UN NUOVO
STATUTO PER UN NUOVO GIUDICE
« Public liberty (…) cannot subsist long in any
state unless the administration of common justice be in some degree separated
both from the legislative and also from the executive power ».
William Blackstone,
Commentaries on the Laws of England,
I, Oxford, 1765, p. 259.
Sommario: 1. L’indipendenza del potere
giudiziario: i fondamenti. – 2. L’indipendenza del
potere giudiziario: la (non esaltante) realtà. – 3.
L’internazionalizzazione e la transnazionalizzazione dei principi concernenti
l’indipendenza del potere giudiziario: le disposizioni normative. – 4. Verso un corpus
juris internazionale e transnazionale sullo statuto dei magistrati. – 5. Il contributo fornito dai principi internazionali di soft law alla difesa dell’indipendenza
e dell’autonomia del potere giudiziario. – 6. Il ruolo
dell’Unione Internazionale Magistrati nel processo di internazionalizzazione
e transnazionalizzazione dei principi concernenti l’indipendenza del potere
giudiziario. – 7. Il modus
operandi dell’Unione Internazionale Magistrati nelle situazioni di crisi.
– 8. Il contesto in cui si colloca il nuovo Statuto
Universale ed i suoi tratti fondamentali. – 9. Gli
articoli 1, 2-1 e 2-2 del nuovo Statuto Universale: principi generali;
indipendenza esterna e inamovibilità. – 10. L’articolo
2-3 del nuovo Statuto Universale: i Consigli di Giustizia. – 11.
Gli articoli 2-4 e 2-5 del nuovo Statuto Universale: risorse e protezione del
giudice. – 12. L’articolo 3 del nuovo Statuto
Universale: l’indipendenza interna. – 13. Gli articoli
4 e 5 del nuovo Statuto Universale: reclutamento, formazione, nomina,
promozione e valutazione. – 14. L’articolo 6 del nuovo
Statuto Universale: l’etica. – 15. Segue. L’etica dell’efficienza (e la CEPEJ del Consiglio d’Europa). – 16.
L’articolo 7 del nuovo Statuto Universale: responsabilità disciplinare,
civile e penale. – 17. L’articolo 8 del nuovo Statuto
Universale: status economico e
sociale dei giudici. – 18. L’articolo 9 del nuovo
Statuto Universale: la sfera di applicabilità delle disposizioni in esame. – 19. Appendice. Il testo del nuovo Statuto Universale. |
1. L’indipendenza del potere giudiziario: i
fondamenti.
L’indipendenza
del potere giudiziario costituisce certamente uno dei principi essenziali su
cui si fonda quello che oggi si chiama lo « Stato di diritto », conformemente
al postulato della separazione dei poteri, elaborato da Montesquieu nel XVIII
secolo. Come
osservava il grande illuminista nella sua opera De l’esprit des lois (Libro XI, § 6), « il n’y a point (…) de
liberté si la puissance de juger n’est pas séparée de la puissance législative
et de l’exécutrice ». « Tout serait perdu – aggiungeva – si le même homme, ou
le même corps des principaux, ou des nobles, ou de peuple exerçaient ces trois
pouvoirs : celui de faire les lois, celui d’exécuter les résolutions publiques
et celui de juger les crimes ou les différends des particuliers » [1].
«
Toute société dans laquelle la garantie des droits n’est pas assurée, ni la
séparation des pouvoirs déterminée, n’a point de constitution », proclamava la
Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del Cittadino del 26 agosto 1789 (Art.
16).
L’attenzione al tema dell’indipendenza dei giudici si
era prospettata in Francia già in epoca precedente al Secolo dei Lumi, posto
che non erano mancati episodi nei quali la magistratura d’oltralpe aveva saputo
dar prova di una certa capacità di resistenza, anche di fronte al potere reale.
È noto l’episodio che vide come protagonista Olivier Le Fèvre d’Ormesson,
relatore nel collegio di fronte al quale si svolgeva il processo all’ex
intendente delle finanze di Luigi XIV, Nicolas Fouquet. A fronte delle
reiterate pressioni del sovrano perché si giungesse rapidamente ad una condanna
capitale, il magistrato mandò a dire che « la cour rend des arrêts, non des
services ! » [2]. I libri di storia rievocano gli epici contrasti tra
i regnanti francesi ed alcuni celeberrimi magistrati, come Michel de
l’Hospital, Henri-François D’Aguesseau, Omer Talon e tanti altri. Quanto sopra,
del resto, nel quadro delle ricorrenti frizioni tra la corona e i parlamenti [3] del regno, con particolare riferimento a quello di
Parigi, su questioni quali la registrazione di svariati editti reali, o la
presentazione di rémontrances contro
gli atti di imperio del re [4]; per non parlare poi degli arrêts de règlement, con i quali le corti dell’epoca finivano con
l’esercitare, anche se limitatamente a determinate materie, poteri quasi
legislativi [5].
Si
trattava comunque di episodi e situazioni, tutto sommato, eccezionali, posto
che l’amministrazione della giustizia era comunque vista come emanazione del
potere reale, che il sovrano delegava ai giudici, pur restandone titolare.
Secondo le concezioni vigenti all’epoca, i re di Francia erano del resto
investiti direttamente dall’autorità divina, come solennizzato dal fatto che,
durante il sacre, cioè la
consacrazione con l’unzione reale, essi giuravano solo « deux choses : sçavoir
de maintenir la Religion, & la Iustice » [6]. Per questo essi, nei tempi più antichi, risolvevano
personalmente le controversie tra i sudditi [7], come lo stesso San Luigi (Luigi IX) non disdegnava
di fare ancora nel XIII secolo [8]. Peraltro, come rimarcato quattro secoli dopo dal de la
Roche Flavin, all’epoca « il y avoit si peu d’affaires, que le Roy assisté [sic] de quelques uns, & sans
beaucoup de peine les pouvoit resoudre dans une matinée ». A seguito
dell’incremento del numero e della complessità degli affari di Stato i sovrani
presero l’abitudine di nominare « des Officiers, sur lesquels selon leurs
vaccations ils se deschargent : mais pour cela ils ne laissent de ouyr ceux qui
se présentent » [9].
Estremamente significativo appare, del resto, il fatto
che lo stesso Cancelliere D’Aguesseau, che pure era stato protagonista di
rilevanti conflitti con il Re Sole, nella sua monumentale opera, dedichi un
intero discours al tema dell’indépendance de l’avocat [10], senza spendere neppure una parola sull’indipendenza
del giudice, verso il quale non è certo parco di consigli: le sue mercuriales raccomandano infatti al
magistrato di coltivare virtù quali l’amour
de son Etat, la grandeur d’ame, la dignité,
la simplicité, la soumission à l’autorité de la loi, la justice dans sa vie privée, la fermeté, etc. [11], mentre nelle Instructions
sur les études propres à former un Magistrat, dedicate al proprio figlio,
sono contenuti i germi di un vero e proprio trattato di formazione del giudice,
in relazione alle singole partizioni del diritto [12]. In nessuna parte di queste opere si ritiene, invece,
di affrontare la questione di fondo della struttura del potere giudiziario e di
una sua distinzione rispetto a quelli che oggi riconosciamo come gli altri
poteri dello Stato.
Il
pensiero di Montesquieu lasciò una profonda traccia nell’Europa dell’epoca,
quando esso venne a scontrarsi con i principi dell’assolutismo monarchico
ancora prevalenti in tutto il continente. Si pensi, ad esempio, alla politica
giudiziaria di un sovrano « illuminato », quale Federico II di Prussia, il
quale, se da un lato, aveva solennemente dichiarato nel proprio testamento
politico, l’intenzione di astenersi dall’esercitare pressioni sui giudici, nel
contesto di un’ideologia tesa, almeno nelle proclamazioni pubbliche, a far
prevalere il concetto di Rechtspruch
su quello di Machtspruch [13], dall’altra era personalmente intervenuto, durante il
suo regno, in almeno 33 processi penali di rilievo, giungendo addirittura a far
condannare ad un anno di prigione i giudici che avevano deciso un caso in modo
non conforme ai suoi desideri [14]. E anche quando, nell’Europa centro-settentrionale, i
regimi assolutisti vennero sostituiti da monarchie costituzionali, la regola
della separazione dei poteri incontrò difficoltà ad affermarsi, riuscendo
finalmente a trovare riconoscimento (unitamente al principio dell’inamovibilità
dei giudici) nelle legislazioni dei Paesi Scandinavi tra fine Settecento ed
inizio Ottocento [15].
A partire
dalla fine del XVIII secolo, anche dall’altra parte dell’Atlantico cominciarono
ad avvertirsi esigenze analoghe a quelle emerse nel medesimo torno di tempo in
Francia. Così, la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, del 4
luglio 1776, rimproverava a Giorgio III di Gran Bretagna di aver « obstructed
the Administration of Justice, by refusing his Assent to Laws for establishing
Judiciary powers » e di aver « made Judges dependent on his Will alone, for the
tenure of their offices, and the amount and payment of their salaries » [16].
Dal canto suo,
profondamente influenzato dal pensiero di Montesquieu, il famoso giurista e
statista Alexander Hamilton caratterizzava, negli anni 1780, nel suo libro Il Federalista o la nuova Costituzione,
la posizione della magistratura, come distinta dagli altri poteri, con le
parole seguenti: « Chiunque consideri
con attenzione i diversi poteri dello Stato deve comprendere che, in un governo
in cui questi sono separati l’uno dall’altro, la magistratura, per la natura
delle sue funzioni, sarà sempre il meno pericoloso per i diritti politici della
Costituzione; Ciò perché si tratta del potere meno in grado di alterarli o
vulnerarli. (...) La magistratura è certamente il più debole dei tre poteri;
Non può mai attaccare con successo gli altri due; E tutte le attenzioni
possibili appaiono necessarie al fine di consentirle di difendersi contro gli
attacchi » [17].
E’
proprio per questo che l’indipendenza non è data al giudice se non
nell’interesse della protezione dei diritti degli individui che sperano di
potere ottenere giustizia [18]. Essa non è un privilegio del giudice: la dipendenza
del potere politico o dei superiori gerarchici è la pace, la garanzia di una
vita tranquilla per chi s’adatta a questo ruolo. L’indipendenza è la
responsabilità, il confronto con prospettive diverse, l’accettazione del fatto
di essere messo in discussione agli occhi dell’opinione pubblica, la sfida di
essere capace di convincere non già grazie alla forza del principio d’autorità,
bensì mercé gli argomenti della ragione, corredata dalla solidità della propria
formazione e dalle qualità professionali.
Del
resto, è evidente che questa indipendenza reclama per i giudici uno statuto
distinto, nettamente differenziato rispetto a quello dei funzionari dello
Stato. Come il più eminente dei comparatisti italiani, Gino Gorla, notava
all’epoca dell’elaborazione dei lavori preparatori della Costituzione italiana,
entrata in vigore nel 1948, « Non si può porre il giudice sullo stesso piano di
altri funzionari pubblici (…). I giudici devono essere trattati al di fuori del
comune ordinamento dei funzionari statali, poiché essi non sono in realtà dei
dipendenti dallo Stato, ma sono lo Stato stesso, in uno dei suoi organi
costituzionali; sono il simbolo vivente, non del funzionario che ‘dipende’, ma
dell’autonomia, del diritto soggettivo, e la loro stessa vita deve essere autonomia
in tutti i sensi » [19].
2. L’indipendenza del potere giudiziario: la (non
esaltante) realtà.
Il
principio della separazione dei poteri, al quale il tema dell’indipendenza
della magistratura è così strettamente collegato, non è recepito ed inteso allo
stesso modo nei differenti sistemi giuridici e giudiziari oggi esistenti.
Nessuno può negare seriamente che, per esempio, il potere giudiziario del Regno
Unito goda da decenni di una situazione di totale e perfetta indipendenza; e
tuttavia si tratta dello stesso sistema in cui, sino a non molti anni fa,
quello che era considerato come head of
the Judiciary, il Lord Chancellor,
riuniva in sé allo stesso tempo le funzioni di Ministro della Giustizia, di
Presidente della House of Lords e di
primo magistrato del Paese.
Ogni
sistema giuridico riconosce, almeno nei testi, l’indipendenza del giudiziario
rispetto ai poteri legislativo ed esecutivo, ma, nella pratica, questa
indipendenza non può ancora essere considerata come un dato acquisito in
maniera soddisfacente e durevole in tutte le parti del mondo e, a guardar bene,
neppure del nostro continente.
L’esigenza
di realizzare delle misure atte a salvaguardare l’indipendenza della
magistratura dà adito a una serie molto complessa di questioni concrete
concernenti i settori più vari dell’ordinamento giudiziario: a partire dal
reclutamento dei magistrati, per arrivare alla loro formazione, alla loro
valutazione, alla loro carriera, ai trasferimenti, alle misure disciplinari,
etc. È dunque su questo terreno che occorre misurare l’efficacia e la
pertinenza delle norme internazionali e sovranazionali, di fronte ai tentativi
(che si manifestano più o meno apertamente nei vari sistemi) degli altri poteri
dello Stato di limitare questo postulato fondamentale di ogni società che
voglia dirsi civile, ma anche di fronte alle aggressioni che, al di là delle
altre due pussances étatiques, gruppi
di potere (avvocati, media, gruppi
finanziari ed economici, etc.) tentano di portare – talora con successo,
facendo leva sulla mancanza di coraggio di troppi magistrati e, soprattutto, di
capi di uffici giudiziari – nei riguardi di singoli giudici [20].
Mentre,
infatti, nei Paesi in via di sviluppo (o, talora, di sottosviluppo) e nelle
democrazie in via di consolidamento (o, talora, di sfaldamento) il problema
fondamentale è ancora posto dalla necessità dell’affermazione, nei fatti, al di
là delle proclamazioni di principio, dell’indipendenza esterna della magistratura, nei sistemi ove si suole ritenere ormai
affermata la rule of law si va
ponendo in modo sempre più imperioso il tema dell’indipendenza interna del singolo giudice, oppresso da
un sistema di costrizioni, regole, controlli e vere e proprie intrusioni, che
sovente gli impediscono di svolgere la propria funzione con dignità e rigore.
Qui viene in soccorso l’idea che, mentre il pensiero di Montesquieu ha, come
visto, influenzato i riformatori costituzionali, a plasmare in concreto
l’ordinamento giudiziario è stata, però, una concezione ben diversa, dovuta ad
un altro grande francese: Napoleone Bonaparte.
L’idea
che questo ex generale divenuto primo console e, quindi, imperatore, aveva
della magistratura non poteva essere se non quella di un corpo militarmente
organizzato, stratificato in gerarchie attraverso le quali si potesse diffondere,
per rami discendenti, un potere che continuava ad essere, in quella concezione,
emanazione e promanazione di un’idea unitaria ed assolutistica dello Stato. Siffatto aperçu si coagula nella loi du 20 avril 1810 sur l’organisation de
l’ordre judiciaire et l’administration de la justice [21], in cui « le juge est
devenu un fonctionnaire qui fait carrière comme un militaire » [22]. Orbene, in molti Paesi al mondo le leggi
sull’ordinamento giudiziario altro non sono se non una trasposizione della
normativa di matrice napoleonica. Certo, una trasposizione che, con il passare
di oltre due secoli, ha conosciuto mutamenti notevoli ed anche « rivoluzionari
» (si pensi, ad esempio, all’introduzione dei Consigli di Giustizia, o dei
Consigli Superiori della Magistratura), sebbene tali cambiamenti non abbiano
saputo alterare l’idea di fondo per la quale, ad esempio, la riforma di una
decisione di giustizia deve necessariamente provenire da una giurisdizione «
superiore » e che un ufficio giudiziario non possa esistere se non sotto un «
capo » (sul quale, magari, i poteri « costituiti », o, perché no, quelli «
costituendi », possano operare le debite pressioni…).
In un
contesto del genere, anche l’organo di autogoverno ha finito con il
trasformarsi (e l’esempio italiano è quanto mai significativo) in un’istanza
distante, per ciò che attiene alla protezione del giudice, e al tempo stesso
oppressiva e onnipresente in ogni minimo aspetto della vita del magistrato.
Nato per eliminare, o quanto meno ridurre, l’invadenza del Ministro della
giustizia, il nostro C.S.M. è diventato assai più invasivo di quanto non lo sia
l’esecutivo in svariati altri sistemi, pretendendo di occuparsi di ogni minimo
dettaglio dell’organizzazione della vita e del lavoro del giudice, avvolgendo e
stritolando nelle proprie convolute spire, per il tramite delle sue procedure
barocche e, sovente, inconcludenti, ogni possibile questione attinente allo
svolgimento delle attività giurisdizionali e alla vita stessa del magistrato,
per farne l’oggetto di bizantini, autoreferenziali, interminabili, dibattiti
destinati, sovente, al nulla o ad una decisione che arriva quando ormai il
problema si è risolto da sé, o è, semplicemente, « marcito » per l’inutile
decorso del tempo.
Al
miglioramento di questo deprecabile stato di cose non ha certo contribuito
l’associazionismo giudiziario italiano, posto che l’A.N.M., nel corso della sua
storia ultracentenaria, ha finito con il trasformarsi, da organismo di difesa
dell’indipedenza dei singoli magistrati [23], in una « macchina elettorale » finalizzata
all’assegnazione dei seggi al C.S.M. ed alla spartizione del potere tra le
differenti correnti [24].
Per non
dire, poi, dei frutti avvelenati di una politica di nomina dei capi degli
uffici largamente dominata dalle intese correntizie, ciò che ha partorito,
specie negli ultimi anni, una classe dirigente caratterizzata dalla
preoccupante presenza di un certo numero di burocrati incolti, pavidi e
carrieristi, le cui azioni paiono unicamente ispirate dalla regola della
compilazione di moduli e della ricerca del « quieto vivere » (oltre che della
non compromissione di ulteriori, possibili, sviluppi di carriera): ciò che,
naturalmente, non aiuta i giudici nella quotidiana lotta per la salvaguardia
della propria indipendenza, che significa, in concreto, saper mantenere la «
schiena dritta » nei confronti di una società e di un ceto forense ogni giorno
più aggressivi [25].
L’ampliamento
del campo d’osservazione non sembra fornire elementi di conforto. Come emerso
in alcune recenti analisi, non pochi sono i magistrati europei a non sentirsi
tutelati dai rispettivi organi d’autogoverno: « The Euro-model shields the
judiciary from external influence, but it pays little attention to improper
pressure on individual judges (…) [It] empowers only a narrow group of judges who
in turn may favour their allies and shape the judiciary according to their
views. Therefore, a wider range of powers of the Councils should contribute to
a reduction in the perception of the institutions as detrimental of judicial
independence » [26].
Nel corso
della seconda metà del Novecento si è assistito, a livello internazionale, ad
una presa di coscienza dell’importanza dell’indipendenza del potere
giudiziario. Questo movimento ha avuto il suo inizio con la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’uomo, adottata dall’assemblea delle Nazioni Unite
nel 1948 che, all’art. 10, prevede che « al fine della determinazione dei suoi
diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che
gli venga rivolta », ciascuno ha il diritto di essere giudicato da « un
tribunale indipendente ed imparziale ». Questo stesso principio è stato ripreso
dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (art. 6).
Numerosi
simposi e congressi, organizzati da associazioni e da organismi internazionali
(tra cui, in particolare, l’Unione Internazionale Magistrati) hanno consacrato
i loro sforzi a studiare i sistemi che mirano ad assicurare l’indipendenza
della magistratura. Svariate dichiarazioni solenni su questo argomento si
trovano negli atti di congressi internazionali, conferenze e seminari. I
modelli ed i principi normativi hanno cominciato a circolare un po’ ovunque in
Europa e nel mondo intero, al punto che si può parlare oggi non solo di un
diritto internazionale sulla protezione dell’indipendenza del potere giudiziario,
ma anche di un diritto transnazionale in questa materia. Si può persino
arrivare a dire che poco importa se non tutti i documenti rilevanti sono dotati
di un valore cogente (o cogente con la stessa intensità): l’esperienza pratica
della vita associativa internazionale dimostra, per esempio, che delle
dichiarazioni « private », quali lo Statuto Universale del Giudice elaborato
dall’Unione Internazionale Magistrati nel 1999 (la cui revisione nel 2017 forma
precipuo oggetto di questo studio), sono servite a convincere le autorità
politiche di certi Paesi a non adottare misure che avrebbero potuto limitare
l’indipendenza della magistratura.
I
risultati più interessanti di questo processo di internazionalizzazione e di
transnazionalizzazione che procede dai principi sulla protezione dei diritti
dell’uomo sono consacrati nei seguenti testi:
· La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, già menzionata;
· Il Patto internazionale sui diritti civili e politici
(New York, 16 dicembre 1966);
· I Principi fondamentali sull’indipendenza della
magistratura elaborati nel 1985 dall’ONU e le Procedure per la loro effettiva
applicazione (1989) [27];
· La Raccomandazione n° R (94) 12 del Comitato dei
ministri del Consiglio dell’Europa agli Stati membri « sull’indipendenza,
l’efficienza ed il ruolo dei giudici » [28], approvata nel 1994 e aggiornata nel 2010
(Raccomandazione n° R 2010/12 « sui giudici: indipendenza, efficienza e
responsabilità ») [29];
·
La
· La Risoluzione relativa al ruolo del potere
giudiziario in un Stato di diritto, adottata a Varsavia il 4 aprile 1995 dai
ministri partecipanti alla tavola rotonda dei ministri della giustizia dei
paesi dell’Europa centrale ed orientale [31];
· La Carta europea sullo statuto dei giudici, approvata
dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 10 luglio 1998 [32];
· Lo Statuto Universale del Giudice, approvato
all’unanimità dal Consiglio Centrale dell’Unione Internazionale Magistrati
durante la sua riunione di Taipeh (Taiwan) il 17 novembre 1999 [33], aggiornato nel
· La risoluzione del Parlamento Europeo sul rapporto
annuale circa il rispetto dei diritti umani nell’Unione Europea (1998 e 1999)
(11350/1999 - C5-0265/1999 - 1999/2001(INI, adottata il 16 marzo 2000 (che «
raccomanda agli Stati membri di garantire l’indipendenza dei giudici e dei
tribunali rispetto al potere esecutivo e di fare in modo che la nomina del
personale di questi ultimi non sia motivata da ragioni politiche ») [35];
· La « Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea », adottata a Nizza il 7 dicembre 2000 (che, nel suo articolo 47 - Diritto a un ricorso effettivo e a un
giudice imparziale, 2° comma, stabilisce, conformemente del resto all’art.
6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, che « Ogni individuo
ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro
un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito
per legge ») [36];
· I diversi pareri del Consiglio consultivo dei giudici
europei (Consultative Council of European
Judges – Conseil Consultatif de Juges Européens – CCJE), costituito presso
il Consiglio d’Europa, emanati a partire dal 2001 [37], tra cui va in particolare segnalato quello emesso
proprio in quell’anno sul tema « Standards concerning the Independence of the
Judiciary and the Irremovability of Judges » [38], e la « Magna Carta dei giudici europei »,
compilazione di questi pareri pubblicata nel 2010 [39]; al riguardo non potrà tacersi che, specie in questi
ultimi anni, il CCJE ha assunto un
ruolo crescente, non solo di « organo di studio » di questioni più o meno
astratte, bensì anche di vero e proprio « parlamento » dei giudici europei: un’assise
nella quale si discute sempre più di questioni molto concrete relative
all’indipendenza e all’azione della magistratura nel nostro continente. Basti
considerare, ad esempio, i rilevanti documenti sullo Status and situation of judges in member States [40], veri e propri cahiers
de doléances della magistratura europea nelle situazioni di maggior crisi;
· I Principi di Bangalore sulla deontologia giudiziaria
(2002) [41];
· La risoluzione 2006/23 del Consiglio economico e
sociale delle Nazioni Unite [42];
· La Relazione della Commissione di Venezia (European Commission for Democracy through
Law—Venice Commission) del Consiglio d’Europa sull’indipendenza del sistema
giudiziario (parere n. 494/2008) [43];
· La Raccomandazione di Kiev sull’indipendenza della
magistratura in Europa orientale, adottata nel 2010 [44];
· I pareri della Rete europea dei Consigli di giustizia [45];
·
Lo « Status of Magistrates’ in the Commonwealth » [46], approvato nel
2013 dalla Commonwealth Magistrates’ and
Judges’ Association.
4. Verso un corpus
juris internazionale e transnazionale
sullo statuto dei magistrati.
Volendo
tentare una sintesi dei principi fondamentali e delle condizioni irrinunciabili
per l’esercizio d’una giustizia veramente indipendente, potrebbe prospettarsi
il seguente elenco:
· Il potere giudiziario è un corpo autonomo. Esso non è
soggetto ad alcuno degli altri due poteri dello stato. I magistrati del
pubblico ministero dovrebbero godere delle stesse garanzie previste dalla legge
per i giudici.
· I giudici ed i magistrati del pubblico ministero sono
soggetti solamente alla legge.
· Ogni gerarchia all’interno del potere giudiziario va
bandita, come contraria al principio dell’indipendenza interna.
· I giudici ed i magistrati del pubblico ministero
dovrebbero essere nominati per la durata della loro vita o per un periodo
idoneo ad assicurare che la loro indipendenza non sarà messa in pericolo.
Nessuna modifica relativa all’età del pensionamento obbligatorio potrà avere
effetto retroattivo.
· I giudici ed i magistrati del pubblico ministero dovrebbero
essere scelti sulla base di concorsi pubblici. La selezione e la nomina dei
giudici e dei magistrati del pubblico ministero devono essere effettuate
secondo criteri obiettivi e trasparenti, basati sulle qualifiche professionali
dei candidati.
· Nessuna influenza dovrebbe essere esercitata da parte
del potere legislativo o del potere esecutivo sulla selezione dei giudici e dei
magistrati del pubblico ministero.
· Un Consiglio Superiore della Magistratura dovrebbe
essere creato. Il Consiglio dovrebbe occuparsi della nomina, dell’assegnazione,
dei trasferimenti, delle promozioni, e delle misure disciplinari contro i
giudici e i magistrati del pubblico ministero. Questo organismo dovrebbe essere
costituito di giudici e di magistrati del pubblico ministero, o dovrebbe
contenere almeno una rappresentanza maggioritaria di giudici e di pubblici
ministeri.
· Ogni attacco all’indipendenza della magistratura
(indipendenza esterna) e dei singoli magistrati (indipedenza interna) va
evitato; l’indipendenza della magistratura va garantita attraverso un idoneo
sistema di rimedi, ivi compreso il contempt
of court;
· L’indipendenza interna dei giudici e dei magistrati
del pubblico ministero va garantita non solo nei confronti dei capi degli
uffici e degli uffici giudiziari « superiori », bensì anche nei riguardi del
Consiglio Superiore della Magistratura.
· I giudici ed i magistrati del pubblico ministero non
possono essere trasferiti, sospesi o destituiti dalle rispettive funzioni,
tranne che nei casi previsti dalla legge e solamente per decisione disciplinare
adottata dall’organo competente ed attraverso una procedura appropriata.
· L’azione disciplinare dovrebbe essere svolta davanti
ad un Consiglio indipendente che includa una rappresentanza sostanziale di
magistrati. Le misure disciplinari contro i magistrati possono essere adottate
solamente sulla base di una legge preesistente e conformemente a regole di
procedura predeterminata.
· I giudici ed i magistrati del pubblico ministero hanno
il diritto ad un sistema efficace di formazione iniziale e continua; la
formazione dei magistrati dovrebbe essere fornita da un’istituzione
indipendente (p. es. una scuola creata specialmente per la formazione iniziale
e/o continua dei magistrati), o da un organismo indipendente (come il Consiglio
Superiore della Magistratura) che includa una rappresentanza sostanziale di
magistrati.
· I magistrati devono godere di condizioni di lavoro
adeguate.
· Gli stipendi dei giudici e dei magistrati del pubblico
ministero dovrebbero essere fissati per legge (e non per atto amministrativo)
ed essere legati agli stipendi delle parlamentari o dei ministri. Essi non
dovrebbero essere ridotti per alcuna ragione.
· Piena libertà di associazione – a livello sia interno
che internazionale – deve essere accordata ai giudici ed ai magistrati del
pubblico ministero. L’attività svolta in seno a queste associazioni deve essere
a tutti gli effetti riconosciuta ufficialmente ed equiparata a quella
ordinariamente svolta dai magistrati.
Occorre ammettere che nessuno degli atti e delle
dichiarazioni internazionali sopra menzionate riunisce in sé,
contemporaneamente, tutte le regole appena enumerate, ma è tuttavia chiaro che
i documenti internazionali citati nel § precedente devono essere letti ed
interpretati oggi come altrettante tessere di una struttura a mosaico,
costituente un vero e proprio « corpus
juris internazionale e transnazionale sullo statuto dei magistrati ».
5. Il contributo fornito dai principi internazionali
di soft law alla difesa dell’indipendenza e dell’autonomia del potere giudiziario.
In relazione a quanto sin qui esposto, non va
trascurato il rilievo che anche la « semplice » soft law può assumere nel quadro odierno.
Se è vero, infatti, che, ad esempio, nel 1989, la
nostra Corte costituzionale ebbe buon gioco a validare la palese violazione
inferta ai già citati Basic Principles
delle Nazioni Unite (a mente dei quali « judges should enjoy personal immunity
from civil suits for monetary damages for improper acts or omissions in the
exercise of their judicial functions »: cfr. art. 16) da parte della nostra
legge sulla responsabilità civile dei magistrati (l. 13 aprile 1988, n. 117),
atteso il carattere asseritamente « non cogente » dei cennati principi [47], è altrettanto vero che proprio l’esperienza di
organismi quali l’Unione Internazionale Magistrati dimostra che è su quegli
stessi principi che vengono poggiate dichiarazioni, risoluzioni,
raccomandazioni, che, talora, sortiscono l’effetto di smuovere mass media e opinione pubblica,
determinando anche (pur se in casi certo non frequentissimi) risultati
positivi. Valga, a titolo di mero esempio, la recente mobilitazione
internazionale sul « caso Turchia », in conseguenza della svolta repressiva che
ha preso a pretesto il fallito colpo di Stato del luglio 2016 [48], o il « caso Polonia », ove lo stesso Presidente di
quel Paese ha ritenuto di dover porre il veto, nel 2017, alla promulgazione di
alcune riforme introdotte dal Parlamento, chiaramente volte ad eliminare l’indipendenza
della magistratura [49].
Non solo. Da un po’ di tempo a questa parte un altro
attore fondamentale sullo scenario internazionale, vale a dire la Corte Europea
dei diritti dell’uomo, ha iniziato ad utilizzare siffatti principi di soft law per arrivare a riconoscere la
violazione dell’art. 6 della CEDU, sotto il profilo della carenza del requisito
della presenza di un « tribunale indipendente e imparziale » [50].
Si potrà citare qui, a mo’ di esempio, il caso Volkov vs Ukraine (2013), ove un paragrafo
intero della motivazione [51] è dedicato ai documenti del Consiglio d’Europa
sull’indipendenza della magistratura, al fine di non dichiarare conforme al
citato parametro dell’art. 6 la composizione dell’organo disciplinare che aveva
sanzionato un magistrato ucraino. E lo stesso è a dirsi per il caso Gerovska Popčevska v. the former
Yugoslav Republic of Macedonia (2016), nella cui motivazione [52] si riportano ampi brani di un parere della Venice Commission del Consiglio
d’Europa, oltre che di un’Opinion del
Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCJE)
in tema di organo di autogoverno e della già ricordata Magna Charta del CCJE, al
fine di riconoscere come presente una violazione del canone dell’indipendenza e
imparzialità dell’organo disciplinare, qualora di esso faccia parte il Ministro
della Giustizia [53].
Fermo quanto sopra, appare comunque evidente che una
consacrazione dei principi sopra enunciati nel contesto di un documento
vincolante, quale, ad esempio, una convenzione internazionale, sortirebbe quale
effetto un sicuro rafforzamento del principio di autonomia e indipendenza della
magistratura. Proprio per questa ragione, da qualche tempo, l’Associazione
Europea Magistrati, Gruppo Regionale dell’Unione Internazionale Magistrati, sta
lavorando ad un protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, contenente i
requisiti minimi indispensabili perché un ordinamento possa dirsi veramente
compatibile con il principio di indipendenza del potere giudiziario.
Nel quadro dell’internazionalizzazione e della transnazionalizzazione
dei principi concernenti l’indipendenza del potere giudiziario bisognerà notare
anche che un ruolo sempre più attivo è svolto dall’Unione Internazionale
Magistrati [54].
Si ricorderà a questo proposito che l’Unione Internazionale
Magistrati (UIM), di cui lo scrivente ha l’onore di essere il Segretario
Generale, è nata nel 1953, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, per
instaurare una migliore comprensione tra i sistemi giudiziari dei paesi membri.
Attualmente essa comprende i rappresentanti di 87 Paesi membri. L’UIM è
un’organizzazione non governativa che non raggruppa persone fisiche, ma
associazioni nazionali di magistrati. Più esattamente, le associazioni che
aderiscono all’unione devono essere delle associazioni di magistrati formate
liberamente e rappresentative della magistratura dei rispettivi Paesi. Inoltre,
le associazioni aderenti debbono dimostrare (all’atto dell’ammissione e ogni
cinque anni, all’interno di una speciale procedura di monitoring) che i rispettivi sistemi giudiziari assicurano al loro
interno una vera indipendenza della magistratura, o che, in caso contrario,
quanto meno le associazioni in questione lottano per il raggiungimento di tale
indipendenza.
Lo scopo principale dell’UIM è quello di contribuire al rafforzamento
dell’indipendenza della magistratura, in quanto attributo essenziale della
funzione giudiziale, così come la protezione dello statuto costituzionale e
morale della magistratura e la garanzia dei diritti e delle libertà
fondamentali [55].
L’UIM è diretta dal suo Consiglio Centrale, composto dai
rappresentanti delle associazioni aderenti, nonché dal Comitato della
Presidenza, che è l’organismo amministrativo, diretto da un Presidente eletto
ogni due anni, affiancato da sei Vicepresidenti e dall’ultimo ex Presidente
(Presidente Onorario) per un periodo di due anni.
L’Unione comprende quattro commissioni di studio, il cui il
compito è quello di studiare ogni anno un argomento differente in diversi
settori:
· La prima ha per compito di studiare l’ordinamento
giudiziario, l’indipendenza della magistratura, l’organizzazione giudiziaria e
la protezione delle libertà individuali.
· La seconda commissione si occupa del diritto civile e
della procedura civile.
· La terza commissione studia il diritto penale e la
procedura penale.
· La quarta commissione si occupa del diritto pubblico e
del diritto sociale.
Durante le riunioni ed i congressi i paesi aderenti cercano
di raggiungere una migliore conoscenza del Paese in cui si svolgono queste
conferenze, del suo sistema giudiziario e dei problemi che incontrano i
magistrati. Petizioni e raccomandazioni vengono emesse alla conclusione di ogni
congresso.
L’UIM sviluppa periodicamente piani pluriennali d’azione,
come quelli della lotta alla corruzione (in collegamento con l’UNODC delle Nazioni Unite), del diritto
ambientale (in collaborazione con l’Environmental
Judicial Global Institute), della redazione di linee guida sulla
costituzione di associazioni di magistrati nei Paesi che ne sono sprovvisti.
Parimenti, organizza periodiche conferenze internazionali tematiche (come nel
In seno all’UIM esistono anche quattro Gruppi Regionali, il
cui lo scopo è quello di seguire da vicino le questioni specifiche concernenti
il potere giudiziario nelle differenti parti del mondo:
· L’Associazione Europea dei Magistrati – Gruppo
Regionale Europeo dell’UIM (AEM);
· Il Gruppo Regionale Ibero-Americano;
· Il Gruppo Regionale Africano;
· Il Gruppo Regionale « ANAO » (Nordamerica, Asia ed
Oceania).
Potrà ancora aggiungersi che, per ciò che attiene alla
rappresentatività dell’organizzazione, a seguito dei risultati della procedura
di monitoring svolta negli anni
2015-2016 è emerso che le associazioni facenti parte dell’UIM contano un totale
di circa 120.000 membri, rappresentanti il 70% dei magistrati dei Paesi in
questione [56].
Tra il 1993 e il 1995, le varie componenti regionali
della UIM hanno adottato Carte sullo statuto del giudice:
· la « Carta sullo statuto dei giudici » adottato
dall’Associazione Europea dei Magistrati nel 1993 [57];
· lo « Statuto del giudice iberoamericano » (Estatuto del Juez iberoamericano)
adottato nel 1995 dal Gruppo Ibero-Americano dell’UIM [58];
· lo « Statuto del giudice in Africa », adottato
nel 1995 dal Gruppo Africano dell’UIM [59].
Pochi anni dopo, nel 1999, dopo un lungo processo di
riflessione, il Consiglio Centrale dell’UIM, durante la sua riunione a Taiwan,
ha adottato una Carta universale sulla statuto dei giudici [60]. A partire dal 1999 e dall’adozione della Carta
Universale a Taiwan, l’UIM ha condotto un lungo lavoro circa gli standard minimi indispensabili per la
garanzia dell’indipendenza della magistratura [61]. Inoltre, i vari Gruppi Regionali e il Consiglio
Centrale dell’UIM hanno adottato numerose risoluzioni che si riferiscono a
questi standard, progressivamente
realizzando, in tal modo, un corpus
di norme specifiche per tale organizzazione.
In occasione della riunione di Foz do Iguaçu del 2014
il Consiglio Centrale dell’UIM ha adottato la proposta del Comitato di Presidenza
volta ad un aggiornamento della Carta adottata nel
La necessità di una nuova Carta Universale s’imponeva
in considerazione del fatto che lo Statuto precedentemente in vigore, risalente
al 1999, era ormai da tempo avvertito come bisognevole di aggiornamento, alla
luce, da un lato, dell’accesso all’Unione Internazionale Magistrati di un consistente
numero di nuovi Paesi (passati da
7. Il modus
operandi dell’Unione Internazionale
Magistrati nelle situazioni di crisi.
La prima modalità operativa nelle situazioni di crisi
propria dell’UIM si richiama alla sua costante presenza, quale osservatore,
presso diversi organismi internazionali.
L’UIM gode di statuto consultivo presso le Nazioni
Unite (Conseil Economique et Social e
Bureau International du Travail).
Dispone di rappresentanti permanenti presso gli uffici ONU di Ginevra, New York
e Vienna. Ha inoltre lo statuto di osservatore presso diversi organi del
Consiglio d’Europa (CEPEJ,
Commissione di Venezia, CCJE) e
mantiene contatti regolari con svariati uffici della Commissione UE. Proprio al
fine di partecipare meglio ai dibattiti concernenti la giustizia nelle varie
sedi europee, l’AEM ha creato un suo gruppo di lavoro, chiamato « Ways to
Brussels ». Contatti sono in corso anche con la Corte Interamericana per i
diritti dell’uomo (di fronte alla quale ha conseguito lo status di amicus curiae,
in relazione alla situazione del Venezuela) e con l’Unione Africana e la Corte
Africana per i diritti dell’uomo.
Nel corso degli anni l’UIM ha sviluppato una serie di
attività di partenariato con varie organizzazioni internazionali rappresentanti
categorie professionali di operatori nel settore della giustizia, più
esattamente con le seguenti:
·
CMJA-Commonwealth
Magistrates and Judges Association;
·
International
Association of Women Judges;
· FLAM-Federación
Latinoamericana de Magistrados;
·
UIJLP-União Internacional
de Juízes de Língua Portuguesa;
·
Rechters voor
Rechters-Judges for judges;
·
AEAJ-Association of
European Administrative Judges;
·
MEDEL-Magistrats
Européens pour la Démocratie et les Libertés;
·
IAP-International
Association of Prosecutors;
·
International
·
IBA-International bar
Association;
·
ICJ-International
Commission of Jurists;
Al di là di questa
fitta rete di rapporti istituzionali, va segnalata una concreta, costante opera
di sostegno e soccorso alle associazioni in difficoltà.
In tale prospettiva si iscrive, in primo
luogo, la già ricordata iniziativa volta a promuovere la creazione di
associazioni di magistrati nei Paesi ove non ne esistono ancora. Lo scopo è
quello di realizzare una serie di modelli di statuto per le costituende
associazioni, adatti ai vari tipi di sistema giuridico e giudiziario (common law, civil law, nomina da parte dell’esecutivo, o a seguito di concorso,
ecc.) in cui le nuove realtà sono destinate ad operare.
Per i Paesi in cui tali associazioni già
esistono e fanno parte dell’UIM, le questioni attinenti alla salvaguardia
dell’indipendenza della magistratura vengono affrontate essenzialmente dai
quattro Gruppi Regionali. Per ciò che attiene in particolare all’AEM, Gruppo
Regionale Europeo, uno speciale gruppo di lavoro permanente è stato creato al
fine di monitorare la situazione delle associazioni che segnalano problemi e
coordinare con esse le azioni da intraprendere.
Tali iniziative si svolgono su piani
diversi.
Un primo livello è quello che potremmo
definire di « denuncia ». A tal fine si prendono contatti, si aprono dibattiti
in seno al Gruppo Regionale relativo ed eventualmente in seno al Consiglio
Centrale dell’UIM, si adottano risoluzioni, e, se del caso, si dispongono anche
missioni in loco [63].
Un piano ulteriore è quello delle
attività di lobbying e di uso dei
media. L’UIM e i Gruppi Regionali dispongono oggi di moderni mezzi di
comunicazione: il sito internet – ed in particolare la sezione « News &
Events » [64] – account Twitter
e relazioni con media e giornalisti. In questo quadro, particolarmente intenso
è il rapporto con l’ufficio del Relatore Speciale delle Nazioni Unite
sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati, tra i compiti del quale
rientra, per l’appunto, intraprendere azioni a difesa dell’indipendenza del
potere giudiziario ovunque essa sia minacciata [65]. L’UIM e i relativi Gruppi Regionali tengono quindi
un costante contatto con tale ufficio (così come, a livello continentale, con
il Consiglio d’Europa, l’Unione Europea, l’Unione Africana, etc.), al fine di
denunciare le violazioni dei ricordati standards
internazionali ovunque esse avvengano e sollecitare, di conseguenza, prese di
posizione ufficiali, segnalazioni, rapporti, visite in loco, etc.
Una preoccupante serie di casi riguardanti magistrati
perseguitati a causa delle loro attitudini troppo indipendenti e, a partire dal
16 luglio 2016, l’esplosione del vero e proprio dramma della magistratura
turca, hanno spinto l’UIM a svolgere un ruolo ancora più concreto di aiuto e
soccorso alle vittime degli abusi compiuti contro l’indipendenza della
magistratura nel mondo. Già svariati anni or sono l’UIM è intervenuta in
soccorso della giudice venezuelana Maria Lourdes Afiuni, incarcerata a causa
del suo atteggiamento critico verso il governo del proprio Paese, prestandole
assistenza prima e dopo il processo dalla stessa subito [66]. Lo stesso è stato fatto nel
8. Il contesto in cui si colloca il nuovo Statuto
Universale ed i suoi tratti fondamentali.
La situazione sopra descritta costituisce dunque il background dell’iniziativa dell’Unione
Internazionale Magistrati, portata a compimento nel 2017 con l’adozione del
nuovo Statuto Universale del Giudice.
Il testo di tale documento si compone di nove
articoli, corrispondenti all’incirca ad altrettanti distinti capitoli: 1)
Principi generali; 2) Indipendenza esterna; 3) Indipendenza interna; 4)
Reclutamento e formazione; 5) Nomina, promozione e valutazione; 6) Etica; 7)
Responsabilità disciplinare; 8) Remunerazione, protezione sociale e
pensionamento; 9) Applicabilità dello Statuto Universale.
Le principali novità, rispetto alla versione del 1999,
possono essere, in poche parole, così riassunte:
a) attribuzione di rilievo autonomo al profilo
dell’indipendenza interna;
b) riconoscimento dell’essenzialità, nella tutela
dell’indipendenza della magistratura, del ruolo svolto da organi quali i
Consigli di Giustizia (o, per i sistemi influenzati dall’esperienza francese e
italiana, Consigli Superiori della Magistratura), esistenti ormai in svariate
realtà e, in particolare, in Europa;
c) enfatizzazione del principio di inamovibilità del
giudice ed esplicita condanna della pratica (conosciuta da alcuni sistemi) delle
« prime nomine temporanee » (seguite, a distanza di alcuni anni, da apposite reappointment procedures);
d) attribuzione di un ruolo determinante alla formazione
(iniziale e continua) della magistratura;
e) corretta enfatizzazione del requisito dell’efficienza
dell’operato della magistratura;
f) enucleazione di autonomi principi sulla deontologia
professionale, nell’ambito dei quali trova idonea collocazione la questione dei
c.d. « codici etici »;
g) estensibilità dei principi riconosciuti dalla Carta
non solo a tutti i soggetti che, a vario titolo, esercitano funzioni
giurisdizionali (si pensi ai giudici di pace, agli organi giurisdizionali
specializzati, ai giudici popolari, etc.), ma anche ai membri del pubblico
ministero.
Lo Statuto Universale esordisce con il richiamo
d’obbligo al principio della tripartizione dei poteri (cfr. art. 1, comma
primo), seguito da una definizione della funzione principale dell’attività
giurisdizionale [67], sostanzialmente ricalcata sulla Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’uomo, adottata dall’assemblea delle Nazioni Unite
nel 1948 (art. 10) e sulla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 6) [68]. Lo Statuto passa quindi a proclamare il requisito
dell’indispensabilità dell’indipendenza del giudice, « per l’esercizio di una
giustizia imparziale nel rispetto della legge ». Si tratta di un collegamento
che evidenzia la strumentalità dell’indipendenza rispetto all’imparzialità, già
presente nella Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R 2010/12 « sui
giudici: indipendenza, efficienza e responsabilità », laddove l’indipendenza è
definita alla stregua di un « fundamental right, laid down in Article 6 of the
Convention », il cui scopo è quello di garantire ad ogni persona il diritto «
to have their case decided in a fair trial, on legal grounds only and without
any improper influence » (art. 3, Raccomandazione cit.).
L’affermazione di cui sopra è seguita
nello Statuto dall’ulteriore specificazione, per cui tale indipendenza «
costituisce una prerogativa o un privilegio accordato non già nell’interesse
personale dei giudici, bensì nell’interesse dello Stato di diritto e di tutte
le persone che chiedano e attendano una giustizia imparziale », ciò che pure
riflette il contenuto della Raccomandazione n° R 2010/12 (art. 11).
Il successivo art. 2 esordisce con la precisazione
circa la collocazione che, nell’ambito delle fonti del diritto, il principio
dell’indipendenza della magistratura deve possedere. Anche tale affermazione,
secondo cui « L’indipendenza del giudice deve essere garantita dalla
Costituzione o comunque al livello normativo più elevato possibile » (cfr. art.
2-2), trova una precisa eco nella citata Raccomandazione n° R 2010/12 (art.
11).
L’esperienza dell’attività ultrasessantennale dell’UIM
dimostra che uno degli strumenti più utilizzati al fine di minacciare e violare
l’indipendenza della magistratura è dato dalla possibilità di operare
trasferimenti d’ufficio di giudici o pubblici ministeri. Per questa ragione la
prima delle concrete guarentigie ad essere menzionate dallo Statuto è proprio
quella dell’inamovibilità. Anche qui la falsariga seguita è quella della citata
Raccomandazione del Consiglio d’Europa, per cui l’inamovibilità costituisce un
aspetto fondamentale dell’indipendenza dei giudici. Seguendo sul punto il
parere N. 1 del CCJE [69], già la Raccomandazione chiaramente evidenziava come
il concetto di « inamovibilità » sia qualcosa di ulteriore rispetto a quella
che i giuristi di Common Law
riduttivamente traducono con il termine tenure
[70]. Mentre infatti quest’ultima espressione denota il diritto
di un giudice di conservare la propria carica sino al pensionamento (fatte
salve, ovviamente, eventuali misure disciplinari, che nei sistemi di matrice
anglosassone, a differenza che da noi, costituiscono eventi di assoluta
rarità), l’inamovibilità pone il giudice al riparo dal rischio di essere
trasferito « to another judicial office without consenting to it, except in
cases of disciplinary sanctions or reform of the organisation of the judicial
system » (cfr. l’art. 52 della citata opinion).
L’art. 2-2 del nuovo Statuto declina siffatta regola,
stabilendo al comma primo che « I giudici, siano essi nominati o eletti, sono
inamovibili fin tanto che non abbiano raggiunto l’età del collocamento
obbligatorio a riposo o il termine del loro mandato ».
I commi terzo e quarto prevedono poi, rispettivamente,
che « Nessun giudice può essere destinatario di un trasferimento, o anche di
una promozione, senza il suo consenso » e che « Nessun giudice può essere
trasferito, sospeso o esonerato dalle sue funzioni se non nei casi previsti
dalla legge e nel rispetto di procedure disciplinari che garantiscano la
salvaguardia dei diritti di difesa e del principio del contraddittorio ».
Quest’ultima disposizione appare di particolare interesse rispetto alla pratica
della c.d. lustration (destituzione
in massa di tutti i giudici, o di intere categorie di essi, a prescindere da
ogni valutazione sul merito o sul demerito del loro operato), seguita in un
numero crescente di Paesi dell’Europa centro-orientale [71]. Tale deprecabile istituto costituisce un eloquente
esempio di come, con il pretesto di un sovvertimento politico o sociale, il
sistema si sbarazzi del rischio di decisioni non gradite ai nuovi governanti,
riservandosi la possibilità di influire sulla selezione di una nuova
generazione di giudici, maggiormente « in sintonia » con i gruppi al potere.
Svariati sistemi giudiziari al mondo, ed in
particolare quelli di numerosi Paesi dell’Europa centro-orientale, conoscono
inoltre la pratica della prima nomina dei giudici a tempo. Sul punto, la
soluzione offerta dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R 2010/12
(art. 51) appare, a dire il vero, piuttosto « tiepida », consistendo nel rinvio
alla disposizione generale (art. 44), che raccomanda il ricorso a « objective criteria
pre‑established by law or by the competent authorities » [72]. Essa costituisce, in un certo senso, un «
arretramento » rispetto alle posizioni decisamente più critiche verso questa
pratica (che offre il destro ai poteri politici coinvolti nelle decisioni sulle
« ri-nomine » di escludere i giudici che avessero dato prova di « troppa »
indipendenza), espresse dalla già ricordata opinion
del CCJE [73]. Il nuovo Statuto Universale prevede sul punto che,
come regola generale, « Il giudice è nominato senza limiti di tempo ».
Peraltro, « Nel caso lo sia per un tempo determinato, le condizioni della sua
nomina debbono garantire che l’indipendenza del sistema giudiziario non sia
posta in pericolo ».
L’articolo qui in commento (art. 2-2) si
chiude poi con un’affermazione contenente una delle regole forse più disattese
nella pratica dei vari sistemi giudiziari, vale a dire il principio secondo il
quale « Nessuna modifica dell’età del collocamento obbligatorio a riposo può
avere effetto retroattivo ». Basterà qui citare il caso delle convulse
modifiche sull’età del collocamento a riposo dei magistrati italiani, passata
nell’arco di pochi anni da
10. L’articolo 2-3 del nuovo Statuto Universale: i
Consigli di Giustizia.
La Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R 2010/12
affronta con una certa circospezione il tema dei Consigli di Giustizia,
limitandosi ad una sorta di constatazione sul ruolo degli stessi: il relativo
Capitolo IV s’apre, invero, con l’affermazione, dal sapore piuttosto
lapalissiano, per cui tali organi d’autogoverno « mirano a salvaguardare
l’indipendenza della magistratura e dei singoli giudici e pertanto tendono a
promuovere l’efficiente funzionamento del sistema giudiziario » (cfr. art. 26,
Raccomandazione cit.). Lo Statuto Universale del Giudice, varato dall’UIM nel
2017, prevede invece che « un Consiglio di Giustizia, o altro organo
equivalente » deve (enfasi dello
scrivente) essere costituito « per assicurare l’indipendenza dei giudici, ad
eccezione dei paesi in cui per tradizione questa indipendenza è garantita
attraverso altri mezzi » (cfr. art. 2-3, comma primo).
La tendenza a livello internazionale appare
svilupparsi, del resto, proprio in questo senso. Si potrà citare al riguardo un
altro documento di estremo interesse, di provenienza, questa volta,
dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, la quale, in data 30
settembre
Un tema di scottante attualità, quale quello della
composizione di questi organi, è affrontato dal nuovo Statuto Universale con la
prescrizione secondo cui tale Consiglio « Deve comprendere una maggioranza di
giudici eletti dai loro pari, secondo modalità che ne garantiscano la
rappresentanza più ampia » (cfr. art. 2-3, comma terzo). Disposizione, questa,
più avanzata di quella della Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R
2010/12, secondo cui tali consessi dovrebbero essere composti per non meno della
metà da giudici eletti dai loro pari « from all levels of the judiciary » e con
il rispetto del pluralismo all’interno del potere giudiziario (cfr. art. 27,
Raccomandazione cit.). La regola della maggioranza di giudici compare, del
resto, nella già ricordata risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del
Consiglio d’Europa, la quale ha, tra l’altro, invitato la Francia a (cfr. il
punto 5.3.4.) « consider restoring a majority of judges and prosecutors within the Conseil supérieur de la magistrature or
ensuring that the members appointed by political bodies also include
representatives of the opposition and making the Conseil supérieur de la magistrature’s opinion binding also for
decisions concerning prosecutors ».
Più o meno allo
stesso periodo (2010, per l’esattezza) risale l’art. 13 della Magna Carta of European Judges (CCJE), secondo cui « To ensure
independence of judges, each State shall create a Council for the Judiciary or
another specific body, itself independent from legislative and executive
powers, endowed with broad competences for all questions concerning their
status as well as the organisation, the functioning and the image of judicial
institutions. The Council shall be composed either of judges exclusively or of
a substantial majority of judges elected by their peers. The Council for the
Judiciary shall be accountable for its activities and decisions ». Dunque, anche in questo documento internazionale, la
creazione di un Consiglio di Giustizia è vista come un presupposto
imprescindibile dell’indipendenza del potere giudiziario.
L’ultimo periodo del comma quarto dell’art. 2-3 del
nuovo Statuto Universale, secondo cui « Nessun componente del governo o del
parlamento può essere allo stesso tempo componente del Consiglio di Giustizia
», mira in particolare ad evitare che – come purtroppo accade ancora in troppi
sistemi al mondo – figure di carattere eminentemente politico, come ad es. il
Ministro della Giustizia, siedano in seno al Consiglio di Giustizia (o,
addirittura, lo presiedano). Il successivo comma quinto tende invece a
contrastare un’altra pratica corrente in vari sistemi (ancora una volta, in
molti di quelli dell’ex blocco comunista), secondo cui al Consiglio di
Giustizia vengono affidati poteri essenzialmente consultivi. Si stabilisce,
infatti, che « Il Consiglio di Giustizia deve essere dotato delle più ampie
competenze in materia di reclutamento, formazione, nomina, promozione e
responsabilità disciplinare dei giudici », laddove il richiamo alle « più ampie
competenze » non può essere inteso se non come evocativo di poteri decisionali.
Difetta invece nello Statuto Universale una
disposizione analoga a quella che compare nella Raccomandazione del Consiglio
d’Europa n° R 2010/12, secondo cui « nell’esercizio delle loro funzioni, i
Consigli della Magistratura non dovrebbero interferire con l’indipendenza di
ogni singolo giudice » (cfr. art. 29, Raccomandazione cit.). Monito, questo,
lapidario, di grande interesse e rigorosa pertinenza per l’Italia, ove il
C.S.M. è venuto assumendo un ruolo che, nel disperdersi in una miriade di
funzioni anche di modesto o assolutamente trascurabile rilievo, rischia, da un
lato, di paralizzarne l’attività e, dall’altro, di dar luogo a forme di
eccessiva e pericolosa invadenza nei confronti di un corpo di magistrati troppo
sovente e da troppi soggetti (fuori e dentro il C.S.M.) considerato come un
insieme di persone ogni aspetto della vita delle quali dovrebbe essere
capillarmente « gestito », o quanto meno « monitorato » dall’alto, quasi si
trattasse di soggetti capite minuti.
11. Gli articoli 2-4 e 2-5 del nuovo Statuto
Universale: risorse e protezione del giudice.
In materia di risorse a disposizione della giustizia,
va ricordato che già i Basic Principles
delle Nazioni Unite (1985) avevano consacrato il principio secondo cui (cfr.
art. 7) « It is the duty of each Member State to provide adequate resources to
enable the judiciary to properly perform its functions ». L’art. 2-4 del nuovo
Statuto Universale riprende tale regola, stabilendo che « E’ dovere degli altri
poteri dello Stato fornire al potere giudiziario i mezzi necessari alla sua
attività ».
Il principio viene però corredato da una nuova regola,
secondo la quale « Il potere giudiziario deve essere messo in condizione di
partecipare, o di essere consultato, in relazione ai processi decisionali
relativi a materie concernenti il bilancio della Giustizia e le risorse
materiali e umane allocate agli uffici giudiziari ». La disposizione appare in
piena sintonia con quanto stabilito dalla Raccomandazione n° R 2010/12 del
Consiglio d’Europa, secondo cui esiste un primario dovere degli Stati di porre
al servizio della giustizia le risorse necessarie (cfr. art. 33,
Raccomandazione cit.), così come di promuovere il ricorso a metodi alternativi
di soluzione delle controversie (cfr. art. 39, Raccomandazione cit.) e di fare
in modo che i Consigli della Magistratura e, più in generale, gli stessi uffici
giudiziari, nonché le organizzazioni professionali dei magistrati, abbiano la
possibilità di esprimere il loro parere nel processo d’allestimento del
bilancio per la giustizia (cfr. art. 40, Raccomandazione cit.).
L’art. 2-5 del nuovo Statuto Universale si occupa
quindi della protezione del giudice e del rispetto delle sue decisioni. Sul
primo punto viene fatto generico richiamo alla necessità di una « protezione
statutaria contro le minacce e gli attacchi di qualunque natura, di cui possa
formare oggetto a causa o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni ». Si
insiste altresì sul fatto che « Lo Stato deve garantire la sicurezza fisica del
giudice e della sua famiglia. Lo Stato deve assicurare misure di protezione
degli uffici giudiziari, al fine di garantire la serenità delle udienze ».
Anche la Raccomandazione del Consiglio
d’Europa n° R 2010/12 interviene sul tema, precisando anche che, laddove i
giudici considerano che la loro indipendenza sia in pericolo, essi dovrebbero
poter « have recourse to a council for the judiciary or another independent
authority, or they should have effective means of remedy » (cfr. art. 8,
Raccomandazione cit.): il che è esattamente quanto, ad esempio, accade presso
il C.S.M. italiano in relazione alle c.d. « pratiche a tutela ». L’Explanatory Memorandum chiarisce poi sul punto (e trattasi di argomento sul
quale lo scrivente ha molto insistito in sede di lavori preparatori) che tra
gli altri « effective means of remedy » un ruolo fondamentale è svolto nei
sistemi di Common Law dall’istituto
del Contempt of Court, tramite il
quale i giudici britannici sono in grado di « autoproteggersi » efficacemente
da ogni forma di ingerenza esterna [76].
Ai sensi dell’ultimo capoverso del
citato art. 2-5, « Le critiche contro le decisioni di Giustizia sono da
evitarsi, qualora siano idonee a minare l’indipendenza del potere giudiziario o
a compromettere la fiducia del pubblico nell’istituzione. Nel caso tali
critiche siano emesse, vanno posti in essere rimedi che consentano di proporre
azioni giudiziarie perché i giudici in questione possano adeguatamente
difendersi ». La norma si ispira
all’art. 18 della Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R 2010/12, la quale
specifica che i poteri legislativo ed esecutivo dovrebbero evitare critiche
tali da minare l’indipendenza della magistratura, ovvero la pubblica fiducia
nel potere giudiziario. Essi dovrebbero inoltre evitare ogni azione (fatta
salva l’esternazione dell’intenzione di esercitare il diritto d’impugnazione)
in grado di porre in dubbio la loro determinazione di conformarsi alle sentenze
emesse dall’autorità giudiziaria [77].
12. L’articolo 3 del nuovo Statuto Universale:
l’indipendenza interna.
Il concetto di indipendenza interna è, in un certo
senso, dato per presupposto dal nuovo Statuto Universale; in effetti una
definizione dello stesso è già contenuto in un documento internazionale, quale
la già ricordata Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R 2010/12, che
tratta dell’indipendenza interna come dell’ « indipendenza di ogni singolo
giudice nell’esercizio delle sue funzioni giudiziarie » (cfr, art. 22,
Raccomandazione cit.). L’art. 3 qui in commento si apre invece con
l’enunciazione del principio di soggezione alla sola legge (cfr. art. 3-1):
norma che, come noto, compare anche nell’art. 101 c.c. della nostra
Costituzione e che, nella pratica, costituisce, senza ombra di smentite, uno
dei principi più vilipesi della stessa.
Avuto riguardo ai sempre latenti rigurgiti – cui non
sono purtroppo estranei ampi settori dello stesso ordine giudiziario – di
pericolose impostazioni favorevoli ad un inquadramento stratificato e
verticistico di un potere che, tutto al contrario, è per definizione e deve
rimanere « diffuso », fondamentale appare la regola secondo cui « Una
organizzazione di tipo gerarchico della magistratura, in cui i giudici fossero
subordinati ai presidenti degli uffici giudiziari o a istanze superiori
nell’esercizio della loro attività giurisdizionale, ad eccezione dei casi di
riforma delle decisioni, secondo quanto previsto da questo Statuto (cfr. art.
3-2), costituirebbe attentato al principio dell’indipendenza della magistratura
».
La formulazione appare assai più categorica della
corrispondente disposizione della Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R
2010/12, secondo cui « Hierarchical judicial organisation should not undermine
individual independence » (cfr. art. 22, Raccomandazione cit.): espressione,
quest’ultima, che sembra dare per scontato che la magistratura possa anche
essere strutturata in modo gerarchico, ciò che, per l’appunto, il principio in
esame vorrebbe escludere. La regola appare del resto rafforzata dal richiamo ai
« casi di riforma delle decisioni », ciò che rende evidente il carattere
tassativo dell’eccezione rispetto ad una regola già sancita, del resto, in uno
dei rapporti della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa [78].
I successivi artt. 3-2, 3-3 e 3-4 affrontano temi di
indipendenza interna in relazione all’attività quotidiana del giudice: così il
primo cerca di porre il giudice al riparo da ogni tipo di « influenza,
pressione, minaccia o intervento, diretti o indiretti ». Da segnalare,
nell’esperienza del giudice civile italiano, le crescenti minacce e pressioni
da parte di svariati rappresentanti di un ceto forense, che un ventennio
marcato dalla presenza di insulti quotidiani al potere giudiziario, ha
(dis)educato ad esprimere, come testimoniato dalla (vieppiù sbigottita)
esperienza dello scrivente. A tale « moda » sembrano voler porre un (timido)
argine alcune decisioni di legittimità [79]: certo, appare fondamentale che i capi degli uffici
giudiziari si astengano dal concorrere, di fatto, alla perpetrazione di simili
abusi, evitando di trasformarsi, per quieto vivere, in meri « passacarte
disciplinari » [80].
L’art. 3-3, dal canto suo, sembra voler contrastare la
pratica (propria di svariati sistemi di Common
Law, nonché dei Paesi, ad es., scandinavi) dei court administrators, veri e propri managers di estrazione aliena al milieu giurisdizionale, incaricati di trattare tutte le questioni
amministrative, gestionali, contabili, etc., che nei sistemi più propriamente
continentali (si pensi a quelli di Paesi come l’Italia, la Francia, la Spagna,
il Portogallo, la Germania, ecc.), vengono svolte dai capi degli uffici
giudiziari.
Una questione piuttosto delicata è rappresentata in
ogni ordinamento dal tema della modalità di assegnazione delle controversie
all’interno degli uffici giudiziari. Al riguardo, l’art. 3-4 del nuovo Statuto
Universale stabilisce al primo comma che « L’assegnazione dei fascicoli deve
basarsi su regole oggettive, stabilite e comunicate in precedenza ai giudici.
La decisione sull’assegnazione deve essere presa in maniera trasparente e
verificabile ». La norma corrisponde a quanto stabilito dalla Raccomandazione n° R
2010/12 del Consiglio d’Europa (cfr. art. 24: « The allocation of cases within
a court should follow objective pre-established criteria in order to safeguard
the right to an independent and impartial judge. It should not be influenced by
the wishes of a party to the case or anyone otherwise interested in the outcome
of the case »). In un’ottica completamente diversa si pongono invece i Basic Principles delle Nazioni Unite
(1985), a mente dei quali (cfr. art. 14) « The assignment of cases to judges
within the court to which they belong is an internal matter of judicial
administration ». La disposizione qui in
commento del nuovo Statuto Universale riflette quindi la mutata sensibilità a
livello internazionale sull’esigenza di trasparenza nell’operato degli uffici
giudiziari.
Il capoverso dell’art. 3-4 del nuovo Statuto
Universale. si occupa del problema, per così dire, « speculare », costituito
dalla revoca dell’assegnazione di un fascicolo, imponendo la presenza di giusti
motivi, la cui valutazione « deve essere effettuata da un’autorità
giurisdizionale in base a criteri oggettivi precedentemente determinati dalla
legge e tramite una procedura trasparente ». Anche qui vi è corrispondenza con
quanto previsto dalla Raccomandazione n° R 2010/12 del Consiglio d’Europa,
secondo cui « A case should not be withdrawn from a particular judge without
valid reasons. A decision to withdraw a case from a judge should be taken on the basis
of objective, pre-established criteria and following a transparent procedure by
an authority within the judiciary » (cfr. art. 9).
Una specifica disposizione (art. 3-5) del nuovo Statuto
Universale fa poi salvo, al primo comma, il principio della libertà
d’espressione, sebbene si richieda che, nell’esercizio di questo diritto, i
giudici debbano « comunque dar prova di riserbo e comportarsi sempre in maniera
tale da preservare la dignità delle loro funzioni, così come l’imparzialità e
l’indipendenza della magistratura ».
Il capoverso s’occupa invece del diritto di
associazione professionale del giudice, che « va riconosciuto, al fine di
permettere ai giudici di essere consultati, in particolare sulla determinazione
delle loro regole statutarie, etiche o d’altro genere, sui mezzi da allocare
alla giustizia e per consentire la garanzia della difesa dei loro interessi
legittimi e della loro indipendenza ». Il principio, conforme a quanto
stabilito da documenti internazionali quali, ad es., la già più volte citata
Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R 2010/12 (cfr. art. 25), i Basic Principles delle Nazioni Unite
(cfr. art. 9) e la Magna Carta of
European Judges (CCJE) (cfr. art.
12), ha visto negli ultimi anni intensificarsi clamorose violazioni (perpetrate
o anche solo minacciate): dal Venezuela [81] alla Turchia [82], alla Bulgaria [83], etc.
Il reclutamento e la nomina dei giudici formano
oggetto, nel contesto del nuovo Statuto Universale, di due distinti articoli
(4-1 e 5-1), in quanto, in numerosi sistemi, le due procedure, facenti capo ad
organi diversi, possono talora condurre, in concreto, a risultati non
coincidenti [84]. Ciò che, però, il sistema vuole comunque garantire,
è, da un lato, il rispetto di « criteri oggettivi e trasparenti basati sulla
capacità professionale » e, dall’altro, il fatto che la scelta sia operata
dall’organo di autogoverno, o almeno da un organo dotato delle stesse
caratteristiche. Il che, ovviamente, non è, laddove, come sovente accade, il
potere esecutivo si riservi la scelta dei giudici, ovvero un potere di veto
sulle scelte dell’organo di autogoverno o della commissione tecnica da
quest’ultimo incaricata di realizzare le procedure di selezione.
Il fondamentale rilievo dei « criteri oggettivi » (objective criteria) di selezione appare
già ampiamente enfatizzato dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R
2010/12, ove hanno trovato acconcia collocazione alcune disposizioni già
presenti nella Raccomandazione del 1994 ed in particolare il riferimento alla
necessità che tutte le decisioni concernenti la selezione e la carriera dei
giudici siano basate su « objective criteria pre-established by law or by the
competent authorities ».
Nella
Raccomandazione del 2010 i criteri sono così enumerati: « qualifications,
skills and capacity required to adjudicate and apply the law while respecting
human dignity » (art. 44). Pure in
relazione all’autorità incaricata di assumere decisioni sul reclutamento e la
carriera dei magistrati viene ripetuta la regola secondo cui tale organo
dovrebbe essere composto per almeno la metà da giudici scelti dai loro pari e
comunque essere indipendente dall’esecutivo e dal legislativo (art. 46). Anche
laddove disposizioni di legge prescrivono che sia il Capo dello Stato, o il
governo o il potere legislativo ad assumere decisioni in tale campo, il
reclutamento dei giudici dovrebbe essere effettuato vuoi da un Consiglio della
Magistratura, vuoi da un organo indipendente, composto « in substantial part
from the judiciary »: siffatti organi dovrebbero poter emettere raccomandazioni
che l’autorità preposta alla selezione dovrebbe in pratica (e automaticamente)
seguire (art. 47). In ogni caso dovrebbe essere assicurato il diritto per i
candidati di ricorrere contro una decisione di rigetto (art. 48).
Sulla base di queste premesse il nuovo Statuto
Universale stabilisce, quanto al reclutamento (art. 4-1), che « Il reclutamento
o la selezione dei giudici vanno basati esclusivamente su criteri oggettivi,
atti a garantire il rispetto delle capacità professionali; essi vanno
effettuati dall’organo descritto all’Articolo 2-3 » (e dunque da un Consiglio
di Giustizia, o da organo equivalente). Il capoverso soggiunge che « La
selezione dei giudici va effettuata senza distinzione di genere, origine etnica
o sociale, opinioni filosofiche e politiche, convinzioni religiose ». Per ciò
che attiene alla nomina (art. 5-1) viene previsto che « Ogni nomina a giudice
deve compiersi secondo criteri oggettivi e trasparenti basati sulla capacità
professionale ». Il capoverso aggiunge che « La scelta deve essere effettuata
dall’organo indipendente definito all’Articolo 2-3 della presente carta, o da
un organo equivalente ».
Al tema della formazione lo Statuto Universale dedica
l’art. 4-
Il periodo conclusivo del citato art. 4-2, secondo cui
la formazione iniziale e la formazione continua dei giudici « vanno organizzate
sotto il controllo del potere giudiziario », risponde poi ad un altro caposaldo
della materia in questione, già consacrato dall’art. 57 della Raccomandazione
del Consiglio d’Europa n° R 2010/12, per il quale la formazione iniziale e
continua deve essere erogata da un’ « independent authority », incaricata di
assicurare che « initial and in-service training programmes meet the
requirements of openness, competence and impartiality inherent in judicial
office ».
La materia delle promozioni è trattata dall’art. 5-2
del nuovo Statuto Universale, a mente del quale « Quando non è basata
sull’anzianità, la promozione di un giudice deve fondarsi esclusivamente sulle
qualità e sui meriti constatati nell’esercizio delle funzioni per il tramite di
valutazioni oggettive, effettuate con il rispetto del principio del
contraddittorio ».
Il secondo comma precisa poi che « Le decisioni sulla
promozione devono essere pronunciate nel quadro di procedure trasparenti,
stabilite dalla legge. Esse non possono esserlo se non su richiesta del giudice
o con il suo accordo ». La possibilità di contestare le decisioni sulle istanze
di promozione ha suscitato il maggior numero di perplessità in seno alla
commissione incaricata di redigere la prima bozza del nuovo Statuto Universale,
soprattutto da parte dei rappresentanti dei sistemi di Common Law, nei quali una « promozione », intesa nei termini in cui
siffatta espressione viene utilizzata nell’Europa continentale, sostanzialmente
non esiste, anche per via del fatto che, in molte situazioni, la nomina a
giudice avviene attraverso l’intervento, diretto o indiretto, degli altri
poteri dello Stato, se non addirittura tramite elezioni popolari. La soluzione
di compromesso rinvenuta si esprime, dunque, nel testo del comma finale del
citato art. 5-
L’art. 5-3 si occupa delle valutazioni di
professionalità, stabilendo, al primo comma, che « Nei paesi in cui i giudici
formano oggetto di una procedura di valutazione, questa deve essere
prioritariamente qualitativa e fondata sul merito del giudice, sulle sue
competenze professionali, personali e sociali; nell’ipotesi di promozione alle
funzioni dirigenziali, essa deve basarsi anche sulle competenze gestionali ».
Il secondo comma soggiunge che « La valutazione dei giudici deve riposare su
criteri oggettivi, resi pubblici in precedenza. Essa deve coinvolgere il
giudice e deve permettergli di contestare la decisione davanti ad un organo
indipendente ». La disposizione riecheggia l’art. 58 della Raccomandazione del
Consiglio d’Europa n° R 2010/12, anch’esso fondato sull’esigenza di « objective
criteria », resi pubblici dalle competenti autorità, mentre la procedura di
valutazione dovrebbe comunque consentire ai giudici di esprimere il loro punto
di vista sia sull’attività svolta, che sulla valutazione espressa dagli organi
competenti, così come consentire loro di eventualmente impugnare i giudizi
espressi « before an independent authority or a court ».
Fondamentale, poi, in relazione al principio di
indipendenza, la regola espressa dal comma finale, secondo cui « In nessun caso
i giudici devono essere valutati in funzione delle decisioni rese ».
14.
L’articolo 6 del nuovo Statuto Universale: l’etica.
L’articolo 6 del nuovo Statuto Universale qui in
commento appare particolarmente interessante a seguito dell’adozione delle
regole di cui alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R 2010/12. Va
ricordato in particolare che la redazione di queste ultime era stata
particolarmente laboriosa e aveva costituito il frutto di interminabili
discussioni in cui la commissione d’esperti incaricati dal Consiglio d’Europa
di redigere il progetto preliminare si era impelagata, al fine di distinguere
la deontologia dai doveri disciplinarmente rilevanti. Il tutto complicato dalla
visione della questione prevalente nella parte orientale del nostro Continente,
in cui, come noto, i codici di etica giudiziaria sono norme dotate di efficacia
vincolante, la cui violazione determina sic
et simpliciter responsabilità disciplinare. Alla fine era prevalso il punto
di vista propugnato con vigore dallo scrivente, costituito dalla
predisposizione, nella citata Raccomandazione del Consiglio d’Europa, di una
norma di carattere generale (l’art. 72, Raccomandazione cit., nella specie),
nella quale, dopo l’affermazione-cardine secondo la quale « Judges should be
guided in their activities by ethical principles of professional conduct »
veniva immediatamente inserita la « cerniera » rispetto alle regole
disciplinari, concepita ed espressa nei termini seguenti: « These principles
not only include duties sanctioned by disciplinary measures, but offer guidance
to judges on how to conduct themselves ».
In altre parole, l’idea che si era voluta rendere era
che molti dei doveri etici dei magistrati sono anche (e prima ancora) doveri
disciplinarmente rilevanti, ma che taluni doveri etici appartengono
esclusivamente a tale categoria e, come tali, non possono dar luogo a
responsabilità disciplinare. Un successivo articolo era venuto poi a contenere
un espresso richiamo ai codici deontologici (« These principles should be laid
down in codes of judicial ethics »), che hanno per scopo il rafforzamento della
giustizia e della fiducia dei cittadini nei giudici rispetto all’elaborazione
dei quali « judges should play a leading role » (art. 73, Raccomandazione
cit.). L’operazione riuscì in quella sede solo in parte, in quanto
l’enunciazione di una serie di doveri, essenzialmente deontologici, si
rinviene, in realtà, negli artt. da
Il nuovo Statuto Universale antepone invece
chiaramente i principi in tema di deontologia rispetto a quelli relativi alla
responsabilità disciplinare, civile e penale. L’art. 6-1 dello Statuto si apre,
dunque, con l’enunciazione secondo cui « I giudici debbono, in ogni caso,
essere guidati da principi deontologici »: principi che debbono promanare « dai
giudici stessi e far parte della loro formazione ». Tali regole vanno enunciate
« per iscritto, al fine di aumentare la fiducia del pubblico nei giudici e nel
potere giudiziario. I giudici devono svolgere un ruolo rilevante nella
elaborazione di questi principi di deontologia ». Con il che si opera un chiaro
riferimento ai codici deontologici, peraltro in un’accezione ben diversa da
quella di mere raccolte di principi disciplinarmente rilevanti. L’impressione
(corretta, questa volta) che si ricava è che i principi ivi enunciati abbiano
una valenza più ampia di quella dei principi di carattere meramente
disciplinare.
Tali principi vengono dunque enunciati agli artt. 6-2,
6-3 e 6-4 tramite un’enumerazione (certo non tassativa) di alcune regole di
condotta, quali: imparzialità, equilibrio, rispetto delle incompatibilità,
dovere di riserbo, efficienza, limiti nell’esercizio di attività
extragiudiziarie. Questi articoli trovano, almeno in parte, un’eco nei già
ricordati artt. da
15. Segue. L’etica dell’efficienza (e la CEPEJ del Consiglio d’Europa).
Tra i doveri deontologici appena menzionati spicca
quello relativo all’efficienza, in forza del quale « Il giudice deve adempiere
le sue obbligazioni professionali nel rispetto di termini ragionevoli e porre
in essere tutti gli strumenti necessari per il raggiungimento di risultati di
efficienza ».
Il primo testo internazionale ad occuparsi della
materia è stato, come noto, la già più volte citata Raccomandazione del
Consiglio d’Europa n° R 2010/12, che qualifica l’ « efficienza della
magistratura », qualificata come la capacità di « rendere decisioni di qualità
in un termine ragionevole » (art. 31). In quel sistema, poi, l’ « efficient
management of cases » viene altresì espressamente considerato alla stregua
dell’oggetto di un preciso dovere non soltanto delle autorità preposte al
funzionamento del sistema giudiziario, ma anche di ogni singolo giudice (cfr.
art. 31 cit.). Peraltro la Raccomandazione si preoccupa di specificare che
l’efficienza deve comunque essere raggiunta « nel rispetto dell’indipendenza e
dell’imparzialità dei giudici » (art. 32).
In quest’ottica si sono mosse svariate iniziative a
livello europeo, soprattutto nel quadro delle attività della CEPEJ del Consiglio d’Europa. La Commission Européenne pour l’efficacité de
la Justice/European Commission for the Efficiency of Justice è una commissione
costituita presso il Consiglio d’Europa, allo scopo di migliorare l’efficienza
ed il funzionamento della giustizia negli Stati membri, così come di realizzare
l’applicazione degli strumenti elaborati a tal fine dal Consiglio d’Europa. I
suoi compiti sono molteplici: - analizzare i risultati dei sistemi giudiziari;
- individuarne i problemi; - definire mezzi concreti per migliorare, da un
lato, la valutazione dei risultati dei sistemi giudiziari e dall’altro, il
relativo funzionamento; - indicare agli organi competenti del Consiglio
d’Europa quali siano i campi in cui l’elaborazione di uno strumento giuridico
sarebbe auspicabile. A tal fine la CEPEJ
mette a punto degli indicatori, raccoglie ed analizza dati, definisce misure e
strumenti di valutazione, redige dei documenti (rapporti, pareri, linee guida,
piani d’azione, ecc.), intrattiene rapporti con istituti di ricerca e centri di
documentazione, invita esperti e ONG, procede ad audizioni, sviluppa reti di
professionisti della giustizia. La CEPEJ è stata creata il 18 settembre 2002
tramite la Risoluzione Res(2002)12 del Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa. Essa riunisce esperti dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa ed è
assistita da un Segretariato [87].
Sarà bene precisare che, nel citato scenario, si sono
sviluppate numerose iniziative a livello locale, nel contesto di una diversa
sensibilità che, talora, sembra interessare anche i settori più
tradizionalmente ancorati ad una visione burocratica dell’agire del giudice.
Basti pensare, tanto per citare due esempi, da un lato, allo sviluppo di
tecniche di decisione volte ad enfatizzare il percorso argomentativo e
decisionale basato sulla c.d. « ragion più liquida » [88] e dall’altro all’elaborazione di regole operazionali,
all’interno di ogni singolo ufficio giudiziario, in grado di ottenere risultati
di efficienza nella concreta gestione del ruolo del giudice.
In proposito sarà il caso di ricordare il c.d. «
Programma Strasburgo », predisposto dal Presidente del Tribunale di Torino nel
2001 e successivamente più volte reiterato, aggiornato ed esteso al relativo
distretto di Corte d’appello; programma cui venne inserito, a partire dal 2009,
un « decalogo » di prescrizioni e consigli per i singoli giudici, volti, per
così dire, a « colorare di efficienza », zone grigie delle norme procedurali [89].
Si pensi, a titolo d’esempio, all’espresso invito,
contenuto nel citato programma, ai singoli giudici a « prediligere », nella
scelta dei consulenti d’ufficio, « quelli che hanno mostrato una più spiccata
capacità di persuasione delle parti ad addivenire al superamento delle
divergenze sulle questioni tecniche » (cfr. art. 14, ottavo comma, del citato «
Programma Strasburgo »). Criterio, questo, che viene a completare il disposto
dell’art. 23 disp. att. c.p.c., rendendo chiaro che l’« equità » nella
distribuzione degli incarichi peritali non può essere intesa (a differenza di
quanto ritenuto da alcuni bureaucratic-minded
dirigenti giudiziari) come una banale distribuzione « a pioggia », ma va
accuratamente mirata verso quei soli esperti che abbiano dato prova di essere
in grado di favorire la definizione transattiva delle liti (nel rispetto
dell’unico limite quantitativo posto dal codice di rito, riferito al 10% degli
incarichi globalmente conferiti, ovviamente, non già dai singoli giudici, bensì
dall’intero ufficio giudiziario di riferimento).
16.
L’articolo 7 del nuovo Statuto Universale: responsabilità disciplinare, civile
e penale.
L’art. 7 del nuovo Statuto Universale,
pur recando come rubrica la dizione « Responsabilità disciplinare », s’occupa,
a ben vedere, di tutti i multiformi tipi di responsabilità in cui può incorrere
il giudice.
Alla responsabilità disciplinare
propriamente detta è dedicato il solo art. 7-1, il quale, a differenza delle
corrispondenti disposizioni della Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R
2010/12, appare concentrato più che altro sulle questioni procedurali. Così il
primo comma stabilisce che « La gestione amministrativa e disciplinare degli
appartenenti al potere giudiziario è esercitata in condizioni tali da
permettere di preservare la loro indipendenza e si fonda sulla applicazione di
criteri oggettivi ed appropriati ». Il capoverso soggiunge che « Le procedure
disciplinari devono svolgersi di fronte ad un organo indipendente, composto da
una maggioranza di giudici, o di fronte ad un organo equivalente ». Anche qui
si riecheggiano principi già sanciti dalla Raccomandazione del Consiglio
d’Europa n° R 2010/12, la quale impone, per la celebrazione dei processi disciplinari,
il rispetto di una serie di garanzie: dalla attribuzione di tale competenza ad
un’autorità indipendente o ad un tribunale, al diritto di proporre appello,
alla necessaria proporzionalità tra violazione e sanzione (art. 69).
Sempre sul piano procedurale, il nuovo
Statuto Universale dispone (cfr. art. 7-1, comma quarto) che « La procedura
disciplinare si conforma alle regole del diritto ad un equo processo. Il
giudice deve avere accesso agli atti della procedura e godere dell’assistenza
di un avvocato o di un collega. Le decisioni disciplinari debbono essere
motivate e possono formare oggetto di ricorso dinanzi ad un organo indipendente
». Ancora, è previsto (cfr. il successivo comma quinto) che « Le sanzioni
disciplinari nei confronti di un giudice non possono essere adottate se non per
motivi precedentemente previsti dalla legge e con l’osservanza di regole di
procedura predeterminate. Esse devono rispondere al principi di proporzionalità
».
Di fondamentale rilievo, ai fini della
salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza interne di ogni singolo
giudice, appare la regola per cui « Ad esclusione dei casi di dolo o di
negligenza grave, accertati con una decisione di giustizia divenuta definitiva,
nessuna procedura disciplinare può essere proposta contro un giudice per
effetto dell’interpretazione di norme di diritto o della valutazione dei fatti
o dell’apprezzamento delle prove da lui effettuati » (cfr. art. 7-1, comma
terzo). Il principio va letto alla luce di quello, scolpito nella Raccomandazione
del Consiglio d’Europa n° R 2010/12 (cfr. art. 70), secondo cui i giudici non
possono essere ritenuti responsabili in caso di riforma o modifica delle loro
decisioni da parte di una corte superiore (art. 70). Disposizione, questa,
quanto mai opportuna, di fronte alla sempre latente tentazione di taluni
magistrati d’appello (e, purtroppo, di molti capi di uffici giudiziari)
d’impancarsi a novelle… « maestrine dalla penna rossa » (e… blu!), ritenendosi
investiti di missioni quasi divine di « correzione » degli « errori » (che
sovente altro non sono se non diversi punti di vista) dei primi giudici.
L’art. 7-2 del nuovo Statuto Universale
è dedicato alla responsabilità civile e penale.
Quanto alla prima, andrà dato conto del
fatto che la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R 2010/12 recepisce la
regola vigente in un certo numero di sistemi continentali [90], per cui la parte che si ritiene danneggiata
dall’operato di un giudice può agire, a determinate condizioni, nei confronti
dello Stato, il quale potrà eventualmente rivalersi sul magistrato. Il relativo art. 67
stabilisce dunque che « Only the state may seek to establish the civil
liability of a judge through court action in the event that it has had to award
compensation ».
In modo assai più conforme, invece, ai principi
approvati dalle Nazioni Unite nel 1985 [91], il nuovo Statuto Universale stabilisce, al comma
secondo, che « Gli errori giudiziari debbono trovare rimedio nel quadro di un
sistema adeguato di ricorsi giurisdizionali. Ogni riparazione per altre
mancanze del sistema della giustizia comporta esclusivamente la responsabilità
dello Stato ». Il sistema viene quindi completato dal comma terzo, a mente del
quale « Ad eccezione dei casi di dolo, non appare appropriato che,
nell’esercizio delle sue funzioni giudiziarie, un giudice sia esposto ad una
responsabilità personale, nemmeno per il tramite di un’azione di rivalsa da
parte dello Stato ». Sarà appena il caso di osservare che, contrariamente a
quanto comunemente ritenuto, questa regola non è propria solo dei sistemi di Common Law, ma è altresì presente in
svariati ordinamenti continentali [92].
I principi di cui sopra si collocano nel
contesto della regola generale, stabilita dal nuovo Statuto Universale per ogni
tipo di responsabilità civile e/o penale, secondo cui « Nei casi in cui sono
ammesse, l’azione civile diretta contro un giudice, così come l’azione in
materia penale, ed eventualmente l’arresto, vanno posti in essere nel rispetto
di condizioni che non possono avere per oggetto l’esercizio di un’influenza
sull’attività giurisdizionale » (cfr. art. 7-2, comma primo).
17. L’articolo 8 del nuovo Statuto Universale: status economico
e sociale dei giudici.
Venendo ora allo status economico dei giudici, va considerato che l’art. 8-
In quest’ottica un rilievo particolare assume il tema
della retribuzione, per così dire, « a cottimo », che si cela dietro i sistemi
di primes de rendement, introdotti
già da alcuni anni in Francia, così come in Spagna ed in altri Paesi [93]. Proprio per questo già la Raccomandazione del
Consiglio d’Europa n° R 2010/12 bandiva, siccome fonti di possibili «
difficulties for the independence of judges », tutti i sistemi che pongano in
collegamento « la remunerazione delle funzioni giudiziarie con il rendimento
del lavoro » (cfr. art. 55), laddove il nuovo Statuto Universale stabilisce
(cfr. art. 8-1, comma secondo) che « La remunerazione non può dipendere dal
risultato dell’attività del giudice o dalla sua produttività e non può essere
ridotta durante la durata del suo servizio professionale ».
Seguono (cfr. artt. 8-2 e 8-3) disposizioni in tema di
protezione sociale (« Lo statuto deve prevedere la garanzia del giudice contro
i rischi sociali legati alla malattia, maternità, invalidità, vecchiaia e
decesso ») e di collocamento a riposo.
Con particolare riguardo a questo ultimo tema, il
nuovo Statuto Universale pone fondamentalmente tre regole: la prima attiene al
livello del trattamento pensionistico, che deve essere « corrispondente al suo
livello di responsabilità » (cfr. art. 8-3, comma primo). La seconda, dettata
dalla necessità di contrastare la prassi vigente in alcuni sistemi giuridici, è
volta consentire al giudice collocato a riposo l’esercizio di « un’altra
attività professionale nel campo giuridico, a condizione che questa sia
deontologicamente compatibile con la sua precedente attività giurisdizionale »
(cfr. art. 8-3, comma secondo). La terza, strettamente collegata alla
precedente, fa divieto al legislatore di privare il giudice del suo trattamento
pensionistico per il solo fatto che egli eserciti un’altra attività
professionale (cfr. art. 8-3, comma terzo).
Qualche parola va infine spesa sul campo di
applicabilità dello Statuto Universale.
Al riguardo, può veramente dirsi che l’aggettivo «
universale » appare adatto a definire non solo l’estensione territoriale di
questo nuovo documento internazionale, avente vocazione a dettare principi
minimi di rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura in
tutti i Paesi ed i sistemi giuridici del mondo, ma anche la riferibilità
soggettiva a chiunque si trovi ad esercitare funzioni giurisdizionali. Così, ai
sensi dell’art. 9-1, lo Statuto « a tutte le persone che esercitano funzioni giudiziarie,
in particolare ai giudici non professionali ». Rimane in tal modo « coperta »,
ad es., la sconfinata area dei magistrates,
dei justices of the peace e, più in
generale dei non professional judges
che, come noto, svolgono nei sistemi di Common
Law la stragrande maggioranza delle attività affidate da noi ai giudici di
carriera [94].
Sia consentito aggiungere in questa sede che,
nonostante chi scrive si fosse strenuamente battuto (unitamente agli altri
giudici membri – del tutto minoritari – di una commissione costituita per lo
più da alti funzionari ministeriali) per l’estensione della Raccomandazione del
Consiglio d’Europa n° R 2010/12 anche ai magistrati del Pubblico Ministero,
essa è risultata applicabile esclusivamente ai giudici. Infatti, sfortunatamente,
era prevalsa nel comitato d’esperti l’interpretazione riduttiva del citato art.
6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, che limita l’espressione « tribunal » al solo personale
giudicante degli uffici giudiziari, senza peraltro tenere conto che, ben
consapevole del fatto che una giustizia perfettamente indipendente presuppone
necessariamente anche una pubblica accusa indipendente, lo stesso Consiglio
d’Europa si era sentito in dovere, già da diversi anni, di affiancare ad un
Consiglio consultivo dei giudici (CCJE)
un Consiglio consultivo dei pubblici ministeri (CCPE).
Eppure, anche nel contesto delle attività del Consigli
d’Europa, la situazione è radicalmente mutata nel corso di questi ultimi anni.
Basti pensare, tanto per citare un esempio, alla distanza che corre tra, da un
lato, la raccomandazione del Consiglio d’Europa del 2000 sul tema « The Role of
Public Prosecution in the Criminal Justice System » [95], laddove si afferma, con disarmante truismo, che
laddove l’ordinamento prevede l’indipendenza degli uffici di procura, tale
indipendenza va effettivamente garantita [96] e, dall’altro, la Rome
Charter, approvata dal Consiglio Consultivo dei Pubblici Ministeri Europei
nel 2014 [97], il cui punto IV statuisce, in maniera ben più
incisiva, che « The independence and autonomy of the prosecution services
constitute an indispensable corollary to the independence of the judiciary. Therefore, the
general tendency to enhance the independence and effective autonomy of the
prosecution services should be encouraged ».
Va detto, ad onor del vero, che, per lo meno sino a
non molto tempo fa, svariate perplessità erano espresse anche all’interno della
stessa magistratura, con particolare riguardo a quella dei sistemi di common law, così come di quella dei
Paesi dell’Europa settentrionale. Lo scrivente, che ricopriva nel 1999 il ruolo
di Segretario Generale Aggiunto dell’UIM, ricorda bene le obiezioni sollevate
all’epoca dell’approvazione del primo Statuto Universale, allorquando, in sede
di discussione in seno al Consiglio Centrale, i delegati di un Paese scandinavo
presero la parola per sottolineare la necessità di escludere ogni menzione ai prosecutors, atteso che, da loro,
neppure si tollerava che gli uffici del pubblico ministero avessero sede negli
stessi edifici ove si trovavano collocati gli uffici giudiziari!
Orbene, tutto al contrario, il nuovo Statuto
Universale non solo prevede, all’art. 9-2, che « Nei paesi in cui membri del
pubblico ministero sono assimilati ai giudici, i principi del presente Statuto
sono applicabili anche ad essi, in considerazione della natura delle loro
funzioni », ma stabilisce espressamente, e, questa volta, con una formulazione
non limitata ai sistemi in cui i magistrati delle procure sono assimilati ai
giudici (cfr. art. 9-3), che « L’indipendenza dei pubblici ministeri, che è
essenziale per la salvaguardia dei principi dello stato di diritto, va
garantita dalla legge al livello più alto possibile, esattamente come quella
dei giudici ».
19.
Appendice. Il testo del nuovo Statuto Universale.
STATUTO UNIVERSALE DEL GIUDICE
Adottato dal Consiglio Centrale dell’UIM
a Taiwan il 17 novembre 1999
Aggiornato
a Santiago del Cile il 14 novembre 2017
ARTICOLO 1 – PRINCIPI GENERALI
Il
potere giudiziario, garante dello stato di diritto, è uno dei tre poteri di
ogni Stato democratico.
I
giudici garantiscono, in tutte le loro attività, il diritto di ciascuno ad un giusto
processo. Essi devono utilizzare gli strumenti di cui dispongono per consentire
la trattazione dei processi mediante un’udienza pubblica entro un termine
ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale stabilito dalla
legge, al fine di determinare i diritti e le obbligazioni in materia civile
ovvero la fondatezza delle accuse in materia penale.
L’indipendenza
del giudice è indispensabile per l’esercizio di una giustizia imparziale nel
rispetto della legge. Essa è inviolabile e costituisce una prerogativa o un
privilegio accordato non già nell’interesse personale dei giudici, bensì
nell’interesse dello Stato di diritto e di tutte le persone che chiedano e
attendano una giustizia imparziale.
Tutte
le istituzioni ed autorità, tanto nazionali che internazionali, devono
rispettare, proteggere e difendere questa indipendenza.
ARTICOLO 2 – INDIPENDENZA ESTERNA
Articolo
2-1 – Garanzia dell’indipendenza in un testo di legge al livello più elevato
L’indipendenza
del giudice deve essere garantita dalla Costituzione o comunque al livello
normativo più elevato possibile.
Lo
statuto del giudice va garantito da una legge specifica, che assicuri al
giudice un’indipendenza reale ed effettiva rispetto agli altri poteri dello
Stato.
Il
giudice, in quanto depositario dell’autorità giudiziaria, deve potere
esercitare le sue funzioni in piena indipendenza rispetto a tutte le forze
sociali, economiche e politiche, agli altri giudici ed all’amministrazione
giudiziaria.
Articolo
2-2 – Inamovibilità
I
giudici, siano essi nominati o eletti, sono inamovibili fin tanto che non
abbiano raggiunto l’età del collocamento obbligatorio a riposo o il termine del
loro mandato.
Il
giudice è nominato senza limiti di tempo. Nel caso lo sia per un tempo
determinato, le condizioni della sua nomina debbono garantire che
l’indipendenza del sistema giudiziario non sia posta in pericolo.
Nessun
giudice può essere destinatario di un trasferimento, o anche di una promozione,
senza il suo consenso.
Nessun
giudice può essere trasferito, sospeso o esonerato dalle sue funzioni se non
nei casi previsti dalla legge e nel rispetto di procedure disciplinari che
garantiscano la salvaguardia dei diritti di difesa e del principio del
contraddittorio.
Nessuna
modifica dell’età del collocamento obbligatorio a riposo può avere effetto
retroattivo.
Articolo
2-3 – Consiglio di Giustizia
Per
assicurare l’indipendenza dei giudici, ad eccezione dei paesi in cui per tradizione
questa indipendenza è garantita attraverso altri mezzi, deve essere costituito
un Consiglio di Giustizia, o altro organo equivalente.
Il
Consiglio di Giustizia deve essere totalmente indipendente dagli altri poteri
dello Stato.
Deve
comprendere una maggioranza di giudici eletti dai loro pari, secondo modalità
che ne garantiscano la rappresentanza più ampia.
Al
fine di rappresentare la diversità della società civile, il Consiglio di
Giustizia può avere come membri dei non magistrati. Per evitare ogni sospetto,
questi membri non possono essere politici. Essi devono possedere gli stessi
requisiti di integrità, indipendenza, imparzialità e competenza richiesti per i
giudici. Nessun componente del governo o del parlamento può essere allo stesso
tempo componente del Consiglio di Giustizia.
Il
Consiglio di Giustizia deve essere dotato delle più ampie competenze in materia
di reclutamento, formazione, nomina, promozione e responsabilità disciplinare
dei giudici.
Deve
poter essere consultato dagli altri poteri dello Stato su tutte le questioni
relative allo statuto della magistratura e alla deontologia dei giudici, così
come su tutte le questioni relative alla determinazione annuale del bilancio
della giustizia e all’allocazione delle risorse agli uffici giudiziari,
all’organizzazione, al funzionamento e all’immagine dell’istituzioni
giudiziarie.
Articolo
2-4 – Risorse a disposizione della Giustizia
E’
dovere degli altri poteri dello Stato fornire al potere giudiziario i mezzi
necessari alla sua attività.
Il
potere giudiziario deve essere messo in condizione di partecipare, o di essere
consultato, in relazione ai processi decisionali relativi a materie concernenti
il bilancio della Giustizia e le risorse materiali e umane allocate agli uffici
giudiziari.
Articolo
2-5 – Protezione del giudice e rispetto delle sue decisioni
Il
giudice deve godere di una protezione statutaria contro le minacce e gli
attacchi di qualunque natura, di cui possa formare oggetto a causa o in
occasione dell’esercizio delle sue funzioni.
Lo
Stato deve garantire la sicurezza fisica del giudice e della sua famiglia. Lo
Stato deve assicurare misure di protezione degli uffici giudiziari, al fine di
garantire la serenità delle udienze.
Le
critiche contro le decisioni di Giustizia sono da evitarsi, qualora siano
idonee a minare l’indipendenza del potere giudiziario o a compromettere la
fiducia del pubblico nell’istituzione. Nel caso tali critiche siano emesse,
vanno posti in essere rimedi che consentano di proporre azioni giudiziarie
perché i giudici in questione possano adeguatamente difendersi.
ARTICOLO 3 – INDIPENDENZA INTERNA
Articolo
3-1 – Soggezione del giudice alla legge
Nell’esercizio
della sua attività professionale il giudice è soggetto solo alla legge e non può
decidere che in base ad essa.
Una
organizzazione di tipo gerarchico della magistratura, in cui i giudici fossero
subordinati ai presidenti degli uffici giudiziari o a istanze superiori
nell’esercizio della loro attività giurisdizionale, ad eccezione dei casi di
riforma delle decisioni, secondo quanto previsto da questo Statuto (cfr.
Articolo 3-2), costituirebbe attentato al principio dell’indipendenza della
magistratura.
Articolo
3-2 – Autonomia personale
Non
sono ammissibili alcun tipo di influenza, pressione, minaccia o intervento,
diretti o indiretti, da parte di una qualsiasi autorità.
Il
divieto di impartire ai giudici ordini o istruzioni, di qualunque natura essi
siano, non si applica alle giurisdizioni superiori, quando sono chiamate a riformare,
nel quadro di procedure legalmente stabilite, le decisioni dei giudici di primo
grado.
Articolo
3-3 – Amministrazione degli uffici giudiziari
I
rappresentanti del potere giudiziario devono essere consultati prima di ogni
decisione che riguardi l’esercizio delle funzioni giudiziarie.
L’amministrazione
degli uffici giudiziari, nella misura in cui può influenzare l’indipendenza
della magistratura, deve essere prioritariamente affidata ai giudici.
Costoro
devono rendere conto della loro azione e diffondere ai cittadini ogni
informazione utile sul funzionamento degli uffici giudiziari.
Articolo
3-4 – Modalità di assegnazione delle cause
L’assegnazione
dei fascicoli deve basarsi su regole oggettive, stabilite e comunicate in
precedenza ai giudici. La decisione sull’assegnazione deve essere presa in
maniera trasparente e verificabile.
Al
giudice non può essere sottratta l’assegnazione di una causa in assenza di
giusti motivi. La valutazione di tali motivi deve essere effettuata da
un’autorità giurisdizionale in base a criteri oggettivi precedentemente
determinati dalla legge e tramite una procedura trasparente.
Articolo
3-5 – Libertà di espressione e diritto di associazione
I
giudici godono, come tutti i cittadini, della libertà d’espressione. Nell’esercizio
di questo diritto essi devono comunque dar prova di riserbo e comportarsi
sempre in maniera tale da preservare la dignità delle loro funzioni, così come
l’imparzialità e l’indipendenza della magistratura.
Il
diritto di associazione professionale del giudice va riconosciuto, al fine di
permettere ai giudici di essere consultati, in particolare sulla determinazione
delle loro regole statutarie, etiche o d’altro genere, sui mezzi da allocare
alla giustizia e per consentire la garanzia della difesa dei loro interessi
legittimi e della loro indipendenza.
ARTICOLO 4 – RECLUTAMENTO E FORMAZIONE
Articolo
4-1 – Reclutamento
Il
reclutamento o la selezione dei giudici vanno basati esclusivamente su criteri
oggettivi, atti a garantire il rispetto delle capacità professionali; essi
vanno effettuati dall’organo descritto all’Articolo 2-3.
La
selezione dei giudici va effettuata senza distinzione di genere, origine etnica
o sociale, opinioni filosofiche e politiche, convinzioni religiose.
Articolo
4-2 – Formazione
La
formazione iniziale e la formazione continua, in quanto garanti
dell’indipendenza della magistratura, così come della qualità ed efficacia del
sistema giudiziario, costituiscono diritto e dovere del giudice. Esse vanno
organizzate sotto il controllo del potere giudiziario.
ARTICOLO 5 – NOMINA, PROMOZIONE E
VALUTAZIONE
Articolo
5-1 – Nomina
Ogni
nomina a giudice deve compiersi secondo criteri oggettivi e trasparenti basati
sulla capacità professionale.
La
scelta deve essere effettuata dall’organo indipendente definito all’Articolo
2-3 della presente carta, o da un organo equivalente.
Articolo
5-2 – Promozione
Quando
non è basata sull’anzianità, la promozione di un giudice deve fondarsi esclusivamente
sulle qualità e sui meriti constatati nell’esercizio delle funzioni per il
tramite di valutazioni oggettive, effettuate con il rispetto del principio del
contraddittorio.
Le
decisioni sulla promozione devono essere pronunciate nel quadro di procedure
trasparenti, stabilite dalla legge. Esse non possono esserlo se non su
richiesta del giudice o con il suo accordo.
Quando
le decisioni sono prese dall’istanza prevista all’Articolo 2-3 della presente
carta, il giudice che non ha ottenuto soddisfazione deve poter contestare la
decisione.
Articolo
5-3 – Valutazione
Nei
paesi in cui i giudici formano oggetto di una procedura di valutazione, questa
deve essere prioritariamente qualitativa e fondata sul merito del giudice,
sulle sue competenze professionali, personali e sociali; nell’ipotesi di
promozione alle funzioni dirigenziali, essa deve basarsi anche sulle competenze
gestionali.
La
valutazione dei giudici deve riposare su criteri oggettivi, resi pubblici in
precedenza. Essa deve coinvolgere il giudice e deve permettergli di contestare
la decisione davanti ad un organo indipendente.
In
nessun caso i giudici devono essere valutati in funzione delle decisioni rese.
ARTICOLO 6 – ETICA
Articolo
6-1 – Principi generali
I
giudici debbono, in ogni caso, essere guidati da principi deontologici.
Questi
principi, concernenti allo stesso tempo i doveri professionali ed il
comportamento personale, debbono promanare dai giudici stessi e far parte della
loro formazione.
I
principi deontologici debbono essere enunciati per iscritto, al fine di
aumentare la fiducia del pubblico nei giudici e nel potere giudiziario. I
giudici devono svolgere un ruolo rilevante nella elaborazione di questi
principi di deontologia.
Articolo
6-2 – Imparzialità, equilibrio, incompatibilità, dovere di riserbo
Il
giudice deve essere e apparire imparziale nell’esercizio della sua attività
giurisdizionale.
Egli
deve svolgere il suo compito con equilibrio e rispetto della dignità delle proprie
funzioni e di tutte le persone coinvolte dalla sua attività.
Deve
astenersi da ogni comportamento, azione o manifestazione idonei ad alterare la
fiducia del pubblico nella sua imparzialità e nella sua indipendenza.
Articolo
6-3 – Efficienza
Il
giudice deve adempiere le sue obbligazioni professionali nel rispetto di
termini ragionevoli e porre in essere tutti gli strumenti necessari per il
raggiungimento di risultati di efficienza.
Articolo
6-4 – Attività non giurisdizionali
Il
giudice non può svolgere alcun’altra funzione pubblica o privata, remunerata o
meno, che non sia pienamente compatibile con i suoi doveri e il suo statuto.
Deve
curare di evitare qualsiasi conflitto di interessi.
Il
giudice non potrà essere nominato all’esercizio di funzioni extragiudiziarie
senza il suo accordo.
Articolo
6-5 – Possibilità per il giudice di ricorso ad un’istanza indipendente che lo
possa consigliare
Il
giudice che ritenga la propria indipendenza minacciata, deve poter adire
un’istanza indipendente, preferibilmente quella descritta all’Articolo 2-3
della presente carta, che disponga dei mezzi idonei ad accertare la realtà
della minaccia e portare aiuto e sostegno al giudice.
I
giudici devono poter richiedere consiglio, in materia di deontologia, ad un organo
del potere giudiziario.
ARTICOLO 7 – RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE
Articolo
7-1 – Procedure disciplinari
La
gestione amministrativa e disciplinare degli appartenenti al potere giudiziario
è esercitata in condizioni tali da permettere di preservare la loro
indipendenza e si fonda sulla applicazione di criteri oggettivi ed appropriati.
Le
procedure disciplinari devono svolgersi di fronte ad un organo indipendente, composto
da una maggioranza di giudici, o di fronte ad un organo equivalente.
Ad
esclusione dei casi di dolo o di negligenza grave, accertati con una decisione
di giustizia divenuta definitiva, nessuna procedura disciplinare può essere
proposta contro un giudice per effetto dell’interpretazione di norme di diritto
o della valutazione dei fatti o dell’apprezzamento delle prove da lui
effettuati.
La
procedura disciplinare si conforma alle regole del diritto ad un equo processo.
Il giudice deve avere accesso agli atti della procedura e godere
dell’assistenza di un avvocato o di un collega. Le decisioni disciplinari
debbono essere motivate e possono formare oggetto di ricorso dinanzi ad un
organo indipendente.
Le
sanzioni disciplinari nei confronti di un giudice non possono essere adottate
se non per motivi precedentemente previsti dalla legge e con l’osservanza di
regole di procedura predeterminate. Esse devono rispondere al principi di
proporzionalità.
Articolo
7-2 – Responsabilità civile e penale
Nei
casi in cui sono ammesse, l’azione civile diretta contro un giudice, così come
l’azione in materia penale, ed eventualmente l’arresto, vanno posti in essere
nel rispetto di condizioni che non possono avere per oggetto l’esercizio di
un’influenza sull’attività giurisdizionale.
Gli
errori giudiziari debbono trovare rimedio nel quadro di un sistema adeguato di
ricorsi giurisdizionali. Ogni riparazione per altre mancanze del sistema della
giustizia comporta esclusivamente la responsabilità dello Stato.
Ad
eccezione dei casi di dolo, non appare appropriato che, nell’esercizio delle
sue funzioni giudiziarie, un giudice sia esposto ad una responsabilità
personale, nemmeno per il tramite di un’azione di rivalsa da parte dello Stato.
ARTICOLO 8 – REMUNERAZIONE, PROTEZIONE
SOCIALE E PENSIONAMENTO
Articolo
8-1 – Remunerazione
Il
giudice deve ricevere una remunerazione idonea a garantirne l’indipendenza
economica e, attraverso questa, la dignità, l’imparzialità e l’indipendenza.
La
remunerazione non può dipendere dal risultato dell’attività del giudice o dalla
sua produttività e non può essere ridotta durante la durata del suo servizio
professionale.
Le
regole in materia di remunerazione debbono essere contenute in un testo
legislativo al livello più elevato possibile.
Articolo
8-2 Protezione sociale
Lo
statuto deve prevedere la garanzia del giudice contro i rischi sociali legati
alla malattia, maternità, invalidità, vecchiaia e decesso.
Articolo
8-3 – Pensionamento
Il
giudice deve potersi collocare a riposo e ricevere un trattamento pensionistico
corrispondente al suo livello di responsabilità.
Dopo
il collocamento a riposo, il giudice può esercitare un’altra attività
professionale nel campo giuridico, a condizione che questa sia
deontologicamente compatibile con la sua precedente attività giurisdizionale.
Non
può essere privato del suo trattamento pensionistico per il solo fatto di
esercitare un’altra attività professionale.
ARTICOLO 9 – APPLICABILITÀ DELLO STATUTO
UNIVERSALE
Articolo
9-1 – Applicabilità ad ogni persona che eserciti funzioni giudiziarie
Il
presente statuto è applicabile a tutte le persone che esercitano funzioni
giudiziarie, in particolare ai giudici non professionali.
Articolo
9-2 – Applicabilità al pubblico ministero
Nei
paesi in cui membri del pubblico ministero sono assimilati ai giudici, i
principi del presente Statuto sono applicabili anche ad essi, in considerazione
della natura delle loro funzioni.
Articolo
9-3 – Indipendenza dei pubblici ministeri
L’indipendenza dei pubblici
ministeri, che è essenziale per la salvaguardia dei principi dello stato di
diritto, va garantita dalla legge al livello più alto possibile, esattamente
come quella dei giudici.
[1] « Il n’y a point (…) de liberté si la puissance de juger n’est pas séparée de la puissance législative et de l’exécutrice. Si elle était jointe à la puissance législative, le pouvoir sur la vie et la liberté des citoyens serait arbitraire; car le juge serait législateur. Si elle était jointe à la puissance exécutrice, le juge pourrait avoir la force d’un oppresseur. Tout serait perdu si le même homme, ou le même corps des principaux, ou des nobles, ou du peuple exerçait ces trois pouvoirs: celui de faire les lois, celui d’exécuter les résolutions publiques et celui de juger les crimes ou les différends des particuliers » (Montesquieu, De l’esprit des lois, Genève, 1748, Livre XI, Chapitre VI; la prima edizione italiana dell’opera è la seguente: Id., Spirito delle leggi del signore di Montesquieu con le note dell’Abate Antonio Genovesi, I, Napoli, 1777, p. 320 ss.). Da rilevare che uno dei primi, anonimi, annotatori dell’opera, cogliendo la « pericolosità » del pensiero dell’illustre illuminista d’oltralpe in relazione alla concezione assolutistica dello Stato allora imperante, rimarcava sul punto quanto segue: « Tutto quello, che ci viene sminuzzato in questo luogo dall’Autore, merita d’esser corretto. Non vi sono in ciascuno Stato tre poteri; ma si distinguono nella Sovranità, cioè a dire nel potere di governare, tre specie di potestà, secondo l’oggetto, sopra di cui il governo si manifesta » (cfr. Riflessioni d’un Anonimo, in Id., Spirito delle leggi del signore di Montesquieu con le note dell’Abate Antonio Genovesi, I, cit., p. 320, nota (a: in tale ottica, dunque, anche la potestà di giudicare, come mera forma di manifestazione di un potere unitario, ben poteva spettare al Sovrano, detentore degli altri due poteri.
Sull’indipendenza della magistratura e la separazione dei poteri cfr. Mortara, Istituzioni di ordinamento giudiziario, Firenze, 1890, p. 11 ss.; Ammatuna, Calamandrei, Candian, et al., Per l’ordine giudiziario, Milano, 1946; Bartole, Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, Padova, 1964, passim; Volpe, voce Ordinamento giudiziario, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, p. 838 ss.; Sicardi, Il conflitto di attribuzione tra Consiglio Superiore della Magistratura e Ministro della Giustizia, Torino, 1993, passim; Id., Percorsi e vicende del Terzo Potere dallo Stato liberale allo Stato costituzionale: da uno sguardo d’insieme alla situazione italiana, in Aa. Vv., Magistratura e democrazia italiana: problemi e prospettive, a cura di Sicardi, Napoli, 2010, p. 25 ss.; Id., Ordine giudiziario e separazione delle carriere: pareggiamento o differenziazione delle garanzie di indipendenza?, in Aa. Vv., Problemi attuali della Giustizia in Italia, a cura di Pace, Bartole e Romboli, Napoli, 2010, p. 49 ss.; Barak, Judicial Discretion, tradotto in italiano con il titolo La discrezionalità del giudice, Milano, 1995, p. 189 ss.; Oberto, Les garanties de l’impartialité des juges et de l’indépendance de la justice, in Le rôle du juge dans une société démocratique, Strasbourg, 1996, p. 15 ss.; Id., Selection, Training, Career and Status of Judges: International Standards and the Italian Experience, in Contratto e impresa / Europa, 2002, p. 845 ss.; Id., Progetto preliminare di parere sulle norme concernenti l’indipendenza della giustizia e l’inamovibilità dei giudici contenute nella Raccomandazione n° R (94) 12 del Consiglio d’Europa sull’indipendenza, l’efficienza e il ruolo dei giudici, in Riv. dir. priv., 2002, p. 193 ss.; Id., Die Richterliche Unabhängigkeit in Europa und ihre Sicherung durch einen obersten Richterrat, 2004, https://www.giacomooberto.com/arnoldshain/vortrag_arnoldshain.htm; Id., Richterliche Unabhängigkeit–Rechtsvergleichende Betrachtung ihrer institutionellen Ausgestaltungen in den Ländern Europas, in ZRP–Zeitschrift für Rechtspolitik, 6/2004, p. 207 ss.; Id., Judicial Independence and Judicial Impartiality: International Basic Principles and the Case-Law of the European Court of Human Rights, in Riv. dir. priv., 2006, p. 485 ss. (versione aggiornata al 2012 con il titolo: Judicial Independence and Judicial Impartiality: International Basic Principles and the Case-Law of the European Court of Human Rights (Turin-2012), al seguente indirizzo web: http://giacomooberto.com/munich2012/independence.htm); Id., La proposta di una nuova raccomandazione sul tema:« Indipendenza, efficienza e responsabilità dei giudici », elaborata dal Comitato d’esperti sulla Magistratura (Cj-S-Jud) del Consiglio d’Europa, in Contratto e impresa/Europa, 2010, p. 481 ss.; Id., La raccomandazione del Consiglio d’Europa sul tema: « Indipendenza, efficienza e responsabilità dei giudici », 2013, http://giacomooberto.com/coe_raccomandazione_2010/Oberto_raccomandazione_2010_CoE.htm; Id., Judicial Independence in its Various Aspects: International Basic Principles and the Italian Experience, 2013, http://giacomooberto.com/reportkiev2013.htm; Id., Performance Appraisal of the Judiciary and Judicial Independence – Italy, in Aa. Vv., Richterliche Unabhängigkeit und Leistungsbeurteilung / Performance Appraisal of the Judiciary and Judicial Independence, a cura di Stadelmann, Gass e McCombe, Zürich/St. Gallen, 2015, p. 219 ss.; Rodriguez-Arribas, Sgroi, Abravanel, et al., L’indipendenza della giustizia, oggi. Judicial Independence, Today, Liber amicorum in onore di Giovanni E. Longo, Milano, 1999 (da segnalare in particolare lo studio di Abravanel, Essai sur le « pouvoir du juge », p. 1 ss.); Guarnieri e Pederzoli, La magistratura nelle democrazie contemporanee, Roma-Bari, 2002, passim; Biondi, La responsabilità del magistrato. Saggio di diritto costituzionale, Milano, 2006, p. 16 ss., 71 ss.; Prendini, Imparzialità ed apparenza di imparzialità del giudice. L’esperienza inglese, in Int’l Lis, 2008, p. 38 ss.; Volpi, I consigli di giustizia in Europa: un quadro comparativo, in Aa. Vv., Ordinamento giudiziario: leggi, regolamenti e procedimenti, a cura di Albamonte e Filippi, Torino, 2009, p. 3 ss.; Piana, Judicial Accountabilities in New Europe, London, 2010, p. 49 ss.; Piana e Vauchez, Il Consiglio Superiore della Magistratura, Bologna, 2012, passim; Aa. Vv., Standards on Judicial Independence, a cura di Gass, Kiener e Stadelmann, Bern, 2012; Tolksdorf, L’indipendenza della magistratura in una visione europea, in Corr. giur., 2010, p. 673 ss.; Aa. Vv., The Independence of Judges, a cura di Engstad, Lærdal Frøseth e Tønder, The Hague, 2014, passim; Sobrino, Il ministro della giustizia e i poteri dello Stato. Vicende e prospettive di una collocazione problematica, Napoli, 2015, p. 53 ss.
[2] Cfr. Muller, Voyages à travers l’histoire et le langage, Paris, 1889, p. 149. Da notare che altre fonti storiche riferiscono la frase a Séguier, primo presidente della Cour royale di Parigi, che avrebbe risposto in tal modo alle pressioni del principe di Polignac, ministro degli esteri di Carlo X (cfr. Kirithoglou, Un miracle comme on en voit peu, Amsterdam, Bruxelles, Paris, 1858, p. 166).
[3] Erano, questi, organi giurisdizionali lato sensu equiparabili alle odierne corti d’appello. Il testo più rilevante sulla storia dei parlamenti francesi è quello di de la Roche Flavin, Treize livres des Parlemens de France, Genève, 1621, p. 6 ss.
[4] Su questi temi cfr. Rousselet, Histoire de la magistrature française des origines à nos jours, I,
Paris, 1957, p. 337 ss.
[5] Per alcuni esempi al riguardo v. la sentenza
del Parlamento di Aix-en-Provence datata 19 febbraio 1685, che non solo decretò
la nullità di una separazione consensuale ricevuta da notaio, ma che fece
divieto a tutti i notai di ricevere per il futuro tale genere di atti (cfr. Merlin,
Dizionario universale ossia repertorio
ragionato di giurisprudenza e questioni di diritto, ed. italiana, III,
Venezia, 1835, p. 766 s.; cfr. inoltre Basnage,
Commentaires sur la coutume de
Normandie, in Oeuvres de maître Henri
Basnage, II, Rouen, 1778, p. 91; Oberto, Gli accordi
sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del
matrimonio nella prospettiva storica, nota a Cass., 20 marzo 1998, n.
[6] Cfr. de
la Roche Flavin, op. cit.,
p. 356.
[7] Cfr. ad es. Rousselet, op. cit.,
p. 33: « L’exercice personnel de la justice a depuis les temps les plus reculés
constitué l’attribut essentiel de toute royauté ».
[8] Per una consistente raccolta di esempi cfr. Rousselet, op. cit., p. 33 ss.
[9] Cfr. de la
Roche Flavin, op. cit., p. 358 ss. e ivi per un’accurata ricostruzione dei
passaggi storici attraverso i quali i sovrani francesi cessarono di occuparsi
direttamente dell’amministrazione della giustizia.
[10] Cfr. D’Auguesseau,
Œuvres de M. le chancelier d’Aguesseau,
I, Paris, 1759, p. 1 ss.
[11] Cfr. D’Auguesseau,
Œuvres de M. le chancelier d’Aguesseau,
I, Paris, 1759, p. 44 ss.
[12] Cfr. D’Auguesseau,
Œuvres de M. le chancelier d’Aguesseau,
I, Paris, 1759, p. 257 ss. Famosa la raccomandazione (ivi, p. 273) di approfondire il diritto civile mercé lo studio
delle Leggi civili nel loro ordine
naturale del Domat: « Personne n’a mieux approfondi que cet Auteur, le
véritable principe des Loix, & ne l’a expliqué d’une maniere plus digne
d’un Philosophe, d’un Jurisconsulte, & d’un Chrétien (…). C’est le plan
général de la Société Civile le mieux fait, & le plus achevé qui ait jamais
paru, & je l’ai toujours regardé comme un Ouvrage précieux que j’ai vû
croître & presque naître entre mes mains, par l’amitié que l’autur avoit
poi moi ».
[13] « Ich habe mich entschlossen, niemals
in den Lauf des gerichtlichen Verfahrens einzugreifen; denn in den
Gerichtshofen sollen die Gesetze sprechen und der Herrscher soll schweigen »:
cfr. Holmøyvik, On the Origins of Judicial Independence,
in Aa. Vv., The Independence
of Judges, cit., p. 49, nota 10.
[14] Cfr. Frotscher e Pieroth,
Verfassungsgeschichte, München, 2005,
p. 65 ss.
[15] Cfr. Holmøyvik, op. loc.
ultt. citt.; sull’evoluzione storica nel Regno Unito cfr. Mance, The Independence of Judges, in Aa.
Vv., The Independence of Judges, cit., p. 55 ss.
[16] Cfr. The unanimous Declaration of the thirteen united States of America,
http://www.ushistory.org/declaration/document/.
[17] Cfr. Hamilton, Federalist
No. 78. The Judiciary Department, McLean’s Edition, New York, Wednesday,
May 28, 1788, https://www.gutenberg.org/files/1404/1404-h/1404-h.htm#link2H_4_0078:
« Whoever attentively considers the different departments of power must
perceive, that, in a government in which they are separated from each other,
the judiciary, from the nature of its functions, will always be the least
dangerous to the political rights of the Constitution; because it will be least
in a capacity to annoy or injure them. The Executive not only dispenses the
honors, but holds the sword of the community. The legislature not only commands
the purse, but prescribes the rules by which the duties and rights of every
citizen are to be regulated. The judiciary, on the contrary, has no influence
over either the sword or the purse; no direction either of the strength or of
the wealth of the society; and can take no active resolution whatever. It may
truly be said to have neither FORCE nor WILL, but merely judgment; and must
ultimately depend upon the aid of the executive arm even for the efficacy of
its judgments. This simple view of the matter suggests several important
consequences. It proves incontestably, that the judiciary is beyond comparison
the weakest of the three departments of power(1. The celebrated Montesquieu,
speaking of them, says: “Of the three powers above mentioned, the judiciary is
next to nothing.”—Spirit of Laws.
Vol. I, page 186); that it can never attack with success either of the other
two; and that all possible care is requisite to enable it to defend itself
against their attacks. It equally proves, that though individual oppression may
now and then proceed from the courts of justice, the general liberty of the people
can never be endangered from that quarter; I mean so long as the judiciary
remains truly distinct from both the legislature and the Executive. For I
agree, that “there is no liberty, if the power of judging be not separated from
the legislative and executive powers.”(2. Idem,
page 181) And it proves, in the last place, that as liberty can have nothing to
fear from the judiciary alone, but would have every thing to fear from its
union with either of the other departments; that as all the effects of such a
union must ensue from a dependence of the former on the latter, notwithstanding
a nominal and apparent separation; that as, from the natural feebleness of the
judiciary, it is in continual jeopardy of being overpowered, awed, or
influenced by its co-ordinate branches; and that as nothing can contribute so
much to its firmness and independence as permanency in office, this quality may
therefore be justly regarded as an indispensable ingredient in its
constitution, and, in a great measure, as the citadel of the public justice and
the public security. The complete independence of the courts of justice is
peculiarly essential in a limited Constitution ».
[18] Cfr. Oberto, Les garanties de l’impartialité des juges et
de l’indépendance de la justice, loc. cit.
[19] Gorla, Della posizione
costituzionale dell’ordinamento giudiziario. Per l’autonomia della magistratura,
in Ammatuna, Calamandrei, Candian,
et al., Per l’ordine giudiziario, cit., p. 47 : « Non si può porre il
giudice sullo stesso piano di altri funzionari pubblici. Né, in un malinteso
spirito di uguaglianza e di livellamento il quale distruggerebbe quelle stesse
basi del vivere civile che consistono nel riconoscimento anche economico della
dignità dei migliori e dei più responsabili – possono gli altri funzionari
pretendere di essere al giudice parificati. Il giudice è, o dovrebbe essere,
per le sue stesse funzioni al disopra di tutta la scala dei valori politici,
almeno in una società che voglia essere retta col sistema delle leggi e non con
quello del provvedimento caso per caso, cioè dell’abuso. Quel livellamento
distruggerebbe alla base il sistema legale, visto che non si vuol riconoscere
la dignità di colui che impersona la suprema esigenza della legge, tanto che,
nelle costituzioni dei popoli civili, egli impersona direttamente uno degli organi costituzionali (il che non è pei
comuni impiegati statali). I giudici devono essere trattati al di fuori del
comune ordinamento dei funzionari statali, poiché essi non sono in realtà dei
dipendenti dallo Stato, ma sono lo Stato stesso, in uno dei suoi organi
costituzionali; sono il simbolo vivente, non del funzionario che ‘dipende’, ma
dell’autonomia, del diritto soggettivo, e la loro stessa vita deve essere autonomia
in tutti i sensi ».
[20] Significativa ed allarmante l’intervista resa il 16 luglio 2017 dall’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati P. C. Davigo (http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/renzi-e-confuso-per-cacciare-un-politico-basta-la-sua-difesa/): « Domanda: Com’è oggi la magistratura rispetto a 25 anni fa, cioè al tempo di Mani Pulite? Risposta: Molto più genuflessa e intimidita di allora. La situazione complessiva creata dalla classe politica ha avuto l’effetto di spaventare e piegare molti magistrati. Tra carichi di lavoro massacranti, sanzioni disciplinari durissime per vizi formali e ritardi naturali, leggi penali e regole processuali cambiate per mandare in fumo i processi ai colletti bianchi, attacchi politici e mediatici, nomine non trasparenti, hanno creato un ordine giudiziario sempre meno forte, sereno e indipendente e sempre più affetto dal carrierismo e dalla tentazione di cercare santi protettori. Cioè sempre più conformista verso chi comanda » (e, sia consentito aggiungere, verso gli avvocati, sempre più aggressivi e pronti a compiere pressioni tramite minacce di esposti, da far inoltrare tramite capi di uffici disponibili e amanti del quieto vivere).
[21] Sulla quale cfr. Rousselet, Histoire de
la magistrature française des origines à nos jours, I, Paris, 1957, p. 173
ss.
[22] Così Rémy,
La part faite au juge, in Pouvoirs, 2003/4 (n° 107), p. 22 ss. Gli
interventi personali di Napoleone in sede di lavori preparatori della normativa
citata rendono del resto evidente il desiderio di controllo sull’operato dei
giudici e la sfiducia di fondo nella magistratura: « l’Empereur qui est chargé
d’assurer la tranquillité de ses sujets ne doit pas souffrir que cinq juges
égarés et prévenus lancent dans la société un coupable renvoyé contre la
conviction d’un département entier et que l’impunité va rendre plus
entreprenant encore » (cfr. Bourdon,
Napoléon au Conseil d’Etat, Paris,
1963, p. 90).
[23]
Sulla nascita e lo sviluppo dell’associazionismo giudiziario italiano cfr. ad
es. Senese, La
magistrature italienne : le problème des formations sociales intermédiaires,
in Déviances et société, Genève,
1978, p. 401 ss.
[24] Sui danni causati alla magistratura italiana dalle degenerazioni correntizie v. per tutti Ardita e Davigo, Giustizialisti. Così la politica lega le mani alla magistratura, Roma, 2017, p. 196 ss.
[25] Come osservato da Ardita e Davigo, op. cit., p. 100: « Le responsabilità vere della magistratura probabilmente stanno più in alto, in quel sistema di autogoverno ormai dominato dalle correnti e costretto sul binario delle spartizioni degli incarichi, dei posti di governo nella scuola della magistratura, dei concorsi per l’accesso ai ruoli più rilevanti. Con riferimento alla responsabilità dei magistrati bisognerebbe dunque domandarsi se per caso la porzione di responsabilità realmente a loro carico risieda nella base – asseritamente non produttiva o comunque chiamata a produrre di più – oppure nelle scelte dei vertici espresse con l’attività di autogoverno ».
[26] Così (e per ulteriori richiami) Castillo Ortiz,
Councils of the Judiciary and Judges’
Perceptions of Respect to Their Independence in Europe, in Hague J Rule Law (2017) 9, p. 319.
[28] Cfr. https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?Index=no&command=com.instranet.CmdBlobGet&InstranetImage=534553&SecMode=1&DocId=514386&Usage=2.
[29] Cfr. https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectId=09000016805afb78. Sulla Raccomandazione n° R
2010/12 cfr. Oberto, La proposta di una nuova raccomandazione sul tema:« Indipendenza,
efficienza e responsabilità dei giudici », elaborata dal Comitato d’esperti
sulla Magistratura (Cj-S-Jud) del Consiglio d’Europa, in Contratto e impresa/Europa, 2010, p. 481 ss.; dal 19 gennaio 2010
disponibile al seguente sito web: http://giacomooberto.com/coe_raccomandazione_2010/Oberto_relazione_proposta_nuova_raccomandazione;
Id., La
Raccomandazione del Consiglio d’Europa sul tema: « Indipendenza, efficienza e responsabilità dei giudici », dal 13 aprile 2013
disponibile al seguente indirizzo web:
http://giacomooberto.com/coe_raccomandazione_2010/Oberto_raccomandazione_2010_CoE.htm;
Sobrino, Il ministro
della giustizia e i poteri dello Stato. Vicende e prospettive di una
collocazione problematica, cit., p. 396 ss.
[31] Council of Europe, The role of the judiciary in a state governed by the rule of law -
Proceedings (Warsaw - Poland, 4 April 1995), Strasbourg, 1998.
[32] Cfr. https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?p=&Ref=DAJ/DOC(98)23&Language=lanEnglish&Ver=original&Site=COE&BackColorInternet=DBDCF2&BackColorIntranet=FDC864&BackColorLogged=FDC864&direct=true.
[35] Cfr. http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0ahUKEwiglr6UxKbVAhVpApoKHcOyAwMQFggmMAA&url=http%3A%2F%2Fwww.europarl.europa.eu%2Fsides%2FgetDoc.do%3FpubRef%3D-%2F%2FEP%2F%2FNONSGML%2BREPORT%2BA5-2000-0050%2B0%2BDOC%2BWORD%2BV0%2F%2FIT&usg=AFQjCNH7adrLEKRx25JJLEykuog3WK0hNw.
[38] Cfr. https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?p=&Ref=CCJE(2001)OP1&Sector=secDGHL&Language=lanEnglish&Ver=original&BackColorInternet=FEF2E0&BackColorIntranet=FEF2E0&BackColorLogged=c3c3c3&direct=true.
[39] Cfr. https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?p=&Ref=CCJE-MC(2010)3&Language=lanEnglish&Ver=original&Site=&BackColorInternet=DBDCF2&BackColorIntranet=FDC864&BackColorLogged=FDC864&direct=true.
[41] Cfr. http://www.unodc.org/documents/corruption/Publications/2013/Commentary_on_the_Bangalore_Principles_French.pdf.
[43] Cfr. http://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-AD%282010%29004-e.
Sulla Venice Commission ed i relativi
interventi in materia di indipendenza della magistratura cfr. Helgesen, The Independence of Judges – and the Judiciary – as seen from Venice,
in Aa. Vv., The Independence
of Judges, cit., p. 105 ss.
[45] Cfr. http://www.encj.eu/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=24&Itemid=98&lang=fr. Per ulteriori informazioni e rinvii sulle varie reti costituite da organismi giurisdizionali o comunque afferenti alla giurisdizione v. anche Sobrino, Il ministro della giustizia e i poteri dello Stato. Vicende e prospettive di una collocazione problematica, cit., p. 402 ss.
[47]
Cfr. Corte cost., 18 gennaio 1989, n. 18. Sul tema si fa rinvio a Oberto, La responsabilité civile des
magistrats en Italie, in Richterzeitung,
2014/4, al seguente sito web: http://richterzeitung.weblaw.ch/rzissues/2014/4/la-responsabilite-ci_1969cc2665.html__ONCE;
dal 1° ottobre 2014 disponibile alla seguente pagina web: http://giacomooberto.com/Oberto_La_responsabilite_civile_des_magistrats_en_Italie.htm.
[48] Per una panoramica delle reazioni cfr.
l’apposita pagina web predisposta
dall’Unione Internazionale Magistrati: http://www.iaj-uim.org/solidarity-news-and-documents-about-yarsav/.
[49] Per una panoramica delle reazioni cfr. l’apposita pagina web predisposta dall’Unione Internazionale Magistrati: http://www.iaj-uim.org/solidarity-news-and-documents-about-poland/.
[50] Per una rassegna di casi risolti dalla Corte di Strasburgo sulla base dell’applicazione delle regole in esame cfr. Laffranque, Judicial Independence in Europe: Principles and Reality, in The Independence of Judges, cit., p. 144 ss.
[51] Cfr. http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-115871
(in partic. p. 21 della motivazione).
[52] Cfr. http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-159769
(v. la parte della motivazione posta sotto il titolo « international materials
»).
[53] Sul ruolo della Corte di Strasburgo nella
tutela dell’indipendenza della magistratura prima dei due arresti citati nel
testo si fa rinvio a Oberto, Judicial Independence and Judicial Impartiality: International Basic Principles
and the Case-Law of the European Court of Human Rights (Turin – 2012), https://www.giacomooberto.com/munich2012/independence.htm.
[54] Per informazioni al riguardo cfr. http://www.iaj-uim.org.
[55] Ai sensi dell’art. 3 dello
statuto, « 1. L’Unione ha i seguenti scopi:
a) salvaguardare l’indipendenza del Potere Giudiziario,
condizione essenziale della funzione giurisdizionale e garanzia dei diritti e
delle libertà umane;
b)
salvaguardare la posizione costituzionale e morale del Potere Giudiziario;
c) ampliare e
perfezionare le conoscenze e la cultura dei magistrati mettendoli in contatto
con i loro colleghi di altri paesi, facendo loro conoscere gli ordinamenti
esteri ed il loro funzionamento, nonché il diritto positivo straniero,
specialmente nella sua applicazione;
d) studiare in comune alcuni problemi giuridici al fine di giungere, sia nell’interesse nazionale, sia nell’interesse delle comunità regionali o universali, ad una migliore soluzione dei problemi stessi ».
[56] Cfr. il Monitoring Procedure Report – June 2016, http://www.iaj-uim.org/iuw/wp-content/uploads/2016/07/Report-Monitoring-Procedure-June-2016.pdf.
[58] Cfr. http://www.iaj-uim.org/iuw/wp-content/uploads/2013/01/Estatuto-del-juez-iberoamericano.pdf.
[61] Questo è stato il caso, soprattutto, del lavoro svolto in seno alla Prima Commissione di Studi, che, a partire dall’anno 2000, si è occupata di svariati temi: i relativi lavori sono consultabili all’indirizzo web seguente: http://www.iaj-uim.org/fr/document-author/1-commission-d-etude-statut-des-magistrats/?orderby=title&order=asc%2F
[63] Per citare alcuni dei casi
più recenti si potrà ricordare che, ad esempio, missioni in loco si sono svolte: - nel
[65] Lo Special Rapporteur on the Independence of Judges and Lawyers « is
part of what is known as the Special Procedures of the Human Rights Council.
Special Procedures, the largest body of independent experts in the UN Human
Rights system, is the general name of the Council’s independent fact-finding
and monitoring mechanisms that address either specific country situations or
thematic issues in all parts of the world. Special Procedures’ experts work on
a voluntary basis; they are not UN staff and do not receive a salary for their
work. They are independent from any government or organization and serve in
their individual capacity »: cfr. http://www.ohchr.org/EN/Issues/Judiciary/Pages/IDPIndex.aspx.
[66] Cfr. i documenti consultabili al link seguente: http://www.iaj-uim.org/documents/?post_types=document&s=afiuni.
[67] Cfr. art. 1, comma secondo: « I giudici garantiscono, in tutte le loro attività, il diritto di ciascuno ad un giusto processo. Essi devono utilizzare gli strumenti di cui dispongono per consentire la trattazione dei processi mediante un’udienza pubblica entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale stabilito dalla legge, al fine di determinare i diritti e le obbligazioni in materia civile ovvero la fondatezza delle accuse in materia penale ».
[69] Cfr. https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?p=&Ref=CCJE(2001)OP1&Sector=secDGHL&Language=lanEnglish&Ver=original&BackColorInternet=FEF2E0&BackColorIntranet=FEF2E0&BackColorLogged=c3c3c3&direct=true. L’opinion in questione venne approvata nel 2001 sulla base di un progetto preliminare predisposto dallo scrivente, in qualità di esperto incaricato dal Consiglio d’Europa: cfr. Oberto, Progetto preliminare di parere sulle norme concernenti l’indipendenza della giustizia e l’inamovibilità dei giudici contenute nella Raccomandazione n° R (94) 12 del Consiglio d’Europa sull’indipendenza, l’efficienza e il ruolo dei giudici, in Riv. dir. priv., 2002, p. 193 ss.
[70] Per una formulazione a livello
internazionale di siffatto principio cfr. art. 12 dei Basic Principles delle Nazioni Unite (1985): « Judges, whether
appointed or elected, shall have guaranteed tenure until a mandatory retirement
age or the expiry of their term of office, where such exists ».
[71] Tipico l’esempio
dell’Ucraina, su cui cfr. la risoluzione adottata dall’Associazione Europea
Magistrati, Gruppo Regionale dell’Unione Internazionale Magistrati, nel 2015:
http://www.iaj-uim.org/iuw/wp-content/uploads/2015/05/EAJ-Resolution-on-the-situation-in-Ukraine-may-2015.pdf; per analoghe questioni cfr. le precedenti risoluzione sulla Serbia, risalenti al 2010 (http://www.iaj-uim.org/iuw/wp-content/uploads/2013/03/AEM-resolution-on-Serbia-2-2010-eng.pdf) e al 2011 (http://www.iaj-uim.org/iuw/wp-content/uploads/2013/03/Resolution-concerning-the-election-of-Judges-in-Serbia.pdf).
[72] Cfr. art. 51: « Where recruitment is made for a probationary period or
fixed term, the decision on whether to confirm or renew such an appointment
should only be taken in accordance with paragraph 44 so as to ensure that the
independence of the judiciary is fully respected ». Ai sensi dell’art. 44, «
Decisions concerning the selection and career of judges should be based on
objective criteria pre‑established by law or by the competent
authorities. Such decisions should be based on merit, having regard to the
qualifications, skills and capacity required to adjudicate cases by applying
the law while respecting human dignity ».
[73] Cfr.
artt. 50 ss. dell’Opinion No.1 of the Consultative Council of European
Judges of the Council of Europe (2001) “on standards concerning the
independence of the judiciary and the irremovability of judges”:
« 50. Certain countries make some
appointments for a limited period of years (e.g. in the case of the German
Federal Constitutional Court, for 12 years). Judges are commonly also appointed
to international courts (e.g. the European Court of Justice and the European
Court of Human Rights) for limited periods.
51. Some countries also make
extensive use of deputy judges, whose tenure is limited or less well protected
than that of full-time judges (e.g. the UK and Denmark).
52. The CCJE considered that
where, exceptionally, a full-time judicial appointment is for a limited period,
it should not be renewable unless procedures exist ensuring that:
(i) the judge, if he or she wishes, is considered for re-appointment by
the appointing body and
(ii) the decision regarding re-appointment is made entirely objectively
and on merit and without taking into account political considerations.
The CCJE considered that when tenure
is provisional or limited, the body responsible for the objectivity and the
transparency of the method of appointment or re-appointment as a full-time
judge are of especial importance (see also paragraph 3.3 of the European
Charter) ».
[74] Sul punto cfr. ad es. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-05-11/pensioni-magistrati-studio-nuova-proroga-192350.shtml?uuid=AEtJ2mKB.
[75] Cfr. la Resolution 1685 (2009), « Allegations of politically motivated
abuses of the criminal justice system in Council of Europe member states », http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-en.asp?fileid=17778&lang=en.
[76] Cfr. art. 21 del citato Memorandum, secondo cui « The Recommendation calls for all necessary
measures to be taken to protect and promote the independence of judges. These
measures could include laws such as the “contempt of court” provisions that
already exist in some member states (Recommendation, paragraph 13) ».
[77] Anche il diritto all’informazione (cfr. art. 19, Raccomandazione cit.) dovrebbe essere esercitato tenendo conto dei limiti imposti dall’indipendenza della magistratura. In tale contesto, la raccomandazione incoraggia la creazione di organi, all’interno degli uffici giudiziari, incaricati di intrattenere le relazioni con i mezzi d’informazione. D’altro canto, i giudici dovrebbero dare prova di riserbo nei loro rapporti con i media.
([78])[78] Cfr. l’articolo 68 del Venice Commission Report on Judicial Independence (2008), secondo cui « 68. The issue of internal independence within the judiciary has received less attention in international texts than the issue of external independence. It seems, however, no less important. In several constitutions it is stated that “judges are subject only to the law”. This principle protects judges first of all against undue external influence. It is, however, also applicable within the judiciary. A hierarchical organisation of the judiciary in the sense of a subordination of the judges to the court presidents or to higher instances in their judicial decision making activity would be a clear violation of this principle ». Cfr. inoltre l’art. 10 della Magna Carta of European Judges (CCJE): « In the exercise of their function to administer justice, judges shall not be subject to any order or instruction, or to any hierarchical pressure, and shall be bound only by law ». Sulla questione dell’indipendenza interna della magistratura nei lavori della Commissione di Venezia cfr. Helgesen, op. cit., p. 122 ss.
[79] Si veda ad es. Cass., Sez. Un., 18 luglio 2017, n. 17720, secondo cui il fatto di manifestare, da parte di un legale, l’intenzione di agire in giudizio nei confronti del giudice per il risarcimento dei danni, mentre è ancora pendente il procedimento, « costituisce senza ombra di dubbio un illecito disciplinare » a carico del legale stesso.
[80] Il rischio è già stato segnalato in Oberto, Sistemi giudiziari europei a confronto: le criticità italiane, dal 25 settembre 2016 disponibile alla seguente pagina web: https://www.giacomooberto.com/Oberto_sistemi_giudiziari_a_confronto.htm.
[81] Sulla previsione del divieto di creazione di associazioni di giudici nella costituzione chavista del 1999 cfr. il relativo art. 256: « Con la finalidad de garantizar la imparcialidad y la independencia en el ejercicio de sus funciones, los magistrados o las magistradas, los jueces o las juezas, los fiscales o las fiscalas del Ministerio Público; y los defensores públicos o las defensoras públicas, desde la fecha de su nombramiento y hasta su egreso del cargo respectivo, no podrán, salvo el ejercicio del voto, llevar a cabo activismo político partidista, gremial, sindical o de índole semejante, ni realizar actividades privadas lucrativas incompatibles con su función, ni por sí ni por interpuesta persona, ni ejercer ninguna otra función pública a excepción de actividades educativas. Los jueces o juezas no podrán asociarse entre sí ». Sulla dissoluzione della associazione preesistente, già membro dell’UIM, cfr. le numerose prese di posizione dell’UIM e del suo Gruppo Regionale Ibero-americano (disponibili al link seguente: http://www.iaj-uim.org/documents/?post_types=document&s=venezuela).
[82] Sulla dissoluzione manu militari dell’associazione YARSAV, membro dell’UIM, cfr. le prese di posizione e le dichiarazioni disponibiil al link seguente: http://www.iaj-uim.org/solidarity-news-and-documents-about-yarsav/.
[83] In questo Paese si è scelto un metodo più « raffinato », consistente nell’approvazione, nel corso del 2016, di una disposizione della legge sul sistema giudiziario, che fa obbligo ai magistrati di dichiarare l’appartenenza ad associazioni professionali, ciò che viene a costituire un evidente deterrente in ordine a tale partecipazione: cfr. il rapporto del Gruppo di Lavoro dell’Associazione Europea Magistrati – Gruppo Regionale dell’Unione Internazionale Magistrati, EAJ Working Group on the Situation of Member Associations, 27 ottobre 2016, disponibile alla pagina web seguente: http://www.iaj-belgium.be/en/eaj-working-group-on-the-situation-of-member-associations/).
[84] Per
un approccio comparativo ai moderni
sistemi di reclutamento, nomina e formazione dei magistrati cfr. Aa. Vv., Traité d’organisation judiciaire comparée, I, Zurigo-Bruxelles,
1999, passim; Oberto, Recrutement et formation des magistrats en
Europe. Etude comparative, Strasbourg, 2003, passim; Id., Magistrati.
Reclutamento e formazione. Studio comparato fra sistemi europei, Collana «
Inchieste e proposte », diretta da Giuseppe Salerno, n. 37, Roma, 2003, passim; Id.,
La formazione dei magistrati alla luce
dei principi internazionali e dei profili di diritto comparato, Padova,
2008, passim. Su questi temi si
vedano inoltre: Borgna e Cassano, Il giudice e il principe. Magistratura e potere politico in Italia e in
Europa, Roma, 1997, p. 107 ss.; Oberto,
Verardi e Viazzi, Il reclutamento e la formazione professionale dei
magistrati in Italia e in Europa, in Aa.
Vv., L’esame di uditore
giudiziario, Milano, 1997, p. 41 ss.; Council
of Europe/Conseil de l’Europe, L’Europe
judiciaire, Strasburgo, 2000 (il volume contiene anche informazioni sul
reclutamento e la formazione dei magistrati relative ad alcuni Paesi europei);
sullo stesso argomento cfr. anche Council
of Europe/Conseil de l’Europe, La
formation des juges et des magistrats du parquet en Europe, Atti della
riunione multilaterale organizzata dal Consiglio d’Europa in collaborazione con
il Centro studi giudiziari di Lisbona (Lisbona 27-28 aprile 1995), Strasbourg,
1996. Sulle specificità del reclutamento dei magistrati italiani cfr. Oberto, Recrutement, formation et
carrière des magistrats en Italie (articolo disponibile dal 29 giugno 1999
alla seguente pagina web:
https://www.giacomooberto.com/tbilissi.htm); Id., Recrutement, formation et
carrière des magistrats dans le système juridique et constitutionnel italien,
in Aa. Vv., Que formação para os magistrados hoje?, Lisbona, 2000, p. 185 ss. (articolo
disponibile dal 25 gennaio 2000 alla seguente pagina web: https://www.giacomooberto.com/portugal/rapport.htm);
Id., L’autonomie de la justice
dans sa gestion : l’expérience italienne (articolo disponibile dal 9
novembre 2000 alla seguente pagina web: https://www.giacomooberto.com/download/rapportzurich.pdf);
Id., Recrutement et formation
des magistrats: le système italien dans le cadre des principes internationaux
sur le statut des magistrats et l’indépendence du pouvoir judiciaire, in Riv. dir. priv., 2001, p. 717 ss.; Bartole, Per una valutazione
comparativa dell’ordinamento del potere giudiziario nei Paesi dell’Europa
continentale, in Studium juris,
1996, p. 531 ss.; Caianiello, Formazione
e selezione dei giudici in un’ipotesi comparativa, in Giur. it., 1998, p. 387 ss. Per una prospettiva comparata dei
sistemi giudiziari di alcuni Paesi dell’Europa continentale e orientale,
entrati nel
[85] La recente storia della magistratura europea ha conosciuto i tentativi (falliti, per quanto attiene, quanto meno, all’Italia) di taluni governi di trasformare la Scuola della Magistratura in una sorta di « esamificio permanente » e di utilizzare la formazione continua alla stregua di una forma di valutazione dei giudici: valutazione cui, beninteso, nessun magistrato deve sottrarsi, ma che deve trovare idonea collocazione ed articolato espletamento nell’ambito di attività di tipo diverso dalla formazione, la quale è e deve restare, invece, espressione di un’esigenza e di una spontanea e libera aspirazione nascente dagli stessi « discenti ». Per questo, l’art. 58 del Memorandum esplicativo della citata Raccomandazione contiene l’indicazione secondo cui « In-service training assessment should not be used as a form of integrated assessment of the judge ». Questa conclusione è il frutto di un’attività di persuasione svolta in modo particolarmente insistente dallo scrivente in seno al gruppo d’esperti, sulla scorta, del resto, dell’autorevole avallo del parere reso dal CCJE nell’opinion N. 4 sul tema della formazione.
[86] La Raccomandazione cit. espressamente menziona doveri quali quello di dar prova di indipendenza ed imparzialità, e di agire ed apparire anche all’esterno come persone libere da « any improper external influence on the judicial proceedings » (art. 60). I giudici debbono inoltre astenersi dal decidere le controversie loro sottoposte nei casi (e solo in quelli) in cui l’astensione è prescritta dalle norme di procedura (art. 61). Anche il dovere di diligenza e di rispetto di un « reasonable time » viene posto correttamente in evidenza (art. 62), unitamente a quelli di motivare le loro decisioni « in language which is clear and comprehensible » e di incoraggiare le parti a raggiungere un accordo transattivo (art. 64). L’aggiornamento e la formazione professionali sono inoltre presi in considerazione alla stregua di precisi doveri di ogni giudice, nella formula secondo cui essi « should regularly update and develop their proficiency » (art. 65).
[87] Per ulteriori informazioni
e rinvii sulla struttura della CEPEJ,
i suoi gruppi di lavoro, i documenti eleborati e le rispettive ricadute a
livello interno nei vari Paesi membri del Consiglio d’Europa si fa rinvio a Oberto, Il Consiglio d’Europa e i temi della giustizia: la Raccomandazione del
2010 sul tema « Indipendenza, efficienza e responsabilità dei giudici »; la
CEPEJ e il Centre de pilotage « CEPEJ-SATURN » del Consiglio d’Europa; il «
Programma Strasburgo » e il ruolo del Tribunale di Torino nella rete dei tribunali
referenti della CEPEJ, dal 3 maggio 2015 disponibile al seguente sito web: http://giacomooberto.com/oberto_consiglio_europa_temi_giustizia.htm.
[88] Cfr. ex multis Cass., 19 agosto 2016, n. 17214; Cass., 18 novembre 2016, n. 23531; Cass., 19 giugno 2017, n. 15064; Cass., 21 giugno 2017, n. 15350.
[89] Cfr. Circolare n. 9/08 -
Oggetto: “Programma Strasburgo – Aggiornamento
[90] Sul tema, per un’analisi comparata cfr. Oberto,
La responsabilité civile des magistrats
en Italie, loc. cit.
[91] Cfr. art. 16: « judges should enjoy
personal immunity from civil suits for monetary damages for improper acts or omissions
in the exercise of their judicial functions ».
[92] Cfr. Oberto,
La responsabilité civile des magistrats
en Italie, loc. cit.
[93] Per
una risoluzione di condanna di tale sistema, emessa dall’Associazione Europea
Magistrati nel 2006, cfr. http://www.iaj-uim.org/iuw/wp-content/uploads/2013/02/AEM-resolution-on-performance-bonus-2006-eng.pdf.
Per una riflessione sulle primes de rendement previste per i
magistrati in Francia cfr. Chelle,
Une politique de récompense dans la haute
magistrature : le cas de la prime de rendement, in Droit et société, 2011/2 (n° 78), p. 407 ss.
[94] I piagnistei del nostro ceto forense (ma anche, va detto, di una parte della magistratura), che alti si levano ogni qual volta si propone in Italia l’aumento del numero dei giudici non professionali, sono riusciti fino ad ora a nascondere la realtà del fatto che i giudici di common law, e segnatamente quelli d’oltre Manica, sono affiancati da vere e proprie legioni di magistrates, cioè di giudici onorari non professionali. Dai dati del rapporto biennale CEPEJ 2014 (riferito al 2012) risulta che in tutto il Regno Unito si contano 2.300 professional judges contro 9.500 part time non professional judges e 24.000 full time non professional judges, il che porta ad un risultato di oltre 14 giudici non professionali per ogni magistrato di carriera!
[95] Cfr. https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=09000016804be55a.
[96] Cfr. art. 14: « In countries where the public prosecution is independent of the government, the state should take effective measures to guarantee that the nature and the scope of the independence of the public prosecution is established by law ». Va riconosciuto, in tutta onestà, che nemmeno Monsieur de la Palice avrebbe saputo far di meglio!