IL TRUST
FAMILIARE(*)
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«The greatest trust between man
and man is the trust of giving counsel». |
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Sommario: ·
1.
Una «stagione della negozialità» per coniugi e conviventi. ·
2. Famiglia legittima, famiglia di fatto
e trust di creazione giudiziale nei
sistemi di common law. ·
3. Il dibattito sull’ammissibilità di un trust «interno». La Convenzione dell’Aja:
generalità. ·
4. Il
dibattito sull’ammissibilità di un trust
«interno». I principali siti web
sulla materia. ·
5. Il dibattito
sull’ammissibilità di un trust
«interno». La Convenzione dell’Aja: il suo carattere internazionale e l’impossibilità
di desumerne norme di diritto materiale interno. ·
6. Trust «interno» e
Convenzione dell’Aja. Alcune schematiche considerazioni sull’oggetto della
Convenzione. ·
7.
Trust «interno» e Convenzione dell’Aja. Alcune
schematiche considerazioni sulla legge regolatrice. ·
8.
Trust «interno» e Convenzione dell’Aja. Alcune
schematiche considerazioni sul riconoscimento del trust. ·
9.
Il dibattito sull’ammissibilità di un trust «interno». Impossibilità
di fondare su disposizioni del codice civile la «segregazione» patrimoniale quale fenomeno generale. ·
10. Il trust «interno» nella giurisprudenza
italiana. Trib. Bologna, 1 ottobre 2003. ·
11. Il trust «interno» nella giurisprudenza
italiana. Trib. Brescia, 12 ottobre 2004. ·
12. Il trust «interno» nella giurisprudenza
italiana. Trib. Belluno, 25 settembre 2002. ·
13. Gli effetti del trust «interno» nella giurisprudenza
italiana. L’uso in frode ai creditori. ·
14. La pubblicità del trust «interno» nella giurisprudenza
italiana. ·
15.
Trust e dote. Operatività ed estensione del divieto di
cui all’art. 166-bis c.c. ·
16.
Trust e dote. Un caso pratico piuttosto singolare. ·
17.
Trust e altri limiti all’autonomia negoziale dei
coniugi in sede di stipula delle convenzioni matrimoniali (in particolare
quelli di cui agli artt. 160 e 161 c.c.). ·
18.
Sui rapporti fra trust, convenzione matrimoniale e regime patrimoniale
(in particolare sull’applicabilità all’atto costitutivo di un trust
fra coniugi degli artt. da 162 a 166 c.c.). ·
19.
Trust e limiti all’autonomia negoziale dei coniugi in
regime di comunione legale o convenzionale. ·
20.
Trust e fondo patrimoniale. ·
21.
Trust e crisi coniugale. ·
22.
Trust e famiglia di fatto. ·
23.
Trust e vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c.
Rinvio. |
||
1. Una «stagione
della negozialità» per
coniugi e conviventi.
Il dibattito sul ricorso ai trusts nel campo
dei rapporti familiari si inserisce in quella «stagione della negozialità» che da tempo sta
progressivamente interessando la famiglia italiana. Il passaggio, invero, dalla
«concezione istituzionale»
[1] alla «concezione costituzionale» della famiglia [2], ha spianato la via ad una nozione di negozio
giuridico familiare cui è possibile applicare (in difetto di speciali deroghe normative)
la disciplina generale dettata dal codice per il contratto, secondo
quell’insegnamento di Francesco Santoro-Passarelli [3] che può ormai dirsi recepito anche dalla
giurisprudenza. Quest’ultima, per esempio, riconosce da tempo il carattere
negoziale dell’accordo di separazione personale, di quello di divorzio su
domanda congiunta, nonché di quelle particolari intese di carattere
patrimoniale concluse in sede, in occasione, o anche solo in vista della
separazione personale, della separazione di fatto, del divorzio o
dell’annullamento del matrimonio, già qualificate dallo scrivente come «contratti della crisi coniugale»
[4].
Lo stesso vale per gli accordi costituenti il
«contenuto eventuale» [5] dell’accordo
di separazione consensuale, laddove nemmeno la dottrina sembra ormai più
dubitare della natura non solo negoziale, bensì addirittura contrattuale di questi
atti, allorquando gli stessi (come per lo più accade) abbiano ad oggetto
prestazioni di carattere patrimoniale [6]. Anche qui l’art. 1322 c.c. ha ricevuto concreta
applicazione in un’innumerevole serie di casi che hanno portato il «diritto
vivente» a determinare, in nome del principio dell’autonomia privata (sovente
espressamente menzionato nelle motivazioni delle decisioni), una vera e propria
dilatazione dell’usuale contenuto dell’accordo di separazione, ben al di là di
quegli angusti limiti in cui alcuni autori lo avrebbero voluto inquadrare [7].
Si è così deciso, per esempio, in relazione ad una
complessa pattuizione
transattiva di tutti i rapporti nati dal vincolo coniugale, che
l’accordo dei coniugi sottoposto all’omologazione del tribunale ben può
contenere rapporti patrimoniali anche «non immediatamente riferibili, né
collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed agli obblighi
derivanti dal matrimonio» [8].
L’affermazione della negozialità tra coniugi (in crisi
e non) è giunta al punto che non destano neppure più stupore, nell’osservatore
della giurisprudenza di legittimità, affermazioni del genere di quella secondo
cui «i rapporti patrimoniali tra i coniugi separati hanno rilevanza solo per
le parti, non essendovi coinvolto alcun pubblico interesse, per cui essi sono pienamente disponibili
e rientrano nella loro autonomia privata» [9], o di quella per cui «In materia di assegno di
divorzio, che costituisce
oggetto di un diritto disponibile, condizionato unicamente
dall’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente per conservare il tenore
di vita condotto in costanza di matrimonio, il detto coniuge è gravato
dall’onere non intaccato dai poteri officiosi di indagine spettanti al giudice
di dedurre e dimostrare, con idonei mezzi di prova, per ciò che concerne l’an debeatur,
quale fosse tale tenore di vita e quale deterioramento ne sia conseguito per
effetto del divorzio, e, per quanto concerne il quantum, tutte le circostanze suscettibili di essere valutate dal
giudice alla luce dei criteri legislativi per la determinazione dell’assegno,
senza che la sussistenza di un deterioramento siffatto possa desumersi dalla
mera circostanza di un sensibile divario di condizioni reddituali in danno del
coniuge richiedente» [10].
In un crescendo che conosce ormai ben poche battute
d’arresto [11] si sono così fondati i rapporti personali e
contributivi dei coniugi sulla regola dell’accordo [12], si è consolidata la tesi della natura contrattuale delle convenzioni
matrimoniali [13], si è ammessa una rimarcabile sfera di autonomia con
riguardo ai regimi
patrimoniali [14], si è concessa la più ampia libertà negoziale nei
momenti salienti che caratterizzano il fenomeno della crisi coniugale [15], mentre, sul versante della famiglia di fatto, si è
venuta affermando la validità dei contratti di convivenza e, più in generale, di tutte le intese
patrimoniali in seno al rapporto more uxorio, purché rispettose dei canoni
previsti per il contratto in generale [16]. Ciò, del resto, conformemente a un’evoluzione che sta
caratterizzando le legislazioni di ogni parte d’Europa, se è vero come è
vero che proprio nella direzione della negozialità e non certo in quella dell’imposizione
di effetti giuridici conseguenti alla sola sussistenza del ménage de fait,
si muovono le soluzioni normative che di recente, in vari paesi del nostro
continente, si sono prefissate di affrontare e risolvere i problemi giuridici
posti dalle convivenze omo- ed eterosessuali.
Questa stessa impostazione sembra ormai destinata a
lasciare tracce sempre più profonde anche nella normativa sovranazionale [17]. Infatti, il regolamento «Bruxelles II bis» dell’Unione
Europea in tema di competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in
materia matrimoniale e di responsabilità parentale, abrogativo del regolamento
precedentemente in vigore in questo campo (il n° 1347/2000), recante la data
del 27 novembre 2003 e il n° 2201/2003
prevede, all’art. 46,
che «Les actes authentiques reçus et exécutoires dans un État membre ainsi que les accords
entre parties exécutoires dans l’État membre d’origine sont reconnus et rendus
exécutoires dans les mêmes conditions que des décisions».
La
differenza rispetto al regolamento previgente appare evidente: mentre
quest’ultimo si limitava (cfr. art. 13, 3° co.) ad equiparare alle decisioni
«les actes authentiques reçus et exécutoires dans un État membre ainsi que les
transactions conclues devant une juridiction au cours d’une instance et
exécutoires dans l’État membre d’origine», con la conseguenza che, per esempio,
nel nostro ordinamento esso appare riferibile ai soli accordi tra coniugi
omologati in sede di separazione consensuale [18], questo strumento è applicabile anche alle intese non
omologate [19], dovendosi qui riferire il concetto di «esecutorietà»
a quella vincolatività che, nel nostro ordinamento, è espressa dall’art. 1372
c.c. [20].
Ma ciò che più rileva ai fini della presente indagine,
è che il nuovo strumento viene ad incidere – a differenza di quello attualmente
in vigore – proprio sul settore della potestà genitoriale sui figli tanto
legittimi che naturali: tra gli accordi cui fa riferimento la norma in oggetto
ben potranno dunque rientrare anche quelli relativi all’esercizio della potestà
conclusi tra genitori coniugati, ovvero anche solo conviventi nell’ambito di
una famiglia di fatto, ovvero al momento della rottura di quest’ultima.
Volgendo nuovamente lo sguardo alla situazione
italiana, possiamo infine aggiungere che, già da tempo, quale coronamento della
descritta evoluzione, è stata riconosciuta, da parte del nostro stesso
Legislatore, l’esistenza della categoria dei «contratti disciplinati dal diritto di famiglia», a
conferma della praticabilità di un accostamento – quello, per l’appunto, tra
contratto e famiglia – che ancora sino a non molto tempo fa poteva apparire
ardito.
Ci si intende qui riferire all’art. 11 d. legis. 9
aprile 2003, n. 70 «Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni
aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato
interno, con particolare riferimento al commercio elettronico», il quale
stabilisce l’inapplicabilità della relativa regolamentazione ai «contratti
disciplinati dal diritto di famiglia» [21].
In questo scenario non poteva dunque non porsi anche
la questione dei rapporti con uno strumento come il trust, che costituisce
per eccellenza espressione dell’autonomia dei privati [22].
2. Famiglia legittima, famiglia di fatto e trust di creazione giudiziale nei sistemi di common law.
E’
da notare, prima di tutto, che il trust rappresenta proprio uno di quei
terreni su cui, nei paesi di common law, famiglia legittima e famiglia di fatto sono venute più
spesso ad incontrarsi, così dimostrando, una volta di più, d’essere
null’altro che due facce di una stessa medaglia: «pile et face – come
icasticamente messo in luce da una attenta sociologa della famiglia – d’une
même contractualisation des rapports privés» [23].
Nella giurisprudenza inglese, infatti, il trust è stato
impiegato per risolvere problemi sostanzialmente di arricchimento
ingiustificato derivante dal fatto che nel corso della convivenza (matrimoniale
o meno) di due persone si siano acquistati beni «intestati» ad una sola di esse, ma al cui acquisto
abbia in qualche modo contribuito
anche l’altra, mediante prestazioni consistenti vuoi in un dare (si
pensi alla consegna di una somma di denaro, o di un bene da offrire in permuta,
o al pagamento del prezzo d’acquisto), vuoi in un facere (si pensi ai
lavori di costruzione o di restauro di immobili eseguiti dall’uno sul fondo
dell’altro). La soluzione escogitata al riguardo consiste proprio
nell’applicazione dell’istituto del trust, che consente di riconoscere
nei casi suddetti l’esistenza, in capo al soggetto «pretermesso», di un beneficial
interest su singoli cespiti (si tratta per lo più della casa d’abitazione)
acquistati dall’altro e a questi «intestati».
L’espediente è agevolato dal fatto che, nel common
law, esiste un principio
generale in base al quale, allorquando un certo bene viene acquistato
formalmente da un soggetto diverso da colui che ha fornito il denaro necessario
per l’acquisto, la beneficial ownership «risulta» in favore di
quest’ultimo (c.d. «presumption
of resulting trust»)
«Where the home is
conveyed to a person other than the one who provided the purchase money, there is
a general rule that beneficial ownership ‘results’ to the one providing the
purchase money»: v. Parry, Cohabitation, London, 1981, p. 14 ss.,
il quale peraltro rileva che la presumption
of resulting trust è rebuttable by
other evidence [24].
Il campo di applicazione privilegiato di questa regola
è costituito dai rapporti
tra conviventi more uxorio, in relazione ai quali è necessario
accertare che l’acquisto sia avvenuto (anche o esclusivamente) per effetto del contributo (in denaro o in
lavoro) del «convivente debole» e che era comune intenzione delle parti
attribuire tale interest al convivente non titolare del bene acquistato
[25].
Questa intenzione, e dunque l’esistenza di un trust, ove non
esplicitamente ammessa dal legal owner, può essere desunta dalla condotta
delle parti.
La stessa regola è stata estesa anche al caso di financial contribution parziale per l’acquisto di
determinati beni, come la casa d’abitazione [26].
In tale ipotesi, alla parte che ha contribuito viene riconosciuto un beneficial interest proporzionato al valore del suo
contributo rispetto al prezzo d’acquisto [27].
La giurisprudenza ha poi fatto applicazione del principio attribuendo un beneficial
interest al partner che aveva con denaro proprio estinto alcuni ratei di un mutuo
per l’acquisto della casa dell’altro [28],
così come – secondo un’intuizione di Lord Denning – a quello che aveva fornito
una direct contribution
by labour [29],
o, ancora, aveva anticipato parte del denaro necessario all’effettuazione della
ristrutturazione o del restauro della casa in cui si svolgeva la convivenza [30].
Peraltro, in questi due ultimi casi Lord Denning
raggiunse tale risultato non già desumendo dal comportamento delle parti la
sussistenza di un accordo sul (resulting)
trust, ma facendo derivare quest’ultimo direttamente
dall’equity, in base a un
principio che lo stesso giudice aveva già seguito in una causa precedente,
relativa ad una famiglia fondata sul matrimonio. Qui una vedova aveva
corrisposto al genero
una somma di denaro per realizzare un ampliamento della casa di quest’ultimo (si
trattava dell’aggiunta di una camera da letto), in vista di un definitivo suo
trasferimento presso la famiglia della figlia, ma, dopo quindici mesi di
convivenza, essendo insorti dei contrasti, aveva mutato idea, chiedendo un
indennizzo per l’esborso affrontato [31]. L’istituto in esame prende il nome di constructive trust. Esso viene comunemente definito come un rimedio di equity in base al quale il giudice può porre
riparo a una situazione di ingiustificato arricchimento di una parte ai danni
dell’altra [32].
Il legame tra constructive
trust, equity e unjust enrichment
è tanto profondo da indurre uno dei più autorevoli giuristi americani della
metà del secolo scorso ad affermare che «By all odds the most important
contribution of equity to the remedies for prevention of enrichment is the
device we all know as the constructive trust» [33].
E ai rilievi di chi temeva che siffatti concetti
potessero trasformarsi in «a glib formula for dispensing woolly, ‘palm‑tree’ justice»
[34]
si è esattamente obiettato che, affinchè l’unjust
enrichment possa portare a ravvisare
l’esistenza di un proprietary remedial
constructive trust è comunque necessario che concorrano i seguenti tre elementi: «(i) a link
between the acquisition or improvement of the defendant’s property (ii) at
corresponding expense to the plaintiff (iii) in circumstances where the
plaintiff reasonably expected to receive an actual interest in the property and
the defendant knew or ought to have known of that expectation» [35].
Tanto basta perché i timori di una «giustizia sotto
l’albero» siano fugati da parte di una dottrina quanto mai propensa ad
enfatizzare la funzione creatrice dell’Equity,
che dovrebbe così essere in grado di sviluppare le teorie dell’unjust enrichment e del constructive
trust nella stessa maniera in cui «the common law courts have
satisfactorily developed the doctrine of negligence since the days of Donoghue
v. Stevenson when the principle that a person whose negligence has harmed
another is required to compensate the other might have seemed a recipe for
‘palm‑tree’ justice» [36].
A ciò s’aggiunga che lo stesso legislatore
d’Oltremanica, con il Matrimonial Causes Act 1973
è venuto ad autorizzare espressamente
le corti ad operare trasferimenti patrimoniali tra coniugi in crisi,
tenendo conto di precise circostanze tra cui «the contributions made by each of
the parties to the welfare of the family, including any contribution made by
looking after the home or caring for the family».
Forte di questo viatico dottrinale e normativo, il constructive trust ha fatto passi da
gigante nella giurisprudenza britannica sui rapporti patrimoniali all’interno
dei nuclei familiari. Esso è, ad esempio, alla base della soluzione del caso Grant v. Edwards, in
cui un convivente aveva proceduto da solo all’effettuazione dell’acquisto della
casa di abitazione, prospettando falsamente alla donna l’eventualità che, nel
caso di cointestazione dell’immobile, quest’ultima avrebbe potuto essere almeno
in parte rivendicata dal marito di lei, con il quale essa aveva in corso la
causa di divorzio. La Court of Appeal concesse alla donna una quota di
proprietà sull’immobile corrispondente alla metà in considerazione del fatto
che questa aveva fatto affidamento sulla falsa dichiarazione del partner,
sebbene la stessa non avesse versato neppure in parte il prezzo del bene.
Peraltro la convivente aveva pagato una parte dei ratei di mutuo, aveva
partecipato alle spese di gestione dell’immobile, aveva svolto prestazioni di
lavoro ed aveva allevato i figli.
La Corte stabilì in
proposito che per affermare l’esistenza di un trust nei casi del genere
di quello in esame sono necessari due elementi: «If the legal estate in the joint
home is vested in only one of the parties (the legal owner) the other party
(the claimant), in order to establish a beneficial interest, has to establish a constructive
trust by showing that it would be inequitable for the legal owner to claim sole
beneficial ownership. This requires two matters to be demonstrated: (a)
that there was a common intention that both should have a beneficial interest;
(b) that the claimant has acted to his or her detriment on the basis of that
common intention». La Corte individuò
dunque la presenza di questo secondo elemento nel contributo di fatto fornito
dalla donna, mentre derivò
dall’affermazione dell’uomo – secondo cui il motivo che avrebbe impedito la
cointestazione sarebbe stato rappresentato dal rischio di pretese del marito
nel processo di divorzio – e dal conseguente affidamento della donna su quella
dichiarazione l’«evidence of a common intention that Mrs Grant should have
beneficial interest (a half share) in the property», così finendo con il valorizzare
proprio quell’ «elemento negoziale», relativo ad una sorta di accordo
implicito, che Lord Denning aveva invece chiaramente voluto porre in secondo
piano [37].
Nel caso Burns v. Burns [38], di poco precedente, la
stessa Court of Appeal rigettò, invece, la domanda della ex convivente
che, pur non avendo contribuito direttamente all’acquisto della casa compiuto
dal solo uomo, aveva
allevato la prole, eseguito i lavori domestici e contribuito a delle spese di
manutenzione e di arredamento. In tale
fattispecie la Corte decise che alla donna non spettava alcun beneficial interest
sulla casa, «in the absence of a financial contribution which could be related
to the acquisition of the property, for example to the mortgage repayments».
L’elemento dell’accordo implicito tra le parti, ovvero
della promessa di un convivente – ancorchè non formalizzata – su cui l’altro ha fatto affidamento, riemerge in Hammond v. Mitchell. Nella specie,
alla convivente venne attribuita una quota pari alla metà della casa acquistata
dall’uomo in costanza di rapporto, anche in assenza di un contributo
all’acquisto da parte della prima, avuto riguardo al fatto che l’uomo le aveva
testualmente dichiarato «I’ll have to put the house in my name because I
have tax problems due to the fact that my wife burnt all my account books and
my caravan was burnt down with all the records of my car sales in it. The tax man would be interested, and if I could prove my money had gone
back into a property I’d be safeguarded» e «Don’t worry about the future
because when we are married it will be half yours anyway and I’ll always look
after you and [the boy]» [39].
Proprio questa dicotomia tra rationes decidendi ha portato a proporre di distinguere tra constructive trusts automatici e altri
discrezionali: i primi fondati sull’intenzione comune, i secondi visti invece
quale mezzo di tutela dell’Equity,
ciò che, come esattamente osservato, potrebbe aiutare a porre ordine in un
campo che negli ultimi anni si è singolarmente affollato [40].
A completare il quadro, invero, talora compare anche
l’implied trust, che, a somiglianza
del resulting, viene ritenuto
esistente sulla base del comportamento delle parti, come implicitamente voluto
dalle medesime. La stessa
dottrina inglese ammette peraltro che resulting,
constructive e implied trust «are
not easy to distinguish» [41] e su ciò concorda la dottrina italiana [42].
Il constructive
trust è stato poi con successo esportato anche in altri sistemi di common law, come, per esempio, in Nuova
Zelanda e in Canada [43], nonché, dopo talune esitazioni [44], anche in Australia. Così, per esempio, in Green v. Green [45] il trust venne riconosciuto nel Nuovo Galles del Sud al fine di
supplire alla inapplicabilità del De Facto Relationships Act (1984) alle
peculiarità del singolare caso concreto, in cui «a man died in Sydney, leaving
behind (it was then discovered), one wife, two de facto partners, and seven
children. One of the de facto partners, the mother of two of his children, had
been brought by the man to Australia from Thailand at the age of 13 or 14, and
provided by him with accommodation where he used to visit her» [46]. Nella più recente Carruthers v. Manning [47], la Corte Suprema del Nuovo Galles del Sud, pur
respingendo nella specie la domanda di una ex convivente, ha in motivazione
ampiamente attinto dai precedenti britannici per rifondare la teoria del constructive
trust sulle basi di Grant v. Edwards.
Sotto il profilo comparatistico sarà interessante notare che in
Italia, così come del resto in tutti gli ordinamenti di matrice romanistica,
non sembra invece possibile riconoscere all’autore dei contributi in oggetto
una qualche forma di partecipazione all’acquisto operato dalla controparte.
Invero, il nostro sistema, che pur conosce l’istituto della proprietà
fiduciaria [48],
non ne può ammettere una costituzione in via implicita, sulla base del
comportamento delle parti e dei loro reciproci rapporti, ma presuppone sempre una chiara
manifestazione di volontà, effettuata, per i trasferimenti immobiliari, nelle
forme prescritte dalla legge [49].
Del resto, appare quanto mai significativo che, per
pervenire a conclusioni non molto dissimili rispetto a quelle del case law
d’Oltremanica, dottrina e
giurisprudenza francesi e tedesche debbano ricorrere ad una di quelle
situazioni in cui la legge ammette l’insorgere d’un rapporto negoziale rebus
ipsis et factis, quale è la società (civile) di fatto, laddove l’inutilizzabilità di tale
rimedio in Italia sbarra inesorabilmente l’accesso a strumenti che consentano
di raggiungere una tutela sul piano «proprietario» del soggetto (coniuge o
convivente che sia) che abbia effettuato una prestazione di dare o di facere
del genere di quelle sopra indicate [50].
3. Il dibattito sull’ammissibilità di un trust «interno». La Convenzione dell’Aja:
generalità.
Che il trust di origine giudiziale sia un
fenomeno difficilmente «esportabile» in sistemi di civil law è stato ben
compreso dai redattori della Convenzione internazionale dell’Aja del 1985 [51], al punto da prevederne una esplicita esclusione
dalla sfera di operatività di tale strumento internazionale [52]. Per
questo i trusts di cui deve principalmente occuparsi lo studioso
italiano sono quelli di fonte negoziale.
Prima di affrontare il tema della possibilità per cittadini
italiani di dar vita ad un trust c.d.
«interno» e di vederne i risvolti per il diritto di famiglia italiano, sarà
opportuno procedere ad una esposizione, quanto meno per sommi capi, della struttura della Convenzione
dell’Aja, cioè della Convention de
La Haye du 1er juillet 1985 relative à la loi applicable au trust et
à sa reconnaissance.
Il relativo testo (francese) è disponibile
all’indirizzo web seguente: http://hcch.e-vision.nl/index_fr.php?act=conventions.text&cid=59
Il testo italiano è disponibile al sito seguente:
http://www.il-trust-in-italia.it/aja/ConvAjaItal%20testo.htm
La convenzione si articola
in 5 capitoli:
·
Capitolo I - Campo di applicazione
·
Capitolo II - Legge applicabile
·
Capitolo III - Riconoscimento
·
Capitolo IV - Disposizioni generali
·
Capitolo V - Clausole finali
L. 16 ottobre 1989, n. 364
Ratifica ed esecuzione della
convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro ricono-scimento,
adottata a L’Aja il 1° luglio 1985
Art. 1
1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a
ratificare la convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro
riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985.
Art.2
1. Piena ed intera esecuzione è data alla convenzione
di cui all’articolo 1 a decorrere dalla sua en-trata in vigore in conformità a
quanto disposto dall’articolo 30 della convenzione stessa.
Art.3
1. La presente legge entra in vigore il giorno
successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Convenzione relativa alla
legge sui "trusts" ed al loro riconoscimento.
Gli Stati firmatari della presente Convenzione,
considerando che il trust è un istituto peculiare
creato dai tribunali di equità dei paesi della Common Law, adottata da altri
paesi con alcune modifiche,
hanno convenuto
di stabilire disposizioni comuni relative alla legge applicabile
al trust e di risolvere i problemi più importanti relativi al suo riconoscimento;
hanno deciso di stipulare a tal fine una Convenzione e
di adottare le seguenti disposizioni:
Capitolo I
Campo di applicazione
Articolo 1
La presente Convenzione stabilisce la legge applicabile al
trust e regola il suo riconoscimento.
Articolo 2
Ai fini della presente Convenzione, per trust s’intendono i
rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente - con atto tra vivi
o mortis causa - qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un
trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico.
Il trust presenta le seguenti caratteristiche:
a) i beni del trust costituiscono una massa distinta e non
fanno parte del patrimonio del trustee;
b) i beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona
per conto del trustee;
c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere
conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le
norme particolari impostegli dalla legge.
Il fatto che il costituente conservi alcune
prerogative o che il trustee stesso possieda alcuni diritti in qualità di
beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust.
Articolo 3
La Convenzione si applica solo ai trusts costituiti volontariamente e comprovati per iscritto.
Articolo 4
La Convenzione non si applica a questioni preliminari
relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici, in virtù dei
quali determinati beni sono trasferiti al trustee.
Articolo 5
La Convenzione non si applica qualora la legge
specificata al capitolo II non preveda l’istituto del trust o la categoria di
trust in questione.
Capitolo II
Legge applicabile
Articolo 6
Il trust è regolato dalla legge scelta dal costituente. La scelta
deve essere espressa, oppure risultare dalle disposizioni dell’atto che
costituisce il trust o portandone la prova, interpretata, se necessario,
avvalendosi delle circostanze del caso.
Qualora la legge scelta in applicazione del precedente
paragrafo non preveda l’istituzione del trust o la categoria del trust in
questione, tale scelta non avrà valore e verrà applicata la legge di cui
all’articolo 7.
Articolo 7
Qualora non sia stata scelta alcuna legge, il trust sarà regolato dalla
legge con la quale ha più stretti legami.
Per determinare la legge con la quale un trust ha più
stretti legami, si tiene conto in particolare:
a) del luogo di amministrazione del trust designato
dal costituente;
b) della situazione dei beni del trust;
c) della residenza o sede degli affari del trustee;
d) degli obiettivi del trust e dei luoghi dove
dovranno essere realizzati.
Articolo 8
La legge specificata agli articoli 6 o 7 regola la
validità del trust, la sua interpretazione, i suoi effetti e l’amministrazione
del trust.
In particolare, la legge dovrà regolamentare:
a) la nomina, le dimissioni e la revoca del trustee,
la capacità particolare di esercitare le mansioni di trustee e la trasmissione
delle funzioni di trustee;
b) i diritti e gli obblighi dei trustees tra di loro;
c) il diritto del trustee di delegare, in tutto o in
parte, l’esecuzione dei suoi obblighi o l’esercizio dei suoi poteri;
d) i poteri del trustee di amministrare o disporre dei
beni del trust, di darli in garanzia e di acquisire nuovi beni;
e) i poteri del trustee di effettuare investimenti;
f) le restrizioni relative alla durata del trust ed ai
poteri di accantonare gli introiti del trust;
g) i rapporti tra il trustee ed i beneficiari, ivi
compresa la responsabilità personale del trustee verso i beneficiari;
h) la modifica o la cessazione del trust;
i) la ripartizione dei beni del trust;
j) l’obbligo del trustee di render conto della sua
gestione.
Articolo 9
Nell’applicazione del presente capitolo aspetti del
trust che possono essere trattati a parte, in particolare le questioni
amministrative, potranno essere regolati da una legge diversa.
Articolo 10
La legge applicabile alla validità del trust stabilisce
la possibilità di sostituire detta legge, o la legge applicabile ad un elemento
del trust che può essere trattato a parte, con un’altra legge.
Capitolo III
Riconoscimento
Articolo 11
Un trust costituito in conformità alla legge
specificata al precedente capitolo dovrà essere riconosciuto come trust. Tale riconoscimento implica
quanto meno che i beni del trust siano separati dal patrimonio personale del trustee, che
il trustee abbia le capacità di agire in giudizio ed essere citato in giudizio,
o di comparire in qualità di trustee davanti a un notaio o altra persona che
rappresenti un’autorità pubblica.
Qualora la legge applicabile al trust lo richieda, o
lo preveda, tale riconoscimento implicherà, in particolare:
a) che i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni
del trust;
b) che i beni del trust siano separati dal patrimonio
del trustee in caso di insolvenza di quest’ultimo o di sua bancarotta;
c) che i beni del trust non facciano parte del regime
matrimoniale o della successione dei beni del trustee;
d) che la rivendicazione dei beni del trust sia
permessa qualora il trustee, in violazione degli obblighi derivanti dal trust,
abbia confuso i beni del trust con i suoi e gli obblighi di un terzo possessore
dei beni del trust rimangono soggetti alla legge fissata dalle regole di
conflitto del foro.
Articolo 12
Il trustee che desidera registrare i beni mobili e immobili, o i documenti
attinenti, avrà facoltà di richiedere la iscrizione nella sua qualità di
trustee o in qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust, a meno che
ciò non sia vietato o sia incompatibile a norma della legislazione dello Stato
nel quale la registrazione deve aver luogo.
Articolo 13
Nessuno Stato è
tenuto a riconoscere un trust i cui
elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del
luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più
strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la
categoria del trust in questione.
Articolo 14
La Convenzione non ostacolerà l’applicazione di norme
di legge più favorevoli al riconoscimento di un trust.
Capitolo IV
Disposizioni generali
Articolo 15
La Convenzione non ostacolerà l’applicazione delle disposizioni di legge
previste dalle regole di conflitto del foro, allorché non si possa
derogare a dette disposizioni mediante una manifestazione della volontà, in
particolare nelle seguenti materie:
a) la protezione di minori e di incapaci;
b) gli effetti personali e patrimoniali del matrimonio;
c) i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima;
d) il trasferimento di proprietà e le garanzie reali;
e) la protezione di creditori in casi di insolvibilità;
f) la protezione, per altri motivi, dei terzi che agiscono in buona fede.
Qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano
di ostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercherà di realizzare gli
obiettivi del trust con altri mezzi giuridici.
Articolo 16
La Convenzione non pregiudica le disposizioni legislative
del foro che devono essere applicate anche per situazioni internazionali
indipendentemente dalla legge designata dalle regole di conflitto di leggi.
In casi eccezionali, si può altresì dare effetto alle
norme della stessa natura di un altro Stato che abbia con l’oggetto della
controversia un rapporto sufficientemente stretto.
Ciascuno Stato contraente potrà, mediante una riserva,
dichiarare che non applicherà la disposi-zione del secondo paragrafo del
presente articolo.
Articolo 17
Ai sensi della Convenzione il termine
"legge" indica le norme di legge in vigore in uno Stato, ad eccezione
delle regole di conflitto di legge.
Articolo 18
Le disposizioni della Convenzione potranno essere non
osservate qualora la loro applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico.
Articolo 19
La Convenzione non pregiudicherà la competenza degli
Stati in materia fiscale.
Articolo 20
Ogni Stato contraente potrà, in qualsiasi momento,
dichiarare che le disposizioni della Convenzione saranno estese ai trusts
costituiti in base ad una decisione giudiziaria.
Tale dichiarazione sarà notificata al Ministero degli
Affari Esteri del Regno dei Paesi Bassi ed en-trerà in vigore dal giorno di
ricevimento della notifica.
L’articolo 31 è applicabile, per analogia, al ritiro
di detta dichiarazione.
Articolo 21
Ciascuno Stato contraente potrà riservarsi il diritto
di applicare le disposizioni del capitolo III solo ai trusts la cui validità è
regolata dalla legge di uno Stato contraente.
Articolo 22
La Convenzione è applicabile ai trusts a prescindere
dalla data della loro costituzione.
Tuttavia, uno Stato contraente potrà riservarsi il
diritto di non applicare la Convenzione ad un trust costituito prima
dell’entrata in vigore della Convenzione per detto Stato.
Articolo 23
Ai fini di identificare la legge applicabile ai sensi
della Convenzione, qualora uno Stato comprenda varie unità territoriali,
ciascuna con le proprie norme di legge per quanto riguarda il trust, ogni
riferimento alla legge di detto Stato sarà considerato come relativo alla legge
in vigore nell’unità territoriale in questione.
Articolo 24
Uno Stato all’interno del quale varie unità
territoriali hanno le proprie norme di legge in materia di trust non è tenuto ad
applicare la Convenzione ai conflitti di legge che interessano unicamente
queste unità territoriali.
Articolo 25
La Convenzione non deroga ad alcun altro strumento
internazionale di cui uno Stato contraente è o sarà parte e che contengono
disposizioni sulle materie regolamentate dalla presente Convenzione.
Capitolo V
Clausole finali
Articolo 26
Ciascuno Stato, al momento della firma, della
ratifica, dell’accettazione, dell’approvazione o dell’adesione, o, al momento
di una dichiarazione resa ai sensi dell’articolo 29, potrà esprimere le
ri-serve previste agli articoli 16, 21 e 22.
Nessun’altra riserva sarà consentita.
Ciascuno Stato contraente potrà, in ogni momento,
ritirare una riserva da esso espressa; tale riserva cesserà di avere effetto il
primo giorno del terzo mese dopo la notifica del ritiro.
Articolo 27
La Convenzione sarà aperta alla firma degli Stati che
erano membri della Conferenza de l’Aja di diritto internazionale privato al
momento della sua quindicesima sessione.
Sarà ratificata, accettata o approvata e gli strumenti
di ratifica, accettazione o approvazione saranno depositati presso il Ministero
degli Affari Esteri del Regno dei Paesi Bassi.
Articolo 28
Ogni altro Stato potrà aderire alla Convenone dopo la
sua entrata in vigore in virtù dell’articolo 30, par. 1.
Lo strumento di adesione sarà depositato esso il
Ministero degli Affari Esteri del Reo dei Paesi Bassi.
L’adesione avrà effetto solo per quanto riguarda i
rapporti tra lo Stato aderente e gli Stati contraenti che non avranno mosso
obiezioni alla succitata adesione entro dodici mesi dal ricevimento della
notifica di cui all’articolo 32.
Ogni Stato membro potrà altresì muovere tali obiezioni
al momento della ratifica, accettazione o approvazione della Convenzione, successiva
all’adesione. Tali obiezioni saranno notificate al Mini-stero degli Affari
Esteri del Regno dei Paesi Bassi.
Articolo 29
Uno Stato che comprenda due o più unità territoriali
nelle quali vengono applicati sistemi giuridici diversi, potrà, al momento
della firma, della ratifica, dell’accettazione, dell’approvazione o
dell’adesione, dichiarare che la presente Convenzione sarà applicata a tutte le
sue unità territoriali, o solamente a una o più di esse, e potra, in qualunque
momento, modificare detta dichiarazione, for-mulando una nuova dichiarazione.
Tali dichiarazioni saranno notificate al Ministero degli Affari Esteri del
Regno dei Paesi Bassi, e indicheranno espressamente le unità territoriali alle
quali si applica la Convenzione.
Se uno Stato non effettuerà dichiarazioni in base al
presente articolo, la Convenzione sarà applicata a tutte le unità territoriali
di detto Stato.
Articolo 30
La Convenzione entrerà in vigore il primo giorno del
terzo mese dopo il deposito del terzo strumento di ratifica, accettazione o
approvazione previsto dall’art. 27.
Successivamente la Convenzione entrerà in vigore:
a) per ogni Stato che la ratifichi, l’accetti, o
l’approvi successivamente, il primo giorno del terzo mese dopo il deposito del
suo strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione;
b) per ogni Stato aderente, il primo giorno del terzo
mese dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 28;
c) per le unità territoriali alle quali la Convenzione
è stata estesa in conformità all’articolo 29, il primo giorno del terzo mese
dopo la notifica di cui a detto articolo.
Articolo 31
Ogni Stato contraente potrà denunciare la presente
Convenzione mediante notifica formale per iscritto, indirizzata al Ministero
degli Affari Esteri del Regno dei Paesi Bassi, depositario della Convenzione.
La denuncia entrerà in vigore dal primo giorno del
mese successivo alla scadenza di un periodo di sei mesi dopo la data di
ricevimento della notifica da parte del depositario, o ad ogni altra data
successiva, specificata nella notifica.
Articolo 32
Il Ministero degli Affari Esteri del Regno dei Paesi
Bassi notificherà agli Stati membri della Conferenza, nonché agli Stati che vi
avranno aderito, in conformità alle disposizioni dell’articolo 28:
a)
le firme e le ratifiche, le accettazioni e le approvazioni di cui all’articolo
27;
b)
la data alla quale la Convenzione entrerà in vigore in conformità alle
disposizioni dell’articolo 30;
c)
le adesioni e le obiezioni alle adesioni di cui all’articolo 28;
d)
le estensioni di cui all’articolo 29;
e)
le dichiarazioni di cui all’articolo 20;
f)
le riserve o i diritti di riserva di cui all’articolo 26;
g)
le denunce di cui all’articolo 31.
In
fede di che, i sottoscritti, debitamente autorizzati, hanno firmato la presente
Convenzione.
Fatto
a l’Aja, il 1° luglio 1985, in francese ed inglese, i due testi facenti
ugualmente fede, in un unico esemplare che sarà depositato negli archivi del
Governo del Regno dei Paesi Bassi, e di cui una copia autenticata sarà
consegnata, per le vie diplomatiche, a ciascuno Stato membro della Conferenza
de l’Aja di diritto internazionale privato al momento della sua quindicesima
sessione.
Dunque, già una semplice e piana lettura del testo della convenzione
e della legge italiana di ratifica dovrebbero rendere evidente che trattasi di
un tipico strumento di
diritto internazionale privato e non certo di diritto materiale
uniforme. Scopo principale della convenzione è semplicemente quello di facilitare il riconoscimento
in uno stato che non conosce il trust
di un trust che invece sia stato
costituito all’estero, sotto il vigore della normativa di un paese che lo
prevede e lo disciplina.
4. Il dibattito sull’ammissibilità di un trust «interno». I principali siti web sulla materia.
La costituzione in Italia per via negoziale di un trust a beneficio di una famiglia
– vuoi legittima, vuoi di fatto – pur in assenza di un qualsiasi elemento di
estraneità (che non sia quello della legge scelta dalle parti), appare
immaginabile solo a condizione che si fornisca alla convenzione dell’Aja del
1985, ratificata con l. 16 ottobre 1989, n. 364 (entrata in vigore il 1°
gennaio 1992) [53], una lettura tale da consentire di ritenere autorizzata la creazione di trusts
«interni», superando le pur numerose e gravi perplessità sollevate in dottrina e in
giurisprudenza.
Si pensi – a tacer d’altro – ai problemi posti dai
rapporti con il disposto dell’art. 2740 c.c., con il principio del numerus clausus dei diritti reali, con quello della tassatività delle ipotesi
in cui è consentito creare enti dotati di autonomia patrimoniale, con quello della
tassatività delle fattispecie soggette a trascrizione, o al profilo di un’eventuale
antiteticità rispetto all’art. 2744 c.c., in relazione alla possibilità di costituire, tramite trust,
nuovi meccanismi di garanzia, alla potenziale frizione con i principi del
nostro sistema successorio,
pur nell’àmbito delle clausole c.d. di salvaguardia di cui agli artt. 15 e ss.
della Convenzione: si pensi, in particolare, al divieto dei patti successori [54] e di sostituzione fedecommissaria [55], all’inapponibilità di pesi e condizioni sulla
legittima e, più in generale, alle norme a tutela della successione necessaria [56].
Questi temi hanno, come
noto, scatenato furibondi
dibattiti dottrinali, sui quali – attesa anche la sconfinata quantità di
contributi al riguardo [57] – non è possibile in questa sede soffermarsi
compiutamente [58].
Il dibattito ha avuto
una grande risonanza anche nel web: molti sono gli
studi ed i contributi disponibili online
sul tema. Alcuni siti sono stati addirittura interamente dedicati all’argomento del trust in Italia. Il principale è quello
dell’associazione «Il trust in Italia», disponibile al sito web seguente: http://www.il-trust-in-italia.it.
Potranno poi anche
menzionarsi:
¾
il sito
«Assotrusts», alla pagina web
seguente: http://www.assotrusts.it;
¾
il sito della
rivista Trusts & Wealth Management, alla pagina web seguente: http://www.trustsitaly.com;
¾
http://www.beni-in-trust.it;
¾
http://www.servizi-legali.com/servizi/trust;
¾
http://www.youtrust.it/?gclid=CKGVjN_B8LoCFQkd3goddXsAZA;
Anche il sito «Filodiritto» dedica alla materia
notevole attenzione:
http://www.filodiritto.com/archivio/materie/diritto-dei-trust
Per un’altra serie di articoli al riguardo, cfr.
¾
http://www.studiolegaleriva.it/public/m32.asp;
¾
http://www.civile.it/notarile/cerca.asp
(digitare «trust» nella casella «cerca»);
¾
http://www.diritto.it (digitare «trust» nella
casella «ricerca su Diritto.it»).
Notevole è l’attenzione sul tema anche da parte dei
commercialisti. A titolo d’esempio si potrà citare il seguente sito web:
¾
http://www.marzulli.it/menu%20trust%20in%20italia.htm.
Ancora, si potranno citare le Trust companies che sono nel frattempo nate anche in Italia, come
ad esempio:
−
Duemme Trust Company del
Gruppo Esperia:
http://www.gruppoesperia.it/cerca/index.html?q=trust&x=0&y=0
5. Il dibattito sull’ammissibilità di un trust «interno». La Convenzione dell’Aja: il suo
carattere internazionale e l’impossibilità di desumerne norme di diritto
materiale interno.
A ben vedere, la vera difficoltà sembra essere quella
di estrapolare da norme
tipicamente di conflitto, quali quelle di cui alla citata convenzione
dell’Aja, una regola di diritto
interno, applicabile ai casi in cui non siano prospettabili collisioni
tra diversi ordinamenti [59]. Per comprendere il carattere internazionale della Convenzione dell’Aja occorre porre mente ai
seguenti fatti.
Innanzi tutto essa è nata in seno alla Conférence
de La Haye de droit international privé. Tale istituto è
un’organizzazione intergovernamentale che «a pour but de travailler à
l’unification progressive des règles de droit international privé» (Art. 1 del
relativo statuto): cfr. la pagina web seguente: http://www.hcch.net/index_fr.php?act=text.display&tid=4.
In tale pagina è lo stesso istituto a precisare che
L’instrument principal utilisé pour atteindre le but poursuivi par la
Conférence est l’établissement de traités multilatéraux, ou Conventions, dans
les différents domaines du droit international privé (entraide judiciaire et
administrative internationale; conflits de lois en matière de contrats, de
délits, d’obligations alimentaires, de statut et de protection des enfants, de
relations entre époux, de successions et de trusts; reconnaissance des
sociétés; compétence internationale et exécution des jugements étrangers). A la
suite de travaux préparatoires effectués par le Secrétariat, des avant-projets
de Conventions sont établis par des Commissions spéciales se composant
d’experts gouvernementaux. Les projets sont ensuite discutés et adoptés par la
Session plénière de la Conférence, session à caractère diplomatique.
A questo punto occorre tenere presente che l’art. 2, secondo comma, della legge
italiana di riforma del sistema di diritto internazionale privato (l. 218/1995)
dispone che «Nell’interpretazione di tali convenzioni (ndr. convenzioni
internazionali) si terrà conto del loro carattere internazionale e
dell’esigenza della loro applicazione uniforme».
Del resto è lo stesso Gambaro, che rappresentò l’Italia
in seno alla commissione che diede vita alla Convenzione, ad ammettere che tale
Convenzione «rimane una
convenzione in tema di conflitti di leggi e non ha affatto inteso trasformarsi
in una convenzione di diritto uniforme» [60].
I lavori preparatori della
Convenzione rendono evidente come l’intenzione dei redattori non sia mai stata
quella di apprestare norme di diritto materiale uniforme per paesi che, come il
nostro, non conoscevano l’istituto del trust.
Così alle obiezioni
sollevabili da parte di quegli ordinamenti nei quali si potrebbe temere «que
les principes de leur système juridique ne soient ébranlés par l’intrusion
d’une institution étrangère quelque peu inquiétante» risponde esplicitamente il
rapport explicatif lapidariamente chiarendo
«qu’il n’a jamais été
question d’introduire le trust dans les pays de civil law, mais simplement de fournir à leurs juges les instruments
propres à appréhender cette figure juridique». Ed è proprio qui,
continua il rapport explicatif, che
risiede l’interesse della Convenzione per gli Stati che non conoscono il trust: «L’institution n’étant pas prévue par leur droit matériel,
ils ne possèdent pas non plus de règles de droit international privé qui
puissent la régir et ils en sont réduits à chercher laborieusement à faire
entrer les éléments du trust dans leurs propres concepts. Au contraire, la
Convention met à disposition des règles de conflit de lois relatives au
trust ; puis elle indique en quoi doit consister la reconnaissance du
trust, mais aussi les limites de cette reconnaissance» [61].
|
Ulteriore conferma di quanto sopra viene dalla
comparazione con esperienze straniere di paesi di civil law.
Si pensi
al fatto che la Francia,
dopo aver sottoscritto la convenzione dell’Aja il 26 novembre 1991, si è ben guardata dal ratificarla
prima di dotarsi di uno strumento legislativo nazionale che assicurasse
il coordinamento tra i tratti essenziali dell’istituto di common law ed i principi fondamentali del diritto interno. Ciò è
proprio quanto è avvenuto con l’introduzione nel Code
civil dell’istituto della fiducie con la loi du 19 février 2007-2011.
Significativa
appare poi anche l’esperienza dei Paesi Bassi, che hanno sì ratificato la convenzione, ma accompagnando la ratifica
con una legge di applicazione di due norme, con le quali si è statuito, da un
lato, che, in senso negativo, non sono applicabili ai trusts riconosciuti in base alla Convenzione, le norme interne sul
trasferimento di proprietà e quelle a tutela dei creditori in caso di
insolvenza; dall’altro, che, in senso positivo, il trustee può chiedere l’iscrizione della sua qualità in qualsiasi
altro modo, relativamente ai beni del trust,
cosi riproducendosi la formula dell’art. 12 della Convenzione. Si tratta in
effetti proprio della disciplina di quei due aspetti che ostacolano una normale
applicazione della Convenzione.
|
La
mancanza di un’analoga disposizione da parte della legge di ratifica italiana
comporta la conseguenza che non pare lecito addurre, ai fini di amplificare il
contenuto della Convenzione sino a considerare come «lettera morta» l’art. 4
della stessa, il fatto che una diversa interpretazione finirebbe con il
vanificare l’avvenuta ratifica della Convenzione da parte dell’Italia. La mancanza della legge di
adattamento comporta infatti, inevitabilmente, il mantenimento delle ordinarie
regole di collegamento per ciò che concerne la valutazione della validità
dell’atto di attribuzione dei beni in trust.
Ciò significa, in altre parole, che per l’atto di attribuzione di beni in trust andrebbero utilizzate (e comunque
vanno utilizzate, visto che la Convenzione auto-esclude la sua applicabilità)
le norme di diritto internazionale privato, allorquando ci si trovi di fronte
ad un trust caratterizzato da
elementi di estraneità.
Per quanto riguarda l’Italia si veda la
proposta di legge presentata il 10 maggio 2002 alla Camera (C 2733) dal titolo
«Norme in materia di trust in favore
di soggetti portatori di handicap»
(disponibile alla pagina web
seguente: http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stampati/pdf/14PDL0031220.pdf;
la proposta è stata assorbita dal progetto che è poi sfociato
nell’amministrazione di sostegno, che peraltro non si occupa in alcun modo del trust).
6. Trust «interno» e Convenzione
dell’Aja. Alcune schematiche considerazioni sull’oggetto della Convenzione.
L’oggetto della Convenzione è descritto all’art. 2,
norma che descrive anche i caratteri
essenziali che il trust deve
possedere per poter essere preso in considerazione dalla Convenzione.
Poiché
l’art. 2
non parla espressamente di
contratto, ma sembra piuttosto riferirsi ai trusts da atto unilaterale, si è proposto da parte di taluno di
escludere dall’oggetto della Convenzione i trusts
di fonte pattizia. Ma si può ribattere che, seppure l’art. 2,
nel definire il trust, utilizzi
l’espressione «il costituente», che a prima vista sembrerebbe richiamare alla
mente la partecipazione di una sola parte all’atto di costituzione del trust, tuttavia il contestuale riferimento alla persona del trustee, che assume il controllo
dei beni in trust, implica la necessaria
considerazione anche della volontà di questi per la valida costituzione
del trust. Una diversa opinione
contrasterebbe con il principio della relatività degli effetti, che limita
l’efficacla degli atti negoziali ai soggetti che ne sono stati parte.
La ricostruzione della
fattispecie costitutiva del trust in
termini di accordo bilaterale è familiare al giurista di civil law. I giuristi di common
law sono avvezzi al contrario a classificare il trust in seno alla materia della Real Property, secondo l’orientamento che pone in evidenza non
l’aspetto costitutivo della fattispecie, bensì quello funzionale degli effetti
da essa prodotti.
Venendo alle caratteristiche fondamentali
del trust preso in esame dalla
convenzione, va rilevato che la prima è costituita dalla separazione patrimoniale tra i beni oggetto
del trust ed il patrimonio del trustee. Tale caratteristica,
evidenziata dall’art. 2,
riceve conferma da quanto disposto dall’art. 11, in tema di rapporti con i
creditori.
Si usa al riguardo l’orrido
termine «segregazione»,
secondo quanto proposto da Lupoi, per segnare una distinzione della situazione
in esame rispetto a quella propria dei patrimoni separati.
«(...) separazione e autonomia
si riferiscono ordinariamente a un complesso di posizioni soggettive attive e
passive, le segregazione si può ben riferire anche solo a una singola
posizione soggettiva di qualunque genere, anche a una mera aspettativa di fatto
e, in common law, a un equitable estate. In un’ottica comparatistica, la
nozione di "patrimonio separato" mi sembra sia utilmente riferita ad un fenomeno
diverso: posizioni soggettive le quali appartengono ad un soggetto, ma
che tuttavia sono sottoposte a règole speciali per quanto riguarda le vicende
obbligatorie generali, la successione ereditaria, il regime matrimoniale, e
cosi via: la specialità
di queste règole rispetto a quelle ordinarie significa semplicemente che
l’atto dispositivo, pur non avendo sottratto una posizione soggettiva dal
patrimonio, ha tuttavia modificato la direzione o le priorità delle
situazioni creditorie dei terzi. Le règole speciali che conseguono
alla separazione sono quelle che individuano creditori del patrimonio
separato, i quali prevalgono rispetto agli ordinari creditori del soggetto
perché essi soli possono direttamente soddisfarsi sul patrimonio separato;
mentre i creditori generali, ma anche il coniuge e il legittimario, hanno
quale garanzia il diritto che il soggetto ha tuttavia mantenuto sul
patrimonio stesso (...). La separazione non fa quindi
venire meno l’appartenenza, ma la pone in una situazione mediata, grazie
alla quale le generali vicende del soggetto, che rimane il titolare ultimo
del patrimonio separato, non si riverberano direttamente su di esso e si
traslano sul nesso proprietario fra il soggetto e il patrimonio separato. La
conseguenza ultima di siffatta configurazione è che esiste pur sempre un
punto di passaggio unidirezionale fra il patrimonio separato e il patrimonio
ordinario del soggetto: tramite esso si può comunicare l’arricchimento del
patrimonio separato, che può non rimanere ivi confinato perché esso
appartiene al soggetto titolare del patrimonio ed egli può disporne come
crede. (...) (ndr: nel trust) la distinzione risiede nella
incomunicabilità bidirezionale fra il patrimonio separato e il soggetto che
ne è titolare [62]. |
La seconda caratteristica ai sensi del citato art. 2
è che i beni del trust sono intestati
a nome del trustee. L’espressione è
ambigua e non aiuta a chiarire a chi spetti effettivamente la proprietà: l’uso
del termine «intestati» sembra voler alludere ad un trasferimento meramente
apparente, anche se appare più ragionevole pensare ad un richiamo alla
necessità di operare un trasferimento reale, che deve come tale essere
documentato dalle forme di pubblicità previste dall’ordinamento nel quale il
bene si trova.
Terzo elemento ai sensi del citato art. 2
è dato dalla previsione che il trustee
sia investito del potere
e onerato dell’obbligo,
di cui deve rendere conto,
di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli
dalla legge. La disposizione in esame va letta ed interpretata alla luce del
disposto dell’art. 8,
secondo comma.
Ai sensi dell’ultimo comma del citato art. 2 è possibile che disponente, trustee e beneficiario coincidano.
Va aggiunto a questo punto che,
ai sensi degli artt. 3, 4 e 5,
la Convenzione si applica solo ai trusts costituiti volontariamente e
comprovati per iscritto.
Essa non si applica a questioni
preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti
giuridici, in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee. La Convenzione non si applica
qualora la legge specificata al capitolo II (legge applicabile) non preveda
l’istituto del trust o la categoria
di trust in questione.
Particolare attenzione merita l’art. 4,
a mente del quale La Convenzione non
si applica a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di
altri atti giuridici, in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee. Sul punto particolarmente
illuminanti sono le considerazioni del rapport
explicatif, che usano l’immaginifica metafora della «rampa di lancio» (vale a
dire il contratto o il testamento che trasferisce i beni al trustee, così permettendo al trust di venire in essere e lanciandolo
nel mondo del diritto) e del «razzo» (cioè del trust
in sé, che ha vita autonoma ed indipendente dal negozio che ha costituito, per
così dire, la «provvista» della sua creazione).
|
Ma proprio questa netta
distinzione pone nel diritto un grave problema, che la nostra più attenta
dottrina non ha mancato di sottolineare [63]. Se
invero, la Convenzione non si applica al negozio di trasferimento del trust, occorre comunque verificare, nell’ipotesi di c.d. trust interno che tale negozio sia
valido secondo la legge italiana. Trattasi, ovviamente, di questione
preliminare rispetto alla validità stessa del trust interno, posto che senza
costituzione di beni in trust non è
logicamente concepibile la stessa istituzione del trust.
Sul punto è intervenuta una
sentenza di merito, che verrà esaminata oltre [64]. Basterà
qui anticipare che appare quanto meno discutibile che il nostro ordinamento possa ammettere un
negozio traslativo a causa esterna fiduciaria, ed è stato sul punto
contestato che nell’ipotesi in esame la giustificazione causale dell’atto di
trasferimento si possa trovare nel contratto con il quale il fiduciario si è
obbligato ad acquistare la proprietà del bene che il fiduciante intende
trasferirgli, quale mezzo per adempiere la fiducia [65].
Si è in particolare espressa opinione contraria, in dottrina,
sull’ammissibilità della causa fiduciae
quale causa sufficiente a trasferire la proprietà dal fiduciante al fiduciario, sia con
riferimento alla fiducia cum amico, sia con riguardo a
quella cum creditore.
Sotto entrambi i profili viene in
considerazione il medesimo ostacolo,
costituito dal limite che
l’autonomia privata incontra nella costruzione di diritti e vincoli reali
diversi da quelli direttamente previsti dalla legge e nel perseguimento di
obiettivi volti ad ostacolare la libera circolazione dei beni, a porre divieti
di alienazione ovvero ad effettuare la dissociazione permanente tra titolarità
del bene e suo godimento (donde, ad esempio, l’inderogabilità della disciplina
relativa alla necessaria temporaneità dell’usufrutto) [66]. La
questione, come si vede, è quanto mai spinosa, perché tocca direttamente il
principio del numero chiuso dei diritti reali: proprio per questa ragione, ad
esempio, Pugliatti escludeva l’ammissibilità della causa fiduciae [67];
Di contro si potrebbe però
obiettare che la causa esterna nella fiducia potrebbe forse rinvenirsi in un
mandato senza rappresentanza tra fiduciante e fiduciario, configurando, quale
negozio che il mandatario-fiduciario si obbliga ad eseguire per conto del
mandante, proprio il successivo ri-trasferimento al mandante o ad un terzo. A
ciò s’aggiunga che il d. lgs. 21 maggio 2004, n. 170, emanato in attuazione
della direttiva 2002/47/CE relativa ai contratti di garanzia finanziaria,
riconosce espressamente il «trasferimento della proprietà di attività finanziarie
con funzione di garanzia» e ciò addirittura con espressa deroga al divieto del
patto commissorio (cfr. art. 6 d.lgs. cit.).
7. Trust «interno» e Convenzione
dell’Aja. Alcune schematiche considerazioni sulla legge regolatrice.
Venendo al tema della legge regolatrice del trust va detto che ai sensi
dell’art. 6 il trust è
regolato dalla legge scelta dal costituente. La scelta deve essere espressa, oppure risultare
dalle disposizioni dell’atto che costituisce il trust o portandone la prova, interpretata, se necessario,
avvalendosi delle circostanze del caso. Qualora la legge scelta dal costituente
non preveda l’istituzione del trust o
la categoria del trust in questione,
tale scelta non avrà valore e verrà applicata la legge di cui all’articolo 7.
Ad avviso di chi scrive detta
disposizione non significa
necessariamente il riconoscimento della libertà di scelta di una legge
straniera in difetto di elementi di internazionalità della fattispecie, ma può
interpretarsi, invece, nel senso che detta libertà di scelta può esplicarsi nei
confronti di una legge di un ordinamento con il quale la fattispecie, pur
munita di oggettivi elementi di internazionalità, non presenti alcun
collegamento.
Del resto,
proprio dall’ambito del
diritto internazionale privato, da cui la Convenzione dell’Aja proviene, sembra
potersi estrapolare la regola generale che fa divieto ai privati di scegliere a
loro arbitrio la legge che disciplinerà i loro rapporti, in assenza di un
elemento di estraneità, che pertanto non può essere costituito dalla sola legge
dalle stesse parti indicata.
Come
rilevato in dottrina, l’ambito di applicazione del diritto internazionale
privato va circoscritto alle fattispecie che presentino elementi di
internazionalità sulla
base di un giudizio ex ante,
soltanto a seguito del quale, accertata la ricorrenza del carattere
internazionale della fattispecie, può applicarsi la normativa di diritto
internazionale privato e, quindi la norma che legittima la facoltà di scelta di
una legge straniera. Ritenere, invece, che la legge straniera scelta dalle parti
possa da sola fungere da elemento di internazionalità che giustifica
l’applicazione della normativa di diritto internazionale privato significa
operare una inversione concettuale contraria ai principi della logica [68].
Al
riguardo va detto che, se è vero che la Convenzione di Roma sulla legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali, siglata il 19 giugno 1980 e
ratificata con legge 18 dicembre 1984, n. 975, entrata definitivamente in
vigore il l’ aprile 1991, stabilisce, all’art. 3, che «il contratto è regolato dalla legge scelta dalle
parti», è altrettanto vero che l’art. 1 della citata Convenzione
delimita espressamente il campo d’applicazione della medesima alle sole «obbligazioni contrattuali nelle
situazioni che implicano un conflitto di leggi», mentre il terzo comma
dell’art. 3 cit. impedisce espressamente alle parti di derogare alle
disposizioni imperative dell’ordinamento cui «nel momento della
scelta tutti gli altri dati di fatto si riferiscano».
Lo stesso
è a dirsi oggi per l’art.
1 del Regolamento (CE) N. 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del
17 giugno 2008 sulla legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I).
La scelta
non potrà dunque sortire l’effetto di eludere l’applicazione delle norme
cogenti (si badi: quelle cogenti e non solo quelle di ordine pubblico) del
paese con cui il contratto è collegato in via esclusiva, proprio al fine di
evitare che i soggetti di un rapporto giuridico privo di elementi di estraneità
possano sfuggire all’applicazione delle norme imperative attraverso la
designazione di una legge straniera.
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L’argomento sovente tratto dai
lavori preparatori da parte dei sostenitori della tesi della ammissibilità del trust c.d. interno si basa sul
rigetto di una proposta tendente a legare la scelta della legge straniera
all’esistenza di un «lien [réel] avec la loi choisie».
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Dunque è chiaro
che il rigetto di tale proposta s’accompagnava strettamente al rilievo secondo
cui «l’opinion a prévalu
qu’il était préférable de réprimer les choix abusifs dans ce qui allait devenir
l’article 13».
Ed ecco
cosa chiarisce il medesimo rapporto relativamente all’art. 13:
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Appare
dunque chiara l’intenzione di considerare «abusiva» la scelta del ricorso ad una legislazione straniera
per dare vita ad un trust «interno» in un Paese che non conosca tale
istituto. A conferma dei dubbi sull’accettabilità della tesi che
asserisce la validità dei trusts «interni», andrà quindi ribadito che
proprio quei lavori preparatori della Convenzione cui i fautori di tale
opinione fanno richiamo [69] contengono, in realtà, il chiaro riferimento al
potere del giudice di dichiarare la nullità di un trust «parce qu’il
estime qu’il s’agit d’une situation interne» [70].
A ciò
s’aggiunga che nemmeno l’argomento [71]
fondato sulla disparità di
trattamento ingenerata dalla soluzione che non ammette il trust
«interno» rispetto alle situazioni caratterizzate da un obiettivo elemento di
estraneità (nelle quali non vi è dubbio che la validità del trust debba
essere riconosciuta) appare del tutto convincente. Sembra infatti a chi scrive
che scopo delle norme di
diritto internazionale privato sia (e si perdoni l’apparente paradosso)
proprio quello di creare
disparità di trattamento, al fine di adattare la soluzione alle
peculiarità di una fattispecie obiettivamente caratterizzata da elementi di
estraneità e dunque obiettivamente diversa da quella in cui tali elementi di
estraneità sono assenti. In altre parole, è proprio l’eventuale presenza di
elementi di estraneità «oggettivi» (e dunque distinti dal mero capriccio delle
parti) ad imporre (ai sensi del secondo, anziché del primo comma, dell’art. 3
Cost.) un trattamento differenziato di situazioni obiettivamente diversificate.
D’altro
canto, sarà sufficiente riflettere sul fatto che l’argomento fondato sulla
disparità di trattamento, ove spinto alle sue estreme conseguenze, porterebbe
puramente e semplicemente all’inaccettabile risultato di una declaratoria di
incostituzionalità di tutte le norme di diritto internazionale privato.
8. Trust «interno» e Convenzione
dell’Aja. Alcune schematiche considerazioni sul riconoscimento del trust.
Sotto il profilo del riconoscimento del trust
rilevano gli artt. da 11 a
14 della convenzione. In particolare, l’art. 11 individua
il contenuto ed il significato del riconoscimento, stabilendo che tale
riconoscimento implica quanto meno che i beni del trust siano separati
dal patrimonio personale del trustee,
che il trustee abbia le capacità di
agire in giudizio ed essere citato in giudizio, o di comparire in qualità di trustee davanti a un notaio o altra
persona che rappresenti un’autorità pubblica.
Qualora la legge applicabile al trust lo richieda, o lo preveda, tale riconoscimento implicherà, in
particolare:
a) che i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni del trust;
b) che i beni del trust
siano separati dal patrimonio del trustee
in caso di insolvenza di quest’ultimo o di sua bancarotta;
c) che i beni del trust
non facciano parte del regime matrimoniale o della successione dei beni del trustee;
d) che la rivendicazione dei beni del trust sia permessa qualora il trustee, in violazione degli obblighi
derivanti dal trust, abbia confuso i
beni del trust con i suoi e gli
obblighi di un terzo possessore dei beni del trust rimangono soggetti alla legge fissata dalle regole di
conflitto del foro.
Ai sensi dell’art. 12 il trustee
che desidera registrare
i beni mobili e immobili, o i documenti attinenti, avrà facoltà di richiedere la iscrizione nella
sua qualità di trustee o in
qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust, a meno che ciò non sia vietato o sia incompatibile a norma
della legislazione dello Stato nel quale la registrazione deve aver luogo.
Per iscrizione
deve intendersi l’effettuazione di ogni forma di pubblicità prevista nel paese, e dunque la trascrizione
nei pubblici registri immobiliari, nel P.R.A., nel registro aeronautico o in
quello navale, ovvero la iscrizione nel registro delle imprese o nel libro soci,
ecc.
Ai sensi dell’art. 13, poi, nessuno Stato è
tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da
applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più strettamente connessi
a Stati che non prevedono l’istituto del trust
o la categoria del trust in
questione.
La disposizione si è prestata a letture diametralmente
contrapposte: da un lato si è detto che essa non impedisce la creazione di trusts «interni», purchè essi non si
connotino come abusivi. Di contro (ed in maniera assai più coerente rispetto
alla lettera della disposizione ed ai già citati lavori preparatori) si è posto
in luce come la disposizione in esame impedisca il riconoscimento di un trust «interno» [72].
Tra queste due posizioni estreme può citarsene per
completezza una, per così dire, intermedia, secondo cui l’art. 13 cit. consentirebbe al giudice,
in assenza di una specifica previsione legislativa di attuazione, come è al
momento in Italia, di valutare se rifiutare il riconoscimento al trust
interno in base ai principi generali dell’ordinamento. Questi principi
precluderebbero l’esercizio della scelta di legge qualora essa contrasti con il
principio di buona fede e con la tutela di legittimi interessi, sia insomma
abusiva nel senso che sia finalizzata ad occultare a legittimi creditori i beni
di un patrimonio. In questo caso, da verificare volta per volta, un trust
interno sarebbe certamente inammissibile [73]. Inutile dire che neppure tale tesi sembra trovare un
appiglio letterale.
9. Il dibattito sull’ammissibilità di un trust «interno». Impossibilità di fondare su disposizioni del codice civile la
«segregazione» patrimoniale quale
fenomeno generale.
Ugualmente
non persuasivo, a sommesso avviso dello scrivente, appare poi il tentativo di
fondare sulla normativa del codice
civile la possibilità di dar luogo a fenomeni di «segregazione»
patrimoniale al di là dei casi normativamente previsti.
Si sono
citati al riguardo, per ricordare solo alcune fattispecie, i fenomeni previsti
in relazione agli acquisti del mandatario senza rappresentanza, alla posizione del debitore che ha costituito in
pegno uno o più beni, alla situazione che si viene a produrre nella c.d.
«fiducia statica»
(che altro non è se non il mandato senza rappresentanza fiduciae causa) o nel sequestro convenzionale [74].
Invero,
per ciò che attiene agli acquisti del mandatario, gli artt. 1706 e 1707 dispongono
quanto segue.
Articolo 1706 ACQUISTI DEL MANDATARIO 1. Il mandante puo` rivendicare le cose mobili
acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio, salvi i
diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede. 2. Se le cose acquistate dal mandatario sono beni
immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario e`
obbligato a ritrasferirle al mandante. In caso d’inadempimento, si osservano
le norme relative all’esecuzione dell’obbligo di contrarre. Articolo 1707 CREDITORI DEL MANDATARIO 1. I creditori del mandatario non possono far valere
le loro ragioni sui beni che, in esecuzione del mandato, il mandatario ha
acquistati in nome proprio, purche`, trattandosi di beni mobili o di crediti,
il mandato risulti da scrittura avente data certa anteriore al pignoramento,
ovvero, trattandosi di beni immobili o di beni mobili scritti in pubblici
registri, sia anteriore al pignoramento la trascrizione dell’atto di
ritrasferimento o della domanda giudiziale diretta a conseguirlo. |
Per ciò
che attiene al pegno, stabilisce l’art. 2786 c.c. quanto segue.
In
relazione al sequestro convenzionale stabiliscono gli artt. 1798 e 1800 c.c.
quanto segue.
Ora,
secondo la tesi qui criticata, tali disposizioni contemplerebbero la
possibilità di dar luogo a fenomeni
molto simili all’effetto «segregativo», in deroga al disposto di cui all’art. 2740 c.c.,
norma sovente invocata da chi s’oppone alla tesi dell’ammissibilità dei trusts interni. In tutte queste ipotesi
avremmo situazioni di proprietà «a disposizione» di altri soggetti, diversi dal
proprietario e come tali «insensibili» al fenomeno descritto dall’art. 2740
c.c. Inoltre si verificherebbe una sorta di «scollamento» tra proprietà del
bene e potere di gestione dello stesso.
Molte
potrebbero essere le critiche a tale impostazione. A partire dal fatto che i
fenomeni descritti, ad esempio, dagli artt. 1706 e 1707 c.c. si spiegano
semplicemente in base alla considerazione per cui gli acquisti (mobiliari) del
mandatario sono in realtà immediatamente soggetti alla proprietà del mandante
alla luce della tesi, vuoi del trasferimento diretto della proprietà in capo al
mandante, vuoi del c.d. «doppio trasferimento automatico». Non vi è dunque qui alcuna forma
di «scollamento» tra proprietà e potere di gestione: il mandatario ha
quale unico potere di «gestione» quello di consegnare il bene al mandante,
visto che tale bene è già di proprietà di quest’ultimo.
Anche a
voler contemplare la posizione del mandante la situazione non cambia rispetto
alle regole ordinarie: se
proprietario è il mandante i suoi creditori potranno soddisfarsi su tali beni e
dunque non vi è alcun fenomeno di segregazione simile a quello che si produce
nel caso di trust.
Per gli
acquisti immobiliari
vi è invece, effettivamente, una proprietà (del mandatario: lo si desume dal fatto che egli è
tenuto a trasferire e non già semplicemente ad immettere nel possesso) a
disposizione del mandante e per questo il bene è sottratto alla garanzia
generica offerta ai creditori del mandatario dal patrimonio di quest’ultimo.
Peraltro, in questo caso, come negli altri
citati, (e fermo restando, naturalmente, che la questione meriterebbe
ben altro approfondimento, impossibile nella presente sede), l’effetto sembra
invero porsi quale esclusiva
conseguenza di precise disposizioni di legge, in fattispecie che la legge stessa
tassativamente descrive, ricollegandole a ben precise dichiarazioni negoziali,
inestensibili analogicamente.
Si noti
poi che tutti i casi qui descritti traggono origine da negozi bilaterali, laddove il trust può dar luogo a segregazione anche
in base a dichiarazioni unilaterali. In altre parole, sembra che l’art. 2740
c.c. non possa subire deroghe se non nei casi tassativamente previsti dalla
legge.
Un’ulteriore
riflessione si impone: proprio il confronto con le ipotesi sopra indicate
dimostra come nel nostro ordinamento fattispecie lato sensu assimilabili al trust
presentino rispetto a tale figura una differenza insormontabile: ci si
riferisce alla struttura stessa del trust,
che consiste in un vero e proprio sdoppiamento del diritto di proprietà, sdoppiamento
sconosciuto nel nostro ordinamento e tale da dar luogo ad una nuova categoria
di diritti reali, in contrasto con il principio d’ordine pubblico della
tassatività di questi ultimi [75].
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10.
Il trust «interno» nella
giurisprudenza italiana. Trib. Bologna, 1 ottobre 2003.
Una delle
sentenze più importanti in materia di trust
c.d. «interno» è Trib. Bologna, 1 ottobre 2003. Nella decisione il tribunale afferma che il trust «interno» è compatibile con
l’ordinamento giuridico italiano, ritenendo che l’unico elemento di estraneità
necessario per l’applicazione della Convenzione sia la legge straniera che
regola il trust, la quale può essere
liberamente scelta dal disponente.
Secondo
tale decisione, l’art. 13 Conv. è una norma di chiusura per il caso in cui un trust interno produca effetti ripugnanti
per l’ordinamento che non siano colpiti dagli artt. 15, 16 e 18 della
Convenzione stessa. Né è violato l’art. 2740 c.c., in quanto norma che non
esprime un principio generale di ordine pubblico.
11.
Il trust «interno»
nella giurisprudenza italiana. Trib. Brescia, 12 ottobre 2004.
Altra
sentenza che si occupa del riconoscimento del trust quale oggetto della domanda principale è quella del Tribunale di Brescia del 12 ottobre 2004.
Nella
decisione Il tribunale riprende, anche se in forma sintetica, gli argomenti
utilizzati dal tribunale di Bologna, ed afferma che l’art. 13 della Convenzione
è norma di chiusura, destinata al giudice, da utilizzare quale strumento per
reprimere le fattispecie in cui il trust
viene utilizzato con intenti fraudolenti.
Nella
specie si trattava di un pignoramento presso terzi, cioè effettuato dal
creditore presso il trustee,
assumendo che questo sarebbe stato debitore del settlor. Il trustee
ammette che ha somme del settlor a
titolo di trust e vince la causa,
atteso che i beni in questione sono oggetto di segregazione.
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Dunque ci si trova di fronte, anche in questo caso, ai soliti
argomenti utilizzati dalla dottrina e dalla giurisprudenza favorevoli al trust interno.
12.
Il trust «interno»
nella giurisprudenza italiana. Trib. Belluno, 25 settembre 2002.
In senso contrario rispetto alla giurisprudenza sopra
riportata si è espressa la decisione Trib. Belluno, 25 settembre 2002.
Nella specie, il
giudice tavolare di Cortina d’Ampezzo aveva rigettato la domanda di
intavolazione di un atto di trust,
che prevedeva l’attribuzione di quote di un appezzamento di terreno sito nel
Comune di Cortina d’Ampezzo ad un soggetto nella sua qualità di trustee. Il Tribunale di Belluno, nel
respingere le istanze dei reclamanti, afferma l’invalidità dell’atto che, in
esecuzione di un trust, trasferisce,
o intende trasferire, diritti al trustee
in quanto l’atto di trasferimento dei beni dal disponente al trustee non è riconducibile ad alcuno
schema causale di diritto italiano e quindi è valutabile come negozio astratto
di trasferimento, figura questa non ammissibile nell’ordinamento italiano, se
attuata in relazione ad una causa esterna fiduciaria.
Ciò premesso, va
ricordato che la Convenzione non si applica "a questioni
preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici
in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee" (art. 4 Conv.). La disposizione
richiamata opera una distinzione all’interno della fase costitutiva del trust,
evidenziando due diversi elementi: l’atto propriamente istitutivo-costitutivo e l’atto di trasferimento
al trustee del bene da costituire in trust. Detta disposizione
esclude dall’ambito applicativo della Convenzione la fase della costituzione
del trust con cui si attua il trasferimento (che potrebbe mancare nel caso in
cui il trustee sia già titolare del bene, come avviene nella c.d.
fiducia statica della tradizione romanistica), riconoscendo la piena
indipendenza tra le norme applicabili al trust e quelle che disciplinano il
rapporto di base (testamento, contratto, ecc.); l’atto di trasferimento resta
pertanto sottoposto (nei profili sia formali che sostanziali) alla legge
designata dalle norme di conflitto ordinarie ad esso applicabili. I beni da costituire in trust
vengono attribuiti al trustee mediante un atto di trasferimento
che ha una propria autonomia, quale ordinario strumento di circolazione dei
diritti sui beni (ad esempio, il testamento o il contratto), ed è soggetto ad
una propria disciplina che interferisce con quella del trust solo in
quanto il trasferimento del bene sia finalizzato alla costituzione di un
trust. Tornando alla fattispecie
concreta, l’atto di
costituzione dei beni in trust, tenuto distinto dall’atto istitutivo
del trust, è dunque regolato dalla legge individuata dalle norme di conflitto
ordinarie (e non dalla legge scelta per regolare il trust): in assenza
dell’indicazione, da parte dei reclamanti, di elementi di estraneità – che in
concreto non si rinvengono, trattandosi di negozio posto in essere da
soggetti verosimilmente di nazionalità italiana (e comunque l’uno residente e
l’altro domiciliato in Italia) ed avente ad oggetto beni siti in Italia – la
legge regolatrice dell’atto non può che essere la legge italiana. Facendo perciò
riferimento ai tipi
negoziali propri del nostro ordinamento, non si vede a quale schema causale
le parti abbiano voluto fare riferimento per operare la costituzione di beni
in trust. L’atto in questione, che si presenta come dichiarazione
unilaterale diretta a produrre effetti traslativi, non appare avvicinabile ad
alcuno degli schemi negoziali conosciuti dall’ordinamento italiano (vendita,
donazione, mandato, ecc.). Poiché la causa
dell’attribuzione patrimoniale in favore del trustee risulta esterna
al negozio traslativo – essendo individuata nello scopo del trust o nella
finalità di gestione-amministrazione cui il trustee è tenuto in favore
dei beneficiari – l’atto in esame sì configura dunque come negozio astratto
di trasferimento. Tuttavia, il nostro
ordinamento prevede la causa come requisito di validità del contratto (art.
1325 n. 2 c.c. e 1418, 2° comma, c.c.), e non ammette, in via di principio,
negozi astratti: i negozi che operano il trasferimento della proprietà o di
altri diritti hanno una propria causa e producono effetti reali ed
obbligatori insieme. Ed anche nell’ambito del sistema tavolare – dove
l’effetto traslativo consegue all’intavolazione – nel caso dell’acquisto o
della modificazione di un diritto, l’atto "deve contenere una valida
causa" di attribuzione patrimoniale (art. 26, 2° comma, 1. tav.). Sembra corretto, quindi,
ritenere che la validità dell’atto di trasferimento al trustee abbia
carattere preliminare rispetto alla validità del trust costituito, atteso
che, mancando un valido trasferimento dei beni (in ragione della nullità
dell’atto di costituzione dei beni in trust), non si costituisce un
valido trust. Ciò induce altresì a
dubitare della validità dello stesso atto istitutivo del trust, se con esso
non siano stati attribuiti dei beni al trustee, considerato che la nozione di
trust accolta dall’art. 2 della Convenzione richiede che "dei
beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee". |
Il tema è già stato
affrontato, almeno in parte in precedenza (cfr. supra, § 6 in
fine). Qui potrà solo aggiungersi che il negozio traslativo a causa esterna non pare tout court incompatibile con il nostro
ordinamento. Come si è esattamente rilevato in dottrina, l’art. 1376
c.c. agevola le parti, ma non può vincolarle contro la loro stessa volontà [76].
Del resto, che il principio consensualistico possa essere derogato si desume
anche dal secondo comma dell’art. 1465 c.c. (in materia di risoluzione del
contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione), che consente che
l’effetto traslativo o costitutivo sia differito fino allo scadere di un
termine, nonché dalla ammissibilità nel nostro ordinamento, della clausola che
eleva il pagamento del prezzo a condizione sospensiva di efficacia del
contratto [77].
Come peraltro
precisato in dottrina, il richiamo in
parte qua alla questione del negozio traslativo astratto va riferito al
tema circa la possibilità per la causa
fiduciae di ergersi ad idonea causa (esterna) traslativa nel nostro
ordinamento relativamente ai rapporti tra fiduciante e fiduciario (cfr. supra, § 6, in fine).
Il tribunale ritiene
poi che i trust «interni» siano comunque
inammissibili, in quanto l’art. 13 Conv. consente di negare il riconoscimento
dei trust privi di elementi di
estraneità rispetto all’ordinamento giuridico italiano e tale diniego deve
essere pronunciato in assenza di qualsiasi ragionevole e legittima
giustificazione del ricorso all’istituto, certo non ravvisabile, nel caso di
specie, nella mera volontà del disponente di adempiere «obbligazioni naturali e
di coscienza». Infine, l’ordinamento tavolare non consente che sia
indicata la qualità di trustee
nell’iscrizione nel libro fondiario.
«A
favore dell’ammissibilità del trust interno vengono solitamente invocati
alcuni argomenti desumibili nella Convenzione. Tra
questi vi è indubbiamente il disposto dell’art. 6, il quale stabilisce che "il trust
è regolato dalla legge scelta dal costituente", e che, qualora la
legge scelta "non preveda l’istituzione del trust", "tale
scelta non avrà valore e verrà applicata la legge di cui all’art. 7": i
sostenitori del trust interno leggono la disposizione nel senso che la
scelta della legge applicabile è sempre consentita anche in assenza di altri
elementi di internazionalità del rapporto, dato che il solo caso in cui la
scelta della legge applicabile al trust deve essere disattesa in favore di
criteri obiettivi di collegamento è quello in cui essa cade su un ordinamento
che non prevede il trust. Inoltre,
l’art. 15 delta Convenzione fa salve "le disposizioni di legge previste
dalle regole di conflitto del foro" in varie materie (minori e incapaci,
matrimonio, testamenti e legittima, trasferimento della proprietà e garanzie
reali, protezione dei creditori in caso di insolvenza, tutela dei terzi di
buona fede), "allorché non si possa derogare a dette
disposizioni mediante una manifestazione di volontà": tale
disposizione dovrebbe fare riferimento ai trust costituiti da chi è
normalmente sottoposto ad un ordinamento non-trust, dato che nei
sistemi di common law il problema del coordinamento con l’eventuale
disciplina inderogabile delle varie materie è già risolto all’interno
dell’ordinamento (in tema di trust testamentario, cfr. Trib. Lucca 23.9.1997,
in Foro It., 1998, I, 3391). (…) 5.2.2
- Contro questa
ricostruzione, è stato rilevato che lo scopo della Convenzione è quello di
permettere ai trust costituiti nei paesi di common law di
operare anche nei sistemi di civil law, in particolare nei sistemi
dell’Europa continentale; ne è derivata una Convenzione che, accanto
alla creazione di norme comuni di diritto internazionale privato (di
conflitto) sul trust (v. Capitolo Il, Legge applicabile), prevede il
riconoscimento, da parte dei paesi firmatari che non conoscono il trust,
degli effetti di un istituto estraneo al loro sistema tradizionale (v.
Capitolo III Riconoscimento). Tale finalità non può essere confusa
con quella evidentemente diversa e più ampia, di introdurre surrettiziamente
il trust all’interno di ordinamenti che per tradizione non lo
prevedono. Da
parte di autorevole dottrina si è infatti osservato che la Convenzione
dell’Aja, pur con le particolarità evidenziate, rimane comunque pur sempre
una Convenzione in tema
di conflitti di leggi e non ha assunto il carattere di Convenzione di
diritto sostanziale uniforme. Essa
si limita a fornire una definizione convenzionale dell’istituto oggetto del
riconoscimento (il cui contenuto minimo è descritto dagli artt. 2 e 11) al
solo fine di qualificare gli elementi la cui compresenza costituisce il
presupposto di applicazione della Convenzione. Nel caso concreto, una volta
compiuta positivamente questa valutazione, interviene la regola di conflitto
che individua la legge applicabile: ma è la Convenzione, e non questa legge,
a stabilire se si tratta o meno di un trust. Per
effetto della ratifica della Convenzione, dunque, il trust è riconosciuto anche nel nostro
ordinamento. Ma ciò avviene soltanto nei limiti dettati dall’art. 13 della Convenzione
("nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi
importanti – ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di
amministrazione, della residenza del trustee – sono più strettamente
connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust"),
e cioè solo quando si tratti di un trust costituito in uno Stato
che conosca e disciplini il tipo di trust in questione: il tenore
della disposizione richiamata esclude, per gli Stati contraenti, l’obbligo di
riconoscimento dei trust privi di collegamenti sostanziali con un
ordinamento che prevede l’istituto sul piano materiale, in modo da evitare
che il trust possa essere indiscriminatamente utilizzato dai cittadini di uno
Stato non trust in assenza di elementi di collegamento con ordinamenti
di common law. Un
chiaro segnale in tal senso si ricava dai lavori preparatori del testo dall’art. 13, la cui formulazione è
evidentemente volta ad impedire che l’istituto in esame venga utilizzato in
situazioni meramente interne nei paesi non trust quando manchi un
collegamento di particolare intensità con ordinamenti che conoscono
l’istituto, mentre non presuppone un collegamento obiettivo tra legge
scelta dal disponente e fattispecie concreta (ad esempio, un italiano
potrebbe costituire un trust di diritto nordamericano su un immobile
sito in Inghilterra), né impedisce la costituzione di un trust interno ad un
paese di common law. E ciò principalmente perché il trust
non può essere meccanicamente trapiantato nel vuoto normativo di un
ordinamento non trust, come accadrebbe anche nel nostro caso – se si seguisse
l’interpretazione prospettata dai reclamanti – in assenza di specifiche
disposizioni volte al recepimento dell’istituto nel diritto interno ed al suo
coordinamento con il sistema del diritto civile. L’art.
13 comporta quindi l’introduzione, in sede di riconoscimento del trust, dì
limiti più ristretti rispetto a quelli, più ampi, previsti dall’art. 6 per
l’individuazione della legge applicabile, consentendo agli Stati non-trust di
rifiutare il riconoscimento di un trust che, negli elementi più
significativi, indipendenti dalla volontà dello stesso disponente (quali la
situazione dei beni e la nazionalità e residenza dei soggetti interessati, ed
in particolare dei beneficiari), possa essere considerato meramente interno ad
uno Stato che non conosce l’istituto. (…) L’art. 13 appare come una previsione
normativa che richiede un’apposita disposizione di adattamento ordinario, che
nel caso dell’Italia non è stata emanata (essendosi il legislatore limitato a
recepire la Convenzione con ordine di esecuzione, che produce le sole norme
interne indispensabili all’adempimento degli obblighi internazionali
assunti), con la conseguenza che non si sono prodotte nell’ordinamento le
modifiche necessarie per permettere il riconoscimento dei trust interni, la
cui introduzione non è richiesta per rispettare gli obblighi imposti dalla
Convenzione. Ma
se anche si dovesse ritenere che l’art. 13 introduce un mero potere
discrezionale (e non un obbligo) di rifiutare il riconoscimento – potere che parte
della dottrina ritiene spettare esclusivamente al giudice (poiché lo Stato
non lo ha esercitato in via preventiva) – è indubitabile che il
riconoscimento non può essere operato nei casi in cui nessuno degli elementi
significativi del trust presenti caratteri di estraneità rispetto
all’ordinamento italiano. Anche
gli autori che accolgono la soluzione più favorevole al trust interno sono
infatti costretti ad ammettere che il potere di rifiutare il riconoscimento è
legittimamente esercitato quando sia i soggetti, sia i beni, sia lo scopo del
trust siano localizzati in uno Stato che non conosce l’istituto. E
tale situazione si verifica nella fattispecie concreta, dove l’unico
elemento di estraneità è costituito dalla scelta del disponente di applicare
la legge inglese, mentre i dati di fatto del trust non risultano
collegati né con quello specifico ordinamento di common law né con
altri ordinamenti stranieri. (…) Non
si può non rilevare, del resto, come, una volta riconosciuta alla Convenzione dell’Aja la natura
di convenzione di diritto internazionale privato, si debba richiedere
necessariamente, quale presupposto per la sua applicazione, la presenza,
nella fattispecie concreta, di elementi oggettivi di estraneità ulteriori
rispetto alla mera volontà del disponente di scegliere una legge straniera. Sebbene
alcuni autori richiamino, anche a proposito del trust, il ruolo sempre
più ampio svolto dalla volontà delle parti nella scelta della legge
applicabile, invocando il principio espresso dall’art. 3 della Convenzione di Roma
del 19.6.1980 --ove si afferma che il contratto è regolato dalla legge scelta
dalle parti (con i limiti previsti dall’art. 3 par. 3) e si disciplina la
scelta della legge applicabile nei contratti che presentano collegamenti con
un unico ordinamento – va comunque rilevato che frequentemente nelle
convenzioni internazionali si subordina l’applicabilità delle norme di
conflitto alla sussistenza di elementi di internazionalità (v. ad es. la
Convenzione dell’Aja del 15.6.1955 sulla vendita internazionale), e che
l’art. 1 par. 1 della
stessa Convenzione di Roma prevede che essa si applichi solo alle
obbligazioni contrattuali che implicano un conflitto di leggi. 5.4.-
A conclusione di queste osservazioni, si deve infine rilevare come
l’esclusione dall’ambito di applicazione del-la Convenzione delle fattispecie
meramente interne al nostro ordinamento non viene a produrre risultati
contrastanti con il principio
di uguaglianza posto dall’art. 3 della Costituzione, per l’asserita
privazione dei cittadini italiani di uno strumento utilizzabile in Italia
dagli stranieri. Infatti,
l’effettiva presenza di elementi di collegamento con un ordinamento che
conosce il trust, quale presupposto per l’applicabilità dell’istituto nel
nostro ordinamento, configura una fattispecie oggettivamente diversa da
quella puramente interna, tale da rendere ragionevole e giustificata la
diversità di trattamento derivante dall’applicabilità della Convenzione alla
prima e non alla seconda situazione. Da
un lato, quindi, anche ad uno straniero non è permesso istituire un trust in
Italia, se non sussiste un effettivo collegamento con un ordinamento che
conosce il trust in questione; e d’altra parte, se è vero che un
inglese può costituire in trust un immobile sito nel territorio italiano,
anche un cittadino italiano non incontra il limite dell’art. 13 se intende
costituire un trust su beni che si trovano in Inghilterra. L’accoglimento
dell’interpretazione della Convenzione che esclude il riconoscimento del trust
interno non comporta quindi alcuna violazione del principio di
uguaglianza nei confronti dei cittadini italiani, ai quali non è preclusa la
costituzione di trusts i cui elementi importanti siano strettamente connessi
a Stati che prevedono l’istituto in questione» |
La motivazione
si occupa poi anche dei profili
più squisitamente pubblicitari della vicenda, con particolare riguardo
alla materia della pubblicità tavolare:
«Il
legislatore italiano non ha dettato specifiche disposizioni al fine di
disciplinare la trascrizione del trust e degli atti dei quali sia
parte un trustee, per cui l’unica disposizione di riferimento è
costituita dell’art. 12
della Convenzione, che riconosce al trustee la facoltà di richiedere l’iscrizione (la
trascrizione) "in qualsiasi modo che riveli l’esistenza del trust". Secondo
una prima interpretazione, l’elenco degli atti soggetti a trascrizione deve
considerarsi tassativo,
con la conseguenza che, non essendo prevista la trascrizione del trust– né
dal codice civile né dalle leggi speciali – il trasferimento di beni in trust
non sarebbe trascrivibile, risultando comunque di ostacolo lo
sdoppiamento della proprietà quale effetto tipico del trust. Una
diversa opinione
ammette invece la trascrizione, rilevando che la negazione della trascrivibilità
del trust comporterebbe, di fatto, la vanificazione del riconoscimento
dell’istituto conseguente alla ratifica della Convenzione. Si
è rilevato, a sostegno di questa tesi, che il principio di tassatività in
materia di trascrizione riguarda non gli atti bensì gli effetti elencati (v.
art. 2645 c.c.) e
tende ormai ad essere superato da varie decisioni giurisprudenziali; si è
anche sostenuto che la fonte della norma speciale che ammette la trascrizione
del trust va individuata nella stessa legge di ratifica. La questione delle modalità di
trascrizione concerne non tanto la trascrizione dell’effetto traslativo in
favore dei trustee (con riferimento sia ai beni originariamente
costituiti in trust sia a quelli successivamente acquistati nella
qualità di trustee), la quale è disciplinata dagli artt. 2643 e 2645
c.c. (v. Trib. Bologna 28.4.2000: "l’atto
istitutivo di trust in relazione a beni immobili è soggetto a
trascrizione nei pubblici registri immobiliari, posto che gli effetti di tale
atto rientrano tra quelli considerati dal legislatore ai sensi degli artt.
2643 n. 1 e 2645 c.c."; cfr. Trib. Pisa 27.12.2001), quanto la trascrizione del
vincolo che grava sui beni, per il quale è stata prospettata l’applicazione
dell’art. 2659 c.c. in tema di acquisto soggetto a termine o condizione. Ciò
premesso, il caso che ci occupa presenta tuttavia una notevole peculiarità
rispetto alle ipotesi più ricorrenti, costituita dal fatto che qui non si
tratta di disporre una trascrizione nei Registri Immobiliari, ma di verificare
la compatibilità, nel vigente sistema tavolare, dell’annotazione di un atto
di costituzione di beni in trust (senza più distinguere, a questo
fine, se sia o meno un trust interno). L’art.
12 della Convenzione dell’Aja legittima il trustee ad ottenere la
pubblicità degli acquisti immobiliari "nella qualità di trustee
o in qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust, a meno che
ciò non sia vietato o sia incompatibile a norma della legislazione dello
Stato nel quale la registrazione deve aver luogo". Tale
riserva di incompatibilità comporta la necessità di confronto con l’art. 12
del r.d. 28.3.1929, n. 499, il quale prevede la generale inapplicabilità al
sistema tavolare delle norme del codice civile e delle altre leggi
incompatibili con le leggi tavolari, disponendo, in particolare, e salve le
eccezioni ivi precisate, l’espressa non applicabilità dei capi I e II del
titolo I del libro VI del codice civile. Il
2° comma del richiamato articolo 12 stabilisce, tuttavia, che "tutti i richiami
di leggi o decreti a trascrizioni, iscrizioni o annotazioni nei registri
immobiliari si intendono riferiti alle corrispondenti intavolazioni,
prenotazioni o annotazioni previste dalla legge generale sui libri fondiari
[...] in quanto non vi osti la diversa natura delle iscrizioni", il
sistema è completato dell’art. 20 lett. h) della legge tavolare, il quale
dispone che forma oggetto di annotazione anche "ogni altro
atto o fatto, riferentesi a beni immobili, per il quale le leggi estese,
quelle anteriori mantenute in vigore o quelle successive richiedano o
ammettano la pubblicità, a meno che questa debba eseguirsi nelle forme
dell’art. 9 della presente legge". Attraverso
tale disposizione di chiusura, si permette alle norme giuridiche previste per
la pubblicità nei registri immobiliari, che non trovino già il proprio
corrispondente nella legge tavolare, di espandersi anche nel sistema del
libro fondiario, fermo restando naturalmente il limite della compatibilità. Come
hanno osservato i reclamanti, ciò risponde ad una tendenza, comune ad
entrambi i sistemi, all’ampliamento degli atti e dei fatti oggetto di
annotazione pubblicitaria. L’effettuazione
di tali annotazioni (ad es. convenzioni in materia di edilizia abitativa ed
urbanistica; divieti di alienazione conseguenti alla concessione di mutui
agevolati; vincoli di destinazione dell’immobile; l’assegnazione
dell’alloggio ad uno dei coniugi in sede di separazione o di divorzio, ecc.)
non scalfisce il principio di tassatività dell’elenco degli atti soggetti ad
iscrizione pubblicitaria nel libro fondiario, in quanto esse sono previste da
fonti normative non inserite nel contesto del libro VI del codice civile e
sono quindi suscettibili di inserimento nell’ambito tavolare in forza
dell’art. 20 lett. h) della legge generale sui libri fondiari. Tuttavia, diversamente da quanto
ritenuto dai reclamanti, l’indicazione della qualità di trustee – volta ad attribuire pubblicità al fatto che l’acquisto
di un determinato bene immobile è avvenuto non in nome proprio ma nella
qualità di trustee – risulta incompatibile con l’ordinamento
tavolare alla stregua dell’art. 12 della Convenzione. Nel sistema tavolare, l’art. 2 del
r.d. 28.3.1929 n. 499 stabilisce che, "a modificazione di quanto è
disposto dal codice civile italiano, il diritto di proprietà e gli altri
diritti reali sui beni immobiliari non si acquistano per atto tra vivi se non
con l’iscrizione del diritto nel libro fondiario". Poiché
nel trust la titolarità del diritto
spetta indubbiamente al trustee,
ciò che caratterizza la proprietà del trustee, ai fini che qui
interessano, è proprio il conseguimento della pubblicità dell’acquisto
immobiliare "nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro
modo che riveli l’esistenza del trust". Tuttavia,
il fondamento della previsione pubblicitaria contenuto nell’art. 12 della
Convenzione dell’Aja non è sufficiente a superare il disposto dell’art. 20 lett. h) 1. tav.,
che presuppone un’espressa previsione normativa dettata in materia di
trascrizione e la conseguente pubblicità nei registri immobiliari, condizione
necessaria per la verifica da parte del giudice, in assenza di una
corrispondente previsione in regime tavolate, della compatibilità della
situazione da pubblicizzare con i principi informatori del sistema dei libri fondiari. A
fronte di un’intavolazione del diritto a nome del trustee, non
risulterebbe sufficiente indicare nell’iscrizione tale particolare qualifica,
in considerazione della necessità di rendere noti ai terzi – esposti alla
possibilità di esercizio nei loro confronti dell’azione reipersecutoria da
parte dei beneficiari – i limiti entro cui l’attività di amministrazione del trustee
possa essere idoneamente esercitata. Tale considerazione porta a ritenere
rilevante non solo la pubblicizzazione della fase traslativa del diritto dal
disponente al trustee, ma anche necessariamente del momento istitutivo
del trust in quanto contenente l’attribuzione (ed i limiti) dei poteri
del trustee. Mentre
per i beni sottoposti al regime della trascrizione questo problema non
presenta particolare rilievo – dato che la tecnica pubblicitaria si risolve
nel trascrivere integralmente il titolo, così da renderlo conoscibile nella
sua interezza – ben maggiori difficoltà si pongono nel regime tavolare, dove,
eccettuata l’ipotesi dell’art. 5 1. tav. (acquisto per usucapione o ad altro
titolo originario), l’iscrizione assorbe in sé il contenuto del titolo
esentando dal risalire allo stesso per completare la conoscenza del suo
contenuto. Ciò
in quanto, come riconoscono anche i reclamanti, il terzo ispezionante ha
tutto il diritto di vedersi opposte le sole ragioni oggetto di pubblicità. Una
riprova dell’assenza di automatismi nel passaggio dalla disciplina della
trascrizione a quella della legge tavolare si rinviene nella vicenda della pubblicità
dei contratti preliminari (e dei contratti sottoposti a condizione). Invero,
con l’introduzione nel codice civile dell’art. 2645 bis (per effetto
dell’art. 3 del d.l. 31.12.1996, n. 669, convertito nella legge 28.2.1997 n.
30), è stata estesa l’innovazione anche al sistema dei libri fondiari,
apportando una modifica integrativa all’art. 12 del r.d. 28.3.1929 n. 499 (ad
opera dell’art. 3, 8° comma, del citato d.l. n. 669/1996) in riferimento
all’annotazione prevista dall’art. 20 lett. h) della legge tavolare. Poiché,
tuttavia l’applicazione della disposizione nel sistema tavolare impone sia
adempimenti formali più onerosi di quelli richiesti per la trascrizione, sia
l’attribuzione al giudice tavolare di poteri di cancellazione non
espressamente previsti dalla legge, si è reso necessario, per rendere tale
innovazione effettivamente operativa, un ulteriore specifico intervento
legislativo (l’art. 34, 1° comma, lett. b, del-la legge 24.11.2000 n.340),
volto a coordinare il disposto dell’art. 3, 8° comma, d.l. 31.12.1996 n. 669
con i principi del diritto tavolare, il primo dei quali individua
nell’iscrizione del diritto nei libri fondiari non un mero procedimento
pubblicitario, bensì un procedimento attributivo della pubblica fede, quale
elemento costitutivo della fattispecie acquisitiva, subordinato al controllo
giudiziario della legittimità dell’atto di disposizione nelle forme della
giurisdizione volontaria. Da questo precedente si può
agevolmente concludere che, ai fini di rendere operante nel sistema tavolare
la previsione pubblicitaria dell’art. 12 della Convenzione, si impone uno
specifico intervento normativo volto ad individuare i necessari adempimenti
che prevedano, oltre all’intavolazione dell’atto traslativo del bene in capo
al trustee anche la necessaria annotazione del titolo istitutivo del trust. A
conferma di quanto esposto, si osserva, infine, come il limite della
incompatibilità previsto dall’art. 12 della Convenzione sia stato introdotto
nel testo della disposizione proprio su richiesta del-la delegazione tedesca,
perché, in assenza di apposite norme interne di coordinamento, ciò che
costituisce oggetto della procedura di iscrizione nei libri fondiari non è il
contratto di vendita, nel quale possono essere precisate le obbligazioni del trustee,
bensì il negozio astratto di trasferimento, con la conseguente
impossibilità di verificare che colui che si iscrive come trustee ne
abbia effettivamente i poteri. Anche con riferimento a quest’ultimo ordine di
considerazioni, la domanda proposta non può dunque trovare accogli-mento, con
conseguente definitivo rigetto del reclamo». |
13.
Gli effetti del trust «interno»
nella giurisprudenza italiana. L’uso in frode ai creditori.
Si è già detto che
l’effetto principale del trust è da un
lato la fuoriuscita dei beni dal patrimonio del disponente e dall’altro la
segregazione o separazione dei beni nell’ambito del patrimonio del trustee cui i beni stessi vengono
trasferiti. I provvedimenti di seguito indicati concernono fattispecie di uso «distorto» del trust, cioè fattispecie in cui
l’istituzione del trust aveva come
obiettivo quello di sottrarre i beni alla garanzia dei creditori.
Il primo di questi
provvedimenti è un decreto del giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Alessandria del 5 aprile 2000, che dispone il sequestro preventivo
di taluni beni immobili e di tutti gli arredi in essi contenuti. Qui peraltro
non si pone un problema di riconoscimento del trust interno ma solo degli effetti prodotti dalla Convenzione nei
confronti dei creditori.
Nella specie una
coppia di coniugi (titolari di numerose società dichiarate fallite) avevano
costituito una società inglese e aumentato il suo capitale sociale con
conferimento di tali beni immobili; a seguito del conferimento la società
emetteva azioni poi trasferite in un trust
appositamente costituito. Il giudice afferma che scopo dei coniugi era sottrarre i beni immobili, inseriti
nel trust, dall’aggressione dei
creditori, utilizzando un istituto giuridico «straniero» (in quanto privo
di una specifica disciplina di diritto italiano). Così facendo, nonostante le
dichiarazioni di fallimento personali, hanno sottratto i beni alla garanzia dei
creditori [78]. In sede di gravame il Tribunale di Alessandria
conferma il decreto di sequestro limitandolo ai beni immobili di proprietà di
uno dei coniugi, perché la libera disponibilità in capo a quest’ultimo potrebbe
consentire la sottrazione definitiva dei cespiti. Afferma inoltre che i negozi
posti in essere da costui avevano come unica finalità quella di sottrarre alle
pretese dei creditori i beni immobili inseriti nel trust [79].
Altro provvedimento
degno di interesse è un decreto di sequestro conservativo emesso dal Tribunale
di Firenze nel 2002. Qui il Tribunale afferma che non può essere istituito
un trust in violazione delle norme in
materia di conservazione della garanzia patrimoniale del debitore nei confronti
dei suoi creditori. In
questo caso esso è aggredibile con l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e di conseguenza deve essere disposto il
sequestro dei beni in trust [80].
14.
La pubblicità del trust «interno»
nella giurisprudenza italiana.
La materia della
pubblicità immobiliare è quella che ha dato luogo al maggior numero di pronunce, atteso che il
nostro ordinamento si basa sul principio volto a ricollegare all’esecuzione
delle formalità pubblicitarie (secondo una parte prevalente delle opinioni
dottrinali e giurisprudenziali, ancorate alla regola della tassatività)
l’opponibilità ai terzi degli effetti dei relativi atti. Peraltro, secondo
parte della dottrina, in materia di trust
ciò non sarebbe sempre vero, atteso che la norma dell’art. 12
della Convenzione non obbliga affatto alla trascrizione ma attribuisce al trustee solo la facoltà di richiederla
(resta peraltro pur sempre l’obiezione che neppure nel sistema degli artt. 2643
ss. c.c. i soggetti sono obbligati alla trascrizione, costituendo tale
pubblicità oggetto, come noto, di un mero onere).
La prima pronuncia che
si occupa della trascrizione è del Tribunale di Chieti, la quale peraltro non
riguarda un atto istitutivo, bensì una compravendita in favore del trustee. Il tribunale, considerato che le norme procedurali
in tema di trascrizione non prevedono limitazioni ricollegabili ai contraenti,
ritiene ingiustificato il rifiuto da parte della Conservatoria di trascrivere
un atto di compravendita stipulato tra una persona fisica e un altro soggetto
che ha agito nella sua qualità di trustee;
ordina, quindi, alla Conservatoria di trascrivere l’atto recante quali parti
contraenti, da un lato, i venditori e, dall’altro, l’acquirente nella sua
qualità di trustee. Le menzioni della
qualità di trustee dell’acquirente e
della circostanza che l’immobile acquistato è segregato nell’ambito del suo
patrimonio personale sono riportate nel quadro «D» della nota di trascrizione [81].
Si occupa invece della
trascrizione di un atto
istitutivo, denominato «Affidamento di beni in trust» il Tribunale
di Bologna, con un decreto del 2000. Nella specie il Conservatore dei
Pubblici Registri Immobiliari di Bologna aveva trascritto con riserva l’atto
sulla base del principio di tassatività degli atti assoggettabili a
trascrizione e sulla base dell’argomento secondo cui tale atto non produce
alcuno degli effetti elencati dalle norme procedurali in tema di trascrizione.
Il tribunale accoglie il
reclamo affermando che, in base all’art. 12 Conv. non vengono in rilievo questioni
attinenti alla validità dell’atto, ma alla sua trascrivibilità nei Registri
Immobiliari. Continua il tribunale affermando che il concetto di «trasferimento
della proprietà», di cui all’art. 2643 c.c., si presta ad una visione più
aperta grazie allo sviluppo di nuovi istituti e pertanto non ravvisa ostacoli
ad assimilare gli effetti di un atto di trust
ad almeno uno di quelli conseguenti ai «contratti che trasferiscono la
proprietà di beni immobili» [82]. Analoga decisione viene assunta dallo stesso tribunale
nel corso dell’anno 2003.
Il Tribunale di Pisa,
nel 2001, decide in merito alla trascrizione di un trust
autodichiarato avente ad oggetto beni immobili. Con detto atto, il primo
del genere stipulato in Italia, il soggetto proprietario di un bene immobile se
ne dichiarava trustee in favore del
fratello disabile. Il Tribunale esamina prima la questione della
riconoscibilità del trust autodichiarato, risolvendola positivamente e
superando l’eccezione della violazione dell’art. 2740 c.c. In secondo luogo
ritiene che un trust autodichiarato debba essere trascritto sulla base dell’art. 12 Conv. Questa
norma, secondo il giudice, attribuisce al trustee
il diritto potestativo di chiedere la trascrizione, al quale corrisponde un
obbligo dei soggetti preposti alla pubblicità, che realizza l’interesse dei
terzi e l’interesse pubblico, di ottenere la trascrizione del vincolo di trust – istituto che presenta molte
affinità con l’istituto del fondo patrimoniale – su un bene immobile, qualunque
ne sia l’effetto [83].
La questione della
trascrizione del trust autodichiarato
avente ad oggetto beni immobili è giunta all’attenzione della giurisprudenza in
vari altri casi ed in particolare dei Tribunali di Milano, Verona, Napoli,
Parma, e della Corte d’Appello di Napoli.
Il Tribunale di Milano riconosce implicitamente la validità dell’atto istitutivo, lo ritiene assimilabile al fondo
patrimoniale e per analogia con tale istituto ne ordina la trascrizione [84].
Il Tribunale di
Verona, ordinando di trascrivere l’atto ritiene, da un lato, che l’art. 12 Conv. sia norma
materiale, che ammette la trascrizione di trust aventi ad oggetto beni immobili, e dall’altro che la nostra
legge non pone alcun divieto alla trascrizione di un atto di trust. In
merito alla validità dell’atto istitutivo, supera l’obiezione costituita dalla
asserita violazione dell’art. 2740 c.c. in quanto il trust deve comunque essere riconosciuto sulla base della
Convenzione. Aggiunge ancora il Tribunale che l’assimilazione del trust al
fondo patrimoniale, del quale è prevista dal nostro ordinamento la
trascrizione, dimostra che la trascrizione dell’atto istitutivo del trust è conforme al sistema e che
procedendo per analogia si può individuare proprio nell’art. 2647 c.c. la norma
applicabile «anche» al trust ai sensi
dell’art. 12, comma 2, delle preleggi [85].
Il Tribunale di Napoli invece
rigetta il reclamo avverso la trascrizione con riserva, ritenendo che la
Convenzione non consenta i trust autodichiarati, che
evidentemente ledono l’art. 2740 c.c. Aggiunge che la finalità perseguita dalla
disponente poteva essere egualmente raggiunta tramite l’istituzione di un fondo
patrimoniale [86]. Secondo tale decisione, in estrema sintesi: a) il trust cui fa riferimento l’art. 2
della Convenzione postula che disponente e trustee
siano soggetti diversi ; b) il disegno di legge sui trusts n° 6547 del 1999 postula anch’esso l’alterità soggettiva di
cui al punto a), giungendo al punto di riservare l’attività di trustee a società fiduciarie, banche,
società di gestione del risparmio ed imprese di investimento abilitate ex Testo
unico dell’intermediazione finanziaria (Decreto Legislativo n°58 del 1998); c)
la finalità familiare perseguita dal trust
nel caso di specie può essere attuata facendo ricorso all’istituto nostrano del
fondo patrimoniale. Appare comunque evidente che, se l’argomento sub a) è dotato di una sua notevole
plausibilità , diverse considerazioni meritano quelli sub b) e sub c): quanto
al primo, infatti, non si comprende quali spunti ermeneutici possa fornire (se
non de jure condendo) un disegno di
legge (peraltro, a quanto consta, abbandonato da tempo); quanto al secondo,
esso si atteggia come una petizione di principio, la quale, fra l’altro, mostra
di non tener conto delle notevoli differenze esistenti fra trust e fondo
patrimoniale .
Il
Tribunale di Parma, sempre
in una fattispecie di trust
autodichiarato, invece accoglie il reclamo, ordinando di trascrivere
l’atto sulla base dell’art. 12 Conv. e non rilevando alcun contrasto con l’art.
2740 c.c. [87].
La Corte d’Appello di Napoli,
pronunciandosi sul gravame proposto avverso la sentenza del tribunale prima
citata, conferma
l’intrascrivibilità dell’atto affermando che:
− il trust
autodichiarato consiste in un vincolo e non può essere trascritto in mancanza di apposita norma;
− non è sufficiente l’interesse economico
della parte di impedire che i beni siano esposti all’aggressione di eventuali
creditori, poiché quel che rileva è l’interesse giuridico riconosciuto dal
legislatore;
− non rileva l’interesse dei beneficiari,
perché esso sorge immediatamente dalla legge (Convenzione e legge di ratifica),
non dalla volontà di chi istituisce il trust:
l’atto unilaterale di trust non è che
il presupposto di fatto perché il diritto possa sorgere [88].
Sul punto potranno
qui riportarsi le osservazioni critiche di un Autore [89], che correttamente stigmatizza l’idea, che
sta alla base di molte delle pronunce sopra citate, secondo cui siffatta
pubblicità sarebbe ammissibile in quanto «non esistono norme che vietino espressamente la
trascrizione del trust» (Così
Trib. Parma, 21 ottobre 2003, cit.).
Ogni
commento e, a quest o punto, superfluo, se non quello che verrebbe voglia di
provocare ulteriori pronunce dello stesso Giudice, conseguenti al rifiuto del
conservatore (quello stesso rifiuto che egli avrebbe dovuto operare in luogo
della registrazione con riserva) di trascrivere un patto di prelazione, ovvero un divieto convenzionale
di alienazione o, ancora, una qualunque altra obbligazione pattizia, il cui
adempimento coinvolga un bene immobile appartenente al soggetto obbligato. Con
tutta probabilità, lo stesso Tribunale di Parma che ha emesso il decreto (…),
si guarderebbe bene dall’ordinare la trascrizione in ragione del fatto che
"non esistono norme che vietino espressamente la trascrizione
..." del patto di prelazione, del divieto convenzionale di alienazionc
ecc., e, non venendo in considerazione il trust con la sua forte
carica di suggestione, ricomincerebbe ad applicare le norme sulla
trascrizione in conformità a quanto esse prescrivono effettivamente. |
Il
vero problema è dato dal fatto che nel nostro ordinamento fa difetto una disposizione che
consenta la pubblicità – non già del trasferimento operato, bensì – del vincolo sui beni conseguente
alla separazione patrimoniale di cui all’art. 11 della Convenzione.
Non
è necessario un particolare sforzo argomentativo per riaffermare
l’incompatibilità della trascrizione del vincolo conseguente al conferimento
dell’immobile nel trust, con
la disciplina della trascrizione. Il
problema si pone negli stessi termini sia nel caso in cui il vincolo consegue
ad un atto di trasferimento dal settlor al trustee sia nei
casi, oggetto oltre che del noto provvedimento del Tribunale di Pisa, anche
del decreto del Tribunale di Parma, di trust
auto‑dichiarato, e cioè di un atto caratterizzato dalla mancanza del
trasferimento di proprietà: ed è un problema che si chiude nello stesso
momento in cui viene aperto. Come
è stato infatti efficacemente scritto, manca in questi casi “il cavallo di
Troia, grazie alla cui trascrizione introdurre menzione del trust. La nota di
trascrizione, infatti, doveva riguardare solo la costituzione del vincolo,
nudo e crudo, sicché non si comprende quale norma sulla trascrizione si sarebbe
potuta invocare, esclusi, in assenza di trasferimento della proprietà, l’art.
2643 n. 1 c.c. e, di risulta, l’art. 2645 c.c.” |
Sarà il caso di ricordare
sul punto che l’art. 12 della Convenzione stabilisce che il trustee che desidera registrare i beni
mobili e immobili, o i documenti attinenti, «avrà facoltà di richiedere la
iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che riveli
l’esistenza del trust, a meno che ciò non sia vietato o
sia incompatibile a norma della legislazione dello Stato nel quale la
registrazione deve aver luogo». L’incompatibilità di tale forma di
«iscrizione» con il sistema pubblicitario italiano attualmente in vigore appare
più che evidente.
15. Trust e dote.
Operatività ed estensione del divieto di cui all’art. 166-bis c.c.
Dal momento che, come si è appena detto, una parte
consistente della dottrina e della giurisprudenza italiane danno per scontata
(ancorché, a sommesso avviso dello scrivente, non sia ancora stata del tutto
persuasivamente dimostrata) la soluzione positiva all’interrogativo circa
l’ammissibilità di trusts «interni», varrà comunque la pena affrontare alcuni problemi che,
in ogni caso, vengono a coinvolgere la figura del trust, anche
nelle ipotesi di sicura ed incontestabile applicabilità delle norme della
Convenzione dell’Aja, vale a dire allorquando ci si trovi di fronte a
situazioni caratterizzate dalla presenza di elementi di estraneità diversi dal
mero capriccio delle parti.
In proposito occorre
tenere presente che, nello specifico settore dei rapporti personali e
patrimoniali tra coniugi (e con la prole), l’art. 15 della citata Convenzione stabilisce che
«La Convention ne fait pas
obstacle à l’application des dispositions de la loi désignée par les règles de
conflit du for lorsqu’il ne peut être dérogé à ces dispositions par une
manifestation de volonté, notamment dans les matières suivantes: a) la
protection des mineurs et des incapables; b) les effets personnels et patrimoniaux du mariage».
Si è chiarito in dottrina che, ai sensi di questa
disposizione, la legge del trust cede
non alla legge del foro
(protetta dagli artt. 16 e 18), ma alle disposizioni della legge, straniera o meno,
indicata dalle regole di conflitto del foro [90]. Per converso, non sembra condivisibile quanto
affermato in dottrina circa il fatto che la norma non riguarderebbe il
riconoscimento del trust, bensì
soltanto l’esecuzione di una o più fra le disposizioni dell’atto istitutivo [91]. Invero, è lo stesso rapport
explicatif della Convenzione a chiarire che la disposizione mira ad evitare
che «les clauses d’un trust, ou certaines dispositions de la loi qui le
régissent, soient incompatibles avec la loi applicable à une autre matière
selon les règles de conflit du for» [92].
Orbene, nel caso di specie, le regole di conflitto italiane,
in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi, designano in primo luogo,
quale legge applicabile, quella «nazionale comune» (cfr. art. 30, l. 31 maggio 1995, n. 218,
che rinvia in parte qua all’art. 29),
ponendo poi una complessa serie di regole destinate ad entrare in vigore in
presenza di un elemento di estraneità.
Partendo dunque dal presupposto che la coppia
coniugata sia composta da
due cittadini italiani, è alle norme imperative dettate dal codice civile italiano in tema di
rapporti patrimoniali tra coniugi che andrà fatto riferimento. Al
riguardo – fermo restando il principio di libertà di costituzione di regimi
patrimoniali atipici, strettamente connesso alla natura contrattuale delle
convenzioni matrimoniali [93] – il nostro ordinamento prevede limiti all’autonomia negoziale
nelle disposizioni di carattere generale contenute agli artt. 160, 161, 162 e 166-bis. A tali ostacoli vanno ancora aggiunti quelli stabiliti in
relazione a ciascuno dei tipi di convenzione: il caso più evidente è quello
contemplato dall’art. 210, 3° co., c.c., in cui il legislatore menziona
espressamente il carattere inderogabile di determinate disposizioni in materia
di comunione legale [94].
Tra questi principi andrà preso, innanzi tutto, in
esame quello che pone il divieto di costituzione, sotto ogni forma, di beni in
dote (art. 166-bis
c.c.), con riguardo al quale la dottrina concorda nell’affermare che la
regola in esame pone uno specifico limite all’autonomia negoziale dei coniugi
in sede di pattuizione delle convenzioni matrimoniali [95], diretto ad impedire, attraverso il collegamento con
gli artt. 1344 e 1418 c.c., che l’effetto proprio della dote venga realizzato
attraverso un contratto in frode alle legge [96].
Il principale problema interpretativo é quello di identificare il significato
attuale del termine «dote», atteso che esso, nel sistema previgente alla
riforma del 1975, era collegato ad un dato formale (l’art. 177 c.c.
presupponeva infatti un apporto effettuato dalla moglie o da altri per essa
«espressamente a questo titolo») che oggi non esiste più [97].
Per tentare di fornire una risposta all’interrogativo
occorre, prima di tutto, tenere presente che, con la dote, la moglie, od altri per essa, apportavano al
marito, all’espresso titolo di dote, beni mobili o immobili, al fine di
sostenere gli oneri dei matrimonio (art. 177 abr.). Se si trattava di
dote di specie, i beni restavano di proprietà della moglie o del terzo mentre,
nel caso di dote di quantità, il marito ne diveniva proprietario, restando
debitore della restituzione del tantundem (art. 182 abr.).
L’amministrazione dei beni e la percezione dei frutti competevano soltanto al
marito (art. 184 abr.), fino al punto che, in caso di lontananza o di altro
impedimento di questi, la moglie, per poter amministrare i beni, doveva
chiederne l’autorizzazione al tribunale (art. 185 abr.). I beni dotali erano
sottoposti a vincolo di relativa indisponibilità e di impignorabilità [98].
Ma quale
delle caratteristiche appena delineate può apparire tale da consentire
di individuare, oggi come oggi, in un atto di attribuzione patrimoniale gli
estremi di quella che fu un tempo la dote?
In proposito si è affermato che, se si intende
attribuire un senso compiuto all’art. 166-bis
c.c., occorre individuare la dote nella figura di un diritto il cui scopo sta
nel potere o nella potestà
di comando o nel privilegio di un coniuge [99], ma a tale impostazione si è obiettato che, se la ratio fosse quella indicata, il motivo
della proibizione legislativa si sarebbe potuto agevolmente superare
attribuendo l’amministrazione dei beni dotali ad entrambi i coniugi, come in
effetti si è fatto con il fondo patrimoniale [100].
Si è pertanto proposto di identificare il concetto di
dote con quello di apporto cui si attribuisca il valore di corrispettivo, «di indennizzo per aver preso in
moglie l’altra metà» [101]. In quest’ottica, dunque, il divieto colpirebbe il
solo apporto ex latere mulieris, conformemente all’impostazione di chi,
in tempi più recenti, ha ammesso l’ipotizzabilità di un divieto, per così dire,
asimmetrico, che colpisca, in quanto fortemente sospetti, i soli contributi di
parte femminile, e resti, invece, del tutto indifferente di fronte a quelli di
parte maschile [102].
La conclusione non pare però accettabile. Gli artt. 3
e 29 Cost. parlano chiaramente contro ogni forma di discriminazione fondata sul
sesso, mentre la tentazione di ricorrere al capoverso dell’art. 3 Cost. va rigettata
sulla base della constatazione che l’evoluzione dei costumi e l’emancipazione
femminile di questi ultimi decenni non sembrano consentire più (almeno in
questo campo) alcuna forma di… affirmative action all’italiana [103]. Per evitare sospetti di illegittimità
costituzionale, bisogna dunque innanzi tutto pensare che il divieto si riferisca ad apporti non solo
provenienti dalla moglie, bensì anche dal marito [104].
Nemmeno le altre soluzioni prospettate in dottrina
appaiono esenti da critiche. Così non può certo ritenersi costituire dote ogni
convenzione volta ad apportare o vincolare beni della moglie (o del marito) sol perché diretta ad sustinenda onera matrimonii,
atteso che l’art. 167 c.c. prevede espressamente che ciascun coniuge possa
destinare beni determinati «a far fronte ai bisogni della famiglia» [105]. Né si può pensare che l’elemento essenziale della
dote risieda nell’obbligo
della restituzione dei beni all’atto dello scioglimento del matrimonio [106]: invero, a parte che, nel previgente sistema, tale principio
poteva subire tutta una serie di eccezioni [107], rimane il fatto che l’idea di un «apporto» la cui
durata sia commisurata a quella di svolgimento del rapporto coniugale non
sembra poi così aliena al nostro ordinamento, come dimostrato dalla circostanza
che il vincolo derivante dal fondo patrimoniale cessa (almeno tendenzialmente:
cfr. art. 171 c.c.) all’atto dello scioglimento del matrimonio. Né, infine, può
affermarsi che il divieto ex art.
166-bis varrebbe ad interdire ogni
convenzione tendente ad un accrescimento temporaneo del patrimonio di un
coniuge «in corrispettivo della liberazione, in tutto o in parte, del coniuge
conferente, dall’obbligo di contribuzione ai pesi del matrimonio» [108]: da un lato, infatti, i coniugi ben possono adempiere
al dovere di contribuzione proprio «ponendo a disposizione della famiglia
determinati beni» [109], dall’altro, ogni eventuale accordo diretto a
derogare alla fondamentale regola posta dall’art. 143 c.c. è nullo perché già
vietato dall’art. 160 c.c., senza che si renda con ciò necessario «scomodare»
l’art. 166-bis.
In definitiva, non rimane che ribadire la correttezza
dell’impostazione prevalente, che ritiene vietata, per effetto della norma in
commento, la stipulazione di convenzioni che attribuiscano ad un coniuge –
indipendentemente dal fatto che sia il marito o la moglie – una posizione di supremazia
rispetto all’altro, conferendogli il potere di amministrare e gestire beni nei
confronti dei quali egli non vanti alcun diritto reale [110]. La conclusione, anziché essere smentita dalla figura
del fondo patrimoniale, ne riceve conferma: il legislatore, nel momento in cui
ha deciso di abrogare la dote per ragioni essenzialmente storico-ideologiche,
si è visto costretto a far confluire nel solo istituto del fondo patrimoniale
quello che si è felicemente definito come il «momento contributivo» [111]. Peraltro, in considerazione del principio della
libera stipulabilità di convenzioni atipiche, era necessario impedire che la
«messa a disposizione» di beni ad onera
matrimonii ferenda potesse avvenire per mezzo di accordi diversi da quelli
disciplinati dagli artt. 167 ss. c.c. e che mirassero a ricreare pattiziamente
quegli stessi poteri di disposizione, gestione ed amministrazione su beni di
proprietà esclusiva dell’altro coniuge, che erano previsti dagli artt. 184 ss.
c.c. nella formulazione precedente alla riforma del 1975.
Ciò premesso, appare piuttosto evidente come, tramite
il ricorso al trust, si potrebbe dar luogo ad apporti patrimoniali di provenienza di un coniuge (o
della sua famiglia), nella veste di costituente, in favore dell’altro (nella
veste di trustee), con conferimento di potere di amministrazione
esclusivo in capo a quest’ultimo, con vincolo di utilizzo e destinazione ad
onera matrimonii ferenda, con divieto di alienazione dei cespiti
«segregati» ed obbligo di restituzione per il caso di separazione legale o
scioglimento del vincolo matrimoniale.
Tramite il ricorso allo strumento in esame si
potrebbero porre in essere attribuzioni patrimoniali caratterizzate dalla compresenza
di tutti quei connotati caratteristici della dote che – come si è appena detto
– la dottrina ha di volta in volta individuato [112]. In questa fattispecie appare difficilmente
contestabile l’operatività, anche in relazione ad un ipotetico trust
«interno», della norma codicistica citata, proprio per effetto del rinvio di
cui all’art. 15, lett. b), della Convenzione dell’Aja alle disposizioni
inderogabili relative agli «effets personnels et patrimoniaux du mariage»,
disposizioni inderogabili, tra le quali dovrebbe sicuramente rientrare anche
l’art. 166-bis c.c. nel caso in cui,
come si è detto, entrambi i coniugi siano cittadini italiani, ovvero ogni
qualvolta, per effetto dell’art. 30, l. n. 218/1995, debba
applicarsi la legge italiana.
Né, ad avviso dello scrivente, potrebbe farsi richiamo
al carattere
essenzialmente unilaterale del negozio istitutivo del trust, per lo meno così come disciplinato nel suo sistema di
nascita, per derivarne la non applicabilità di una norma (l’art. 166-bis c.c.) espressamente riferita alle «convenzioni». Invero, le
più approfondite trattazioni in materia evidenziano come – a parte la questione
della dinamica contrattuale esistente nel mondo dei trusts – anche per il diritto inglese dall’accettazione del trustee
(ancorché eventualmente in forma implicita) non possa prescindersi, prevedendo
del resto l’equity procedure per
sostituire un trustee che sia mancato
e per nominare un altro trustee
qualora quello indicato dal disponente non abbia accettato [113].
Non vi è
dubbio, quindi, che, per diritto italiano, un accordo che vedesse un coniuge (o
un terzo) costituire beni in trust,
nominando trustee l’altro, andrebbe
qualificato alla stregua di un negozio bilaterale e dunque di una «convenzione
matrimoniale», se diretto alla creazione di un regime patrimoniale, nel senso
che verrà oltre precisato [114].
16. Trust e dote. Un
caso pratico piuttosto singolare.
Assai
diverso rispetto alla situazione descritta al § precedente appare il caso di
cui ad un
atto istitutivo di trust redatto nel corso dell’anno 2002 da un
notaio fiorentino, relativamente alla fattispecie seguente [115].
In
forza di un fedecommesso contenuto in un testamento cinquecentesco, un certo fondo era
stato lasciato a tre discendenti del testatore allo scopo di impiegarne le
rendite per costituire una dote alle «fanciulle» della famiglia che si fossero
maritate o avessero scelto di entrare in un monastero. La proprietà sarebbe passata via
via ai tre componenti più anziani della famiglia, vincolati (essi e la
proprietà) alle medesime finalità. Nel corso dei secoli, trasferitosi il
vincolo su di una somma, il fondo passò, non senza controversie legali, da un
discendente all’altro, sino a quando, divenuto impossibile perseguire la
finalità originaria nella forma ormai vietata della dote, i tre amministratori
furono costretti a dare un assetto diverso alla fedecommisseria.
Nella
specie i tre costituenti scelgono la forma del trust «autodichiarato», limitato soggettivamente –
quanto ai beneficiari – alle
«fanciulle» che recano il cognome di famiglia discendenti da un particolare
soggetto. I beni in trust vengono trasferiti su un conto e sotto una posizione titoli intestati
al trust medesimo, che si vuole regolato dalla legge delle isole caraibiche di
Turks e Caicos: scelta obbligata, in quanto solo quella legge prevede trust
senza termine finale di durata, senza imporre al tempo stesso un trustee
residente nel territorio. La giurisdizione è attribuita al giudice italiano.
Vengono poi dettate norme per l’attribuzione della presidenza del trust
e le sue deliberazioni. Il reddito
viene accumulato e reinvestito, sino a quando non si presentino le
condizioni per l’attribuzione a una beneficiaria che si sposi o prenda il velo. E’ regolata la determinazione
dell’entità del beneficio e prevista l’eventualità di una pluralità di beneficiarie.
L’effettiva elargizione alla beneficiaria avverrà con le forme giuridiche
scelte dai trustee, i quali possono sottoporre l’elargizione a vincoli
particolari all’impiego o prevederne la corresponsione in più rate.
Nell’ipotesi di esaurimento
del trust per il venir meno dei mezzi o loro insufficienza la
somma residua dovrà essere distribuita in parti eguali tra tutte le «fanciulle»
della famiglia non sposate né fattesi monache.
Al riguardo si è paventata una possibile nullità ex art. 166-bis c.c.,
avuto riguardo al fatto che solo
le «fanciulle» sono beneficiarie del fondo, mentre i soli «maschi» della
famiglia sono suoi amministratori e gestori [116]. Peraltro andrà tenuto presente che l’atto non costituisce, di per
sé, beni in dote, e che le finalità del trust vengono individuate
in quelle di «sovvenire le fanciulle della famiglia che si maritino o prendano
il velo monacale», così facendo intendere che destinatarie delle relative utilità saranno le
«fanciulle» e non già i rispettivi mariti (cfr. del resto l’art. 20.2
ove, viene stabilito testualmente che «qualora una fanciulla, figlia legittima
o naturale, nata dalla famiglia … di … vada sposa o prenda il velo monacale, i
"Trustee" sono tenuti a versarle una somma, non eccedente il reddito
del Trust del precedente triennio, che essi determinano in piena e assoluta
discrezionalità…»), non menzionati nell’atto e ai quali non compete pertanto alcun tipo di diritto,
mentre ai trustees viene rimesso il potere di scegliere «la forma giuridica della elargizione,
(che può avvenire una sola volta nei confronti del medesimo soggetto)
l’eventuale vincolo al suo impiego, la corresponsione in una o più rate».
Quanto sopra, ad avviso dello scrivente, ben potrebbe
attuarsi, dunque, mercé una donazione
obnuziale (eventualmente nella forma modale), secondo la previsione
dell’art. 785
c.c.
17. Trust e altri
limiti all’autonomia negoziale dei coniugi in sede di stipula delle convenzioni
matrimoniali (in particolare quelli di cui agli artt. 160 e 161 c.c.).
Come
si è anticipato [117], l’autonomia negoziale dei coniugi in sede di stipula
delle convenzioni matrimoniali incontra anche altri limiti, diversi dal divieto
di costituzione di beni in dote. Per ciò che attiene, in particolare, al
principio posto dall’art.
160 c.c., andrà ricordato che, nel campo degli effetti patrimoniali, la
norma vale a rendere inderogabili
i doveri di contribuzione ex art.
143, 3° co., c.c. [118] e di mantenimento dei figli, ex artt. 147, 148 c.c. [119].
D’altro
canto non vi è dubbio che, nelle ipotesi e nei limiti in cui si ammetta la
costituzione in Italia di un trust, quest’ultimo ben potrebbe essere impiegato per adempiere ai
doveri testé citati. Nel caso di applicabilità del diritto italiano per
effetto del disposto dell’art. 30, l. n. 218/1995,
dovrebbero però ritenersi nulle
tutte le clausole che dovessero eventualmente derogare ai criteri (di proporzionalità «in relazione
alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o
casalingo») scolpiti negli articoli cui si è fatto riferimento.
Si
noti che la predetta sanzione colpirebbe non solo eventuali accordi inter coniuges – «convenzioni», nel
senso sopra precisato [120] – in cui uno venisse a rivestire il ruolo di
costituente e l’altro quello di trustee,
bensì anche eventuali
clausole del genere di quelle indicate, contenute in trusts «autodichiarati», posto che l’art. 160 c.c. non
stabilisce che il divieto di deroghe ai diritti e ai doveri derivanti dal
matrimonio sia necessariamente legato ad atti qualificabili alla stregua di
«convenzioni».
Passando
ora all’esame dell’art.
161 c.c. va ricordato che, secondo questa disposizione, «Gli sposi non
possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in
tutto od in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi,
ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali
intendono regolare questi loro rapporti». Rinviando anche qui alla trattazione
più approfondita delle questioni ermeneutiche legate a tale articolo [121], potrà ricordarsi, in primo luogo, che l’art. 161 c.c. vieta una mera relatio
a norme straniere o consuetudinarie, ma non impedisce che le parti si
limitino a tradurre dalla lingua straniera la regolamentazione di un certo
istituto e ad inserirla tale e quale nelle loro pattuizioni [122].
D’altro
canto il principio deve essere coordinato con il disposto dell’art. 30, l. 31 maggio 1995, n.
218: ne consegue che, in presenza di uno o più degli elementi di
estraneità di cui alla citata norma, la possibilità ivi concessa di concludere
un pactum de lege utenda verrà a consentire ai coniugi di effettuare nelle
convenzioni matrimoniali richiami, eventualmente anche solo per relationem,
al sistema di un paese straniero, con la naturale conseguenza che l’art. 161 c.c. trova oggi
applicazione solo quando i rapporti patrimoniali tra coniugi sono sottoposti
alla legge italiana [123].
La constatazione sembra così confortare ulteriormente la
conclusione secondo cui il rinvio ad una legge straniera che conosce i trusts
è ammissibile solo in presenza di un oggettivo elemento di estraneità. In ogni
caso andrà aggiunto che, anche
volendo ammettere in generale la possibilità di costituire trusts
«interni», nella specifica ipotesi di costituzione tra coniugi cittadini
italiani, ovvero nel caso in cui comunque le regole di conflitto dovessero
«puntare» verso la legge italiana, occorrerebbe (per evitare di incorrere negli
strali dell’art. 161 c.c., norma inderogabile, come si è visto, laddove tra
coniugi non sia presente un elemento di estraneità ai sensi e per gli effetti
dell’art. 30, l. n. 218/1995, cit.) quanto meno riportare per esteso nell’atto costitutivo del trust
le disposizioni della legge straniera richiamata. Tale requisito formale
andrebbe peraltro osservato nelle sole ipotesi di trusts che vedessero quale costituente uno dei coniugi e quale trustee l’altro, dal momento che l’art.
161 c.c. colpisce solo atti qualificabili alla stregua di «pattuizioni», mentre non
sembrerebbe riferibile ai trusts
«autodichiarati» (e neppure
a quelli in cui il ruolo di settlor o
quello di trustee è assunto da un terzo, posto il
riferimento dell’art. cit. a pattuizioni con cui i coniugi definiscano i «loro rapporti», ciò che induce a
ritenere che tali rapporti siano, per l’appunto, solo quelli reciproci).
18. Sui rapporti fra trust,
convenzione matrimoniale e regime patrimoniale (in particolare
sull’applicabilità all’atto costitutivo di un trust fra coniugi degli artt. da 162 a 166 c.c.).
Il tema affrontato nella seconda parte del paragrafo precedente ci
introduce alla trattazione di una questione assai più spinosa. Visto che tra le
norme inderogabili poste nel campo dei rapporti tra coniugi compare anche
l’art. 162 c.c.,
v’è da chiedersi se pure tale disposizione – sempre in forza del rinvio di cui
all’art. 15, lett. b), della Convenzione dell’Aja – trovi applicazione agli
atti costitutivi dei trusts posti in
essere tra soggetti uniti in matrimonio al fine di regolamentare i propri
rapporti patrimoniali. Ma
l’art. 162 c.c. disciplina le «convenzioni matrimoniali», ciò che pone
l’interrogativo se per avventura in tale categoria non rientrino anche gli atti
cui si è appena fatto cenno. E’ chiaro, altresì, che un’eventuale risposta
positiva determinerebbe come necessaria conseguenza l’applicazione pure degli
artt. da 163 a 166 c.c.
Senza rievocare in questa sede la complessa questione della definizione del concetto di
convenzione matrimoniale [124], si potrà cominciare con l’escludere ogni possibilità di
ravvisare gli estremi di tale figura nei trusts
costituiti nel corso (o anche solo in vista) di una crisi coniugale, ben
potendosi estendere, in subiecta materia,
il rationale posto a base di una
giurisprudenza e di una dottrina assolutamente consolidate, secondo cui le
intese raggiunte in quel contesto non richiedono il rispetto della forma
solenne [125].
Per le ragioni, poi esaminate alla fine del paragrafo precedente, non potrà parlarsi di
«convenzione», tanto meno di «convenzione matrimoniale» nelle ipotesi di
trusts «autodichiarati». Il discorso che verrà qui affrontato
concerne dunque i soli
casi di trusts che vedano quale
costituente uno dei coniugi – o un terzo [126] –
e quale trustee l’altro, al di fuori
di una situazione di crisi coniugale.
Al riguardo, basterà ricordare le conclusioni altrove raggiunte,
secondo cui l’impostazione – per così
dire, «largheggiante» – consentita dalla formulazione dell’art. 159 c.c. 1942
(«I rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalle convenzioni delle
parti e dalla legge»), che induceva la dottrina a qualificare alla stregua di
convenzione matrimoniale ogni accordo contenuto in un contratto di matrimonio,
in connessione diretta con la relativa situazione patrimoniale, e non
altrimenti disciplinato dalla legge [127], non può oggi trovare più accoglimento. Alla luce, invero,
di un dettato normativo (cfr. la versione attuale dell’art. 159 c.c., così come modificato dalla
riforma del 1975) secondo il quale «Il regime patrimoniale legale della
famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell’art. 162, è
costituito dalla comunione dei beni regolata dalla sezione III del presente
capo», sembra risultare chiaro che oggi
il termine «convenzione
matrimoniale» esprime solo quell’atto che si
pone quale fonte di un regime diverso da quello legale [128].
Certo, è vero che lo stretto legame esistente
tra le figure della convenzione matrimoniale, da un lato, e dei regimi
patrimoniali «eccezionali», dall’altro, non va esente da contraddizioni e
perplessità. Se infatti è innegabile che la separazione dei beni trovi la sua
origine in una apposita convenzione, va constatato che l’art. 228, 1° co., l.
19 maggio 1975, n. 151, ha consentito – pur se in via transitoria – la nascita
di tale regime in forza non già di una convenzione, bensì di un atto
unilaterale. Discorso per certi versi analogo va compiuto in relazione al fondo
patrimoniale, che può costituirsi anche per testamento e che rappresenta anche
per altre ragioni un regime, per così dire, anomalo, non riguardando categorie
generali ed astratte di beni, bensì beni determinati e potendo il medesimo
coesistere tanto con il regime comunitario che con quello separatista. D’altro
canto (e per converso), si discute sul carattere autonomo del regime costituito
in forza di convenzione di comunione ex
art. 210 ss. c.c., che secondo alcuni sarebbe una semplice variante del regime
di comunione legale [129]. Per concludere questa rapida carrellata delle
ipotesi in contrasto con l’affermazione di fondo che lega il concetto di
convenzione matrimoniale ai regimi patrimoniali «eccezionali», andrà osservato
come lo stesso regime legale possa trovare applicazione anche in forza di
convenzione, allorquando una coppia decida di abbandonare il regime di
separazione anteriormente prescelto.
Con
le precisazioni e le limitazioni testé apportate e in considerazione
dell’interpretazione restrittiva del concetto di convenzione matrimoniale sopra
indicata, è oggi certa la risposta
negativa al quesito circa la riconducibilità a tale categoria delle donazioni
obnuziali, così come di tutti quegli atti che, sebbene obnuziali, cioè
compiuti in contemplazione causale di un determinato matrimonio (come
potrebbero essere mandati o contratti sociali), non abbiano per oggetto la
scelta di un regime patrimoniale della famiglia, limitandosi ad operare
trasferimenti di diritti su uno o più beni [130]. Lo stesso deve valere per quegli atti con cui i
coniugi decidono di immettere nella – o di estromettere dalla – comunione
legale singoli beni determinati [131], cui va pertanto negata la natura di convenzione
matrimoniale.
Il
problema diviene dunque quello di sapere se e in che misura un trust
possa venire a costituire un vero e proprio regime patrimoniale della famiglia.
Sotto il profilo dell’an la risposta
positiva sembra doversi dare laddove si ponga mente al fatto che, per dottrina
prevalente, la libertà
negoziale dei coniugi può spingersi a creare regimi patrimoniali atipici.
E’ invero evidente che l’art. 159 c.c., ponendo – come già più volte ricordato
– uno stretto rapporto tra convenzioni matrimoniali e regimi patrimoniali della
famiglia, non stabilisce in alcun modo che le convenzioni debbano essere solo
quelle regolate dalla legge. La possibilità di liberamente conformare il
contenuto di queste ultime discende inoltre dal fondamentale principio scolpito
nell’art. 1322 c.c.,
applicabile anche alla materia in esame per effetto del già illustrato carattere contrattuale delle
convenzioni e, più in generale, dell’appartenenza della materia in esame
al campo del diritto privato [132], in cui il principio della autonomia negoziale rappresenta
la regola e non già l’eccezione. Ed anzi, proprio il fatto che il legislatore
sia intervenuto,
nel campo delle convenzioni, dichiarando di volta in volta nullo questo o quel patto (si
pensi per esempio al divieto ex art. 166-bis c.c.) consente di
desumere a contrariis la regola della generale libertà, quanto al
contenuto, delle medesime [133]. Le conclusioni di cui sopra sembrano ricevere del
resto conferma anche sul piano di un’indagine estesa ai principi
costituzionali, laddove il richiamo all’art. 1322 c.c. trova il proprio
riconoscimento nel fondamentale principio di cui all’art. 29 Cost. [134] e sono sicuramente confortate dall’indagine storica [135], così come da quella comparatistica [136].
Ora, se è vero che per regime patrimoniale deve
intendersi non solo l’insieme delle regole che precostituiscono la sorte di una serie indeterminata d’acquisti (determinabili
unicamente ex post), compiuti dai
coniugi, bensì anche l’insieme di quelle regole che precostituiscono (e qui il
fondo patrimoniale docet) l’eventuale
separazione patrimoniale di una certa massa determinata
di beni apportati ad onera matrimonii
ferenda, oltre che le regole per la loro amministrazione ed alienazione,
si può agevolmente comprendere come anche il trust, ancorché avente ad oggetto una
massa determinata di beni, possa ricadere in tale categoria.
In conclusione sul punto dovrà dunque dirsi che,
nell’ipotesi appena delineata (di «segregazione», cioè, di beni di uno o dell’altro dei coniugi,
destinati a sostenere gli oneri del matrimonio e ad essere amministrati dal trustee secondo regole predeterminate
dal settlor nell’interesse della
famiglia), l’atto costitutivo del trust
andrà considerato alla stregua di una convenzione matrimoniale, con tutto ciò che ne
consegue in tema di forma,
pubblicità, simulazione, capacità e quant’altro disposto dagli artt. da 162 a
166 c.c. (il tutto, ovviamente, sul presupposto che si ritengano
ammissibili trusts «interni», poiché
altrimenti il quesito non avrebbe neppure ragione di porsi, se non nel caso di
presenza di un obiettivo elemento di estraneità; inoltre, la conclusione di cui
sopra è da rapportarsi sempre al disposto dell’art. 30, l. n. 218/1995, per cui
deve essere riferita a coniugi entrambi cittadini italiani, o comunque al caso
in cui la legge individuata dalle norme di conflitto sia quella italiana).
Se, invece, scopo del trust fosse solo quello di procurare all’altro coniuge la semplice
«intestazione» in proprietà di un determinato bene, «rimarremmo fuori
dell’ambito di afferenza delle convenzioni matrimoniali per approdare a quello
delle attribuzioni liberali tra coniugi» [137].
19. Trust e limiti
all’autonomia negoziale dei coniugi in regime di comunione legale o
convenzionale.
Venendo ora a trattare brevemente della possibile
incidenza di un eventuale trust «interno» (e comunque nel caso di un trust costituito in presenza di un
obiettivo elemento di estraneità) delle disposizioni inderogabili in tema di regime patrimoniale
legale (e sempre, ovviamente,
allorquando si tratti di coniugi entrambi cittadini italiani, o comunque quando
la legge individuata dalle norme di conflitto sia quella italiana), andrà subito ricordato che l’atto costitutivo di trust va annoverato tra quelli di straordinaria amministrazione,
con conseguente necessità del consenso di entrambi i coniugi, ex
art. 180 c.c. Ne consegue che, qualora la «segregazione» patrimoniale
attuata da uno solo dei coniugi – nella veste di settlor – senza il consenso dell’altro dovesse venire a colpire uno
o più dei beni di cui all’art. 177, lett. a) e b), nonché cpv., c.c., ovvero
anche la sola quota del coniuge disponente [138], il coniuge pretermesso avrebbe a sua disposizione i rimedi
di cui all’art. 184 c.c. [139]. L’argomento in oggetto è stato
ampiamente approfondito dallo scrivente nel contesto della trattazione
monografica sulla comunione legale, cui si fa pertanto rinvio [140].
Più complesso è invece il tema dell’ammissibilità di un’operazione
diretta a «segregare» beni della comunione legale per effetto di un atto posto in essere da
entrambi i coniugi, nella veste di costituenti. Dubbi potrebbero
prospettarsi al riguardo, in considerazione della tesi che contesta la
possibilità di estromettere
singoli beni dalla comunione, durante la vigenza di quest’ultima.
L’argomento appare, come noto, strettamente connesso alla vexata
quaestio dell’ammissibilità di un
rifiuto preventivo del coacquisto ex lege previsto dall’art. 177 lett.
a), d) e cpv., controversia rinfocolata da una recente decisione di legittimità
che, andando di contrario avviso rispetto ad un precedente del 1989, si è
spinta ad affermare che, manente
communione, «il coniuge non può rinunciare alla comproprietà di singoli
beni acquistati durante il matrimonio (e non appartenenti alle categorie
elencate nell’art. 179, co. 1°, c.c.) salvo che sia previamente o
contestualmente mutato, nelle debite forme di legge e nel suo complesso, il
regime patrimoniale della famiglia» [141]. Rinviando ad altra sede la critica di tale
opinabilissima conclusione [142], basterà dire che, qualora essa dovesse venire
trasposta alla materia qui in esame, dovrebbe ritenersi inibito – sempre,
ovviamente, nell’ottica, da chi scrive non condivisa, della Cassazione – ai
coniugi in comunione (eventualmente anche in presenza di un obiettivo elemento
di estraneità) di costituire entrambi un trust su beni comuni ex
art. 177, lett. a) e d), nonché cpv., c.c., nominando trustee uno solo di essi, posto che, in tal modo, questi beni
verrebbero di fatto estromessi dalla comunione.
Diversa,
ancorché legata alla precedente, appare la questione dei rapporti con l’art. 210 c.c.
In proposito non vi è dubbio che – ferma restando, ad avviso dello scrivente,
la possibilità di estromettere in tutto o in parte beni della comunione, una
volta che questi siano stati acquisiti – l’atto costitutivo di trust su beni da acquistarsi [143] e che, una volta acquistati da uno dei coniugi, formerebbero comunque oggetto
della comunione legale, non potrebbe determinare una violazione della
regola della parità delle quote e dei principi in tema di amministrazione. Ne
consegue che sarebbe nullo un atto costitutivo di trust su beni destinati a cadere in comunione legale in cui i
coniugi, nella veste di settlors,
istituissero trustee (o beneficiario)
uno solo di essi, ovvero
essi stessi, ma in quote diverse da quelle paritarie. Lo stesso è a
dirsi per ciò che attiene al conferimento di poteri di amministrazione ad uno
solo dei coniugi.
Per
quanto riguarda invece i beni della comunione convenzionale non interessati dal limite posto dall’art. 210
c.c. (si pensi a quelli, per esempio, di cui all’art. 179, lett. a),
c.c.) si è paventata la possibilità di una violazione dell’art. 166-bis
c.c. per la convenzione che, «ampliando l’oggetto della comunione
convenzionale, attribuisca, in relazione a beni diversi da quelli che avrebbero
formato oggetto di comunione legale, il potere di amministrazione al coniuge
che non sia il proprietario del bene conferito nella comunione convenzionale» [144]. In proposito sarà però il caso di rilevare che,
qualora si supponga che la convenzione
sia del tipo «ampliativo», ciò significa che il coniuge (eventualmente)
unico amministratore è
contitolare della proprietà sui beni che amministra. L’ipotesi è dunque diversa da quella
«paradigmatica» della dote che, come si è visto [145], è caratterizzata da un completo «scollamento» tra titolarità del diritto
reale e potere di amministrazione sui relativi beni. Ne consegue che, ad avviso
dello scrivente, per coloro che ammettono la possibilità di costituire trusts
«interni» e comunque per i trusts creati in situazioni caratterizzate
dalla obiettiva presenza di un elemento di estraneità, i coniugi in regime di
comunione convenzionale potranno senz’altro «segregare» beni che non avrebbero
fatto parte della comunione legale, prevedendo quale trustee e/o
beneficiario uno solo di essi (oltre che, ovviamente, terzi familiari e/o
estranei), senza curarsi in modo alcuno né delle regole circa la parità delle
quote, né di quelle in tema di amministrazione della comunione legale.
20. Trust e fondo
patrimoniale.
Nell’ambito delle questioni legate ai
rapporti tra trust e famiglia, è proprio il tema del fondo patrimoniale ad
aver richiamato la maggior
attenzione da parte degli studiosi del settore [146]:
un bel risultato per un «ramo
secco» del nostro ordinamento [147],
che, nelle sue applicazioni pratiche, ha dimostrato di saper produrre sino ad
ora solo frutti «perversi» [148],
al punto da indurre taluno ad affermare che tale istituto sarebbe ormai
destinato ad essere del tutto soppiantato dal trust [149].
La principale ragione per cui siffatto
accostamento del trust al fondo patrimoniale forma argomento di ampia
trattazione in dottrina è costituita, a parte talune analogie tra i due fenomeni [150],
dal dato di fondo che accomuna questi ultimi sotto il profilo della separazione patrimoniale
dei beni che ad entrambi necessariamente, anche se in forme e con «gradazioni»
diverse, consegue [151],
al punto da spingere parte della dottrina a ravvisare nell’istituto del fondo
patrimoniale un vero e proprio trust
«amorfo» (del genere cioè di quelli riconducibili all’ampia previsione
di cui all’art. 2
della Convenzione dell’Aja) previsto dal nostro ordinamento [152].
Peraltro la dottrina ha anche posto in
luce i fondamentali punti
di distinzione, evidenziando la maggiore duttilità, oltre che la più
vasta sfera di operatività, del trust [153].
Effettivamente, dal punto di vista oggettivo, va sottolineato che quest’ultimo non conosce limitazione quanto
ai beni oggetto dei diritti su cui la «segregazione» patrimoniale è
destinata ad incidere, laddove l’art. 167 c.c. circoscrive ai beni immobili, mobili registrati e ai titoli di
credito i possibili oggetti del fondo patrimoniale.
D’altro canto, dal punto di vista soggettivo, la «famiglia» in relazione
alla quale il fondo può costituirsi è solo quella legittima, così escludendosi non solo la famiglia
di fatto [154],
bensì anche altre situazioni
lato sensu analoghe, in cui sarebbe utile che esistesse la
possibilità di destinare beni ad onera (verrebbe da dire: vitae…)
ferenda. Così si è portato il caso [155]
della persona vedova o nubile, del figlio naturale (e, eventualmente, della
relativa madre) di un soggetto coniugato, di un fratello, ecc.
Nell’ambito della stessa famiglia
legittima, poi, il trust può essere «mirato» in relazione alle esigenze
di uno o più dei suoi componenti (si pensi a soggetti posti in particolare
situazione di debolezza, quali, ad es. figli incapaci [156]),
laddove gli artt. 167, 168 e 170 c.c., con il loro generico riferimento ai
«bisogni della famiglia», non
consentono di discriminare tra i membri di quest’ultima.
A
differenza del trust, poi, il fondo
patrimoniale non prevede beneficiari
in senso tecnico; e pertanto i soggetti in favore dei quali è stato
istituito il fondo, ad esempio i figli, non hanno poteri di controllo sulla gestione dei beni,
né sono legittimati ad agire
nei confronti dei genitori che destinino i frutti a finalità non coincidenti
con i bisogni della famiglia. Infine, nel fondo patrimoniale, non è previsto
che al momento della sua cessazione
i beni debbano essere devoluti
ad alcuno dei componenti la famiglia, in particolare ai figli, per cui la
tutela della famiglia non appare così perseguita col massimo risultato. Un
rimprovero analogo, centrato cioè sul minor grado di protezione della famiglia
rispetto al trust, va pure mosso al
fondo patrimoniale per l’inesistenza
di norme che prevedano un obbligo di reimpiego e per la mancanza di un
meccanismo surrogatorio, oltre che per la più limitata (rispetto al trust) esecutabilità dei beni e dei
frutti.
Per
ciò che riguarda il profilo dell’amministrazione
si presentano come punti di debolezza del fondo patrimoniale rispetto al trust la discrezionalità consentita ai coniugi nelle
decisioni riguardanti l’amministrazione e la disposizione dei beni del fondo [157], laddove
l’esistenza di un trust non consentirebbe
la facile alienazione dei beni che lo compongono, producendo altresì l’effetto
di disincentivare la costituzione di fondi patrimoniali simulati o abusivi. Di
contro, non va però dimenticato che, secondo l’opinione prevalente, l’art. 168
c.c., con il rinvio alle norme in tema di comunione legale, viene a porre come inderogabile – per gli
atti di cui all’art. 180 cpv. c.c. – il principio di amministrazione congiuntiva [158], laddove
il trust ben potrebbe essere
congegnato in modo da affidare ad un solo coniuge l’amministrazione dei beni.
Non sembra
poi rispondere a verità – per ciò che attiene alla conformazione del negozio
costitutivo – l’affermazione secondo cui solo nel caso del trust
potrebbero inserirsi condizioni sospensive o risolutive [159], dal momento che siffatta conclusione deve ammettersi
anche in relazione ad ogni convenzione matrimoniale [160].
Parimenti
non rispondente al vero risulta l’affermazione secondo cui solo la costituzione del fondo
patrimoniale richiederebbe il rispetto delle formalità rigorose previste dall’art. 162 c.c. [161],
dal momento che, come si è già avuto modo
di vedere [162], la norma in oggetto, nella sua qualità di principio
inderogabile relativo ai rapporti patrimoniali tra coniugi, deve trovare
necessariamente applicazione tra coniugi italiani e comunque allorquando la
legge italiana sia designata dalle norme italiane di conflitto.
E’
invece certamente vero che il fondo patrimoniale presenta aspetti negativi, rispetto al trust, in considerazione dell’eventualità che la coppia venga a
trovarsi in una situazione di crisi.
In
proposito andrà notato che, sebbene la costituzione di un fondo patrimoniale in
sede di separazione
personale dei coniugi appaia senz’altro ammissibile [163],
ragioni di opportunità potrebbero sconsigliarla, atteso che l’amministrazione spetterebbe comunque
ad entrambi e ciò mal si concilia con la situazione di conflitto coniugale.
Per il resto, atteso che, ai sensi
dell’art. 171 c.c. «la destinazione del
fondo termina a seguito di annullamento scioglimento o cessazione degli effetti
civili del matrimonio», vi è il rischio che in tali situazioni si vengano a
disattendere le legittime aspettative dei beneficiari, ad esempio la prole
maggiorenne ma non autosufficiente (atteso che per i minori provvede l’art. 171
cpv. c.c.).
In
giurisprudenza potrà segnalarsi una decisione del Tribunale
di Firenze. Qui due coniugi, che avevano istituito un fondo patrimoniale, decidono di separarsi consensualmente.
Per tutelare maggiormente la figlia minore decidono di istituire anche un trust e di vincolarvi le risorse oggetto del
fondo patrimoniale, chiedendo al Tribunale di essere a ciò autorizzati.
Il
Tribunale respinge
il ricorso tendente a consentire lo scioglimento anticipato del fondo
patrimoniale affinché i beni in esso inclusi siano vincolati nel trust, ritenendo che, nonostante il trust abbia effetti analoghi a quelli
del fondo patrimoniale, al potere di disposizione del trustee non viene posto alcun limite né, conseguentemente, onere di richiedere
autorizzazione giudiziale (come invece si richiede, ai sensi dell’art. 169 c.c.
nel caso del fondo patrimoniale). Ciò priverebbe l’istituto del trust delle garanzie proprie del regime
autorizzativo previsto dall’art. 169 c.c., salvo che al fondo
patrimoniale si applichi il regime di deroga [164].
Di
contrario avviso è invece una successiva decisione del Tribunale
di Padova [165], che ha autorizzato i genitori a ridurre
il loro fondo patrimoniale, estromettendo dal medesimo i beni immobili
analiticamente indicati nel ricorso, al solo fine di dotare degli immobili in
questione un trust familiare dagli
stessi costituito. Da notare il relativo parere favorevole del Giudice Tutelare
era stato fondato sul rilievo per cui «l’art. 169 c.c. consente (…)
l’alienazione di beni dal fondo patrimoniale e (…) che il conferimento di
alcuni beni nel trust è atto di
disposizione meno incidente di un’alienazione».
Da
segnalare poi anche una decisione del Tribunale
di Milano [166], secondo cui «può essere omologato il
verbale di separazione personale dei coniugi nel quale sia inserita
l’istituzione di un trust
autodichiarato dagli stessi coniugi separandi, in favore dei loro figli, con la
finalità di segregare in trust i beni
costituiti in fondo patrimoniale anche dopo la cessazione del vincolo
coniugale». L’atto peraltro non sembra adeguatamente chiarire quali siano gli
effetti della singolare forma di overlapping
tra i due istituti nel periodo di «interregno» tra la separazione dei coniugi e
lo scioglimento del matrimonio.
21. Trust e crisi
coniugale.
Le considerazioni di chiusura del paragrafo precedente introducono
l’argomento dei rapporti tra trust e crisi coniugale. In proposito
è lo stesso rapport explicatif della
Convenzione dell’Aja a chiarire che «…il semble qu’un trust
volontairement constitué par un époux divorcé afin de réaliser l’obligation qui
lui est imposée de trasférer certains biens à son épouse et à ses enfants
tomberait sous le coup de la Convention. On peut également considérer comme
volontaire un trust constitué par
exemple en vue de remplir une obligation alimentaire qui est ensuite homologuée
par un tribunal» [167].
Nella dottrina e nella
pratica italiane non sono mancate indicazioni in questo senso. Così, per
esempio, si è affermato che il trust
potrebbe costituire uno strumento di estrema importanza allo scopo di intervenire efficacemente nella
genesi della crisi della coppia, e quindi, nel momento antecedente l’inizio del
procedimento di separazione o divorzio o in un secondo momento, successivo alla
conclusione di questi procedimenti, una volta che la volontà delle parti (in
sede consensuale) o la determinazione del giudice (in sede contenziosa) abbiano
imposto un contributo di mantenimento o un assegno a carico di un coniuge [168].
Al riguardo, l’effetto
«segregativo»
proprio del trust consentirebbe di
opporre il vincolo ai creditori
del disponente, così garantendo il pagamento delle prestazioni
periodiche in favore del coniuge e/o alla prole anche di contro a possibili
azioni esecutive di terzi (fatte salve, ovviamente, possibili domande
revocatorie). A ciò s’aggiunga che il trasferimento del bene al trustee, quando si tratti di immobile,
titoli azionari o altri beni soggetti forme di pubblicità, comporta formalità
che da sole impediscono atti di disposizione illegittimi: chiunque sia il trustee (il coniuge obbligato o un
terzo) saranno così prevenuti atti di disposizione in danno degli interessi che
il trust protegge [169].
Ove
si dovesse ammettere il trust «interno» e, in ogni caso, per il trust
creato in situazioni caratterizzate dalla obiettiva presenza di un elemento di
estraneità, questo
potrebbe essere costituito nello stesso negozio di
separazione consensuale, di separazione di fatto, o
di divorzio su domanda
congiunta: le parti verrebbero così a porre in essere lo strumento
attraverso il quale determinare le modalità di adempimento degli obblighi ex artt. 155, 156 e 5 l.div.
D’altro canto e sempre, ovviamente, sulla base di un accordo inter partes, un trust potrebbe rappresentare il mezzo per garantire l’esecuzione di obblighi di mantenimento e
di assegni già determinati, precedentemente, dalle parti stesse (in
sede, per l’appunto, di separazione consensuale omologata, di separazione di
fatto, ovvero di divorzio su domanda congiunta, ovvero ancora in sede di crisi
coniugale contenziosa). Per questa specifica ipotesi andrà tenuto presente che,
secondo l’opinione ormai prevalente in dottrina e giurisprudenza [170], le condizioni della separazione e del divorzio ben possono
essere mutate dai coniugi senza dover ricorrere ad alcun tipo
particolare di procedura giudiziale.
Si
è poi anche rimarcato che «l’istituzione di un trust avrebbe una valenza estremamente garantista relativamente ai
diritti alimentari o di mantenimento vantati da coniuge e prole, in quanto
consentirebbe di isolare le risorse del coniuge obbligato al mantenimento, o
agli alimenti, affinché non possano essere distolte dall’adempimento di queste
obbligazioni». Il primo positivo effetto sarebbe infatti quello di evitare
qualsiasi conflitto fra i creditori del coniuge obbligato e i creditori della
prestazione alimentare, posto che questi ultimi sarebbero pienamente garantiti [171].
Ora,
se non vi è dubbio che – come si del resto già visto poco sopra – ciò risponde
a verità, va immediatamente aggiunto che altrettanto condivisibile non appare
l’affermazione secondo la quale l’ordinamento civilistico italiano non offrirebbe alternative al trust per il raggiungimento di siffatta
finalità di garanzia del coniuge separato.
A
parte, invero, il complesso sistema di garanzie apprestato dall’ordinamento per l’adempimento degli
obblighi derivanti dalla separazione o dal divorzio [172], nulla esclude che, in
considerazione del carattere
negoziale (e, per ciò che attiene agli accordi di carattere
patrimoniale, contrattuale), delle intese in discorso, possano trovare
applicazione le garanzie e gli strumenti di induzione all’adempimento previsti
in generale dal codice: dalla fideiussione, all’ipoteca volontaria (si pensi alle intese
concluse nell’ambito di una separazione di fatto, ove l’art. 2818 c.c. non può,
evidentemente, trovare applicazione), alla clausola penale, alla caparra confirmatoria [173].
Così
pure, se è vero che i trusts sono
dotati di una maggiore «flessibilità» rispetto alle strutture civilistiche, non
è vero che lo strumento contrattuale della tradizione romanistica, applicato ai
contratti della crisi coniugale, non consenta disposizioni a termine, o sotto condizione, ovvero non
permetta (per lo meno inter vivos) la
successiva indicazione di più beneficiari [174].
In
definitiva, l’unico vero vantaggio offerto dal trust sembra essere quello di evitare «l’interferenza indebita degli interessati e le
spiacevoli situazioni, anche psicologiche e morali, che spesso vengono a
crearsi» [175]: un vantaggio che,
peraltro, le parti pagherebbero
assai caro, posto che appare assai difficile reperire un trustee disposto a prestare gratis et amore dei la propria attività,
specie in siffatte situazioni, normalmente, dal punto di vista dei rapporti
umani, assai poco gradevoli.
Per concludere le considerazioni generali sul punto – e prima di passare
all’esame di alcuni casi pratici –andrà ancora aggiunto che, sotto il profilo fiscale,
non vi è dubbio che le attribuzioni patrimoniali del genere di quelle
illustrate nell’ambito del presente paragrafo – a prescindere dalle questioni
circa l’applicabilità o meno degli atti istitutivi di trusts dell’imposta di registro a tassa fissa [176] – ricadrebbero comunque, ove «relative»
ad un procedimento di separazione o divorzio [177], sotto il disposto dell’art. 19 l. div.,
esteso, come noto dalla Corte costituzionale alla separazione legale [178].
ALCUNI CASI PRATICI IN
MATERIA DI UTILIZZO DEL TRUST NELL’AMBITO DELLA CRISI CONIUGALE |
Venendo
ora ad esaminare il profilo casistico, potrà dirsi che, sempre in relazione
alla crisi coniugale, si è poi ipotizzato [179] un caso
pratico relativo ad una disposizione volta a consentire ad un figlio, maggiorenne ma non
autosufficiente e convivente con la madre, di proseguire gli studi dopo il
conseguimento del diploma di maturità, in una situazione in cui,
avvenuta l’adozione dei provvedimenti provvisori da parte del presidente del
tribunale investito del giudizio di separazione o divorzio e disposta la
prosecuzione della causa avanti il giudice istruttore, la moglie pretenda di
veder riconosciuto per sé e per il figlio un assegno di mantenimento più
consistente.
Qui
il marito potrebbe essere disposto ad accedere alle richieste relative al
figlio, pur non essendo incline a concedere per questo alla moglie un assegno
più sostanzioso. In siffatta situazione si è prospettata l’istituzione di un trust autodichiarato
[180] da parte del marito, con previsione, in caso di
sopravvenuta impossibilità in capo al trustee
(cioè il marito stesso) di una sostituzione di quest’ultimo, magari
individuandosi l’eventuale sostituto nella persona di un professionista, ovvero
del legale fiduciario che lo assiste nella causa di separazione o divorzio. Il
beneficiario, in questo caso identificato fin dal momento dell’istituzione del trust
nella persona del figlio, sarebbe
il destinatario immediato delle utilità e dei valori prodotti dalle somme
«segregate» in trust, e sarebbe
beneficiario nei limiti prefissati nell’atto istitutivo. Egli diverrebbe così
titolare di un diritto di natura personale e che gli consentirebbe di agire nel
caso in cui il trustee non ottemperasse alle prescrizioni contenute
nell’atto istitutivo; egli potrebbe anche richiedere all’autorità giudiziaria
la revoca del trustee inadempiente.
Il termine
di durata proposto, sempre nella ipotesi pratica prospettata [181], coinciderebbe nella specie con quello consono alla
durata del corso di studi universitari già prescelto dal figlio, con la
possibile estensione ad uno o due anni in più, per andare incontro alle
eventuali difficoltà o ritardi che il ragazzo dovesse accusare. Allo spirare
del termine o al raggiungimento dello scopo (conseguimento della laurea) il trust dovrebbe trovare la sua fine
fisiologica, fatta salva la possibilità di inserire nell’atto istitutivo una
clausola di ultrattività del trust, nel limite del patrimonio conferito,
per soddisfare le esigenze di frequentazione di scuole di specializzazione, di
corsi avanzati, master o quant’altro. Nel caso il trust dovesse essere istituito nelle more fra il conseguimento del
diploma di scuola superiore e l’iscrizione ad un corso universitario, si è
altresì proposto di sottoporre il trust a condizione sospensiva, tale
per cui, qualora il figlio dovesse mutare orientamento e non iscriversi
all’università, il trust non esplicherebbe alcuna efficacia.
Parimenti, si è proposto [182] l’inserimento di una clausola risolutiva per le seguenti evenienze:
· il figlio interrompe il ciclo di studi;
· il figlio consegue anzitempo al completamento degli
studi l’indipendenza economica (ad esempio trova un lavoro);
· il figlio o la ex
moglie, convengono il marito in giudizio per ottenere la modifica delle
condizioni della separazione o del divorzio ovvero, maturato il termine per la
proposizione della domanda di divorzio, avanzano nuove pretese che costringono
all’apertura di un nuovo contenzioso.
Con riferimento a tale ultima specifica previsione
andrà però subito detto che questa potrebbe essere ritenuta inconciliabile con
la consolidata giurisprudenza di legittimità che, come noto, non consente la
conclusione di intese preventive in vista del divorzio, in considerazione di un
supposto «commercio dello status di
coniuge» [183].
Sempre secondo la proposta citata [184], accanto al beneficiario diretto delle somme
«segregate» in trust (il figlio), potrebbe esservi la figura di un beneficiario finale che,
nel nostro caso, potrebbe essere ancora il figlio, nel caso in cui il padre
desiderasse premiarlo e lasciargli definitivamente l’eventuale patrimonio
residuato al conseguimento dello scopo del trust;
oppure, potrebbe essere il disponente stesso, che in tal modo rientrerebbe
nella piena disponibilità del proprio patrimonio.
* * *
Altro caso pratico in materia
è quello che ha formato oggetto di verbale di separazione consensuale omologata
dal Tribunale di Milano con decreto Trib.
Milano, 23 febbraio 2005.
Qui, nell’ambito della
varie condizioni della separazione, uno dei coniugi, al fine di provvedere alle
esigenze abitative della figlia minore sino a che non avrà completato il ciclo
di studi e raggiunto l’autonomia economica, istituisce un trust autodichiarato avente ad oggetto un bene immobile
[185].
Tra le varie clausole
si noti la seguente, che potrebbe porre problemi in tema di divieto di patti successori
ed eventuale lesione della
legittima (con riferimento anche all’art. 15
della Convenzione dell’Aja)
|
Al rigurado
potrà notarsi che, ove il trust si
pieghi ad una finalità successoria, una possibile sua interferenza con il
divieto dei patti successori non può dirsi scongiurata per il sol fatto che una
convenzione internazionale ne riconosca l’operatività anche nel nostro paese:
la Convenzione dell’Aja all’art. 4
fa infatti salve le norme di diritto interno relative alla validità del
testamento o dell’atto costitutivo del trust.
Resta allora aperta la porta all’operatività virtuale del divieto?
La risposta al
quesito richiede la soluzione di un problema a monte. Se l’art. 458 c.c. parla
di «convenzioni» ed
è intitolato ai «patti»,
la sua sfera di applicazione, stando ad un’interpretazionme letterale della
norma, dovrebbe non ricomprendere il trust,
la cui fonte è un testamento ovvero un atto unilaterale fra vivi, non già un
contratto. D’altra parte è anche vero che il beneficiary è normalmente al corrente del fatto di essere il destinatario
di un’attribuzione patrimoniale da parte del settlor: potrebbe allora darsi il caso in cui la costituzione di un
trust adombri un patto in frode alla legge per il fatto
di costituire il modo di aggirare il divieto dei patti successori.
Da notare che nell’esempio di cui sopra
il beneficiario finale dell’attribuzione è la figlia minorenne (cui si
riferisce l’improvvido omissis che
rende quanto mai difficile la lettura dell’atto…); in caso di sua morte è
previsto il ritrasferimento automatico al padre/padrone/marito/disponente/trustee; ma, in caso di morte di quest’ultimo, vengono
individuati come destinatari gli eredi legittimi di quest’ultimo. Ciò significa che, per il
periodo di durata del trust, il disponente si è auto-inibito la
facoltà di testare sui beni in trust,
ciò magari anche con il rispetto delle ipotizzabili quote indisponibili!
La violazione del divieto dei patti successori non
potrebbe essere più evidente.
* * *
In un’altra decisione
dell’anno successivo, lo stesso Tribunale di Milano (cfr. Trib.
Milano, 7 giugno 2006) ha omologato un accordo di separazione tra le cui condizioni era
prevista l’istituzione di un trust
nel quale i coniugi avevano segregato sia i cespiti già compresi nel fondo patrimoniale,
sia altri beni che non era stato possibile, per loro natura, proteggere con il
fondo.
I coniugi erano
intenzionati a porre fine alla loro unione, ma, nel contempo, desideravano che
il patrimonio familiare continuasse ad essere destinato a soddisfare i bisogni
della famiglia: entrambi ritenevano prioritario mantenere il vincolo alla soddisfazione dei
bisogni della famiglia già impresso sui beni del fondo patrimoniale anche dopo
il divorzio e il raggiungimento
della maggiore età dei figli.
Così, con l’atto
istitutivo contenuto nelle condizioni di separazione e riprodotto nel verbale ex art. 711 c.p.c., entrambi i coniugi si sono dichiarati trustees dei beni già segregati
nel fondo patrimoniale e ne hanno aggiunti altri, col precipuo intento di mantenere la destinazione di tutto il
patrimonio familiare ai bisogni della famiglia (tra i quali, le esigenze di
mantenimento e di studio della prole) per ulteriori dieci anni dalla data della separazione, oltre la maggiore età di entrambi i figli
e, presumibilmente,
anche oltre il divorzio.
Va notato che,
secondo tale atto, il vincolo in trust
non viene meno in caso di morte di uno o di entrambi i genitori; in tal caso la
funzione è esercitata dal superstite e, in mancanza di entrambi, dal
professionista indicato dalle parti o, in caso di impossibilità ad assumere
l’incarico, da quello designato dal presidente del «collegio notarile» (rectius: consiglio notarile) di Milano.
Appare evidente
la diversa responsabilità assunta dai genitori con l’istituzione del trust: mentre nella qualità di titolari del
fondo patrimoniale gli stessi avrebbero potuto distrarre dal fine i beni o
anche soltanto lasciarli perire, il diritto dei trusts impone ai trustees
obbligazioni di buona gestione ed amministrazione e di rispetto delle finalità,
obbligazioni all’adempimento delle quali essi potrebbero essere chiamati a
rispondere dai figli o dal guardiano.
Anche in questo
caso compare una clausola che pone i già illustrati problemi in tema di
violazione del divieto dei patti successori:
* * *
Il Tribunale di Siracusa, con decreto
depositato il 17 aprile 2013, ha omologato la separazione consensuale dei coniugi che, contestualmente,
hanno istituito un trust familiare a
favore delle loro figlie minori. In particolare, i predetti trasferivano nel trust l’immobile adibito a casa
coniugale, di proprietà di ciascuno pro
quota, unitamente agli arredi, già assegnato alla moglie (nominata quale trustee), affinchè la stessa vi coabiti
con le figlie minori.
La finalità del trust è stata qui rintracciata nella
necessità di salvaguardare
le esigenze abitative delle figlie minori e nella garanzia di un loro
mantenimento e ciò fino al completamento
del ciclo di studi o al raggiungimento di un’autosufficienza economica
e, comunque, fino
al compimento del ventiseiesimo
anno di età della figlia più piccola.
L’atto evita l’inconveniente,
proprio di alcuni di quelli sopra indicati, di violare nel senso predetto il
divieto dei patti successori; peraltro contiene per lo meno una clausola della
cui legittimità si potrebbe dubitare, vale a dire quella secondo la quale i
diritti spettanti ai beneficiari sono intrasmissibili non solo inter vivos, ma anche mortis causa. Ancora una volta, sembra
necessario tenere presente che, nel nostro ordinamento, non appare possibile
predeterminare il contenuto di una eventuale futura successione mercé un atto inter vivos.
* * *
Un caso di un certo
interesse è quello risolto da Trib.
Milano, 20 ottobre 2002, in una fattispecie veramente caraterizzata (una
volta tanto!) da un elemento
di (reale) estraneità. Nella specie
il giudice italiano, ritenutosi dotato di giurisdizione e facendo applicazione
della legge inglese, ha rimosso
dalla posizione di trustees entrambi i coniugi, sostituendoli con due
professionisti.
Il trust era stato
costitutito in Gran
Bretagna su beni ivi situati e per disposizione del giudice inglese che si era
occupato del divorzio tra le parti. La domanda giudiziale era stata proposta
dall’ex marito, che aveva chiesto la decadenza dalla posizione di trustee della ex moglie per conflitto di
interessi con le beneficiarie (le figlie).
* * *
Il Tribunale di Milano,
con sentenza
n. 13609/11 del 21 novembre 2011, ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio
nell’ambito di una procedura in cui nel ricorso il marito si dimetteva dalla qualifica di trustee del trust
istituito nelle condizioni di separazione per vincolare un immobile al
soddisfacimento delle esigenze abitative della figlia fino al momento del
divorzio.
In particolare, nelle condizioni di separazione omologate dal
Tribunale era stato istituito un trust
nel quale era confluito un
immobile, con la precipua finalità di provvedere alle esigenze della figlia fino al completamento degli studi
e, comunque, fino al raggiungimento dell’autonomia economica, per sottrarlo
alle vicende personali e successorie e, in generale, per poter trarre da esso
utilità da destinare alla figlia ed alla madre, finchè convivente, per poi
poterlo destinare definitivamente alla figlia al momento dello scioglimento
dello stesso. Pertanto, nel ricorso congiunto di divorzio i coniugi non solo hanno
chiesto la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma vi hanno altresì inserito
le dimissioni rassegnate dal trustee
e la nomina del successore.
* * *
Il Tribunale di Bologna, con sentenza
in data 1° aprile 2009, ha testualmente disposto, su conformi e congiunte
conclusioni delle parti, che, «a definizione dei rapporti economici, il dott. G. T. nomini la signora N. G. L., beneficiaria irrevocabile
del Trust …, per la quota del 50% della proprietà indivisa dell’immobile di …,
via …, e ciò a titolo di
assegno divorzile in un’unica soluzione ai sensi e per gli effetti di cui
all’art. 5, L. 898/70».
* * *
Tribunale di Torino
nella sentenza (di divorzio
su conclusioni congiunte delle parti) del 31
marzo 2009 ha tra l’altro dato atto del fatto che «le parti, inoltre, hanno stabilito di costituire un fondo trasferendovi alcuni beni di proprietà
dei medesimi così da sottrarli alle proprie vicende personali e successorie e,
in generale, per poter trarre da essi utilità da destinare ai bisogni della
famiglia attraverso l’istituto del Trust».
Nella specie, le parti, già separate consensualmente
da oltre tre anni, avevano ritenuto prioritario l’interesse dei due figli
minori di fruire di
un’abitazione per il tempo necessario a completare la propria crescita, concludere gli studi e
rendersi economicamente autonomi: gli obiettivi perseguiti dalle parti erano i
medesimi che avrebbero potuto giustificare la costituzione di un fondo
patrimoniale, istituto inapplicabile perché destinato a cessare al momento
dello scioglimento del vincolo matrimoniale o, comunque, al raggiungimento
della maggiore età della prole.
L’atto istitutivo è slato ricompreso tra le condizioni previste
nell’istanza congiunta di
divorzio, con cui è stata prevista, oltre alla nomina a trustee
della madre, anche la dotazione del fondo in trust con una somma
simbolica: i ricorrenti si
sono poi obbligati a conferire nel trust, con separato atto notarile, l’immobile di loro
proprietà; interessante è la designazione
del guardiano
(individuato in un professionista di fiducia di entrambi i genitori), preposto
a controllare l’operato della madre-trustee in relazione alle finalità del trust.
Il collegio giudicante, accogliendo la domanda, ha riportato nella sentenza il
testo dell’atto istitutivo del trust e valutato positivamente le sue
finalità.
L’atto ha se non altro il pregio di evitare i problemi di violazione
del divieto dei patti successori sopra evidenziati, prevedendo, con riferimento
al profilo del ritrasferimento dei beni, la clausola seguente (laddove G. e L. sono
gli ex coniugi e A. e A. sono i figli):
* * *
Secondo il Tribunale di Genova (decreto del 1°
aprile 2008) «può essere omologato l’accordo di separazione consensuale fra i coniugi
per mezzo del quale beni
immobili in comproprietà dei coniugi, un bene immobile di proprietà
esclusiva del marito e altri beni mobili vengono conferiti in un trust
in favore dei figli
dei coniugi, con nomina della moglie stessa a trustee per la durata di ottanta anni».
L’atto
istitutivo del trust (contenente la
disciplina e lo statuto del trust) non costituiva qui parte
integrante del verbale d’udienza, ma era stato redatto con separata scrittura,
anteriore all’udienza presidenziale e condizionata all’omologa della
separazione consensuale; nel verbale, invece, i coniugi realizzavano l’atto di
dotazione, trasferendo la proprietà dei beni al trustee «per disporne secondo le disposizioni del trust nell’interesse dei soggetti aventi
una posizione giuridica beneficiaria».
La finalità del trust, espressamente dichiarata, era
quella di vincolare il patrimonio acquisito durante il matrimonio ai bisogni
dei coniugi, della loro comune discendenza e della discendenza della moglie,
mantenendo il medesimo tenore di vita, così come inteso durante la vita comune
e indipendentemente dalle successive vicende personali dei disponenti.
22. Trust e famiglia
di fatto.
Non è
raro rinvenire nella letteratura favorevole alla ammissibilità di trusts
«interni» specifiche applicazioni di tali fenomeni alla convivenza more uxorio.
Così si è
ipotizzato il caso dell’uomo che intenda provvedere alla propria compagna non abbiente, senza tuttavia
fare danno alla propria famiglia legittima e, al tempo stesso, commisurando le
elargizioni alle effettive necessità della convivente: il ricorso al trust sarebbe qui consigliato di fronte
alla constatazione secondo cui nessun negozio conosciuto nel nostro ordinamento
sarebbe in grado di assicurare tali finalità [186].
La
conclusione non sembra però assolutamente condivisibile: invero, ogni
attribuzione effettuata (direttamente come indirettamente) alla convivente
andrà a diminuire il patrimonio del disponente, così riducendo le «aspettative»
(di fatto) dei futuri eredi legittimi e dunque «facendo danno alla famiglia
legittima»; d’altro canto, anche la finalità di «commisurare le elargizioni
alle effettive necessità della compagna», ben può essere soddisfatta mercé la
stipula di un contratto di
mantenimento, in cui si abbia l’accortezza di predeterminare il quantum
delle prestazioni in relazione ai redditi e ai patrimoni delle parti [187].
Taluno ha
poi anche prospettato un complesso caso pratico di trust finalizzato ad eseguire l’obbligazione
naturale gravante su un convivente dotato di un patrimonio assai più
consistente di quello della propria compagna [188]. Nella specie il ricorso al trust è però stato
erroneamente
presentato come l’unico
rimedio in grado di superare l’ostacolo posto dall’incoercibilità delle
obbligazioni naturali, laddove è chiaro che, da un lato, la creazione di
un trust non è
certo coercibile, se il soggetto che dovrebbe assumere la veste di settlor
non intende dar luogo a tale attribuzione, e, dall’altro, una volta che il
convivente «forte» intende adempiere, questi ben può obbligarsi mercé la
stipula di un contratto di convivenza nei modi e nelle forme in altra sede
descritti [189].
Ancora,
si è proposto di «abbinare»
la creazione di un trust a contratti quali l’assicurazione sulla vita o
il deposito bancario: la designazione di un fiduciario quale
beneficiario della polizza sulla vita, infatti, garantirebbe il settlor
che l’arricchimento del beneficiario avvenga attraverso la corresponsione di
utili prodotti in forza di un’oculata amministrazione delle somme dovute
dall’assicuratore [190]. Peraltro, ad avviso di chi scrive, sembra difficile
comprendere per quale ragione, supponendo che il beneficiario sia persona
maggiorenne e capace di amministrarsi, non sia più idoneo, per il conseguimento
degli scopi perseguiti dal disponente, oltre che meno oneroso, prevedere
l’attribuzione della prestazione direttamente in capo al convivente superstite…
D’altro
canto, sempre secondo lo studio appena citato, l’intestazione di un deposito bancario ad un bare
trustee, a beneficio prima del disponente e poi del partner
superstite di questi, risolverebbe i problemi relativi al residuo non prelevato
in vita, di cui il titolare dovrebbe disporre per testamento (nel caso di
cointestazione di conto bancario congiunto semplice con il partner, nel
quale gli intestatari possono ritirare l’intera somma congiuntamente e,
disgiuntamente, solo una porzione pari alla propria quota), eliminando altresì
i rischi di un prelevamento totale da parte del partner (nel caso di
conto congiunto solidale) [191].
A ben
vedere, però, sembra quanto mai inopportuno affidare ad un soggetto estraneo l’amministrazione
di un conto corrente che, verosimilmente, dovrebbe servire a fornire la
necessaria base economica e finanziaria del ménage, con tutto quello che
siffatta soluzione comporta, anche dal punto di vista di una gestione
quotidiana che appare assai difficile predeterminare nell’atto istitutivo del trust
in tutti i sui molteplici (e sovente inaspettati) risvolti.
A parte
le specifiche perplessità sulla reale necessità, utilità e convenienza
economica di un trust nelle situazioni
testé delineate (e fatte salve le riserve d’ordine generale sull’ammissibilità
di un trust «interno», riserve che dovrebbero però venir meno nel caso
di trust costituito in presenza di un
effettivo elemento di estraneità), potranno dunque ipotizzarsi trusts anche nella famiglia di fatto. Il
costituente (uno dei conviventi, o entrambi, ovvero anche un terzo) potrà
pertanto «segregare» parte del proprio patrimonio, dettando al trustee
norme a beneficio dell’unione di fatto e magari provvedere anche in ordine
all’eventuale scioglimento di quest’ultima.
E proprio in contemplation di una possibile rottura si dovrebbero inserire
apposite previsioni volte a disciplinare la sorte dei cespiti patrimoniali,
magari prevedendo una qualche forma di «ultrattività» del trust a tutela
della parte debole e/o della prole. In ogni caso – a scanso di pericolosi
equivoci – sarebbe opportuno individuare
in maniera esplicita e certa le situazioni nelle quali la convivenza si
dovrebbe considerare come venuta meno (invio di una lettera, fissazione
di residenze anagrafiche distinte, ecc.).
Con
specifico riguardo al profilo della cessazione della convivenza, va aggiunto che una delle ragioni
per le quali parte della dottrina raccomanda la creazione di trusts tra
conviventi è rappresentata dalla possibilità di far assumere ad essi una valenza post mortem,
il che peraltro – a parte la questione del possibile contrasto con il divieto
dei patti successori, quanto meno sotto il profilo della frode alla legge – può
porre problemi in relazione al tema della tutela dei legittimari.
Al
riguardo si precisa in dottrina che, mentre nel negozio di trasferimento dei
beni dal settlor al
trustee non è rintracciabile alcuna liberalità, per mancanza
dell’animus donandi in capo al
primo e dell’elemento oggettivo dell’arricchimento in capo al secondo,
costituirebbe, invece, donazione
indiretta l’attribuzione che il settlor attua a favore del
beneficiario [192]. Tuttavia, la stessa dottrina ammette che assai
problematica appare la tutela dei legittimari nelle diverse fattispecie che la
pratica propone [193]. Sono, invece, sicuramente soggetti a riduzione da
parte dei legittimari quei trusts che siano stati costituiti per
testamento: d’altro canto, le norme nazionali sulle successioni sono fatte
esplicitamente salve dall’art. 15 della Convenzione dell’Aja. Comunque, si
consiglia l’inserimento, nell’atto istitutivo, di una clausola di salvaguardia
che faccia obbligo, al fiduciario o al beneficiario finale del patrimonio, di
garantire i diritti dei legittimari del disponente, ove lesi al momento della
sua morte, integrando automaticamente, con beni o denaro, pur nei limiti del
valore del trust, la quota loro riservata dalla legge.
Come si è avuto peraltro modo di
vedere in altra sede [194], la tutela del
convivente superstite sembra attuabile anche mercé negozi o istituti
maggiormente «collaudati» nel nostro ordinamento.
Una questione cui può accennarsi in conclusione del
presente studio concerne l’eventuale estensibilità al trust creato nell’ambito della famiglia di fatto delle
considerazioni sopra svolte con riguardo al divieto di costituzione di beni in dote, ricordandosi
in proposito la risposta affermativa data al quesito circa l’applicabilità (nei
limiti a suo tempo precisati) dell’art. 166-bis
c.c. ai trusts costituiti nell’ambito
di una famiglia legittima [195]. Ora, è evidente che quelle argomentazioni non
possono valere per la famiglia di fatto, in relazione alla quale non possono
trovare applicazione né l’art. 166-bis c.c., né l’art. 15, lett. b),
della Convenzione dell’Aja.
Peraltro sarebbe legittimo porsi l’interrogativo sulla
possibilità di estrapolare dal
divieto codicistico di costituzione di dote un principio d’ordine pubblico
[196] più ampio, che legando la norma ordinaria al canone
costituzionale di pari dignità tra uomo e donna anche al di fuori dell’unione
coniugale, vieti comunque
la stipula di negozi fondati sull’idea (rectius: sul pregiudizio)
secondo cui la donna (o, per essa, la sua famiglia), dovrebbe in qualche
modo «compensare» con un apporto patrimoniale il «peso» che essa viene a
costituire per l’uomo con la creazione di una nuova famiglia (legittima o di
fatto), apportando beni destinati ad essere da quest’ultimo esclusivamente
amministrati [197].
Sarà infine opportuno rammentare che tutta la materia
attinente ai rapporti tra conviventi more
uxorio è stata dallo scrivente rielaborata in una monografia, la cui
presentazione è rinvenibile alla pagina web
seguente:
· http://giacomooberto.com/diritti_dei_conviventi_cedam_2012.htm.
23. Trust e vincoli ex art. 2645-ter c.c. Rinvio.
Alla
materia dei rapporti tra il trust ed
i vincoli di destinazione ex art.
2645-ter c.c. lo scrivente ha
dedicato alcuni studi. Sarà quindi opportuno fare rinvio nella presente sente
ad uno di essi, rinvenibile alla pagina web
seguente:
· http://giacomooberto.com/2645ter/2645ter_e_trust.htm
Per il
peculiare tema, poi, dei rapporti tra i vincoli predetti e le relazioni
endofamiliari si fa rinvio allo studio pubblicato alla pagina web seguente:
· http://giacomooberto.com/2645ter/2645ter_e_rapporti_patrimoniali.htm.
* Il lavoro costituisce una rielaborazione ed un aggiornamento
(al 20 novembre 2013) dell’articolo dal titolo Trust e autonomia negoziale nella famiglia, in Famiglia e diritto, 2004, p. 201 – 211 (parte prima), 310 – 320
(parte seconda); tale scritto è altresì disponibile dal 25 gennaio 2004 al
seguente sito web:
https://www.giacomooberto.com/trust/relazionetorino.htm.
Il presente articolo ipertestuale è invece disponibile online al seguente sito web:
https://www.giacomooberto.com/trust/2013/relazionemilano.htm.
[1] Su tale concezione v., anche per gli ulteriori
rinvii, Sesta, Il diritto di famiglia tra le due
guerre e la dottrina di Antonio Cicu, in Cicu, Il diritto di famiglia. Teoria generale,
Lettura di Michele Sesta, Momenti del pensiero giuridico moderno. Testi
scelti a cura di Pietro Rescigno. Redattore Enrico Marmocchi, Sala
Bolognese, 1978, p. 1 ss., p. 47 ss.; cfr. inoltre, per ulteriori rinvii alle
opere del Cicu e agli autori intervenuti nel dibattito sulla «concezione
istituzionale» della famiglia, Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, p. 103 ss.
[2] Sul tema cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 116 ss. Cfr. poi anche Bocchini, Autonomia negoziale e
regimi patrimoniali familiari, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 446
ss, p. 437 ss.
[3] Si veda in particolare il contributo, pubblicato per
la prima volta nel 1945, dal titolo L’autonomia privata nel diritto di
famiglia (Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di
famiglia, in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 381 ss.,
già in Dir. giur., 1945, p. 3 ss.). Per un’illustrazione del pensiero
dell’insigne Autore cfr. Oberto, I
contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 113 ss.; per una successiva
riscoperta dello scritto di Santoro-Passarelli cfr. anche Zoppini, L’autonomia privata nel
diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2001, I,
p. 213 ss.).
[4] Cfr., anche per gli ulteriori rinvii dottrinali e giurisprudenziali,
Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 28 ss.; in
particolare, sulla natura contrattuale dell’accordo di separazione consensuale,
per ciò che attiene alle intese d’ordine economico, v. Id., La natura dell’accordo di separazione
consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Fam. e dir., 1999, p. 601 ss.; ivi,
2000, p. 86 ss.). Così, per esempio, un espresso rimando all’art. 1322 c.c.
compare per ben due volte in una nota decisione sulla validità degli accordi preventivi
tra coniugi in materia di conseguenze patrimoniali dell’annullamento del
matrimonio (Cass., 13 gennaio 1993, n. 348, in Corr. giur., 1993, p. 822 con nota di Lombardi; in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1670, con nota
di Casola; in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, p. 950, con note di Cubeddu e di Rimini; in Vita not., 1994, p. 91, con nota di Curti;
in Contratti, 1993, p. 140,
con nota di Moretti), mentre
espliciti o impliciti riferimenti all’autonomia contrattuale punteggiano tutta
o quasi la complessa vicenda in tema di trasferimenti immobiliari e mobiliari
in sede di separazione personale tra coniugi (sul tema cfr. per tutti Oberto, I trasferimenti mobiliari e
immobiliari in occasione di separazione e divorzio, in Fam. e dir.,
1995, p. 155 ss.; Id., I
contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1211 ss.; Id., Prestazioni
«una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
Milano, 2000, in partic. p. 69 ss.; Id.,
Gli accordi patrimoniali tra coniugi in
sede di separazione o divorzio tra contratto e giurisdizione: il caso delle
intese traslative, dal 4 marzo 2009
disponibile al seguente indirizzo web:
https://www.giacomooberto.com/trasferimenti/taormina2009/relazione_oberto_taormina.htm;
v. anche G. Ceccherini, Separazione
consensuale e contratti tra coniugi, in Giust.
civ., 1996, II, p. 378 s.; Longo, Trasferimenti
immobiliari a scopo di mantenimento del figlio nel verbale di separazione:
causa, qualificazione, problematiche, nota a App. Genova, 27 maggio 1997,
in Dir. fam. pers., 1998, p. 576; per
una successiva, sintetica, analisi del tema, cfr. anche T.V. Russo, I trasferimenti patrimoniali
tra coniugi nella separazione e nel divorzio, Napoli, 2001). Ancora, al
concetto di «convenzione di diritto familiare» fa richiamo la Cassazione in una
decisione del 1983 per affermare l’applicabilità all’accordo di riconciliazione
dei principi generali degli artt. 1326-1328 c.c. in tema di formazione del
consenso (Cass., 29 aprile 1983, n. 2948, in Giur. it., 1983, I, 1, c. 1233; in Dir. fam. pers., 1983, p. 910; per una pronuncia più recente che
applica l’art. 1371 c.c. ad una «convenzione acecessoria alla sentenza di
divorzio» v. Cass., 14 luglio 2003, n. 10978). Per non dire poi dell’evoluzione
più recente in materia di accordi non omologati successivi alla separazione,
ove la Cassazione riconosce effetto, ormai da alcuni anni a questa parte, al
pieno dispiegarsi della negozialità dei coniugi, in forza del principio sancito
dall’art. 1322 c.c., ritenuto senza riserve applicabile al caso di specie,
addirittura anche per quanto concerne le pattuizioni concernenti la prole minorenne;
conclusione, quest’ultima, che conferma l’espansione dell’operatività della
sfera dell’autonomia privata anche nel settore di quei negozi del diritto di
famiglia non caratterizzati dalla patrimonialità (Cfr. per esempio Cass., 24
febbraio 1993, n. 2270, in Corr. giur.,
1993, p. 820, con nota di Lombardi;
in Giust. civ., 1994, I, p. 213, con
nota di Sala; in Giust. civ., 1994, I, p. 912; in Dir. fam. pers., 1994, p. 554, con nota
di Doria; Cass., 22 gennaio 1994,
n. 657, in Dir. fam. pers., 1994, p.
868; in Nuova giur. civ. comm., 1994,
I, p. 710, con nota di Ferrari; in
Giur. it., 1994, I, 1, c. 1476; in Foro it., 1995, I, c. 2984; in Fam. dir., 1994, p. 148, con nota di V. Carbone; Cass., 11 giugno 1998, n.
5829).
[5] Su questo concetto cfr. per tutti Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 215 ss.
[6] In questo senso cfr. Barbiera, Disciplina
dei casi di scioglimento del matrimonio, in Commentario del codice civile
a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1971, p. 147 s.; A. Finocchiaro, Sulla pretesa
inefficacia di accordi non omologati diretti a modificare il regime della
separazione consensuale, in Giust. civ., 1985, I, p. 1659 s.; Metitieri, La funzione notarile
nei trasferimenti di beni tra coniugi in occasione di separazione e divorzio,
in Riv. notar., 1995, I, p. 1177; G. Ceccherini, Separazione
consensuale e contratti tra coniugi, cit., p. 407; Figone, Sull’annullamento del verbale di separazione
consensuale per incapacità naturale, nota a App. Milano, 18 febbraio 1997,
in Fam. e dir., 1997, p. 441.
[8] V. Cass., 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, c. 1787; in Corr. giur., 1991, p. 891, con nota di A.
Cavallo; sempre in materia di transazione cfr. Cass., 12 maggio
1994, n. 4647, in Fam. e dir., 1994,
p. 660, con nota di Cei; in Vita not., 1994, p. 1358; in Giust.
civ., 1995, I, p. 202; in Dir. fam.
pers., 1995, p. 105; in Nuova giur.
civ. comm., 1995, I, p. 882, con nota di Buzzelli; in Riv. notar., 1995, II, p. 953.
[11] Per una recente vicenda in cui la Corte Suprema, dopo
avere ribadito con dovizia di particolari in motivazione la tesi della
negozialità della separazione consensuale, con un… finale «a sorpresa» ha
negato l’impugnabilità della stessa per simulazione cfr. Cass., 20 novembre
2003, n. 7607, in Corr. giur., 2004,
p. 304 ss., con nota di Oberto, Simulazione della separazione consensuale:
la Cassazione cambia parere (ma non lo vuole ammettere), disponibile anche
al seguente sito web: https://www.giacomooberto.com/notaobertocassazione2003/notaobertocassazione2003.htm.
Si noti peraltro che, ancora più di recente, la Corte Suprema ha affermato
l’impugnabilità dell’accordo di separazione consensuale per vizi del consenso:
cfr. Cass., 4 settembre 2004, n. 17902.
[13] Cfr., anche per i rinvii, Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali
tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p. 617 ss.; Id., I contratti della crisi
coniugale, I, cit., p. 684 ss.
[14] Cfr., anche per i rinvii, Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali
tra coniugi (non in crisi), cit., p. 636 ss.; Id, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 155
ss.
[15] Cfr, anche per i rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit.,
p. 28 ss., 179 ss., 321 ss., 634 ss., II, cit., p. 1212 ss., 1413 ss.
[16] Cfr. Oberto,
I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 8 ss.,
151 ss.; Id., I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi,
in Contratto e impresa/Europa, 2004,
pag. 17-90; lo scritto è altresì disponibile dal 1° gennaio 2004 al seguente
sito web:
https://www.giacomooberto.com/contrattidiconvivenza2/contrattidiconvivenza2.htm;
Id., I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa,
Padova, 2012, p. 81 ss.
[18] Sul punto cfr. Oberto,
Il Regolamento del Consiglio (Ce) n. 1347/2000 del 29 maggio 2000 relativo
alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia
matrimoniale e di responsabilità parentale nei confronti dei figli comuni,
in Contratto e impresa / Europa, 2002, p. 373.
[19] Si pensi a quelle a latere c.d. «successive»,
nonché a quelle concluse nell’ambito di una separazione di fatto, riconosciute
come valide ed efficaci dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiane (sul
tema v., anche per i necessari rinvii, Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, p. 321 ss., II, p. 1413 ss.
[20] Per quel che può rilevare, nel corso della conferenza
europea dal titolo «Judicial Co-operation in Cross-border Family Law Matters»,
organizzata dalla Commisione Europea e dalla Presidenza Italiana, svoltasi a
Lecco nei giorni 9-11 ottobre 2003, è stato fornito un espresso chiarimento in
tal senso da parte delle rappresentanti della Commissione Europea (Marie-Odile
Baur, Sonya Djemni-Wagner e Monika Ekström), in risposta ad una precisa domanda
sul punto formulata dallo scrivente. La differenza tra le due situazioni è
altresì resa «plasticamente» dal raffronto tra le disposizioni transitorie dei
due regolamenti, laddove quella del regolamento più recente aggiunge il
richiamo «aux accords entre parties conclus», inesistente nello strumento
attualmente in vigore:
Art. 42, co. 1, regolamento n. 1347/2000 |
Art. 64, co. 1, regolamento n. 2201/2003 |
Les dispositions du présent
règlement ne sont applicables qu’aux actions judiciaires intentées, aux actes
authentiques reçus et aux transactions conclues devant une juridiction au
cours d’une instance, postérieurement à son entrée en vigueur. |
Les dispositions du
présent règlement ne sont applicablesqu’aux actions judiciaires intentées,
aux actes authentiques reçus et aux accords entre parties conclus
postérieurement à la date de sa mise en application telle que prévue à
l’article 72. |
[21] Il richiamo legislativo, ad avviso dello scrivente,
deve intendersi effettuato tanto alle convenzioni matrimoniali (sulla cui
natura contrattuale v. per tutti Oberto,
L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi),
cit., p. 617 ss.), quanto ai contratti della crisi coniugale che, come si è
dimostrato in altra sede (Oberto, I
contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 696 ss.), rinvengono il loro
fondamento causale in specifiche disposizioni giusfamiliari.
[22] Così Ferrando,
Autonomia negoziale e rapporti familiari.
L’evoluzione dell’ultimo trentennio, in Dogliotti e Braun (a cura di), Il
trust nel diritto delle persone e della famiglia. Atti del convegno.
Genova, 15 febbraio 2003, Milano, 2003, p. 3.
[24] «Where the home is
conveyed to a person other than the one who provided the purchase money, there
is a general rule that beneficial ownership ‘results’ to the one providing the
purchase money»: cfr. Parry, Cohabitation, London, 1981, p. 14 ss.,
il quale peraltro rileva che la presumption
of resulting trust è rebuttable by
other evidence. Sull’argomento cfr. inoltre Parker
e Mellows, The Modern Law of Trusts, London, 1970, p. 32; Ford e Lee,
Principles of the Law of Trust,
Melbourne, 1983, p. 951 ss.; Hayton,
The Law of Trusts, London, 1993, p.
16 ss., 170 ss.; Sulla questione v. anche Oberto,
I regimi patrimoniali della famiglia di
fatto, cit., p. 130 ss.
[25] V. per tutti Parry, op. loc. ultt. citt.; Olivier,
The Mistress in Law, in Current Legal Problems, 1978, p. 83 ss.;
Pearl, Rapports hors mariage, in Mariage
et famille en question (l’évolution contemporaine du droit anglais), sous la
direction de H.A. Schwarz-Liebermann von Wahlendorf, Lyon, 1979, p. 144
ss.; Finlay, The Informal Marriage in Anglo-Australian Law, in Eekelaar e Katz, Marriage and
Cohabitation in Contemporary Societies, Toronto, 1980, p. 164 ss.; Riddal, The Law of Trusts, London, 1987, p. 178 s., 182 s. Per un’analitica
rassegna delle ipotesi di trust nelle relazioni familiari (sia in presenza che
in assenza di matrimonio) cfr. Cretney
e Masson, Principles of Family
Law, London, 1997, p. 126 ss.
[26] Per un’applicazione del trust a un conto intestato a uno solo dei conviventi, ma alimentato
da versamenti di provenienza di entrambi v. Paul
v. Constance, 1977, 1, WLR, 527,
in cui l’intenzione di costituire il trust
venne tra l’altro dedotta dalle espressioni a più riprese usate dal titolare
del conto, il quale aveva più volte dichiarato alla convivente: «The money is
as much yours as mine».
[27] «The parties will
have proportionate beneficial interests equivalent to their contribution»: cfr.
Parry, op. cit., p. 16; nello stesso senso Riddal,
op. cit., p. 178 s.
[28] «Mortgage
repayments will count as contributions towards the purchase price»: v. Diwell v. Farnes, 1959, 1, WLR, 624.
[29] Cooke v. Head,
1972, 1, WLR, 518 (Lord Denning), in
cui l’uomo aveva acquistato a proprio nome un terreno sul quale, con il consistente
aiuto della convivente (che «did a great deal of heavy work, including mixing
and carting cement»), aveva realizzato un bungalow.
Il contributo della donna venne nella specie valutato in un terzo del valore
della proprietà (cfr. anche Cretney,
The Law Relating to Unmarried Partners
From the Perspective of a Law Reform Agency, in Eekelaar e Katz,
Marriage and Cohabitation in Contemporary
Societies, cit., p. 360). La regola trova applicazione anche nei confronti
delle coppie coniugate: v. per esempio Smith
v. Baker, 1970, 1, WLR, 1160.
[30] Eves v. Eves,
1975, 1, WLR, 1338, in cui alla
convivente venne riconosciuto un interest
pari a un quarto del valore della proprietà.
[32] Cfr. Riddal, op. cit., p. 359 ss.; Parker
e Mellows, op. cit., p. 32; Heydon,
Gummow, Austin, Cases and
Materials on Equity and Trusts, Sydney, 1982, p. 634; Furmston, Law of Contract, London, 1986, p. 442 ss.; per gli U.S.A. v. Jay Folberg,
Domestic Partnership: A No-fault Remedy for
Cohabitors, in Eekelaar e Katz, op. cit., p. 349. Sul tema v.
anche diffusamente Lupoi, Trusts, Milano, 2001, p. 68 ss.; Dogliotti e Piccaluga, I trust nella crisi della famiglia,
in Fam. e dir., 2003, p. 301 ss. e in Dogliotti e Braun (a cura di), Il
trust nel diritto delle persone e della famiglia. Atti del convegno.
Genova, 15 febbraio 2003, cit., p. 135 ss.
[33] Dawson, Unjust
Enrichment. A Comparative Analysis, Boston, 1951, p. 26 ss.; nel senso che
il constructive trust è uno degli
strumenti attraversi i quali si attua l’obbligo restitutorio gravante
sull’arricchito v. P. Gallo, L’arricchimento senza causa, Padova,
1990, p. 473. Per un’ampia panoramica su questo tipo di rapporti cfr. Lupoi, Trusts, cit., p. 68 ss.
[42] Cfr. Lupoi,
Introduzione ai trusts. Diritto inglese, Convenzione dell’Aja,
Diritto italiano, Milano, 1994, p. 10 ss., il quale propone una distinzione
tra implied, resulting e constructive
trusts nei termini seguenti: «trusts istituiti volontariamente, ma senza
espressa dichiarazione (implied trusts);
trusts che vengono in esistenza perché corrispondono a fattispecie delineate da
regole di equity (constructive trusts);
trusts residuali (resulting trusts)».
[43] Cfr. Stenger, Cohabitation and Constructive Trust - Comparative Approaches, in Journal of Family Law, 27 (1988-89), p.
373 ss.; Bruch, Nonmarital Cohabitation in the Common Law
Countries: A Study in Judicial-Legislative Interaction, in The American Journal of Comparative Law,
1981, p. 217, 221. Per la peculiare
situazione degli Stati Uniti d’America, ove l’applicazione dell’istituto del trust alla materia dei rapporti tra
conviventi risale a data addirittura anteriore alle elaborazioni di Lord
Denning cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di
fatto, cit., p. 232, nota 26.
[44] Di cui dà atto Lupoi,
Introduzione ai trusts. Diritto inglese, Convenzione dell’Aja,
Diritto italiano, cit., p. 20 s.
[45] Green v Green (1989)
17 NSWLR 343: «Nevertheless, it is
now well settled that there are circumstances in which a court of equity will
intervene to declare the existence of a proprietary interest in a family home
on the part of a spouse or de facto partner, and the unifying principle
underlying the cases where such intervention is regarded as appropriate is that
in the circumstances of the case and in accordance with equitable doctrines, it
would be unconscionable on the part of the person against whom the claim is set
up to refuse to recognise the existence of the equitable interest».
[46] Così Jessep,
Financial Adjustment in Domestic Relationships in NSW: Some Problems of
Interpretation, già disponibile all’indirizzo web seguente: http://www.lawlink.nsw.gov.au/lrc.nsf/pages/seminar01.04;
(per richiami al De Facto Relationships Act v. Oberto, I contratti di
convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, cit., § 1, nota 6).
[47] Il testo della decisione, emessa nel dicembre 2001, è
reperibile al seguente indirizzo web: http://www.docstoc.com/docs/94162950/Carruthers-v-Manninghandout.
[48] Sull’ammissibilità della proprietà fiduciaria e dei
negozi fiduciari nel nostro ordinamento cfr. Grassetti,
Del negozio fiduciario e della sua
ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, in Riv. dir. comm., 1936, I, p. 345 ss.; Pugliatti, Fiducia e
rappresentanza indiretta, in Riv. it.
sc. giur., 1948, p. 226 ss.; Lipari,
Il negozio fiduciario, Milano, 1964,
p. 411 ss.; Jaeger, La separazione del patrimonio fiduciario nel
fallimento, Milano, 1968, p. 44; Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1978, p. 179 ss.;
V.M. Trimarchi, voce Negozio fiduciario, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 32
ss.; Carnevali, voce Intestazione fiduciaria, in Dizionari del diritto privato a cura di
N. Irti, Milano, 1980, p. 445 ss.; Sacco
e De Nova, Il contratto,
in Trattato di diritto privato,
diretto da P. Rescigno, 10, Torino, 1982, p. 324 ss.; Calvo, La tutela dei beneficiari nel «trust» interno,
in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, p. 33 ss.
[49] Cass., 18 ottobre 1988, n. 5663, in Foro it., 1989, I, c. 101, secondo cui
il negozio traslativo che prevede l’obbligo del fiduciario di trasferire beni
immobili al fiduciante o ad altro soggetto, da quest’ultimo designato, deve
rivestire ad substantiam la forma
scritta. La giurisprudenza è costante in tal senso: v. Cass. 30 gennaio 1985,
n. 560, in Rep. Foro it., 1987, voce Contratto in genere, n. 295; in dottrina
cfr. Galgano, Il negozio giuridico, in Trattato
fondato da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1988, p. 324 ss.
[50] Sul punto si fa rinvio per tutti a Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 133 ss.; Id., Le
prestazioni lavorative del convivente more uxorio, Padova, 2003, p. 73 ss.
[51] Convention de La Haye du 1er juillet 1985
relative à la loi applicable au trust et à sa reconnaissance.
[52] «Article 3 – La
Convention ne s’applique qu’aux trusts créés volontairement et dont la preuve
est apportée par écrit». Nel senso che la
convenzione non è applicabile ai trusts
creati direttamente dalla legge o dal giudice (salvo che gli Stati contraenti
s’avvalgano della facoltà prevista dall’art. 20) cfr. von Overbeck, Rapport
explicatif sur la Convention
de La Haye du premier juillet 1985 relative à la loi applicable au trust et à
sa reconnaissance, n. 49
(il documento è disponibile in formato .pdf all’indirizzo web seguente: http://www.hcch.net/index_fr.php?act=publications.details&pid=2949&dtid=3).
[53] Su cui cfr., ex multis, Piccoli, L’avanprogetto di
convenzione sul «trust» nei lavori della Conferenza di diritto internazionale
privato de L’Aja ed i riflessi di interesse notarile, in Riv. not.,
1984, p. 844 ss.; Lupoi, Introduzione
ai trusts. Diritto inglese, Convenzione dell’Aja, Diritto italiano,
cit., in partic. p. 125 ss., 155 ss.; Id.,
La sfida dei trusts in Italia, in Corr. giur., 1995, p.
1205 ss.; Id., voce Trusts ‑I)
Profili generali e diritto straniero, in Enc. giur. Treccani, XXV,
Roma, 1995, p. 7; Id., Trusts,
Milano, 2001, p. 491 ss.; Fumagalli,
La Convenzione dell’Aja sul trust ed il diritto internazionale
privato italiano, in Dir. comm. int., 1992, p. 533 ss.; Aa.Vv., Convenzione relativa alla legge
sui trusts ed al loro riconoscimento, in Commentario, a cura
di Gambaro, Giardina e Ponzanelli, in Nuove leggi civ. comm., 1993, p.
1211 ss.; Broggini, Il trust
nel diritto internazionale privato italiano, in Beneventi (a cura di), I
trusts in Italia oggi, Milano, 1996, p. 11 ss.; Pocar, La libertà di scelta della
legge regolatrice del trust, in Beneventi (a cura di), I trusts
in Italia oggi, cit., p. 3 ss.; Luzzatto,
«Legge applicabile» e «riconoscimento» di trusts secondo la
Convenzione dell’Aja, in Trusts att. fid., 2000, p. 7 ss.; S.M. Carbone, Autonomia privata, scelta
della legge regolatrice del trust e riconoscimento dei suoi effetti
nella Convenzione dell’Aja del 1985, in Trusts att. fid., 2000, p.
145 ss.; Contaldi, Il trust
nel diritto internazionale privato italiano, Milano, 2001.
[54] Sul rapporto tra trusts e patti successori,
cfr. Rescigno, Trasmissione
della ricchezza e divieto dei patti successori, in Vita not., 1993,
p. 1281; Calò, Dal probate
al family trust, riflessi ed ipotesi applicative in diritto italiano,
Milano, 1996, p. 101 ss.; Miranda,
Trust e patti successori: variazioni sul tema, in Vita not.,
1997, p. 1578 ss.; Gambaro, voce
Trusts, in Noviss. dig. it.,
Torino, 1999, p. 459 ss.;
F. Pene Vidari, Trust e divieto dei patti successori, in Riv.
dir. civ., 2000, p. 851 ss.; Lupoi,
Trusts, cit., p. 663; Bartoli, Il
trust, Milano, 2001, p. 667 ss.
[55] Sul rapporto tra trusts e sostituzione
fedecommissaria, cfr., fra gli altri, Palazzo,
I trusts in materia successoria, in Vita not., 1996, p.
671 ss.; Lupoi, Trusts, cit., p.
553 ss.; Amenta, Trusts a
protezione di disabile, in Trusts att. fid., 2000, p. 618 ss.
[56] Sul tema cfr., anche per i richiami dottrinali e
giurisprudenziali, Di Landro, Trusts per disabili.
Prospettive applicative, in Dir. fam. pers., 2003, p. 166 ss.
[57] Rileva Lupoi,
Perché i trust in Italia, in
Dogliotti e Braun (a cura di), Il trust nel diritto delle persone e
della famiglia. Atti del convegno. Genova, 15 febbraio 2003, cit., p. 19
che «La produzione della letteratura italiana al riguardo non ha l’eguale in
alcun altro Paese di diritto civile, mentre il numero delle pronunce
giurisprudenziali italiane in materia negli ultimi tre anni è probabilmente
maggiore della somma delle sentenze emesse nel medesimo periodo in tutti gli
altri paesi di tradizione civilistica del mondo».
[58] Sul tema cfr. ex multis Lupoi,
Il trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la
convenzione dell’Aja del 10 luglio 1985, in Vita not., 1992, p. 966
ss.; Id., Effects of the Hague Convention in a Civil Law Country -
Effetti della Convenzione dell’Aja in un Paese civilista, in Vita not.,
1998, p. 19 ss.; Broggini, op.
loc. ultt. citt.; Mazzamuto, Il
trust nell’ordinamento italiano dopo la convenzione dell’Aja, in Vita
not., 1998, I, p. 754 ss.; Moja,
Trusts «interni» e società di capitali: un primo caso, Nota a Trib.
Genova, 24 marzo 1997, in Giur. comm., 1998, p. 764 ss.; Castronovo, Il trust e «sostiene Lupoi», in Europa e dir. priv.,
1998, p. 449 s.; Id., Trust e diritto civile italiano,
in Vita not., 1998, p. 1326 ss.; Ragazzini, Trust «interno» e
ordinamento giuridico italiano, in Riv. notar., 1999, p. 279 ss.; Palermo, Sulla riconducibilità del «trust
interno» alle categorie civilistiche, in Riv. dir. comm., 2000, p.
133 ss.; Pascucci, Rifiuto di
iscrizione nel registro delle imprese di atto istitutivo di trust
interno, Nota a Trib. Santa Maria Capua Vetere, 1 marzo 1999 - Trib. Santa
Maria Capua Vetere, 14 luglio 1999, in Riv. dir. impresa, 2000, p. 121
ss.; Gazzoni, Tentativo dell’impossibile
(osservazioni di un giurista «non vivente» su trust e trascrizione),
in Riv. notar., 2001, p. 11 ss.; Lupoi, Lettera a un notaio conoscitore
dei trust, in Riv. notar., 2001, p. 1159 ss.; Gambaro, Noterella in tema di
trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV
Convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002, II, p. 257 ss.; Gazzoni,
In Italia tutto è permesso, anche
quel che è vietato (lettera aperta a Maurizio Lupoi su trust e altre bagattelle), in Riv. not., 2001, p. 1247 ss.; Id., Il
cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del trust, in Riv.
notar., 2002, p. 1107 ss.; Nuzzo,
E luce fu sul regime fiscale del trust, in Banca, borsa, tit. cred.,
2002, p. 245 ss.; Barbuto, La convenzione dell’Aja e il trust in Italia, disponibile all’indirizzo web seguente: http://www.associazioneavvocati.it/bacheca/trust/barbuto.html.
[59] Il dubbio è posto e superato da Calvo, op. cit., p. 51 ss., cui
si fa rinvio anche per ulteriori richiami.
[60] Cfr. Gambaro,
Convenzione relativa alla legge sui
trusts ed al loro riconoscimento. Note introduttive, II, Il trust in Italia, in Nuove leggi civ. comm., 1993, p. 1216
[61] Cfr., testualmente, von Overbeck, Rapport explicatif sur la Convention de La Haye du premier juillet 1985
relative à la loi applicable au trust et à sa reconnaissance, cit., n. 14.
[63] Cfr. in particolare per tutti gli stringenti rilievi
di Mariconda, Contrastanti decisioni sul trust interno: nuovi interventi a favore, ma
sono nettamente prevalenti gli argomenti contro l’ammissibilità, in Corr. giur., 2004, p. 57 ss.
[64] Cfr. infra,
§ 12.
[66] Cfr. Mariconda,
op. loc. ultt. citt. L’Autore precisa
peraltro che altro discorso è quello che il fiduciario faccia a favore del
fiduciante, in relazione al quale viene in considerazione quale causa
sufficiente a sorreggere il trasferimento quella desumibile dagli artt. 1706
cpv., 651, 627, 2034, 2058 c.c.
[67] Pugliatti,
Fiducia e rappresentanza indiretta,
in Diritto civile - Metodo, teoria,
pratica, Milano, 1951, p. 201 ss.
[69] Cfr. da ultimo Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, al
seguente indirizzo web:
http://www.filodiritto.com/notizieaggiornamenti/20ottobre2003/TBOlegittimitatrustinterno.htm;
per la dottrina cfr. Lupoi,
Trusts, cit., p. 520 ss.; S.M. Carbone,
Trust interno e legge straniera, in Dogliotti e Braun (a cura di), Il
trust nel diritto delle persone e della famiglia. Atti del convegno.
Genova, 15 febbraio 2003, cit., p. 28.
[70] Cfr. il rapport explicatif (cfr. von Overbeck,
Rapport explicatif sur la Convention
de La Haye du premier juillet 1985 relative à la loi applicable au trust et à
sa reconnaissance, cit., n.
123, a commento dell’art. 13); il passo cui fanno riferimento i sostenitori della
validità del trust «interno» è invece quello che, a commento dell’art. 6
(nn. 65 e 66), dà atto del rigetto di una proposta tendente a legare la scelta
della legge straniera all’esistenza di un «lien [réel] avec la loi choisie»; il
rigetto di tale proposta s’accompagna però al rilievo secondo cui «l’opinion a
prévalu qu’il était préférable de réprimer les choix abusifs dans ce qui allait
devenir l’article 13»: appare dunque chiara l’intenzione di considerare
«abusiva» la scelta del ricorso ad una legislazione straniera per dare vita ad
un trust «interno» in un Paese che non conosca tale istituto.
[71] Su cui v. Calvo,
op. loc. ultt. citt.; cfr. inoltre Lipari,
Fiducia statica e trusts, in Beneventi
(a cura di), I trusts in Italia oggi, cit., p. 75; Lupoi, Legittimità dei trusts
interni, ivi, p. 41; Calò, Dal
probate al family trust, riflessi ed ipotesi applicative in
diritto italiano, cit., p. 99, nota 86.
[73] Così Malatesta,
Il
trust nel
diritto internazionale privato e processuale italiano, al seguente sito web: http://www.assotrusts.it/Pagine/trustcast.htm.
[74] I rilievi sono stati presentati da Lupoi nel corso del
convegno dal titolo «Autonomia patrimoniale e segregazione patrimoniale nel
trust», organizzato dall’Associazione Avvocati del Distretto di Torino e
dall’Associazione «Il trust in Italia», svoltosi a Torino il 24 gennaio 2004;
per un approccio riconducibile alla stessa ratio
cfr. anche Lupoi, Trusts, cit., p. 551 ss.
[75] Cfr. Ragazzini,
Trust «interno» e ordinamento giuridico
italiano, in Riv. notar., 1999,
p. 279 ss., 299 ss.
[76] Così Chianale, Obbligazioni di dare e atti traslativi solvendi
causa, in Riv. dir. civ., II, 1989,
p. 246 ss.; Chianale, Obbligazioni di dare e trasferimento della
proprietà, Milano, 1990, p. 48 ss., cui si fa rinvio anche per ulteriori
richiami dottrinali; analoghe considerazioni anche in Sacco e De Nova,
Il contratto, nel Trattato di diritto civile diretto da R.
Sacco, II, Torino, 1993, p. 56; Di Majo,
Causa e imputazione negli atti solutori,
in Riv. dir. civ., I, 1994, p. 782,
il quale rileva che la causa solvendi
non intende porsi in concorrenza con la «regola consensualistica», che trova il
suo baricentro nell’art. 1376 c.c., ma, anzi, per così dire, affiancarla su
terreni sui quali quella regola non è destinata a trovare applicazione; cfr.
inoltre Scalisi, Negozio astratto, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 52
ss.; Sciarrone Alibrandi, Pagamento traslativo e art. 1333 c.c., in Riv.
dir. civ., II, 1989, p. 525 ss.; Maccarone,
Considerazioni d’ordine generale sulle
obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contratto e impresa, 1998, p. 626 ss., 679 ss.; sulla distinzione storica
tra titulus e modus adquirendi cfr. Chianale,
Obbligazioni di dare e trasferimento
della proprietà, cit., p. 103 ss.; sull’applicazione specifica del tema
della causa praeterita ai
trasferimenti immobiliari e mobiliari tra coniugi in crisi cfr. De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, I, cit., p. 238,
nota 242; Maccarone, Obbligazione di dare e adempimento
traslativo, in Riv. notar., 1994,
I, p. 1330 ss., Oberto, I trasferimenti mobiliari e immobiliari in
occasione di separazione e divorzio, in Fam.
dir., 1995, p. 165 s.
[77] Così Maccarone,
Obbligazione di dare e adempimento
traslativo, cit., p. 1334; Id.,
Considerazioni d’ordine generale sulle
obbligazioni di dare in senso tecnico, cit., p. 679.
[88] App. Napoli, 27 maggio 2004, reperibile nel sito web www.il-trust-in-italia.it.
[90] Lupoi, Introduzione
ai trusts. Diritto inglese, Convenzione dell’Aja, Diritto italiano,
cit., p. 147.
[91] Così invece Lupoi,
Introduzione ai trusts. Diritto inglese, Convenzione dell’Aja,
Diritto italiano, cit., p. 147.
[92] Cfr. von Overbeck,
Rapport explicatif sur la Convention
de La Haye du premier juillet 1985 relative à la loi applicable au trust et à
sa reconnaissance, cit., n.
137. Il richiamo all’unico precedente giurisprudenziale
italiano in materia non apporta, nella specie, grande aiuto. In esso, invero,
affermata la validità di una disposizione testamentaria istitutiva di un trust, si è ammessa l’esperibilità dei
rimedi a tutela dei legittimari (cfr. Trib. Lucca, 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, I, c. 2007, con nota di Brunetti, c. 3391, con nota di Lupoi). Ora, una volta chiarito che il trust è cosa diversa dal fedecommesso
(sul punto v. per tutti Lupoi, Aspetti gestori e dominicali, segregazione:
«trust» e istituti civilistici, nota a Trib. Lucca, 23 settembre 1997,
cit., in Foro it., 1998, c. 3391
ss.), la violazione di norme inderogabili italiane si pone direttamente sul
piano degli effetti e non certo su quello della fattispecie: si ponga mente al
fatto che neppure in diritto italiano può affermarsi la nullità di una clausola
testamentaria che viola la legittima. Al contrario, nel caso delle norme
dettate dagli artt. 160 ss. c.c. ci troviamo di fronte a disposizioni che
attengono al piano della fattispecie.
[93] Sull’ammissibilità della creazione di regimi
patrimoniali atipici e sul carattere contrattuale delle convenzioni
matrimoniali si fa rinvio, anche per gli ulteriori richiami, a Oberto, L’autonomia negoziale nei
rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003,
p. 617 ss., 636 ss.
[94] Sul tema cfr. per tutti Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali
tra coniugi (non in crisi), cit., p. 667 ss.
[95] V. per tutti De
Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano, 1995,
p. 58.
[96] Mazzocca, I rapporti patrimoniali tra i coniugi nel
nuovo diritto di famiglia, Milano, 1977, p. 26; De Paola, op. loc. ultt. citt.
[97] Sacco, Del regime patrimoniale della famiglia,
nel Commentario al diritto italiano della
famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 1992, p. 42.
[98] Cfr. Carnevali, Le convenzioni matrimoniali,
in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, II, Il
regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1997, p. 23.
[99] Sacco, Regime patrimoniale e convenzioni, nel Commentario alla riforma del diritto di
famiglia a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 342; Id., Del
regime patrimoniale della famiglia, nel Commentario
al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, cit.,
p. 42; Grasso, Il regime patrimoniale delle famiglia in
generale, in Trattato di diritto
privato, diretto da P. Rescigno, 3, Torino, 1982, p. 378; Moscarini, Convenzioni matrimoniali in generale, in La comunione legale, a cura di C.M. Bianca, II, Padova, 1989, p.
1014; Morelli, Autonomia negoziale e limiti legali nel
regime patrimoniale della famiglia, in Fam.
dir., 1994, p. 107.
[100] Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia,
I, I rapporti patrimoniali tra coniugi in
generale, I, La comunione legale,
Milano, 1979, p. 15.
[102] Cfr. Bechini,
Disposizioni proibitive, testo disponibile al seguente sito web: http://home.tiscalinet.ch/ugobechini/2c.doc, secondo cui, in presenza di una pregressa situazione
di discriminazione, sarebbe forse lecito «predisporre strumenti legislativi
(formalmente anch’essi discriminatori, ma di segno contrario) tesi al
riequilibrio dei rapporti tra le categorie di cittadini interessate (U.S. Supreme Court, Fullilove v. Klutznick,
448 U.S. 448,1980; U.S. Supreme Court,
City of Richmond v. J. A. Croson Co., 488 U.S. 469, 1989, GiC, 1992, 681; C. giust. CE 17.10.1995,
450/93/1995, Kalanke v. Glibmann, GC, 1995, I, 2863; C. giust. CE
11.11.1997, C-409/95, Hellmut Marschall
v. Land Nordrhein-Westfalen, FI,
1998, IV, 295»).
[103] Si noti che anche i lavori preparatori della riforma
del 1975 sembrano deporre in questo senso. Come si legge nella Relazione
della 2a Commissione permanente del Senato della Repubblica
(relatore sen. Agrimi) sui disegni di legge in materia di «Riforma del diritto
di famiglia» (27/1/75), in La riforma del diritto di famiglia, a
cura del Prof. M. Bin, Torino,
1975, p. 33, la ratio della norma in esame va ricercata non già
nell’intenzione di eliminare una disposizione «punitiva» nei confronti della
donna, bensì nel fatto che l’istituto venne «considerato incompatibile col
nuovo complessivo sistema di rapporti tra i coniugi».
[104] Sacco, Del regime patrimoniale della famiglia,
nel Commentario al diritto italiano della
famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, cit., p. 42; Morelli, op. cit., p. 107.
[105] Sul punto v. A. e M. Finocchiaro,
Diritto di famiglia, III, Il divorzio, Milano, 1988, p. 789; Morelli, op. cit., p. 107.
[106] Così invece Santosuosso,
Il regime patrimoniale della famiglia,
in Commentario del codice civile, a
cura di magistrati e docenti, Torino, 1983, p. 113 s.
[110] Cfr. A. e M. Finocchiaro,
op. cit., p. 790; v. inoltre Moscarini, op. cit., p. 1014 ss., 1016 (secondo cui ciò che caratterizza la dote
è lo «scollamento» tra titolarità dei beni patrimoniali e potere di
amministrazione»).
[112] Per un accenno alla questione v. anche Marchesiello, La dote per mezzo di
trust secolare, in Dogliotti e Braun (a cura di), Il trust nel
diritto delle persone e della famiglia. Atti del convegno. Genova, 15 febbraio
2003, cit., p. 195 ss.
[113] Cfr. per tutti Lupoi,
Trusts, cit., p. 155 ss., 161 ss., 164 s. (l’Autore mette tra l’altro in evidenza
come la mancata indicazione del trustee
nelle disposizioni inter vivos sia
causa di nullità del trust).
[114] V. infra, § 18.
[115] L’atto è pubblicato in Trusts att. fid., 2003,
p. 126 ss., con nota di Lupoi, Trust
e "dote": un commento, ivi, p. 141 s.
[117] Cfr. supra,
§ 15.
[118] Cattaneo,
Corso di diritto civile. Effetti del
matrimonio, regime patrimoniale, separazione e divorzio, Milano, 1988, p.
58; De Paola, op. cit., p. 51; Oberto, Le convenzioni matrimoniali: lineamenti della
parte generale, in Fam. dir.,
1995, p. 600 s.; Bargelli e Busnelli, voce Convenzione
matrimoniale, in Enc. dir., Aggiornamento, IV, Milano, 2000, p. 457; Zaccaria, Possono i coniugi optare per un regime
patrimoniale «atipico»?, in Studium
iuris, 2000, p. 947 s.; Valignani,
I limiti dell’autonomia dei coniugi
nell’assetto dei loro rapporti patrimoniali, in Familia, 2001, p. 382; Ieva, Le convenzioni matrimoniali, in Trattato di diritto di famiglia,
diretto da P. Zatti, III, Milano, 2002, p. 33; S. Patti, Regime patrimoniale della famiglia e autonomia
privata, in Familia, 2002, p. 285 ss.
[119] Sacco, Del
regime patrimoniale della famiglia, in Commentario al diritto italiano
della famiglia a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, cit., p. 16 ss.; Maiorca, voce Regime patrimoniale della famiglia (disposizioni generali), in Noviss. Dig. it., Appendice, VI, Torino, 1986, p. 463; De Paola, op.
cit., p. 52; Oberto, Le
convenzioni matrimoniali: lineamenti della parte generale, cit, p. 600 s.; Zaccaria, Possono i coniugi optare
per un regime patrimoniale «atipico»?, cit., p. 947 s.; Valignani, op. cit., p. 382; S. Patti, Regime patrimoniale della famiglia
e autonomia privata, cit., p. 285 ss.
[120] Cfr. supra, § 15 in fine.
[121] Cfr., anche per i rinvii, Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali
tra coniugi (non in crisi), cit., p. 651 s.
[122] Cfr. ex multis Oberto,
Le convenzioni matrimoniali: lineamenti della parte generale, cit., p.
603; conforme Bocchini, Autonomia
negoziale e regimi patrimoniali familiari, cit., p. 443; cfr. anche Palazzo, Le convenzioni matrimoniali e l’ulteriore destinazione dei beni per
mezzo di trust, in Dogliotti e Braun (a cura di), Il trust nel
diritto delle persone e della famiglia. Atti del convegno. Genova, 15 febbraio
2003, cit., p. 95.
[123] Sostanzialmente nel
medesimo senso cfr. Conetti, Commento all’art. 30, in Aa.
Vv., Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (l. 31
maggio 1995, n. 218), in Nuove leggi
civ. comm., 1996, p. 1177 s.; Salerno
Cardillo,
Rapporti patrimoniali tra coniugi nel
nuovo diritto internazionale privato e riflessi sull’attività notarile, in Riv. notar., 1996, I, p. 195; Villani,
I rapporti patrimoniali tra i
coniugi nel nuovo diritto internazionale privato, in Giust. civ., 1996, II, p. 456.
[124] Su cui v. per tutti Oberto, Le convenzioni matrimoniali:
lineamenti della parte generale, cit., p. 596 ss.; Bargelli e Busnelli, voce Convenzione matrimoniale, cit., p. 436 ss., 442 ss.; Ieva, Le convenzioni matrimoniali, cit., p. 27 ss.; Oberto, L’autonomia negoziale nei
rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), cit., p. 617 ss.
[125] Sul punto cfr., anche per i
rinvii, Oberto, I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 683 ss.
[126] Sul tema, che non è
possibile affrontare in questa sede, della natura di convenzione matrimoniale
del fondo patrimoniale, eventualmente anche quando sia costituito (ovviamente, inter vivos) da un terzo, si fa rinvio,
anche per una rassegna di tutte le opinioni espresse sul punto, a Di Sapio,
Fondo patrimoniale: l’alienazione
dell’unico bene costituito, l’estinzione per esaurimento, lo scioglimento
(volontario), il Lar familiaris e il
mito di Calipso, in Dir. fam. pers.,
1999, p. 394 ss.
[127] Cfr. Busnelli,
voce Convenzione matrimoniale, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 514; v.
inoltre Tedeschi, Il regime patrimoniale della famiglia,
cit., p. 469 ss.
[128] Grasso, Il regime patrimoniale delle famiglia in
generale, cit., p. 378; Santosuosso,
Il regime patrimoniale della famiglia,
cit., p. 55 ss.; Spinelli e Parente, Le convenzioni matrimoniali, in I
rapporti patrimoniali della famiglia - Saggi dai corsi di lezioni di diritto
civile tenute dai proff. Spinelli e Panza, Bari, 1987, p. 43 ss.; Bocchini, Rapporto coniugale e circolazione dei beni, cit., p. 185; Galletta, I regolamenti patrimoniali tra coniugi, Napoli, 1990, p. 7; De Paola,
op. cit., p. 29 ss.; Oberto, Le convenzioni matrimoniali:
lineamenti della parte generale, cit., p. 597 s. ; Bocchini, Autonomia negoziale e regimi patrimoniali
familiari, cit., p. 447 s.
[129] Sul tema v. per
tutti Oberto, L’autonomia
negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), cit., p.
667 ss.
[130] Sul punto si rinvia ancora, a Oberto, Le convenzioni
matrimoniali: lineamenti della parte generale, cit., p. 598 s. In senso
contrario Bocchini, Autonomia
negoziale e regimi patrimoniali familiari, cit., p. 448, secondo cui
sarebbero ascrivibili al novero delle convenzioni matrimoniali anche quegli
accordi «che orientano le appartenenze e le destinazioni di singoli beni da
acquisire o (che) incidono sullo statuto (titolarità e/o destinazione) di
singoli beni attuali»; nello stesso ordine di idee cfr. Parente, Il
preteso rifiuto del coacquisto ex lege da parte di coniuge in
comunione legale, Nota a Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, in Foro it.,
1990, I, c. 608 ss.
[131] Cfr. A. e
M. Finocchiaro, op. cit., p. 1153; Gabrielli, Scioglimento
parziale della comunione legale fra coniugi. Esclusione dalla comunione di
singoli beni e rifiuto preventivo del coacquisto, in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 347; Roppo,
voce Coniugi I) Rapporti personali e
patrimoniali tra coniugi, in Enc.
giur. Treccani, VIII, Roma, 1988, p. 2.
[134] Sul punto cfr. Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 121 ss. e da ultimo anche
Bocchini, Autonomia negoziale e
regimi patrimoniali familiari, cit., p. 432, 440; S. Patti, Regime patrimoniale della
famiglia e autonomia privata, cit., p. 292, nota 18.
[135] Cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 66 ss.; Id., Gli accordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimonio nella prospettiva storica, nota a Cass., 20 marzo 1998, n. 2955, in Foro it., 1999, I, c. 1306 ss.; Id., I precedenti storici del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni matrimoniali, in Dir. fam. pers., 2004 (in corso di stampa).
[136] Per la comparazione con il sistema tedesco e con quello
francese contemporanei, nei quali vige il principio della libertà contrattuale
ed è ritenuta come preferibile la regola della atipicità dei regimi
patrimoniali cfr. S. Patti, Regime
patrimoniale della famiglia e autonomia privata, cit., p. 297 s.
[137] In quest’ultimo senso cfr. Palazzo, Le
convenzioni matrimoniali e l’ulteriore destinazione dei beni per mezzo di
trust, cit., p. 100.
[138] Sul punto v. Trib.
Bologna, 1 ottobre 2003, cit., che afferma
correttamente l’applicabilità dell’art. 184 c.c. non solo nel caso in cui un
coniuge alieni diritti su beni della comunione, bensì anche qualora si limiti
ad alienare la propria quota in comunione legale su beni di quest’ultima,
rilevando in proposito che «sarebbe illogico ritenere che – mentre
l’alienazione di un intero bene, da parte di uno solo dei coniugi, è valida ed
efficace (salve, in ipotesi, le conseguenze dell’art. 184 c.c.) – l’alienazione
di una quota di quello stesso bene sia, al contrario, assolutamente inefficace;
peraltro, nulla impedisce ai coniugi di essere comproprietari di beni insieme a
terzi, salva l’applicazione del regime di comunione legale relativamente alla
quota posseduta».
[139] Si noti che, per quanto attiene alla annullabilità
comminata in relazione agli atti relativi ai beni immobili o mobili registrati
dall’art. 184, 1° e 2° co., c.c., l’atto su beni
della comunione posto in essere da uno solo dei coniugi in veste di costituente
e dall’altro in veste di trustee
dovrebbe comunque ritenersi convalidato dall’accettazione espressa o tacita di
quest’ultimo.
[140] Cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu,
Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2010, II, p. 1229 ss.
[141] Cass., 27 febbraio 2003 n. 2954, in Foro it., 2003, I, c. 1039, con nota di De Marzo;
in Riv. notar., 2003, II, p. 412, con
nota di Lupetti; in Fam. dir., 2003, p. 559, con nota di F. Patti.
[142] Cfr. Oberto,
L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi),
cit., p. 656 ss., 659 ss.
[143] Sulla possibilità di costituire, ora per allora, trusts su beni di futura acquisizione v., in senso discordante, Tucci, Trusts, concorso dei creditori e azione revocatoria, p. 7 (lo scritto è disponibile all’indirizzo web seguente: http://www.il-trust-in-italia.it/Relazioni/Congresso_2002/Tucci.pdf), che sembra ammettere tale possibilità, e Calò, Dal probate al family trust, Problemi di diritto comparato, Milano, 1996, p. 39 ss., secondo cui il trust, «proprio per gli effetti immediati che (…) produce, non può esistere senza proprietà e i beni futuri non possono esserne oggetto».
[145] Cfr. supra,
§ 15.
[146] Palazzo, Le convenzioni matrimoniali e l’ulteriore
destinazione dei beni per mezzo del trust, cit., p. 97 ss.; Lupoi, Trusts, cit., p. 624 ss.; Bartoli, La “conversione” del fondo
patrimoniale in trust, in Dogliotti e Braun (a cura di), Il trust
nel diritto delle persone e della famiglia. Atti del convegno. Genova, 15
febbraio 2003, cit., p. 207 ss.; Cenni, Trust e
fondo patrimoniale, ivi, p. 111 ss.; Rovelli,
Limiti del fondo patrimoniale, ibidem, p. 103 ss.; Nassetti, Il trust:
applicazioni pratiche (Aggiornamento in pillole per il consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Bologna – Relazione tenuta a Bologna il 16 febbraio 2001),
già disponibile all’indirizzo web
seguente:
http://www.filodiritto.com/diritto/privato/civile/IlTrustApplicazionipratiche.htm;
Luongo, Fondo patrimoniale e trust, disponibile all’indirizzo web
seguente: http://www.associazioneavvocati.it/bacheca/trust/luongo.html.
[147] L’espressione di E. Russo,
Il fondo patrimoniale, in Studi sulla riforma del diritto di famiglia,
Milano, 1973, p. 568, riferita al patrimonio familiare, è stata ripresa e
sottoscritta per il fondo patrimoniale da Corsi,
Il regime patrimoniale della famiglia,
II, Le convenzioni matrimoniali. Famiglia
e impresa, in Trattato di diritto
civile e commerciale, già diretto da Cicu e Messineo e continuato da
Mengoni, Milano, 1984, p. 83.
[151] Lupoi, Trusts, cit., p. 624 ss.; Bartoli, Il trust, cit., p. 314 ss.; Palazzo, Le convenzioni matrimoniali e l’ulteriore destinazione dei beni per
mezzo di trust, cit., p. 98.
[152] Così Lupoi, Trust Laws
of the World, Roma, 1999, citato da Bartoli,
La “conversione” del fondo patrimoniale in trust, cit., p. 210 s., nota
5.
[154] Sul tema specifico v. infra,
§ 22.
[156] Sul punto v. per tutti da ultimo Di
Landro, Trusts per disabili.
Prospettive applicative, in Dir. fam. pers., 2003, p. 123 ss.
[157] Il riconoscimento dell’autonomia negoziale dei coniugi (su cui cfr. Auletta, Il fondo patrimoniale, in Aa. Vv., Il diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, II, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1997, p. 359; Oberto, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), cit., p. 685 ss.) si spinge a consentire al costituente di derogare addirittura a talune disposizioni poste a tutela dell’interesse familiare. Ci si intende qui riferire alla norma contenuta nell’art. 169 c.c., singolare esempio di cattiva tecnica legislativa, caratterizzata da una bizzarra forma di contorsionismo verbale in cui, come è stato esattamente notato (Corsi, op. cit., I, cit., p. 98), tre «se» e tre «non» si accoppiano e si susseguono, ma da cui appare comunque chiaro che al costituente è consentito di prevedere che i coniugi dispongano liberamente dei beni del fondo, pur in presenza di figli minori. Conclusione, questa, cui pervengono la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza (per i rinvii cfr. Oberto, op. loc. ultt. citt.).
[158] In
questo senso cfr. Carresi, Del
fondo patrimoniale, in Commentario al
diritto italiano della famiglia,
a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova 1992, p. 56, in considerazione
del fatto che il rinvio alle norme in tema di amministrazione della comunione
legale è fatto incondizionatamente e senza alcuna limitazione o cautela come
potrebbe essere quella risultante dall’inciso «in quanto applicabili»; un
argomento a conforto di questa tesi può essere rinvenuto d’altro canto anche
nell’art. 210, 3° co., c.c.
[160] Sull’apponibilità di termini e/o condizioni alle convenzioni
matrimoniali in generale cfr. Oberto,
L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi),
cit., p. 622, 635, 671 s.
[162] Cfr. supra, § 18.
[163] Sul punto cfr. Oberto, I
contratti della crisi coniugale, II, cit., 687 ss., ove si ipotizza
la costituzione di un fondo patrimoniale tra separati nell’interesse di figli
economicamente non autosufficienti (la conclusione sembra potersi argomentare a
contrariis dal primo comma dell’art 171 c.c. e a fortiori dal
capoverso del medesimo articolo; nel senso che l’utilità del fondo permane
anche in presenza di una crisi coniugale v. anche Auletta, Il fondo
patrimoniale, Milano, 1990, p. 337 s.; contra Oppo, Tizio e Mevia, che hanno costituito, all’atto del loro matrimonio, un
fondo patrimoniale in «comproprietà», attendono un figlio quando Tizio fallisce
nell’esercizio di impresa commerciale iniziata dopo il matrimonio. Quale la
sorte del fondo?, in Questioni di
diritto patrimoniale della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad
Alberto Trabucchi, Padova, p. 126).
[164] Cfr. Trib. Firenze, 23 ottobre 2002, in Trusts att.
fid., 2003, 406. Sul tema v. anche Bartoli, La “conversione” del fondo patrimoniale in trust, in Aa. Vv., Il trust nel diritto delle
persone e della famiglia. Atti del convegno. Genova, 15 febbraio 2003,
cit., p. 207 ss.; Franceschini, Fondo patrimoniale e trust, in Trusts att. fid., 2009, p. 19 ss.
[167] Cfr. von Overbeck,
Rapport explicatif sur la Convention
de La Haye du premier juillet 1985 relative à la loi applicable au trust et à
sa reconnaissance, cit., n.
49.
[171] Nassetti,
op. loc. ultt. citt.; nello stesso
senso cfr. anche Lupoi, Trusts,
cit., p. 641 ss.; F. Patti, I trusts:
problematiche connesse all’attività notarile, in Vita not., 2001, p.
548.
[172] Basti citare i seguenti: obbligo di prestare idonea
garanzia reale o personale, iscrizione dell’ipoteca
giudiziale ai sensi dell’ articolo 2818 c.c., sequestro di parte dei beni del
coniuge obbligato, ordine ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente
somme di danaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente
agli aventi diritto, ex artt. 156, 4°, 5° e 6° co., c.c., 8, 1°,
2°, 7° co., l.div., distrazione dei redditi ed azione diretta esecutiva ex
art. 8, 3°, 4°, 5°, 6° co., l.div.
[173] Per una proposta diretta ad applicare tale istituto
non solo alle intese di carattere patrimoniale, ma anche a quelle di tipo
personale relative all’affidamento della prole e ai diritti di visita cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II, cit., p. 1112 ss.
[176] Su cui cfr. Nassetti, op. loc. ultt. citt.; più in generale sui profili tributari dei
trusts cfr. Lupoi, Trusts, cit.,
p. 753 ss.
[177] Sull’interpretazione di
tale espressione cfr. Oberto, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra
coniugi in occasione di separazione e divorzio, cit., p. 299 ss.
[178] Cfr. Corte cost., 10 maggio
1999, n. 154; si noti inoltre che, in tempi ancora più recenti, la stessa
Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, lettera b),
della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131
(Approvazione delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), «nella
parte in cui non esenta dall’imposta ivi prevista i provvedimenti emessi in
applicazione dell’art. 148 cod. civ. nell’ambito dei rapporti fra genitori e
figli» (cfr. Corte cost., 11 giugno 2003, n. 202). Dal momento che, però, in
motivazione, il tertium comparationis
è stato individuato nell’art. 19 l. div., vi è da chiedersi se la pronunzia non
sia riferibile anche agli accordi tra i genitori relativi ai procedimenti di
affidamento della prole naturale.
[179] Cfr. Carrera, Disposizioni di trust in sede
di separazione o divorzio per mantenere un figlio agli studi, relazione
presentata al «Laboratorio di trust» organizzato dal «Gruppo torinese del
trust», tenutosi a Torino il 21 novembre 2003 (testo cortesemente messo a
disposizione dello scrivente in forma elettronica dall’Autrice).
[180] Che prevede, cioè, l’identità soggettiva fra disponente e trustee e manca dunque del trasferimento ancorché non dell’effetto
«segregativo» che è il collante del trust o, se si vuole, l’effetto
naturale di qualsiasi trust e che impedisce la confusione fra beni
personali del trustee e
beni del trust e della
inaggredibilità del trust found sia
da parte dei creditori del trustee che da parte dei creditori del beneficiario.
Il marito non esce dunque di scena e, nella sua qualità (anche) di trustee
si assume l’obbligo di garantire le ragioni del beneficiario adempiendo alle
obbligazioni imposte nell’atto istitutivo.
[183] Per i rinvii alla giurisprudenza di legittimità sul
tema e per la relativa critica si fa rinvio a Oberto,
I contratti della crisi coniugale, I,
cit., p. 589 ss.; Id., «Prenuptial
Agreements in Contemplation of Divorce» e disponibilità in via preventiva dei
diritti connessi alla crisi coniugale, in Riv. dir. civ., 1999, II,
p. 200 ss. Analoghe considerazioni potrebbero svolgersi con riferimento alla
proposta (cfr. Palazzo, Le convenzioni matrimoniali e l’ulteriore
destinazione dei beni per mezzo di trust, cit., p. 100 s.) di ricorrere ad
uno strumento quale l’assicurazione sulla vita o la rendita vitalizia nella
forma del contratto a favore di terzo, con clausola di rinuncia al potere di
revoca, revoca che potrebbe così essere esercitata dal disponente «tutte le
volte che il mantenuto assumesse nei tre anni successivi un comportamento che,
a discrezione del mantenente, fosse disdicevole».
Si noti che, più di recente, nel dibattito
sull’ammissibilità di intese preventive di separazione o divorzio, è intervenuta
anche Bargelli, L’autonomia
privata nella famiglia legittima, il caso degli accordi in occasione o in vista
del divorzio, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 303 ss. Tale
Autrice, nella sua frettolosa lettura (sempre ammesso che lettura vi sia
stata…) dei lavori dello scrivente, accusa quest’ultimo di voler «considerare
risolto il problema dei patti sulle conseguenze del divorzio in base alla
semplice constatazione del carattere patrimoniale della prestazione»,
rimproverandolo altresì di non aver svolto un’analisi sufficientemente attenta
dei limiti di liceità e degli aspetti più specificamente familiari delle intese
in oggetto e lodando invece chi ha individuato quale limite specifico del
potere di disposizione degli interessati l’obbligazione alimentare (cfr. Ead., op. cit., p. 313, nota 37). Così facendo (e a tacer d’altro), la
predetta, oltre a dimostrare di non aver letto (il che, ovviamente, non è
grave; grave, invece, oltre che scorretto, è distribuire censure, senza aver
neppure preso in visione il contributo che si critica) le parti del lavoro
dello scrivente nelle quali – a ogni piè sospinto – si richiama la necessità
del rispetto, nei contratti della crisi coniugale, delle regole d’ordine
pubblico e dei principi inderogabili (cfr., a titolo meramente esemplificativo,
Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 32, 249 ss.; II,
cit., p. 1085 ss.), così come di quelle (inderogabili) proprie del diritto di
famiglia e, tra di esse, prima tra tutte, quella relativa all’obbligo
alimentare (cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II,
cit., p. 798 ss., 844 ss.; in tale contesto, si noti che proprio allo specifico
tema degli accordi sull’obbligazione alimentare il sottoscritto dedica
un’intera sezione: cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, II,
cit., da p. 844 a p. 861), sembra dimenticare (il che è ancora più grave) che,
tra divorziati, l’obbligo alimentare non esiste…
[184] Cfr. Carrera,
op. loc. ultt. citt., la quale
propone altresì di fare riferimento alla legge di Jersey.
[185] Cfr. Trib. Milano, 23 febbraio 2005; il
provvedimento, inedito, è consultabile sul sito web www.il-trust-in-italia.it.
[187] Su cui v. per tutti Oberto,
I regimi patrimoniali della famiglia di
fatto, cit., p. 242 ss.; Id., I contratti di convivenza tra autonomia
privata e modelli legislativi, cit., § 7;
Id., I diritti dei conviventi.
Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 81 ss.
[188] Cfr. Tarissi
de Jacobis,
Esecuzione di un’obbligazione morale, già al seguente indirizzo web:
http://www.settimanet.it/modules/news/article.php?storyid=41.
Favorevole alla applicazione del trust alla
famiglia di fatto è anche Cenni, op. loc. ultt. citt.; Ead., Il fondo patrimoniale, in Trattato
di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, III, Regime patrimoniale
della famiglia, a cura di Franco Anelli e Michele Sesta, Milano, 2002, p.
648. Per una panoramica delle questioni relative all’impiego del trust
nell’ambito delle relazioni giuridiche familiari cfr. F. Patti, I trusts: problematiche
connesse all’attività notarile, cit., p. 547 ss.; Dogliotti e Piccaluga,
I trust nella crisi della famiglia, in Fam. e dir., 2003,
p. 301 ss.; Dogliotti e Braun (a cura di), Il trust nel diritto delle
persone e della famiglia. Atti del convegno. Genova, 15 febbraio 2003, cit.
[189] Cfr. per tutti Oberto,
I regimi patrimoniali della famiglia di
fatto, cit., p. 151 ss.; Id., I contratti di convivenza tra autonomia
privata e modelli legislativi, §§ 3 ss.;
Id., I diritti dei conviventi.
Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 81 ss.
[193] Cfr. Moscati,
Trust e tutela dei legittimari, in Riv. dir. comm., 2000, I, p.
13 ss.; Lupoi, Trusts, cit., p.
667 s.
[194] Cfr. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 295 ss.; Id., I
contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, § 14; Id., I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa,
cit., p. 81 ss.
[195] Cfr. supra, § 15.
[196] Interno e internazionale, con conseguente
applicazione del disposto dell’art. 18 della Convenzione dell’Aja.
[197] La conclusione, in armonia con quanto si è affermato
con riguardo all’art. 166-bis c.c. (cfr. supra,
§ 15) dovrebbe però essere considerata «reversibile» e, come tale,
riferibile all’ipotesi speculare di apporto da parte del convivente di sesso
maschile.