo (o, se si preferisce, d'un cinismo) proprio di ogni moderna legislazione - abbandonò su questo punto l'illusione del secolo che s'era appena concluso, stabilendo solennemente che "Le juge qui refusera de juger, sous prétexte du silence, de l'obscurité ou de l'insuffisance de la loi, pourra être poursuivi comme coupable de déni de justice" (art. 4)(4).
Condannati dunque a decidere, in un modo o nell'altro, ogni controversia loro sottoposta, anche allorquando la legge è muta, oscura o carente, i giudici si trovano quotidianamente a fronteggiare le sfide lanciate dalla complessità, se non addirittura dalla confusione, che regnano nelle nostre legislazioni, vale a dire negli strumenti di cui il decidente si serve per rendere giustizia ai cittadini. Donde viene, dunque, questa confusione e quali strumenti possiamo immaginare per porvi rimedio? E' veramente possibile dar vita ad un ordinamento che sia conoscibile con sicurezza da parte dei soggetti, o questa deve rimanere una chimera? Le moderne tecniche informatiche possono contribuire a raggiungere tale scopo, o, ancora una volta, occorrerà rassegnarsi di fronte all'impotenza del Legislatore?
Per affrontare questo argomento occorre tenere conto del fatto che i mali che affliggono i nostri moderni sistemi giuridici hanno origini diverse, che si collocano sia nel processo generale di produzione della legge, sia nel modo con cui i testi normativi sono concretamente redatti. Si tratta di due questioni che vanno tenute ben distinte.
La prima riguarda in generale il procedimento di produzione normativa, che è oggi afflitto da due tipi di problemi:
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Note:
(1) Riflessioni politiche sull'ultima
legge del nostro sovrano che riguarda l'amministrazione della giustizia,
in La scienza della legislazione e gli opuscoli scelti, Livorno,
1826-1827, p. 350. Gaetano Filangieri, nato nel 1752, morì nel 1788;
La scienza della legislazione fu pubblicata tra il 1780 e il 1785.
(2) Tra i tanti esempi v. Beccaria, Dei delitti e delle pene, IV, Interpretazione delle leggi (in Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di Piero Calamandrei, Firenze, 1945, p. 174 ss.; l'opera venne pubblicata per la prima volta nel 1764): "In ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto; la [premessa] maggiore dev'essere la legge generale; la minore, l'azione conforme, o no, alla legge; la conseguenza, la libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la porta all'incertezza. Non v'è cosa più pericolosa di quell'assioma comune, che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni. Questa verità, che sembra un paradosso alle menti volgari, più percosse da un picciol disordine presente, che dalle funeste ma rimote conseguenze che nascono da un falso principio radicato in una nazione, mi sembra dimostrata. (.) Un disordine che nasce dalla rigorosa osservanza della lettera di una legge penale, non è da mettersi in confronto co' disordini che nascono dalla interpretazione. Un tale momentaneo inconveniente spinge a fare la facile e necessaria correzione alle parole della legge, che sono la cagione dell'incertezza; ma impedisce la fatale licenza di ragionare, da cui nascono le arbitrarie e venali controversie. Quando un codice fisso di leggi, che si debbono osservare alla lettera, non lascia al giudice altra incombenza, che di esaminare le azioni de' cittadini, e giudicarle conformi o difformi alla legge scritta; quando la norma del giusto o dell'ingiusto, che deve diriger le azioni sì del cittadino ignorante, come del cittadino filosofo, non è un affare di controversia, ma di fatto: allora i sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie di molti, tanto più crudeli, quanto è minore la distanza fra chi soffre e chi fa soffrire (.). Così acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi, che è la giusta, perché è lo scopo per cui gli uomini stanno in società".
(3) Sul tema v. G. Zagrebelsky, Ordinamenti giuridici pluralistici ed applicazione automatica della legge, in Informatica e attività giuridica, Atti del 5° Congresso Internazionale, a cura di Fanelli e Giannantonio, Roma, 3-7 maggio 1993, I, Roma, 1994, p. 273 ss.; dello stesso autore cfr. anche Il diritto mite, Torino, 1992, p. 20 ss.
(4) Cfr. il parere espresso da Portalis durante la seduta del Consiglio di Stato del 14 Termidoro anno IX sul Titolo preliminare del codice civile: "... le cours de la justice serait interrompu, s'il n'était permis aux juges de prononcer que lorsque la loi a parlé. Peu de causes sont susceptibles d'être décidées d'après une loi, d'après un texte précis : c'est par les principes généraux, par la doctrine, par la science du droit, qu'on a toujours prononcé sur la plupart des contestations. Le Code civil ne dispense pas de ces connaissances ; au contraire il les suppose" (cfr. Jouanneau e Solon, Discussions du Code civil dans le Conseil d'Etat, I, Paris, 1805). Già la Grande Ordonnance del 1667 (tit. 25, art. 1) dava alle parti di un processo la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni ai giudici che si fossero rifiutati "de juger les causes qui sont en état d'être jugées" (cfr. Pothier, Traité de la procédure civile, in Ouvres posthumes de M. Pothier, t. III, Paris, 1809, p. 88); contro il rifiuto dei giudici le parti potevano altresì proporre ai Parlamenti un appel de déni de justice, dopo avere provveduto a "deux sommations de quinzaine en quinzaine, pour justifier que le Juge est refusant de rendre justice, et que l'appelant ne se plaint pas témérairement" (cfr. Ferrière, Dictionnaire de droit et de pratique contenant l'explication des termes de droit, d'Ordonnances, de Coutumes et de Pratique, avec les Jurisdictions de France, I, Paris, 1769, p. 96).
(5) V. infra, §§
9 ss.