FRANCIA
6. Funzione della motivazione e funzione del giudice nel
pensiero giuridico contemporaneo.
Chi in Francia ha
studiato il tema della motivazione della sentenza ha posto in luce come la
funzione di tale atto sia intimamente legata alla funzione del giudice, che è triplice:
·
«simbolica»,
·
«di regolazione
sociale» e
·
«di ricorso al
giudice».
«L’analyse
de la fonction du juge révèle son caractère multiple: ·
fonction
symbolique: le juge seul dispose du pouvoir d’ordonner, d’imposer sa décision (il
faut renvoyer ici à la classification de Jean Carbonnier, qui distingue,
historiquement, le juge magique, intercesseur auprès de la divinité, puis le
juge charismatique, seigneur ou notable dont la parole s’impose à tous comme
expression de la clémence et de l’équité, enfin le juge moderne, qualifié de
juge logique, « mémorisant et rationnalisant » ‑ il faudrait ajouter,
parfois « innovant » ‑, s’exprimant par de « brefs motifs », au sein
d’une « collégialité opaque »). ·
fonction de
régulation sociale: le juge fabrique de la paix sociale en réglant les conflits par une
décision en principe ‑ par sa nature et la légitimité de la personne
qui la prononce ‑ acceptée par tous. ·
fonction de recours : dans les situations
de crise, de détresse intense, l’appel au juge est l’ultime recours pour
rétablir ce qui est considéré ‑ et vécu ‑ comme juste et bon»[1]. |
D’altro canto si è autorevolmente rilevato anche Oltralpe che «le juge
devient une source incorporée à la loi, la sentence une application créatrice du Droit», mentre la
funzione giudiziaria non è più solo quella di dire le droit, poichè «Dans l’application du Droit, le juge est en
réalité appelé à brasser d’innombrables données qui sont, dans l’ordre moral,
psychologique, économique, social, des facteurs de pur fait ; l’appréciation du
fait y prend un part décisive. La sentence n’est pas que la réponse d’un juge à
une question de droit. La fonction juridictionnelle intègre d’autres missions
que celle de dire le Droit, au premier rang desquelles le traitement judicieux
de l’ensemble des données factuelles» [2].
Ma come interagiscono
fatto e diritto nella stesura della motivazione della decisione francese? Il dato di partenza positivo è
oggi costituito dall’art. 455
del nouveau Code de procédure civile,
[che risale ai primi anni ‘70] così come
riformato dall’art. 11 del décret nº
98-1231 del 28 dicembre 1998, in vigore dal 1° marzo 1999, a mente del
quale «Le jugement doit
exposer succinctement les prétentions respectives des parties et leurs moyens. Cet exposé peut revêtir la forme d’un visa des
conclusions des parties avec l’indication de leur date. Le jugement doit être
motivé. Il énonce la décision sous forme de dispositif».
E’ da notare che
l’inciso «Cet exposé peut revêtir la forme d’un visa des conclusions des
parties avec l’indication de leur date» è stato aggiunto, per l’appunto, dalla
citata riforma del 1998, al fine di rendere più «snella» la struttura della
decisione.
La storia di questa
disposizione appare piuttosto tormentata. A parte i precedenti storici più
remoti, che verranno posti in luce successivamente [3], va detto che, prima del 1958 (più esattamente del décret n° 58-1289 del 22 dicembre 1958),
la redazione della sentenza era
opera non solo del giudice, ma anche dei legali delle parti. Il primo
redigeva la minute della sentenza, contenente,
in buona sostanza, i motivi della decisione e il dispositivo. La minute era però successivamente completata dalle c.d. qualités, cioè da un atto redatto da ciascuno degli avoués delle parti in causa, in cui, oltre a specificare la qualità
(da cui il termine qualité attribuito
a questi particolari atti) che le parti avevano assunto nel processo (attore,
convenuto, interveniente, ma anche eventualmente tutore, curatore, ecc.),
questi indicavano le rispettive conclusioni, le allegazioni di parte e lo
svolgimento del processo. L’intero procedimento ne risultava quindi
assai appesantito e il fatto che le qualités
fossero redatte dopo il deposito della motivazione forniva ai legali delle
parti soccombenti l’occasione per far risaltare in tali atti i punti di
divergenza e le eventuali omissioni, reali o supposte, compiute dal giudice
nella motivazione, così agevolando la proposizione dell’appello e la riforma
della decisione. La dottrina d’Oltralpe esprime dunque un generale
apprezzamento per il superamento di siffatto sistema [4].
Gli autori che si occupano della tecnica di
redazione sottolineano che il giudice deve dapprima distinguere quale sia
l’oggetto del contendere, quindi passare alla qualificazione giuridica, per poi
porre in ordine le questioni (preliminari, di merito, consequenziali, ecc.),
esporre le rationes decidendi e
redigere il dispositivo [5]. Questo postulato metologico conduce naturalmente a una redazione della decisione
in tre parti:
·
exposé du litige,
·
motivation,
·
dispositif [6].
La somiglianza con il nostro
sistema è, in realtà, solo
apparente. L’exposé du litige non è, infatti, né è mai stato
– neppure prima della riforma del 1998 – esattamente corrispondente allo
«svolgimento del processo» (o al «fatto») delle sentenze italiane, cioè ad una
narrazione dell’attività delle parti e del giudice. Un tempo, come si è detto, esso costituiva
oggetto delle qualités redatte dalle parti e, dopo la riforma del 1958, una concisa esposizione –
filtrata tramite la forma mentis del giudice – dei dati di fatto rilevanti in
causa e delle argomentazioni difensive delle parti.
A seguito della citata riforma del
1998, poi, esso può essere sostituito dal visto apposto dal giudice alle conclusioni delle
parti, con l’indicazione della data di deposito nel dossier del procedimento: un visto che, secondo la giurisprudenza
della Cour de cassation, può anche
essere omesso, se i motivi delle parti risultino comunque esposti nella
motivazione della decisione [7]. Per quanto attiene alla parte dei motivi della decisione,
pure questa si presenta come radicalmente diversa da quella usualmente
praticata in Italia.
Andrà ancora aggiunto, per ciò che attiene all’obbligo di motivazione
(su cui si avrà ancora modo di tornare), che oggi esso non è imposto in tutta una serie di casi eccezionali,
specificamente indicati dalla legge.
«Certaines décisions sont cependant dispensées
de l’obligation des motifs, soit par discrétion (jugement qui prononce l’adoption, art. 353, C. civ.), soit parce
qu’ils se suffisent à eux‑mêmes (jugements préparatoires), soit parce qu’il s’agit
d’une mesure purement administrative (remise de cause), soit encore
parce que le tribunal jouit d’un pouvoir discrétionnaire (décision de
sursis à statuer par ex.). La décision
du juge des affaires
matrimoniales en cas de demande conjointe des époux, prononçant le divorce, n’est pas
motivée, elle a un caractère gracieux (art. 232, C. civ. et art. 1088, nouv. C.). Lorsque le divorce
a un caractère contentieux,
les époux peuvent
demander que les torts et griefs des époux ne soient pas mentionnés (art. 248‑1, C. civ. et art. 1128, nouv. C.). Dans le cas de
divorce sur demande acceptée, le tribunal se borne à viser l’ordonnance du
juge aux affaires matrimoniales qui a constaté cet accord des conjoints; il
n’ajoute pas d’autres motifs (art. 1136, nouv. C.)» [8]. |
7. L’exposé du
litige.
Come si è detto
poc’anzi, l’exposé du litige, o l’exposé des moyens présentés par les parties
ha poco a che vedere con il
nostro «svolgimento del processo»: esso appare invero focalizzato non tanto a
mettere in evidenza le attività processuali svolte, quanto ad esporre petitum e causa petendi [9] delle domande
presentate, così come l’essenza delle eccezioni e delle repliche.
La dottrina precisa
inoltre che vanno distinti i concetti di moyen
e argument. Più esattamente, mentre
il primo concetto consiste in un ragionamento giuridico, il secondo concerne esclusivamente
i fatti. Questi ultimi sono nella disponibilità delle parti, mentre la
qualificazione giuridica degli stessi appartiene al giudice.
«Le moyen consiste en un raisonnement juridique (la nullité du contrat
est demandée ‑ le moyen invoqué est le vice du consentement). L’argument est de pur fait
(le vice du consentement résulte de manoeuvres dolosives de l’autre partie,
qui a trompé son cocontractant sur la portée de l’engagement souscrit, par
exemple en rédigeant de faux documents). L’exposé des moyens des parties doit
permettre de définir le cadre juridique dans lequel s’inscrivent les faits
litigieux. Mais il convient de distinguer: ‑ l’objet du litige, que le
juge ne peut pas modifier (c’est l’affaire des parties, selon le principe de
procédure dit « principe dispositif ») ; ‑ la qualification juridique
du litige, qui appartient à la fois aux parties et au juge» [10]. |
Da
quanto sopra derivano per il giudice tre obbligazioni:
·
esporre le pretese ed i mezzi delle parti per delimitare l’oggetto
del giudizio (esposizione che, ai sensi
dell’ art. 455 del nouveau Code de procédure civile, deve
essere «succincta»);
·
astenersi dallo snaturare le conclusioni delle parti,
facendo altresì attenzione a non dare per ammesso o contestato ciò che ammesso
o contestato non è;
·
astenersi dal modificare l’oggetto della lite. In proposito si rileva che il giudice non può
introdurre fatti che le parti non hanno invocato, al fine di evitare di
infrangere il principio del contraddittorio [11].
Venendo alla qualification juridique du
litige, va detto subito che
anche Oltralpe vale il principio secondo cui tale attività spetta esclusivamente
al giudice («Donne-moi les
faits, je te donnerai le droit»). In
proposito si rimarca in dottrina che questa procedura «constitue
la première étape du raisonnement du juge dans l’appréhension du litige et la
préparation de la décision. Ce cheminement intellectuel est donc essentiel, car
il va déterminer la première orientation du juge dans son travail de résolution
du litige» [12]: ma qui ci troviamo già,
evidentemente, nel campo dei veri e propri motivi della decisione.
«La qualification
juridique, ainsi analysée, conduit à trois conséquences : 1) Le juge doit procéder à
la qualification juridique du litige, avant d’examiner la valeur des
prétentions respectives des parties. Exigence de pure logique : il faut
définir et délimiter la question posée avant de tenter d’y répondre. 2) Le juge doit, au
besoin, rectifier la qualification donnée par les parties. Il lui
appartiendra, en ce cas, de veiller au respect du principe de la
contradiction, en invitant les parties à s’expliquer sur la qualification
qu’il entend retenir. 3) Le produit de l’effort
de qualification sera le recensement précis des questions en litige,
qui est un préalable indispensable à la rédaction d’une décision cohérente» [13]. |
Sarà opportuno ricordare, chiudendo sull’argomento, che, come si è già
avuto modo di vedere, a
seguito della citata riforma del 1998 l’exposé
du litige può, di fatto, mancare,
venendo sostituito dal visto apposto dal giudice agli atti contenenti le
conclusioni depositate dalle parti nel fascicolo della procedura, con la
specificazione della data di deposito delle stesse. Peraltro va subito aggiunto che, nella prassi,
molti giudici hanno ad oggi preferito continuare a seguire il vecchio stile: un
collega contattato dallo scrivente (M. Jean-François Kriekg, all’epoca
Presidente del Tribunale di Nîmes) ha confermato esservi una «réticence
culturelle à cet égard» da parte della magistratura. Un altro collega,
per contro (M. Jean-Jacques Heintz, all’epoca Presidente del Tribunale di
Mulhouse), ha dichiarato che l’uso di rinviare alle conclusioni delle parti
sarebbe divenuto prassi corrente (v’è da chiedersi, scherzosamente, se non si
riproponga qui in nuovi termini la tradizionale dicotomia tra pays
de droit coutumier e pays
de droit écrit…).
Per concludere sul
punto, si potrà ancora osservare, comparativamente, che la riforma del diritto societario
italiano ha introdotto una nuova disposizione, a mente della quale «La
sentenza può essere sempre motivata in forma abbreviata, mediante il rinvio
agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e la concisa
esposizione delle ragioni di diritto, anche in riferimento a precedenti
conformi» (cfr. art. 16, comma 5, seconda parte, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5).
La possibilità di «rinvi[are] agli elementi di fatto riportati in uno o più
atti di causa» permetterà al giudice italiano di dar luogo (ancorchè nella
limitata ipotesi del contenzioso societario) ad una forma di presentazione
dello «svolgimento
del processo» assai simile a quanto ora l’art. 455 del codice di rito
francese consente ai colleghi d’Oltralpe.
8. Motivazione,
ragionamento giudiziario e sillogismo
giudiziario.
L’obbligo di motivazione
delle sentenze trova la sua fonte nel già citato art. 455 del nouveau Code de procédure civile che, a
proposito del jugement, espressamente
e lapidariamente stabilisce: «Le jugement doit être motivé».
Sebbene la norma non
contenga altre indicazioni, si ritiene comunemente che la motivazione debba
essere sia in fatto che in
diritto. Per ciò che attiene ai fatti va ricordato che, secondo quanto
affermato dalla Cour de cassation, la
valutazione degli stessi da parte del giudice è «souveraine», mentre, per quel
che riguarda il diritto, il giudice deve esporre «clairement et complètement le
cheminement de sa réflexion et les étapes intellectuelles de la prise de
décision, en un mot, le raisonnement judiciaire» [14].
La prima tappa di
questo ragionamento è costituita, come si è visto, dalla qualificazione
giuridica della controversia. Da tale qualificazione deriva l’individuazione
della norma di riferimento, con conseguente applicazione della stessa al caso
in esame, secondo il meccanismo logico del c.d. «sillogismo giudiziario», figura che non solo è
nota alla dottrina d’Oltralpe [15], ma che viene anche «plasticamente» scolpita
nell’essenziale ossatura delle decisioni francesi.
Valga per tutti l’esempio seguente.
Risulta dagli artt.
1101 e 1108 del Code Civil la regola
non scritta secondo cui, in materia contrattuale, il silenzio non vale
accettazione. Ora, una corte d’appello condanna una persona a pagare il prezzo
di riparazioni effettuate su di un natante non previste dal preventivo
inizialmente sottoposto al proprietario dell’imbarcazione, sol perché
quest’ultimo, avvertito dell’utilità di tali lavori, non aveva risposto alla
proposta in tal senso effettuata dal riparatore. La decisione viene cassata dai
giudici di legittimità, avendo ignorato la regola di cui sopra.
Come osservato in dottrina [16] «La motivation apparaît
ici dans sa fonction primordiale de justification rationnelle de la décision. L’on
observera, en même temps, l’extrême brièveté de la décision de la Cour de
cassation : huit lignes pour énoncer la règle de droit et l’appliquer au
litige». Si riporta qui di seguito il
testo della decisione [17].
|
A mo’ di comparazione sullo stile delle sentenze potrà
segnalarsi che la motivazione di cui sopra è assai più breve delle
corrispondenti massime (per non dire, ovviamente, delle motivazioni…) italiane
sul tema. Si veda, ex multis, Cass.,
15 maggio 1959, n. 1442: «Il silenzio è
manifestazione di volontà, espressa e non tacita, come linguaggio muto quando
la legge (art.1333, capov.,1339, quarto comma, 1454, terzo comma, 1665, terzo e
quarto comma,1712, secondo comma e 1837, primo comma cod. civ.), gli usi in una
determinata cerchia sociale, il contratto, la pratica invalsa tra persone in
continua relazione d’affari, attribuiscono ad esso un particolare valore. Al di
fuori di queste ipotesi, in cui l’interessato, se intende evitare che il
silenzio valga accettazione, deve manifestare espressamente una volontà contraria,
non può attribuirsi al silenzio stesso efficacia giuridica di consenso
all’altrui dichiarazione. La manifestazione tacita di volontà è, invece, in
rapporto non già al silenzio, nel senso suindicato, ma ad un comportamento
univoco e conclusivo dal quale può desumersi, per il comune modo d’intendere,
una data volontà negoziale» [18].
9. Le
condizioni di validità della motivazione: generalità.
Secondo la
giurisprudenza della Cour de cassation
che, come quella italiana, esercita il suo controllo sulla motivazione delle
decisioni, quest’ultima, per non incorrere in vizi di nullità, deve rispondere ai seguenti sei requisiti:
·
deve essere
esistente,
·
non deve essere
meramente apparente,
·
deve essere
pertinente,
·
deve essere
sufficiente,
·
deve essere
razionalmente corretta,
·
deve rispondere
ai mezzi proposti dalle parti.
10. Le condizioni di validità della
motivazione: motivazione esistente, non meramente apparente, pertinente e
sufficiente.
La mancanza di motivazione è uno dei vizi più gravi della sentenza.
La dottrina francese pone in luce come non si tratti di un’ipotesi di scuola,
portando il caso delle sentenze
contumaciali, in cui il giudice si ritiene autorizzato sovente a
decidere sulla base della sola défaillance
del convenuto, ciò che dà luogo ad un simulacro di motivazione del genere seguente:
«Attendu que la défaillance du défendeur fait présumer qu’il n’a aucun moyen à
opposer à la demande, qui est fondée» [19].
Ecco come una
monografia dedicata alla «tecnica della cassazione» riassume i termini del
problema [20]:
|
Ma la carenza di motivazione può
manifestarsi anche sotto altre forme; si parla al riguardo di
motivazioni illusoires o factices, quali, ad esempio:
·
«Attendu que la demande est fondée»;
·
«Attendu qu’il résulte des débats que X a commis une
faute dont il doit réparation à Y»;
·
oppure la semplice affermazione di una data circostanza
(si parla qui di motif d’ordre général):
si cita al riguardo il caso in cui si dica che
«la survenance d’un piéton sur la chaussée hors d’un passage protégé
constituerait un événement de force majeure, sans préciser les circonstances
qui, en l’espèce, auraient caractérisé l’irrésistibilité et l’imprévisibilité
propres à caractériser la force majeure» [21].
Si ritengono altresì inammissibili le motivazioni per relationem ad un’altra decisione,
anche se resa tra le stesse parti [22]. In proposito va però tenuto presente che
l’introduzione dei mezzi
informatici dovrebbe poter aiutare per il futuro ad evitare siffatti
motivi di nullità.
Circa la pertinenza dei motivi si
pone in evidenza come questi debbano essere in stretta «relation avec la question juridique soumise à
la juridiction», posto che il giudice non deve mai abbandonare la logica
giuridica [23].
«Motivazione sufficiente» non significa che il giudice
debba rispondere a tutte le argomentazioni sviluppate dalle parti, bensì che
egli deve prendere in considerazione tutte le conclusioni proposte [24]. La motivazione deve poi essere sufficiente per permettere alla
Corte di cassazione di esercitare il suo controllo sull’applicazione della
regola di diritto. Motivazione non sufficiente viene pertanto ritenuta, ad
esempio, quella fondata sull’equità o quella basata su di una regola giuridica
complessa, le cui implicazioni non vengono adeguatamente vagliate ed
esplicitate dal giudice.
Si riporta al riguardo
il caso seguente:
«L’obligation du vendeur d’un matériel complexe
(informatique, par exemple) comporte, non seulement la livraison du matériel,
mais sa mise au point, avec, en plus une obligation accessoire d’information
et de conseil du client. Est donc insuffisamment motivée (et manque de base
légale au regard de la règle de droit applicable), la décision qui condamne
l’acquéreur à payer le prix, au motif que la livraison a été acceptée, sans
rechercher si le vendeur avait, en l’espèce, exécuté son obligation
d’information et de conseil» [25]. |
In tema di sufficienza
della motivazione andrà poi ricordato che una particolare norma concernente il giudizio
d’appello stabilisce che, nel caso di conferma della sentenza di primo
grado, si deve reputare
che la corte d’appello abbia adottato la motivazione della sentenza appellata,
nella parte in cui non contrasta con la motivazione di secondo grado (cfr. l’ art. 955 del nouveau Code de procédure civile).
11. Le condizioni di validità della
motivazione: motivazione razionalmente corretta e rispondente ai mezzi proposti
dalle parti.
Le principali ragioni
di irrazionalità della
motivazione vengono dalla dottrina francese ricondotte alle fattispecie
seguenti:
·
ambiguità: «le motif doit être
clair et affirmatif, il ne doit pas laisser la place à l’interprétation»;
·
carattere dubitativo: è dubitativa
la motivazione che lascia «planer une incertitude sur l’exactitude de ses
énonciations», come quella che, per esempio, affermasse, senza ulteriori specificazioni,
che «dans ces conditions, il pourrait s’agir d’une faute contractuelle»;
·
carattere ipotetico: è ipotetica la
motivazione che «repose sur la supposition de faits dont la réalité n’est pas
établie» (quale, ad esempio, quella con cui il giudice affermasse che una
clausola contrattuale «sembra implicare» un diritto di recesso in capo ad una
delle parti [26]);
·
contraddittorietà:
peraltro si afferma che solo la contraddittorietà in fatto può dar luogo a
mancanza di motivazione, atteso che la contraddittorietà di motivi in
diritto «se résoud en violation de la
loi ou manque de base légale» [27];
·
travisamento del contenuto di documenti (dénaturation):
si riferisce questo concetto a
«l’erreur manifeste du juge, qui donne
à un écrit un sens qu’il n’a manifestement pas selon ses termes
clairs et précis», aggiungendosi peraltro che «l’acte, en effet, pour être
dénaturé, doit être clair, car toute ambiguïté laisse place à une
interprétation qui exclut la dénaturation» [28] ; a titolo d’esempio si porta il caso del giudice
che afferma che una parte, che aveva prestato per iscritto una «cauzione», si
sarebbe in realtà impegnata come debitore principale.
L’interprete italiano non può non rimanere perplesso di fronte all’accanimento con il quale dottrina e
giurisprudenza d’Oltralpe si scagliano contro le motivazioni «ipotetiche» e
«dubitative», quasi che il giudice, come qualsiasi altro essere umano,
non potesse essere scosso dal dubbio sulla decisione (talora complessa e
delicata) che è chiamato a rendere! Eppure, ecco qui di seguito come vengono
fulminate da dottrina e giurisprudenza quelle che, ai nostri occhi, potrebbero
sembrare più che umane e legittime manifestazioni di perplessità [29]:
|
La motivazione deve poi essere completa, nel senso che essa «doit comporter la réponse à tous
les moyens invoqués par les parties» [30]. Al riguardo si precisa peraltro che tale obligation de réponse si riferisce
solamente alle conclusioni qualificabili come:
·
ammissibili,
·
pertinenti (cioè
in rapporto con la questione di cui si discute) e
·
contenenti un moyen de droit in grado di influire
sulla decisione.
E’ pertanto possibile non rispondere a conclusioni
imprecise o che comportino solo allegazioni di fatto o moyens de droit irrilevanti [31].
12. Le ragioni storiche della brevità
delle motivazioni francesi: l’Ancién Régime.
Il primo dato che
colpisce l’osservatore italiano delle pronunce d’Oltralpe è sicuramente
rappresentato dalla loro lapidaria brevità. Le ragioni della concisione delle motivazioni delle
decisioni francesi vanno ricercate, innanzi tutto, nella storia. Al riguardo va
notato, in primo luogo, che gli arrêts
dei parlamenti dell’Ancien Régime – per una lunga tradizione,
risalente per lo meno, al XVI secolo [32] – non erano motivati. Ciò,
peraltro, non impedì il fiorire di ricchissime raccolte di giurisprudenza, compilate dai c.d. arrêtistes, che si fondavano essenzialmente sui plaidoyers degli avvocati e sulle
conclusioni del procuratore generale. A tale fioritura e alla circolazione attraverso il regno
dei precedenti giurisprudenziali contribuirono certamente una serie di decisioni reali dirette a
porre ordine e chiarezza nella materia, culminate, sotto Francesco I, con la nota ordonnance di Villers-Cotterêts del 25 agosto 1539, che impose
definitivamente l’uso
della lingua francese nella redazione degli atti delle procedure
giudiziarie, così come nelle sentenze.
«Art.
111 – Et pour ce que sont souventes fois advenues causes de
douter sur l’intelligence des mots latins contenuz és arrestz, nous
voulons que doresnavant tout arrestz, ensemble toutes autres procedures,
soient de noz courtz souveraines ou autres subalternes et inférieurs, soient
des registres, enquestes, contractz, commissions, sentences, testamens et
autres qielzconques actes et exploictz de justice ou qui en dependent, soient prononcez, enregistrez
et delivrez aux parties en langage maternel françois et non autrement». |
|
La disposizione era stata preceduta da due altre
ordinanze:
·
quella di Moulins
del 28 dicembre 1490 (Carlo VIII), che, all’art. 101, aveva ordinato che le deposizioni dei testimoni
fossero effettuate in lingua francese o nella lingua materna dei testi «tels
que lesdits temoins puissent entendre leurs depositions, et les leur puisse
lire et recenser en tel langage et forme, qu’ils auront dit et deposé».
·
Quella di Lione del giugno 1510 (Luigi XII), che, all’art. 47, «Pour
obvier aux aubs et inconveniens, qui sont par cy-devant advenus, au moyen de ce
que les Iuges des pays de droict escrit, ont fait les procesz criminels desd. pays en Latin, et
toutes enquestes pareillement : Ordonnons afin que les tesmoins entendent
leurs depositions, et les criminels les procez faits contr’eux, que d’orenevant
tous les procez criminels
et lesdites enquestes, en quelque matiere que ce soit, seront faites en vulgaire, et langage du pays,
où seront fait lesdits procez criminels, et enquestes : autrement ne
seront d’aucun effect et valeur».
Come si è
appena detto, l’ordonnance di Villers-Cotterêts si inquadrava
nell’ambito di uno sforzo tendente a razionalizzare il modo in cui le pronunzie
venivano emesse, se è vero che lo stesso
Francesco I, con un’ordinanza di qualche anno precedente (1535), dato atto
della circostanza che alcuni giudici «donnent et font leurs jugemens et
sentences si obscurs et si douteux qu’à peine les peut-on entendre», aveva disposto che tutti i
giudici del Regno pronunziassero sentenze «certaines et claires».
|
Nella stessa ordinanza si era cercato di ovviare all’incertezza derivante dal
fatto che molti giudici solevano modificare le pronunzie una volta emesse,
disponendosi che per il futuro i magistrati consegnassero per iscritto il dispositivo
della decisione pronunziata al cancelliere, che avrebbe dovuto vistarla e
registrarla.
|
Fiorirono così, come si diceva, le compilazioni degli arrêtistes, opere che non di rado raggiungevano un peso (anche fisico!) notevole e che si incentravano in particolare sulle sentenze dei Parlamenti, ciò che ebbe una notevole influenza anche sulla dottrina: Cuiacio e Molineo sono, praticamente, gli ultimi grandi giuristi d’Oltralpe ad esprimersi in latino nelle loro opere. Con l’inizio del XVII secolo il francese soppianta definitivamente la lingua latina nei trattati e nei commentari delle coutumes. Con particolare riguardo a questi ultimi, poi, si procede, già nelle prime decadi del Seicento, a tradurre in francese quelli (si pensi a Choppin e D’Argentré) già redatti originariamente in latino.
Talora i compilatori non disdegnavano neppure di concentrare l’attenzione su decisioni solo apparentemente meno importanti, come gli actes de notoriété, una rimarcabile raccolta dei quali (in relazione a quelli emanati dallo Châtelet di Parigi [33]), venne effettuata dal Denisart [34]. In tali opere il lavoro dell’arrêtiste era fondamentale, consistendo il medesimo non solo nel riportare la decisione finale (che si sostanziava in un dispositivo assolutamente incomprensibile, in assenza di un’adeguata spiegazione), ma anche nell’esposizione, sovente assai dettagliata, dei moyens e dei plaidoyers degli avvocati (talora presentati in una sorta di vero e proprio «gioco delle parti», talaltra in maniera più «asettica» ed impersonale) e/o della requisitoria del procuratore generale [35].
Si riporta qui di
seguito, a titolo d’esempio, una sentenza del Parlamento di Rouen 15 gennaio
1672, tratta dal Journal du Palais,
in tema di prova per testimoni di un contrat
de mariage concluso in Normandia [36].
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Quanto sopra spiega
perchè grande successo ebbero anche le raccolte dei plaidoyers
di alcuni celebri avvocati e giureconsulti (si pensi a Masuer [37], a Le Maistre [38], o a Cochin [39]) o quelle delle requisitorie pronunciate dai procuratori generali
(e qui un nome basterà per tutti: quello del Cancelliere D’Aguesseau [40]). Con riferimento ai precedenti storici francesi in
tema di motivazione si potranno ancora riportare qui di seguito alcune
interessanti osservazioni di Gorla [41] sullo stile delle sentenze d’Oltralpe.
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13. Le ragioni storiche della brevità
delle motivazioni francesi: Illuminismo e Rivoluzione.
Un’altra – e temporalmente più vicina – ragione della brevità delle sentenze francesi va ricercata nell’influsso dei principi
illuministici, secondo i quali la funzione del giudice avrebbe dovuto
essere nulla più che quella di un semplice applicatore della legge: bouche de la loi, conformemente alla notissima espressione
di Montesquieu. A ben vedere, l’idea secondo cui le leggi avrebbero dovuto
essere concepite in maniera tale da limitare quanto più possibile la
discrezionalità del giudice era stata, prima ancora degli illuministi,
coltivata per secoli dai dottori del diritto comune, che amavano rifarsi sul
punto alla dottrina
aristotelica.
Tanto per citare alcuni celebri giureconsulti del XVI secolo,
basterà ricordare quanto affermato dal già citato pavese Giacomo Menochio,
secondo cui «Aristoteles Peripateticae, ac communis denique Philosophiae
principes, Rhetoricorum primo scriptum reliquit: illas leges optime constitutas
esse, quae in omnibus, qui incidere possunt casibus sancitae sunt: quaeque
paucissima Iudicis arbitrio reliquerunt» [42]; il saviglianese Aimone Cravetta, dal canto suo,
ammoniva che «Iudices tamen plerique tali arbitrio abutuntur ob id relinqui
debet arbitrio iudicis minus, quam sit possibile» [43]. Del resto, già Bartolo aveva sostenuto che il
giudice «debet servare aequitatem in his, quae suo arbitrio committuntur, in
his vero, quae a lege sunt decisa debet legis decisionem servare» [44].
L’idea di cui sopra
venne però rilanciata con
vigore – sia in Francia che in Italia – dai philosophes del secolo dei Lumi, quale baluardo nei confronti d’un potere
visto come espressione d’una volontà potenzialmente dispotica e capricciosa
[45]. Spingere
siffatte conclusioni alle logiche conseguenze avrebbe però significato
autorizzare i giudici a non decidere, ogni qualvolta la legge fosse risultata
lacunosa od oscura. In effetti, qualcosa di simile fu tentato durante la
Rivoluzione con il c.d. référé législatif,
che però si dimostrò ben presto impraticabile [46], al punto che il Code Napoléon, dando prova
d’un realismo (o, se si preferisce, d’un cinismo) proprio di ogni moderna
legislazione, vietò ai giudici di trarsi
d’impiccio con un non liquet ogni
qualvolta la legge fosse stata «silenziosa, muta o insufficiente» [47], così concedendo al potere giudiziario prerogative di
tipo sostanzialmente normativo.
Per altro verso, il nuovo codice
francese continuò a collocarsi nell’ottica illuministica di vietare
al giudice la possibilità di pronunziare «par voie de disposition générale et réglementaire sur les
causes qui leur sont soumises» (art. 5), così evitando per il futuro non
solo il ripetersi di quelle «invasioni
di campo» ai danni del potere legislativo commesse dai Parlamenti dell’Ancien Régime con i famigerati arrêts de règlement [48], ma anche la possibilità che la motivazione delle
sentenze venisse a
«gonfiarsi» di obiter dicta
con i quali il giudice, prendendosi per legislatore, cedesse alla tentazione di
ricostruire un intero sistema normativo (o parti di esso), ben al di là dei
limiti tracciati dal thema decidendum.
Non è un caso che la
storia della motivazione delle sentenze proceda di pari passo con l’introduzione del principio di
legalità e di separazione dei poteri. Quest’ultima regola, affermata,
come noto, da Montesquieu [49], viene espressamente recepita dalla legge del 16-24
agosto 1790 e successivamente riaffermata dalla costituzione del 3 settembre
1791, da quella del 24 giugno 1793 (anno I) e da quella del 22 agosto 1795
(anno III): queste stesse normative introducono in Francia il pieno
riconoscimento del principio di obbligatorietà della motivazione [50], regola cui la dottrina contemporanea francese tende
ad attribuire ancor oggi valore di principio costituzionale, pur nel silenzio
(piuttosto curioso, a dire il vero) della costituzione del 1958 [51].
14. Lo stile delle motivazioni francesi:
assenza di citazioni; narrazione del fatto e dello svolgimento del processo.
Il codice italiano vieta, come noto, la citazione
di autori giuridici (art. 118, 3° co., disp. att. c.p.c.). La norma non
ha riscontro nella normativa francese, non già perché Oltralpe vigano
disposizioni diverse, ma perché non vi è mai stato bisogno di una regola simile alla nostra. Sul
punto sono, ancora una volta, determinanti le riflessioni di Gorla [52], il quale rimarca come i giudici d’Oltralpe non usino
citare la dottrina e siano assai parchi nelle citazioni della giurisprudenza.
|
Si noti, en passant, che le regole e la tecnica in tema di
citazioni si prestano anche ad operazioni di tipo, per così dire, «ideologico». Sono note a tutti
nel mondo universitario le «istruzioni» impartite da maestri ad allievi sugli
autori da citare (quelli, ovviamente, appartenenti alla scuola del maestro in
questione o a scuole «alleate») e su quelli da colpire invece da ostracismo (un
ostracismo sovente determinato – cela va sans dire – da rivalità o
gelosie accademiche). Per ciò che attiene invece al campo giurisprudenziale
potrà accennarsi a quella legge sovietica che, come ricorda David, fece espresso divieto di citare le sentenze emanate
all’epoca zarista (mentre in Francia, tutto al contrario, neppure lo zelo
rivoluzionario si spinse mai ad impedire la citazione di precedenti emessi dai
giudici dell’Ancien Régime [53]).
Si è già detto che altra caratteristica delle motivazioni francesi è quella di omettere in tutto, o
in buona parte, quello che da noi viene qualificato come «fatto» o «svolgimento
del processo» e tale prassi è stata sostanzialmente avallata – ed anzi
portata ad ulteriori conseguenze – dalla già più volte citata riforma del 1998.
Proprio per questo le raccolte di giurisprudenza sono sempre state costrette ad
ovviare a tale lacuna, affidando al compilatore un’opera «ricostruttiva» (e,
per certi versi, anche interpretativa), che andava così ben al di là di una
mera raccolta di decisioni [54].
|
|
15. Lo stile delle motivazioni francesi:
elogio della concisione.
La dottrina francese che si
è occupata del tema dello stile delle sentenze tesse sperticati elogi alla virtù della
concisione. Fondamentale sul punto l’opera del Mimin, che spiega le ragioni per
le quali la prosa del giudice deve distinguersi in modo netto da quella
letteraria [55].
|
Si presenta così il modello della sentenza a «frase
unica», in cui la proposizione principale è costituita dal dispositivo,
e la motivazione si snoda in una serie di subordinate che, proprio per via di
tale loro carattere, debbono essere necessariamente brevi e concise [56].
|
La stessa dottrina ha
altresì provato a scomporre, sotto il profilo grammaticale, gli elementi costitutivi
della decisione nelle sue varie parti, mostrando fino a che punto la struttura
della «frase unica» possa ammettere proposizioni subordinate, sia prima della
motivazione, che nel corpo del dispositivo [57].
|
Sono altresì ammesse le c.d. locutions
distributives, che consentono di «alleggerire» l’architettura della
motivazione, pur senza spezzare la continuità della «frase unica» [58].
|
Al di là di tali
limitate ipotesi la struttura
della «frase unica» non
ammette eccezioni: ogni forma espressiva anche solo potenzialmente in
grado di alterare tale struttura è rigorosamente bandita, dal momento che viene
a perturbare l’equilibrio della frase [59].
|
Bandite sono pure
le espressioni imperative,
esclamative e interrogative, secondo
gli esempi qui di seguito riportati [60].
|
Commentando tali
affermazioni, Gorla
conclude plaudendo ai vantaggi dello stile della «frase unica», ponendo in luce
come la medesima impedisca difetti quali la prolissità, le divagazioni
dottrinali o quelle superflue, gli obiter
dicta, la pluralità di motivazioni e le rationes
decidendi inutili [61].
|
15-bis.
La struttura delle sentenze della Cour de cassation.
Ai sensi dell’art. 1020 del Nouveau Code de procédure civile la sentenza della Cour de
cassation, nel caso di cassazione della sentenza impugnata, vise le texte de la loi sur lequel la
cassation est fondée. Ciò significa che, in testa alla pronunzia, l’estensore
deve necessariamente porre l’espressa indicazione dell’articolo o degli
articoli di legge di cui la Corte ha fatto applicazione per pervenire alla
cassazione della decisione impugnata. Sul punto potranno riportarsi le
osservazioni svolte da un recente studio sull’argomento [62]:
|
16.
Esempi di sentenze.
Nel contesto dei paragrafi che precedono
si è già avuto modo di presentare diversi esempi di sentenze francesi. La
trattazione potrà ora concludersi con la proposizione di un paio di decisioni,
la prima delle quali
relativa all’interpretazione della disposizione codicistica in tema di exposé des motifs e la seconda concernente
l’applicazione della regola dell’arricchimento ingiustificato alle prestazioni
lavorative rese da una ex convivente more
uxorio. Lo stile di tali decisioni conferma quanto più volte
rimarcato nel corso dei paragrafi che precedono e dimostra quanto fallace fosse
la posizione di chi, quasi quarant’anni or sono, preconizzava la «mort des
Attendus» [63].
Con l’occasione si potrà ricordare che la
giurisprudenza francese è rinvenibile, tra l’altro, nei siti seguenti:
·
http://www.legifrance.gouv.fr/initRechExpJuriJudi.do (da cui sono state tratte le due sentenze di
seguito riportate);
·
http://www.courdecassation.fr/ (sito
ufficiale della Cour de cassation,
nel quale è altresì possibile reperire giurisprudenza di quello stesso organo);
·
http://www.legalis.net/jnet/index.htm
(contenente giurisprudenza su temi di informatica giuridica);
·
http://www.legalis.net/legalnet/
(contenente giurisprudenza in tema di diritto dell’informazione e
dell’informatica).
Cour de Cassation
REPUBLIQUE FRANCAISE AU NOM DU PEUPLE
FRANCAIS
LA COUR DE CASSATION, CHAMBRE
SOCIALE, a rendu l’arrêt suivant : Sur le pourvoi formé par
l’Office national des forêts région Corse, dont le siège est résidence
Goéland Bleu, avenue de la Grande Armée, 20090 Ajaccio, en cassation d’une ordonnance
de référé rendue le 14 décembre 1999 par le conseil de prud’hommes de Bastia,
au profit de M. Jean Pierre Ferrari, demeurant Ponte Leccia, 20218 Ponte
Leccia, défendeur à la cassation ; LA COUR, en l’audience publique
du 14 mars 2001, où étaient présents : M. Le Roux-Cocheril, conseiller le
plus ancien faisant fonctions de président, M. Finance, conseiller
rapporteur, M. Texier, conseiller, Mme Bourgeot, M. Besson, conseillers
référendaires, M. Kehrig, avocat général, Mme Molle-de Hédouville, greffier
de chambre ; Sur le rapport de M. Finance,
conseiller, les observations de Me Delvolvé, avocat de l’Office national des
forêts région Corse, les conclusions de M. Kehrig, avocat général, et après
en avoir délibéré conformément à la loi ; Vu l’article 455 du nouveau Code de procédure civile ; Attendu, selon ce texte, que le jugement doit, à peine de nullité,
exposer succintement les prétentions respectives des parties et leurs moyens ; Attendu, selon l’ordonnance
attaquée, que M. Ferrari, salarié de l’Office national des forêts, a saisi la
formation de référé du conseil de prud’hommes en paiement d’une somme au
titre de l’indemnité de transport qu’il estimait lui être due pendant la
période d’arrêt de travail pour maladie allant du 4 février 1997 au 5
novembre 1998 ; Attendu que le conseil de prud’hommes a accueilli la demande du salarié
sans exposer ni discuter les prétentions de l’Office national des forêts qui
soulevait la contestation sérieuse ; Qu’ainsi l’ordonnance attaquée a méconnu les exigences du texte susvisé ; PAR CES MOTIFS : CASSE ET ANNULE, dans toutes
ses dispositions, l’ordonnance de référé rendue le 14 décembre 1999, entre
les parties, par le conseil de prud’hommes de Bastia ; remet, en conséquence,
la cause et les parties dans l’état où elles se trouvaient avant ladite
ordonnance de référé et, pour être fait droit, les renvoie devant le conseil
de prud’hommes d’Ajaccio ; Condamne M. Ferrari aux dépens
; Vu l’article 700 du nouveau
Code de procédure civile, rejette la demande de l’Office national des forêts
; Dit que sur les diligences du
procureur général près la Cour de Cassation, le présent arrêt sera transmis
pour être transcrit en marge ou à la suite de l’ordonnance de référé cassée ;
Ainsi fait et jugé par la Cour
de Cassation, Chambre sociale, et prononcé par le président en son audience
publique du dix mai deux mille un.
|
Cour de Cassation
REPUBLIQUE FRANCAISE AU NOM DU PEUPLE
FRANCAIS
Sur le premier moyen, pris en
ses trois branches : Attendu que Mme Allard fait
grief à l’arrêt attaqué d’avoir écarté l’existence d’une société de fait
alors, selon le moyen, que, d’une part, la cour d’appel n’a pas recherché si
Mme Allard avait participé sur pied d’égalité et avec volonté de partage des
bénéfices aux investissements réalisés par M. Chantoiseau, privant ainsi sa
décision de base légale au regard des articles 1832 et 1871 du Code civil ;
alors que, d’autre part, elle n’a pas recherché la part d’apport en industrie
de Mme Allard dans l’entretien et la restauration du patrimoine immobilier
constitué par M. Chantoiseau avec les bénéfices communs, et qu’en se bornant
à examiner, par des motifs dubitatifs, la seule participation de Mme Allard
dans l’exploitation du fonds de commerce, elle a à nouveau privé sa décision
de base légale au regard des mêmes textes ; alors que, enfin, le devoir de
cohérence interdit à une partie d’émettre des prétentions contradictoires, et
que, M. Chantoiseau ayant soulevé l’incompétence du conseil de prud’hommes en
raison de l’existence d’une société de fait entre lui et Mme Allard, la
juridiction de renvoi ne pouvait dès lors faire droit aux moyens de défense
de M. Chantoiseau déniant l’existence d’une société de fait, sans violer
l’article 1832 du Code civil ; Mais attendu, sur les deux premières branches, que la cour d’appel, après
avoir relevé qu’une société se caractérise avant tout par la volonté des
intéressés de participer sur un pied d’égalité à l’exploitation commune avec
l’intention de partager les bénéfices et, en cas de déficit, à supporter les
pertes, constate que Mme Allard n’apporte aucun élément de preuve en ce sens
; que, par ce seul motif, elle a légalement justifié sa décision sur ce point ; Et attendu, sur la troisième
branche, que, selon le jugement du conseil de prud’hommes, M. Chantoiseau
" estime qu’au pire le différend qui l’oppose à Mme Allard pourrait se
résoudre dans le cadre d’une liquidation d’une société de fait entre
concubins " ; que cette formule n’implique pas la reconnaissance par M.
Chantoiseau de l’existence d’une telle société ; que le moyen manque dès lors
en fait ; D’où il suit qu’il ne saurait
être accueilli en aucune de ses branches ; Mais, sur le second moyen : Vu l’article 1371 du Code civil et les principes qui régissent
l’enrichissement sans cause ; Attendu que, pour écarter la demande subsidiaire, rendue recevable par le
rejet de la demande fondée sur l’existence d’un contrat de société, la
cour d’appel retient que si Mme Allard participait à l’exploitation du fonds
en servant la clientèle, il n’est nullement certain que M. Chantoiseau aurait
eu besoin sans elle d’un employé salarié, ni d’ailleurs qu’il n’en avait pas
déjà, et qu’il est impossible d’affirmer l’étendue ni même le principe de
l’appauvrissement de Mme Allard, et que l’aide apportée à son concubin ne
paraît pas avoir dépassé le cadre de la contribution aux charges du ménage
; Attendu qu’en se déterminant ainsi, alors que la
collaboration de Mme Allard à l’exploitation du fonds de commerce sans
rétribution, qui se distinguait d’une participation aux dépenses communes des
concubins, impliquait par elle-même un appauvrissement de Mme Allard et un
enrichissement de M. Chantoiseau, la cour d’appel a violé le texte et les
principes susvisés ; PAR CES MOTIFS : CASSE ET ANNULE, mais seulement
en ce qu’il a rejeté la demande fondée sur l’enrichissement sans cause,
l’arrêt rendu le 8 novembre 1993, entre les parties, par la cour d’appel
d’Angers ; remet, en conséquence, quant à ce, la cause et les parties dans
l’état où elles se trouvaient avant ledit arrêt et, pour être fait droit, les
renvoie devant la cour d’appel de Poitiers.
|
[1] Cfr. Ancel, La rédaction de la décision de justice en France, in aa. Vv., Juges et jugements : l’Europe
plurielle. L’élaboration de la décision de justice en droit comparé, (a
cura dell’Université Panthéon-Assas [Paris II], Institut de Droit Comparé de
Paris), Société de Législation Comparée, Paris, 1998, p. 91 ss. Sulla
motivazione e sullo stile delle sentenze v. inoltre il noto manuale del Mimin,
nelle sue varie edizioni, l’ultima delle quali è la seguente: Mimin, Le Style des jugements : vocabulaire, construction, dialectique, formes
juridiques, Paris, 1978; cfr. anche Schroeder,
Le nouveau style judiciaire, Paris,
1978; Perdriau, Visas, chapeaux et dispositifs des arrêts de
la Cour de cassation en matière civile, in JCP, 1986, I, 3257; Estoup,
La pratique des jugements, Paris,
1990.
[2] Cornu, La sentence en France, in Universita’ degli Studi di Ferrara, Facolta’ di
Giurisprudenza, La sentenza in
Europa. Metodo, tecnica e stile, Padova, 1988, p. 167, 169 s.
[3] Cfr. infra, § 12.
[4] Cfr. per tutti Vincent
e Guinchard, Procédure civile, Paris, 1996, p. 751 s.
[5] Ancel, op. cit., p. 95 s.
[6] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[7] Cfr. Cass. 20 novembre 2002, reperibile nella banca
dati Légifrance: «Attendu que M. Z... fait grief à l’arrêt
de s’être abstenu de viser ses conclusions d’appel en date du 8 juillet 1998,
alors, selon le moyen, qu’aux termes de l’article 455, alinéa 1, du nouveau Code de
procédure civile dans sa rédaction résultant du décret n° 98-1231 du 28 décembre 1998, le jugement doit exposer
succinctement les prétentions respectives des parties et leurs moyens, cet
exposé pouvant revêtir la forme d’un visa des conclusions des parties avec
l’indication de leur date ; qu’en s’abstenant de viser les conclusions d’appel
de M. Z... et d’indiquer leur date, la cour d’appel a violé le texte susvisé ;
Mais attendu
que la cour d’appel, si elle n’a pas usé, en ce qui concerne M. Z..., de la
faculté qui lui était offerte par ce texte de viser ses conclusions déposées au
dossier de la procédure le 8 juillet 1998, a, en statuant sur chacune des
questions en litige, exposé les moyens invoqués par ce dernier en y répondant».
[8] Vincent e Guinchard,
op. cit., p. 756.
[9] «L’exposé des moyens
présentés par les parties doit permettre de délimiter l’objet du litige (ce qui
est demandé/contesté) et sa cause (le fondement juridique de l’action
engagée)» (Ancel, op. cit., p. 95 s.).
[10] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[11] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[12] Ancel, op.
cit., p. 97.
[13] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[14] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[15] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[16] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[17] Per i cultori dell’informatica giuridica potrà essere
interessante segnalare il percorso
che ha portato al reperimento della sentenza in esame. Il caso in oggetto è
segnalato da Ancel, op. cit., p. 98, che riporta la data (16 aprile 1996) della
decisione (senza menzionare il luogo d’edizione) e ne riassume il contenuto.
Poiché la pronunzia non risulta reperibile al sito della Cour de Cassation (http://www.courdecassation.fr/),
occorre accedere al sito Légifrance,
all’indirizzo seguente:
e cliccare,
successivamente, su:
·
La jurisprudence nationale,
·
Des juridictions judiciaires,
·
Recherche experte sur cette rubrique.
Si
perviene così alla pagina seguente:
http://www.legifrance.gouv.fr/initRechExpJuriJudi.do
Nel relativo formulaire
andrà digitato, nella casella della data, «16 Avril 1996», nonché, nella
casella di testo, l’espressione «bateau».
[18] Sul tema cfr. anche Cass., 26 gennaio 1971, n. 190;
Cass., 15 gennaio 1973, n. 126; Cass., 9 dicembre 1974, n. 4128; Cass., 10
aprile 1975, n. 1326; Cass., 12 aprile 1977, n. 1367; Cass., 30 ottobre 1981,
n. 5743.
[19] Ancel, op.
cit., p. 97.
[20] Cfr. Jobard-Bachellier e Bachellier, La technique de cassation. Pourvois et arrêts en matière civile,
Paris, 2003, p. 156.
[21] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[22] Ancel, op.
loc. ultt. citt. Per un
accenno alla questione in diritto tedesco e italiano cfr. infra, § 29.
[23] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[24] Vincent e Guinchard,
op. cit., p. 756: «Ce n’est pas assez qu’il y ait des motifs dans le
jugement ; il faut encore que ces motifs soient suffisants, c’est‑à‑dire qu’ils
répondent sinon à tous les arguments fournis par les parties dans les
conclusions, du moins à tous les chefs de demande».
[25] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[26] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[27] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[28] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[29] Cfr. Jobard-Bachellier e Bachellier, op. cit., p. 161 s.
[30] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[31] Ancel, op.
loc. ultt. citt.
[32] Sul punto cfr. Dupin, De la jurisprudence des arrêts, à l’usage de ceux qui les font, et de
ceux qui les citent, in Dupin,
Opuscules de jurisprudence, Paris,
1851, p. 503 ss.
[33] Si trattava di una sorta di «pareri pro veritate»
resi dai giudici di primo grado (nella specie il Lieutenant Civil della
città di Parigi) che, pur senza possedere il valore dei famosi arrêts de
règlements (emessi dai Parlamenti), fissavano in modo permanente la
giurisprudenza su di un determinato argomento.
[34] Denisart, Actes de notoriété donnés
au Châtelet de Paris sur la jurisprudence et les usages qui s’y observent,
Paris, 1769.
[35] Si veda, puro titolo
d’esempio, le opere seguenti: Papon,
Sixième édition du recueil d’arrests notables des cours souveraines de
France, Lyon, 1586; Guy Pape, Decisiones
Guidonis Papae, iurisconsulti clarissimi, Lugduni, 1593; Charondas Le Caron, Responses et décisions du droict françois, Paris, 1612; Cambolas, Decisions notables sur
diverses questions du droit, jugées par plusieurs arrests de la Cour de
Parlement de Tolose, Tolose, 1659; Brodeau,
Recueil d’aucuns notables arrests
donnez en la cour de parlement de Paris, pris des mémoires de Mons. Maistre
Georges Loüet conseiller du Roy en icelle, II, Anvers, 1666; Jovet, La bibliothéque des arrests de tous les parlemens de France, Paris,
1669; Bardet, Recueil d’arrests du parlement de Paris, Paris, 1690; Despeisses, Oeuvres, Lyon, 1696; Brillon,
Dictionnaire des arrests, ou
jurisprudence universelle des parlemens de France, et autres tribunaux,
Paris, 1711; Blondeau e Guéret, Journal du Palais, ou Recueil des Principales Décisions de tous les
Parlemens et Cours Souveraines de France, Paris, 1737; Augeard, Arrests notables des différens tribunaux du royaume, Paris, 1756; Catellan, Observations sur les arrêts
remarquables du Parlement de Toulouse, Toulouse, 1758; Dénisart, Collection de décisions nouvelles et de notions relatives à la
jurisprudence actuelle, Paris, 1764; Russeaud
de la Combe, Recueil de
jurisprudence civile du pays de droit écrit et coutumier, par ordre aphabétique,
Paris, 1769 ; Henrys, Œuvres
de M. Claude Henrys, Paris, 1772. Per
ulteriori indicazioni cfr. Dupin, op. loc. ultt. citt.
[36] Blondeau
e Guéret, op. cit., I, p. 148.
[37] Masuer, La
practique de Masuer ancien iurisconsulte et practicien de France, mise en
françois par Antoine Fontanon, Paris, 1581.
[38] Le Maistre,
Les Plaidoyez et Harangues de Monsieur Le
Maistre, Paris, 1659; l’opera ottenne tale successo da essere tradotta in
Italiano, sotto il titolo Li placiti e
gli aringhi di M. Antonio Le Maistre (…) trasportati nella favella italiana,
Venezia, 1703.
[39] Cochin, Œuvres
de feu Mr. Cochin, écuyer, avocat au Parlement, contenant le recueil de ses
mémoires et consultations, Paris, 1762 (in sei volumi).
[40] D’Aguesseau, Œuvres de M. le Chancelier
D’Aguesseau, Paris, 1759-1789, in 13 volumi.
[41] Gorla, Lo stile delle sentenze. Testi commentati,
in Quaderni de «Il Foro italiano»,
1968, c. 376.
[42] Menochius, op.
cit., f. 1.
[43] Cravetta, Tractatus
de antiquitate temporis, Venetiis, 1576, f. 110.
[44] Bartolo da
Sassoferrato, Commentaria, VII, In Primam Codicis Partem,
Venetiis, 1602, f. 26.
[45] «Il re vuole (...) che il linguaggio del magistrato
sia il linguaggio delle leggi, che egli parli allorché esse parlano e si taccia
allorché esse non parlano o almeno non parlano chiaro». Questo auspicio,
espresso oltre due secoli fa da Gaetano Filangieri (Filangieri, Riflessioni politiche sull’ultima legge del
nostro sovrano che riguarda l’amministrazione della giustizia, in La
scienza della legislazione e gli opuscoli scelti, Livorno, 1826-1827, p.
350; Gaetano Filangieri, nato nel 1752, morì nel 1788; La scienza della
legislazione fu pubblicata tra il 1780 e il 1785), non è che il riflesso
dell’illusione – propria al secolo dei Lumi – secondo cui un sistema complesso,
quale quello delle moderne legislazioni, potrebbe e dovrebbe esprimersi attraverso
leggi sempre chiare, semplici e comprensibili da parte di ogni cittadino. Tra i
tanti esempi v. Beccaria, Dei
delitti e delle pene, IV, Interpretazione Delle Leggi (in Beccaria, Dei delitti e delle pene,
a cura di Piero Calamandrei, Firenze, 1945, p. 174 ss.; l’opera venne
pubblicata per la prima volta nel 1764): «In ogni delitto si deve fare dal
giudice un sillogismo perfetto; la [premessa] maggiore dev’essere la legge
generale; la minore, l’azione conforme, o no, alla legge; la conseguenza, la
libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli
due sillogismi, si apre la porta all’incertezza. Non v’è cosa più pericolosa di
quell’assioma comune, che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è
un argine rotto al torrente delle opinioni. Questa verità, che sembra un
paradosso alle menti volgari, più percosse da un picciol disordine presente,
che dalle funeste ma rimote conseguenze che nascono da un falso principio
radicato in una nazione, mi sembra dimostrata. (…) Un disordine che nasce dalla
rigorosa osservanza della lettera di una legge penale, non è da mettersi in
confronto co’ disordini che nascono dalla interpretazione. Un tale momentaneo
inconveniente spinge a fare la facile e necessaria correzione alle parole della
legge, che sono la cagione dell’incertezza; ma impedisce la fatale licenza di
ragionare, da cui nascono le arbitrarie e venali controversie. Quando un codice
fisso di leggi, che si debbono osservare alla lettera, non lascia al giudice
altra incombenza, che di esaminare le azioni de’ cittadini, e giudicarle
conformi o difformi alla legge scritta; quando la norma del giusto o
dell’ingiusto, che deve diriger le azioni sì del cittadino ignorante, come del
cittadino filosofo, non è un affare di controversia, ma di fatto: allora i
sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie di molti, tanto più crudeli,
quanto è minore la distanza fra chi soffre e chi fa soffrire (…). Così
acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi, che è la giusta, perché
è lo scopo per cui gli uomini stanno in società» (sul tema qui in discussione
v. inoltre G. Zagrebelsky, Ordinamenti giuridici pluralistici ed
applicazione automatica della legge, in Informatica
e attività giuridica, Atti del 5° Congresso Internazionale, a cura di Fanelli e Giannantonio, Roma, 3-7
maggio 1993, I, Roma, 1994, p. 273 ss.; Id.,
Il diritto mite, Torino, 1992, p. 20
ss.; sull’argomento della discrezionalità del giudice e dei suoi rapporti con
le fonti normative cfr., ex multis, Barak, Judicial Discretion, ed.
italiana dal titolo La discrezionalità del giudice, Milano, 1995, passim).
[46] Talora praticato già sotto l’Ancien Régime
(allorquando i Parlamenti invitavano le parti a rivolgersi al re per avere
un’interpretazione della legge), introdotto come istituto generale dalla legge
del 16-24 agosto 1790, il référé
législatif consentiva ai giudici di rivolgersi «au corps législatif, toutes
les fois qu’ils croiront nécessaire d’interpréter une loi». L’istituto venne quasi
del tutto eliminato dal Code Napoléon
e scomparve definitivamente nel 1837 (sul tema cfr. Merlin, Répertoire
universel et raisonné de jurisprudence, XI, Paris, 1815, p. 104 s.).
[47] «Le juge qui refusera de
juger, sous prétexte du silence, de l’obscurité ou de l’insuffisance de la loi,
pourra être poursuivi comme coupable de déni de justice» (art. 4); sul tema si
veda il parere espresso da Portalis durante la seduta del Consiglio di Stato
del 14 Termidoro anno IX sul Titolo preliminare del codice civile: «... le
cours de la justice serait interrompu, s’il n’était permis aux juges de
prononcer que lorsque la loi a parlé. Peu de causes sont susceptibles d’être
décidées d’après une loi, d’après un texte précis : c’est par les principes
généraux, par la doctrine, par la science du droit, qu’on a toujours prononcé
sur la plupart des contestations. Le Code civil ne dispense pas de ces
connaissances ; au contraire il les suppose» (cfr. Jouanneau e Solon, Discussions du Code civil dans le Conseil
d’Etat, I, Paris, 1805).
[48] Per un esempio al riguardo v. la sentenza del
Parlamento di Aix-en-Provence datata 19 febbraio 1685, che non solo decretò la
nullità di una separazione consensuale ricevuta da notaio, ma che fece divieto
a tutti i notai di ricevere per il futuro tale genere di atti (cfr. Oberto, Gli accordi sulle conseguenze
patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella
prospettiva storica, nota a Cass., 20 marzo 1998, n. 2955, in Foro it.,
1999, I, c. 1316 ss.).
[49] «Il n’y a point (…) de
liberté si la puissance de juger n’est pas séparée de la puissance législative
et de l’exécutrice. Si elle était jointe à la puissance législative, le pouvoir
sur la vie et la liberté des citoyens serait arbitraire ; car le juge serait
législateur. Si elle était jointe à la puissance exécutrice, le juge pourrait
avoir la force d’un oppresseur. Tout serait perdu si le même homme, ou le même
corps des principaux, ou des nobles, ou du peuple exerçait ces trois pouvoirs :
celui de faire les lois, celui d’exécuter les résolutions publiques et celui de
juger les crimes ou les différends des particuliers» (Montesquieu, De
l’esprit des lois, Genève, 1748, Livre XI, Chapitre VI).
[50] Cfr. l’art. 15, tit. V, della legge 16-24 agosto
1790, nonché l’art. 94 della costituzione del 1793, l’art. 22, tit. III della
costituzione del 1793 e l’art. 208 della costituzione del 1795 (secondo
quest’ultima norma «les jugements sont motivés et on y énonce les termes de la
loi appliquée»). Sul punto v. Taruffo, L’obbligo della motivazione della sentenza civile tra diritto comune e
illuminismo, cit., p. 270 ss. che propende per la tesi
secondo cui l’obbligo di motivazione sarebbe un portato non tanto della
dottrina dell’illuminismo, quanto piuttosto della sola Rivoluzione, ossia di «una particolare situazione storica in cui
emerge a livello politico il principio per cui il controllo democratico sulla
gestione del potere deve essere esercitato anche in ordine alla funzione
giurisdizionale».
[51] Touffait e Tunc,
Pour une motivation plus explicite des
décisions de justice, notamment celles de la Cour de cassation, in Rev.
trim. dr. civ., 1974, p.
487; Perelman e Foriers, La motivation des décisions
de justice, Travaux du
Centre national de recherche de logique, Bruxelles, 1978; Welamson, La motivation des décisions des cours judiciaires suprêmes, in Rev.
int. dr. comp., 1979,
p. 509; Legros, Essai sur la
motivation, Dijon, 1987; Estoup, Une réforme souhaitable, l’assouplissement de certaines des règles
relatives à la motivation, in Gaz. Pal, 9 août 1990, Doctr.; Mouly,
La motivation des arrêts d’appel,
atti del colloque di Aix, 11 e
12 dicembre 1993, Aix, 1994, p. 87 ss.; Vincent
e Guinchard, op. cit., p. 755.
[52] Gorla, Lo stile delle sentenze. Testi commentati,
in Quaderni de «Il Foro italiano»,
1968, c. 454 ss.
[53] David, Le
droit français, Parigi, 1960, p. 163, nota 1.
[54] Gorla, Lo stile delle sentenze. Testi commentati,
cit., c. 454 ss.
[55] Mimin, Le
Style des jugements : vocabulaire, construction, dialectique, formes
juridiques, Paris, 1962, riportato da Gorla,
Lo stile delle sentenze. Testi
commentati, cit., c. 486.
[56] Mimin, op. cit., riportato da Gorla, Lo stile delle sentenze. Testi commentati, cit., c. 487.
[57] Mimin, op. cit., riportato da Gorla, Lo stile delle sentenze. Testi commentati, cit., c. 487.
[58] Mimin, op. cit., riportato da Gorla, Lo stile delle sentenze. Testi commentati, cit., c. 489.
[59] Mimin, op. cit., riportato da Gorla, Lo stile delle sentenze. Testi commentati, cit., c. 488.
[60] Mimin, op. cit., riportato da Gorla, Lo stile delle sentenze. Testi commentati, cit., c. 488.
[61] Gorla, Lo stile delle sentenze. Testi commentati,
cit., c. 488.
[62] Cfr. Jobard-Bachellier
e Bachellier, op. cit., p. 24 ss.
[63] Cfr.
Touffait e Mallet, La mort des
Attendus?, in Rec. Dalloz Sirey,
1968, p. 123 ss. e in Foro it., 1968,
V, c. 102 ss.