CAPITOLO I
I PROCEDIMENTI RELATIVI ALLA CRISI
CONIUGALE:
PROFILI PROCESSUALI REGOLATI DAL DIRITTO
COMUNITARIO
Sommario:
2. A chi si applica il regolamento n. 2201/2003?
3. Come si determina la competenza giurisdizionale?
4. Come si esaminano la competenza giurisdizionale e la
procedibilità dell’azione?
5. Come avviene il riconoscimento delle decisioni?
6. Due casi pratici in tema di contenzioso familiare transfrontaliero.
1.
Generalità.
Il
tema in esame inserisce nel più vasto concetto di cooperazione giudiziaria in
materia civile all’interno degli Stati Membri dell’U.E.
Rilevanti
al riguardo sono le decisioni assunte dal Consiglio Europeo (cioè dall’organismo
composto dai Capi di Stato e di Governo dei quindici Stati) tenutosi a Tampere
(Finlandia) il 15 e 16 ottobre 1999. La decisione di dedicare una
riunione straordinaria ai temi della realizzazione di uno «spazio di
libertà, sicurezza e giustizia» era stata adottata in vista
dell’entrata in vigore del Trattato
di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997, entrato in vigore il
1° maggio 1999, nel cui art. 1 vengono espressamente incluse, tra gli obiettivi
dell’Unione, le tematiche relative all’attuazione di tale spazio.
In
realtà, già il Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) prevedeva la
cooperazione in materia di giustizia e affari interni, quale corollario alla
realizzazione di una sempre maggiore circolazione dei cittadini
dell’Unione attraverso le frontiere interne e la tendenziale
realizzazione di un’unica frontiera esterna.
A
seguito del Trattato di Maastricht,
come è noto, si è voluto configurare l’Unione Europea come
il basamento di un tempio, fondato su tre pilastri.
‑
Primo pilastro, rappresentato dalla Comunità Europea, che impiega gli strumenti
giuridici e le procedure definiti dai trattati istitutivi delle tre originarie
Comunità (CEE, CECA e CEEA),
‑
Secondo pilastro, che si occupa della Politica estera e di sicurezza comune (PESC),
con lo scopo di consentire all’Unione di affermare la propria
identità nel contesto internazionale;
‑
Terzo pilastro, nel quale viene disciplinata la cooperazione nei
settori della giustizia e
degli affari interni, che, nell’originaria impalcatura delineata
nel Trattato di Maastricht, comprende la cooperazione giudiziaria penale (Art.
K1, del titolo VI del T.U.E.), secondo un assetto che è stato in parte
modificato dal Trattato di Amsterdam.
Il
Trattato di Amsterdam
ha comunitarizzato
la materia della cooperazione
giudiziaria civile, introducendo nel trattato
CE un nuovo Titolo IV, contenente disposizioni specifiche sulla
cooperazione giudiziaria in materia civile e trasferendo siffatta materia all’interno del c.d.
«primo pilastro», vale a dire quello in cui dal modello di cooperazione tra stati
(che si manifestava attraverso la conclusione di convenzioni internazionali) si
passa ad un modello di vera e propria integrazione a livello sovranazionale, con la
possibilità per gli organi comunitari di intervenire con gli strumenti
tipico della Comunità Europea, ed in particolare con i regolamenti.
Più
esattamente, all’art.
61 ha previsto la progressiva istituzione di uno «spazio di libertà,
di sicurezza e giustizia». A tale scopo, entro 5 anni dalla data
di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, avvenuta il 1° maggio 1999,
il trattato di Amsterdam ha previsto l’adozione da parte del
Consiglio di misure nel settore della cooperazione giudiziaria civile.
Il
successivo art.
65 ha previsto l’adozione di «misure nel settore della cooperazione giudiziaria
in materia civile che presenti implicazioni transfrontaliere e per quanto
necessario al corretto funzionamento del mercato interno» ed
in particolare:
a) il
miglioramento e la semplificazione:
·
del sistema per
la notifica transnazionale degli atti giudiziari ed extragiudiziali
·
della
cooperazione nell’assunzione dei mezzi di prova
·
del
riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia civile e
commerciale
b) la
promozione della compatibilità delle regole applicabili negli Stati
membri ai conflitti di leggi e di competenza giurisdizionale
c)
l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei processi
civili, se necessario promovendo la compatibilità delle norme di
procedura civile applicabili negli Stati membri.
Il
Consiglio potrà inoltre adottare «misure atte a garantire la
cooperazione tra i pertinenti servizi delle amministrazioni degli Stati
membri» nelle materie disciplinate dal Titolo IV TCE (art. 66 TCE).
In
vista dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam venne così adottato
il Piano
d’azione di Vienna (adottato il 3 dicembre 1998), al fine di
migliorare e semplificare le norme e procedure relative alla cooperazione e
comunicazione tra autorità e alle decisioni di esecuzione, promovendo la
compatibilità tra le norme di conflitto e le nome sulla competenza
giurisdizionale, nonché eliminando gli ostacoli al buon funzionamento
delle procedure civili in uno spazio giudiziario europeo.
Attualmente, l’art. 81 della Versione
consolidata del trattato sull’Unione europea e del trattato sul
funzionamento dell’Unione europea (2008/C 115/01) stabilisce
quanto segue:
Articolo 81 (ex articolo 65 del TCE) 1. L’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie
civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento
reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione
può includere l’adozione
di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari
degli Stati membri. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo
e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria,
adottano, in particolare se necessario al buon funzionamento del mercato
interno, misure volte a garantire: a) il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie
ed extragiudiziali e la loro esecuzione; b) la notificazione e la comunicazione
transnazionali degli atti giudiziari ed extragiudiziali; c) la compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri
ai conflitti di leggi e di giurisdizione; d) la cooperazione nell’assunzione dei mezzi
di prova; e) un accesso effettivo alla giustizia; f) l’eliminazione degli ostacoli al corretto
svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la
compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati
membri; g) lo sviluppo di metodi alternativi per la
risoluzione delle controversie; h) un sostegno alla formazione dei magistrati e
degli operatori giudiziari. 3. In deroga al paragrafo 2, le misure relative al
diritto di famiglia
aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che delibera
secondo una procedura legislativa speciale. Il Consiglio delibera
all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Il Consiglio, su proposta della Commissione,
può adottare una decisione che determina gli aspetti del diritto di
famiglia aventi implicazioni transnazionali e che potrebbero formare oggetto
di atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio
delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. I parlamenti nazionali sono informati della
proposta di cui al secondo comma. Se un parlamento nazionale comunica la sua
opposizione entro sei mesi dalla data di tale informazione, la decisione non
è adottata. In mancanza di opposizione, il Consiglio può
adottare la decisione. |
In applicazione dei predetti principi generali le
autorità europee sono dunque intervenute con lo strumento legislativo
tipico della legislazione comunitaria, vale a dire con il regolamento.
Nel
2000, il Consiglio ha adottato il Regolamento
(CE) n. 1347/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla
competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia
matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi
i coniugi. Tale strumento, denominato anche comunemente «Bruxelles II»,
è stato poco tempo dopo sostuito dal Regolamento
(CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla
competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia
matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il
regolamento (CE) n. 1347/2000, applicabile dal 1° marzo 2005 (questo
regolamento viene usualmente denominato «Bruxelles II bis»).
Tale nuovo strumento non ha modificato le norme su competenza, riconoscimento ed esecuzione
delle decisioni in materia matrimoniale di cui al regolamento precedente,
apportando invece alcune importanti modifiche in relazione alla materia della
responsabilità parentale. Neppure questo regolamento si applica alla
Danimarca.
Venendo
ai tratti salienti
della disciplina in vigore, va detto che il regolamento stabilisce, tra
l’altro:
Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 «Bruxelles II bis» (così come, del resto, il precedente «Bruxelles II» o come quello n. 44/2001, detto anche «Bruxelles I») concerne solo la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze, ma non stabilisce quale legge nazionale dovranno applicare i tribunali. La soluzione a questo interrogativo dipende dalle disposizioni di diritto internazionale privato di ciascuno dei paesi membri. Anche qui, peraltro, come avrà modo di vedere, l’Unione Europea sta per intervenire, con l’adozione di un nuovo regolamento (c.d. «Roma III»), che disciplinerà in maniera uniforme le regole in tema di diritto applicabile, lasciando – tra l’altro – ai coniugi ampie facoltà di scelta, anche in merito alla determinazione del tribunale competente.
Ai
sensi dell’art. 1, il Regolamento
(CE) n. 2201/2003 si
applica, indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale,
alle materie civili relative:
a) al divorzio,
alla separazione
personale e all’annullamento
del matrimonio;
b) all’attribuzione, all’esercizio, alla
delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale.
Le
materie attinenti alla responsabilità
genitoriale (o potestà parentale) riguardano in particolare:
a) il diritto di affidamento e il diritto di visita;
b) la tutela,
la curatela ed
altri istituti analoghi;
c) la designazione e le funzioni di qualsiasi persona o
ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che
lo rappresentino o assistano;
d) la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un
istituto;
e) le misure di protezione del minore legate
all’amministrazione, alla conservazione o all’alienazione dei beni
del minore.
Il
regolamento non si applica:
a) alla determinazione o all’impugnazione della
filiazione;
b) alla decisione relativa all’adozione, alle
misure che la preparano o all’annullamento o alla revoca
dell’adozione;
c) ai nomi e ai cognomi del minore;
d) all’emancipazione;
e) alle obbligazioni alimentari;
f) ai trust e
alle successioni;
g) ai provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi
da minori.
Lasciando
per il momento da parte le questioni relative all’esercizio della
potestà dei genitori (che nella normativa comunitaria assume il nome di
responsabilità parentale), vediamo che gli effetti principali del
regolamento attengono all’individuazione,
Potremo
ora soffermarci con maggiore dettaglio sugli aspetti caratteristici di tali
profili.
3. Come si determina la competenza
giurisdizionale?
Ai
sensi dell’art.
3 sono competenti a pronunciare una sentenza di divorzio (o annullamento, o
separazione personale) i tribunali dello Stato membro:
a) nel cui territorio si trova:
·
la residenza abituale dei
coniugi, o
·
l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o
·
la residenza abituale del convenuto, o
·
in caso di domanda congiunta, la
residenza abituale di uno
dei coniugi, o
·
la residenza
abituale dell’attore
o
se questi vi ha
risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o
o
la residenza
abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi
immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro
stesso o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, ha ivi il proprio
“domicile”;
b) di cui i due coniugi sono cittadini o, nel caso del Regno Unito e
dell’Irlanda, del “domicile” di entrambi i coniugi.
Le
parti non possono scegliere un tribunale diverso da quelli sopra menzionati.
Da notare che i criteri
testé menzionati, ed in particolare quello della comune residenza dei coniugi (unitamente a
quello di cui alla l.
218/95, che rimanda al concetto di «vita matrimoniale prevalentemente
localizzata»: cfr. ad es. artt. 29 e
La normativa di cui alla
l. 80/05 ha invece
previsto quello dell’ultima
residenza comune quale foro inderogabile, ai sensi del combinato disposto dagli artt.
28 (foro non derogabile dall’accordo delle parti) e 70 c.p.c. (che
sancisce l’obbligatorietà dell’intervento del P.M. nelle
cause matrimoniali, comprese le separazioni), per cui la incompetenza
può essere rilevata d’ufficio. Solo nella rarissima ipotesi in cui non vi sia mai stata una
residenza comune si potrà ricorrere alla regola generale di cui all’art. 18 c.p.c.
(foro del convenuto); nel caso in cui il convenuto dovesse risultare residente
all’estero o irreperibile, è consentito proporre la domanda nel
luogo di residenza o domicilio del ricorrente e, se questi è residente
all’estero, presso qualunque tribunale della Repubblica. Per le sole cause di divorzio su
domanda congiunta, invece, l’art.
4, primo comma, u.p., l.div. nella sua versione attuale, stabilisce che «la domanda congiunta può essere
proposta al Tribunale del luogo di residenza o domicilio dell’uno o dell’altro coniuge».
4.
Come si esaminano la competenza giurisdizionale e la procedibilità
dell’azione?
Ai
sensi dell’art.
17, il giudice di uno Stato membro, investito di una controversia per la
quale non ha competenza in base al presente regolamento e per la quale, sempre
in base al presente regolamento, è invece competente un giudice di un
altro Stato membro, dichiara
d’ufficio la propria incompetenza.
Qualora
vengano adite le giurisdizioni competenti di diversi Stati membri per una
procedura relativa alle
stesse parti, si pronuncia sulla competenza circa la domanda di divorzio
(o d’annullamento o di separazione) quella che è stata adita per prima. In altri
termini, se un tribunale viene adito, è competente a decidere sulla sua
competenza giurisdizionale, anche se successivamente ne viene adito un altro.
Questo naturalmente non significa che il giudice adito per primo sia per
ciò solo competente in merito alla causa da decidere, ma semplicemente
che il giudice adito per primo è competente a decidere sulla competenza.
Ai sensi dell’art.
19, il giudice successivamente
adito sospende d’ufficio il procedimento finché non sia
stata accertata la competenza del giudice preventivamente adito (accertamento
che va effettuato da parte di quest’ultimo giudice). Quando la competenza
del giudice previamente adito è stata accertata (dallo stesso giudice
preventivamente adito), il giudice successivamente adito dichiara la propria incompetenza
a favore del giudice preventivamente adito. Evidentemente, se il giudice
preventivamente adito si dichiarerà invece incompetente, il procedimento
dinanzi al secondo giudice potrà proseguire.
Ai
fini del citato articolo il giudice si considera adito (cfr. art. 16):
a)
nei procedimenti
che si instaurano con il deposito di una domanda presso il giudice (si pensi alle
procedure italiane di separazione o divorzio), alla data in cui la domanda
giudiziale o un atto equivalente è depositato presso il giudice, purché
successivamente l’attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui
era tenuto affinché fosse effettuata la notificazione al convenuto, o
b) se l’atto deve essere notificato prima di essere depositato
presso il giudice (si pensi alle procedure italiane per l’annullamento
del matrimonio), alla data in cui l’autorità competente ai fini
della notificazione lo riceve, purché successivamente l’attore non
abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché
l’atto fosse depositato presso il giudice.
5. Come avviene
il riconoscimento delle decisioni?
·
Di norma, una
sentenza di divorzio (o di annullamento o di separazione), pronunciata in uno
Stato membro, è automaticamente
riconosciuta dagli altri Stati membri senza particolari procedure (cfr. art. 21).
·
Tuttavia, la
persona interessata
può chiedere che il giudice non riconosca la sentenza di divorzio. Ciò nel caso in
cui, per esempio, tale riconoscimento è palesemente contrario all’ordine pubblico o, a determinate
condizioni, se la decisione è contraria a un’altra decisione o
ancora se l’atto introduttivo non sia stato comunicato o notificato al
convenuto contumace in tempo utile e in modo tale che questi possa provvedere
alla propria difesa.
·
Grazie al
riconoscimento delle decisioni, non è richiesta alcuna procedura per l’aggiornamento degli atti
di stato civile di uno Stato membro. La domanda deve essere fatta sulla
base di una sentenza di divorzio (o di separazione personale o di annullamento
di matrimonio) che sia definitiva
e non possa essere oggetto di ricorso sulla base della normativa di tale Stato
membro.
·
Ai sensi dell’art.
24 è fatto divieto di procedere al riesame della competenza giurisdizionale del
giudice d’origine e il criterio dell’ordine pubblico non può
essere applicato alle norme sulla competenza.
·
Il riconoscimento
di una decisione di divorzio, separazione personale o annullamento del
matrimonio non può
essere negato perché la legge dello Stato membro richiesto non
prevede per i medesimi fatti il divorzio, la separazione personale o
l’annullamento del matrimonio (art. 25).
La disposizione sembra qui evidenziare la presenza di un vero e proprio favor divortii.
·
In nessun caso la
decisione può formare oggetto di un riesame del merito (art. 26).
Da segnalare, per i profili tecnici,
un’utilissima Guida
pratica all’applicazione del nuovo regolamento Bruxelles II,
predisposta dai servizi della Commissione con la consulenza della Rete giudiziaria europea
in materia civile e commerciale, disponibile all’indirizzo web
seguente:
http://ec.europa.eu/civiljustice/parental_resp/parental_resp_ec_vdm_it.pdf.
Per
ulteriori approfondimenti si fa rinvio allo scritto dal titolo Schema ipertestuale di una relazione sul tema: Il Regolamento del Consiglio (Ce) n.
1347/2000 del 29 maggio 2000 relativo alla competenza, al riconoscimento e
all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di
responsabilità parentale nei confronti dei figli comuni, disponibile
al sito seguente:
http://giacomooberto.com/regolamentouetorino/schema.htm.
6.
Due casi pratici in tema di contenzioso familiare transfrontaliero.
Venendo all’esemplificazione pratica di alcuni
aspetti attinenti al contenzioso familiare transfrontaliero nell’ambito
dei Paesi U.E. si potranno riportare e discutere i due seguenti casi:
· Caso Chorley v
Chorley, in materia di accertamento
della prevezione ai fini dell’applicazione delle norme in tema di
litispendenza nel caso di proposizione di una causa di divorzio tra le stesse
parti in Francia e in Gran Bretagna. La fattispecie è esposta e trattata
all’indirizzo web seguente:
https://www.giacomooberto.com/casipratici/1_litispendenza_chorley/casochorley.htm;
· Caso risolto dalla Cour
de cassation francese con sentenza del 14 dicembre