SCHEMA
IPERTESTUALE
DI
UNA RELAZIONE
SUL
TEMA:
IL REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO
(CE) N. 1347/2000 DEL 29 MAGGIO 2000
RELATIVO ALLA COMPETENZA,
AL RICONOSCIMENTO E ALL’ESECUZIONE
DELLE DECISIONI IN MATERIA MATRIMONIALE
E DI RESPONSABILITÀ PARENTALE
NEI CONFRONTI DEI FIGLI COMUNI (*)
IL DIRITTO COMUNITARIO E LA COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN
MATERIA CIVILE
1. La cooperazione giudiziaria in materia civile
dal Trattato di Maastricht a quello di Amsterdam
Il
regolamento in esame (n. 1347/2000 del 29 maggio 2000)
si inserisce nel più vasto concetto di cooperazione
giudiziaria in materia civile all’interno degli Stati Membri
dell’U.E.
Rilevanti
al riguardo sono le decisioni assunte dal Consiglio Europeo (cioè dall’organismo composto
dai Capi di Stato e di Governo dei quindici Stati) tenutosi a Tampere
(Finlandia) il 15 e 16 ottobre 1999. La decisione di dedicare una
riunione straordinaria ai temi della realizzazione di uno «spazio di libertà,
sicurezza e giustizia» era stata adottata in vista dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, firmato il 2
ottobre 1997, entrato in vigore il 1°
maggio 1999, nel cui art. 1 vengono
espressamente incluse, tra gli obiettivi dell’Unione, le tematiche relative all’attuazione di
tale spazio.
In
realtà, già il Trattato di Maastricht
(7 febbraio 1992) prevedeva la cooperazione in materia di giustizia e
affari interni, quale corollario alla realizzazione di una sempre maggiore
circolazione dei cittadini dell’Unione attraverso le frontiere interne e la
tendenziale realizzazione di un’unica frontiera esterna.
A
seguito del Trattato di Maastricht,
come è noto, si è voluto configurare l’Unione Europea come il basamento di un
tempio, fondato su tre
pilastri.
‑
Primo pilastro, rappresentato dalla Comunità Europea, che impiega gli strumenti
giuridici e le procedure definiti dai trattati istitutivi delle tre originarie
Comunità (CEE, CECA e CEEA),
‑
Secondo pilastro, che si occupa della Politica estera e di sicurezza comune (PESC), con lo scopo
di consentire all’Unione di affermare la propria identità nel contesto
internazionale;
‑
Terzo pilastro, nel quale viene disciplinata la cooperazione nei settori
della giustizia e degli
affari interni, che, nell’originaria impalcatura delineata nel Trattato
di Maastricht, comprende la cooperazione giudiziaria penale (Art. K1, del
titolo VI del T.U.E.), secondo un assetto che è stato in parte modificato dal
Trattato di Amsterdam.
Il
Trattato di Amsterdam
ha comunitarizzato
la materia della cooperazione
giudiziaria civile, introducendo nel trattato
CE un nuovo Titolo IV, contenente disposizioni specifiche sulla
cooperazione giudiziaria in materia civile e trasferendo siffatta materia all’interno del c.d. «primo
pilastro», vale a dire quello in cui dal modello di cooperazione tra stati
(che si manifestava attraverso la conclusione di convenzioni internazionali) si
passa ad un modello di vera e propria integrazione a livello sovranazionale, con la
possibilità per gli organi comunitari di intervenire con gli strumenti tipico
della Comunità Europea, ed in particolare con i regolamenti.
Più esattamente, all’art.
61 ha previsto la progressiva istituzione di uno «spazio di libertà, di sicurezza
e giustizia». A tale scopo, entro 5 anni dalla data di entrata in vigore
del Trattato di Amsterdam, avvenuta il 1° maggio 1999, il trattato di
Amsterdam ha previsto l’adozione da parte del Consiglio di misure nel settore
della cooperazione giudiziaria civile.
Il
successivo art. 65 ha previsto
l’adozione di «misure nel
settore della cooperazione giudiziaria in materia civile che presenti
implicazioni transfrontaliere e per quanto necessario al corretto
funzionamento del mercato interno» ed in particolare:
a)
il miglioramento e la semplificazione:
·
del sistema per la
notifica transnazionale degli atti giudiziari ed extragiudiziali
·
della cooperazione
nell’assunzione dei mezzi di prova
·
del riconoscimento e
dell’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale
b) a
promozione della compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai
conflitti di leggi e di competenza giurisdizionale
c)
l’eliminazione degli
ostacoli al corretto svolgimento dei processi civili, se necessario promovendo
la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati
membri.
Il
Consiglio potrà inoltre adottare «misure atte a garantire la cooperazione tra
i pertinenti servizi delle amministrazioni degli Stati membri» nelle materie
disciplinate dal Titolo IV TCE (art. 66 TCE).
In
vista dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam venne così adottato il Piano
d’azione di Vienna (adottato il 3 dicembre 1998), al fine di
migliorare e semplificare le norme e procedure relative alla cooperazione e
comunicazione tra autorità e alle decisioni di esecuzione, promovendo la
compatibilità tra le norme di conflitto e le nome sulla competenza
giurisdizionale, nonché eliminando gli ostacoli al buon funzionamento delle
procedure civili in uno spazio giudiziario europeo.
2. La cooperazione giudiziaria in materia civile secondo le
conclusioni del
Consiglio europeo di Tampere
Il
Consiglio europeo di
Tampere (15 e 16 ottobre 1999), che ha
fornito l’impulso politico a tale realizzazione, ha stabilito, tra le sue conclusioni
, l’obiettivo di giungere ad «uno spazio autentico di
giustizia, in cui i cittadini possano rivolgersi ai tribunali ed alle autorità
di qualsiasi Stato membro con la stessa facilità che nel loro», in cui «
le sentenze e le decisioni dovrebbero essere rispettate ed eseguite in tutta
l’Unione» ed in cui «gli ordinamenti giuridici degli Stati membri dovranno
diventare maggiormente compatibili e convergenti» (p.
5 concl. Tampere).
Inoltre, Il Consiglio europeo ha dichiarato che «il
rafforzamento del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle
sentenze e il necessario ravvicinamento delle legislazioni faciliterebbero la cooperazione
fra le autorità, come pure la tutela giudiziaria dei diritti dei singoli». Ha,
perciò, approvato il
principio del reciproco riconoscimento con l’auspicio che esso diventi
«il fondamento della cooperazione giudiziaria nell’Unione tanto in materia
civile quanto in materia penale», applicabile sia alle sentenze, sia alle altre
decisioni delle autorità giudiziarie (punto
33 concl. Tampere).
Per opportunamente realizzare tale principio in materia
civile e commerciale, Il Consiglio di Tampere ha invitato gli Stati e le
istituzioni comunitarie a «ridurre
ulteriormente le procedure intermedie tuttora necessarie per ottenere il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e sentenze nello Stato richiesto».
Si è specificato, nell’occasione che «inizialmente, tali procedure intermedie dovrebbero essere
abolite per i titoli relativi alle cause di modesta entità in materia
commerciale o relative ai consumatori e per determinate sentenze nel settore
delle controversie familiari (per esempio quelle relative alle
prestazioni alimentari e ai diritti di visita). Dette decisioni sarebbero
automaticamente riconosciute in tutta l’Unione, senza che siano necessarie
procedure intermedie o che sussistano motivi per rifiutarne l’esecuzione. A ciò
potrebbe accompagnarsi la definizione di norme minime su taluni aspetti del
diritto di procedura civile» (punto
34, concl. cit.).
Il
Consiglio europeo di Tampere ha, inoltre, invitato il Consiglio e la
Commissione UE ad adottare entro il dicembre 2000 un programma di misure per
l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento, specificando
che «tale programma dovrebbe anche prevedere l’avvio di lavori su un titolo
esecutivo europeo e sugli aspetti del diritto procedurale per i quali sono
necessarie norme minime comuni per facilitare l’applicazione di detto
principio, nel rispetto dei principi giuridici fondamentali degli Stati membri»
(punto
37 concl. cit.).
Quanto
alla maggiore convergenza nella materia civile, le istituzioni comunitarie sono
invitate a predisporre una nuova
legislazione procedurale nelle cause transnazionali, in
particolare sugli elementi funzionali ad una cooperazione agevole e ad un
miglior accesso alla legislazione, ad esempio nei settori delle misure
preliminari, della raccolta delle prove, degli ordini di pagamento a scadenza (punto
38 concl. cit.).
Circa
il diritto materiale (rectius:
sostanziale), viene sottolineata l’esigenza di procedere ad uno studio
globale sulla necessità di ravvicinare le legislazioni degli Stati membri per
eliminare gli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili (punto
39 concl. cit.).
3. Le
prospettive future e l’attuazione del principio del «reciproco riconoscimento»
Il Progetto di programma di misure
relative all’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle
sentenze civili è stato adottato dal Consiglio Giustizia Affari
Interni del 30 novembre
2000 (pubblicato in GUCE C12 del 15 gennaio 2001).
Esso
consta di una prima parte,
nella quale vengono individuati i settori nei quali devono realizzarsi
prioritariamente dei progressi.
Per
i settori già contemplati
dagli strumenti in vigore (regolamenti Bruxelles I e Bruxelles II) il
programma prevede l’adozione di misure volte a rafforzare nello Stato richiesto
gli effetti delle decisioni rese nello Stato di origine (esecuzione provvisoria,
provvedimenti cautelari, compreso il sequestro dei depositi bancari) e di
misure destinate a ridurre ulteriormente le procedure intermedie in vista
della soppressione dell’exequatur. Tali settori sono costituiti dal
·
diritto
di famiglia ‑ con particolare riferimento alle
controversie relative alle prestazioni
alimentari, con l’obiettivo di garantirne la riscossione rapida ed
effettiva, e al diritto di
visita, per il quale sono state a lungo in corso di negoziato
un’iniziativa francese ed una proposta della Commissione sulle decisioni in
materia di responsabilità dei genitori, ora fuse in una nuova proposta di
regolamento, presentata il 3 maggio 2002, di cui sarà detto oltre (cfr.
§ 4 c) ‑ nonché dal
·
diritto
commerciale e dalla protezione dei consumatori, con
particolare riferimento ai
crediti non contestati (situazioni in cui un creditore, tenuto conto
della mancata contestazione da parte del debitore, ha ottenuto un titolo
esecutivo), per il quali il programma prevede di giungere alla previsione di
un titolo esecutivo europeo
ed all’abolizione dell’exequatur, ed alle controversie transnazionali di
modesta entità.
In
tali settori, da un lato si propone di eliminare ulteriormente le procedure intermedie
e rafforzare nello Stato richiesto gli effetti delle decisioni prese nello
stato d’origine:
1)
limitando i motivi
di diniego di riconoscimento delle decisioni;
2)
introducendo
l’esecuzione provvisoria, se concessa nello Stato d’origine, nonostante
l’eventualità di ricorsi;
3)
consentendo a un
creditore, che ha ottenuto un provvedimento cautelare nello Stato d’origine, di
chiedere sequestri conservativi di beni del debitore in altri Stati senza alcun
provvedimento ulteriore,
4)
prevedere un
sequestro europeo dei depositi bancari, in presenza di una decisione esecutiva
certificata nello Stato membro d’origine.
Per
i settori non contemplati
dagli strumenti attualmente in vigore il programma si propone di
giungere gradualmente ai livelli di riconoscimento reciproco attualmente
raggiunti con i regolamenti Bruxelles I e Bruxelles II, o in alcuni casi, a
nuovi livelli di riconoscimento reciproco senza fase intermedia, attraverso
l’adozione di appositi strumenti giuridici nei seguenti settori: determinati
aspetti del contenzioso relativo al divorzio o alla separazione personale, non
contemplati dal regolamento Bruxelles II, ed in particolare:
·
le decisioni sulla
potestà dei genitori diverse da quelle adottate in occasione del divorzio o
della separazione,
·
le decisioni
riguardanti situazioni familiari nate da relazioni diverse dal matrimonio,
·
i regimi
patrimoniali tra coniugi,
·
i testamenti e le
successioni.
4. Le
iniziative allo studio in tema di diritto di famiglia.
In particolare
la proposta di regolamento presentata il 3 maggio 2002
Nel
Consiglio informale dei
Ministri della Giustizia e degli Affari interni, svoltosi a Santiago de Compostela nel
febbraio 2002, si è constatato che, poiché si stanno realizzando molti
passi in avanti nella cooperazione giudiziaria in materia penale, bisogna
progredire anche in quella nel settore civile e, specialmente, nel campo del diritto di famiglia.
Le
iniziative discusse nel corso degli ultimi anni sono state, in particolare, le
seguenti:
A)
La proposta francese di regolamento relativo all’esecuzione reciproca
delle decisioni in materia di diritto di visita ai figli minori (testo in inglese/testo in francese).
Questa,
datata 3 luglio del 2000,
mira a realizzare un vero e proprio spazio giudiziario esteso a tutto il
territorio dell’Unione, nell’ambito del quale le decisioni relative al diritto
di visita transfrontaliera ai figli minori possano essere eseguite
direttamente in qualsiasi Stato membro, senza che sia necessario alcun
procedimento (sopprimendosi,
quindi, l’exequatur). La proposta, che considera prioritario il
diritto del figlio a mantenere rapporti regolari con ciascun genitore, mira a
tutelare il genitore affidatario garantendogli il ritorno del figlio al termine
del periodo di visita, e a tal fine vieta che le autorità del paese di
soggiorno del figlio possano modificare la decisione straniera in fase di
esecuzione. Il punto cruciale del negoziato riguarda l’attribuzione a tali
autorità, competenti a disporre il rientro del figlio presso il genitore
affidatario, della facoltà di riconoscere le ipotesi di eccezioni al «ritorno»
del minore, previste dalla Convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili
della sottrazione internazionale dei minori (rischio di danno fisico o
psichico al minore o sua opposizione), non prevista dalla proposta francese,
ma sostenuta da alcune delegazioni. Per garantire l’esercizio effettivo del
diritto di visita è prevista l’istituzione di un «organo centrale nazionale»
in ogni Stato membro per garantire la collaborazione necessaria fra gli organi
nazionali competenti.
Tale proposta (datata 6 settembre 2001 e pubblicata
il 27 novembre 2001) è stata preceduta dal Documento
di lavoro della Commissione del 27 marzo 2001, COM(2001)166, relativo al «Riconoscimento
reciproco delle decisioni relative alla potestà dei genitori», la cui
lettura è utile per ricostruire le intricate vicende della materia in esame e
per comprendere quali potranno essere gli sviluppi futuri.
La Proposta della Commissione (ora superata dal
progetto sub C) mirava ad estendere il campo di applicazione del regolamento «Bruxelles II», con
particolare riguardo ai provvedimenti relativi ai minori, in modo da tenere
conto anche di quelli da emettere non soltanto in occasione delle crisi coniugali e non soltanto in
relazione a figli di coppie coniugate. Infatti, la proposta francese si
riferiva solo alle decisioni sull’esercizio della potestà parentale pronunciate
nel quadro del regolamento «Bruxelles II», che, a sua volta, si riferisce alle
decisioni summenzionate rese in occasione di pronunce di separazione, divorzio
o dichiarazione di nullità del matrimonio, con esclusione quindi delle
decisioni che modificano successivamente il regime inizialmente definito e di
quelle relative ai figli di coppie non sposate. La proposta tendeva ad
estendere il principio del mutuo
riconoscimento a tutte le decisioni sulla potestà genitoriale
(consentendo così a tutti i minori di beneficiare di tale tutela,
qualunque sia lo status, legittimo
o naturale) del rapporto di filiazione. Veniva così previsto un insieme
di norme chiare e coerenti sull’attribuzione della competenza giurisdizionale,
nonché un meccanismo di cooperazione fra gli organi giurisdizionali e le altre
autorità competenti.
C) La proposta di regolamento relativo
alla competenza, al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni in materia
matrimoniale e di potestà dei genitori, abrogativa del regolamento (CE) n.
1347/2000 e modificativa del regolamento (CE) n. 44/2001 relativamente alle
obbligazioni alimentari.
(Per informazioni sul relativo iter nel sito
dell’UE cfr. la pagina web seguente:
http://europa.eu.int/prelex/detail_dossier_real.cfm?CL=fr&DosId=173360).
La
proposta della commissione è stata presentata il 3 maggio 2002.
Essa sintetizza in una proposta di strumento
unico
·
l’iniziativa francese relativa al diritto
di visita (sopra sommariamente illustrata sub A),
·
la proposta della Commissione in materia
di responsabilità parentale (sopra sommariamente illustrata sub B).
Siffatta proposta tende inoltre ad
amalgamare tale proposizioni all’interno di una versione riveduta e corretta
del regolamento 1347/2000 (Bruxelles II), che dovrebbe pertanto essere abrogato
da siffatto nuovo regolamento.
Invero, come
illustrato nell’exposé des motifs:
La Commission présente aujourd’hui une nouvelle proposition intégrant
le règlement du Conseil, la proposition de la Commission sur la responsabilité
parentale, et l’initiative française sur le droit de visite. La présente
proposition comporte deux éléments. Premièrement, elle reprend telles quelles
les dispositions sur le divorce contenues dans le règlement (CE)
n° 1347/2000 du Conseil. Deuxièmement, elle intègre en un système complet
de règles sur la responsabilité parentale les dispositions figurant à ce sujet
dans le règlement (CE) n° 1347/2000 du Conseil, la proposition de la
Commission sur la responsabilité parentale et l’initiative française sur le
droit de visite. En conséquence, le règlement (CE) n° 1347/2000 est abrogé
et ses dispositions sont entièrement remplacées par la présente proposition.
I punti qualificanti della proposta sono dunque
i seguenti:
·
Per ciò che attiene alle decisioni in materia matrimoniale riprodurre in buona
sostanza le disposizioni del regolamento Bruxelles II (1347/2000);
·
Per quanto riguarda la potestà dei genitori,
invece, introdurre le novità
seguenti:
1. d’étendre le principe de la reconnaissance mutuelle à l’ensemble des décisions relatives à la responsabilité parentale (ce qui correspond à la proposition de la Commission sur la responsabilité parentale);
2. de supprimer l’exequatur pour le droit de visite (ce qui correspond à l’initiative française sur le droit de visite); et
3. de mettre au point une solution pour le retour de l’enfant en cas d’enlèvement, selon laquelle l’État membre où se trouve l’enfant enlevé peut arrêter une mesure conservatoire provisoire de non‑retour de l’enfant, qui sera elle-même remplacée par une décision relative au droit de garde rendue par les juridictions de l’État membre de résidence habituelle de l’enfant. En outre, si cette décision implique le retour de l’enfant, celui-ci devra être restitué sans qu’il soit nécessaire de recourir à aucune procédure pour la reconnaissance et l’exécution de ladite décision dans l’État membre où se trouve l’enfant enlevé.
·
L’obiettivo finale resta quello dell’abolizione dell’exequatur
per tutte le decisioni in materia di potestà dei genitori (e non solo sul
diritto di visita), sulla base di un chiaro e coerente insieme di norme sulla
competenza giurisdizionale. Oggi come oggi l’exequatur
non è richiesto per le decisioni in materia matrimoniale (ciò già in forza del
regolamento 1347/2000), mentre secondo la proposta del 3 maggio 2002 esso non
sarà richiesto per le decisioni sul diritto di visita (secondo la proposta
francese) e sul ritorno dei minori sottratti, ma lo sarà ancora per le altre
decisioni in tema di potestà dei genitori.
·
Per ciò che attiene alla definizione di potestà dei
genitori andrà notato che la proposta accoglie i suggerimenti tendenti a
conferirle una estrema
ampiezza, come chiarito dall’exposé des motifs:
Responsabilité parentale
Il est donné une définition générale de l’expression «responsabilité parentale». Cette définition est large car la Commission estime important de ne pas faire de discrimination entre les enfants en excluant certaines mesures, et de ne pas laisser certains enfants ou certaines situations en dehors du champ d’application du règlement.
L’expression porte donc aussi bien sur la personne de l’enfant que sur ses biens, et le titulaire de la responsabilité parentale peut être tant une personne morale qu’une personne physique. Les droits et obligations correspondants peuvent résulter d’une décision judiciaire, d’une attribution de plein droit ou d’un accord en vigueur. Il est en outre précisé que l’expression recouvre le droit de garde et le droit de visite.
·
Passando al sistema della competenza in materia di potestà
dei genitori esso tende ad evitare conflitti ed è in larga parte ispirato
alla convenzione dell’Aia del 1996 sulla protezione dei minori, che al
momento è stata firmata (ma non ancora ratificata) solo dai Paesi Bassi. La
Commissione ha presentato una proposta di decisione del Consiglio che autorizza
gli Stati membri a firmarla anche nell’interesse della Comunità. Svariate
disposizioni della proposta si ispirano proprio alle norme della predetta
convenzione.
·
Il criterio fondamentale è quello della «residenza abituale del figlio»
(résidence habituelle de l’enfant:
art. 10), con qualche deroga fissata dagli artt. successivi.
·
In caso d’urgenza, in effetti, l’art. 20 (in ciò
seguendo l’art. 12 del regolamento (CE) n. 1347/2000) prevede quanto segue.
o Competenza
del giudice dello stato membro nel quale il figlio attualmente si trova o in
cui possiede dei beni, al fine di prendere le decisioni cautelari e interinali (mesures
provisoires et conservatives) dirette a proteggere la persona o i beni del
figlio.
o Siffatta
competenza cessa
però dal momento in cui il giudice competente per il merito ha deciso.
o In
caso di sottrazione di
minore il regime è però ancora diverso.
·
Venendo ora al tema della sottrazione di minori
andrà ricordato che sul punto la convenzione dell’Aia del 1980 tende a ristabilire lo status quo,
prevedendo per il paese in cui il minore viene portato l’obbligo di disporne il
rientro immediato. Peraltro essa non prevede regole comuni su competenza,
riconoscimento o esecuzione. Tali regole sono contenute nella convenzione
dell’Aia del 1996, cui si ispira la proposta di regolamento.
o Secondo
la proposta di nuovo regolamento lo Stato in cui il minore viene portato
dovrebbe poter emettere solo un provvedimento urgente e provvisorio di «non ritorno» del minore
stesso, mentre la
competenza ad assumere la decisione definitiva compete al Paese di «residenza
abituale» del minore. La soluzione presuppone una cooperazione tra le
varie autorità centrali. Dunque la competenza rimane in capo al giudice del
paese d’origine, salve le eccezioni previste dall’art. 21 del progetto.
o Per
il ritorno del minore,
l’art. 22 del
progetto impone all’autorità centrale del Paese in cui il figlio si trova
l’obbligo di agire in un breve termine. Il figlio deve ritornare entro un mese, a meno che non sia
presentato un ricorso cautelare.
o Un
provvedimento provvisorio di non ritorno può essere pronunziato dal giudice del
paese in cui il minore si trova, ai sensi dell’art. 23.
o La
decisione sull’affidamento
(décision de garde) va presa comunque dal giudice del luogo in cui il
minore aveva la sua résidence
habituelle immediatamente prima del suo trasferimento o del suo non ritorno
(art. 24).
·
Venendo alla esecuzione delle decisioni sul diritto di
visita e sul ritorno del minore, la sezione 3 del progetto di regolamento
supprime l’exequatur dans l’État membre d’exécution pour les décisions qui ont été certifiées dans l’État membre d’origine. En conséquence, la décision sera traitée aux fins d’exécution comme si elle avait été rendue dans l’État membre d’exécution.
Les règles de procédure à respecter pour la certification concernent l’audition de l’enfant et les décisions par défaut; elles constituent le pendant des motifs de non‑reconnaissance visés à l’article 15, paragraphe 2, points b) et c) du règlement (CE) n° 1347/2000 du Conseil.
S’agissant des décisions par défaut, il y a lieu de distinguer la question du droit de visite de celle du retour de l’enfant. La suppression de l’exequatur pour le droit de visite ne s’applique pas aux décisions par défaut (l’alternative aurait consisté à fixer des normes minimales de notification et de signification des actes).
·
Per ciò che attiene al campo d’applicazione, la
predetta sezione 3 estende l’idea che stava alla base della proposta francese (non necessità dell’exequatur)
non solo al diritto di visita, bensì anche alle decisioni sul ritorno dei
minori.
Article 46 – Droit de visite
Le paragraphe 1 énonce le principe de base selon lequel aucune procédure n’est nécessaire dans l’État membre d’exécution pour la reconnaissance et l’exécution des décisions qui ont été certifiées conformément aux dispositions de cette section.
Le paragraphe 2 rappelle les règles de procédure pertinentes, à savoir que la décision n’a pas été rendue par défaut et que l’enfant a eu la possibilité d’être entendu eu égard à son âge et à son degré de maturité. Le formulaire dont le modèle figure à l’annexe VI est utilisé pour établir le certificat.
Article 47 – Retour de l’enfant
Le paragraphe 1 énonce le principe de base selon lequel aucune procédure n’est nécessaire dans l’État membre d’exécution pour la reconnaissance et l’exécution des décisions qui ont été certifiées conformément aux dispositions de cette section.
Le paragraphe 2 rappelle les règles de procédure pertinentes, à savoir que l’enfant a eu la possibilité d’être entendu eu égard à son âge et à son degré de maturité. Le formulaire dont le modèle figure à l’annexe VII est utilisé pour établir le certificat.
·
Infine, va ancora detto che uno degli
elementi essenziali su cui si fonda la proposta del 3 maggio 2002 è dato dalla cooperazione tra le autorità
centrali. In relazione a questo aspetto la proposta disciplina (artt. 55
ss.) la designazione, le funzioni ed i metodi di lavoro delle autorità centrali
dei vari Paesi.
IL
REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO (CE) N. 1347/2000 DEL 29 MAGGIO 2000:
GENERALITA’
ED AMBITO D’APPLICAZIONE
5. Il
Regolamento del Consiglio (CE) n. 1347/2000 del 29 maggio 2000: i dati salienti
·
ha recepito il testo
dell’omonima Convenzione
del 28 maggio 1998 (c.d. Bruxelles
II), mai entrata in vigore e
non entrerà mai in vigore, preceduta e sostituita dal Regolamento in esame;
·
è entrato in vigore
il 1° marzo 2001;
·
estende alla materia matrimoniale
e alle questioni relative all’affidamento dei figli la Convenzione di Bruxelles del 1968, che
escludeva tale materia dal proprio ambito di applicazione;
·
uniforma le norme di diritto internazionale
processuale degli Stati membri in materia di competenza giurisdizionale su tale
settore;
·
migliora e
semplifica il riconoscimento
e l’esecuzione
delle decisioni relative a
o
separazione,
o
divorzio e
o
annullamento
del matrimonio, nonché quelle relative alla
o
potestà dei genitori nei confronti
dei figli comuni, rese in
tali occasioni;
·
agevola il riconoscimento rapido ed
automatico e l’esecuzione delle relative decisioni attraverso un procedimento semplificato;
·
definisce i criteri obiettivi
di giurisdizione
adottati;
·
definisce la verifica
della competenza e dell’ammissibilità;
·
definisce la litispendenza;
·
fa salva la
competenza ad emettere i provvedimenti provvisori e cautelari secondo le leggi interne;
·
determina il tribunale competente a deliberare
in merito a tali questioni in funzione della
o
residenza di uno dei coniugi
o di entrambi, ovvero in funzione della loro
o
nazionalità;
·
stabilisce il
principio del riconoscimento
automatico: le decisioni in materia matrimoniale rese in uno Stato membro sono
riconosciute negli altri Stati membri senza alcuna procedura particolare.
6. Il
Regolamento del Consiglio (CE) n. 1347/2000 del 29 maggio 2000: la base legale
Base legale è l’ art. 65 del Trattato CE.
La
scelta di intervenire per
Regolamento (e non per convenzione, visto che la «Bruxelles II» è
rimasta così superata), comporta due conseguenze negative:
A)
Si è perso per strada uno degli Stati membri, la
Danimarca, che a norma di un
apposito protocollo al Trattato CE (concluso ed entrato in vigore unitamente al
Trattato di Amsterdam) non è vincolata dagli atti previsti nel titolo IV del
Trattato, e non ha dichiarato di voler partecipare all’adozione del Regolamento
in esame (né degli altri testi adottati sinora sulla base dell’art. 65), a
differenza del Regno Unito e dell’Irlanda che hanno invece esercitato tale
facoltà di opting in prevista
nell’altro Protocollo relativo alla posizione di questi Stati. Pertanto, per
estendere alla Danimarca gli effetti del Regolamento, sarà necessario
concludere con tale Stato un trattato ad
hoc.
B)La possibilità di sollevare dinanzi alla Corte di
Giustizia delle Comunità europee delle questioni pregiudiziali sull’interpretazione del
Regolamento è più limitata
di quanto previsto dal Protocollo sull’interpretazione della Convenzione di
Bruxelles. In effetti, l’art.
68 del Trattato CE prevede che le questioni di interpretazione (o di
validità) degli atti adottati in base al titolo IV possono essere sottoposte
alla Corte, attraverso il meccanismo dell’art. 234 del Trattato, soltanto quando la causa è
pendente davanti ad una giurisdizione nazionale di ultima istanza, le
cui decisioni non sono suscettibili di un ricorso giurisdizionale interno.
Pertanto, i giudici di Tribunale e di Corte d’appello (nonché i giudici e le
autorità corrispondenti negli altri Stati membri), che saranno confrontati
quotidianamente con le questioni di interpretazione del Regolamento, non
potranno contare sul ricorso alla Corte.
7. Ambito
di applicazione del Regolamento ratione
materiae
L’ambito
di applicazione ratione materiae del
Regolamento viene definito nell’art.
1, ai sensi del quale esso si applica:
·
ai procedimenti
civili relativi
o
al divorzio,
o
alla separazione personale dei
coniugi e
o
all’annullamento
del matrimonio
·
ai procedimenti
civili relativi alla potestà
dei genitori, quando
o
vengono instaurati «in occasione» dei
procedimenti in materia matrimoniale e quando
o
riguardano i figli di entrambi i coniugi coinvolti nella causa matrimoniale.
Per ciò che attiene al
concetto di procedimento
civile rilevante, il comma
2 precisa che
·
oltre
ai procedimenti giudiziari,
·
il Regolamento disciplina anche gli altri
procedimenti ufficialmente riconosciuti in uno Stato membro, per esempio quelli
di natura amministrativa,
che siano eventualmente previsti
in uno Stato membro per la pronuncia della separazione o del divorzio
ovvero per le questioni relative all’affidamento dei figli. A tal fine, è
espressamente indicato che il termine «giudice» comprende qualsiasi autorità competente in
materia secondo la
legislazione di uno Stato membro. Si noti al riguardo che in Finlandia
hanno per esempio carattere amministrativo le decisioni su alcune questioni
relative all’affidamento dei figli, mentre in altri Stati europei si discute
della possibilità di attribuire ad autorità non giurisdizionali la competenza
per pronunciare delle decisioni di divorzio, almeno quando vi sia il consenso
dei coniugi.
Per quanto riguarda
invece il concetto di «decisione»,
l’art. 13 conferma che
esso dev’essere inteso in un senso molto ampio, come qualunque provvedimento
(giudiziario o amministrativo) che regola le questioni comprese nell’ambito di
applicazione del Regolamento. Vi rientrano anche
·
«gli atti pubblici formati ed aventi efficacia
esecutiva» in uno Stato membro, nonché
·
«gli accordi conclusi dinanzi ad un giudice in
corso di giudizio ed esecutivi nelle Stato membro d’origine» (art. 13 comma 3°
del Regolamento). Dal punto di vista italiano, vi rientrano dunque a pieno
titolo gli accordi conclusi dai coniugi e omologati dal giudice nel quadro di
una procedura di separazione consensuale qual è prevista dall’art. 158 cod.
civ.
8. Le
materie escluse dal Regolamento;
in particolare: obbligazioni alimentari, rapporti
patrimoniali tra coniugi, modifica delle condizioni della separazione e del
divorzio;
assenza di norme per le unioni di fatto e le registered partnerships
Dalla lettura del preambolo (punto 10) si desume che,
riferendosi ai procedimenti matrimoniali, il Regolamento intende regolare
soltanto i procedimenti (e, conseguentemente, le decisioni) «specificamente relativi al
vincolo matrimoniale», ossia all’annullamento del matrimonio, al
divorzio e alla separazione. Esso non concerne quindi questioni quali:
·
la colpa dei coniugi,
·
gli effetti del matrimonio sui rapporti patrimoniali,
·
l’obbligo alimentare o altri provvedimenti accessori ed
eventuali, pur se connessi a tali procedimenti.
A
fortiori dovranno intendersi escluse le questioni
relative ai
·
diritti
successori dei coniugi divorziato o separati.
L’unica conseguenza accessoria della pronuncia in
materia matrimoniale che viene regolata è quella della potestà dei genitori sui
figli comuni.
Ciò
significa, in concreto, che, mentre le decisioni in esame – emesse in uno Stato
diverso da quello di uno dei coniugi – possono essere poste immediatamente in
esecuzione in un altro Stato dell’Unione (salva l’opposizione per i
casi espressamente previsti) ai
fini dell’aggiornamento degli atti dello stato civile, nonché per
ottenerne la loro osservanza quanto all’affidamento dei figli minori, si
continueranno ad applicare le norme precedentemente in vigore, quanto ai capi
accessori delle pronunce stesse in particolare quelle relative ai profili
patrimoniali delle decisioni stesse.
Si
tenga peraltro ancora presente che, che per il capo relativo alle spese giudiziarie
dispone l’art. 13, comma 2, secondo cui le disposizioni del presente capo,
relativo al riconoscimento e all’esecuzione delle sentenze di separazione,
divorzio annullamento e affidamento dei figli, «si applicano altresì alla
determinazione delle spese per i procedimenti instaurati in base al presente
regolamento nonché all’esecuzione di qualsiasi decisione relativi a tali spese».
La
circostanza costituisce un limite del regolamento, atteso che costringe le
parti allo svolgimento di un ulteriore attività giurisdizionale, molte volte
tutt’altro che semplice, al fine di dare completa esecuzione a procedimenti in
materia familiare.
Per
le obbligazioni alimentari
l’inclusione nel campo di applicazione del Regolamento sarebbe stata superflua giacché tale
materia è già compresa nel campo di applicazione della Convenzione di
«Bruxelles I» nonché del Regolamento
n. 44/2001. In base all’art. 5, n. 2 di questi strumenti, il debitore di
alimenti – oltre che nello Stato del proprio domicilio ex art. 2 – può essere convenuto dinanzi ai giudici dello Stato in
cui il creditore ha il proprio domicilio o la propria residenza abituale,
nonché, nel caso in cui la domanda alimentare sia accessoria ad un procedimento
in materia di status personale,
dinanzi al giudice competente per la causa matrimoniale secondo il diritto
internazionale privato del foro. Quest’ultimo foro di carattere accessorio è
subordinato alla sola condizione che la competenza del giudice adito per il
procedimento relativo allo status non
si fondi esclusivamente sulla cittadinanza di una delle parti.
In
generale, l’art. 5 n. 2 suppone – come gli altri fori speciali previsti dalla
Convenzione di Bruxelles – che il convenuto con la domanda di alimenti (nel
caso che a noi interessa, il coniuge debitore) sia domiciliato in un altro
Stato contraente: se non è così, la competenza del giudice adito dev’essere
determinata attraverso le norme giurisdizionali nazionali. In tale ipotesi, il
coordinamento tra Convenzione (Regolamento) di Bruxelles e Regolamento n. 1347
potrebbe non funzionare. Tale rischio non sussiste peraltro dal punto di vista
italiano, giacché nel nostro paese l’art. 5, n. 2 della Convenzione di
Bruxelles è una delle disposizioni che costituiscono l’oggetto del rinvio
ricettizio previsto dall’art. 3, 2° comma (prima parte) della legge 31 maggio
1995 n. 218, ed è dunque applicabile erga
omnes, anche se il convenuto è domiciliato in uno Stato terzo.
Altra
materia esclusa (per il momento) dal Regolamento in esame è quella dello scioglimento del regime
matrimoniale. Tali questioni sono espressamente escluse dall’ambito di
applicazione della Convenzione di Bruxelles (nonché del Regolamento n. 44/2001,
art. 1 par. 2 lett. a), sicché la
giurisdizione italiana continuerà ad essere regolata dalle norme della legge n.
218.
E’
da ricordare che la Corte di Giustizia delle Comunità europee, nelle sue
sentenze del 27 marzo 1979 (in causa 143/78, de Cavel c. de
Cavel, in Raccolta, 1979, p.
1055) e del 31 marzo 1982 (in causa 25/81 C.H.W. c. G.J.H.,
in Raccolta, 1982, p. 1189) ha
chiarito che la nozione di regime patrimoniale tra i coniugi di cui all’art. 1
della Convenzione di Bruxelles comprende non solo il regime dei beni
specificamente ed esclusivamente contemplato da determinate legislazioni
nazionali, ma anche tutti i rapporti patrimoniali che derivano direttamente dal
vincolo coniugale o dallo scioglimento di esso.
In
questa materia, la legge applicabile sarà determinata attraverso l’art. 30 della legge n. 218, mentre per le
condizioni per il riconoscimento delle decisioni straniere continuerà ad essere
determinato dall’art. 64 della medesima legge.
Sembra invece esclusa la possibilità di invocare l’art. 65, dato che le
decisioni in materia di regime matrimoniale non si possono far rientrare nella
categoria dei provvedimenti «relativi alla capacità delle persone nonché
all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità», cui
questa norma si riferisce.
Il
Regolamento non trova poi applicazione relativamente ai procedimenti di decadenza o limitazione della
potestà genitoriale (previsti, nel
nostro ordinamento, agli artt. 330 e 333 c.c.), nonché di affidamento di figli
naturali (art. 317 bis c.c.). Sul punto peraltro dovrebbe
intervenire il nuovo regolamento, la cui proposta è stata presentata il 3
maggio 2002.
Il
punto 10 del preambolo porta poi ad escludere che esso possa applicarsi alle
decisioni che abbiano ad oggetto la modifica delle condizioni della separazione o del divorzio (per
il nostro ordinamento, le decisioni di cui agli art. 710 c.p.c. e art. 9 L. n.
898/1970).
Dispone
poi il comma 3 dell’art. 3
del regolamento che la competenza individuata nei precedenti commi viene meno
in due ipotesi distinte:
·
il procedimento matrimoniale
si sia definito con sentenza passata in giudicato, ovvero
·
si sia estinto per
un’altra ragione.
Trova
dunque conferma il fatto che il regolamento non si applichi alle controversie
concernenti la modifica delle condizioni di separazione o divorzio, relative ai
figli, assoggettate invece agli ordinari principi sulla giurisdizione.
Il
Regolamento non affronta
le questioni sollevate dalle unioni
familiari di fatto nonché dalle forme di partenariato, omo- e/o eterosessuale, che hanno già
formato (o formeranno nel corso dei prossimi anni), l’oggetto di interventi
normativi in vari Stati europei. Nonostante la rilevanza sociale crescente di
queste situazioni familiari non riconducibili allo schema matrimoniale
«classico», il terreno non viene ancora considerato maturo per una disciplina
degli aspetti internazionalprivatistici, la cui soluzione resta dunque per il
momento affidata alla giurisprudenza. Ma è solo questione di tempo: le
istituzioni dell’Unione hanno già preannunciato la loro volontà di regolare
alcuni aspetti di tale materia, in particolare il problema delle conseguenze
patrimoniali della separazione di coppie non sposate (si veda il programma adottato il 30 novembre 2000).
Si
tenga poi presente che, per ciò che attiene ai rapporti relativi all’esercizio
della potestà dei genitori (anche naturali) dovrebbe
intervenire il nuovo regolamento, la cui proposta è stata presentata il 3
maggio 2002.
9. Il campo di applicazione temporale del Regolamento
Dal punto di vista temporale, il Regolamento si
applica, innanzitutto, alle procedure
instaurate successivamente alla sua entrata in vigore (art. 42, par. 1).
Per quanto riguarda le norme sulla competenza e sulla litispendenza,
nei procedimenti che erano già pendenti alla data di entrata in vigore del
Regolamento, tali questioni continueranno ad essere regolate dalle norme
previgenti, in particolare dalle disposizioni della legge n. 218. Ciò
significa, ad esempio, che un tribunale italiano adito prima del 1° marzo 2001 sulla base di uno
dei criteri di competenza previsti dagli art. 3 e 32 della legge n. 218 (per
esempio in quanto tribunale del luogo di celebrazione del matrimonio) potrà proseguire il processo, anche se sarebbe incompetente a norma del
Regolamento.
Per
quel che riguarda il riconoscimento
e l’esecuzione, beneficiano del regime previsto dal Regolamento:
·
le decisioni rese in
un procedimento instaurato
dopo la data di entrata in vigore di quest’ultimo.
·
Il Regolamento si
applica anche alle decisioni rese dopo la sua entrata in vigore, in seguito ad un’azione proposta prima di tale data, ma soltanto se la competenza
del giudice a quo era basata su
regole conformi a quelle previste dal Regolamento stesso, oppure alle
disposizioni di una convenzione internazionale in vigore al momento della
proposizione dell’azione tra lo Stato d’origine e lo Stato richiesto (art. 42, par. 2). Si
tratta dell’unico caso in cui il Regolamento autorizza le autorità dello Stato ad quem a procedere ad un riesame della
competenza dei giudici che hanno reso la decisione.
10.
L’assenza di norme uniformi
sul diritto applicabile nel Regolamento
Il
Regolamento si ispira al modello delle Convenzioni di Bruxelles e Lugano e,
come esse, contiene
regole uniformi
·
sulla competenza
giurisdizionale,
·
sulla litispendenza
nonché
·
sul riconoscimento e
l’esecuzione delle decisioni straniere.
Esso
non contiene,
invece, regole sul diritto
applicabile da parte del giudice competente. Per tale questione, i
tribunali competenti di ogni Stato membro, determinati sulla base delle regole
di competenza del Regolamento, dovranno applicare le norme sui conflitti di
leggi in vigore nel loro paese, ivi comprese eventuali convenzioni
internazionali.
Dal
punto di vista italiano
restano applicabili le disposizioni sulla legge applicabile contenute nella
legge n. 218, in particolare:
·
l’art. 31 per la separazione personale e lo
scioglimento del matrimonio,
·
gli articoli 27 e 28 per la validità del matrimonio
dal punto di vista sostanziale e formale (e dunque la dichiarazione di nullità
o l’annullamento del vincolo coniugale),
·
nonché gli articoli 36 e 42 per i rapporti tra genitori e figli
nonché le misure di protezione dei figli minori.
Occorre
rilevare che l’art. 42 dispone un rinvio alla Convenzione dell’Aia
del 5 ottobre 1961 relativa alla protezione dei minori, che è dunque
applicabile nel nostro paese «in ogni caso», anche al di fuori del suo campo di
applicazione spaziale e personale.
Dal
momento che, per le questioni relative al vincolo matrimoniale, non esistono
oggi regole di conflitto uniformi tra gli Stati europei, può accadere che la
medesima causa matrimoniale sia decisa, in ciascuno Stato membro, in base a norme sostanziali
distinte. Tale circostanza, unita con il carattere alternativo dei fori
previsti dal Regolamento, non può che incentivare il fenomeno del «forum shopping», cioè la scelta dello
Stato in cui instaurare il giudizio in funzione delle norme applicabili nel
merito.
Così,
se lo scopo è di ottenere rapidamente lo scioglimento del vincolo matrimoniale,
il coniuge interessato o i coniugi di comune accordo cercheranno di radicare la
causa in uno Stato i cui giudici (in virtù delle regole di conflitto vigenti in
quello Stato) applicheranno una legge particolarmente favorevole al divorzio
(per esempio, il diritto di uno Stato che non subordina la pronuncia del
divorzio al decorso di un periodo di separazione). La domanda presentata in quello Stato precluderà,
grazie alla regola sulla litispendenza (art. 11 del Regolamento),
l’instaurazione di procedimenti paralleli in altri Stati membri, e la decisione
sarà automaticamente riconosciuta in tutti gli Stati membri (art. 14),
anche in quelli in cui la concessione del divorzio è sottoposta a condizioni
ben più restrittive. Il Regolamento prevede espressamente che la divergenza fra
le leggi applicabili non costituisce un motivo per rifiutare il riconoscimento
o l’esecuzione di una decisione straniera (art. 18).
11.
Il carattere «doppio» del
Regolamento
Una
delle novità più significative introdotte dal Regolamento è costituita dalla
previsione di regole
uniformi di competenza «diretta». In effetti, il Regolamento – come già
la Convenzione di «Bruxelles II» che ne è all’origine – sono degli strumenti «doppi», nei
quali le norme sul riconoscimento automatico e l’esecuzione agevolata delle
decisioni si fondano su di un sistema di regole uniformi di competenza
giurisdizionale che devono essere rispettate dai giudici dello Stato d’origine
della decisione. Ciò
permette di sopprimere, nella fase del riconoscimento e dell’esecuzione della
decisione straniera, ogni controllo della competenza «indiretta» del giudice a quo.
Si tratta del modello che ha garantito il
successo delle Convenzioni di Bruxelles e Lugano. Nel Regolamento in esame esso
viene utilizzato in forma ancor più rigorosa, perché il riesame della competenza giurisdizionale del
giudice d’origine è completamente bandito (art. 17), mentre nelle
Convenzioni di Bruxelles e Lugano (come anche nel nuovo Regolamento n.
44/2001), il controllo della competenza resta possibile quando la decisione
straniera sia stata resa in violazione di un foro imperativo o esclusivo (art.
28 comma 1 delle due Convenzioni, art. 35 del Regolamento).
12.
I rapporti con la Convenzione dell’Aia del 1° giugno 1970
La Convenzione dell’Aia sul
riconoscimento dei divorzi e delle separazioni personali, del 1° giugno 1970, è una convenzione «semplice», destinata a regolare solo
il riconoscimento, e come tale regola unicamente la competenza «indiretta» dei
giudici dello Stato in cui è stata resa la sentenza da riconoscere.
Tale
Convenzione, ratificata
dall’Italia nel 1986, è tuttora in vigore nel nostro paese e in un certo
numero di Stati membri dell’Unione europea:
Oltre
all’Italia, sono parti della Convenzione del 1970
·
Danimarca,
·
Finlandia,
·
Gran Bretagna,
·
Lussemburgo,
·
Paesi Bassi,
·
Portogallo
·
Svezia.
La
Convenzione è inoltre in vigore nei seguenti Stati non membri dell’Unione:
·
Australia,
·
Cipro,
·
Egitto,
·
Norvegia,
·
Polonia,
·
Slovacchia,
·
Svizzera e
·
Repubblica Ceca
A norma
dell’art. 2 di questa Convenzione, i divorzi e le separazioni personali pronunciati in uno Stato
contraente (Stato d’origine) sono
riconosciuti negli altri Stati contraenti nei seguenti casi:
1)
se il convenuto
aveva la propria residenza abituale nello Stato a quo;
2)
se l’attore vi aveva
la propria residenza abituale a condizione che tale residenza abituale si fosse
protratta per lo meno un anno immediatamente prima della data della domanda o
si trattasse dell’ultima residenza abituale degli sposi;
3)
se i coniugi avevano
la cittadinanza dello Stato a quo;
4)
se l’attore aveva la
cittadinanza di tale Stato a condizione che vi avesse altresì la propria
residenza abituale o vi avesse risieduto durante un periodo di un anno, senza
interruzioni, compreso almeno in parte nei due anni precedenti la data della
domanda; o infine,
5)
se il coniuge che
aveva chiesto il divorzio aveva la cittadinanza di tale Stato, alla doppia
condizione che fosse presente in questo Stato al momento della domanda e che gli
sposi avessero avuto la loro ultima residenza abituale comune in uno Stato che
non conosceva il divorzio alla data della domanda.
Sotto vari profili tali criteri di competenza
indiretta coincidono con quelli di competenza diretta previsti dal Regolamento
n. 1347
Nella
fase iniziale di elaborazione della Convenzione di «Bruxelles II», alcuni Stati
avevano manifestato dubbi circa l’opportunità di elaborare un nuovo strumento
europeo, proprio in considerazione della buona esperienza fatta nell’applicazione
della Convenzione dell’Aia del 1970. Tuttavia, è apparso chiaro sin dall’inizio
che altri Stati, in particolare la Germania, non erano disposti a ratificare
tale Convenzione, ritenuta insufficiente in particolare per la mancata previsione
di norme uniformi sulla competenza e sulla litispendenza internazionale.
IL
REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO (CE) N. 1347/2000 DEL 29 MAGGIO 2000:
IL
SISTEMA DELLA COMPETENZA
14. Il
sistema della competenza nel Regolamento:
le cause di separazione, divorzio e annullamento
Per
le cause relative alla separazione, allo scioglimento o all’annullamento del
matrimonio, i diversi fori previsti dall’art. 2 si basano
essenzialmente su due criteri di collegamento
·
la residenza
abituale e
·
la cittadinanza dei
coniugi
·
o, in presenza di
condizioni aggiuntive, di uno di essi.
Soltanto
per alcuni Stati membri, il Regno Unito e l’Irlanda, il riferimento alla
cittadinanza è sostituito da quello al domicilio così come inteso nel loro
diritto interno («domicile»).
Tali
nozioni non vengono definite dal Regolamento,
nel quale non troviamo neppure una regola corrispondente all’art. 52 della
Convenzione di Bruxelles che rimette la determinazione del concetto di
domicilio alla legge interna dello Stato i cui giudici sono stati aditi. Pur in
assenza di tale norma, la soluzione non può che essere la stessa (applicazione
della lex fori) per quel che riguarda
la determinazione della cittadinanza (nonché del domicile negli Stati che applicano questo criterio); in effetti, è
pacifico nel diritto comunitario che ogni Stato membro resta libero di
determinare quali persone sono suoi cittadini.
Nel
caso in cui i coniugi presentino una domanda
congiunta di separazione, di divorzio o di annullamento del matrimonio la
giurisdizione può riposare sulla residenza
abituale di uno dei due coniugi.
In tale ipotesi, viene meno l’esigenza di proteggere da eventuali abusi il
coniuge residente in un Stato diverso da quello del giudizio, dato che egli,
consentendo alla proposizione della domanda congiunta, manifesta in modo
inequivoco il proprio consenso circa l’opportunità di radicare la causa nello
Stato in cui risiede abitualmente l’altro coniuge. Tale norma sulla competenza
internazionale corrisponde, mutatis
mutandis, a quanto previsto in Italia dall’art. 4 comma 1° della legge sul
divorzio, che consente ai coniugi di presentare la domanda congiunta di
divorzio dinanzi al tribunale del luogo di domicilio o di residenza dell’uno o
dell’altro coniuge.
Al
di fuori delle ipotesi di domanda congiunta, i coniugi non hanno la facoltà di
attribuire consensualmente competenza ai giudici di uno Stato, neppure se si
tratta dello Stato in cui uno di essi risiede abitualmente. In altri termini,
il Regolamento non ha ammesso la proroga convenzionale della competenza, né
espressa, né tacita.
In
tre casi, l’art. 2, par. 1 del Regolamento consente l’instaurazione della causa
matrimoniale nello Stato della residenza
abituale del coniuge attore:
·
quando uno dei
coniugi continua a risiedere nello Stato in cui i coniugi hanno avuto la loro
ultima residenza abituale.
·
quando l’attore vi
ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o
·
quando vi ha
risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino
dello Stato membro stesso
La
cittadinanza opera come criterio autonomo di giurisdizione soltanto quando è comune ad entrambi i coniugi (art. 2,
par. 2); nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, il criterio della
cittadinanza comune è sostituito da quello del domicile di entrambi i coniugi nello stesso Stato. Si noti che la cittadinanza
comune potrà fondare la competenza in uno Stato membro anche se uno dei coniugi
o entrambi possiedono, oltre a quella comune, una o più cittadinanze di un
altro Stato membro o di uno Stato terzo. Ciò vale in particolare per le cause
radicate in Italia, giacché dal punto di vista italiano, la cittadinanza
italiana prevale sempre su altre cittadinanze straniere (art. 19, comma 2°
della legge n. 218).
Venendo
alla competenza giurisdizionale per i provvedimenti provvisori e cautelari va
detto che il Regolamento prevede, all’art. 12, che, in caso
d’urgenza, i giudici di uno Stato membro possono adottare provvedimenti di
questo tipo previsti dalla lex fori
relativamente alle persone presenti ed ai beni situati in tale Stato, e ciò
anche se, a norma del Regolamento, la competenza a conoscere nel merito spetta
al giudice di un altro Stato. In presenza delle condizioni restrittive poste da
tale disposizione (urgenza e presenza delle persone interessate e/o dei beni
sul territorio nazionale) essa autorizza l’emanazione in Italia dei
provvedimenti temporanei ed urgenti previsti, nell’interesse dei coniugi o
della prole, dagli art. 708, 3° comma, cod. proc. civ., e 4, 8° comma, della
legge n. 898/1970 (c.d. provvedimenti «presidenziali»), anche se il tribunale
italiano adito non è competente per conoscere della domanda di separazione
personale o di divorzio secondo le norme del Regolamento.
15. Il
sistema della competenza nel Regolamento:
confronto con il sistema di competenza risultante dalla
legge n. 218/1995
Il
Regolamento prevede, per le cause matrimoniali, un’ampia gamma di criteri di competenza alternativi.
Questo sistema di giurisdizione evita l’allargamento in certa misura
esorbitante della giurisdizione italiana che risulta dalla legge n. 218 e dalla
sua prime letture giurisprudenziali.
La
giurisdizione italiana in materia matrimoniale si ricava dal combinato
disposto:
a) dell’art. 3, 1° comma, della legge n. 218, nella parte in
cui prevede che la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o
residente in Italia;
b) dell’art. 3, 2° comma, di tale legge, nella parte in cui
dispone che, per le materie non comprese nel campo di applicazione della
Convenzione di Bruxelles del 1968, la giurisdizione sussiste anche in base ai
criteri stabiliti per la
competenza per territorio;
c)
dell’art. 32 della
legge n. 218, secondo cui, in materia di nullità e annullamento del matrimonio,
di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la giurisdizione
italiana sussiste, oltre che nei casi previsti dall’art. 3, anche quando uno dei coniugi è
cittadino italiano o il matrimonio è celebrato in Italia.
Dal
confronto tra i due sistemi, balza in primo luogo agli occhi che il Regolamento non conosce
affatto alcuni dei criteri di competenza previsti dal diritto internazionale
privato italiano, quali
·
il domicilio dei coniugi o
di uno di essi (previsto dall’art. 3, 1° comma, della legge n. 218, nonché
dalle norme sulla competenza per territorio, cui il 2° comma del citato art. 3
attribuisce rilevanza sul piano internazionale) e, soprattutto,
·
il luogo di celebrazione del
matrimonio (previsto per tutte le «cause matrimoniali» dall’art. 32
della legge n. 218).
Un’altra
differenza evidente
risiede nella diversa rilevanza attribuita alla cittadinanza che, secondo il Regolamento, può
fondare la competenza soltanto quando è comune ad entrambi i coniugi o quando si accompagna
ad un periodo di residenza di sei mesi del coniuge attore nel proprio Stato
nazionale, mentre l’art. 32 della legge n. 218 ammette la giurisdizione
italiana quando uno qualunque dei coniugi (attore o convenuto) ha la
cittadinanza del nostro paese.
Infine,
delle differenze importanti sussistono anche in relazione al criterio della residenza. In effetti,
mentre nel sistema del Regolamento il forum
actoris è riconosciuto soltanto in presenza di determinate circostanze,
esso è invece ammesso dalla legge n. 218 senza alcuna limitazione in Italia in
virtù del rinvio ai criteri di competenza per territorio. Per quel che riguarda
le cause di divorzio, non vi è motivo di dubitare che tale rinvio abbia
l’effetto di attribuire valenza sul piano giurisdizionale all’art. 4 della
legge sul divorzio, il quale, com’è noto, nel caso di irreperibilità o di
residenza all’estero del coniuge convenuto, attribuisce la competenza per
territorio al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente.
Il forum actoris non è subordinato, in tal caso,
a nessuna condizione ulteriore.
Alla
stessa conclusione si deve giungere anche per le cause di nullità e
annullamento del matrimonio e di separazione personale se si accoglie
l’interpretazione giurisprudenziale (alquanto lassista), avvallata dalla Corte
di cassazione in almeno due pronunce, secondo cui il rinvio disposto dalla
legge n° 218 opera non soltanto rispetto alle norme speciali che regolano la
competenza per territorio in relazione a singole materie, ma anche per il foro
generale previsto dagli articoli 18 e 19 cod. proc. civ., e in particolare per
il foro sussidiario dell’attore previsto dall’art. 18, 2° comma cod. proc.
civ.:
·
Cass. 9 dicembre 1996 n. 10954;
·
Cass. 27 novembre 1998 n. 12056.
La conseguenza è che (sempre secondo il sistema
della l. n. 218) se il convenuto è residente e domiciliato all’estero, la
giurisdizione italiana sussiste sempre purché l’attore sia residente in Italia.
L’art. 18, 2° comma, è certamente applicabile sia alle cause relative alla
nullità del matrimonio (per le quali la legge italiana non prevede alcun foro
speciale), sia per quelle di separazione personale, giacché risulta da una
giurisprudenza costante che la norma speciale dell’art. 706 cod. proc. civ. non
importa l’esclusione della competenza del tribunale del luogo di residenza
dell’attore previsto appunto dall’art. 18, 2°
comma:
·
Cass. 4 marzo 1978 n. 1092, in Foro it., 1978, I, 1152;
·
Cass. 17 febbraio 1981 n. 955;
·
Cass. 3 novembre
1981 n. 5779.
16. La
giurisdizione in materia di potestà dei genitori:
ambito di applicazione delle norme del Regolamento
e rapporti con la Convenzione dell’Aia del 1961
Si
tratterà ora della competenza per i procedimenti relativi alla potestà dei genitori.
Nella
fase di elaborazione della Convenzione di «Bruxelles II», l’opportunità di
disciplinare anche tali questioni è stata per lungo tempo discussa, in
considerazione dell’esistenza di varie convenzioni internazionali in materia.
Una di queste, la Convenzione
dell’Aia del 5 ottobre 1961 contiene delle regole relative alla competenza delle autorità in
materia di protezione di minori, ed è attualmente in vigore in ben otto
Stati membri dell’Unione europea, tra i quali l’Italia, che ne ha deciso la
ratifica con la legge n. 64 del 1995. Gli Stati parte della Convenzione del 1961
sono, oltre all’Italia,
·
Austria,
·
Francia,
·
Germania,
·
Lussemburgo,
·
Paesi Bassi,
·
Polonia,
·
Portogallo,
·
Spagna,
·
Svizzera,
·
Turchia.
Si
deve considerare peraltro, che la Convenzione del 1961 è stata molto criticata
sotto vari profili e deve considerarsi ormai superata da un’altra Convenzione
dell’Aia adottata nel 1996, che non è ancora entrata in vigore essendo stata
ratificata a tutt’oggi da solo due Stati (Monaco e la Repubblica ceca; per
l’entrata in vigore sono necessarie almeno tre ratifiche).
Proprio
per questi motivi, si è deciso di introdurre comunque una disciplina
comunitaria delle questioni della potestà parentale, cercando di coordinarla
per quanto possibile con la Convenzione del 1996. Nell’attesa che quest’ultima
entri in vigore, tuttavia, il Regolamento deve coesistere con la Convenzione
del 1961.
Per
ciò occorre tenere presente che il Regolamento si applica:
·
Soltanto quando dei
provvedimenti devono essere adottati in occasione di una causa matrimoniale.
·
Soltanto per i figli avuti in comune dalla coppia. Non
occorre che siano nati durante il matrimonio, potendo trattarsi anche di figli
naturali. Sono naturalmente inclusi anche i figli adottivi di entrambi i
coniugi e i figli legittimati. Per contro, il Regolamento non è applicabile ai
figli che ciascun coniuge ha avuto da altre relazioni, anche se questi figli
vivono all’interno del medesimo nucleo familiare cui la causa matrimoniale si
riferisce (cosiddetti «figli della famiglia»).
·
Soltanto se il
figlio di cui si tratta è residente
in uno Stato membro (con esclusione ovviamente della Danimarca), anche
se diverso da quello in cui è pendente la causa matrimoniale.
In
tutti i casi in cui il Regolamento non è applicabile, la competenza per adottare i provvedimenti
relativi alla potestà dei genitori dev’essere determinata in base alle regole autonome di
diritto internazionale privato oppure alle convenzioni internazionali in
vigore nello Stato membro interessato. In Italia, è in ogni caso applicabile la Convenzione dell’Aia del 1961,
come disposto dall’art. 42 della legge n. 218 che estende l’ambito di
applicazione della Convenzione al di là del suo ambito di applicazione spaziale
e temporale.
17. La
giurisdizione in materia di potestà dei genitori:
criteri di competenza e rapporti con la Convenzione
dell’Aia del 1980
Nel
definire la competenza per
le questioni della potestà, l’art. 3 non utilizza dei
nuovi criteri di collegamento, ma attribuisce la competenza, in via accessoria ed a
certe condizioni ulteriori, ai giudici dello Stato membro che, a norma
dell’art. 2, sono competenti per conoscere della causa matrimoniale.
Non
è sufficiente che la competenza per la causa matrimoniale esista sul piano astratto,
ma occorre essa venga
concretamente «esercitata», cioè che la causa matrimoniale sia stata instaurata
nello Stato in questione. L’esigenza di un legame attuale con la causa
matrimoniale viene confermata dalla circostanza che, a norma dell’art. 3 comma
3°, la competenza accessoria viene meno quando la decisione relativa alla causa
matrimoniale passa in giudicato oppure, se in questo momento il procedimento
relativo alla potestà è ancora pendente, quando passa in giudicato la decisione
relativa a questo procedimento, o ancora quando uno dei due procedimenti sia
terminato per altra ragione.
La
competenza è inoltre subordinata
al concorso di alcune condizioni ulteriori.
·
Quando il minore ha la propria residenza
abituale in quello Stato; tale regola sulla competenza non introduce
nessun elemento di novità, dato che tutte le convenzioni internazionali in
materia, nonché la più parte dei sistemi giurisdizionali interni, attribuiscono
ai giudici dello Stato della residenza abituale del minore la competenza per
decidere le questioni relative alla potestà dei genitori e, più in generale,
per prendere delle misure di protezione del minore. Ciò vale in particolare per
le Convenzioni dell’Aia del 1961 (art. 1), resa applicabile in Italia «in ogni
caso» dall’art. 42 della legge n. 218, e del 1996 (art. 5).
·
Quando il figlio non risieda abitualmente
nello Stato in cui viene instaurata la causa matrimoniale, bensì in un
altro Stato membro, i giudici dello Stato in cui è radicata la causa
matrimoniale sono competenti per conoscere delle questioni relative alla
potestà parentale soltanto se almeno uno dei due coniugi esercita la potestà
sul figlio, e se la competenza giurisdizionale dei giudici di quello Stato è
stata accettata dai coniugi e corrisponde all’interesse superiore del figlio.
Nel
caso di sottrazione di
minori, l’art. 4
del Regolamento impone ai giudici competenti in base all’art. 3 di esercitare
la loro competenza secondo le disposizioni della Convenzione dell’Aia del 25
ottobre 1980, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori,
in particolare secondo gli art. 3 e 16 di quella Convenzione. Ciò significa che
in caso di trasferimento o di mancato rientro del minore che si debba
qualificare «illecito» a norma dell’art. 3 della Convenzione, i giudici
competenti in base al Regolamento non potranno deliberare sul merito dei
diritti di affidamento del minore, se non dopo che le autorità competenti
abbiano deciso se sussistono le condizioni per ordinare il ritorno del minore
nello Stato da cui è stato sottratto, oppure dopo il decorso di un periodo di tempo
ragionevole durante il quale non sia stata presentata alcuna istanza di
restituzione del minore.
Dal
punto di vista italiano,
la competenza per materia
per decidere sull’istanza di ritorno del minore illecitamente sottratto,
appartiene inderogabilmente al Tribunale dei minorenni del luogo in cui
il minore sia stato
trovato dopo la sottrazione, restando irrilevante un successivo
mutamento del suo luogo di soggiorno:
Art. 7 della legge n. 64/1994, sul quale v. Cass. 18 gennaio 1997, n. 507.
Ciò
vale anche qualora sia già
pendente un giudizio di separazione o di divorzio; in tal caso, il
Tribunale competente per la causa matrimoniale non è privo di giurisdizione
riguardo al provvedimento di affidamento del minore, ma è tenuto a sospendere
ogni decisione al riguardo sino alla definizione del procedimento di
riconsegna:
Cass. 15 ottobre 1997 n. 10090.
Tali
principi, stabiliti in giurisprudenza nel regime previgente, restano applicabili
anche dopo l’entrata in vigore del Regolamento.
18. Il
carattere esclusivo delle norme sulla competenza del Regolamento
L’art. 7 del Regolamento
dispone che il coniuge che
·
risiede abitualmente
nel territorio di uno Stato membro oppure
·
ha la cittadinanza
di uno Stato membro (o il proprio domicile
nel Regno Unito o in Irlanda),
può
essere convenuto in giudizio davanti ai giudici di un altro
Stato membro soltanto in
forza degli articoli da 2 a 6, cioè soltanto sulla base di uno dei
criteri di competenza previsti dal Regolamento stesso. Dunque, in presenza di
uno dei collegamenti indicati (residenza o cittadinanza europea del convenuto),
i giudici degli Stati membri non
possono fondare la propria competenza
sulle norme del sistema di
diritto internazionale privato vigente nello Stato del foro.
Il carattere esclusivo della competenza
ha un significato ben diverso da quello di cui all’art. 16 della Convenzione di
Bruxelles. Tale disposizione prevede una serie di fori appunto «esclusivi», nel
senso che per le categorie di cause cui essi si riferiscono (per esempio, le
azioni in materia di diritti reali immobiliari e di contratti di affitto di
immobili, art. 16 n. 1) è preclusa la possibilità di invocare altri criteri di
competenza previsti dalla stessa
Convenzione, in particolare il foro generale del convenuto, i fori speciali
nonché quelli risultanti da una proroga convenzionale di competenza.
Nulla
di tutto questo nel quadro del Regolamento, in cui i diversi fori previsti sono tutti su un
piano di alternatività l’uno rispetto all’altro. Qui non vi è nessun foro che
possa dirsi esclusivo rispetto agli altri, ma è invece l’intero sistema della competenza risultante
da tutte le norme del Regolamento medesimo che viene dichiarato «esclusivo»
rispetto alle norme sulla competenza internazionale previste dalla legislazione
dei singoli Stati membri.
A norma dell’art. 9, il giudice investito di una
causa per la quale non ha competenza in base al Regolamento e per la quale,
sempre in base al Regolamento, è competente il giudice di un altro Stato
membro, deve dichiarare d’ufficio la propria incompetenza
anche se il convenuto si è regolarmente costituito e non ha eccepito
l’incompetenza, contrariamente a quanto previsto dagli art. 19 e 20 della
Convenzione di Bruxelles (art. 25 e 26 del Regolamento n. 44/2001), secondo i
quali una verifica d’ufficio della competenza è prevista soltanto se il
convenuto non compare o se i giudici di un altro Stato membro hanno competenza esclusiva.
Rispetto all’art. 3 della Convenzione di
Bruxelles vi è poi una significativa differenza: l’ambito di applicazione «esclusivo» delle norme
del Regolamento non è definito dall’art. 7 mediante un unico criterio come
nella Convenzione di Bruxelles (il domicilio del convenuto), bensì attraverso due criteri
alternativi e concorrenti:
·
la residenza abituale (lett. a) e
·
la cittadinanza (lett. b) del convenuto.
Ne consegue, rispetto al sistema di «Bruxelles
I», un notevole allargamento della sfera di applicazione delle norme
comunitarie rispetto all’ambito lasciato alle norme nazionali. Lo scopo di tale
estensione è, evidentemente, di garantire a tutti i cittadini degli Stati
membri (e quindi dell’Unione europea), anche se residenti in uno Stato terzo,
la protezione derivante dall’applicazione delle norme sulla competenza previste
dal Regolamento e dalla conseguente esclusione dei criteri di competenza
(ritenuti «esorbitanti») previsti dagli ordinamenti nazionali.
19.
La competenza residuale fondata sulle norme giurisdizionali degli Stati membri
La
presa in considerazione della cittadinanza del convenuto come criterio di
applicazione delle norme sulla competenza del Regolamento è all’origine di
un’altra importante innovazione rispetto alla Convenzione di Bruxelles.
Prevede
infatti l’art. 8 del
Regolamento un ambito
di «competenza giurisdizionale residua», cioè di alcune ipotesi in cui –
pur in presenza di uno dei criteri di
applicazione personale del Regolamento – i giudici degli Stati membri sono
autorizzati a fondare la propria competenza sulle norme del loro ordinamento
interno.
Tale
possibilità sussiste «se nessun giudice di uno Stato membro è competente a
norma degli articoli da 2 a 6»: in questo caso particolare, il carattere
esclusivo del Regolamento (sancito dall’art. 7) impedirebbe di invocare le
norme giurisdizionali interne, costringendo i giudici degli Stati membri a
dichiarare la propria incompetenza in favore dei giudici di uno Stato terzo.
L’art. 8 pone rimedio a tale situazione permettendo di fondare la competenza –
a titolo appunto «residuale» – sulle norme nazionali.
L’applicazione
residuale del diritto interno assume rilevanza nei casi in cui il coniuge
convenuto ha la cittadinanza di uno Stato dell’Unione (o il domicile nel Regno Unito o in Irlanda),
ma è residente in uno Stato terzo. In tale ipotesi, è ben possibile che nessun
giudice di uno Stato membro sia competente, giacché la cittadinanza «europea»
di uno dei coniugi (oppure il domicile
negli Stati indicati) non è, nel sistema del Regolamento, un criterio di
collegamento sufficiente per fondare la competenza: si può dunque realizzare la
condizione prevista dall’art. 8, par. 1.
Occorre
considerare, tuttavia, che il ricorso alle norme interne di competenza è
precluso dall’art. 7, lett. b) quando
si intende attrarre il coniuge cittadino dell’Unione in uno Stato membro
distinto da quello di cui ha la cittadinanza. Resta dunque una sola ipotesi:
quella in cui si intende instaurare la causa nel paese di cui il coniuge
convenuto ha la cittadinanza. In altre parole: l’applicazione «residuale» delle
norme nazionali sulla giurisdizione prevista dall’art. 8 è possibile soltanto al fine di adire i giudici dello
Stato membro di cui il coniuge convenuto ha la cittadinanza (o il domicile se
si tratta del Regno Unito o dell’Irlanda), e soltanto quando non vi sia alcun
altro foro disponibile in altri Stati membri.
Dal
punto di vista italiano, dunque, il ricorso alle norme della legge n. 218 resta
possibile se il coniuge convenuto ha la cittadinanza italiana ma risiede in uno
Stato non membro (o in Danimarca), se il coniuge attore è straniero e se i
giudici dello Stato membro in cui il coniuge attore risiede non sono competenti
in base al Regolamento. Se concorrono tali circostanze, il giudice italiano
potrà fondare la sua competenza sulle norme giurisdizionali interne, in
particolare sul criterio della cittadinanza di uno dei coniugi (in tal caso,
del coniuge convenuto) previsto dall’art. 32 della legge n. 218.
IL
REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO (CE) N. 1347/2000 DEL 29 MAGGIO 2000:
LITISPENDENZA
(E CONNESSIONE), RICONOSCIMENTO
ED
ESECUZIONE
20. Il
concetto di litispendenza (e di connessione) nel Regolamento
La
norma del Regolamento relativa alla litispendenza internazionale (art. 11) rappresenta una novità importante sotto
vari profili.
Tale
questione non era regolata
dagli strumenti esistenti in materia matrimoniale, in particolare dalla
Convenzione dell’Aia del 1970 che si limitava a disciplinare il riconoscimento
e l’esecuzione dei provvedimenti stranieri. Dato che secondo l’art. 9 di quella
Convenzione, il riconoscimento poteva essere rifiutato nel caso di
incompatibilità con una decisione anteriore relativa allo status coniugale resa nello Stato richiesto, l’assenza di una
regola sulla litispendenza si traduceva in un incentivo all’instaurazione di
procedimenti paralleli in più Stati, nella speranza di poter ottenere una
decisione ostativa al riconoscimento della sentenza resa all’estero.
·
Si ha litispendenza quando,
dinanzi a giudici di Stati membri diversi e fra le stesse parti siano state
proposte domande aventi il medesimo oggetto ed il medesimo titolo;
·
connessione
invece quando dette domande non abbiano il medesimo oggetto o il medesimo
titolo.
In
entrambi i casi il giudice
successivamente adito sospende d’ufficio il procedimento fino a che non sia
stata accertata la competenza di quello preventivamente adito; una
volta effettuato detto accertamento, deve dichiarare la propria incompetenza a
favore di quegli.
Dall’esame
congiunto dei paragrafi 1 e 2, risulta che gli effetti della litispendenza si producono non
soltanto quando
·
«dinanzi a giudici
di Stati membri diversi e tra le stesse parti sono state proposte domande
aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo», ma anche quando
·
le domande proposte
non abbiano il medesimo oggetto e il medesimo titolo, purché siano tutte
«relative al divorzio, alla separazione personale o all’annullamento del
matrimonio».
Per effetto dell’art. 11, par. 2, anche la proposizione in
una domanda di separazione
personale preclude
l’instaurazione in un altro Stato membro di una causa di scioglimento o di
annullamento del matrimonio, e viceversa.
Questione
aperta è quella di sapere se gli effetti della litispendenza si producono anche
nel momento della proposizione di un’istanza di conciliazione, quale prevista in certi ordinamenti
nazionali. La risposta è certamente affermativa quando un tentativo di
conciliazione è previsto, sia pure obbligatoriamente, nell’ambito di una
procedura unitaria di separazione o di divorzio, com’è il caso della normativa
italiana (art. 708 cod. proc. civ. e 4, 7° comma, legge n. 898/1970).
Il
motivo posto a fondamento di tale nozione «allargata» di litispendenza è che,
l’esistenza di differenze rilevanti tra le normative degli Stati membri, rende
difficile, se non impossibile ravvisare una reale identità di oggetto e/o di
titolo tra le domande proposte in Stati diversi. In realtà, l’obiettivo
perseguito è di assicurare nella misura più ampia possibile la trattazione
unitaria di tutte le cause relative alla medesima situazione di crisi matrimoniale
in un unico processo o almeno dinanzi alle giurisdizioni di un unico paese.
In
questa prospettiva assumono particolare importanza le norme dell’art. 5 e
dell’art. 11, par. 3.
·
L’art. 5 attribuisce
al giudice adito con la domanda principale la competenza per conoscere delle
domande proposte dal convenuto in via riconvenzionale.
·
L’art. 11, par. 3,
prevede che la parte che ha proposto la domanda davanti al giudice
successivamente adito ha la possibilità di promuoverla dinanzi al giudice
preventivamente adito: sebbene la norma non lo dica espressamente, sembra che
essa intenda escludere l’applicazione delle limitazioni e delle preclusioni di
ordine cronologico che sono spesso previste dal diritto processuale interno per
la proposizione di domande riconvenzionali o per la riunione di procedimenti
connessi: si veda, ad esempio, l’art. 167 cod. proc. civ., che impone al
convenuto di proporre le domande riconvenzionali nella comparsa di risposta, a
pena di decadenza.
21. La
determinazione del momento di pendenza della lite nel Regolamento
L’altra
novità introdotta dall’art.
11, comma 4, è l’adozione di un criterio autonomo ed uniforme per la determinazione del momento della pendenza della
lite. La nuova norma distingue a seconda che, secondo il diritto
processuale dello Stato del foro, l’atto introduttivo del giudizio debba essere
·
depositato presso
il giudice e successivamente notificato al convenuto (lett. a) o, viceversa,
·
notificato
prima di essere depositato (lett. b).
Ai
fini della litispendenza
internazionale, il giudice si considera adito,
·
nel primo caso, alla
data del deposito
dell’atto presso il giudice,
·
nel secondo, alla
data in cui l’atto è ricevuto
dall’autorità competente ai fini della notifica.
In
entrambi i casi, gli effetti della prevenzione vanno perduti se l’attore
successivamente omette di compiere tutti gli atti cui era tenuto affinché fosse
effettuata la notifica al convenuto o, rispettivamente, il deposito dell’atto
notificato presso il giudice.
Dal punto di
vista italiano,
entrambe le ipotesi sono rilevanti, dato che i procedimenti di separazione e di divorzio
iniziano, com’è noto, con ricorso,
mentre quelli diretti a far dichiarare la nullità del matrimonio sono dei procedimenti ordinari nei quali
vale il sistema della citazione. Nel primo caso, la lite si dovrà
ritenere pendente nel momento del deposito del ricorso, sempre che tale atto
sia poi regolarmente notificato al convenuto unitamente al decreto del
Presidente del Tribunale; nel secondo caso, il momento della pendenza non è più
quello della notificazione della citazione, ma quello in cui l’atto di
citazione viene depositato presso l’ufficiale giudiziario perché provveda alla
notifica.
22. Le
decisioni che beneficiano del riconoscimento nel Regolamento
Come
nella Convenzione di Bruxelles ed in altri strumenti «doppi», le norme del
Regolamento sulla competenza
e sulla litispendenza sono funzionali al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni fra gli Stati
membri.
Il
Regolamento si applica alle decisioni con cui viene disposto il divorzio, la
separazione personale o l’annullamento del matrimonio, ma non alle decisioni di rigetto delle relative domande. Questa
distinzione si desume sia dal testo dell’art. 13 (che parla di decisioni «di
divorzio, di separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio»),
ma soprattutto dal punto 15
del preambolo (secondo cui il termine decisione «si riferisce unicamente
alle decisioni che dispongono
il divorzio, la separazione personale o l’annullamento del matrimonio»).
La conseguenza
di tale impostazione è che, pur in presenza di una decisione di rigetto e dopo
il passaggio in giudicato di essa, la medesima domanda (o altra domanda in
materia matrimoniale) potrà essere riproposta dinanzi ai giudici di un altro
Stato membro dell’Unione, ed in caso di nuovo rigetto, dinanzi ai giudici di un
terzo Stato, e così via, sino ad esaurire la gamma dei fori competenti in base
all’art. 2 del Regolamento.
A
parte tale restrizione, il concetto di decisione accolto nel Regolamento è
molto ampio, essendovi
ricompresi:
·
le decisioni emesse da un
giudice, qualunque sia la loro denominazione (sentenza, decreto o ordinanza),
ma anche
·
i provvedimenti
emanati da un’autorità amministrativa
(art. 1, par. 2),
·
gli atti pubblici formati ed
aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro nonché
·
gli accordi conclusi dinanzi
ad un giudice (o ad un’autorità amministrativa) e esecutivi nello Stato d’origine (art. 13, par. 3).
Vi rientrano inoltre
·
i provvedimenti provvisori e
cautelari.
·
Sono riconosciute
altresì le decisioni dei tribunali ecclesiastici relative all’invalidità del
matrimonio se e quando producono degli effetti civili, com’è previsto in certi
casi dal Concordato tra la Santa Sede e il Portogallo del 7 maggio 1940 (art.
40, par. 2 del Regolamento). Lo stesso vale, dal punto di vista italiano, se si
accoglie la tesi secondo cui le decisioni dei tribunali ecclesiastici sono
automaticamente riconosciute in Italia in virtù dell’art. 64 della legge n.
218. Per contro, se si ritiene che gli effetti civili di tali decisioni restino
subordinati ad una sentenza di delibazione, è tale sentenza statale che
beneficia delle norme sul riconoscimento contenute nel Capo III del Regolamento
(art. 40, par. 3).
23. Riconoscimento
«automatico» e motivi di diniego nel Regolamento
Il
riconoscimento
delle decisioni ha luogo senza
che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, analogamente a quanto previsto dalla
Convenzione di Bruxelles e, in Italia, dall’art. 64 della legge n. 218.
Il
Regolamento indica espressamente la conseguenza principale di tale carattere automatico,
precisando (art. 14, par. 3),
che non è necessario alcun
procedimento per l’aggiornamento delle iscrizioni nei registri dello stato
civile dello Stato richiesto, a condizione che la sentenza modificativa
dello status matrimoniale delle
persone interessate sia passata in giudicato nello Stato d’origine. Sotto
questo profilo, il nuovo regime comunitario corrisponde a quello risultante in
Italia dagli art. 64 e 67 della legge n. 218, così come interpretati dalla
circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 7 gennaio 1997.
Come
l’art. 67, anche il Regolamento prevede che ogni parte interessata può far
dichiarare che la decisione deve essere o non può essere riconosciuta. Il
procedimento è quello previsto per la dichiarazione di esecutività, ma mira ad
ottenere una sentenza di mero accertamento.
Il
riconoscimento di
decisioni in materia matrimoniale può essere rifiutato:
a) nel caso di contrasto (che dev’essere «manifesto») con l’ordine pubblico dello Stato richiesto;
b)
quando la decisione
è stata resa in contumacia,
se l’atto introduttivo non
è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e
in modo tale che questi possa presentare le proprie difese, salvo che sia
accertato che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione;
c)
nel caso di contrasto con una decisione resa tra le
stesse parti nello Stato
richiesto o
d)
nel caso di contrasto con una decisione resa tra le
stesse parti in un altro
Stato membro o in un paese terzo, la quale soddisfi le condizioni
prescritte per essere riconosciuta nello Stato richiesto.
Dovrà
ancora precisarsi che, secondo l’art. 18, il riconoscimento di una decisione di divorzio,
separazione personale o annullamento del matrimonio non può essere negato perché la legge dello
Stato membro richiesto non
prevede per i medesimi fatti il divorzio, la separazione personale o
l’annullamento del matrimonio.
In
ogni caso è chiaro che il
riesame del merito è sempre escluso.
24. L’esecuzione
delle decisioni relative alla potestà dei genitori nel Regolamento
Le
norme sull’esecuzione delle decisioni straniere contenute nella sezione 2 del Capo III del
Regolamento si applicano alle
sole decisioni relative alla potestà dei genitori, dato che le decisioni matrimoniali
(nei limiti in cui sono disciplinate dal regolamento, con esclusione cioè di
tutti gli aspetti patrimoniali) non sono suscettibili di vera e propria esecuzione. Si tratta,
dunque, delle decisioni relative
·
all’affidamento
dei figli comuni ed
·
all’esercizio del diritto di visita, nonché
·
delle altre decisioni relative alla
potestà dei genitori.
Le
decisioni relative alla potestà dei genitori, emesse da un giudice di un Paese
membro, in forza del regolamento in esame possono dunque essere eseguite in altro Stato
membro; ciò purché ricorrano (art. 21) tre condizioni:
a)
siano esecutive per lo Stato
che le ha emesse;
b)
siano state notificate all’altra
parte (tenuta a darvi esecuzione);
c)
siano state dichiarate esecutive
nello Stato richiesto (tuttavia nel Regno Unito la decisione è eseguita solo
dopo esservi stata registrata per esecuzione, su istanza della parte
interessata).
L’art. 15, comma 2,
individua i casi in cui una decisione concernente la potestà dei genitori non può essere riconosciuta
(e di conseguenza dichiarata esecutiva), così individuando – in negativo – il
contenuto della condizione sub c).
Nell’ambito
di applicazione del Regolamento (dunque per le decisioni rese in altri Stati
membri in occasione di procedimenti matrimoniali rispetto ai figli di entrambi
i coniugi), la procedura
di exequatur ivi prevista sostituirà
quella contemplata dal diritto interno o da altri strumenti
internazionali, come la Convenzione europea del 20 maggio 1980 sul
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori
e di ristabilimento dell’affidamento, rispetto alla quale il Regolamento
prevale a norma dell’art. 37. Dal punto di vista italiano, tale procedura
prevale su quella prevista dall’art. 4 della legge n. 64 del 1994; la competenza per dichiarare
l’esecutività non spetta al tribunale per i minorenni, ma alla Corte d’appello (giudice
designato dall’Italia nell’allegato I del Regolamento).
La
procedura prevista
per la dichiarazione di esecutività, è di tipo sommario, in cui il contraddittorio è differito e
soltanto eventuale, subordinato ad un’opposizione della parte contro la quale
l’esecuzione viene richiesta (si vedano in particolare gli art. 24 e 26 del
Regolamento).
Sarà
utile ricordare a questo punto che le norme sull’esecuzione in tema di potestà
dei genitori sono destinate
ad essere sostituite, come si è già accennato, dal regolamento che sarà
emanato sulla base della proposta presentata il 3 maggio 2002. Tale regolamento abrogherà il
regolamento qui in commento, riproducendo in buona sostanza le norme in tema di
decisioni in materia matrimoniale, e modificando in maniera piuttosto incisiva
quelle circa la potestà dei genitori (e tra queste, in particolare, quelle in
tema di esecuzione: cfr. artt. 45 ss.).
(*) Il presente schema
ipertestuale di relazione è stato presentato al convegno dal titolo «La
cooperazione giudiziaria in questioni civili», organizzato dalla Corte
d’Appello di Torino, Ufficio dei Referenti per la Formazione Decentrata e
svoltosi a Torino il 31 maggio 2002. Il lavoro si basa largamente sui
contributi di Giacalone e Bonomi, citati nella nota bibliografica.
Il lavoro è pubblicato in forma ipertestuale nel sito dell’autore,
all’indirizzo web seguente:
https://www.giacomooberto.com/regolamentouetorino/schema.htm.