BREVE PRONTUARIO PER LE CAUSECHE
PRESENTANO ELEMENTI DI ESTRANEITÀ (QUESTIONI
PROCESSUALI) |
SOMMARIO |
COSA SI INTENDE PER ELEMENTO DI ESTRANEITÀ ALL’ORDINAMENTO ITALIANO |
Per elemento
di estraneità all’ordinamento giuridico italiano deve intendersi ognuna di
quelle particolari situazioni che, stando alla legislazione italiana, comportano un conflitto con una o più
legislazioni straniere, determinando così l’applicabilità delle norme italiane di diritto internazionale
privato e processuale (o norme di conflitto). L’elemento di estraneità è il
presupposto dell’applicazione delle norme di conflitto e del richiamo
dell’ordinamento straniero: l’esempio più «classico» di elemento di estraneità
è la nazionalità non italiana dei soggetti del rapporto; l’elemento di
estraneità può essere indicato esplicitamente dal legislatore oppure ricavarsi
per implicito. Tale elemento di estraneità può altresì comportare problemi
sotto il profilo della giurisdizione del
giudice adito, comportando poi anche la possibilità che, quanto meno in
astratto, un processo sia di fatto instaurato parallelamente di fronte ad
autorità giudiziarie di più Paesi, con conseguenti eventuali ricadute anche per
ciò che attiene al riconoscimento ed all’esecuzione in uno Stato di una
sentenza emessa da un giudice di uno Stato diverso.
Al riguardo possono venire in considerazione – alla
stregua di elementi di estraneità – profili quali, ad esempio, la cittadinanza dei soggetti coinvolti, il
loro domicilio o la loro residenza, la collocazione all’estero di un determinato bene, la conclusione all’estero di un certo negozio,
l’effettuazione all’estero di una determinata formalità pubblicitaria, ecc.
Agli occhi del giudice italiano che si veda proporre
una causa caratterizzata dalla presenza di uno o più elementi di estraneità,
una fondamentale distinzione si
impone, quanto meno allo stato attuale, tra
Entrambi
questi profili sono regolati in Italia, in linea generale, dalla legge fondamentale in materia, vale a dire la Legge 31
maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale
privato). Peraltro, sul primo punto, cioè quello della giurisdizione italiana, nonché del riconoscimento e dell’esecuzione
delle sentenze straniere è
largamente intervenuta la normativa
comunitaria. Ne consegue la necessità di distinguere, innanzi tutto, tra estraneità «comunitaria» e
«extracomunitaria». La predetta normativa è altresì intervenuta (e lo farà sicuramente
ulteriormente con maggiore ampiezza nel prossimo futuro) sul tema del diritto applicabile.
Il primo
punto (accertamento della competenza giurisdizionale, litispendenza,
connessione, riconoscimento ed esecuzione di decisioni straniere) si iscrive in
quella che definisco (in modo certamente improprio, ma facilmemente
memorizzabile) l’ «ottica di Bruxelles»,
cioè l’ottica in cui si sono posti i regolamenti «soprannominati» Bruxelles I,
Bruxelles II, Bruxelles II bis, volti
ad affrontare il tema dell’individuazione, per le cause transfrontaliere, del
giudice dotato di competenza
giurisdizionale, delle conseguenti questioni di litispendenza e di connessione,
nonché del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni giurisdizionali;
·
per un breve excursus dalla convenzione di Bruxelles al Regolamento
Bruxelles I e al Reg. Bruxelles II e II bis
cfr. la pagina web seguente: http://giacomooberto.com/giornataeuropea2007/contenzioso_ue_I.htm
Il secondo
punto (diritto applicabile) è invece riferibile a quella che (sempre
impropriamente) chiamo l’«ottica di Roma»,
cioè l’ottica in cui si sono posti i regolamenti detti «Roma I», «Roma II»,
nonché «Roma III», ma anche il regolamento del 2012 in tema di successioni ed
il regolamento del 2009 in materia alimentare: vale a dire l’idea di uno
strumento comunitario volto a dettare una disciplina
uniforme sulla legge applicabile
(da parte del giudice che sia stato individuato sulla base dei criteri
comunitari attributivi di competenza giurisdizionale; legge che non
necessariamente sarà quella del Paese del giudice come sopra individuato):
·
storia della proposta «Roma III», sul diritto applicabile alle cause di
separazione e divorzio, su cui v. le pagine web
seguenti:
o http://giacomooberto.com/giornataeuropea2007/contenzioso_ue_II.htm
o http://giacomooberto.com/farnesina2010/oberto_traccia_relazione.htm
·
successiva proposta di cooperazione rafforzata; cfr. il sito web seguente: http://conflictoflaws.net/2010/commissions-proposal-on-applicable-law-to-divorce
;
·
successivo Regolamento(UE) N. 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre
2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della
legge applicabile al divorzio e alla separazione personale; cfr. il sito web seguente: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1404831413353&uri=CELEX:32010R1259.
·
per le situazioni temporalmente riferibili ad un periodo anteriore
all’entrata in vigore del Regolamento Roma III, quanto al diritto applicabile,
valgono ancora le norme di d.i.p. anche nelle cause «europee»: artt. 29, 30 e
31, Legge 31 maggio 1995,
n. 218.
La prima domanda da porsi, allorquando ci si trova
di fronte ad un elemento di estraneità, è dunque se esso coinvolga o meno uno
degli ordinamenti dei Paesi dell’U.E., o, più esattamente, di uno qualsiasi dei
26 dell’U.E. ad eccezione della
Danimarca, posto che tale Paese, quanto meno per il momento, ha deciso di
restare fuori dal meccanismo
di comunitarizzazione della cooperazione giudiziaria in materia civile.
Peraltro sarà opportuno precisare che dal 29
giugno 2007 la Danimarca ha deciso di aderire a due regolamenti comunitari
già in vigore, vale a dire quello n. 44/2001 sulla
giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione in materia civile e commerciale
(c.d. Bruxelles I), nonché a quello n. 1348/2000 sulla
notificazione di atti civili e commerciali in materia civile e commerciale.
In caso di risposta positiva all’interrogativo di
cui sopra, dunque, molte delle norme che troviamo nel testo legislativo
fondamentale in materia di diritto internazionale privato e processuale (la legge n. 218 del 1995)
non potranno trovare applicazione, dovendosi
invece applicare i regolamenti dell’U.E.
Ma non basta ancora. Lo stesso art. 2
della l. n. 218 del 1995 stabilisce che «Le
disposizioni della presente legge non pregiudicano l’applicazione delle
convenzioni internazionali in vigore per l’Italia». Ne deriva che, una
volta esclusa l’applicabilità di norme comunitarie (perché l’elemento di
estraneità non si riferisce ad uno dei 26 Paesi menzionati, ovvero perché
riguarda un aspetto non – o non ancora – disciplinato dai regolamenti in
materia), il giudice dovrà chiedersi se per caso non occorra avere riferimento
alle norme di un trattato internazionale eventualmente esistente ed in vigore
in materia, applicabile in Italia per effetto della sottoscrizione e della
ratifica dello stesso da parte del nostro Paese.
Come si desumerà dalla lettura di questo prontuario,
la materia è tutt’altro che agevole, oltre che in fase di continua e magmatica trasformazione.
La possibilità di commettere errori è quindi altissima e costituisce, anzi, una
delle poche certezze di questa disciplina.
A complicare ulteriormente le cose interviene quello
che si potrebbe definire il rilievo
«extracomunitario» ed «ecumenico» delle disposizioni di taluni regolamenti.
Si pensi alle disposizioni in materia di competenza giurisdizionale dettate,
per le cause della crisi coniugale, dal Regolamento n. 2201 del 2003 (Bruxelles
II bis); disposizioni che, tanto in
base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia CEE, che per i giudici
italiani, trovano applicazione anche in relazione a controversie di separazione
personale, divorzio o annullamento del matrimonio tra cittadini
extracomunitari:
·
cfr. quanto rimarcato alla pagina web
seguente:
http://giacomooberto.com/farnesina2010/oberto_traccia_relazione.htm#para2
Sarà opportuno ricordare a questo punto che gli
interventi sul piano del diritto comunitario, sui due punti sopra evidenziati,
vale a dire:
a) «ottica di Bruxelles», cioè disciplina uniforme di
1. competenza giurisdizionale,
2. litispendenza e connessione,
3. riconoscimento ed esecuzione
di decisioni straniere, nonché
b) «ottica di Roma», cioè disciplina uniforme delle regole di d.i.p. sul diritto
applicabile,
costituiscono parte integrante di ciò che va sotto
il nome di cooperazione giudiziaria in
materia civile.
Nel contesto del complesso meccanismo
di comunitarizzazione della cooperazione giudiziaria in materia civile,
tale attività trova oggi la sua base
legale nell’art. 81 della Versione
consolidata del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento
dell’Unione europea (2008/C 115/01) (c.d. Trattato di Lisbona) che stabilisce
quanto segue:
Articolo 81 (ex articolo 65 del TCE) 1. L’Unione sviluppa una cooperazione
giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata
sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed
extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese
a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo
e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria,
adottano, in particolare se necessario al buon funzionamento del mercato
interno, misure volte a garantire: a) il riconoscimento reciproco tra gli
Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione; b) la notificazione e la comunicazione
transnazionali degli atti giudiziari ed extragiudiziali; c) la compatibilità delle regole
applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di giurisdizione; d) la cooperazione nell’assunzione dei mezzi di
prova; e) un accesso effettivo alla giustizia; f) l’eliminazione degli ostacoli al corretto
svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la
compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati
membri; g) lo sviluppo di metodi alternativi per la
risoluzione delle controversie; h) un sostegno alla formazione dei magistrati e
degli operatori giudiziari. 3. In deroga al paragrafo 2, le misure relative al
diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal
Consiglio, che delibera secondo una procedura legislativa speciale. Il
Consiglio delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Il Consiglio, su proposta della Commissione, può
adottare una decisione che determina gli aspetti del diritto di famiglia
aventi implicazioni transnazionali e che potrebbero formare oggetto di atti
adottati secondo la procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio delibera
all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. I parlamenti nazionali sono informati della
proposta di cui al secondo comma. Se un parlamento nazionale comunica la sua
opposizione entro sei mesi dalla data di tale informazione, la decisione non
è adottata. In mancanza di opposizione, il Consiglio può adottare la
decisione. |
In uno scenario tanto complesso, un valido punto di
riferimento è costituito dalla Rete
giudiziaria europea in materia civile e commerciale, il cui sito web (che mi ha fornito un imprescindibile
aiuto per la redazione del presente prontuario) è consultabile all’indirizzo
seguente:
http://ec.europa.eu/civiljustice/index_it.htm.
Di grande interesse è anche il Portale
europeo della giustizia elettronica (presso il quale anche il
precedente sito migrerà).
Un’altra interessante fonte di informazioni si
rinviene nel sito della Commissione,
più esattamente nella parte di esso dedicata alla Cooperazione giudiziaria in
materia civile:
Da
un punto di vista pratico, poi, indispensabile è il riferimento all’Atlante giudiziario europeo in materia civile:
http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html/index_it.htm.
INDIVIDUAZIONE DELLA NOSTRA COMPETENZA GIURISDIZIONALE GENERALITÀ |
La prima domanda che il giudice italiano deve porsi,
una volta investito della trattazione di una controversia coinvolgente uno o
più elementi di estraneità, è quella di vedere se egli sia fornito di competenza giurisdizionale, ovvero se, al
contrario, tale competenza spetti ad un giudice straniero. La materia è
disciplinata dalla normativa comunitaria
per ciò che attiene ai rapporti con gli ordinamenti degli altri Paesi
dell’U.E., ad eccezione della Danimarca (fatta peraltro salva la precisazione
per cui dal 29
giugno 2007 la Danimarca ha deciso di aderire a due regolamenti comunitari
già in vigore, vale a dire quello n. 44/2001 sulla
giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione in materia civile e commerciale
(c.d. Bruxelles I), nonché a quello n. 1348/2000 sulla
notificazione di atti civili e commerciali in materia civile e commerciale e,
ovviamente, nel solo ambito delle questioni disciplinate, in relazione a singole materie, dal vigente diritto comunitario.
Per gli altri Paesi debbono trovare
applicazione vuoi (e, naturalmente, con priorità rispetto alla normativa di
diritto internazionale privato italiano) le eventuali convenzioni internazionali vigenti ed applicabili all’Italia (oltre
che, ovviamente, al Paese di volta in volta coinvolto dall’elemento di
estraneità), vuoi (in assenza di convenzioni internazionali sul punto) le norme
di cui alla l. 218 del 1995. Si noti
che queste ultime copriranno però anche quei profili di rapporti
intra-comunitari non regolati – o non ancora regolati – dalla normativa
dell’U.E.: si pensi, ad es., alla materia dei regimi patrimoniali fra coniugi o
tra conviventi nell’ambito di una partnership
registrata (fin tanto che, ovviamente, non varrà regolato l’apposito
regolamento, attualmente allo stato di mera proposta).
Le materie
disciplinate dalla normativa dell’U.E.
in punto competenza giurisdizionale attengono ai profili seguenti:
§
fiscale, doganale ed amministrativa,
§
stato e capacità delle persone fisiche,
§
regime patrimoniale fra coniugi,
§
testamenti e successioni,
§
fallimenti, concordati e procedure affini,
§
sicurezza sociale,
§
arbitrato;
§
le cause del divorzio,
§
gli effetti del matrimonio sui rapporti patrimoniali o
§
altri provvedimenti accessori ed eventuali;
§
determinazione o impugnazione della filiazione,
§
adozione, misure che la preparano, annullamento o revoca dell’adozione,
§
nomi e cognomi del minore,
§
emancipazione,
§
obbligazioni alimentari,
§
trust e successioni,
§
provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi da minori;
§
le imprese assicuratrici o
§
gli enti creditizi,
§
le imprese d’investimento che forniscono servizi che implicano la
detenzione di fondi o di valori mobiliari di terzi,
§
gli organismi d’investimento collettivo.
Come già anticipato, se l’elemento di estraneità non concerne un Paese U.E. (ovvero riguarda
la Danimarca, con la precisazione sopra apportata sui regolamenti n. 44/2001 e
1348/2000), ovvero ancora se la materia in oggetto non è «coperta» dalla disciplina
dei regolamenti comunitari (si pensi alla materia dei regimi patrimoniali fra
coniugi o tra conviventi), occorre chiedersi, innanzi tutto, se la questione
sia o meno regolata da una specifica convenzione
internazionale. Di solito le
convenzioni internazionali non si occupano di profili di competenza
giurisdizionale, limitandosi a disciplinare questioni legate al diritto
applicabile. Fanno eccezione
In difetto di
un’apposita convenzione internazionale dovrà trovare applicazione la
disciplina dettata in linea generale dalla già citata l. n. 218
del 1995 ed in particolare dagli artt.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti rinvio
allo studio dal titolo Schema ipertestuale di una relazione sul
tema: la cooperazione giudiziaria in materia civile nell’ambito dei Paesi
dell’Unione Europea. La rete europea di formazione giudiziaria, al
sito seguente:
https://www.giacomooberto.com/csm/uditori/cooperazionecivile.htm.
INDIVIDUAZIONE DELLA NOSTRA COMPETENZA GIURISDIZIONALE RISPETTO AI PAESI U.E. IN MATERIA CIVILE E COMMERCIALE |
Sommario: a) Generalità b) A quali materie si applica il regolamento? c) Quali sono i criteri di competenza giurisdizionale?
d) Problemi pratici in materia di competenza
giurisdizionale e)
Cosa succede se vengono aditi i tribunali di due diversi Stati membri per una
stessa controversia? f) La “rifusione” del Regolamento Bruxelles I.
Il Regolamento Bruxelles I bis. |
Il 22 dicembre 2000 l’Unione Europea ha adottato il
regolamento denominato, secondo il numero che è venuto ad assumere l’anno successivo,
regolamento
del Consiglio (CE) n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
Tale atto stabilisce norme sulla competenza giurisdizionale per le cause di
dimensione internazionale che coinvolgano più di uno Stato membro. Esso
sostituisce e modifica il contenuto della convenzione
di Bruxelles relativa alla competenza giurisdizionale e alla esecuzione di
decisioni in materia civile e commerciale conclusa tra gli Stati membri nel
1968. Il regolamento è direttamente applicabile in tutta l’Unione, compresa
ormai anche la Danimarca.
b) A quali materie si
applica il regolamento?
Come si è già accennato, il regolamento (art. 1)
si applica alle controversie in materia civile
e commerciale, con esclusione
delle materie seguenti:
§
fiscale, doganale ed amministrativa,
§
stato e capacità delle persone fisiche,
§
regime patrimoniale fra coniugi,
§
testamenti e successioni,
§
fallimenti, concordati e procedure affini,
§
sicurezza sociale,
§
arbitrato.
c) Quali sono i criteri di
competenza giurisdizionale?
In linea di massima, il fattore che determina la
competenza giurisdizionale è il domicilio del convenuto. I cittadini
domiciliati in uno Stato membro devono essere citati in giudizio, a prescindere
dalla loro nazionalità, dinanzi ai tribunali di tale Stato membro (cfr. art. 2).
Il regolamento contiene tuttavia una serie di disposizioni che si discostano da
tale principio e consentono di adire i tribunali anche (cioè in alternativa, a scelta dell’attore, rispetto al foro
generale sopra descritto) di un altro
Stato membro diverso da quello in cui è domiciliato il convenuto (cfr.
artt. da 5
a 21).
Gli esempi più importanti di tali norme speciali possono essere sintetizzati come
segue:
Le norme di cui sopra rappresentano un’opportunità
supplementare per l’attore, che può
anche scegliere di citare il convenuto dinanzi ai tribunali dello Stato membro
in cui quest’ultimo risiede. Vi sono, tuttavia,
alcuni casi di cosiddetta competenza esclusiva che non sono
supplementari ma sostituiscono la competenza basata sul domicilio del convenuto
(cfr. art. 22).
Per esempio,
A determinate condizioni, il semplice fatto che il
convenuto si costituisca in giudizio determina la competenza
giurisdizionale del tribunale di tale Stato membro, anche se esso normalmente
non sarebbe competente (art. 24).
Si noti poi che, ex
art. 25
del citato Regolamento, l’incompetenza
giurisdizionale va dichiarata ex officio
solo in relazione alle situazioni descritte dall’art. 22, ovvero quando il
convenuto non si sia costituito. La regola è però stata mutata dal
successivo Regolamento Bruxelles I bis (su cui v. infra).
È opportuno ricordare che la descrizione di cui
sopra delle norme sulla competenza giurisdizionale secondo il regolamento non è
esauriente né sufficientemente completa per consentire una valutazione
affidabile della questione della competenza giurisdizionale in un caso
concreto. Per avere un quadro completo
vanno studiati gli artt. 2-24 del Regolamento, consultabile al sito web seguente:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32001R0044:IT:HTML
d) Problemi pratici in
materia di competenza giurisdizionale
Sarà ora opportuno attirare l’attenzione su alcuni problemi
pratici in tema di individuazione della competenza giurisdizionale.
A) Il criterio generale, come si è detto, è quello
del domicilio del convenuto. Ciò significa che si prescinde nel modo
più assoluto da altri elementi, quali, ad esempio la nazionalità delle parti. Così, ad esempio, un cittadino britannico
potrà convenire in giudizio in Italia un altro cittadino britannico, purché
quest’ultimo sia domiciliato nel nostro Paese.
B) Il domicilio delle persone fisiche va
determinato sulla base della lex fori (e dunque, per noi, della legge
italiana): cfr. art. 59
del regolamento, mentre quello delle persone giuridiche e delle società
va determinato secondo i criteri stabiliti dall’art.
60.
C) In materia di pagamento del prezzo di una
compravendita il forum destinatae solutionis, per quanto possa
sembrare bizzarro, non è quello di domicilio del venditore-creditore, ma
quello del luogo di consegna della merce (art. 5.1.b).
Ne consegue che il venditore italiano non potrà convenire in giudizio in Italia
il compratore lituano per il pagamento del prezzo, ma dovrà agire in Lituania…
Posta tale premessa, ne consegue che il nostro venditore non potrà neppure
chiedere ad un giudice italiano l’emanazione di un decreto ingiuntivo, con
conseguente vanificazione dei benefici effetti prodotti dalla abrogazione
dell’ult. cpv. dell’art. 633 c.p.c.
·
Da notare che anche la Corte di
Cassazione ha stabilito che, in tema di vendita internazionale di cose
mobili, va tenuto conto del «principio della prevalenza del Regolamento
comunitario 44/01 - così come interpretato da questa Corte in tema di
individuazione del giudice competente a conoscere delle questioni sorte in
ordine all’obbligazione di pagamento - sulle disposizioni dettate, in subiecta materia, dalla Convenzione
di Vienna. L’identificazione del “luogo
di consegna” in ipotesi di merci da trasportare va compiuta, pertanto, sulla
scorta del medesimo criterio (economico) unificante del luogo “finale” di
destinazione delle merci con riferimento a tutte le obbligazioni reciprocamente
nascenti dal contratto (ivi inclusa quella di pagamento)» (cfr. Cass., 5 ottobre 2009, n.
21191).
·
Per ulteriori approfondimenti al riguardo cfr. la decisione del Trib.
Rovereto, alla pagina web seguente: http://cisgw3.law.pace.edu/cases/040828i3.html.
D) In materia di pagamento di prestazioni di servizi (contratto d’opera, appalto di
servizi), competente è sempre il giudice del luogo in cui il servizio è stato prestato. Infatti, come stabilito dalla Corte
di Cassazione (cfr. Cass., Sez. Un., 1 febbraio 2010, n. 2224), «In tema di
giurisdizione, l’art. 5, n. 1, lett. b) del Regolamento CE n. 44/2001 va
interpretato nel senso che, nei contratti di prestazione di servizi, per
obbligazione dedotta in giudizio si intende non quella fatta valere
dall’attore, ma soltanto l’obbligazione caratterizzante il contratto e, dunque,
nei contratti anzidetti, proprio la prestazione del servizio. Ne consegue che,
anche in caso di azione relativa al semplice pagamento del corrispettivo per il
servizio prestato, il luogo da considerare, ai fini della competenza
giurisdizionale, è quello in cui il servizio è stato reso. (Nella specie, le
S.U., in controversia promossa, tramite decreto ingiuntivo poi opposto, da una
società con sede legale in Italia nei confronti di una società con sede legale
nel Regno Unito, hanno dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice
italiano, in favore della giurisdizione del giudice austriaco, giacché
l’attività contrattualmente pattuita era da reputarsi prestazione di servizi
resa in Austria dalla società opponente)».
E) Per quanto attiene alle clausole contrattuali attributive della competenza, esse sono
valide se rispettose dei criteri di cui all’art. 23, ma
occorre in primo luogo verificare che almeno
una delle parti abbia il suo domicilio sul territorio di uno Stato membro.
Ciò significa che, ad esempio, due cittadini americani, di cui uno domiciliato
in Gran Bretagna, potranno convenzionalmente attribuire competenza
giurisdizionale al Giudice italiano.
Può capitare che entrambe le parti di una
controversia promuovano un’azione su una stessa questione in diversi Stati
membri. In tale situazione il regolamento stabilisce fondamentalmente la norma
secondo cui «chi prima arriva è servito
per primo» (first come best served, ovvero prior tempore potior iure). Il tribunale adito per ultimo deve sospendere
il procedimento e attendere che l’altro tribunale decida sulla competenza
giurisdizionale (art. 27).
Se il tribunale adito per primo si
ritiene competente, l’altro tribunale deve dichiarare la propria incompetenza.
Solo se il tribunale adito per primo giunge alla conclusione di non essere
competente, l’altro tribunale può procedere.
Un altro profilo importante di cui occorre tenere conto
è costituito dal criterio d’applicazione ratione temporis. Per quanto
attiene, in particolare, alle regole sulla competenza, occorre avere riguardo
alla data di inizio della controversia.
Le disposizioni del Regolamento, invero,
sono applicabili solo in relazione alle controversie instaurate a partire dal
1° marzo 2002. Per le cause iniziate precedentemente valgono le norme della
Convenzione «Bruxelles I» (non sempre esattamente coincidenti con quelle del
regolamento), purché, ovviamente, i procedimenti siano cominciati dopo
l’entrata in vigore della Convenzione stessa (art. 66).
f) La “rifusione” del Regolamento
Bruxelles I. Il Regolamento Bruxelles I bis.
Il Consiglio dell’Unione europea ha approvato in
prima lettura, nella riunione del 6 e 7 dicembre 2012, il testo della rifusione
(“refonte”) del regolamento n. 44/2001 concernente la competenza
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia
civile e commerciale (“Bruxelles I”). Il testo approvato dal Consiglio
corrisponde a quello contenuto nella risoluzione legislativa approvata dal
Parlamento europeo il 20 novembre scorso. Trattasi del Regolamento
1215/2012, recante la rifusione del regolamento “Bruxelles I” sulla
giurisdizione e l’efficacia delle decisioni in materia civile e commerciale. Qui
in breve le principali innovazioni.
1. Rilievo
d’ufficio del difetto di competenza giurisdizionale
Ai sensi dell’articolo 27, l’autorità
giurisdizionale di uno Stato membro, se investita a titolo principale di una
controversia per la quale l’articolo 24 stabilisce la competenza esclusiva di un’autorità
giurisdizionale di un altro Stato membro, dichiara d’ufficio la propria
incompetenza. Ai sensi del successivo art. 28, se il convenuto domiciliato in
uno Stato membro è citato davanti a un’autorità giurisdizionale di un altro
Stato membro e non compare, l’autorità giurisdizionale dichiara d’ufficio la
propria incompetenza, a meno che non sia competente in base alle disposizioni
del presente regolamento.
2. Litispendenza ed
accordi di elezione di foro
Una delle principali
innovazioni riguarda il rapporto tra la regola in materia di litispendenza
basata sul rigido criterio della priorità temporale e gli effetti di un accordo
di elezione di foro.
Il testo del regolamento
prevede che, qualora sia adito un giudice di uno Stato membro munito di competenza
giurisdizionale esclusiva in base ad un accordo di elezione di foro concluso ai
sensi del regolamento stesso, ogni altro giudice di un diverso Stato membro
dovrà sospendere il procedimento in attesa che il giudice designato
nell’accordo si sia pronunciato sulla propria competenza giurisdizionale,
potendo porre termine alla sospensione solo qualora detto giudice abbia negato
la propria competenza giurisdizionale.
3. Determinazione del
momento iniziale dei due giudizi
Il testo della refonte
del regolamento semplifica le modalità operative della regola stessa della
litispendenza, prevedendo, al fine della determinazione del momento in cui
ciascuno dei giudici avanti a cui pendano i procedimenti paralleli sia stato
adito, la quale dovrà farsi in base alle medesime regole come ora contenute
nell’art. 30 del Regolamento, l’obbligo per ciascuno dei giudici aditi di
comunicare, su richiesta degli altri giudici, il momento in cui sia stato adito
in conformità alle stesse regole.
Si precisa che, con
riferimento all’ipotesi in cui, come nel rito ordinario italiano, l’atto
introduttivo del giudizio debba essere notificato al convenuto prima di essere
depositato presso il giudice, come autorità competente per la notificazione
debba intendersi la prima autorità a ricevere l’atto da notificare.
4. Modifiche procedurali
in materia di connessione
Il testo della refonte
recepisce alcune modifiche nell’ottica di rendere più efficace la disciplina
della connessione contenuta nell’art. 28 del regolamento. La modifica incide sul
par. 2 della norma come ora contenuta nell’art. 30 della refonte, che
prevede la facoltà per i giudici successivamente aditi delle domande connesse
di declinare la propria giurisdizione su istanza di una delle parti,
modificandone i requisiti in senso più liberale, richiedendo che solo il
procedimento innanzi al giudice precedentemente adito debba essere pendente in
primo grado.
5. Litispendenza e
connessione con procedimenti pendenti innanzi a giudici di paesi terzi
La refonte
sostanzialmente introduce una disciplina complementare della litispendenza e
della connessione rispetto a procedimenti pendenti innanzi a giudici di paesi
terzi, destinata a coesistere con quella, inevitabilmente non omogenea, che
continua a regolare i rapporti tra procedimenti pendenti innanzi a giudici di
Stati membri diversi.
La nuova disciplina è
peraltro destinata ad applicarsi unilateralmente da parte dei soli giudici dei
paesi membri con riferimento alle situazioni nelle quali il processo parallelo
penda innanzi a un giudice di uno Stato terzo.
Nei termini in cui sono
formulate le disposizioni degli articoli 33 e 34 della refonte, tra i
fattori che il giudice dovrà tenere in considerazione al fine di decidere se
sospendere o meno il processo a favore del procedimento pendente innanzi ai
giudici di un paese terzo figurano, oltre ad elementi tipici della disciplina
della litispendenza e delle connessione internazionale, requisiti quali quello
della priorità temporale del processo pendente innanzi ai giudici dello Stato
terzo e la valutazione prognostica di riconoscibilità della decisione da
emanarsi da parte di tale giudice nello Stato membro del giudice adito. Esso
viene, peraltro, ad essere integrato nella proposta dall’ulteriore requisito
della prevedibile conclusione del processo in un tempo ragionevole.
Maggiormente vicino, invece, al modello della dottrina del forum non
conveniens si presenta invece il requisito che la sospensione sia
necessaria per una corretta amministrazione della giustizia.
6. Circolazione delle decisioni
Il Regolamento n. 1215/2012 (Bruxelles I bis)
apporta sostanziali modifiche in ordine al regime di circolazione
dell’efficacia esecutiva delle decisioni. L’art. 39 del nuovo testo
prevede, infatti, che “la decisione emessa in uno Stato membro che è esecutiva
in tale Stato membro è altresì esecutiva negli altri Stati membri senza che sia
richiesta una dichiarazione di esecutività”.
Seppure in una versione fondamentalmente diversa e
più attenuata rispetto a quella originariamente prefigurata dalla Commissione
nella sua proposta del dicembre 2010, il regolamento “Bruxelles I bis” generalizza,
estendendola a tutte le decisioni rese in materia civile e commerciale, la c.d.
abolizione dell’exequatur, vale a dire la soppressione di qualsiasi
procedura intermedia necessaria affinché l’esecutività di una decisione
resa in uno Stato membro possa manifestarsi anche in altro e diverso Stato
membro.
Pertanto, anche decisioni relative a crediti
“contestati” (estranee all’ambito di applicazione del regolamento n. 805/2004),
ovvero formatesi all’esito di procedimenti non uniformemente regolati a livello
europeo (ossia diversi da quelli istituiti dal regolamento n. 1896/2006 e dal
regolamento n. 861/2007) potranno immediatamente ed automaticamente valere
(anche) quale titolo esecutivo in tutti gli altri Stati membri senza che sia
ivi necessario preventivamente ricorrere al procedimento di exequatur.
Documenti di riferimento
INDIVIDUAZIONE DELLA NOSTRA COMPETENZA GIURISDIZIONALE RISPETTO AI PAESI EXTRA U.E. IN MATERIA CIVILE E COMMERCIALE |
Gli artt. 3
e 4
della l. 218 del
1995 dettano, innanzi tutto, due
fondamentali criteri generali di giurisdizione:
Seguono alcuni criteri
aggiuntivi. Il primo di essi è dato da un rinvio ad alcune disposizioni della
Convenzione
di Bruxelles, che assume perciò (ovviamente solo ed esclusivamente in parte qua) valore di norma di diritto
internazionale privato processuale italiano, anche in relazione a controversie
che coinvolgano elementi di estraneità «extracomunitari». Ai sensi del cpv. dell’art. 3,
infatti: «La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti
dalle Sezioni 2, 3 e 4 del Titolo II della Convenzione
concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi con la L. 21 giugno
1971, n. 804, e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorché
il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando
si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della
Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in
base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio».
Occorrerà dunque distinguere a seconda che si verta
o meno in materia rientrante tra quelle disciplinate dalla Convenzione
di Bruxelles:
In relazione a determinate specifiche materie, poi,
esistono regole speciali, tra le quali potranno ricordarsi:
Tali regole si
aggiungono comunque a quelle sopra indicate, senza escluderle, posto che ai
sensi dell’art. 3,
l. 218/1995 «La giurisdizione italiana sussiste (…) e negli altri casi in cui è prevista dalla legge». Ne consegue che,
per esempio, in materia di divorzio i criteri di cui all’art. 32
si aggiungeranno a quelli desunti dalla normativa in tema di competenza per
territorio (ex art. 3
cpv., seconda parte, in quanto materia non compresa nella convenzione di
Bruxelles).
Si noti che, ai sensi dell’art. 5
della l. n. 218 del
1995, «La giurisdizione italiana non sussiste rispetto ad azioni reali aventi
ad oggetto beni immobili situati
all’estero», mentre, ex art. 6,
«Il giudice italiano conosce, incidentalmente, le questioni che non rientrano
nella giurisdizione italiana e la cui soluzione è necessaria per decidere sulla
domanda proposta» (cioè le questioni
preliminari).
Per quanto attiene alla rilevabilità
del difetto di giurisdizione, l’art. 11 della l. n. 218 del 1995 stabilisce che «Il difetto di
giurisdizione può essere rilevato, in
qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che
non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana. E’ rilevato dal giudice d’ufficio,
sempre in qualunque stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, se ricorre l’ipotesi di cui all’art.
5, ovvero se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una
norma internazionale».
Si noti dunque la differenza rispetto a quanto stabilito dall’art. 25
del Regolamento 44/2001 («Bruxelles I»), secondo cui l’incompetenza giurisdizionale va dichiarata ex officio solo in relazione alle situazioni descritte dall’art.
22, ovvero quando il convenuto non si sia costituito.
Si tenga poi presente che, per quanto riguarda i
rapporti con l’Islanda, la Norvegia e la Svizzera, andrà fatto riferimento (in materia civile e commerciale) alla convenzione
di Lugano del 16 settembre
1988, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni
in materia civile e commerciale, che detta disposizioni analoghe alla
convenzione di Bruxelles. Da
notare che il 30 ottobre 2007 è stata firmata una nuova
convenzione di Lugano tra l’U.E. e alcuni paesi membri dell’EFTA -Svizzera,
Norvegia e Islanda- concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento
e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
Da
segnalare infine la convenzione dell’Aja del 30 giugno
2005, non ancora entrata
in vigore, sugli accordi in tema di elezione di foro (on Choice of Court Agreements), la quale
definisce come segue tali accordi: «“exclusive choice of
court agreement” means an agreement concluded by two or more parties that meets
the requirements of paragraph c) and designates, for the purpose of
deciding disputes which have arisen or may arise in connection with a
particular legal relationship, the courts of one Contracting State or one or
more specific courts of one Contracting State to the exclusion of the jurisdiction
of any other courts». La convenzione contiene regole in tema di competenza giurisdizionale,
riconoscimento ed esecuzione delle decisioni emesse dai giudici del foro
prescelto in base a siffatti accordi.
Documenti di riferimento
RICONOSCIMENTO ED ESECUZIONE DELLE DECISIONI GIUDIZIARIE IN MATERIA CIVILE E COMMERCIALE ALL’INTERNO DELL’UNIONE
EUROPEA |
Sommario: a)
Generalità. Distinzione tra riconoscimento ed esecuzione b) Il riconoscimento delle sentenze straniere c) L’esecuzione delle sentenze straniere |
a) Generalità. Distinzione tra riconoscimento ed esecuzione
Per dare esecuzione
ad una decisione di uno Stato membro in un altro Stato membro occorre
rivolgersi al giudice competente dello Stato membro nel quale è richiesta
l’esecuzione, per ottenere una dichiarazione di esecutività della decisione
straniera (exequatur). Conformemente
del resto a quanto stabilito dalla l. n. 218 del 1995 in tema di diritto
internazionale privato, il regolamento presenta una distinzione tra
Più esattamente
Il regolamento
(CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la
competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale, contiene norme relative al riconoscimento e
all’esecuzione in un altro Stato membro, relativamente, peraltro, alle sole materie disciplinate dal predetto
regolamento. Il regolamento, entrato in vigore il 1° marzo 2002, semplifica
la procedura per l’ottenimento di una dichiarazione di esecutività di una
decisione straniera, rispetto alla Convenzione
di Bruxelles del 1968 che sostituisce. Le disposizioni del regolamento sono
direttamente applicabili, il che significa che chiunque può avvalersene dinanzi
ad un tribunale.
b) Il riconoscimento delle
sentenze straniere
Per ciò che attiene al riconoscimento il regolamento (art. 33)
stabilisce che le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli
altri Stati membri senza che sia
necessario il ricorso ad alcun procedimento. In caso di contestazione, ogni parte interessata
che chieda il riconoscimento in via principale può far constatare che la
decisione deve essere riconosciuta, secondo le regole processuali fissate dal
regolamento stesso (artt. 38
ss.). Se il riconoscimento è richiesto in via incidentale davanti ad un giudice
di uno Stato membro, tale giudice è competente al riguardo.
Gli artt. 34 e 35
stabiliscono in quali casi una decisione straniera non può essere riconosciuta. Ciò avviene in particolare quando
Resta fermo che in nessun caso la decisione
straniera può formare oggetto di un riesame
del merito (art. 36).
c) L’esecuzione delle
sentenze straniere
In materia di esecuzione,
il regolamento stabilisce invece le norme seguenti:
Per ciò che attiene alla modulistica relativa agli attestati previsti dagli artt. 54, 57 e 58 del
regolamento si può rinviare ai documenti contenuti nel sito dell’Atlante giudiziario europeo in materia
civile, all’indirizzo web
seguente:
http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html/index_it.htm.
Per la soluzione di un quesito concreto
sull’individuazione del soggetto competente al rilascio del certificato di cui
all’art. 54
cit., se, cioè, il giudice che ha emesso il provvedimento ovvero il suo
cancelliere, si fa rinvio al parere
emesso il 21 gennaio 2005 dallo scrivente su richiesta del Presidente del
Tribunale di Torino.
Documenti di riferimento
ESECUZIONE DELLE DECISIONI GIUDIZIARIE IN MATERIA CIVILE E COMMERCIALE NELLE RELAZIONI CON I
PAESI EXTRA U.E. |
La convenzione
internazionale più rilevante in tema di esecuzione di decisioni giudiziarie (al
di là, ovviamente, della Convenzione di Bruxelles) è la già ricordata convenzione
di Lugano del 16 settembre 1988,
concernente la competenza
giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale,
che detta disposizioni analoghe alla convenzione di Bruxelles. Essa trova oggi
applicazione nelle relazioni con l’Islanda, la Norvegia e la Svizzera. Da notare che il 30 ottobre 2007 è stata
firmata una Nuova
Convenzione di Lugano tra l’U.E. e alcuni paesi membri dell’EFTA -Svizzera,
Norvegia e Islanda- concernente la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
Altre
convenzioni internazionali elaborate in questa materia non sono entrate in vigore. Si potrà
ricordare al riguardo la Convenzione
dell’Aia (testo
inglese), conclusa il 1° febbraio 1971, sul riconoscimento e l’esecuzione
delle decisioni straniere in materia civile e commerciale, che non è stata ratificata da un numero
sufficiente di Stati. Esiste un altro progetto di convenzione mondiale
sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni, in fase di
negoziato alla Conferenza
dell’Aia di diritto internazionale privato.
D’altra parte, l’esecuzione di una decisione giudiziaria è considerata parte
integrante del diritto fondamentale dell’uomo ad un processo equo entro un
termine ragionevole ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. In questo contesto, il Consiglio d’Europa ha adottato nel 2001
una risoluzione (testo
inglese) relativa ad un «approccio generale ed i mezzi per raggiungere
un’attuazione efficace dell’esecuzione delle decisioni giudiziarie». Nel 2003
il Consiglio d’Europa ha emanato una raccomandazione
– Rec (2003) 17 –, intesa a stabilire norme e principi comuni sul piano europeo
concernenti le procedure d’esecuzione e gli ufficiali giudiziari (testo inglese). Di un certo
interesse è anche il tema della posizione assunta dalla Corte Europea dei
diritti dell’Uomo sulla rilevanza della procedura esecutiva ex art. 6 della Convenzione, per cui
faccio rinvio al mio articolo dal titolo The Reasonable Time
Requirement in the Case-Law of the European Court of Human Rights (cfr. in
particolare il §
6).
Convenzioni bilaterali
L’Italia ha concluso convenzioni bilaterali con paesi extra U.E. aventi per oggetto il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giudiziarie. Informazioni al riguardo
potranno essere richieste all’Ufficio per il coordinamento dell’attività
internazionale costituito presso il
Ministero della Giustizia, contattabile tramite il seguente indirizzo web:
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_11_7.wp;jsessionid=544505AE08958975202197A7FFA97847.ajpAL01.
Documenti di riferimento
IL TITOLO ESECUTIVO EUROPEO PER I CREDITI NON CONTESTATI |
Sommario: a) Generalità. Genesi del regolamento b) Quando si applica il regolamento? c) A quali crediti si applica il regolamento? d) Quando si considera «non contestato» un
credito? e) Quando il giudice deve rilasciare la certificazione
come titolo esecutivo europeo? f) Come si esegue il titolo esecutivo europeo? |
a) Generalità. Genesi del
regolamento
Benché la procedura per il riconoscimento e l’esecuzione del Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000 appaia relativamente semplice, il regolamento non elimina tutti gli ostacoli alla libera circolazione delle decisioni giudiziarie nell’Unione Europea e lascia in vigore misure intermedie (exequatur) che possono ritenersi ancora troppo restrittive.
A Tampere nell’ottobre
1999, il Consiglio europeo ha chiesto di ridurre ulteriormente le procedure
intermedie tuttora necessarie per ottenere il riconoscimento e l’esecuzione
delle decisioni o sentenze straniere. Nel novembre
2000 il Consiglio ha adottato un Progetto
di programma del 30 novembre 2000 per il
riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie. L’obiettivo finale è di eliminare qualsiasi procedura necessaria
per rendere esecutiva una decisione in materia civile e commerciale (exequatur). Seguendo un’impostazione
graduale, si è deciso di concentrare inizialmente i lavori su un progetto
pilota in un settore ben definito: l’eliminazione
dell’exequatur per i crediti non
contestati.
Quattro anni dopo, il Regolamento
(CE) 805/2004 ha istituto il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, così dando luogo,
in questo limitatissimo settore, alla libera
circolazione delle decisioni giudiziarie, delle transazioni giudiziarie e degli
atti pubblici in tutti gli Stati membri (ad eccezione della Danimarca), senza che siano necessari, nello Stato
membro dell’esecuzione, procedimenti intermedi per il riconoscimento e
l’esecuzione. La procedura dovrebbe presentare notevoli vantaggi rispetto
alla procedura d’exequatur prevista
dal regolamento n. 44/2001, in quanto rende superfluo il benestare del sistema
giudiziario del secondo Stato membro, con i ritardi e i costi che ne
conseguono.
Il regolamento è stato successivamente completato
dal Regolamento
(CE) n. 1869/2005 della Commissione, del 16 novembre 2005, che sostituisce
gli allegati del Regolamento
(CE) 805/2004
del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il titolo esecutivo
europeo per i crediti non contestati.
b) Quando si applica il
regolamento?
L’art. 2
definisce come segue il campo d’applicazione del regolamento:
· Il
presente regolamento si applica in materia civile e commerciale,
indipendentemente dalla natura dell’organo giurisdizionale. Esso non concerne,
in particolare, la materia fiscale, doganale o amministrativa o la
responsabilità dello Stato per atti od omissioni nell’esercizio di pubblici
poteri (acta jure imperii).
· Sono
esclusi dal campo di applicazione del presente regolamento:
o
lo stato o la capacità delle persone fisiche,
il regime patrimoniale fra coniugi, i testamenti e le successioni;
o
i fallimenti, i concordati e le procedure
affini;
o
la sicurezza sociale;
o
l’arbitrato.
Il regolamento si
riferisce alle decisioni giudiziarie, alle transazioni
giudiziarie e agli atti pubblici relativi a crediti non contestati (art. 3).
c) A quali crediti si
applica il regolamento?
Ai sensi dell’art.
4.2. il regolamento si applica solo ad un credito «relativo al pagamento di
uno specifico importo di denaro
esigibile o la cui data di esigibilità è indicata nella decisione
giudiziaria, nella transazione o nell’atto pubblico». Deve quindi trattarsi di crediti pecuniari liquidi ed esigibili,
oltre che, come si vedrà subito, non contestati.
d) Quando si considera «non
contestato» un credito?
Ai fini del nuovo regolamento (art. 3),
un credito si considera «non contestato»
se:
e) Quando il giudice deve rilasciare la
certificazione come titolo esecutivo europeo?
La decisione giudiziaria che sia stata certificata come titolo esecutivo europeo nello Stato
membro d’origine è riconosciuta ed
eseguita negli altri Stati membri senza che sia necessaria una
dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo
riconoscimento (art. 5).
La certificazione
viene rilasciata su istanza
presentata in qualunque momento al giudice di origine, come titolo
esecutivo europeo (art. 6)
se:
Il certificato di titolo esecutivo europeo è rilasciato, nella stessa lingua della decisione giudiziaria, utilizzando il modello contenuto nell’allegato I al Regolamento. Il rilascio di un certificato di titolo esecutivo europeo non è soggetto ad alcun mezzo di impugnazione. Esso può avvenire anche in modo parziale (art. 8).
La decisione giudiziaria relativa ad un credito non
contestato può essere certificata come titolo esecutivo europeo solo se il
procedimento giudiziario nello Stato membro d’origine è conforme a determinati requisiti procedurali.
Tali requisiti concernono, in particolare:
f) Come si esegue il titolo
esecutivo europeo?
Poste tali premesse, una decisione giudiziaria
certificata come titolo esecutivo europeo è eseguita alle stesse condizioni di una decisione giudiziaria
pronunciata nello Stato membro dell’esecuzione (art. 20).
Su richiesta del debitore l’esecuzione è rifiutata dal giudice competente
dello Stato membro dell’esecuzione se la decisione giudiziaria certificata come
titolo esecutivo europeo è incompatibile
con una decisione anteriore pronunciata in uno Stato membro o in un paese
terzo, a condizione che (art. 21):
In nessun caso la decisione o la sua certificazione come titolo esecutivo europeo può formare oggetto di un riesame del merito nello Stato membro dell’esecuzione.
Il regolamento in questione è divenuto applicabile a partire dal 21 ottobre 2005. Le sue disposizioni non impediranno comunque alla parte che intenda valersene, di utilizzare la normale procedura d’exequatur ai sensi del regolamento n. 44/2001.
La modulistica
relativa al titolo esecutivo europeo è reperibile presso il sito dell’atlante giudiziario europeo in materia civile, all’indirizzo seguente:
http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html/rc_eeo_information_it.htm.
Per ulteriori
informazioni e approfondimenti (sulla proposta iniziale, che ha portato al
presente regolamento, in parte divergente dalla detta proposta) rinvio al mio
scritto dal titolo Brevi osservazioni sul testo della proposta
di regolamento del Consiglio in materia di Titolo Esecutivo Europeo per i
crediti non contestati,
disponibile al sito seguente:
https://www.giacomooberto.com/titoloesecutivoeuropeo/osservazionitee.htm.
Documenti di riferimento
MISURE PROVVISORIE E
PROVVEDIMENTI CAUTELARI ALL’INTERNO DELL’UNIONE EUROPEA |
Nella specifica materia delle misure provvisorie e
dei provvedimenti cautelari, il Regolamento
(CE) n. 44/2001 «Bruxelles I»
del 22 dicembre 2000 contiene solo due disposizioni che, per la loro
applicazione, si limitano a fare riferimento
alla normativa nazionale degli Stati membri:
·
L’articolo 31 del
regolamento statuisce che i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla
legge di uno Stato membro possono essere
richiesti al giudice di detto Stato anche se, in forza del citato regolamento,
la competenza a conoscere nel merito è riconosciuta al giudice di un altro
Stato membro. Ora, la Corte di giustizia
dell’Unione Europea ha ristretto le possibilità di ricorso a tali
provvedimenti: per provvedimenti provvisori o cautelari ai sensi dell’articolo 31 del
regolamento debbono intendersi unicamente i provvedimenti volti, nelle materie
oggetto del suo campo d’applicazione, alla conservazione di una situazione di
fatto o di diritto tendente a preservare diritti dei quali spetterà poi al
giudice del merito accertare l’esistenza. Inoltre, l’adozione di provvedimenti
provvisori o cautelari in forza dell’articolo 31 del regolamento è subordinata,
in particolare, alla condizione dell’esistenza di un effettivo nesso fra l’oggetto
del provvedimento richiesto e la competenza territoriale dello Stato contraente
del giudice adito (v. la decisione 17 novembre 1998, C-391/95). Si deve inoltre
rispettare il diritto del convenuto ad un procedimento in contraddittorio.
·
L’articolo 47 del
suddetto regolamento prevede che, qualora una decisione debba essere
riconosciuta in conformità del regolamento, nulla osta a che l’istante chieda provvedimenti provvisori o cautelari in
conformità della legge dello Stato membro richiesto, senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività ai sensi
dell’articolo 41. La dichiarazione di esecutività implica l’autorizzazione a procedere
a misure cautelari. Il paragrafo 3 dell’articolo stabilisce tuttavia che in
pendenza del termine di cui all’articolo 43,
paragrafo 5, per proporre il ricorso contro la dichiarazione di esecutività
e fino a quando non sia stata adottata alcuna decisione in materia, può
procedersi solo a misure conservative sui beni della parte contro cui è chiesta
l’esecuzione.
Si noti poi che, in
pratica, in numerosi Stati membri le misure di questo tipo sono limitate al patrimonio
situato all’interno dello Stato d’origine o sono molto difficili da
ottenere in un altro Stato.
Il «Programma di misure relative all’attuazione del principio del riconoscimento reciproco delle decisioni in materia civile e commerciale» del 30 novembre 2000 stabilisce le diverse tappe che permetteranno di realizzare dei progressi nei settori oggetto del regolamento «Bruxelles I». Come prima serie di misure riguardanti direttamente il riconoscimento reciproco, si prevede di ridurre ulteriormente le procedure intermedie tuttora necessarie per ottenere il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni o sentenze nello Stato d’origine. Tali obiettivi potrebbero essere conseguiti (ma per il momento stiamo parlando, beninteso, de iure condendo) con:
Documenti di riferimento
MISURE PROVVISORIE E
PROVVEDIMENTI CAUTELARI NELLE RELAZIONI CON PAESI EXTRA U.E.
|
In difetto di apposite
convenzioni sul punto, la parte che intende ottenere misure provvisorie e
provvedimenti cautelari da eseguire all’estero deve adire il giudice dello
Stato interessato, chiedendo l’emissione di provvedimenti a titolo provvisorio
o di misure di tutela. In numerosi Paesi, tuttavia, le misure di questo tipo sono
limitate al patrimonio situato all’interno dello Stato d’origine o sono molto
difficili da ottenere in un altro Stato. L’ottenimento di misure
provvisorie o cautelari al di fuori dell’Unione Europea è di pertinenza del diritto internazionale privato dei
sistemi in questione.
In questi ultimi anni, alcune organizzazioni
internazionali hanno avviato dei lavori in parallelo su questa problematica; in
particolare:
http://hcch.e-vision.nl/index_en.php?act=publications.details&pid=3493&zoek=prel.%20doc.%20no%2010.
http://www.unidroit.org/english/principles/civilprocedure/ali-unidroitprinciples-e.pdf.
10 NOTIFICAZIONI DI ATTI ALL’INTERNO
DELL’UNIONE EUROPEA |
Nel 2000 l’Unione europea ha adottato un regolamento (Regolamento
(CE) n. 1348/2000 del Consiglio, del 29
maggio 2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati
membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o
commerciale), che
prevede delle regole di procedura volte a rendere più agevole la trasmissione degli atti da uno Stato membro all’altro.
Le disposizioni di questo regolamento sono direttamente applicabili in tutta l’Unione,
e dal 2007 anche alla Danimarca.
I principali obiettivi
del regolamento sono i seguenti:
La
Commissione europea ha adottato nel 2004 una relazione sull’applicazione del
citato Regolamento
(CE) n. 1348/2000 del Consiglio relativo alla notificazione e alla comunicazione
negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o
commerciale, predisposta ai sensi dell’articolo 24 del regolamento.
La
relazione si basa sulle informazioni fornite da uno studio dagli Stati
membri e da altre parti interessate in diverse occasioni, in particolare ad una
riunione della Rete giudiziaria europea in materia civile del dicembre 2002, ad
un’udienza pubblica nel luglio 2003 e ad una riunione del Comitato consultivo
sulla notifica e trasmissione degli atti nell’aprile 2004.
La
relazione osserva che, dalla sua entrata in vigore nel 2001, l’applicazione del
regolamento ha in linea di massima migliorato e reso più spedita la
notificazione e comunicazione degli atti tra Stati membri. Tuttavia, nel
periodo di adattamento ancora in corso, molti soggetti implicati
nell’applicazione del regolamento, in particolare le autorità locali, non
sembrano possedere ancora una sufficiente conoscenza del regolamento. Inoltre,
l’applicazione di alcune disposizioni del regolamento non è pienamente
soddisfacente. Si potrebbe prendere in considerazione la modifica di tali
disposizioni al fine di migliorare e facilitare ulteriormente l’applicazione
del regolamento.
Quale
risultato di tale lavoro si pone il Regolamento
del 13
novembre 2007, Regolamento
(CE) N. 1393/2007 sulla notificazione negli Stati membri degli atti
giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale, che abroga e
sostituisce il Regolamento N. 1348/2000.
A partire,
dunque, dal 13 novembre 2008, il nuovo regolamento sostituisce il Regolamento
1348/2000 del 29 maggio 2000, di cui sopra.
Le principali
modifiche rispetto al Regolamento previgente sono le seguenti:
La
modulistica (così come altre svariate informazioni pratiche sulle
autorità mittenti e riceventi, così come sugli organi incaricati
dell’esecuzione) è come sempre reperibile nel sito dell’atlante giudiziario europeo
in materia civile, all’indirizzo seguente:
http://ec.europa.eu/comm/justice_home/judicialatlascivil/html/ds_information_it.htm.
Per
approfondimenti sul tema si rinvia a Caponi,
Le notificazioni all’estero in materia civile o commerciale, disponibile
al sito web seguente:
http://www.academia.edu/208530/R._Caponi_Le_notificazioni_allestero_in_materia_civile_e_commerciale_2003.
Documenti di riferimento
NOTIFICAZIONI DI ATTI IN
PAESI EXTRA U.E. |
La convenzione dell’Aia del 1965 (testo inglese)
prevede un sistema di trasmissione degli atti attraverso delle autorità
centrali designate da ciascuna delle parti contraenti.
Le autorità competenti dello Stato di residenza della parte notificante trasmettono gli atti che vanno trasmessi all’estero all’autorità centrale designata dallo Stato interessato, la quale si incaricherà di notificarli o comunicarli al loro destinatario. Le autorità centrali non possono esigere alcuna formalità particolare, come l’autenticazione.
La convenzione non proibisce agli Stati che vi
aderiscono di prevedere o accettare sistemi ancora più semplici, ad esempio la
possibilità d’inviare direttamente l’atto al destinatario per posta. Il sistema
istituito dalla convenzione dell’Aia si
applica per i Paesi extra U.E. (aderenti, ovviamente, alla convenzione).
Invece, quando si tratta delle relazioni tra Stati membri all’Unione europea,
compresa la Danimarca, questo strumento è stato sostituito dal Regolamento
del 13
novembre 2007, Regolamento
(CE) N. 1393/2007 sulla notificazione negli Stati membri degli atti giudiziari
ed extragiudiziari in materia civile e commerciale, che abroga e sostituisce il
Regolamento N. 1348/2000.
Infine, esistono vari accordi bilaterali tra Stati in questa materia. Informazioni al riguardo potranno essere richieste all’Ufficio per il coordinamento dell’attività internazionale costituito presso il Ministero della Giustizia, contattabile tramite il seguente indirizzo web:
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_11_7.wp;jsessionid=544505AE08958975202197A7FFA97847.ajpAL01.
Anche il Ministero degli
Affari Esteri ha elaborato una guida per la notifica all’estero degli atti
giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale,
disponibile al sito web seguente:
http://www.esteri.it/mae/doc/guida2005.pdf.
Documenti di riferimento
ASSUNZIONE DELLE PROVE ALL’INTERNO DELL’UNIONE
EUROPEA |
Nel 2001 l’Unione europea ha adottato un regolamento (Regolamento
(CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio
2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri
nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale) che stabilisce procedure
intese a facilitare l’assunzione delle
prove in un altro Stato membro. Dal 1° gennaio 2004, il regolamento è
direttamente applicabile in tutta l’Unione, ad eccezione della Danimarca.
Il regolamento contiene le
seguenti principali disposizioni:
·
Il regolamento si applica (art. 1)
in materia civile e commerciale,
allorché l’autorità giudiziaria di uno Stato membro chiede all’autorità
giudiziaria competente di un altro Stato membro di procedere all’assunzione
delle prove. Il regolamento instaura un nuovo sistema, rapido e diretto, di
trasmissione ed esecuzione di tali richieste tra autorità giudiziarie.
·
Ciascuno Stato membro (art. 2)
redige un elenco delle autorità
giudiziarie competenti per procedere all’assunzione delle prove. La
Commissione ha inserito tale informazione in un manuale
a disposizione del pubblico.
·
I rappresentanti dell’autorità giudiziaria richiedente e le parti (art. 11)
possono essere presenti quando
l’autorità giudiziaria richiesta procede all’assunzione delle prove. In caso
d’impossibilità, si potrà ricorrere alle tecnologie di comunicazione moderne,
ed in particolare alla videoconferenza, per facilitarne la partecipazione.
·
Il regolamento prevede inoltre la possibilità per l’autorità
giudiziaria richiedente (art. 17)
di procedere all’assunzione delle prove
nell’altro Stato membro.
·
Il regolamento stabilisce precisi criteri relativi alla forma ed al
contenuto della richiesta (artt. 4
ss.). La richiesta deve essere presentata utilizzando uno specifico formulario e contenere
indicazioni dettagliate, quali il nome e l’indirizzo delle parti, la natura e
l’oggetto dell’istanza, una descrizione dell’assunzione delle prove che si
chiede di eseguire, ecc.
·
Il regolamento stabilisce (art. 5)
che la richiesta deve essere formulata in una delle lingue ufficiali dello
Stato membro dell’autorità giudiziaria richiesta o in un’altra lingua che tale
Stato abbia dichiarato di accettare.
·
Le richieste (art. 10)
devono essere eseguite senza indugio, al più tardi entro novanta giorni dalla loro ricezione. In caso d’impossibilità,
l’autorità giudiziaria richiesta ne informa l’autorità giudiziaria richiedente,
precisandone i motivi.
·
La possibilità di rifiutare
di eseguire una richiesta di assunzione delle prove è circoscritta a poche
situazioni eccezionali (art. 14).
·
Ciascuno Stato membro designa (art. 3)
un organo centrale incaricato
o di fornire informazioni alle autorità giudiziarie;
o di ricercare soluzioni per le difficoltà che possono
sorgere in occasione di una richiesta;
o di trasmettere, in casi eccezionali e su domanda di un’autorità
giudiziaria richiedente, una richiesta all’autorità giudiziaria competente.
·
Organo centrale per l’Italia è il Ministero della Giustizia –
Dipartimento Affari di Giustizia – Direzione Generale della Giustizia Civile.
Via Arenula, 70 - 00186 Roma
tel. +39 06 68852075
e-mail: segreteria.dgcivile.dag@giustizia.it
Preziose informazioni,
oltre alla modulistica, possono
essere rinvenute presso il sito dell’atlante
giudiziario europeo in materia civile,
all’indirizzo seguente:
http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html/index_it.htm.
In particolare la modulistica è reperibile al sito seguente:
https://e-justice.europa.eu/content_taking_of_evidence_forms-160-it.do.
Il sito dell’Atlante contiene anche un dettagliato manuale,
disponibile in relazione ad ognuno dei Paesi coinvolti.
·
Regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28
maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati
membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale.
·
Manuale
per
l’assunzione delle prove all’estero in materia civile e commerciale, secondo il
regolamento n. 1206/2001.
ASSUNZIONE DELLE PROVE NEI PAESI EXTRA U.E. |
La Convenzione dell’Aia
del 18 marzo 1970 sull’assunzione delle prove all’estero in materia civile o
commerciale instaura un sistema di trasmissione delle richieste di
assunzione delle prove attraverso le autorità centrali designate da
ciascuna delle parti alla convenzione.
Nell’ambito di questo sistema, le richieste di
assunzione delle prove sono trasmesse
dall’autorità competente dello Stato di residenza all’autorità centrale designata dal paese terzo, che le trasmette
successivamente all’autorità giudiziaria competente affinché proceda in
proposito. La convenzione non impedisce agli Stati contraenti di autorizzare
altri mezzi di assunzione delle prove diversi da quelli previsti dalla
convenzione.
In virtù della Convenzione dell’Aia, un’autorità
giudiziaria di uno Stato contraente può chiedere all’autorità competente di un
altro Stato contraente di assumere delle prove. Finora 41 paesi hanno
sottoscritto la convenzione, fra i quali molti Stati membri dell’Unione
europea. Per tutti gli Stati membri dell’UE, ad eccezione della Danimarca, la
convenzione è però stata sostituita, come si è visto, a partire dal 2004, dal Regolamento del 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione
fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione
delle prove in materia civile o commerciale.
Infine, esistono accordi
bilaterali conclusi tra Stati membri dell’UE ed alcuni paesi terzi. Informazioni al riguardo
potranno essere richieste all’Ufficio per il coordinamento dell’attività
internazionale costituito presso il
Ministero della Giustizia, contattabile tramite il seguente indirizzo web:
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_11_7.wp;jsessionid=544505AE08958975202197A7FFA97847.ajpAL01.
ASSEGNI ALIMENTARI NELL’AMBITO DELL’U.E. |
Sommario: a) Generalità. Dal
Regolamento n. 44/2001 al Regolamento n. 4/2009 b) La nozione di «obbligazione alimentare» nel Regolamento
n. 44/2001 e nel Regolamento n. 4/2009 c) Le disposizioni sul diritto applicabile d) La concreta realizzazione delle pretese alimentari nel
Regolamento 4/2009: l’abolizione dell’exequatur e) La concreta realizzazione delle pretese alimentari nel
Regolamento 4/2009: la cooperazione tra le autorità centrali e gli strumenti a
tutela del creditore |
a) Generalità. Dal Regolamento
n. 44/2001 al Regolamento n. 4/2009.
Il più volte citato Regolamento
(CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia
civile e commerciale (detto regolamento «Bruxelles I»), contiene norme relative
alla competenza speciale dei tribunali
per le obbligazioni alimentari. Le disposizioni del regolamento sono
direttamente applicabili dal 1° marzo 2002. Il regolamento trova ormai
applicazione anche in Danimarca.
In materia di obbligazioni alimentari, il
regolamento prevede all’art. 5, paragrafo 2, che la persona domiciliata nel territorio di uno
Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro:
Inoltre, le decisioni emesse in uno Stato membro in
materia di obbligazioni alimentari sono – come si è già visto – riconosciute
negli altri Stati membri (art. 33 del regolamento) e sono
eseguite in un altro Stato membro dopo che vi siano state dichiarate esecutive su
istanza della parte interessata (art. 38 del regolamento).
Rispetto alla Convenzione di Bruxelles del 1968, che
sostituisce, il regolamento (art. 34) non consente più che sia
respinto il riconoscimento di una decisione contraria al diritto internazionale
privato dello Stato richiesto, quando la decisione del tribunale d’origine risolve
una questione sullo stato e la capacità delle persone. Allo stato attuale, una
decisione straniera può non essere
riconosciuta soltanto se tale riconoscimento
·
è manifestamente contrario all’ordine pubblico o
·
in contrasto con una decisione emessa precedentemente, o
·
se la domanda giudiziale od un atto equivalente non è stato notificato
o comunicato al convenuto contumace in tempo utile.
Da
tempo peraltro si era avvertita la necessità di dedicare alla materia degli
alimenti un apposito strumento comunitario. Per questo la Commissione varò
dapprima (il 15 aprile 2004) un libro
verde sul tema delle obbligazioni alimentari. Successivamente, il 15
dicembre 2005, venne presentata dalla Commissione la Proposta
di Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile,
al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in
materia di obbligazioni alimentari (presentata dalla Commissione)
{SEC(2005) 1629}, assieme ad una Comunicazione della Commissione al Consiglio
che invita il Consiglio ad assoggettare all’articolo 251 del trattato che
istituisce la Comunità europea le misure adottate ai sensi dell’articolo 65 del
trattato in materia di obbligazioni alimentari - COM(2005) 648 def. (sul tema
v. anche il Comunicato
stampa e MEMO/05/484).
La
proposta conservava la già esistente possibilità per il creditore alimentare di
adire un’autorità a lui vicina. Una volta che tale autorità avesse reso la sua
decisione, venivano però previste misure perché essa fosse riconosciuta
automaticamente e senza formalità in qualsiasi Stato membro. Infine, e questa
costituiva certamente una grande novità, il creditore avrebbe dovuto
beneficiare di provvedimenti di aiuto e assistenza per recuperare il credito,
che nel sistema del regolamento Bruxelles I fanno ancora difetto.
Dalla
citata proposta è successivamente scaturito (non senza una serie di modifiche)
il nuovo Regolamento
(CE) N. 4/2009 del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge
applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla
cooperazione in materia di obbligazioni alimentari. Tale ultimo regolamento
diverrà applicabile, ai sensi del relativo art. 76, dal 18 giugno 2011. Prevede
infatti il considerando n. 44 del nuovo regolamento che «Il presente
regolamento dovrebbe modificare il regolamento (CE) n. 44/2001 sostituendo le
disposizioni di quest’ultimo applicabili in materia di obbligazioni alimentari.
Fatte salve le disposizioni transitorie del presente regolamento, in materia di
obbligazioni alimentari gli Stati membri dovrebbero applicare le disposizioni
del presente regolamento sulla competenza, il riconoscimento, l’esecutività e
l’esecuzione delle decisioni e sul patrocinio dello Stato invece di quelle del
regolamento (CE) n. 44/2001 a decorrere dalla data di applicazione del presente
regolamento».
Per
ulteriori approfondimenti sul punto si fa rinvio a Oberto, Gli obblighi
di mantenimento e il recupero dei crediti alimentari in diritto comunitario: la
nozione comunitaria di «alimenti» e i principi in tema di competenza
giurisdizionale, disponibile alla seguente pagina web:
https://www.giacomooberto.com/milano2009/relazione.htm.
b)
La nozione di «obbligazione alimentare» nel Regolamento n. 44/2001 e nel
Regolamento n. 4/2009.
Il
già citato Regolamento
(CE) n. 44/2001, agli artt. 5, paragrafo
2, e 57 cpv., si esprime in termini di «obbligazioni alimentari» e di
«alimenti». Pur non fornendo tali disposizioni una definizione al riguardo, non
vi è dubbio che la nozione «europea» di «obbligazioni alimentari» e di
«alimenti» sia assai diversa dalla corrispondente nozione del nostro
ordinamento interno.
E’
infatti noto che il concetto di alimenti, nel sistema italiano, si riferisce
all’istituto disciplinato dagli artt. 433 ss. c.c.
In conseguenza di ciò, occorre (secondo il nostro diritto positivo) tracciare
una netta linea di demarcazione tra
·
«alimenti», nel
senso (stretto) testé precisato, da un lato, e, dall’altro:
·
altri doveri
contributivi e di mantenimento nell’ambito delle relazioni familiari, quali:
§ «dovere di contribuzione tra coniugi» (art. 143 c.c.),
§ «mantenimento, istruzione ed educazione dei figli»,
anche se nati fuori dal matrimonio (artt. 30 Cost., 147, 148 c.c.);
§ «mantenimento in favore del coniuge separato» (art.
156 c.c.),
§ «mantenimento della prole» nella fase patologica del
rapporto (art. 155 c.c., applicabile tanto alla separazione, che al divorzio,
che all’annullamento del matrimonio, così come alle relazioni con i figli
naturali),
§ «assegno di divorzio» (art. 5, l.div.),
essendo
invero del tutto pacifico che le disposizioni di cui agli artt. 433 ss. c.c.
non trovano applicazione con riguardo a questi ulteriori e ben distinti
istituti, governati da norme loro proprie. Ciò al punto che, tanto per fare un
esempio, la giurisprudenza nega che alle controversie in tema di mantenimento
tra coniugi separati trovino applicazione le norme che prevedono la sospensione
dei termini durante il periodo feriale, ex
art. 3, l. 742/1969: cfr. Cass., 14
giugno 1999, n. 5862. Sarà appena il caso di rilevare che alle medesime
conclusioni si perviene, ad esempio, anche
in Francia, ove i rapporti rilevanti ai fini delle citate disposizioni comunitarie
abbracciano per opinione unanime ogni prestazione di mantenimento legata alla
vita matrimoniale: dal devoir de secours
et de contribution tra coniugi (il nostro dovere di contribuzione ex art. 143 c.c. it.), alla prestation compensatoire ed alla pension alimentaire tra ex coniugi e nei confronti dei figli.
Ora,
già da epoca ben precedente all’approvazione del regolamento n. 4/2009, non è
mai stato dubitato che l’espressione «alimenti», in diritto comunitario,
andasse intesa – in corrispendenza di quella inglese maintenance, di quella americana alimony, di quella francese obligation
(o prestation) alimentaire, o, ancora, di quella tedesca Unterhalt – come comprensiva di tutte le prestazioni che,
nell’ambito di vincoli di tipo familiare o parafamiliare, tendono ad assicurare
il sostentamento del beneficiario.
In
quest’ottica, a mio avviso, può dirsi che tale nozione abbracci, ad esempio,
anche quell’assegno periodico da alcuni anni previsto anche in Italia in favore
delle persone conviventi more uxorio
che rimangano «prive di mezzi adeguati» a seguito dell’allontanamento del partner ordinato dall’autorità
giudiziaria, ai sensi dell’art. 342-ter
c.c., introdotto dall’art.
Sul
tema qui allo studio è stato osservato in dottrina (Viarengo) che, nella
ricostruzione autonoma della nozione in discorso, vengono in primo luogo in
linea di conto le questioni emerse in sede di interpretazione da parte della
Corte di giustizia dell’art. 5 n. 2 della Convenzione
di Bruxelles del 1968. Come ricorda il considerando n. 19 del citato Regolamento
(CE) n. 44/2001, infatti, vi è piena continuità tra la convenzione e il
regolamento e le soluzioni interpretative fornite dalla Corte per la prima si
estendono anche alla disciplina contenuta nel secondo. Del resto, per quanto
riguarda le obbligazioni alimentari, l’art. 5, paragrafo
2 del regolamento del 2001 riproduce sostanzialmente la stessa disciplina
già contenuta nella convenzione e ne mantiene inalterato l’ambito di
applicazione, oltre alla numerazione dell’articolo. E tali conclusioni, che tra
poco illustreremo, ben potranno riferirsi anche al nuovo regolamento n. 4/2009.
Dunque,
la Corte di giustizia UE ha
dato del concetto di alimenti di cui alla Convenzione
di Bruxelles del 1968 un’interpretazione assai ampia, riferendo tale
espressione senz’altro anche all’assegno di divorzio, ed addirittura alla
decisione che, nel contesto di una procedura divorzile, condanni al pagamento
di una somma forfettaria o disponga il trasferimento di un diritto reale su di
un immobile (cfr. la decisione 27 febbraio 1997, n. 220/95, van den Boogaard c. Laumen, in Giust. civ., 1998, I, p. 308; in Fam. dir., 1997, p. 205; il testo è
anche disponibile al seguente indirizzo web:
http://giacomooberto.com/testiregolamentiue/cortecee220-95.htm).
Dello
stesso avviso sembra essere anche la nostra Cassazione, la quale non ha avuto
difficoltà ad applicare le norme della Convenzione
di Bruxelles del 1968 (nella specie: l’art. 6, n. 1, secondo il quale, in
caso di pluralità di convenuti, il convenuto domiciliato nel territorio di uno
Stato contraente può essere citato davanti al giudice nella cui circoscrizione
è situato il domicilio di uno di essi) al caso di una domanda di revisione
delle disposizioni contenute nella sentenza di divorzio (ex art.
L’impostazione
di cui sopra risulta poi definitivamente accolta dalle Sezioni Unite: Cass., Sez.
Un., 1 ottobre 2009, n. 21053, ha infatti stabilito che «In tema di
obbligazioni alimentari, il criterio di collegamento previsto dall’art. 5 della
Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, resa esecutiva con legge 21
giugno 1971, n. 804, ai sensi del quale il convenuto domiciliato nel territorio
di uno Stato contraente può essere citato davanti al giudice del luogo in cui
il creditore ha il domicilio o la residenza abituale, trova applicazione anche
in riferimento alla domanda di pagamento dell’assegno di mantenimento dovuto al
coniuge separato, avuto riguardo alla nozione di alimenti emergente dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia CE (cfr. sent. 17 marzo 1979, in causa
143/78; 6 marzo 1980, in causa 120/79; 27 febbraio 1997, in causa 220/95), la
quale, sostanziandosi in una formulazione sopranazionale ed autonoma rispetto
alle categorie proprie delle legislazioni nazionali, va interpretata in senso
ampio, e quindi comprensivo dei diversi istituti dell’obbligazione di
mantenimento e di quella di alimenti previste dall’ordinamento italiano».
E’
poi da ricordare che la Corte di
giustizia U.E., nelle sue sentenze
del 27 marzo 1979 (in causa 143/78, de Cavel c. de
Cavel, in Raccolta, 1979, p.
1055) e del 31 marzo 1982 (in causa 25/81 C.H.W. c. G.J.H.,
in Raccolta, 1982, p. 1189) ha
chiarito che la nozione di regime patrimoniale tra i coniugi di cui all’art. 1
della Convenzione di Bruxelles (e, ora, del Regolamento
n. 44/2001, nel senso che, per l’appunto le relative disposizioni non
trovano applicazione con riguardo, tra l’altro, agli argomenti seguenti: «lo
stato e la capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale fra coniugi,
i testamenti e le successioni») comprende non solo il regime dei beni
specificamente ed esclusivamente contemplato da determinate legislazioni
nazionali, ma anche tutti i rapporti patrimoniali che derivano direttamente dal
vincolo coniugale o dallo scioglimento di esso. Tali rapporti – ad eccezione di
quelli alimentari e comunque attinenti al profilo degli assegni relativi alla
crisi coniugale – rimangono pertanto al di fuori dell’ambito di operatività del
regolamento n. 44/2001. Essi, non essendo del resto coperti (almeno per il
momento) da alcun regolamento comunitario, saranno pertanto disciplinati, in
tutte le questioni che presentino un elemento di estraneità, dal diritto
internazionale privato e processuale dei vari Paesi. Sarà peraltro il caso di
menzionare sul punto l’esistenza di una una Convenzione
internazionale dell’Aja sulla legge applicabile ai rapporti patrimoniali tra
coniugi (14 marzo 1978), ratificata peraltro solo da Francia, Lussemburgo e
Paesi Bassi.
Come
esattamente rilevato in dottrina (Viarengo): «In buona sostanza la Corte di
giustizia ha stabilito che tale nozione comprende obbligazioni ex lege e obbligazioni stabilite dal
giudice, indipendentemente dalla forma del pagamento (pagamento periodico o
somma forfettaria). Lo scopo di tale obbligazione che è quello di garantire un
determinato livello di reddito del beneficiario sulla base del reddito e delle
risorse rispettive delle parti, gioca il ruolo principale. Di conseguenza,
laddove tale prestazione sia diretta a garantire il sostentamento del coniuge
bisognoso oppure siano le esigenze e le risorse di ciascun coniuge prese in
considerazione per stabilirne l’ammontare può qualificarsi come obbligazione
alimentare».
L’art.
5 n. 2 non viene in considerazione, invece, nel caso in cui la prestazione
attenga unicamente alla ripartizione dei beni tra i coniugi, trattandosi in tal
caso di questione attinente al regime patrimoniale, al quale il Regolamento non
si applica. In base a questa giurisprudenza risultano inoltre riconducibili
alla nozione di obbligazioni alimentari anche la costituzione di garanzie
reali, come contemplato, ad esempio, dall’art. 8 della legge italiana sul
divorzio, e il trasferimento di elementi patrimoniali, sempre che perseguano
appunto la finalità di costituire un capitale dal quale il coniuge meno abbiente
possa ricavare il proprio sostentamento.
Per
quanto attiene poi al Regolamento
(CE) N. 4/2009 del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge
applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla
cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, se è vero che esso non
offre alcuna definizione del concetto «alimenti» all’interno dell’art. 2,
è altrettanto vero che il medesimo si colloca, sotto questo profilo,
chiaramente nel solco del regolamento n. 44/2001. Invero, come previsto dal già
citato considerando n. 44, «Il presente regolamento dovrebbe modificare il
regolamento (CE) n. 44/2001 sostituendo le disposizioni di quest’ultimo
applicabili in materia di obbligazioni alimentari. Fatte salve le disposizioni
transitorie del presente regolamento, in materia di obbligazioni alimentari gli
Stati membri dovrebbero applicare le disposizioni del presente regolamento
sulla competenza, il riconoscimento, l’esecutività e l’esecuzione delle
decisioni e sul patrocinio dello Stato invece di quelle del regolamento (CE) n.
44/2001 a decorrere dalla data di applicazione del presente regolamento».
Il
nuovo regolamento contiene inoltre una serie di elementi idonei a far ritenere
che la nozione sopra individuata sia stata mantenuta. Ciò appare, innanzi
tutto, confermato dal considerando n. 11, a mente del quale «Ai fini del
presente regolamento, la nozione di “obbligazione alimentare” dovrebbe essere
interpretata in maniera autonoma». Inoltre, basterà pensare a quanto stabilito,
ad esempio, dall’art. 4,
paragrafo primo, lett. c), che espressamente richiama «le obbligazioni
alimentari tra coniugi o ex coniugi», laddove è noto che gli alimenti
«italiani» tra ex coniugi non sono dovuti e pertanto la norma comunitaria non può
riferirsi se non all’assegno divorzile. Ancora, potrà ricordarsi che l’art. 3,
lett. d), richiama espressamente la responsabilità genitoriale: concetto,
quest’ultimo, nell’ambito del quale si iscrive il dovere al mantenimento (cfr.
ad es. gli artt. 147 e 148 c.c. italiano).
In
ogni caso assume poi rilievo la nozione di alimenti sviluppata nell’ambito del
diritto internazionale, con particolare riferimento alle varie convenzioni
dell’Aja su questa materia, con riguardo alle quali non vi è dubbio che
siffatta espressione non può certo ritenersi limitata al concetto cui fanno
richiamo gli artt.
433 ss. c.c. Si noti ad es. quanto stabilito dall’art. 1 della convenzione
dell’Aja del 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari,
secondo cui «This Convention shall apply to maintenance obligations arising
from a family relationship, parentage, marriage or affinity, including a
maintenance obligation in respect of a child who is not legitimate».
A
questo proposito sarà il caso di osservare come erroneamente il Tribunale di
Firenze (decreto 20 maggio 2003, in Riv.
dir. int. priv. proc., 2005, p. 737 ss.) abbia ritenuto di non applicare il
reg. n. 44/2001, in favore del reg. n. 2001/2003, in relazione ad una domanda
di modifica delle condizioni di separazione consensuale in punto determinazione
dell’ammontare di un assegno a titolo di contributo per il mantenimento del
coniuge separato (art. 156 c.c.), argomentando, inter alia, in base alla differenza esistente nel nostro
ordinamento tra mantenimento ed alimenti. La relativa ratio decidendi appare invero espressa nella seguente
considerazione, per le ragioni sopra esposte, non condivisibile: «Nè si può
ritenere che la questione concernente la modifica dell’assegno di mantenimento
rientri nella materia di obbligazioni alimentari a cui fa riferimento l’art. 5
n. 2 del regolamento n. 44/2001, stante la differenza esistente tra
mantenimento ed alimenti, consistendo, il primo, nella prestazione di ciò che è
necessario per la conservazione del tenore di vita corrispondente alla
posizione economico-sociale dei coniugi, là dove la prestazione degli alimenti
presuppone uno stato di totale assenza di mezzi di sostentamento».
c)
Le disposizioni sul diritto applicabile.
Il
Regolamento n. 4/2009, ponendosi anche nell’«ottica di Roma», individua e
contiene una disciplina europea uniforme delle regole di d.i.p. circa il
diritto applicabile alle cause alimentari.
Nei
consideranda nn. 21 e 24, infatti, il
legislatore europeo delinea il confine sostanziale, per materia, dell’ambito di
applicazione del Regolamento in argomento, precisando che la disciplina delle
norme sui conflitti di legge mira solo alla individuazione della legge applicabile alle obbligazioni alimentari, senza alcuna interferenza rispetto a quella
applicabile all’accertamento del rapporto di famiglia, presupposto della
stessa obbligazione alimentare.
Per
lo stesso principio, il riconoscimento delle decisioni in materia di
obbligazioni alimentari non implica il riconoscimento del rapporto di famiglia,
parentela, matrimonio o affinità che hanno determinato la nascita della stessa
obbligazione alimentare. L’accertamento
del rapporto di famiglia su cui si fonda l’obbligazione alimentare continua ad essere disciplinato dal diritto
interno degli Stati membri e dalle relative norme di diritto internazionale
privato.
Detta
distinzione tra istituti normativi e relative discipline conferma, anche a
livello europeo, l’ambivalenza del concetto giuridico di obbligazione
alimentare, quale obbligazione attinente, sì, al diritto familiare, ma
sostanzialmente pecuniaria e, pertanto, per detta specificità, richiedente una
particolare regolazione normativa anche a livello comunitario.
Il
Capo III del regolamento, nel rispetto degli ambiti di competenza normativa
sopra specificati, introduce una disciplina per
relationem della legge applicabile alle obbligazioni alimentari. L’art. 15,
unico articolo a comporre il capo III del Regolamento, rinvia, infatti, alla disciplina della legge applicabile contenuta nel Protocollo
dell’Aja del 23 novembre 2007 per gli Stati membri vincolati dallo
stesso, come segue:
CAPO
III LEGGE
APPLICABILE Articolo
15 Determinazione
della legge applicabile La
legge applicabile alle obbligazioni alimentari è determinata secondo il
protocollo dell’Aia del 23 novembre 2007 relativo alla legge applicabile alle
obbligazioni alimentari («protocollo dell’Aia del 2007») negli Stati membri
vincolati da tale strumento. |
Sul
punto dovrà considerarsi che il Protocollo determina la legge applicabile alle
obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di
matrimonio o di affinità, comprese tutte le obbligazioni alimentari nei
confronti dei figli a prescindere dallo stato civile dei genitori (articolo 1,
paragrafo 1).
In
linea generale, le obbligazioni alimentari sono disciplinate dalla legge dello Stato di residenza abituale del
creditore (articolo 3, paragrafo 1). Norme speciali tuttavia prevedono la
tutela del creditore di alimenti in situazioni in cui questi non sia in grado
di ottenere alimenti ai sensi della legge dello Stato in cui risiede
abitualmente (articolo 4).
Per
le obbligazioni alimentari tra coniugi,
ciascuna delle parti può chiedere l’applicazione della legge di un altro Stato che presenti un collegamento più stretto con il
matrimonio (articolo 5). Una norma speciale in materia di difesa consente
al debitore, in determinate circostanze, di opporre alla pretesa del creditore
l’assenza di obbligazioni alimentari nei suoi confronti ai sensi della legge
dello Stato di residenza abituale e della legge dell’eventuale Stato di cittadinanza
comune delle parti (articolo 6). Da ultimo, le parti possono scegliere la legge
applicabile a un’obbligazione alimentare ai fini di un procedimento specifico
(articolo 7) o in via generale (articolo 8).
L’applicazione
della legge stabilita a norma del Protocollo può essere esclusa soltanto nella
misura in cui produca effetti
manifestamente contrari all’ordine pubblico dello Stato del foro (articolo
13). Nel determinare l’importo della prestazione alimentare si deve tener conto
delle esigenze del creditore e delle risorse del debitore, anche se la legge
applicabile dispone diversamente (articolo 14).
A
seguito della Decisione
del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativa alla conclusione da parte
della Comunità europea del protocollo dell’Aia, del 23 novembre 2007 , sulla
legge applicabile alle obbligazioni alimentari (2009/941/CE), il protocollo
dell’Aja diviene operativo per tutti i Paesi U.E., ad eccezione della Danimarca
(che, come più volte detto, non partecipa al sistema di cooperazione
giudiziaria in materia civile) e del Regno Unito, che non ha aderito alla decisione
del Consiglio sulla conclusione del protocollo da parte della Comunità. Ai
sensi del considerando 20 del preambolo del regolamento, per gli Stati membri
vincolati dal protocollo dell’Aia del 2007 le disposizioni sulle norme sui
conflitti di legge applicabili in materia di obbligazioni alimentari sono
dunque quelle previste da detto protocollo.
Anche
su questi punti il regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio diventa applicabile
il 18 giugno 2011 o a decorrere dalla data di applicazione del protocollo
dell’Aia del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni
alimentari.
d) La concreta realizzazione delle pretese alimentari
nel Regolamento 4/2009: l’abolizione dell’exequatur.
Tornando alla concreta realizzazione delle pretese alimentari, va detto che, ai
sensi dell’articolo 57,
paragrafo 1 del regolamento n. 44/2001, anche le convenzioni in materia di obbligazioni alimentari concluse davanti alle
autorità amministrative o da esse autenticate sono considerate come atti
pubblici autentici che possono beneficiare del meccanismo semplificato
d’esecuzione.
Benché questa
procedura appaia relativamente semplice, il regolamento non elimina tutti gli ostacoli alla libera circolazione delle decisioni
giudiziarie nell’Unione Europea e lascia in vigore misure intermedie ancora
troppo restrittive.
Peraltro potrà
tenersi presente che la necessità di exequatur per l’esecuzione è stata,
come si è visto, eliminata allorquando
la pretesa venga azionata tramite la procedura concernente i titoli esecutivi per
crediti non contestati. Sul punto potrà ricordarsi che a Tampere nell’ottobre 1999, il Consiglio europeo ha
chiesto di ridurre ulteriormente le procedure intermedie tuttora necessarie per
ottenere il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni o sentenze straniere.
Nel novembre 2000, il Consiglio ha adottato un programma
per il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie. L’obiettivo
finale è di eliminare qualsiasi procedura necessaria per rendere esecutiva una
decisione in materia civile e commerciale (exequatur).
Seguendo un’impostazione graduale, si è deciso – come si è visto – di
concentrare inizialmente i lavori su un progetto pilota in un settore ben
definito: l’eliminazione dell’exequatur
per i crediti non contestati. Il già ricordato Regolamento
(CE) 805/2004, che ha istituto il titolo esecutivo europeo per i crediti
non contestati, concerne sicuramente
anche i crediti non contestati da obbligazioni alimentari.
Ponendosi in
quest’ottica, il Regolamento 4/2009
ha disciplinato in modo del tutto nuovo il riconoscimento,
l’esecutività e l’esecuzione delle decisioni in materia di obblighi alimentari.
Il Capo IV del Regolamento
si articola in tre sezioni e comprende le principali novità in materia di
disciplina comunitaria di obbligazioni alimentari. La sezione I disciplina le
ipotesi di decisioni emesse in uno Stato
membro vincolato dal Protocollo dell’Aja del 2007, la sezione II quelle
emesse in uno Stato membro non vincolato dalla Convezione dell’Aja e, infine,
la sezione III introduce norme comuni ad entrambe le ipotesi.
L’art. 39, Reg.,
all’interno della sezione dedicata alle disposizioni comuni, prevede la possibilità,
da parte dell’autorità giurisdizionale d’origine, di dichiarare la provvisoria esecutività della decisione, pur in
presenza di un ricorso e nonostante la legislazione nazionale non preveda
l’esecutività di diritto. La ratio
della previsione dell’istituto dell’esecutività provvisoria è nella volontà del
legislatore di garantire celerità ed efficacia nel recupero del credito
alimentare e rappresenta una delle novità più significative del Regolamento in
tema di esecuzione delle decisioni, applicandosi, peraltro, ad ogni ipotesi di
decisione disciplinata dal Capo IV.
Il livello di
garanzia all’interno dell’ordinamento giuridico europeo, derivante
dall’applicazione del Protocollo dell’Aja del 2007, giustifica,
sistematicamente, la distinta disciplina di riconoscimento ed esecuzione
prevista per le decisioni in materia di obbligazioni alimentari emesse in uno Stato membro vincolato, per l’appunto, dal
Protocollo dell’Aja del 2007. Per dette ipotesi, infatti, l’art. 17, Reg.
introduce una procedura semplificata che si concreta nell’abolizione dell’exequatur.
Le decisioni, pertanto, emesse da uno Stato membro vincolato al Protocollo
dell’Aja del 2007, sono automaticamente
riconosciute in un altro Stato membro, senza possibilità di opposizione a
detto riconoscimento, e sono esecutive
negli altri Stati membri senza che sia necessaria una dichiarazione che ne
attesti l’esecutività.
La procedura
semplificata per il riconoscimento e l’esecuzione delle suddette decisioni
prevede, inoltre, nell’art. 21, una sostanziale
limitazione delle ipotesi di diniego
o di sospensione dell’esecuzione stessa; detta limitazione fa, comunque,
salvi i motivi di rifiuto e di sospensione previsti dal diritto nazionale che
non siano incompatibili con quelli elencati nei parr. 2 e 3 dello stesso art.
21, quali ad esempio, la prescrizione del diritto di ottenere l’esecuzione
della decisione dell’autorità giurisdizionale d’origine oppure l’eventuale
proposizione di una domanda di riesame della decisione a norma dell’art. 19 del
Regolamento.
L’art. 19,
infatti, disciplina, a garanzia di un equo processo, il diritto del convenuto
contumace di chiedere, nella fase di esecuzione della decisione emessa nei suoi
confronti, il riesame della decisione stessa. Il par. 1 dell’art. 19 prevede le
ipotesi cui è condizionato l’esercizio del diritto di riesame da parte del
convenuto contumace, ipotesi riconducibili a quelle di omesse comunicazioni e
notificazioni al convenuto, circostanze, dunque, tali da precludergli i diritti
di contraddittorio e di difesa.
Per le decisioni,
invece, emesse in uno Stato membro non
vincolato dal Protocollo dell’Aja del 2007, il legislatore ritiene,
comunque, necessaria la previsione
di una procedura per il riconoscimento e la dichiarazione di esecutività;
tale procedura è sostanzialmente analoga a quella prevista dal Reg. CE n.
44/2001.
Si
sono già spiegate le ragioni per cui, a partire dal 18 giugno 2011, il
Regolamento diverrà operativo per tutti i Paesi U.E. ad eccezione della
Danimarca e, sul punto, del Regno Unito. Ciò significa che l’abolizione
dell’exequatur introdotta dal regolamento non si applica a Danimarca e Regno
Unito.
Gli artt. da 23 a
25 disciplinano, invece, la procedura di
riconoscimento delle decisioni e le relative ipotesi di rifiuto e di
sospensione, mentre gli artt. 26 e ss. riguardano la procedura per l’ottenimento della dichiarazione di
esecutività della decisione, nonché la proposizione di un eventuale ricorso
contro la decisione relativa alla domanda volta ad ottenere la dichiarazione e,
infine, la procedura per l’adozione di provvedimenti cautelari e provvisori.
Tuttavia, la
soppressione dell’exequatur per le
obbligazioni alimentari non è ancora di
per sé sufficiente a migliorare la situazione dei creditori di alimenti. Infatti, esistono ostacoli nell’esecuzione effettiva di una decisione resa nello
Stato membro d’origine, una volta diventata esecutiva nello Stato richiesto. Sino al citato Regolamento n. 4/2009 non
esistevano disposizioni comunitarie sull’esecuzione in quanto tale. Il
citato Programma per il riconoscimento reciproco aveva previsto però una serie
di misure volte a rafforzare gli effetti nello Stato richiesto delle decisioni
prese nello Stato d’origine. Tali misure erano:
·
l’introduzione dell’esecuzione provvisoria, di modo
che la decisione che, nel paese richiesto, autorizzava l’esecuzione fosse
immediatamente esecutiva in via provvisoria nonostante l’eventualità di
ricorsi;
·
l’attuazione di provvedimenti cautelari a livello
europeo;
·
il miglioramento
dei sequestri bancari, ad esempio
attraverso l’introduzione di un sequestro europeo dei depositi bancari.
·
Inoltre, gli
Stati membri hanno concluso a Roma il 6
novembre 1990 una convenzione sulla semplificazione delle procedure
relative al recupero dei crediti alimentari, che non è però entrata in vigore
(la convenzione, firmata da 12 Stati membri, è stata ratificata soltanto da
Spagna, Irlanda, Regno Unito e Italia).
·
Tutti gli Stati
membri sono però anche parti alla Convenzione
di New York del 20 giugno 1956 sul
recupero degli alimenti all’estero, conclusa sotto l’egida delle Nazioni
Unite, e che istituisce un meccanismo di cooperazione amministrativa tra le
autorità degli Stati parti. Alcuni Stati membri sono anche parti a quattro
convenzioni della Conferenza dell’Aia di diritto internazionale privato
applicabili in materia di crediti alimentari.
Il citato Regolamento n.
4/2009 ha in parte realizzato le indicazioni di cui sopra, come verrà
illustrato qui di seguito.
e)
La concreta realizzazione delle pretese alimentari nel Regolamento 4/2009: la
cooperazione tra le autorità centrali e gli strumenti a tutela del creditore .
Il Capo VII del
Regolamento n. 4/2009, per favorire la semplificazione e l’efficacia del
recupero transfrontaliero dei crediti alimentari, istituisce una rete di
cooperazione tra autorità centrali designate dagli stessi Stati membri.
Dette autorità hanno un ruolo di assistenza rispetto ai creditori e debitori
di alimenti nell’iter procedurale relativo a domande di riconoscimento,
di dichiarazione di esecutività e di esecuzione delle decisioni ai sensi del
Regolamento in commento. Detta funzione assistenziale è a spese dell’autorità
stessa, fatte salve talune eccezioni, e consegue alla relativa richiesta del
creditore o debitore interessato. Alle autorità centrali è, inoltre,
riconosciuta una funzione propulsiva e informativa, soprattutto nei
rapporti intercorrenti tra di loro; a tal fine il legislatore europeo prevede
l’obbligo degli Stati membri di provvedere a mettere a disposizione delle
autorità centrali un certo numero di informazioni a carattere personale
detenute dalle autorità pubbliche o dalle amministrazioni nell’ambito delle
loro attività. L’art. 49, Reg. n. 4/2009 prevede la designazione da parte dello
Stato membro dell’autorità centrale incaricata di adempiere gli obblighi ad
essa assegnati dal Regolamento.
Il legislatore per
semplificare ed uniformare la procedura anche nell’ambito delle attività e
compiti di competenza delle autorità centrali prevede, tra l’altro, il ricorso
alla relativa modulistica allegata al regolamento, con particolare
riguardo ai moduli per la presentazione delle domande sia del creditore che del
debitore di alimenti, secondo quanto previsto dagli artt. 56 e 57.
Gli artt. 61, 62 e 63 del
Regolamento pongono a disposizione del creditore d’alimenti nuovi strumenti
di tutela, che trovano esplicazione tramite l’intervento delle autorità
centrali. Ai sensi dell’art. 61, infatti, tali autorità debbono assumere un ruolo
decisivo nella raccolta di informazioni volte a rendere più agevole
l’esecuzione e la concreta realizzazione del credito.
Così, è previsto che tali
informazioni siano, in particolare, quelle che riguardano gli elementi
seguenti:
a) l’indirizzo del
debitore o del creditore;
b) il reddito del
debitore;
c) gli estremi del datore
di lavoro del debitore e/o del o dei conti bancari del debitore;
d) i beni del
debitore.
Il citato articolo stabilisce
che, per ottenere o modificare una decisione, possono essere richieste
dall’autorità centrale solo le informazioni di cui alla lettera a). Per far
riconoscere, dichiarare esecutiva o eseguire una decisione, possono essere
richieste dall’autorità centrale richiesta tutte le informazioni di cui al
primo comma. Tuttavia, le informazioni di cui alla lettera d) possono essere
richieste solo se le informazioni di cui alle lettere b) e c) sono
insufficienti per permettere l’esecuzione della decisione.
Il successivo art. 62
regola la trasmissione delle informazioni da parte delle Autorità
Centrali ed il loro successivo utilizzo, mentre, ai sensi dell’art. 63, la
persona interessata dalla raccolta delle informazioni deve essere avvisata
della comunicazione totale o parziale delle stesse conformemente alla
legislazione nazionale dello Stato membro richiesto. Se l’avviso rischia di
pregiudicare il recupero effettivo del credito alimentare, esso può essere
differito per un periodo di tempo non superiore a novanta giorni a decorrere
dalla data in cui le informazioni sono state fornite all’autorità centrale
richiesta.
Infine, il capo V del
Regolamento n. 4/2009 stabilisce un regime molto favorevole di patrocinio a
spese dello Stato, con particolare riguardo ai procedimenti relativi ad
obbligazioni alimentari nei confronti dei minori di 21 anni, avviati tramite le
autorità centrali, secondo quanto previsto dall’art. 46, Reg. A tal fine il
legislatore sottolinea la necessità di integrare le norme in materia di patrocinio
dello Stato di cui alla direttiva 2003/8/CE con un particolare regime, per
l’appunto, in materia di obbligazioni alimentari. È salva, comunque, la
possibilità del recupero da parte del ricorrente soccombente, che abbia
beneficiato del gratuito patrocinio, dei costi nella misura in cui lo permetta
la sua situazione finanziaria, come previsto dall’art. 67, Reg. cit.
Per approfondimenti su tutti i temi di cui a questo
§ faccio rinvio ai miei scritti seguenti:
https://www.giacomooberto.com/giornataeuropea2007/contenzioso_ue_sommario.htm
con particolare riferimento al capitolo
III.
https://www.giacomooberto.com/genova2007/relazionegenova23novembre07.htm.
Versione .doc disponibile al seguente sito web:
https://www.giacomooberto.com/download/relazionegenova23novembre07
con partcolare riferimento al paragrafo
20.
https://www.giacomooberto.com/milano2009/relazione.htm.
Documenti di riferimento
ASSEGNI ALIMENTARI NEI PAESI EXTRA U.E. |
Si è già ricordata la Convenzione di New York del
20 giugno 1956
sul recupero degli alimenti all’estero,
conclusa sotto l’egida delle Nazioni Unite, e che istituisce un meccanismo di
cooperazione amministrativa tra le autorità degli Stati parti. Alcuni Stati
membri sono anche parti a quattro
convenzioni della Conferenza dell’Aia di diritto internazionale privato
applicabili in materia di crediti alimentari (sotto elencate).
In particolare, la Convenzione di New York prevede un sistema di cooperazione
amministrativa tra autorità competenti. Per una lista di tali autorità si potrà consultare il documento collocato
nel sito seguente:
http://hcch.e-vision.nl/upload/wop/ny_conv.pdf.
Le Convenzioni
dell’Aia del 1958 e del 1973 relative al riconoscimento e all’esecuzione
delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari stabiliscono un
meccanismo di riconoscimento e d’esecuzione reciproco tra gli Stati contraenti,
nonché norme per la concessione dell’assistenza giudiziaria.
Le Convenzioni
dell’Aia del 1956 e del 1973 sulla legge
applicabile alle obbligazioni alimentari, sanciscono il primato della legge
della residenza abituale (o della
nuova residenza in caso di trasferimento) del
minore o dell’avente diritto in generale. Esistono tuttavia alcune
eccezioni:
·
la legge che disciplina le obbligazioni alimentari tra coniugi
divorziati o separati è la legge applicata al divorzio o alla separazione;
·
la legge stabilita dalla convenzione può essere disattesa se è
manifestamente contraria all’ordine pubblico;
·
il debitore di alimenti può opporsi alla richiesta di alimenti di un
parente collaterale o affine, ove tale obbligo non sia previsto dalla legge
nazionale comune o dalla legge della sua residenza abituale.
Inoltre, le due convenzioni dell’Aja del 1956 e 1973
sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari differiscono su alcuni punti:
Queste differenze sono fonte di complessità per la parte in giudizio. Inoltre, le cinque
convenzioni non sono complementari e
non consentono di localizzare in modo rapido ed efficace un debitore che si
rende inadempiente. Per questo motivo, si prevede di revisionare l’insieme delle disposizioni e di raccoglierle in una nuova
convenzione generale sui crediti alimentari. Per informazioni al
riguardo si potrà consultare la pagina dedicata alle maintenance obligations della Conferenza dell’Aja:
http://hcch.e-vision.nl/index_en.php?act=progress.listing&cat=3.
Il
sistema sopra descritto è poi stato completato da due successivi strumenti
approvati nel 2007:
·
Protocol of 23 November 2007 on the
Law Applicable to Maintenance Obligations.
Documenti di riferimento
PROCEDIMENTI RELATIVI ALLA CRISI CONIUGALE ALL’INTERNO DELL’UNIONE
EUROPEA |
Sommario: a) Generalità b) A chi si applica il regolamento? c) Come
si determina la competenza giurisdizionale? d) Come si esaminano la competenza
giurisdizionale e la procedibilità dell’azione? e)
Come avviene il riconoscimento delle decisioni? f)
Qual è la legge applicabile alla separazione e al divorzio? |
A partire dal 1° marzo
2001 le sentenze di separazione personale, divorzio o annullamento del
matrimonio, pronunciate in uno Stato membro dell’Unione europea (ad
eccezione della Danimarca), sono riconosciute più facilmente che non negli
altri.
Nel 2000, il Consiglio ha adottato il Regolamento
(CE) n. 1347/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla competenza, al
riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in
materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi. Tale
strumento, denominato anche comunemente «Bruxelles
II», è stato poco tempo dopo sostuito dal Regolamento
(CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla
competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia
matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il
regolamento (CE) n. 1347/2000, applicabile dal 1° marzo 2005 (questo
regolamento viene usualmente denominato «Bruxelles II bis»). Tale nuovo strumento non ha modificato le norme
su competenza, riconoscimento ed
esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale di cui al regolamento
precedente, apportando invece alcune importanti modifiche in relazione alla
materia della responsabilità parentale (come si vedrà tra poco). Neppure questo
regolamento si applica alla Danimarca.
Venendo ai tratti
salienti della disciplina in vigore,
va detto che il regolamento stabilisce, tra l’altro:
Il regolamento «Bruxelles II bis» (così come, del resto, il precedente «Bruxelles II» o come quello n. 44/2001, detto anche «Bruxelles I») concerne solo la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze, ma non stabilisce quale legge nazionale dovranno applicare i tribunali. Ciò dipende dalle disposizioni di diritto internazionale privato di ciascuno dei paesi membri.
b) A chi si
applica il regolamento?
Ai sensi dell’art. 1 il regolamento si applica, indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale, alle materie civili relative:
a) al divorzio, alla
separazione personale e all’annullamento del matrimonio;
b) all’attribuzione,
all’esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità
genitoriale.
Le materie attinenti alla potestà genitoriale riguardano in particolare:
a) il diritto di affidamento e
il diritto di visita;
b) la tutela, la curatela ed
altri istituti analoghi;
c) la designazione e le
funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o
dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano;
d) la collocazione del minore
in una famiglia affidataria o in un istituto;
e) le misure di protezione del
minore legate all’amministrazione, alla conservazione o all’alienazione dei
beni del minore.
Il regolamento non
si applica:
a) alla determinazione o
all’impugnazione della filiazione;
b) alla decisione relativa all’adozione,
alle misure che la preparano o all’annullamento o alla revoca dell’adozione;
c) ai nomi e ai cognomi del
minore;
d) all’emancipazione;
e) alle obbligazioni
alimentari;
f) ai trust e alle successioni;
g) ai provvedimenti derivanti
da illeciti penali commessi da minori.
Lasciando per il momento da parte le questioni
relative all’esercizio della potestà dei genitori (che nella normativa
comunitaria assume il nome di responsabilità parentale), vediamo che gli
effetti principali del regolamento attengono all’individuazione,
Potremo ora soffermarci con maggiore dettaglio sugli
aspetti caratteristici di tali profili.
c) Come si determina la competenza giurisdizionale?
Ai sensi dell’art. 3 sono competenti a
pronunciare una sentenza di divorzio (o annullamento, o separazione personale)
i tribunali dello Stato membro:
Le parti non possono scegliere un tribunale diverso
da quelli sopra menzionati.
d) Come si esaminano la
competenza giurisdizionale e la procedibilità dell’azione?
Ai sensi dell’art. 17, il giudice di uno Stato membro,
investito di una controversia per la quale non ha competenza in base al
presente regolamento e per la quale, sempre in base al presente regolamento, è
invece competente un giudice di un altro Stato membro, dichiara d’ufficio la propria incompetenza.
Qualora vengano adite le giurisdizioni competenti di
diversi Stati membri per una procedura relativa alle stesse parti, si pronuncia sulla competenza circa la domanda
di divorzio (o d’annullamento o di separazione) quella che è stata adita per prima. In altri termini, se
un tribunale viene adito, è competente a decidere sulla sua competenza
giurisdizionale, anche se successivamente ne viene adito un altro. Ai sensi dell’art. 19, il giudice successivamente adito sospende d’ufficio il
procedimento finché non sia stata accertata la competenza del giudice
preventivamente adito (accertamento che va effettuato da parte di quest’ultimo
giudice). Quando la competenza del giudice previamente adito è stata accertata
(dal giudice preventivamente adito), il giudice successivamente adito dichiara la propria incompetenza a
favore del giudice preventivamente adito. Evidentemente, nel caso il giudice
preventivamente adito dovesse dichiararsi incompetente, il procedimento dinanzi
al secondo giudice potrà proseguire.
Ai fini del citato articolo il giudice si considera adito (cfr. art. 16):
a)
alla data in cui la domanda giudiziale o un atto equivalente è depositato presso il giudice, purché
successivamente l’attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era
tenuto affinché fosse effettuata la notificazione al convenuto, o
b)
se l’atto deve essere notificato
prima di essere depositato presso il giudice (si pensi alle procedure italiane
per l’annullamento del matrimonio) alla data in cui l’autorità competente ai
fini della notificazione lo riceve, purché successivamente l’attore non abbia
omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché l’atto fosse
depositato presso il giudice.
e) Come avviene il riconoscimento delle decisioni?
·
Di norma, una sentenza di divorzio (o di annullamento o di
separazione), pronunciata in uno Stato membro, è automaticamente riconosciuta dagli altri Stati membri senza
particolari procedure (cfr. art. 21).
·
Tuttavia, la persona interessata
può chiedere che il giudice non
riconosca la sentenza di divorzio. Ciò nel caso in cui, per esempio, tale
riconoscimento è palesemente contrario all’ordine
pubblico o, a determinate
condizioni, se la decisione è contraria a un’altra decisione o ancora se l’atto
introduttivo non sia stato comunicato o notificato al convenuto contumace in
tempo utile e in modo tale che questi possa provvedere alla propria difesa.
· Grazie al riconoscimento delle decisioni, non è richiesta alcuna procedura per l’aggiornamento degli atti di stato civile di uno Stato membro. La domanda deve essere fatta sulla base di una sentenza di divorzio (o di separazione personale o di annullamento di matrimonio) che sia definitiva e non possa essere oggetto di ricorso sulla base della normativa di tale Stato membro.
·
Ai sensi dell’art. 24 è fatto divieto di
procedere al riesame della competenza
giurisdizionale del giudice d’origine e il criterio dell’ordine pubblico
non può essere applicato alle norme sulla competenza.
·
Il riconoscimento di una decisione di divorzio, separazione personale o
annullamento del matrimonio non può
essere negato perché la legge dello Stato membro richiesto non prevede per
i medesimi fatti il divorzio, la separazione personale o l’annullamento del
matrimonio (art. 25). La disposizione sembra
evidenziare la presenza di un vero e proprio favor divortii.
·
In nessun caso la decisione può formare oggetto di un riesame del merito (art. 26).
Da segnalare, per i profili tecnici, un’utilissima Guida
pratica all’applicazione del nuovo regolamento Bruxelles II, predisposta
redatto dai servizi della Commissione con la consulenza della Rete giudiziaria
europea in materia civile e commerciale, disponibile all’indirizzo web
seguente:
http://ec.europa.eu/civiljustice/parental_resp/parental_resp_ec_vdm_it.pdf.
Per
alcuni approfondimenti sul regolamento del 2000 si fa rinvio allo scritto dal
titolo Schema ipertestuale di una relazione sul tema: Il Regolamento del Consiglio (Ce) n. 1347/2000 del 29 maggio 2000
relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in
materia matrimoniale e di responsabilità parentale nei confronti dei figli
comuni, disponibile al sito seguente:
https://www.giacomooberto.com/regolamentouetorino/schema.htm.
Dalle
riflessioni sui regolamenti del 2000 e del 2003 è derivato dapprima uno studio
intitolato Practical
Problems Resulting from the Non-Harmonization
of Choice of Law Rules in Divorce Matters e quindi un «libro
verde sul diritto applicabile e sulla giurisdizione in materia di divorzio».
Tali lavori hanno portato ad un nuovo atto normativo sulla legge
applicabile in materia di separazione coniugale, divorzio e annullamento del
matrimonio (si parla al riguardo di «Roma III»). In effetti, il 17 luglio 2006
è stata approvata una apposita proposta
di regolamento (17.7.2006, COM(2006) 399, 2006/0135 (CNS)) che modifica il
regolamento (CE) n. 2201/2003 limitatamente alla competenza giurisdizionale e
introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale.
f) Qual è la legge
applicabile alla separazione e al divorzio?
Il problema
dell’individuazione della legge applicabile alle cause di separazione e di
divorzio ha formato oggetto per alcuni anni di un lavorio a livello di
organismi comunitari ed in particolare della Commissione che, in un primo
tempo, ebbe ad elaborare una proposta di regolamento destinata ad
integrare il regolamento n. 2201/2003, circa la competenza giurisdizionale e la
legge applicabile alle cause di separazione e divorzio (c.d. Roma III).
Su tale proposta faccio rinvio ai miei scritti
seguenti:
https://www.giacomooberto.com/giornataeuropea2007/contenzioso_ue_sommario.htm
con particolare riferimento
al capitolo
I e al capitolo
II.
https://www.giacomooberto.com/genova2007/relazionegenova23novembre07.htm.
Versione .doc disponibile al seguente sito web:
https://www.giacomooberto.com/download/relazionegenova23novembre07.
http://giacomooberto.com/farnesina2010/oberto_traccia_relazione.htm.
http://giacomooberto.com/roma_forum_2009/oberto_matrimoni_misti_ordine_pubblico.mht.
Da notare infine che la predetta proposta, in
relazione anche al profilo della c.d. cooperazione rafforzata, ha dato luogo al
Regolamento
(UE) n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010, relativo all’attuazione
di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio
e alla separazione personale.
Il Regolamento prevede che dal 2012 trovino
applicazione nuove regole uniformi europee per quanto concerne la legge
applicabile alle controversie in materia di separazione personale e divorzio.
I coniugi avranno la facoltà di scegliere in accordo
la legge applicabile al divorzio e alla separazione a patto e condizione che si
tratti:
· di legge dello stato di residenza abituale dei coniugi
al momento della conclusione dell’accordo;
· di legge dello stato dell’ultima residenza abituale
dei coniugi, nel caso in cui uno di essi vi risieda ancora al momento della
conclusione dell’accordo;
· di legge dello stato di cui uno dei coniugi abbia la
cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo;
· o, infine, di legge del foro.
Tale regolamento è stato approvato in seguito alla
decisione di avvalersi della procedura di cooperazione rafforzata. Ciò
significa che il nuovo testo si applica solamente agli stati che hanno deciso
esplicitamente di aderirvi (14 su 28), che nello specifico sono: Belgio,
Bulgaria; Germania, Spagna, Francia, Italia, Lettonia. Lussemburgo, Ungheria,
Malta, Austria, Portogallo, Romania e Slovenia.
Il Regolamento precisa poi che le norme in esso
contenute non si applicano a:
· annullamento del matrimonio;
· obblighi di mantenimento;
· responsabilità verso i figli;
· effetti patrimoniali del matrimonio;
· trust o successioni;
· capacità giuridica delle persone fisiche.
Lo strumento si applica ai procedimenti avviati e agli
accordi tra i coniugi sulla legge applicabile conclusi a decorrere dalla data
del 21 giugno 2012.
Producono, in ogni caso, effetti anche gli accordi tra
coniugi conclusi prima della sopra menzionata data, a patto che siano conformi
alle prescrizioni stabilite negli articoli 6 e 7 del regolamento, ossia
relativi al consenso e alla validità formale e sostanziale dell’accordo.
Il Regolamento indica poi quali siano i criteri per
individuare la legge applicabile nell’ipotesi in cui i coniugi non abbiano
concluso un accordo.
Più esattamente, l’art. 8 stabilisce che in mancanza
di una scelta ai sensi dell’articolo 5, il divorzio e la separazione personale
sono disciplinati dalla legge dello Stato:
a) della residenza abituale dei coniugi nel momento in
cui è adita l’autorità giurisdizionale, o, in mancanza;
b) dell’ultima residenza abituale dei coniugi sempre
che tale periodo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita
l’autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora nel momento in cui
è adita l’autorità giurisdizionale; o, in mancanza;
c) di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in
cui è adita l’autorità giurisdizionale; o, in mancanza;
d) in cui è adita l’autorità giurisdizionale.
Documenti di riferimento
PROCEDIMENTI RELATIVI ALLA CRISI CONIUGALE AL DI FUORI DELL’AMBITO
U.E. |
La convenzione internazionale più importante nel
settore è la convenzione dell’Aia (testo inglese) del 1970 sul
riconoscimento dei divorzi e delle separazioni personali. L’obiettivo di tale
convenzione è di garantire, a determinate condizioni, il riconoscimento, tra
gli Stati contraenti, dei divorzi e delle separazioni personali pronunciate
in un altro Stato contraente. La convenzione non si applica alle relazioni tra
gli Stati membri dell’Unione, disciplinate dal
Regolamento
(CE) n. 2201/2003 (e, prima di esso, dal Regolamento
n. 1347/2000), ad eccezione della Danimarca (che ha ratificato la
Convenzione).
La
convenzione si pone l’obiettivo di determinare :
La convenzione riguarda solo la competenza dei
tribunali e il riconoscimento delle decisioni di divorzio e di separazione
personale. Le decisioni relative alle conseguenze
patrimoniali del divorzio o all’affidamento
dei figli non rientrano nella
convenzione.
Convenzioni bilaterali
Alcuni Stati membri dell’U.E. hanno inoltre concluso convenzioni bilaterali con paesi terzi sul riconoscimento dei divorzi. Informazioni al riguardo potranno essere richieste all’Ufficio per il coordinamento dell’attività internazionale costituito presso il Ministero della Giustizia, contattabile tramite il seguente indirizzo web:
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_11_7.wp;jsessionid=544505AE08958975202197A7FFA97847.ajpAL01.
Per ulteriori
approfondimenti si fa rinvio allo scritto dal titolo International Conventions in the Field of Family Law, disponibile
al sito seguente:
https://www.giacomooberto.com/conventions/report.htm.
Documento di riferimento
PROTEZIONE DEI MINORI NELL’UNIONE EUROPEA |
Sommario: a)
Genesi del regolamento attualmente in vigore b)
Principali obiettivi del regolamento c)
Determinazione della competenza giurisdizionale d)
Modalità di riconoscimento e di esecuzione di una decisione in un altro Stato
membro e)
Libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia di diritto di
visita f)
Prevenzione delle sottrazioni di minori da parte di uno dei genitori
all’interno dell’Unione europea. Libera circolazione delle disposizioni
che prescrivono il ritorno del minore |
a) Genesi del regolamento attualmente in vigore
L’Unione Europea ha inteso
creare un ambiente giuridico sicuro per i minori garantendo la libera
circolazione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale
all’interno del suo territorio. Tale è l’obiettivo del Programma di misure per
l’attuazione del reciproco riconoscimento delle decisioni. Come si è già detto,
il Regolamento
n. 1347/2000 del Consiglio, che introduce norme armonizzate sulla
competenza, il riconoscimento e l’esecuzione di alcune decisioni in materia di
potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, costituisce la prima fase
del riconoscimento delle decisioni nel settore del diritto di famiglia. Da
allora, a seguito di una proposta della Commissione, un ulteriore progresso è
stato conseguito con l’adozione formale, nel novembre 2003, di un nuovo regolamento
sulla responsabilità genitoriale: si tratta del già più volte citato Regolamento
(CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza,
al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in
materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE)
n. 1347/2000.
Il
regolamento n. 1347/2000, in
vigore dal 1° marzo 2001, aveva ad oggetto le decisioni rese, successivamente a
tale data, in uno Stato membro in materia di responsabilità genitoriale nell’ambito di un procedimento di divorzio,
di separazione personale o di annullamento del matrimonio. Non rientrava
pertanto nel campo di applicazione del regolamento una decisione non collegata
ad uno di questi procedimenti. Il regolamento si applicava in particolare alle
decisioni che stabilivano con quale genitore avrebbero dovuto vivere i minori
(diritto di affidamento) e se l’altro genitore avesse diritto di far visita ai
figli (diritto di visita). Non si applicava alle decisioni in materia di
obbligazioni alimentari, che rientravano (e ad oggi ancora rientrano) nel regolamento n. 44/2001, c.d. «Bruxelles
I», concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione
delle decisioni in materia civile e commerciale. Infine, il regolamento si applicava soltanto alle decisioni
relative ai figli di entrambi i coniugi.
Nella scia
delle decisioni
assunte a Tampere nel 1999, il
regolamento del Consiglio n. 1347/2000 è stato seguito da un’iniziativa
presentata dalla Francia nel luglio 2000 sul
diritto di visita. Nel novembre 2000 è stato adottato un programma per il
riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie, nel quale le decisioni in
materia di responsabilità genitoriale costituiscono uno dei campi d’azione
previsti. A seguito di una proposta
della Commissione europea si è dunque giunti all’adozione del nuovo regolamento,
approvato, come si è detto, il 27 novembre 2003 (n. 2201/2003). Quest’ultimo è entrato in
vigore il 1° marzo 2005. Esso, in buona sostanza:
b) Principali
obiettivi del regolamento
Il regolamento prevede che una decisione in materia
di responsabilità genitoriale possa
essere riconosciuta e resa esecutiva in un altro Stato membro
tramite una procedura semplice ed uniforme. Stabilisce anche norme uniformi in
materia di competenza. Il regolamento risponde alle domande seguenti:
· a quale Stato membro spetta
la competenza giurisdizionale per
deliberare in materia di divorzio e di responsabilità genitoriale nei confronti
dei figli di entrambi i coniugi, e
· con quali modalità una
decisione in materia di responsabilità genitoriale è riconosciuta ed eseguita
in un altro Stato membro.
c) Determinazione della competenza giurisdizionale
Ai sensi dell’art. 8 le autorità giurisdizionali
di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità
genitoriale su un minore, se il minore
risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi.
Ai
sensi dell’art. 9
è però prevista una forma di ultrattività
della competenza della precedente
residenza abituale del minore, nei casi seguenti:
·
In caso di lecito trasferimento della residenza di
un minore da uno Stato membro ad un altro che diventa la sua residenza
abituale, la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro della
precedente residenza abituale del minore permane in deroga all’articolo 8 per
un periodo di 3 mesi dal trasferimento, per modificare una decisione sul
diritto di visita resa in detto Stato membro prima del trasferimento del
minore, quando il titolare del diritto di visita in virtù della decisione sul
diritto di visita continua a risiedere abitualmente nello Stato membro della
precedente residenza abituale del minore.
·
Tale regola però non si applica se il titolare del
diritto di visita ha accettato la
competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui risiede
abitualmente il minore partecipando ai procedimenti dinanzi ad esse senza
contestarla.
Ai
sensi dell’art. 10
vengono fissati i criteri nei casi di sottrazione
di minori, vale a dire di trasferimento illecito o mancato rientro del
minore, prevedendosi che l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel
quale il minore aveva la residenza
abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro conserva la competenza giurisdizionale
fino a che il minore non abbia acquisito la residenza in un altro Stato membro,
a condizione che:
1.
ciascuna persona,
istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha accettato il trasferimento o mancato
rientro, oppure
2.
se il minore ha soggiornato in quell’altro Stato membro
almeno per un anno da quando la
persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha avuto
conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si
trovava e il minore si è integrato nel
nuovo ambiente e se ricorre una qualsiasi delle seguenti condizioni:
·
i) entro un anno
da quando il titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe
dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava non è stata presentata
alcuna domanda di ritorno del minore dinanzi alle autorità competenti dello
Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto
rientro;
·
ii) una domanda
di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento è stata ritirata
e non è stata presentata una nuova domanda entro il termine di cui al punto i);
·
iii) un
procedimento dinanzi all’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale
il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o
del mancato rientro è stato definito a norma dell’articolo 11, paragrafo 7;
·
iv) l’autorità
giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza
abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o del mancato ritorno
ha emanato una decisione di affidamento che non prevede il ritorno del minore.
Nel
caso di domanda per il ritorno del
minore l’art. 11
detta una serie di norme di coordinamento
con le disposizioni della Convenzione
dell’Aja del 1980, sostanzialmente rinviando agli artt.12 e 13 di
quest’ultima, ma inserendovi ulteriori garanzie, tra cui in particolare quella
per la quale il giudice deve assicurarsi che il minore possa essere ascoltato
durante il procedimento se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età
o del suo grado di maturità.
L’art. 12
prevede invece una forma di proroga della
competenza, nel senso che le autorità giurisdizionali dello Stato membro in
cui viene esercitata, ai sensi dell’articolo 5, la
competenza a decidere sulle domande di divorzio,
separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio sono competenti
per le domande relative alla responsabilità dei genitori che si ricollegano a
tali domande se:
·
almeno uno dei
coniugi esercita la responsabilità genitoriale sul figlio e
·
la competenza
giurisdizionale di tali autorità giurisdizionali è stata accettata
espressamente o in qualsiasi altro modo univoco dai coniugi e dai titolari
della responsabilità genitoriale alla data in cui le autorità giurisdizionali
sono adite, ed è conforme all’interesse superiore del minore.
Tale
competenza però cessa non appena:
a) la decisione che accoglie o respinge la domanda di
divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio sia passata in
giudicato;
o
b) nei casi in cui il procedimento relativo alla
responsabilità genitoriale è ancora pendente alla data di cui alla lettera a),
la decisione relativa a tale procedimento sia passata in giudicato;
o
c) il procedimento di cui alle lettere a) e b) sia
terminato per un’altra ragione.
Ai
sensi, poi, dell’art. 13,
qualora non sia possibile stabilire la
residenza abituale del minore né determinare la competenza ai sensi
dell’articolo 12, sono competenti i giudici dello Stato membro in cui si trova il minore. La norma si
applica anche ai minori rifugiati o ai minori sfollati a livello internazionale
a causa di disordini nei loro paesi.
Qualora
nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente ai sensi
degli articoli da 8 a 13 la competenza, in ciascuno Stato membro, è determinata
dalla legge di tale Stato (art. 14).
Ancora, ex art. 15, le autorità giurisdizionali di uno
Stato membro competenti a conoscere del merito, qualora ritengano che
l’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con il quale il minore
abbia un legame particolare sia più adatto a trattare il caso o una sua parte
specifica e ove ciò corrisponda all’interesse superiore del minore, possono determinare un trasferimento della propria competenza
a tale autorità da ultimo menzionata.
d) Modalità di riconoscimento e di esecuzione di una decisione in un
altro Stato membro
Ciascuna parte interessata può richiedere che una
decisione in materia di responsabilità genitoriale, resa nell’ambito di un
procedimento di divorzio, sia riconosciuta
e resa esecutiva in un altro Stato
membro. Anche qui vale la già citata regola secondo cui il riconoscimento è
automatico (cfr. art. 21). Si tenga però presente
che, in materia di responsabilità dei genitori, il profilo che emerge come più rilevante non è tanto quello del
riconoscimento, quanto quello dell’esecuzione. Sul punto trovano
applicazione le disposizioni di cui agli artt. 28 ss. In particolare, Le
decisioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale su un minore,
emesse ed esecutive in un determinato Stato membro, sono eseguite in un altro
Stato membro dopo esservi state
dichiarate esecutive su istanza della parte interessata, purché siano state
notificate. L’istanza per la dichiarazione di esecutività è proposta ai giudici
che figurano nell’elenco comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione
conformemente all’art. 68.
Il giudice statuisce
tempestivamente che la decisione è esecutiva in questo Stato membro.
Tuttavia, il giudice deve rigettare
l’istanza nei seguenti casi:
e) Libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia di
diritto di visita
Come già indicato, il regolamento del Consiglio n.
1347/2000 trovava applicazione soltanto ad una categoria limitata di decisioni giudiziarie
in materia di responsabilità genitoriale. Ad esempio, non si applicava alle
decisioni riguardanti genitori non sposati, o alle decisioni rese
successivamente al procedimento di divorzio. Per garantire la parità di
trattamento a tutti i minori, il campo di applicazione del nuovo regolamento si
estende ora a tutte le decisioni giudiziarie rese in materia di responsabilità
genitoriale nei confronti dei figli,
indipendentemente dal fatto che siano o meno nati da matrimonio.
Ma non basta. Il nuovo regolamento ha infatti
provveduto ad eliminare, come già
anticipato, la necessità dell’exequatur per
·
l’esecuzione di decisioni riguardanti il diritto di visita o
·
ordinanti il ritorno del minore.
In tal modo si garantisce meglio il diritto del
minore di mantenere contatti diretti
e personali con entrambi i genitori dopo un divorzio, anche quando i genitori
vivono in Stati membri diversi. In alcuni casi, i genitori possono essere
restii a lasciare andare i loro figli in un altro Stato membro per far visita
all’altro genitore, benché a quest’ultimo sia stato riconosciuto il diritto di
visita. Il nuovo testo mira a risolvere il problema, consentendo che le decisioni riguardanti il diritto di
visita siano riconosciute e automaticamente eseguite in un altro Stato membro.
Ad esempio, se una madre non vuole che il figlio si rechi in un altro Stato
membro per far visita a suo padre conformemente alla decisione pronunciata, il
padre può chiedere che la decisione sia resa esecutiva nell’altro Stato membro
come se fosse stata resa in questo Stato. In tal caso, non è più necessario avviare un’ulteriore azione giudiziaria per far
dichiarare esecutiva tale decisione.
Sul punto stabilisce il nuovo regolamento del 2003 (art. 41)
che le decisioni sul diritto di visita
sono riconosciute ed eseguibili in un altro Stato membro senza che sia necessaria alcuna dichiarazione di esecutività e
senza che sia possibile opporsi al loro riconoscimento se le decisioni sono state certificate nello Stato membro d’origine.
Anche se il diritto interno non prevede
l’esecutività di diritto, nonostante un eventuale ricorso, di una decisione che
accorda un diritto di visita, l’autorità giurisdizionale può dichiarare la decisione esecutiva.
Il giudice di origine rilascia a tal fine un certificato, sulla base di un modello
standard, alle seguenti condizioni:
a) in caso di procedimento
in contumacia, la domanda giudiziale
o un atto equivalente è stato notificato
o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale che questi
possa presentare le proprie difese, o, è stato notificato o comunicato nel
mancato rispetto di queste condizioni, sia comunque accertato che il convenuto
ha accettato la decisione inequivocabilmente;
b) tutte le parti
interessate hanno avuto la possibilità di essere
ascoltate;
e
c) il minore ha avuto la
possibilità di essere ascoltato,
salvo che l’audizione non sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua
età o del suo grado di maturità.
Il certificato standard deve essere compilato nella lingua della decisione.
Se il diritto di visita riguarda un caso che sin
dall’atto della pronuncia della decisione riveste un carattere
transfrontaliero, il certificato è rilasciato d’ufficio quando la decisione
diventa esecutiva, anche se solo provvisoriamente. Se il caso diventa
transfrontaliero solo in seguito, il certificato è rilasciato a richiesta di
una della parti.
Il nuovo regolamento stabilisce norme che mirano a
risolvere effettivamente il problema delle sottrazioni
di minori da parte di uno dei genitori all’interno della Comunità. Al fine
di creare un effetto dissuasivo, il regolamento prevede che le giurisdizioni
dello Stato membro nel quale il minore risiede prima della sottrazione siano competenti a decidere in via
definitiva. In questo modo, i genitori non saranno più tentati di ricorrere
alla sottrazione del minore per adire un giudice nello Stato della loro
cittadinanza nella speranza di ottenere una sentenza diversa da quella
pronunciata in un altro Stato membro.
Ai sensi dell’art. 42 la decisione che che prescrive il ritorno del minore di cui all’articolo 11, paragrafo 8, è
riconosciuta ed è eseguibile in un
altro Stato membro senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e
senza che sia possibile opporsi al riconoscimento, se la decisione è stata
certificata nello Stato membro d’origine.
Anche se la legislazione nazionale non prevede
l’esecutività di diritto, nonostante eventuali impugnazioni, di una decisione
che prescrive il ritorno del minore di cui all’articolo 11, paragrafo 8,
l’autorità giurisdizionale può dichiarare che la decisione in questione è
esecutiva.
Il giudice di origine che ha emanato la decisione in
oggetto rilascia il certificato, sulla
base di un modello
standard a condizione che:
a) il minore ha avuto la
possibilità di essere ascoltato,
salvo che l’audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o
del suo grado di maturità;
b) le parti hanno avuto la
possibilità di essere ascoltate; e
c) l’autorità
giurisdizionale ha tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e
degli elementi di prova alla base del provvedimento emesso conformemente all’articolo 13 della convenzione dell’Aia del 1980.
Nel caso in cui l’autorità giurisdizionale o
qualsiasi altra autorità adotti misure per assicurare la protezione del minore
dopo il suo ritorno nello Stato della residenza abituale, il certificato
contiene i dettagli di tali misure. Il giudice d’origine rilascia detto
certificato di sua iniziativa e utilizzando un modello standard. Il certificato è compilato nella lingua della
decisione.
In via cautelare (art. 20) i tribunali dello Stato membro nel quale il minore è stato portato potrebbero decidere che il minore non deve fare ritorno immediato qualora esista un rischio grave di esporlo in tal modo ad un pericolo o se il minore ha raggiunto l’età o un grado di maturità tale per cui è opportuno tenere conto della sua opinione ed egli si oppone al ritorno. Spetta tuttavia al giudice dello Stato membro nel quale il minore risiedeva prima della sua sottrazione adottare la decisione definitiva in merito al luogo di residenza del minore. Il minore dovrebbe essere ascoltato nel corso del procedimento ove opportuno, in considerazione della sua età e del suo grado di maturità. Le autorità centrali sono tenute ad assistere i genitori vittime di una sottrazione, a promuovere la mediazione ed a facilitare la comunicazione tra le giurisdizioni.
Da segnalare, per i profili tecnici, un’utilissima Guida
pratica all’applicazione del nuovo regolamento Bruxelles II, predisposta
redatto dai servizi della Commissione con la consulenza della Rete giudiziaria
europea in materia civile e commerciale, disponibile all’indirizzo web seguente:
http://ec.europa.eu/civiljustice/parental_resp/parental_resp_ec_vdm_it.pdf.
Per
ulteriori approfondimenti si fa rinvio allo scritto dal titolo Schema ipertestuale di una relazione sul
tema: Il Regolamento del Consiglio (Ce) n. 1347/2000 del 29 maggio 2000
relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in
materia matrimoniale e di responsabilità parentale nei confronti dei figli
comuni, disponibile al sito seguente:
https://www.giacomooberto.com/regolamentouetorino/schema.htm,
nonché allo scritto dal titolo Judicial Co-Operation in Cross-Border Family
Law Matters, disponibile al
sito seguente:
https://www.giacomooberto.com/lecco/reportonlecco.htm.
Documenti di riferimento
PROTEZIONE DEI MINORI IN RELAZIONE AGLI ORDINAMENTI DEI PAESI EXTRA U.E.
|
La protezione dei minori è
trattata da una miriade di convenzioni internazionali, stipulate sotto l’egida
dei più importanti organismi internazionali.
Le Nazioni Unite
La convenzione sancisce che tutti i minori sono
uguali ed hanno il diritto di vivere, di sviluppare in modo armonioso e completo
la loro personalità, di partecipare pienamente alla società e di essere
protetti. Stabilisce il principio secondo il quale l’interesse superiore del
bambino deve essere la considerazione preminente in tutte le decisioni che lo
riguardano. La convenzione è stata ratificata da tutti gli Stati membri. La
convenzione è stata ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176.
Il Consiglio d’Europa
Questa convenzione protegge
i diritti e libertà fondamentali dell’uomo ed istituisce la Corte europea dei
diritti dell’uomo, competente per garantirne il rispetto. Alcune disposizioni
trovano applicazione nei confronti della famiglia e dei minori, in particolare il diritto al rispetto della vita familiare
(articolo 8). È stata ratificata da tutti gli Stati membri.
La convenzione è volta ad armonizzare
le legislazioni degli Stati membri ed evitare conflitti di leggi nei casi in
cui l’adozione implica il trasferimento di un minore da uno Stato membro ad un
altro. Riguarda le condizioni e gli effetti giuridici dell’adozione. È stata
ratificata da Danimarca, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Svezia
e Regno Unito.
Questa convenzione mira ad
assimilare lo status dei bambini nati fuori dal matrimonio a quello dei bambini
nati nel matrimonio. È stata ratificata da Austria, Danimarca, Grecia, Irlanda,
Lussemburgo, Portogallo, Svezia e Regno Unito.
Questa convenzione riconosce
nel suo preambolo che l’interesse del bambino riveste importanza predominante
in materia di decisioni riguardanti l’affidamento. Intende cercare un rimedio
alle difficoltà incontrate nelle controversie relative all’affidamento dei
minori nel caso di genitori che risiedono in paesi europei diversi. È stata
ratificata da tutti gli Stati membri. In particolare l’Italia l’ha ratificata
con legge 15 gennaio 1994, n. 64.
L’obiettivo della
convenzione è di proteggere gli interessi superiori dei minori. Contiene alcune
misure d’ordine procedurale tendenti a garantire il rispetto dei diritti dei
minori. È stata ratificata da alcuni Paesi. L’Italia l’ha ratificata con legge 20 marzo 2003, n.
77 e ha depositato lo strumento di ratifica in data 4 luglio 2003 (data di
entrata in vigore dello strumento per il nostro Paese), peraltro formulando una
riserva di applicazione della Convenzione ad numero limitatissimo di
procedimenti. Più esattamente, con dichiarazione contenuta in una lettera del
Rappresentante permanente dell’Italia presso il Consiglio d’Europa, depositata
al Segretario Generale del Consiglio d’Europa al momento del deposito dello
strumento di ratifica (4 luglio 2003), il governo italiano ha comunicato che:
«In conformità all’art. 1, paragrafo 4 della Convenzione, il governo della
Repubblica italiana indica quali controversie nelle quali la Convenzione trova
applicazione, quelle di cui agli articoli 145 del codice civile, in materia di
potestà genitoriale; 244, ultimo comma, del codice civile, in materia di
filiazione naturale; 247, ultimo comma, del codice civile, sullo stesso tema;
264, comma 2, e 274 del codice civile, sulla stessa materia; 322 e 323 del
codice civile, in materia di opposizione del figlio ad atti di amminis-trazione
del patrimonio posti in essere dai genitori».
La convenzione intende
definire i principi generali applicabili alle decisioni giudiziarie in materia
di diritto di visita ai minori, nonché le idonee salvaguardie e garanzie atte
ad assicurare il corretto svolgimento di tali visite ed il ritorno immediato
dei minori al termine di queste. Non è ancora entrata in vigore.
La conferenza dell’Aia
Si segnalano di seguito le più importanti fra le
convenzioni recenti:
Questa convenzione mira a
proteggere i minori adottivi nel loro paese d’origine, possibilmente offrendo
loro l’opportunità di vivere in un ambiente familiare nel loro paese. Prevede
una cooperazione tra le autorità dei vari Stati. È stata ratificata
dall’Italia, così come da numerosi Paesi europei ed
extraeuropei,
tra cui l’Italia, che l’ha ratificata con Legge 31 dicembre 1998,
n. 476.
La finalità di questa
convenzione è di proteggere i minori dagli effetti nocivi della sottrazione e
del loro trattenimento oltre frontiera, prevedendo una procedura che permetta
il loro ritorno tempestivo grazie alla cooperazione tra le autorità centrali. È
stata ratificata da tutti gli Stati membri. In particolare l’Italia l’ha
ratificata con legge 15 gennaio 1994, n. 64.
Questa convenzione stabilisce norme in materia di competenza, di legge applicabile, di riconoscimento e di esecuzione delle misure relative alla responsabilità genitoriale ed alla protezione dei minori. La competenza spetta di norma allo Stato contraente in cui il minore risiede abitualmente. La convenzione prevede un meccanismo di cooperazione tra le autorità centrali. Non è ancora entrata in vigore.
Di estremo interesse pratico è la Child Abduction Homepage of the Hague
Conference, disponibile
all’indirizzo web seguente:
http://hcch.e-vision.nl/index_en.php?act=text.display&tid=21.
Nell’ambito di questa iniziativa è stata redatta
anche una Guide to Good Practice, disponibile all’indirizzo web seguente:
http://hcch.e-vision.nl/upload/abdguide_e.pdf.
Molto utile è poi l’elenco alfabetico delle autorità centrali, disponibile al sito web seguente:
http://hcch.e-vision.nl/index_en.php?act=conventions.authorities&cid=24.
La Conferenza dell’Aia ha creato anche una Commissione speciale sul tema e ha dato vita ad
una newsletter su questi argomenti,
disponibile all’indirizzo web
seguente:
http://hcch.e-vision.nl/index_en.php?act=publications.details&pid=3437&dtid=3.
Un’altra commendevole iniziativa in proposito, da
parte della Conferenza dell’Aia, è costituita dalla creazione di una banca dati
sulla materia della sottrazione di minori: si tratta della International Child Abduction Database
(INCADAT), disponibile online al sito seguente:
http://www.incadat.com/index.cfm. La banca dati contiene,
tra l’altro, giurisprudenza sul tema della sottrazione di minori, interrogabile
con un apposito motore di ricerca.
Di grande interesse, sempre nel medesimo sito, è la
parte dedicata ai paesi «non-Aja»,
con ampie illustrazioni sugli strumenti internazionali (e specialmente sulle
convenzioni bilaterali) tesi a risolvere il problema della sottrazione di
minori tra Paesi non aderenti alla Convenzione dell’Aja. La trattazione è
disponibile al sito seguente:
http://www.incadat.com/index.cfm?fuseaction=stdtext.showMenutext&id=22&p=h&lng=1.
Ulteriori informazioni (in italiano) sono
disponibili nel sito del Ministero della giustizia, al seguente indirizzo web:
In
materia di adozioni internazionali,
tra i vari siti dedicati alla materia, potrà rinviarsi a quello della
Commissione per le adozioni internazionali, istituita presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri, all’indirizzo seguente:
http://www.commissioneadozioni.it/.
Documenti di riferimento
o
Convention of 24 October
1956 on the law applicable to maintenance obligations towards children.
o
Convention of 25
October 1980 on the Civil Aspects of International Child Abduction.
o
Convention of 19 October 1996 on Jurisdiction, Applicable Law,
Recognition, Enforcement and Co-operation in respect of Parental Responsibility
and Measures for the Protection of Children.
IL COORDINAMENTO DELLE PROCEDURE D’INSOLVENZA
ALL’INTERNO DELL’UNIONE EUROPEA |
L’Unione europea ha
adottato il 29 maggio 2000 un regolamento
relativo alle procedure d’insolvenza (n. 1346/2000),
che è entrato in vigore il 31 maggio 2002. L’obiettivo principale di questo
regolamento è quello di evitare che le parti (l’impresa in stato di
fallimento, ossia il debitore, ed i suoi creditori) siano incoraggiate a trasferire
i propri beni o i procedimenti giudiziari da uno Stato membro all’altro per
ottenere un trattamento più favorevole.
Le disposizioni di questo regolamento sono
direttamente applicabili in tutti gli Stati membri, ad eccezione della
Danimarca. Esso (art. 1)
si applica alle procedure
concorsuali fondate sull’insolvenza del debitore che comportano lo
spossessamento parziale o totale del debitore stesso e la designazione di un
curatore. Non si applica alle imprese di assicurazione né agli enti creditizi e
d’investimento.
Per perseguire il suo obiettivo, il regolamento prevede norme comuni relative alla competenza dei giudici, al riconoscimento delle decisioni ed alla legge applicabile, nonché un coordinamento obbligatorio delle procedure eventualmente aperte in diversi Stati membri.
Il regolamento si applica (art. 1)
alle procedure d’insolvenza che comprendono i seguenti elementi:
I tribunali competenti per aprire la procedura d’insolvenza sono quelli dello Stato membro sul cui territorio è situato il «centro degli interessi principali del debitore» (art. 3). Per una società commerciale, si tratta in genere della sua sede statutaria. Tuttavia, in un secondo momento, si possono aprire procedure secondarie per liquidare beni che si trovano in un altro Stato membro. La legge dello Stato membro in cui sono state aperte le procedure d’insolvenza determina tutti gli effetti di tali procedure.
Più esattamente, secondo l’art. 3,
2. Se il centro degli
interessi principali del debitore è situato nel territorio di uno Stato membro,
i giudici di un altro Stato membro sono competenti ad aprire una procedura di
insolvenza nei confronti del debitore solo
se questi possiede una dipendenza nel territorio di tale altro Stato membro.
Gli effetti di tale procedura sono limitati ai beni del debitore che si
trovano in tale territorio.
Da notare poi che l’art. 4
contiene una norma di diritto
internazionale privato e processuale,
determinando la legge applicabile
alla procedura ed ai suoi effetti, secondo il principio, sostanzialmente, della
lex fori, come segue:
1. Salvo disposizione contraria del presente
regolamento, si applica alla procedura di insolvenza e ai suoi effetti la legge dello Stato membro nel cui territorio
è aperta la procedura, denominato «Stato di apertura».
2. La legge dello Stato di apertura determina le
condizioni di apertura, lo svolgimento e la chiusura della procedura di
insolvenza. Essa determina in particolare:
a) i debitori che per la loro qualità possono essere
assoggettati ad una procedura di insolvenza;
b) i beni che sono oggetto di spossessamento e la
sorte dei beni acquisiti dal debitore dopo l’apertura della procedura di
insolvenza;
c) i poteri, rispettivamente, del debitore e del
curatore;
d) le condizioni di opponibilità della
compensazione;
e) gli effetti della procedura di insolvenza sui
contratti in corso di cui il debitore è parte;
f) gli effetti della procedura di insolvenza sulle
azioni giudiziarie individuali, salvo che per i procedimenti pendenti;
g) i crediti da insinuare nel passivo del debitore e
la sorte di quelli successivi all’apertura della procedura di insolvenza;
h) le disposizioni relative all’insinuazione, alla
verifica e all’ammissione dei crediti;
i) le disposizioni relative alla ripartizione del
ricavato della liquidazione dei beni, il grado dei crediti e i diritti dei
creditori che sono stati in parte soddisfatti dopo l’apertura della procedura
di insolvenza in virtù di un diritto reale o a seguito di compensazione;
j) le condizioni e gli effetti della chiusura della
procedura di insolvenza, in particolare, mediante concordato;
k) i diritti dei creditori dopo la chiusura della
procedura di insolvenza;
l) l’onere delle spese derivanti dalla procedura di
insolvenza;
m) le disposizioni relative alla nullità,
all’annullamento o all’inopponibilità degli atti pregiudizievoli per la massa
dei creditori.
Ai sensi dell’art.
16, la decisione di apertura della procedura di insolvenza da parte di un
giudice di uno Stato membro, competente in virtù dell’articolo 3, è riconosciuta in tutti gli altri Stati
membri non appena essa produce effetto nello Stato in cui la procedura è
aperta. Tale disposizione si applica anche quando il debitore, per la sua
qualità, non può essere assoggettato a una procedura di insolvenza negli altri
Stati membri. La decisione di apertura di una procedura di cui all’articolo 3,
paragrafo 1, produce in ogni altro Stato membro, senza altra formalità, gli
effetti previsti dalla legge dello Stato di apertura, salvo disposizione
contraria del presente regolamento e fintantoché, in tale altro Stato membro
non è aperta altra procedura di cui all’articolo 3, paragrafo 2.
L’art. 18
determina i poteri del curatore. Le
disposizioni del regolamento prevedono poi che le procedure aperte in vari
Stati membri siano oggetto di un coordinamento, in particolare attraverso la cooperazione
attiva tra i vari curatori (cfr. art.
31). Gli artt. 27
ss. regolano le procedure secondarie di
insolvenza, mentre gli artt. 39
ss. riguardano le regole di insinuazione
dei creditori.
Documenti di riferimento
PROCEDURE SEMPLIFICATE ED ACCELERATE (INGIUNZIONE EUROPEA DI PAGAMENTO E CONTROVERSIE DI MODESTA ENTITÀ) |
Sommario: a) Generalità: principi e direttive al riguardo b) Il
Regolamento sull’ingiunzione europea di pagamento c) Il
Regolamento sulle controversie di modesta entità |
a) Generalità: principi e
direttive al riguardo.
La maggior parte degli
Stati membri conosce procedure semplificate ed accelerate, soprattutto
nei casi in cui il valore della causa non oltrepassa una certa soglia
(procedure per «cause di modesta entità»), e quando il debitore non contesta
l’oggetto della controversia (procedure di «ingiunzione di pagamento»). Queste
procedure variano comunque notevolmente da uno Stato membro all’altro.
Per una panoramica di
questo particolare tipo di procedure nel sistema tedesco ed in quello inglese
rinvio al mio articolo dal titolo I procedimenti semplificati ed accelerati
nell’esperienza tedesca ed in quella inglese, in Corr. giur., 2002,
pag. 1239-1251, 1519-1531; nonché in AA.VV., Per una formazione europea dei
magistrati, Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura,
Vol. V, t. I, 2003, n. 134, pag. 551-611; il lavoro è altresì disponibile dal
30 marzo 2002 al seguente indirizzo web:
https://www.giacomooberto.com/csm/2002/relazione.htm.
Al fine di migliorare e
semplificare l’accesso alla giustizia, l’UE si è posta l’obiettivo di fissare
norme comuni.
Attualmente la normativa comunitaria relativa alle
procedure semplificate ed accelerate si limita all’articolo 5 della Direttiva
2000/35/CE
relativa alla lotta contro i ritardi di
pagamento nelle transazioni commerciali che richiede agli Stati membri di garantire l’esistenza di procedure di
recupero di crediti non contestati, di modo che sia possibile ottenere un
titolo esecutivo solitamente entro 90 giorni di calendario in conformità della
rispettiva legislazione. Ai sensi della direttiva, tuttavia, gli Stati membri
non sono tenuti ad adottare una procedura specifica o a modificare in maniera
altrettanto specifica le procedure giudiziarie ivi esistenti.
Potrà ricordarsi che, nella trasposizione della
predetta direttiva, l’Italia ha, con il d. lgs. n. 231
del 9 ottobre 2002,
Il Consiglio
europeo di Tampere dell’ottobre 1999 ha invocato un migliorato
accesso al sistema giudiziario in Europa. È stato sottolineato che, in un
autentico spazio europeo di giustizia,
gli individui e le imprese non dovrebbero essere ostacolati o scoraggiati
nell’esercizio dei propri diritti a causa dell’incompatibilità o della
complessità degli ordinamenti giuridici ed amministrativi degli Stati membri.
Il Consiglio europeo ha invitato inoltre le istituzioni comunitarie a stabilire delle speciali norme procedurali
comuni per semplificare ed accelerare la composizione
·
delle controversie transnazionali di piccola entità in materia commerciale e riguardanti i consumatori,
· come pure quelle relative ai crediti non contestati.
Il
Programma di misure relative
all’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in
materia civile e commerciale, adottato dal Consiglio il 30 novembre 2000,
prevede che l’adozione di misure in tal senso avvenga in tre fasi, per i settori contemplati dal regolamento «Bruxelles
I»:
·
Prima fase
- Titolo esecutivo europeo per
i crediti non contestati.
- Semplificazione e
accelerazione della risoluzione delle controversie transnazionali di modesta
entità.
- Soppressione dell’exequatur per le prestazioni alimentari.
·
Seconda fase
- Revisione del regolamento
«Bruxelles I»:
o integrazione di quanto
acquisito in precedenza,
o estensione della
soppressione dell’exequatur,
o misure destinate a
rafforzare nello Stato richiesto gli effetti delle decisioni rese nello Stato
di origine (esecuzione provvisoria, provvedimenti cautelari, compreso il
sequestro dei depositi bancari).
·
Terza fase
-
Soppressione dell’exequatur
per i settori contemplati dal regolamento «Bruxelles I».
A seguito delle conclusioni di Tampere
e del programma di reciproco riconoscimento, la Commissione europea, nel
dicembre del 2002, ha adottato un Libro
verde sul
·
procedimento d’ingiunzione
di pagamento europeo e sulle
·
misure atte a semplificare ed accelerare il contenzioso in materia di controversie di modesta entità.
Il Libro verde sollevava diversi quesiti allo scopo
di esaminare il contenuto di possibili strumenti comunitari nei campi
summenzionati.
Per quanto concerne la procedura di ingiunzione di pagamento, il Libro verde prendeva in esame le differenze strutturali che sussistono tra le procedure attualmente esistenti nella maggior parte degli Stati membri, e rilevava i quesiti legati ad un’eventuale procedura europea da questa analisi comparativa, tra i quali i più importanti riguardavano
·
l’ambito di applicazione di detta procedura,
·
l’utilizzo di formulari standard,
·
la necessità di fornire prove appropriate e pertinenti del contenzioso,
·
il grado di controllo da applicarsi in giudizio nella valutazione dello
stesso,
·
la notifica di un’ingiunzione di pagamento e la possibilità di farvi
ricorso.
In relazione alle «cause di modesta entità»,
il Libro verde analizzava gli elementi più significativi delle procedure
attualmente esistenti negli Stati membri, e sollevava diverse questioni
riguardanti un possibile strumento per questo tipo di cause. Tali questioni
concerevano tra l’altro
·
le soglie per le controversie di modesta entità,
·
eventuali norme minime comuni per i formulari,
·
assistenza ai contendenti in questioni procedurali,
·
lo snellimento delle norme relative all’assunzione di prove,
·
la possibilità di una procedura meramente scritta (al posto di
un’udienza),
· lo snellimento delle norme riguardanti il contenuto della sentenza, la questione del rimborso spese, e l’eventuale esclusione o restrizione della possibilità di presentare ricorso.
b) Il
Regolamento sull’ingiunzione europea di pagamento.
In tempi più recenti, tale lavoro ha dato luogo
all’elaborazione un regolamento sul procedimento
europeo d’ingiunzione di pagamento volto a «semplificare, accelerare e ridurre
i costi dei procedimenti per le controversie transfrontaliere in materia di
crediti pecuniari non contestati».
E’ quanto previsto dal Regolamento
Europeo N. 1896 Adottato Il 12 Dicembre 2006, che istituisce un
procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento.
·
Tale procedimento costituisce un mezzo supplementare e facoltativo per
il ricorrente il quale rimarrà comunque libero di avvalersi delle procedure
nazionali.
·
Nella domanda europea d’ingiunzione di pagamento il ricorrente deve
fornire informazioni sufficienti ad identificare chiaramente la richiesta e la
relativa giustificazione in modo da permettere al convenuto di decidere se
presentare o meno opposizione.
·
Il provvedimento è entrato in vigore il 12 dicembre 2008 e non è
applicabile in caso di controversie relative a:
·
settore fiscale;
·
settore doganale;
·
settore amministrativo;
·
settore della sicurezza sociale;
·
regime patrimoniale tra coniugi;
·
testamenti;
·
successioni;
·
fallimenti;
· concordati.
Il procedimento in esame è istituito per il recupero
di crediti
pecuniari di uno «specifico importo»,
esigibili alla data in cui si propone la domanda di ingiunzione (art. 4 reg.
cit.). Sotto il profilo oggettivo, l’ambito applicativo incontra, peraltro, una
duplice limitazione. Il nuovo procedimento non si applica ai crediti che, pur
relativi a controversie in materia civile e commerciale, riguardano tuttavia le
materie espressamente escluse dall’art. 2 reg. 1896/2006 (v. quanto appena
detto sopra). Sono inoltre esclusi i crediti che derivano da obbligazioni
extracontrattuali, a meno che il relativo importo non risulti determinato
in via convenzionale dalle parti o unilateralmente dall’obbligato mediante
riconoscimento del debito ovvero si tratti di crediti inerenti la comproprietà
di beni (art. 2 reg. cit.).
Sotto il profilo soggettivo, il regolamento
si applica alle controversie «transfrontaliere», intendendosi per tali
quelle in cui «almeno una delle parti ha domicilio in uno Stato membro
diverso da quello del giudice adito» (art. 3 reg. 1896/2006). Sempre in
linea di principio, l’ingiunzione europea non può essere chiesta nei confronti
di convenuto domiciliato in un paese terzo, non comunitario, a meno che non
trovino applicazione le competenze esclusive (art. 22 reg. 44/2001) o il foro
convenzionale (art. 23 reg. 44/2001) e sempre che l’attore sia domiciliato in
uno Stato membro diverso da quello del giudice adito. Ad es., A, domiciliato in
Germania, e creditore di B, domiciliato in Turchia, potrà proporre la domanda
di ingiunzione in Italia, se il credito riguarda canoni di locazione non pagati
relativi ad un immobile situato in Italia (v. art. 22, n. 1 Reg. 44/2001) o se
il credito riguarda un’obbligazione derivante da un contratto in cui si
attribuisce competenza esclusiva al giudice italiano per tutte le controversie
derivanti da quel contratto (v. art. 23, 1° comma, reg. 44/2001).
La competenza giurisdizionale è disciplinata
dal Reg. (CE) 44/2001 sulla competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle
decisioni in materia civile e commerciale; ciò, al fine di assicurare che il
giudice competente per la pronuncia dell’ingiunzione possa, poi, decidere anche
dell’eventuale opposizione, dopo la sua trasformazione in causa ordinaria.
Sia il ricorrente che il convenuto possono stare
in giudizio personalmente, senza che sia obbligatoria la rappresentanza
tecnica (art. 7, 6° comma e art. 16, 5° comma reg. cit.; nonché, soprattutto,
art. 24 reg. cit.). La scelta di agire in giudizio personalmente, soprattutto
da parte del ricorrente, viene in qualche maniera incentivata dalla previsione
secondo cui le spese di giudizio ripetibili nei confronti della controparte
comprendono solo spese e diritti da pagarsi al giudice (art. 25, 2° comma reg.
cit.), esclusi, quindi, gli onorari degli avvocati (v. considerando n. 26).
L’art. 11 reg. cit. dispone che la domanda deve
essere rigettata solo in caso di manifesta infondatezza, mentre l’art.
12, 4° comma lett. a) prevede che nel provvedimento ingiunzionale il convenuto
è, tra l’altro, informato del fatto che «l’ingiunzione è stata emessa soltanto
in base alle informazioni fornite dal ricorrente e non verificate dal giudice».
Ne deriva che la sussistenza del credito deve essere valutata prima facie, in termini di non manifesta
infondatezza, in base alle informazioni fornite dal ricorrente,
eventualmente integrate su richiesta del giudice (art. 9 reg. cit.).
Il provvedimento ottiene l’efficacia esecutiva solo
a seguito di apposita dichiarazione del giudice per effetto della mancata
proposizione dell’opposizione da parte dell’intimato nel termine previsto
dall’art. 16 reg. cit. (30 giorni decorrenti dal momento della notifica). Non
è prevista una dichiarazione di provvisoria esecutorietà, né in sede di
concessione del provvedimento (contrariamente a quanto previsto dal nostro art.
642 c.p.c.), né in fase di opposizione (contrariamente a quanto previsto dal
nostro art. 648 c.p.c.).
Dal punto di vista pratico potrà essere utile
sapere che il ministero della giustizia italiano è intervenuto, con una
nota del 1° settembre 2010, sulle modalità applicative del procedimento europeo
di ingiunzione di pagamento http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_8_1.wp?previsiousPage=mg_16_1&contentId=SDC391384,
precisando che non si applica l’articolo 165 c.p.c. che prevede l’obbligo per
il ricorrente di depositare la nota di iscrizione a ruolo per la costituzione
in giudizio, proprio perché questa procedura è sostituta, per l’instaurazione
del procedimento, dai modelli predisposti nel regolamento 1896/2006 del 12
dicembre 2006 che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di
pagamento.
Per quanto riguarda le notifiche, esse devono
essere compiute dalle parti, mentre la cancelleria è tenuta a comunicare al
ricorrente il provvedimento di accoglimento o diniego della domanda, chiarendo
che, in caso di emissione dell’ingiunzione europea di pagamento, l’atto deve
essere notificato al convenuto dalla parte. Non si applica poi la
disciplina sul contributo unificato perché il modulo standard non
prevede che la parte effettui la dichiarazione di valore. Il pagamento dei
diritti di cancelleria avviene con bonifico bancario. Resta ferma
l’applicazione dell’imposta di registro in modo analogo al procedimento
monitorio disciplinato dall’ordinamento italiano.
· Per approfondimenti si fa
rinvio a D’Alessandro, Il procedimento monitorio europeo con
particolare riferimento alla fase di opposizione ex art. 17 Reg. N. 1896/2006, disponibile alla pagina web seguente:
c) Il
Regolamento sulle controversie di modesta entità.
Un altro riconoscimento in questo campo è costituito
dal Regolamento
(CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’ 11
luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie
di modesta entità, in vigore dal 1° gennaio 2009.
Il procedimento mira a:
· semplificare e accelerare, riducendone le spese, i
procedimenti relativi a controversie transnazionali di modesta entità
pecuniaria, offrendo uno strumento alternativo che si aggiunge a quelli interni
già esistenti nei paesi UE
· semplificare il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze rese in tali
ambiti in un altro Stato membro.
Campo d’applicazione:
Il Reg. 861/2007 può essere applicato per tutte le controversie
transnazionali (quelle nelle quali almeno una delle parti ha domicilio in uno Stato
membro diverso da quello del giudice adito), in materia civile e commerciale,
che abbiano un valore non eccedente i 2.000 euro (esclusi gli eventuali
interessi richiesti, i diritti e le spese).
Non si può invece fare ricorso a tale strumento
processuale
o lo stato e la capacità delle
persone fisiche,
o il regime patrimoniale dei
coniugi,
o i fallimenti e altre
procedure concorsuali, la sicurezza sociale, l’arbitrato,
o il diritto del lavoro,
o l’affitto di immobili
o e infine gli atti incidenti
sui diritti della personalità.
· forma scritta
· celerità della procedura
· semplicità delle forme.
Per quanto concerne il carattere scritto, il
processo si snoda attraverso il deposito, presso l’autorità giudiziaria competente, di una
serie di moduli predisposti tanto per l’attore che per il resistente,
disponibili presso gli uffici giudiziari nella lingua dell’organo
giurisdizionale adito.
Con il deposito dei rispettivi moduli e della documentazione a
sostegno, il processo, che segue comunque le regole processuali del paese
membro, potrebbe già essere definito senza nemmeno la fissazione di
un’udienza
che, ove ritenuta necessaria per raccogliere le prove necessarie o per ottenere
chiarimenti, potrà essere tenuta tramite videoconferenza o altri mezzi
tecnologici di comunicazione disponibili.
Nell’intento di caratterizzare la procedura in
termini di celerità, il legislatore ha previsto che entro 30 giorni dal
deposito dell’eventuale memoria di replica del resistente, il giudice, se non
decide di tenere udienza, deve emettere la sentenza ovvero svolgere le attività
di acquisizione della prova e comunque tentare, ove possibile, la conciliazione.
Per quanto riguarda la semplicità delle forme:
per un verso non è necessaria l’assistenza di un
avvocato e
anzi si obbliga l’organo giurisdizionale adito a spiegare alle parti il
contenuto delle questioni procedurali (è in ogni modo previsto che il
soccombente vada condannato al pagamento delle spese processuali, oneri di
avvocato eventualmente sostenuti dalla parte vittoriosa e spese di notifica);
per altro verso, le parti non sono obbligate a fornire
valutazioni giuridiche della controversia: è sufficiente indicare, all’interno dei moduli, i motivi
della domanda (ad esempio cosa è successo, dove e quando) e le prove che si
intendono presentare a sostegno della stessa (documenti, testimoni, ecc.).
Riconoscimento ed esecuzione della sentenza
Allo scopo di facilitare il riconoscimento e
l’esecuzione della sentenza in un paese diverso da quello ove è stata resa, la
parte finale del regolamento prevede:
·
l’esclusione della necessità di una dichiarazione di
esecutività (c.d. exequatur) della sentenza;
· l’esclusione della possibilità di opporsi a tale riconoscimento.
Per una serie di valutazioni sull’impatto del
regolamento in tema di controversie di modesta entità sull’attività dei
tribunali italiani faccio rinvio ad un mio parere, disponibile alla pagina web seguente:
http://giacomooberto.com/parere_regolamento_861_2007.htm.
Documenti di riferimento
MODI ALTERNATIVI DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE (A.D.R.) |
Sommario: a) Premessa. Il libro verde
sui modi alternativi di risoluzione delle controversie b) Altre iniziative della
Commissione in tema di A.D.R. e la direttiva n. 52/2008 c) Il concetto di A.D.R.
secondo l’U.E. d) Le reti europee in materia
di mediazione |
a) Premessa. Il libro verde sui modi alternativi di
risoluzione delle controversie
Il
tema dei «modi alternativi di soluzione delle controversie» (o, secondo la
dizione inglese, Alternative Dispute
Resolutions – A.D.R.) è quanto mai «di moda» oggi, anche tra i giudici:
basti pensare, per citare due casi, che ad esso ha prestato attenzione il Consiglio
Consultivo dei Giudici Europei, costituito presso il Consiglio d’Europa,
che nel 2004 vi ha dedicato una sua opinion (la n. 6). La Seconda Commissione di
Studio dell’ Unione Internazionale dei
Magistrati, dal canto suo, vi ha consacrato nel 2005 la riunione di
Montevideo (per il rapporto italiano, redatto dallo scrivente, v. il seguente
indirizzo web:
https://www.giacomooberto.com/montevideo/rapport.htm).
La Commissione Europea, dal canto suo, ha
pubblicato nell’aprile 2002 un documento di discussione sui modi
alternativi di risoluzione delle controversie. Questo documento, intitolato Libro
verde relativo ai modi alternativi di
risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale,
si inserisce nel contesto dei lavori in corso nell’ambito della Comunità
europea per la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, e,
più in particolare, per garantire un migliore accesso alla giustizia.
Nel
dare seguito al piano d’azione di Vienna ed alle conclusioni del Consiglio europeo di
Tampere, il Consiglio dei ministri Giustizia e affari interni aveva
invitato la Commissione a presentare un Libro verde sui modi alternativi di
risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale diversi
dall’arbitrato, per «fare il punto della situazione esistente e per lanciare
un’ampia consultazione ai fini della preparazione delle misure concrete da
adottare».
Nel
suo Libro verde, la Commissione ricorda che lo sviluppo di queste forme di
composizione delle controversie non deve
essere percepito come un modo per rimediare alle difficoltà di funzionamento
del sistema giudiziario, ma come un’altra forma di pacificazione sociale
più consensuale e, in molti casi, più appropriata che il ricorso al giudice o
ad un arbitro.
I
modi alternativi di risoluzione delle controversie, come ad esempio la
mediazione, consentono in effetti alle parti di riallacciare un dialogo per
trovare una vera soluzione al loro conflitto, anziché rinchiudersi in una
logica di scontro da cui di solito escono un vincitore e un vinto. L’importanza
della domanda di tali soluzioni è molto visibile, ad esempio in materia di
conflitti familiari, ma la sua potenziale utilità è molto vasta per molti altri
tipi di controversie.
Il
Libro verde mira essenzialmente a trovare delle risposte in merito al delicato
equilibrio tra la necessità di salvaguardare la flessibilità di questo tipo di
procedure e al contempo garantirne la qualità nonché un rapporto armonioso con
i procedimenti giudiziari.
Il
Libro verde consente altresì di garantire una migliore visibilità alle
iniziative che sono già state adottate in questo campo dagli Stati membri e a
livello comunitario.
Infine,
con la pubblicazione di questo Libro verde, la Commissione partecipa ai
dibattiti in corso negli Stati membri e a livello internazionale sul modo
migliore di assicurare una ambiente ottimale per lo sviluppo dei modi
alternativi di risoluzione delle controversie.
Le
21 domande poste nel Libro verde vertono sugli elementi determinanti dei vari
modi alternativi di risoluzione delle controversie, quali la questione delle
clausole di ricorso a tale procedura, il problema dei termini di prescrizione, l’esigenza
di riservatezza, la validità dei consensi, l’efficacia degli accordi scaturiti
da tali procedure, la formazione dei terzi, il loro riconoscimento, il regime
di Responsabilità applicabile.
b) Altre
iniziative della Commissione in tema di A.D.R. e la direttiva n. 52/2008.
Tra
le varie iniziative della Commissione in tema di A.D.R., ricordate nel sito
della Rete Giudiziaria Europea, si possono menzionare le seguenti:
·
La Commissione si
è interessata agli aspetti finanziari
dei modi alternativi in generale. La Commissione ha infatti proposto, il 18
gennaio 2002, una direttiva relativa all’assistenza giudiziaria, la quale
prevede, per favorire il ricorso da parte delle persone bisognose ai modi
alternativi di risoluzione delle controversie, la possibilità di estendere, in
presenza di talune condizioni, il beneficio del patrocinio a spese dello Stato
a tali procedure extragiudiziali.
·
Per quanto
concerne i rapporti familiari, la
Commissione ha cercato di promuovere i modi alternativi di risoluzione delle
controversie nella proposta di regolamento che ha pubblicato il 3 maggio 2002
relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in
materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori. La proposta è
sfociata, come noto, nel Regolamento Regolamento
(CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, il quale, all’art. 55, stabilisce tra l’altro che «Le autorità
centrali, su richiesta di un’autorità centrale di un altro Stato membro o del
titolare della responsabilità genitoriale, cooperano nell’ambito di cause
specifiche per realizzare gli obiettivi del presente regolamento. A tal fine
esse provvedono, direttamente o tramite le autorità pubbliche o altri
organismi, compatibilmente con l’ordinamento di tale Stato membro in materia di
protezione dei dati personali: (…) e) a facilitare un accordo fra i titolari
della responsabilità genitoriale, ricorrendo alla mediazione o con altri mezzi,
e ad agevolare a tal fine la cooperazione transfrontaliera».
·
Per quanto
concerne le controversie in materia di
consumo legate al commercio elettronico, il ruolo dei modi alternativi di risoluzione
delle controversie è stato evidenziato sia nella direttiva 2000/31/CE sul
commercio elettronico, sia in una dichiarazione congiunta del Consiglio e della
Commissione fatta a margine dell’adozione del regolamento detto «Bruxelles I»
relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale.
·
La direttiva
98/10/CE sull’applicazione del regime di fornitura di una rete aperta alla
telefonia vocale e sul servizio universale delle telecomunicazioni in un
ambiente concorrenziale invita gli Stati membri a creare delle procedure di
risoluzione delle controversie «di facile accesso e in linea di massima
gratuite per risolvere le controversie in modo equo, trasparente e rapido».
·
La direttiva
2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi
di comunicazione elettronica prevede la creazione di strutture extragiudiziali
per risolvere le controversie che possono sorgere tra i professionisti del
settore.
·
In una proposta
di direttiva presentata il 13 marzo 2001 relativa al mercato dell’elettricità e
del gas naturale, la Commissione ha espressamente invitato gli Stati membri ad
istituire delle procedure di risoluzione delle controversie tra fornitori e
clienti che rispettino i principi che la Commissione stessa aveva stabilito in
una raccomandazione del 30 marzo 1998 adottata nel settore delle controversie
in materia di consumo (vedi infra).
· In alcuni settori la Commissione di fatto è andata più
in là del mero incoraggiamento ad istituire dei modi alternativi di risoluzione
delle controversie. Ha cercato di promuovere la qualità e l’efficacia dei modi
alternativi di risoluzione delle controversie in materia di consumo. In
quest’ottica va anche collocata la predisposizione di un European
code of conduct on mediation. Il codice è stato redatto dalla
Commissione sulla base di accordi con le categorie interessate ed è stato
lanciato nel corso di una conferenza svoltasi a Bruxelles nel 2004. Esso è
applicabile ad ogni tipo di mediazione nei campi civile e commerciale. Il codice contiene
anche una definizione del termine mediazione: «any process where two or more
parties agree to the appointment of a third-party – hereinafter “the mediator”
- to help the parties to solve a dispute by reaching an agreement without
adjudication and regardless of how that process may be called or commonly
referred to in each Member State».
·
Il 21 maggio 2008
è stata infine approvata la Direttiva
2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa
a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.
Eccone gli aspetti salienti:
1. L’organo giurisdizionale investito di una causa può,
se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla
mediazione allo scopo di dirimere la controversia. Può altresì invitare le
parti a partecipare ad una sessione informativa sul ricorso alla mediazione se
tali sessioni hanno luogo e sono facilmente accessibili. E’ impregiudicata la
legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure
soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento
giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il
diritto di accesso al sistema giudiziario.
2. Gli Stati membri assicurano che le parti, o una di
esse con l’esplicito consenso delle altre, abbiano la possibilità di chiedere
che il contenuto di un accordo scritto
risultante da una mediazione sia reso esecutivo.
Il contenuto di tale accordo è reso esecutivo salvo se, nel caso in questione,
il contenuto dell’accordo è contrario alla legge dello Stato membro in cui
viene presentata la richiesta o se la legge di detto Stato membro non ne
prevede l’esecutività.
3. Gli Stati membri provvedono affinché alle parti che
scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare
un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia
per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini
di prescrizione o decadenza.
4. Tranne specifiche
e limitate ipotesi, gli Stati membri garantiscono che, a meno che le parti non
decidano diversamente, né i mediatori
né i soggetti coinvolti nell’amministrazione del procedimento di mediazione
siano obbligati a testimoniare nel
procedimento giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale
riguardo alle informazioni risultanti da un procedimento di mediazione o
connesse allo stesso.
c) Il
concetto di A.D.R. secondo l’U.E.
I
lavori a livello comunitario tendono a distinguere due grandi categorie di modi
alternativi di risoluzione delle controversie a cui possono ricorrere i
consumatori per risolvere le proprie controversie con i professionisti:
La Commissione ha preso un’iniziativa volta a fare in
modo che le procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie in
materia di consumo osservino una serie di principi. Ha infatti pubblicato, il 4
aprile 2001, una raccomandazione che riguarda le procedure in cui il terzo non
assume una posizione ma si limita ad aiutare le parti a trovare da sole tale
soluzione. Questa raccomandazione enuncia quattro principi: imparzialità, trasparenza,
efficacia e equità.
La Commissione ha preso un’iniziativa volta a fare in
modo che queste procedure osservino una serie di principi.
La Commissione ha quindi pubblicato, il 30
marzo 1998 una raccomandazione, che riguarda le procedure in cui il terzo
decide della controversia, in modo vincolante o meno per le parti. Questa
raccomandazione riguarda altresì l’arbitrato relativo a controversie in materia
di consumo. Questa raccomandazione contiene i sette principi minimi seguenti:
indipendenza, trasparenza, contraddittorio, efficacia, legalità, libertà e
rappresentanza. Gli Stati membri sono stati indotti a stilare un inventario
degli organismi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle
controversie di consumo che considerano conformi alla raccomandazione della
Commissione. Queste liste nazionali sono state comunicate alla Commissione, e
si possono consultare sulle pagine web
della Direzione
generale per la salute e la tutela dei consumatori (DG SANCO).
d) Le reti
europee in materia di mediazione
La
Commissione è all’origine della creazione di due reti europee di organi
nazionali il cui obiettivo comune è quello di facilitare l’accesso alle
procedure extragiudiziali per la risoluzione delle controversie transfrontaliere,
nel caso in cui il professionista sia stabilito in uno Stato membro diverso da
quello in cui risiede il consumatore. Queste due reti perseguono lo stesso
obiettivo ma non funzionano nello stesso modo:
Documenti di riferimento
IL PROBLEMA DEL DIRITTO SOSTANZIALE APPLICABILE E
DELL’ARMONIZZAZIONE DEI DIRITTI INTERNI |
Sommario: a)
Considerazioni generali. Diritto internazionale privato e convenzioni
internazionali b) Unione
Europea e diritto applicabile b)1. Diritto applicabile alle obbligazioni contrattuali b)2. Diritto europeo dei contratti b)3. Diritto applicabile alle obbligazioni
extracontrattuali b)4. Diritto applicabile alla crisi coniugale c) I prossimi sviluppi.
In particolare la materia dei rapporti patrimoniali tra coniugi e conviventi more uxorio d) L’accordo franco-tedesco del 2010 sul regime
patrimoniale uniforme delle coppie franco-tedesche |
a) Considerazioni generali. Diritto internazionale
privato e convenzioni internazionali
I
regolamenti comunitari emanati in una prima fase (si pensi ai Regolamenti
Bruxelles I, Bruxelles II, Bruxelles II bis)
non concernevano (e nella struttura attuale continuano a non concernere) il
tema del diritto sostanziale applicabile.
Come si è visto, le questioni affrontate da tali strumenti attengono ad alcuni
specifici problemi processuali nelle relazioni transfrontaliere, determinando,
ad esempio, quale sia il giudice competente (quella che ho chiamto «ottica di
Bruxelles»), ma non si spingono a stabilire quale sia il diritto applicabile da
tale giudice nella soluzione di quelle controversie (quella che ho chiamato «ottica
di Roma»).
La
situazione è però in rapida evoluzione:
così i Regolamenti Roma I e Roma II (v. infra) e Roma III (v. supra) si occupano proprio del tema del diritto applicabile alle controversie
transfrontaliere. Il Regolamento n. 4/2009, sulle obbligazioni alimentari, poi, fonde
in sé le due ottiche, dettando discipline sulla competenza giurisdizionale
(oltre che sul riconoscimento e sull’esecuzione delle decisioni), ma anche sul
diritto applicabile.
Laddove
i regolamenti comunitari nulla dispongono (ancora), in linea di principio, come
già ricordato, i giudici dei vari Paesi dovranno fare applicazione delle loro norme nazionali di diritto internazionale
privato (per l’Italia, il punto di riferimento sarà dato, naturalmente,
dalla Legge 31 maggio 1995,
n. 218).
Esistono
peraltro svariate convenzioni
internazionali sulla legge applicabile, sia a livello generale che a
livello specifico, alcune di queste sono già state citate e si riferiscono a
quelle elaborate dalla Conferenza dell’Aia di
diritto internazionale privato, organizzazione che persegue appunto la
finalità dell’armonizzazione a livello mondiale delle norme in materia di
diritto internazionale privato, la quale ha elaborato una trentina di convenzioni
internazionali, delle quali circa venti sono attualmente in vigore e la
maggior parte delle quali verte esclusivamente sulle regole relative al
conflitto di leggi, ad esempio in materia di legge applicabile alle
obbligazioni alimentari, agli incidenti stradali, alla responsabilità per danno
da prodotto, ai regimi matrimoniali o ancora alle successioni.
Un
caso molto noto e che tanto fa discutere è quello della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, relativa alla legge applicabile
al trust e al suo riconoscimento,
il cui testo è disponibile all’indirizzo web seguente:
http://www.hcch.net/index_en.php?act=conventions.text&cid=59
(per uno studio sul tema si fa rinvio all’articolo dello scrivente dal titolo Il trust familiare, disponibile online
al sito web seguente:
http://giacomooberto.com/milano11giugno2005trust/relazionemilano.htm.
b) Unione Europea e diritto applicabile
b)1. Diritto
applicabile alle obbligazioni contrattuali
Anche
questo settore – cioè quello del diritto applicabile – è stato, come detto,
progressivamente «invaso» dal diritto comunitario. Potrà menzionarsi in primo
luogo al riguardo la Convenzione
sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla
firma a Roma il 19 giugno 1980 (c.d. Convenzione di Roma, o «Roma I»). La
Convenzione di Roma è stata a lungo il solo strumento di diritto internazionale
privato a livello comunitario che rivestiva
ancora la forma di un trattato internazionale. La Commissione europea
decise però, alcuni anni or sono, di trasformare
la convenzione in uno strumento comunitario e cogliere l’occasione per
modernizzarla.
In
data 15 dicembre 2005 è stata presentata una Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla
legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) - COM(2005) 650
def. I relativi lavori sono quindi sfociati nell’approvazione del Regolamento
(CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008
, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I).
b)2. Diritto
europeo dei contratti
La
Commissione intende peraltro operare anche un ravvicinamento di alcuni settori specifici del diritto dei contratti a
livello comunitario. Si tratta di un settore, che, a ben vedere, non investe il diritto internazionale
privato (cioè le questioni di conflitti di leggi e del diritto
applicabile), bensì il tema dell’armonizzazione
dei vari diritti nazionali in materia contrattuale. Fino ad oggi il legislatore
comunitario ha seguito un approccio selettivo, adottando direttive relative a
contratti specifici o a tecniche specifiche di commercializzazione, allorquando
si è manifestata un’esigenza particolare di armonizzazione.
Allo
stato attuale, la Commissione europea intende raccogliere informazioni sull’opportunità di un’azione comunitaria più
approfondita e coerente in materia di diritto dei contratti. In particolare
tale azione sarebbe necessaria nel caso in cui l’approccio individuale non
fosse in grado di risolvere tutti i problemi che di volta in volta si
manifestano. La Commissione intende appurare se le divergenze in materia di
diritto dei contratti fra gli Stati membri determinino problemi e, se del caso,
quali problemi in particolare. La comunicazione chiede espressamente se il buon
funzionamento del mercato interno possa essere ostacolato dai problemi connessi
alla conclusione, all’interpretazione e all’applicazione di contratti
transfrontalieri. Del pari, la Commissione desidererebbe sapere se la diversità
dei diritti nazionali in materia di contratti abbia un effetto demotivante o
determini un aumento dei costi delle transazioni transfrontaliere. Da tali
esigenze sono nate alcune iniziative, di cui si dà notizia al sito seguente:
b)3. Diritto
applicabile alle obbligazioni extracontrattuali
Un
altro settore di interesse è quello dell’individuazione della legge applicabile
alle obbligazioni extracontrattuali,
in relazione al quale la Commissione ha posto in atto alcune iniziative,
sfociate nella Proposta
di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile
alle obbligazioni extracontrattuali ("ROMA II"). A questa
attività è seguita la presentazione, il 21 febbraio 2006, di una Proposta
modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge
applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (“Roma II”) (presentata
dalla Commissione in applicazione dell’articolo 250, paragrafo 2 del trattato
CE) - COM(2006) 83 def.
La
materia viene comunemente indicata con la denominazione «Roma II» (per essere chiari, il rifermento a «Roma» indica, in
buona sostanza, il fatto che lo strumento concernerà non problemi di competenza
giurisdizionale ma di legge applicabile, ad
instar di quanto avviene già con la convenzione di Roma sulla legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali, mentre l’ordinale «II» indica che
la materia è, ovviamente, diversa da quella delle obbligazioni contrattuali).
I lavori sopra descritti hanno dato
finalmente vita al Regolamento
11/07/2007, n. 864 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’ 11 luglio
2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (ROMA II).
b)4. Diritto
applicabile alla crisi coniugale
Ancora,
la soluzione per via regolamentare dei problemi di determinazione della
competenza giurisdizionale in tema di procedimenti relativi alla crisi coniugale, ha fatto affiorare la
necessità di provvedere su tali materie anche relativamente al diritto (sostanziale e processuale)
applicabile.
Alcuni
esempi significativi sono stati
portati al riguardo.
·
Si pensi al caso
di una coppia composta da un marito
portoghese ed una moglie italiana e che abbia celebrato matrimonio in
Italia. Immaginiamo che dopo il matrimonio il marito torni subito in Portogallo
per lavoro e la moglie resti in Italia. Se dopo due anni i due decidono di
divorziare essi possono presentare domanda sia in Italia che in Portogallo,
secondo il regolamento «Bruxelles II bis».
Ora, sia secondo la legge italiana che secondo quella portoghese può risultare
difficile, per non dire impossibile determinare quale sia la legge applicabile,
posto che in Italia deve trovare applicazione la regola del Paese in cui la
vita matrimoniale risulta prevalentemente localizzata, mentre secondo il
diritto portoghese trova applicazione la legge dello Stato con cui i coniugi
hanno la «relazione più prossima».
·
Un altro esempio
che si può portare è quello della coppia
di cittadini italiani che vive da parecchi anni in Germania e si sente
ormai perfettamente integrata nella società tedesca. Secondo il citato
regolamento la domanda di divorzio consensuale può essere presentata in
Germania, ma il giudice tedesco, facendo applicazione del suo diritto
internazionale privato, deve respingerla, poichè secondo la legge italiana
(applicabile in base al rinvio operato dalle norme tedesche) non contempla
un’ipotesi di divorzio fondato sul mutuo consenso a prescindere da un
precedente periodo di separazione legale che sia ininterrottamente protratto
per almeno tre anni.
Da
tali riflessioni è derivato dapprima uno studio studio intitolato Practical
Problems Resulting from the Non-Harmonization
of Choice of Law Rules in Divorce Matters e quindi un «libro
verde sul diritto applicabile e sulla giurisdizione in materia di divorzio».
Tali lavori dovrebbero preludere ad un nuovo atto normativo sulla legge
applicabile in materia di separazione coniugale, divorzio e annullamento del
matrimonio (si parla al riguardo di «Roma III»). In effetti, il 17 luglio 2006
è stata approvata una apposita proposta
di regolamento (17.7.2006, COM(2006) 399, 2006/0135 (CNS)) che modifica il
regolamento (CE) n. 2201/2003 limitatamente alla competenza giurisdizionale e
introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale.
Per ulteriori e successivi approfondimenti al
riguardo, anche con riferimento alla proposta di
regolamento destinata ad integrare il regolamento n. 2201/2003, circa la
competenza giurisdizionale e la legge applicabile alle cause di separazione e
divorzio (c.d. Roma III) faccio rinvio ai miei scritti seguenti:
https://www.giacomooberto.com/giornataeuropea2007/contenzioso_ue_sommario.htm
con particolare riferimento al capitolo
I e al capitolo
II.
https://www.giacomooberto.com/genova2007/relazionegenova23novembre07.htm.
Versione .doc disponibile al seguente sito web:
https://www.giacomooberto.com/download/relazionegenova23novembre07.
http://giacomooberto.com/farnesina2010/oberto_traccia_relazione.htm.
http://giacomooberto.com/roma_forum_2009/oberto_matrimoni_misti_ordine_pubblico.mht.
E’ da notare che la suddetta proposta ha portato
infine all’approvazione, nel quadro del primo esperimento pratico di
cooperazione rafforzata, al Regolamento
(UE) n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010 , relativo all’attuazione
di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio
e alla separazione personale.
La
Commissione ha varato il cantiere dell’adozione di uno strumento comunitario
relativo alla legge applicabile, alla competenza e all’esecuzione delle
decisioni in materia di rapporti
patrimoniali tra coniugi e conviventi more
uxorio:
·
per il relativo
rapporto di studio v. la pagina web
seguente:
http://www.pedz.uni-mannheim.de/daten/edz-k/gdj/03/report_regimes_030703_fr.pdf.
·
per il relativo
libro verde v. la pagina web
seguente:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52006DC0400:IT:NOT.
·
cfr. inoltre:
Qui
sarà interessante notare come il citato studio arrivasse a proporre che il
futuro regolamento non solo si facesse carico di regolare i «classici» temi
(nella linea dei regolamenti «Bruxelles I», «Bruxelles II» e «Bruxelles II bis») della determinazione della competenza
giurisdizionale, litispendenza e connessione, riconoscimento ed esecuzione
delle decisioni e degli atti negoziali, ma che si spingesse anche a
disciplinare la questione della legge
applicabile. Ed in effetti la proposta di cui si dirà tra breve si colloca
in quest’ottica.
Ma
non basta. Alcune proposte dello studio predetto si spingevano anche a toccare
il tema dell’armonizzazione del diritto materiale nei vari Stati
membri dell’U.E. Sul punto, in particolare, pur riconoscendo che «Il paraît
illusoire, dans l’état d’esprit actuel des États membres et au vu des trop
profondes divergences de leurs positions vis-à-vis de la notion et du contenu
de leur « régime matrimonial secondaire légal », d’espérer parvenir à une
entente sur l’adoption d’un régime légal unique et commun à tous les États
membres de l’Europe», lo studio avanzava l’idea di un vero e proprio regime
convenzionale europeo sussidiario (cfr. il paragrafo n. 2.2.2.2., intitolato Un régime conventionnel européen subsidiaire),
che le coppie europee potrebbero liberamente scegliere, se lo desiderano, in
luogo di quelli legali o convenzionali previsti dai rispettivi ordinamenti.
In tal modo, sempre secondo il citato lavoro, «En
se limitant à proposer un régime matrimonial européen “subsidiaire”, on ne porterait aucunement atteinte à la
compétence laissée à chaque État de déterminer de manière spécifique son régime
matrimonial légal applicable de plein droit, pour ses
nationaux ou sur son territoire, aux époux qui ne concluent pas de contrat de mariage.
On franchit toutefois le pas d’une certaine
harmonisation, en permettant à deux époux d’adopter eux-mêmes un régime
matrimonial qui serait commun à tous les citoyens européens et qui régirait de
façon unifiée leurs relations patrimoniales quelle que soit leur nationalité
respective et quels que soient les États d’Europe où ils seraient amenés à
résider. Sans doute, est-il probable que, dans un premier temps, ce régime
matrimonial européen ne présenterait de réel attrait que pour de futurs époux qui
auraient de sérieuses raisons de penser qu’ils “seront mobiles” à travers
l’Europe, en ce sens qu’ils se savent appelés à résider successivement dans
différents États membres. Ils résoudraient ainsi préventivement les questions
de droit international privé qui pourraient ultérieurement se poser dans leur
situation concrète, et ils sauraient que, quel que soit l’État où ils se
trouveraient, leur régime matrimonial européen y serait connu et pratiqué».
Tali
ultimi spunti, purtroppo, non sono stati recepiti dalla proposta di cui si dirà
tra breve, mentre sul punto potrà citarsi l’accordo franco-tedesco, di cui si
dirà pure in prosieguo.
Per
quanto attiene alle convivenze more
uxorio, poi, il citato rapporto se, da un lato, constata le abissali
differenze esistenti tra i sistemi che hanno proceduto ad una regolamentazione
legislativa della possibilità per i conviventi di disciplinare per via
negoziale i propri rapporti e quelli che (come il nostro) nulla hanno previsto
al riguardo, dall’altro contiene alcune interessanti indicazioni per il coordinamento delle regole di conflitto
(ponendo in luce, per esempio, la necessità di fare perno sulla legislazione
del Paese in cui il contratto è stato registrato), insistendo poi
sull’opportunità di fare uso dei poteri normativi dell’Unione al fine di limitare in maniera consistente il ricorso
al principio dell’ordine pubblico nei singoli stati membri. Questa
indicazione è ribadita, con particolare enfasi, nel campo della disciplina del
partenariato tra persone del medesimo sesso.
Anche con riguardo a tale
argomento potrebbe pensarsi (sebbene il più volte citato studio non si spinga a
tanto) ad una sorta di regime patrimoniale europeo di fonte negoziale,
lasciato alla libera scelta degli interessati: una sorta di PACS dell’U.E.,
disciplinato dalle norme di un futuro regolamento, ad instar di quanto dovrebbe avvenire per le coppie coniugate.
Dallo studio di cui sopra hanno tratto origine due proposte della Commissione UE:
·
Proposta di un Council Regulation on jurisdiction,
applicable law and the recognition and enforcement of decisions in matters of
matrimonial property regimes (COM)2011 (126)
·
Proposta di un Council Regulation on jurisdiction,
applicable law and the recognition and enforcement of decisions regarding the
property consequences of registered partnerships (COM)2011 (127)
Per
quanto attiene alla prima delle due proposte, fermo restando il rilievo che
essa attribuisce alla volontà delle parti nella determinazione (o, addirittura,
predeterminazione) della competenza giurisdizionale in relazione alle
controversie attinenti al regime patrimoniale delle coppie coniugate
transfrontaliere, il criterio della comune residenza abituale emerge come la
regola fondamentale di carattere suppletivo sia per la determinazione
dell’ufficio giudiziario dotato di competenza giurisdizionale (cfr. art. 5
della Proposta n. 126, in relazione al caso di mancato accordo sulla competenza
del tribunale determinato in base a Bruxelles II-bis: cfr. art. 4),
sia per la scelta del diritto applicabile (art. 16),
sia per la determinazione di quest’ultimo in difetto d’accordo (art. 17),
sia, ancora, per possibili mutamenti della scelta del diritto applicabile (art. 18),
sia, infine, per la determinazione di possibili elementi formali ulteriori per
la validità del contratto di matrimonio (art. 20).
Anche
la seconda proposta attribuisce in primo luogo rilievo fondamentale alla
volontà delle parti nella determinazione (o, addirittura, predeterminazione)
della competenza giurisdizionale in relazione alle controversie attinenti al
regime patrimoniale delle coppie transfrontaliere legate da rapporto di registered partnership, ma pure in
questo caso il criterio della comune residenza abituale emerge come la regola
fondamentale di carattere suppletivo per la determinazione dell’ufficio
giudiziario dotato di competenza giurisdizionale (cfr. art. 5
della Proposta n. 127, in relazione al caso di mancato accordo sulla competenza
del tribunale investito per la causa di scioglimento del vincolo: cfr. art. 4),
mentre per la determinazione del diritto applicabile (art. 15)
vige la sola regola dell’applicazione della «law of the State in which the
partnership was registered».
Per
ulteriori informazioni sulle due proposte si fa rinvio alla pagina web seguente:
Si
tenga presente che le due proposte si collocano sia nell’ottica di Bruxelles, che
in quella di Roma. Ma esiste una “terza ottica”: quella del diritto materiale
uniforme. Quest’ottica è quella indicata dall’accordo bilaterale franco-tedesco
del 2010.
Sul
punto occorre fare un salto indietro, pensando alla genesi delle due proposte sui
regimi patrimoniali, cui ho fatto riferimento sopra.
Esse invero furono precedute da
·
un rapporto di
studio, demandato ad un consorzio di università, su cui v. la pagina web seguente:
http://www.pedz.uni-mannheim.de/daten/edz-k/gdj/03/report_regimes_030703_fr.pdf,
seguito da un libro verde, sui cui v. la pagina web
seguente:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52006DC0400:IT:NOT.
·
cfr. inoltre:
Va
qui ribadito che, nel passaggio dal rapporto di studio al libro verde, si perse
quel suggerimento molto interessante, cui si è sopra fatto richiamo, circa una
possibile armonizzazione del diritto materiale nei vari Stati membri dell’U.E.
d) L’accordo franco-tedesco
del 2010 sul regime patrimoniale uniforme delle coppie franco-tedesche
· Un
singolare e rilevante esperimento nel campo dell’armonizzazione dei
diritti materiali interni è costituito dall’ accordo
bilaterale franco-tedesco che ha dato vita ad un regime
patrimoniale uniforme e convenzionale tra coniugi; accordo firmato il 4
febbraio 2010, di cui possono usufruire le coppie francesi, quelle tedesche,
nonché quelle miste franco-tedesche. La convenzione descrive un regime
convenzionale di partecipazione agli acquisti (participation aux acquêts/Wahl-Zugewinngemeinschaft), modellato su
quello conosciuto dal Code Civil agli
artt. 1569-1581, come regime convenzionale e dal BGB ai §§ 1363-1390 ss. come regime legale.
· Il regime prescelto è dunque
quello della Zugewinngemeinschaft
tedesco, peraltro sottoposto ad alcuni principi tratti dal regime convenzionale
francese della participation aux acquêts;
in particolare:
· Il consenso di entrambi i coniugi è
necessario per gli atti di disposizione che riguardano determinati beni
considerati objets du ménage o
comunque idonei ad assicurare il logement
de la famille (la casa d’abitazione e i suoi arredi, l’auto di cui si
servono i coniugi, ecc.): consenso richiesto dal diritto francese ma non da
quello tedesco (article 5);
· La data di cessazione del regime, in
cui vengono valutati i patrimoni rispettivi per determinare la créance de participation coincide con la
data della domanda giudiziale introduttiva del divorzio: ciò al fine di
evitare possibili manovre fraudolente di un coniuge nei riguardi dell’altro. Si
tengano presenti, a tale riguardo, le disposizioni dell’art. 10 del citato
accordo, a mente delle quali (ma trattasi di principi già presenti nelle
legislazioni francese e germanica, e del tutto assenti, invece, nella nostra
comunione de residuo), nel patrimonio
finale vanno computati anche beni ceduti a terzi per frodare le ragioni del
coniuge, così come quelli oggetto di dissipazione e (a determinate condizioni)
di donazione a terzi.
· L’accordo franco-tedesco resta
aperto a tutti gli altri Paesi membri dell’U.E. che intendessero aderirvi.
Si tratta quindi di un felice inizio di una vera e propria armonizzazione dei
diritti materiali dei Paesi U.E. nel campo dei regimi patrimoniali;
un’armonizzazione che si attua nel segno di una valorizzazione di un regime –
quello della partecipazione differita agli acquisti – di cui l’accordo
franco-tedesco disegna con nettezza e precisione i tratti fondamentali,
affrontando temi da noi purtroppo negletti, quali quello (appena ricordato)
della tutela delle ragioni del coniuge «debole», così come quello della natura
del credito finale di quest’ultimo, che costituisce, per l’appunto, un mero
credito di partecipazione ad un plusvalore: un credito, cioè, pecuniario,
laddove da noi si discute ancora se i diritti ex communione de residuo
siano diritti di credito o veri e propri rapporti reali (contitolarità, cioè, reale
differita e non mera compartecipazione agli acquisti: per un approfondimento
cfr. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, Milano, 2010, p. 849 ss.).
· Quanto mai interessanti sono
le considerazioni che si possono svolgere sul campo d’applicazione dell’accordo,
invocabile, di fatto, non solo da cittadini tedeschi e/o francesi. Ecco i
rilievi in proposito ricavabili dal sito seguente:
· http://www.europepatrimoine.fr/a_actualite.php?id_article=106
Champ d’application Ce régime matrimonial
pourra être choisi par les époux dont le régime matrimonial relève de la loi
française ou de la loi allemande. Les règles de conflit allemandes
disposent qu’à défaut de choix des époux, la loi allemande est applicable aux
époux : ♦ dont les deux
possèdent la nationalité allemande (ou ont possédé la nationalité allemande,
à condition que l’un des époux la possède encore), ♦ qui possèdent
leur résidence habituelle commune en Allemagne (ou ont possédé leur dernière
résidence habituelle commune en Allemagne, à condition que l’un des époux y
réside encore), ♦ à défaut, qui
possèdent les liens les plus étroits avec l’Allemagne. Il est en outre permis
aux époux de soumettre leur régime matrimonial à la loi allemande si l’un des
époux a la nationalité allemande ou si l’un des époux réside habituellement
en Allemagne. De même, en cas de possession de biens immobiliers en
Allemagne, ces derniers peuvent être régis par la loi allemande. Selon les règles de
conflit françaises, issues de la Convention de la Haye sur la loi applicable
aux régimes matrimoniaux du 14 mars 1978, à défaut de choix des époux, la loi
française est en principe applicable aux époux qui ont fixé leur première
résidence habituelle commune après le mariage en France. Les époux peuvent en
outre choisir de soumettre leur régime matrimonial à la loi française : ♦ si l’un des
époux a la nationalité française, ♦ si l’un des
époux réside habituellement en France ♦ ou si l’un des
époux établit une nouvelle résidence habituelle après le mariage en France. Les époux peuvent
également faire régir par la loi française les biens immobiliers sis en
France qu’ils possèdent. Le champ d’application
de l’accord est, on le voit, très étendu. Il suffit que les époux disposent
de la nationalité ou de la résidence habituelle ou de biens immobiliers, en
lien avec la France ou l’Allemagne. Le rapport explicatif de
l’accord énonce que les époux ne sont pas tenus de choisir expressément comme
loi applicable à leur régime matrimonial, la loi française ou la loi
allemande, il suffit que les règles de conflit désignent l’une de ces lois
comme étant celle applicable à leur régime matrimonial. L’auteur conseille
néanmoins de désigner également dans leur contrat de mariage, la loi
applicable à leur régime matrimonial. |
Per
approfondimenti su tutti i temi di questo § 23 faccio rinvio al mio scritto
seguente:
· La comunione
coniugale nei suoi profili di diritto comparato, internazionale ed europeo, in Dir. fam. pers., 2008, p. 367 ss., disponibile alla pagina web seguente:
http://giacomooberto.com/download/oberto_comunione_dir_compar_internazi.pdf.
Sulle prospettive future, sul Programma dell’Aja e sul Programma di Stoccolma v. anche il §
25.
SUCCESSIONI E
TESTAMENTI |
Dopo
una lunga gestazione, nel 2012 è stato finalmente approvato il Regolamento
CE 4 luglio 2012 n° 650, «relativo alla competenza, alla legge applicabile, al
riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e
all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione
di un certificato successorio europeo».
Il
Regolamento viene a fare chiarezza sulle numerose questioni che possono
insorgere in materia di successioni transnazionali a causa delle differenze
normative esistenti nei diversi Stati europei. Si stima infatti che siano circa
450.000 ogni anno le famiglie che si trovano a dover fronteggiare una
successione internazionale, per un valore approssimativo di 120 miliardi di euro
l’anno, quando i beni o gli eredi si trovano in uno Stato differente da quello
dove si sia aperta la successione.
Il
principio cardine che regola la competenza e la legge applicabile a tali
successioni è quello della residenza abituale del defunto al momento della
morte. Residenza abituale che dovrebbe rivelare un collegamento stretto e
stabile del defunto con lo Stato interessato.
Resta
salva la possibilità di scegliere come legge che regoli l’intera successione la
legge dello Stato di cui il de cuius
ha la cittadinanza al momento della scelta o al momento della morte, oppure per
una persona in possesso di più di una cittadinanza, la legge di uno qualsiasi
degli Stati di cui ha la cittadinanza al momento della scelta o al momento
della morte. In tal caso tutte le parti interessate possono convenire che un
organo giurisdizionale o gli organi giurisdizionali di tale Stato membro
abbiano competenza esclusiva a decidere su qualsiasi questione legata alla
successione.
Il
Regolamento inoltre istituisce il «certificato successorio europeo», destinato
ad essere utilizzato da tutti coloro i quali abbiano necessità di far valere la
loro qualità o di esercitare i loro diritti di eredi o legatari e/o i loro
poteri come esecutori testamentari o amministratori dell’eredità in un altro
Stato membro senza dover ricorrere ad alcun procedimento particolare.
Esso
si applica a decorrere dal 17 agosto 2015, tranne gli articoli 77 e 78, che si
applicano a decorrere dal 16 gennaio 2014, e gli articoli 79, 80 e 81, che si
applicano a decorrere dal 5 luglio 2012.
Da
notare che Danimarca, regno Unito e Irlanda non hanno partecipato all’adozione
del citato regolamento e non sono dunque vincolati da esso nè sono soggetti
alla sua applicazione, salva sempre la possibilità per il Regno Unito e
l’Irlanda di notificare la loro intenzione di accettarlo dopo la sua adozione.
Tale ultima possibilità appare poco probabile per il Regno Unito, in cui lo European Committee della House of Lords ha espresso un parere
critico verso il regolamento, contestando in particolare la scelta di
utilizzare nelle successioni transnazionali la legge della residenza abituale
del de cuius al tempo della morte,
senza fornire ulteriori chiarimenti sulle nozioni utilizzate. A non convicere
l’House of Lords è anche il principio della tutela dei legittimari
(riconosciuto, come noto, nell’Europa continentale ed estraneo ai sistemi di Common Law), che potrebbe intaccare attribuzioni
testamentarie e donazioni fatte in vita dal de
cuius.
Per
un sommario commento alle norme del Regolamento in tema di competenza
giurisdizionale e poteri del giudice in materia di successioni transnazionali
si fa rinvio a Oberto, Intervento e poteri del giudice italiano
discendenti dal Regolamento UE n. 650/2012 (Traccia per una relazione), dal
15 gennaio 2015 disponibile alla seguente pagina web:
http://giacomooberto.com/Oberto_traccia_relazione_giurisdizione_nel_regolamento650_2012.htm.
Documenti di riferimento
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2012:201:0107:0134:IT:PDF;
·
per il relativo
rapporto di studio v. la pagina web
seguente:
http://ec.europa.eu/comm/justice_home/doc_centre/civil/studies/doc/testaments_successions_fr.pdf;
·
per il relativo
libro verde v. la pagina web
seguente:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52005DC0065:EN:NOT;
·
per la relativa proposta di regolamento v. la pagina web seguente:
http://ec.europa.eu/civiljustice/news/docs/succession_proposal_for_regulation_en.pdf;
·
cfr. inoltre:
http://www.successions-europe.eu/it/home.
25 MISURE DI
PROTEZIONE IN MATERIA CIVILE |
L’11
gennaio 2015 è entrato in vigore il regolamento
UE n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013,
relativo al riconoscimento reciproco nei 28 Stati membri delle misure di protezione in materia civile.
In sostanza, le vittime di stalking,
molestia o violenza di genere che hanno ottenuto protezione in uno Stato membro
potranno usufruire di una protezione
equivalente in un altro Stato, senza dover adempiere a particolari
formalità.
Il
regolamento garantisce che la protezione accordata in uno Stato membro sia
mantenuta quando la vittima viaggia o si trasferisce in un altro Stato membro.
Esso inoltre semplifica la procedura di richiesta di protezione, eliminando
tutte le attuali formalità intermedie. Una volta emessi da uno stato membro,
infatti, mediante una semplice certificazione essi sono riconosciuti in tutta
l’UE in modo rapido e immediato.
Per
garantire che la protezione sia riconosciuta ed eseguita in tutta l’UE, il
regolamento introduce un certificato
multilingue standard, che
fornisce tutte le informazioni essenziali.
Conformemente
al principio di riconoscimento reciproco, il riconoscimento corrisponde alla
durata della misura di protezione. Tuttavia, tenuto conto della diversità delle
misure di protezione in base alle legislazioni degli Stati membri, in
particolare riguardo alla loro durata, e considerato che il presente
regolamento normalmente si applica in situazioni di emergenza, gli effetti del riconoscimento a norma del
presente regolamento sono limitati, in via eccezionale, a un periodo di dodici
mesi dal rilascio del certificato previsto dal presente regolamento,
indipendentemente dall’eventuale maggiore durata della misura di protezione
stessa (sia essa di natura provvisoria, limitata nel tempo o indefinita).
Per
garantire il rispetto del diritto alla
difesa della persona che determina il rischio, qualora la misura di
protezione sia stata disposta in contumacia o in base a una procedura che non
prevede la precedente comunicazione a tale persona («procedura in assenza di
contraddittorio»), il rilascio del certificato è possibile solo se tale persona
abbia avuto la possibilità di difendersi contro la misura di protezione.
Tuttavia, per evitare l’elusione e tenendo conto dell’urgenza che caratterizza
i casi in cui sono necessarie misure di protezione, non è richiesto che il
periodo per far valere i mezzi di difesa sia scaduto prima che possa essere
rilasciato un certificato. Il certificato va rilasciato non appena la misura di
protezione è esecutiva nello Stato membro d’origine.
In
caso di sospensione o revoca della misura di protezione o di revoca del
certificato nello Stato membro d’origine, l’autorità competente dello Stato
membro richiesto, previa presentazione del pertinente certificato, deve
sospendere o revocare gli effetti del riconoscimento e, ove applicabile,
l’esecuzione della misura di protezione.
Il
regolamento in materia civile, che copre le minacce all’integrità fisica e
psichica delle persone, comprese le minacce alla libertà personale, alla
sicurezza e all’integrità sessuale, completa la direttiva in materia penale
sull’ordine di protezione europeo. In particolare, direttiva 2011/99/Ue del
Parlamento e Consiglio dell’Unione europea (adottata, in seconda lettura, il 13
dicembre 2011, al termine della procedura di coodecisione) è volta ad
assicurare il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle misure di
protezione adottate in materia penale per le vittime di reato.
Il
regolamento si applica anche ai casi
di ammonimento. Il regolamento precisa
che, per tener conto dei vari tipi di autorità che dispongono misure di
protezione in materia civile negli Stati membri, e diversamente da altri
settori della cooperazione giudiziaria, la normativa comunitaria dovrebbe
applicarsi «alle decisioni sia delle autorità giurisdizionali sia delle
autorità amministrative, a condizione che queste ultime offrano garanzie per
quanto riguarda, in particolare, la loro imparzialità e il diritto delle parti
al controllo».
Quindi,
laddove sia emesso un provvedimento di ammonimento del Questore ai sensi
dell’art. 8 d.l. n. 11/2009 all’autore di stalking,
o ai sensi dell’art. 3 d.l. n. 93/13 (sul contrasto della violenza di genere),
nei casi in cui alle forze dell’ordine siano segnalati in forma non anonima
fatti riconducibili ai delitti di percosse e lesioni personali aggravate
consumate o tentate, nell’ambito di violenza domestica, la vittima potrà
beneficiare del regolamento UE n. 606/2013. Era problematico, infatti, che tali
provvedimenti, di natura amministrativa, potessero ricadere nell’ambito di
applicazione dell’ordine di protezione europeo in quanto la direttiva
2011/99/Ue si applica «alle misure di protezione adottate in materia penale».
Documenti di riferimento
PER SAPERNE DI
PIU’ |
a)
Il sito della Rete Giudiziaria in materia civile e commerciale.
Il sito web della Rete Giudiziaria
in materia civile (cfr.
http://ec.europa.eu/civiljustice/index_it.htm)
è stato, come si è già detto, il punto di
riferimento imprescindibile per ottenere informazioni sulla legislazione
comunitaria in vigore. Esso è stato successivamente sostituito dal portale
europeo della giustizia (https://e-justice.europa.eu/home.do?action=home&plang=it).
Un
utile complemento d’informazione è ottenibile, in relazione ai possibili
sviluppi futuri nei vari settori del diritto civile sostanziale e processuale,
consultando il sito della Commissione
dedicato alla cooperazione giudiziaria in materia civile, all’indirizzo
seguente: http://europa.eu/legislation_summaries/justice_freedom_security/judicial_cooperation_in_civil_matters/index_it.htm.
b)
Dal Programma dell’Aja al Programma di Stoccolma.
Nel
2004 la Commissione ha emesso una Comunicazione sul c.d. «programma
dell’Aia»: dieci priorità per i prossimi cinque anni. Partenariato per
rinnovare l’Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia».
Con
tale programma la Commissione pone l’accento sul completamento del programma di reciproco riconoscimento delle decisioni
in materia civile e commerciale. A tal fine ha avviato delle consultazioni
sulle decisioni riguardanti le questioni patrimoniali di carattere familiare,
le successioni o i testamenti, per preparare nuove proposte legislative. Un
altro aspetto fondamentale che occorrerà affrontare è l’esecuzione delle decisioni giudiziarie e il reciproco riconoscimento
degli atti pubblici e privati. Quanto alle disposizioni sostanziali del
diritto europeo in materia di contratti, entro il 2009 sarà adottato un quadro
comune di riferimento (QCR) che avrà una funzione strumentale per migliorare la
coerenza e il rigore della legislazione europea.
Le
misure operative che la Commissione
intende portare avanti per garantire uno spazio europeo effettivo di giustizia
comprendono, con particolare riguardo alla materia
civile, i passi seguenti:
Al
programma dell’Aja ha fatto seguito il Programma
di Stoccolma — un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei
cittadini (2010/c 115/01), disponibile alla pagina web seguente:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:115:0001:0038:IT:PDF.
Tale programma copre il periodo 2010-2014 e per il settore civile stabilisce le
priorità seguenti:
3.1.2. Diritto civile
In
materia civile, il Consiglio europeo ritiene che debba proseguire il processo
di abolizione di tutte le procedure
intermedie (exequatur) durante il periodo contemplato dal programma di
Stoccolma. Al contempo l’abolizione dell’exequatur andrà anche di pari passo
con l’adozione di una serie di garanzie che possono essere misure inerenti al
diritto processuale e norme sul conflitto di leggi.
Si
dovrebbe inoltre estendere il
riconoscimento reciproco a materie non ancora contemplate che tuttavia
rivestono un ruolo centrale nella vita di tutti i giorni, quali successioni e testamenti, regimi
patrimoniali tra coniugi e conseguenze patrimoniali delle separazioni,
tenendo conto nel contempo degli ordinamenti giuridici degli Stati membri, tra
cui l’ordine pubblico, e delle tradizioni nazionali in questo settore.
Il
Consiglio europeo ritiene che debba proseguire inoltre l’armonizzazione delle norme sul conflitto di leggi a livello
dell’Unione nei settori in cui risulta necessario, come la separazione e il divorzio e, eventualmente,
il diritto societario, i contratti assicurativi e gli «interessi di garanzia».
Da notare, rispetto a tale ultima espressione (testualmente tratta dalla
versione italiana ufficiale del documento, ma che nella nostra lingua non
significa nulla…), che il testo francese parla di sûretés, vale a dire dei diritti
reali di garanzia, come pure confermato dal testo inglese (security interests) e da quello tedesco
(Sicherungsrechte).
Il
Consiglio europeo rileva inoltre l’importanza che riveste l’avvio dei lavori di
consolidazione degli strumenti adottati finora nel settore della
cooperazione giudiziaria in materia
civile. In primo e principale luogo è necessario migliorare la coerenza della
legislazione dell’Unione razionalizzando gli strumenti esistenti. Si dovrebbe
mirare ad assicurare strumenti armonici e di facile impiego assicurandone così
un’applicazione più efficace e uniforme.
Il
Consiglio europeo invita la Commissione a:
—
valutare quali garanzie occorrano a corredo dell’abolizione dell’exequatur e
come possano essere semplificate,
—
valutare se vi siano motivi di consolidazione e di semplificazione al fine di
migliorare la coerenza della normativa in vigore nell’Unione,
—
dare seguito al recente studio sui possibili problemi che si pongono in
relazione agli atti di stato civile
e all’accesso ai relativi registri.
Alla
luce dei risultati, la Commissione potrebbe presentare opportune proposte che
tengano conto dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni
giuridiche degli Stati membri. Si potrebbe prevedere a breve termine un sistema
che consenta ai cittadini di disporre dei propri atti di stato civile in modo
facile. Nel lungo periodo, si potrebbe valutare se il riconoscimento reciproco
degli effetti connessi agli atti di stato civile sia appropriato, quanto meno
in alcuni settori. In questo particolare settore occorre tener conto dei lavori
svolti dalla Commissione internazionale per lo stato civile.
3.3.2.
Diritto civile
L’abolizione
dell’exequatur andrà di pari passo con l’adozione di una serie di garanzie, in particolare per quanto
concerne le sentenze pronunciate in
contumacia, che possono essere misure inerenti al diritto processuale e
alle norme di conflitto di leggi (ad esempio il diritto di essere ascoltato, la
notificazione degli atti, il tempo necessario per formulare pareri, ecc.). Il
principale obiettivo politico nel settore del diritto di procedura civile è che
le frontiere tra gli Stati membri non costituiscano un ostacolo alla
risoluzione di controversie civili o alla presentazione di ricorsi dinanzi
all’autorità giudiziaria o all’esecuzione delle sentenze in materia civile. Con
le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere e il «programma dell’Aia:
rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell’Unione
europea» sono stati compiuti passi importanti per conseguire tale obiettivo. Il
Consiglio europeo osserva tuttavia che l’efficacia degli strumenti dell’Unione
in materia deve ancora essere migliorata.
Il
Consiglio europeo invita la Commissione a:
—
presentare, in primo luogo, una relazione
sul funzionamento dell’attuale regime dell’Unione relativo al diritto di procedura civile attraverso le
frontiere e, sulla base di detta relazione, avanzare una proposta volta a
migliorare la coerenza della legislazione dell’Unione in vigore,
—
valutare, anche nell’ambito delle prossime revisioni della regolamentazione
esistente, la necessità di stabilire norme
minime comuni o un insieme di norme
standard di procedura civile per l’esecuzione
transfrontaliera delle sentenze e decisioni su aspetti quali la
notificazione degli atti, l’assunzione delle prove, le procedure di riesame e
l’esecuzione, la fissazione di norme minime quanto al riconoscimento delle
decisioni sulla responsabilità genitoriale presentando, se del caso, proposte
al riguardo,
—
ove necessario, continuare a lavorare su norme comuni relative al conflitto di
leggi.
3.5. Potenziare la presenza
internazionale dell’Unione nel settore giudiziario
3.5.1.
Diritto civile
Il
Consiglio europeo ritiene che sia molto importante definire in modo chiaro gli
interessi e le priorità esterne dell’Unione nel settore della cooperazione
giudiziaria in materia civile al fine di poter interagire con i paesi terzi in
un contesto giuridico sicuro.
La
convenzione di Lugano del 1988 concernente la competenza giurisdizionale e
l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale è aperta alla
partecipazione di altri Stati e l’Unione dovrebbe valutare, in cooperazione con
le altre parti contraenti, quali paesi terzi potrebbero essere incoraggiati ad
aderirvi.
L’Unione
dovrebbe sfruttare la sua qualità di membro
della conferenza dell’Aia di diritto
internazionale privato per promuovere attivamente la massima adesione alle
convenzioni di maggior rilievo e prestare quanto più possibile assistenza agli
altri Stati affinché attuino correttamente tali strumenti. Il Consiglio europeo
invita il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri a incoraggiare tutti i
paesi partner ad aderire alle convenzioni che rivestono particolare interesse
per l’Unione.
Nei
casi in cui manchi un quadro giuridico che disciplini le relazioni tra l’Unione
e i paesi partner e qualora non sia possibile sviluppare una nuova cooperazione
multilaterale partendo dall’Unione, andrebbe vagliata, caso per caso, l’opzione
degli accordi bilaterali.
Il
Consiglio europeo invita il Consiglio e la Commissione a:
—
definire una strategia sulle questioni di diritto
civile per i prossimi anni, coerente con l’insieme dell’azione esterna
dell’Unione.
E’
ancora da aggiungere che, nel corso del 2010, la Commissione ha varato un «Piano
d’azione per l’attuazione del programma di Stoccolma»: cfr. la Comunicazione
della commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al comitato economico e
sociale europeo e al comitato delle regioni, dal titolo «Creare uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei» (COM(2010) 171
definitivo), disponibile alla pagina web
seguente:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2010:0171:FIN:IT:PDF.
Il
documento contiene un dettagliato e ambizioso programma, la cui concreta
realizzazione dovrebbe portare la cooperazione giudiziaria a fare un vero e
proprio salto di qualità, nel segno di un’auspicabile elevazione del livello di
integrazione europea.
Di
grande utilità è poi la pagina dedicata alle «ultime novità» del sito della Rete Giudiaria Europea in materia
civile e commerciale:
http://ec.europa.eu/civiljustice/news/whatsnew_en.htm,
la quale è però «migrata» verso il sito del portale E-Justice, alla pagina web
seguente:
https://e-justice.europa.eu/newsManagement.do?plang=en.
Altre
pagine da «tenere d’occhio» sono, infine, quelle in cui la Commissione archivia
– tra l’altro – proposte, comunicazioni, documenti, pareri e studi preliminari:
·
http://ec.europa.eu/comm/justice_home/doc_centre/civil/studies/doc_civil_studies_en.htm,
·
https://e-justice.europa.eu/sitenewslist.do?plang=it,
·
http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html/whatsnew_en.htm.